Premessa
Intendiamoci, il ministro Salvini può fare tutto quello che vuole. Criminalizzando le ONG può infangare l’operato di tanti volontari che hanno salvato migliaia di persone dall’annegamento; può chiudere i porti ai migranti, sequestrarli per giorni in una nave, chiudere gli Sprar, ridurre i finanziamenti per la loro minima necessaria accoglienza; può togliere il diritto ai migranti di chiedere lo stato di rifugiato, può cancellare modelli di integrazione funzionanti come Riace, può istigare all’odio razziale tramite migliaia di post su facebook in una continua e ansiosa ricerca del criminale (ma solo se ha la pelle scura). Al ministro Salvini è permesso tutto: lavorare sulle paure delle persone per incanalare la loro frustrazione contro un nemico inventato, può persino impedire a dei pullman di raggiungere Roma affinché le persone non possano manifestare contro di lui. Può prendersela con tutti coloro che lo criticano, sdoganare frasi del cupo ventennio fascista, minacciare sgomberi a tutti (tranne che a casapound) e rimanendo in tema, può chiedere il censimento dei ROM per poterli cacciare. Può fare tutto questo a torso nudo, tramite una diretta facebook, chiosando i suoi messaggi ai suoi nemici giurati con baci e abbracci aggressivo-passivi, o mostrandosi sorridente nei suoi selfie durante le tragedie che affliggono il nostro paese. Al ministro Salvini è permesso di tutto, non c’è magistratura o carta costituzionale che tenga.
Ma una cosa è certa: il ministro Salvini non può vietare alle persone di provare empatia, di fare ed essere rete, di non avere paura, di non essere solidale. E soprattutto, il ministro Salvini, non può impedirci di ragionare, di analizzare lo stato dell’arte tramite studi e ricerche scientifiche, capire la storia, smascherare il presente, per provare a proporre valide alternative, per un futuro più aperto ed inclusivo per la pace e il benessere delle persone.
Tutto questo è lo scopo del presente articolo, che dedico a mio padre. Buona lettura.
I migranti ci aiutano a casa nostra
In un mio precedente post, sempre qui su Econopoly, ho spiegato -studi alla mano- come fosse conveniente, anche e soprattutto dal punto di vista economico, avere una politica basata sull’accoglienza: la diversità e la relativa inclusione conviene a tutti. Molti dei commenti critici che ho avuto modo di leggere sui social, oltre alle consuete offese degli instancabili haters possono riassumersi in un solo concetto: “gli altri paesi selezionano i migranti e fanno entrare solo quelli qualificati, mentre in Italia accogliamo tutti”. Premesso che non è così, che l’Italia non è l’unico paese ad offrire ospitalità a questo tipo di migranti, e che non tutte le persone disperate che raggiungono le nostre coste sono poco istruite, non voglio sottrarmi alla critica e voglio rispondere punto su punto nel campo di gioco melmoso e maleodorante da loro scelto. Permettetemi quindi di rivolgermi direttamente a loro, in prima persona.
Prima di tutto mi chiedo come si possa sperare di attirare migranti “qualificati” se non riusciamo neanche a tenerci le nostre migliori menti. Il nostro problema principale è infatti l’emigrazione, non l’immigrazione: più di 250mila italiani emigrano all’estero, perché l’Italia non è più capace di offrire loro un futuro dignitoso. Ma tutto questo evidentemente non rientra tra le priorità del governo del cambiamento.
Tolti i migranti “qualificati”, ci rimangono quindi quelli che gli anglosassoni definiscono “low skilled migrants”, e le obiezioni che i nostri amici rancorosi ci pongono sono sempre le stesse: “per noi sono solo un costo”, “prima gli italiani che non arrivano alla fine del mese”, “ospitateli a casa vostra”, e così via vanverando. Proviamo a rispondere con i numeri, con i dati, sempre che i dati possano avere ancora un valore in questo paese in perenne campagna elettorale, sempre alla ricerca del facile consenso. Correva l’anno 2016, un numero record di sbarchi raggiungeva le nostre coste e lo stato spendeva per loro ben 17,5 miliardi di spesa pubblica. Bene, prima che possiate affogare nella vostra stessa bava, senza che nessuna ONG possa venirvi a salvare, sappiate che gli introiti dello Stato grazie ai contributi da loro versati, nelle varie forme, è stato di 19,2 miliardi: in pratica con i contributi dei migranti lo stato ha guadagnato 1,7 miliardi di euro. Potete prendervela con me che ve lo riporto, o magari con il centro studi e ricerche Idos e con il centro Unar (del dipartimento delle pari opportunità) che questo report lo hanno prodotto, ma la realtà non cambia. Forse fate prima a cambiare voi la vostra percezione, perché dovremmo ringraziarli quei “low skilled migrants”, visto che con quel miliardo e sette di euro ci hanno aiutato a casa nostra, pagando -in parte- la nostra pensione, il nostro ospedale, la nostra scuola.
Studi confermano che i migranti contribuiscono al benessere del paese ospitante
Prima di andare avanti in questo discorso, vale la pena di menzionare un importante e imponente studio di Giovanni Peri e Mette Foged del 2016: i due autori hanno esaminato i salari di ogni singola persona in Danimarca per un periodo di ben 12 anni, nei quali vi era stato un forte afflusso di migranti. Il governo danese distribuì i rifugiati per tutto il territorio, fornendo agli economisti tutti i dati necessari per permettere a loro di analizzarli. Da questi dati emerse che i danesi che avevano i rifugiati nelle vicinanze, avevano visto i propri salari crescere molto più velocemente, rispetto ai connazionali senza rifugiati. Questo si spiega perché i low skilled migrants essendo poco istruiti, generalmente vanno a coprire quei lavori che non richiedono particolari competenze, permettendo -per contrasto- ai locali di specializzarsi nei lavori che invece sono meglio pagati, perché più produttivi.
Quando i migranti non convengono e sono solo un costo
Tuttavia i migranti, per poter versare i propri contributi allo stato, devono -ovviamente- essere messi in grado di lavorare. Non sto dicendo che si debba trovare loro un lavoro, perché sono capaci di farlo da soli, ma semplicemente di dare a loro i necessari permessi burocratici per poter vivere, lavorare, consumare, spendere. Questo alimenterebbe un mercato del lavoro -che molti italiani ormai disdegnano- e aumenterebbe l’indotto delle vendite di beni di consumo ai “nostri” piccoli commercianti italiani e non.
“Potrebbe sembrare controintuitivo, ma i paesi che hanno politiche più severe e restrittive nei confronti dei rifugiati, finiscono per avere un costo maggiore per il mantenimento dei migranti”, afferma Erik Jones, professore alla Johns Hopkins University School. Quindi paradossalmente (ma neanche tanto), più rinchiudiamo i migranti nei centri di accoglienza senza permettere a loro di avere una vita e un lavoro, più sale il loro costo a spese dei cittadini italiani.
Le conseguenze del decreto sicurezza
Stranamente è proprio questa la direzione che il ministro Salvini ha deciso di intraprendere con il suo “decreto sicurezza”: togliendo lo SPRAR ai migranti e rendendo più difficoltosa la possibilità di richiedere asilo, verrà impedito a loro di integrarsi nel tessuto sociale del nostro paese, di lavorare, di produrre ricchezza. Insomma questo decreto finiranno per pagarlo caramente gli italiani, che per il ministro Salvini, sarebbero dovuti “venire prima” (forse intendeva alla cassa).
Non è un caso se al momento in cui scrivo città come Torino, Bergamo, Bologna e Padova hanno espresso forti preoccupazioni nel far attuare il cosiddetto “decreto sicurezza” firmato da Salvini. Il fatto che a Torino governi il m5s che siede nei banchi di governo insieme al ministro degli interni, ha provocato non pochi mal di pancia dentro la maggioranza e conferma quanto questo decreto sia in realtà molto pericoloso per gli italiani stessi. «Io capisco che siamo in campagna elettorale permanente – ha concluso Sergio Giordani ma non si possono prendere decisioni sulla pelle delle persone. Che si scordino di farlo su quella dei padovani», ha affermato il sindaco di Padova. Non è un lapsus, ha proprio detto “sulla pelle dei padovani”, non dei migranti.
Perché il modello Riace ha funzionato
Un interessante studio, diretto dal Prof. Edward Taylor, per la Harvard Business Review, ci spiega quali sono le giuste modalità che permettano ai migranti di sostenere l’economia del paese ospitante, e lo fa spiegandoci due importanti lezioni che ha imparato dopo aver studiato attentamente i costi economici e i benefici di tre campi in Rwanda gestiti dall’UNCHR:
1. Give cash, not food. La prima lezione imparata è quella di fornire direttamente i soldi ai migranti per comprarsi il cibo e di non dare a loro direttamente il cibo. Questo serve ad alimentare il mercato locale, aiutando in un’ottica win-win i contadini locali e i piccoli commercianti del posto
2. Promote long-term integration. La seconda lezione imparata che ci spiega il prof. Edward Taylor, riguarda il necessario tempo di integrazione che si deve concedere ai migranti, al fine di permettere un importante ritorno economico al paese ospitante: in poche parole i migranti devono avere il tempo di sistemarsi, di creare una forza lavoro locale, di integrarsi nel tessuto sociale del luogo ospitante
Quando ho letto questo studio non ho potuto fare altro che pensare all’esperienza di Riace, considerata giustamente un modello vincente di integrazione, diventato famoso in tutto il mondo: infatti quello che consiglia il Prof Taylor è esattamente ciò che ha fatto il sindaco Domenico Lucano nel suo paese! La ricetta è talmente la stessa, che ad un certo punto ho pensato di aver letto male e che il Prof. Taylor si riferisse, in realtà, all’esperienza del paesino calabrese, non a quella del Rwanda.
Per quanto riguarda il primo punto, il sindaco Lucano si è dovuto inventare una moneta locale per permettere ai migranti di essere indipendenti e di spenderli nel territorio ospitante, promuovendo ed aiutando l’economia dell’intero paese; per quanto riguarda il secondo punto, Lucano ha trasformato la natura dei fondi dello SPRAR, che in realtà prevedono una sistemazione del migrante in soli sei mesi, in una integrazione a medio e lungo termine. Per permettere ai migranti di ritornare un valore (anche economico), è necessario del tempo, ed è obiettivamente impossibile immaginarlo fattibile nel limite temporale dei sei mesi. E’ importante sottolineare come le accuse che gli vengono mosse dalla magistratura, che gli sta attualmente impedendo di tornare nella sua Riace, nascano proprio da questo suo approccio ben descritto nelle due lezioni del Prof. Taylor. Altro concetto importante da ribadire è che all’inizio, il sindaco Lucano, si è mosso in questa direzione principalmente per aiutare i suoi compaesani italiani, visto che il paese si stava spopolando. Ad esempio, l’asilo era destinato a chiudere, ma grazie ai figli dei migranti questo non è accaduto.
Tutto questo mi ha fatto pensare al sindaco di Riace, come ad un vero e proprio manager illuminato, oltre che ad una persona di una generosità smisurata, non certamente ad un criminale da punire ed umiliare in questo modo.
Lunga vita a Riace (grazie alla rete)
Dovremmo essere tutti riconoscenti al sindaco Riace, ma non solo esprimendogli solidarietà con le parole. Ho pertanto deciso di concludere questo articolo con delle proposte concrete che possano aiutare Lucano, i riacesi e i migranti che vi abitano. Ognuno può dare il proprio “give-back” al Sindaco Lucano, in base al proprio vissuto, ai propri interessi, alle proprie competenze. Ad esempio, per il lavoro che faccio, a me viene facile pensare che la Digital Transformation che propongo alle aziende possa aiutare in modo decisivo Riace e tutte le “Riaci del mondo” che vogliano provare ad integrare e non a respingere i migranti. Penso ad esempio che Riace meriti una piattaforma web che implementi almeno tre funzioni principali:
1. Funzione divulgativa, culturale. E’ necessario far conoscere le storie delle persone, perché si è stranieri solo fino a quando non ci si conosce l’un l’altro. Per questo penso, ad esempio, ad una web radio, magari ispirata all’esperienza di Radio Aut di Peppino Impastato, visto che Mimmo lo considera, giustamente, una figura vicina alle sue istanze. Contestualmente, sempre attraverso la piattaforma web farei conoscere, tramite dei video molto brevi, le storie e le testimonianze dei singoli migranti
2. Funzione di sostentamento economico. Ogni migrante infatti potrebbe avere un profilo pubblico che potrebbe permettere a tutti noi non solo di conoscere la sua storia ma anche di aiutarlo economicamente, comprando i suoi prodotti, che possano essere di artigianato o di beni di consumo come l’olio locale di Riace. Insomma, una piattaforma che funzionerebbe da e-commerce, seppur con una forte valenza etica. Infatti il “made in Riace”, potrebbe diventare un brand, la garanzia che un commercio equo e solidale possa essere veramente possibile, anche in questo mondo
3. Funzione di offerta lavoro. La piattaforma potrebbe ospitare un sistema che metta in comunicazione la domanda con l’offerta di lavoro. Penso ai tanti lavori e lavoretti di cui la popolazione locale potrebbe avere bisogno, attratta magari dai costi più bassi: il muratore, l’elettricista, l’idraulico, etc. Per non parlare di professioni più qualificanti, perché spesso ad imbarcarsi nei viaggi della speranza ci sono anche molti dottori e professionisti
Ed infine, sempre grazie alla rete, i migranti di un paesino sperduto come Riace, potrebbero tenere lezioni di inglese e francese, tramite skype, a milioni di italiani (che ne hanno veramente bisogno). Credo infine che -rimanendo in tema- potrebbero nascere a Riace, come in tanti altri paesi del nostro belpaese, anche dei laboratori di informatica visto che attualmente moltissime società per trovare un programmatore disponibile sono costrette a cercarlo fuori Italia, data la spropositata differenza tra la domanda e l’offerta in questo settore in continua evoluzione.
Se al sindaco Lucano interessa, il mio personale give-back è tutto e solo per lui.
Conclusioni
Il ministro Salvini, che può tutto, ha definito il sindaco di Riace “uno zero”, pensando di offenderlo ma è evidente che non lo conosce affatto. Come non conosce affatto le dinamiche della rete, nonostante il suo entourage social si vanti di aver creato il profilo pubblico su facebook con più followers. Ma é proprio questo lo sbaglio di fondo, il grande fraintendimento: la rete non è mai stata pensata in ottica di “followers e following”, questa è una aberrazione dei social network che nulla ha a che fare con la rete e le sue origini. La rete è nata per condividere, collaborare, comunicare, contaminare. Ricordiamoci che grazie alla rete, in pochissimi giorni, si sono trovati i fondi per permettere ai figli dei migranti di usufruire della mensa scolastica dei propri bambini, che leghista di Lodi gli aveva tolto. Siamo tutti degli zero, ministro Salvini, non solo il sindaco Riace. Ma lei, sig. ministro, non ha minimamente idea di cosa siano capace di fare gli zero, quando si uniscono con gli uni, se lo faccia dire da un informatico. La rete è solidale by design.