October | 2015 | Bodleian Map Room Blog

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  • Storia semiseria della cartografia esattissima delle epidemie, Anno Domini 1690-2020

    Le epidemie hanno segnato anche la storia della cartografia, e viceversa: le carte ci raccontano come sono state pensate e quindi affrontate le epidemie. Ci dicono cosa cambia e cosa, ahimè, non cambierà mai. Il primo esempio si deve a Filippo de Arrieta (1): peste, Bari, fine del ‘600.

    La carta mostra “li luoghi sospetti” - dove l’epidemia è ancora in corso (intorno Monopoli) o dove è passata (intorno a Bari) - isolati da un “cordone sanitario” di 350 caserme militari e per mare da “Filuche di guardia”. Un altro cordone protegge le province contigue.

    Oggi siamo molto più gentili: basta qualche milione di posti di blocco. L’area del contagio è il mondo intero. I confini, di conseguenza, sono ovunque. A breve li installeremo nei nostri smartphone e saremo finalmente liberi (perché tracciati in tempo reale su una mappa). All’epoca i focolai erano quasi sempre nei porti. Si pensava allora che i veicoli fossero più che i marinai proprio le navi. La soluzione è vecchia di 700 anni: la quarantena (2).

    Che può apparire crudele e sproporzionata. Ma d’altronde si trattava di salvare vite umane. E incidentalmente l’economia: confinamenti e quarantene intralciavano i commerci sul lungo raggio, ma comunicavano ai propri intorni territoriali che si trattava di porti sicuri dai quali attingere le merci. Dai lazzaretti, oltre che dalle flotte e dagli eserciti, dipendono l’espansione dei commerci e - oggi come allora - le sorti di quella che chiamiamo globalizzazione. E inoltre, pensate un po’, si diffondono dicerie. Le epidemie hanno origine in luoghi lontani dove, evidentemente, succedono cose immonde (hic sunt dragones) (3).

    Un tale Luca Zaia, governatore dell’autonoma repubblica veneta, sostiene addirittura nell’anno domini 2020 che le epidemie nascono in Cina perché lì mangiano topi vivi, salvo poi scusarsi per l’affermazione. D’altronde all’epoca la gente era suggestionabile e ignorante di geografia (che era stata praticamente eliminata dalle scuole di ogni ordine e grado). Circolavano per questo parecchie fake news. Ma finalmente arriva la scienza moderna e si iniziano a mappare le epidemie per comprenderne le cause. Si sosteneva che il veicolo di trasmissione fosse l’aria, ovvero i famigerati ‘miasmi’, che esalavano da luoghi stantii e maleodoranti. Per dimostrarlo si disegnavano carte (che possono quindi essere considerate i primi tentativi di cartografare la puzza).

    La prima è quella di Valentine Seaman (1795), porto di New York, febbre gialla (4): i numeri sono i contagiati, le S i luoghi dai quali esalano i ‘miasmi’ (“putrid effluvia”), le x i luoghi di assembramento.

    La prossimità tra gli uni e gli altri implica correlazione e quindi causalità. La soluzione è la ‘sanificazione’. Che ha effettivamente risolto molti problemi sociosanitari, che però spesso non avevano natura epidemica ma erano appunto sociosanitari, ovvero colpivano i poveri. Le epidemie hanno invece un inconveniente: si trasmettono anche ai ricchi, che quindi tendono a prendere più a cuore la questione. Edwin Chadwick era particolarmente preoccupato. Nel 1842 disegna una carta che è considerata il primo esempio di cartografia delle disuguaglianze (5).

    Leeds, 1830, epidemia di colera: nelle aree scure abitano i ricchi. In quelle chiare i poveri. I pallini rossi sono decessi per colera. Quelli blu per malattie respiratorie. Le strade sono classificate in “buone” e “cattive”. La posizione e la frequenza dei pallini parlano chiaro: la malattia è un problema di classe. La povertà quindi conduce alla malattia? Bisogna sconfiggerla! Chadwick in realtà pensava che fosse l’opposto: la malattia conduce alla povertà. Ed entrambe sono dovute alle cattive abitudini. La colpa allora è di chi si ammala. Il veicolo erano comunque considerati i miasmi. La sanificazione ha cambiato per sempre le città e quindi il mondo.

    Mentre il Barone Hausmann demoliva le parti più vecchie, tortuose e putride di Parigi per fare un po’ d’aria, il suo capo ingegnere Eugéne Belgrand dotava la città di un adeguato sistema circolatorio sotterraneo: le fogne. Direbbe Franco Farinelli che la cartografia di Belgrand (6) non è una rappresentazione più o meno fedele o utile del suo progetto, ma che è stata piuttosto la rete fognaria e perfino, di conseguenza, Parigi a prendere forma dalla logica cartografica che albergava nella mente cartesiana di Belgrand (e di Haussmann).

    Sia come sia, ha funzionato. Parigi viene demolita, ricostruita e resa più sicura: sui grandi boulevard voluti da Haussmann possono finalmente passare gli eserciti. I tentativi di imitazione furono innumerevoli. A Napoli lo chiamarono “Risanamento”. Il risanamento (o sanificazione) ha cambiato il mondo proprio perché si basava su una teoria in buona parte sbagliata. Si sottovalutava la dimensione interpersonale del contagio per cercare specifici focolai che potessero essere quindi isolati, evitando misure draconiane che danneggiavano l’economia.

    In fondo, mostrava Thomas Shapter nella sua mappa (7), si tratta di “poche isolate macchie [“spots”] nei quali si verifica un tasso di mortalità rimarchevole e anomalo”. Oggi li chiamiamo hotspot o cluster e li individuiamo in pochi istanti con calcolatori iper-potenti che attingono in real time a repository dinamiche di dati machine readable. Ma sempre di puntini e macchie su una carta si tratta. Allora per mapparli ci volevano mesi o anni ma, guarda un po’, i dati a quanto pare erano più affidabili. Per Richard Grainger il veicolo erano gli acquitrini o, dove non c’erano, la “cattiva ventilazione” (oggi diremmo “polveri sottili”) o “gli affollamenti” (“assembramenti”), come tentò di mostrare con una carta che, diciamo la verità, è una vera schifezza (8).

    Cambiando scala, sulla già immensa superficie di Londra, non si potevano semplicemente disegnare pallini, lettere e numeri. La soluzione è ancora oggi la stessa: mappe di densità. Solo che oggi le autorità non pubblicano dati individuali. Dobbiamo quindi accontentarci di suddivisioni amministrative e mappe ‘arlecchino’ che oltre ad essere orribili sono notoriamente fuorvianti perché affette dal “problema dell’unità d’area modificabile”: se si cambia la scala (es. dalle province ai comuni) o la forma geometrica dei confini, la correlazione tra due fenomeni può addirittura cambiare di segno. Poi arriva il nostro eroe: John Snow. Non è discendente diretto del noto personaggio della nota serie tv, ma tra i cartografi gode di analoga fama. È considerato il padre di hotspot, cluster e tutta quella roba lì. Ma come! Direte voi. L’avevano fatto altri prima di lui. Lui però l’ha fatto meglio (9).

    Innanzitutto la sua teoria era esatta. La concentrazione anomala (hotspot) di casi (nella mappa: le lineette in pila) in una particolare area della città di Londra (Broad street) non era dovuta ai miasmi (Broad street d’altronde si traduce “via larga”). I casi ‘clusterizzavano’ intorno a uno specifico pozzo (nella mappa i pozzi sono pallini con l’etichetta “pump”). L’origine del colera è quindi l’acqua. E poi il metodo di Snow era particolarmente pulito, cartesiano e quindi inevitabilmente cartografico.

    E siccome i suoi colleghi epidemiologi non si convincevano, Snow disegnò una linea di equidistanza tra il pozzo di Broad street e gli altri per mostrare che le morti si concentravano prevalentemente all’interno di quella linea (10): per questa semplice idea i cartografi lo acclamano. Ed era talmente convinto dell’efficacia dimostrativa della sua mappa che non si prese neanche il disturbo di contare questi morti, testare altrove la correlazione ed escludere eventuali concause. Si recò però personalmente in tutti i luoghi vicino a Broad street dove, stranamente, i morti erano pochi, per dimostrare che qui l’acqua veniva attinta da altri pozzi. I migliori cartografi d’altronde sanno bene che “la geografia si fa con i piedi”, prima che sulle mappe. Queste ultime, si sa, mentono. Henry Acland allora ci si mise di buzzo buono: nella sua mappa (11) localizzò tutte le morti di colera a Oxford durante le epidemie del 1854 (quadrati e lineette nere), del 1849 (lineette blu) e del 1832 (puntini blu), i luoghi dei ‘miasmi’ (puntini marroni), quelli sanificati (cerchi marroni), i corsi d’acqua inquinati (linee tratteggiate), le zone acquitrinose (in verde), le linee altimetriche (nere) e vi allegò un rapporto di 170 pagine con una ricchezza impressionante di dati.

    Fu acclamato con entusiasmo. Forse perché sosteneva tesi in linea con quelle all’epoca tanto in voga? Fatto sta che le sue conclusioni erano sbagliate. E quindi oggi chi era Acland lo abbiamo dimenticato mentre Snow compare in tutti i libri di epidemiologia e di cartografia. D’altronde il rigore scientifico è nulla a confronto delle buone idee. E in questo caso è quanto mai vero che “basta che funzioni”. Snow è considerato il primo ad avere sperimentato un metodo che è ancora alla base delle applicazioni geospaziali più diverse, dall’industria petrolifera al geomarketing. Ma non riuscì mai a convincere i suoi colleghi. Per una prova ‘scientifica’ si dovettero attendere 30 anni e un numero enorme di altri morti, inclusa quella prematura di Snow per l’eccessiva auto-sperimentazione di anestetici. Allora come oggi i medici spesso ci rimettono la pelle.

    In Italia nel frattempo si mappava la malaria, il cui veicolo di diffusione è territoriale e non interpersonale. Il problema riguardava per questo vastissimi territori che coprivano praticamente l’intera penisola. A fare l’Italia non bastavano quindi gli eserciti. Bisognava anche costruire le ferrovie. I lavori però progredivano lentamente e il motivo principale era proprio la malaria. Per non parlare dei danni all’agricoltura. Per mostrarlo il senatore Luigi Torelli disegnò una delle prime carte dell’Italia unita (12).

    L’Italia l’hanno poi fatta anche le bonifiche, ma prima ancora quella mappa nella quale ci si scopriva vittime di un unico terribile morbo senza confini. In verità la malaria è stata sostanzialmente una “questione meridionale”, come pure si può dedurre sulla carta osservando le zone più scure. L’intenzione di Torelli era in ogni caso scioccare l’opinione pubblica e spronare all’azione. Compito che le carte geografiche svolgono da sempre egregiamente. E infatti funzionò. La lotta alla malaria modificò le abitudini, l’architettura, il territorio. Decine di migliaia furono salvati, per poi essere mandati con altri centinaia di migliaia a morire in guerra. Salvare vite umane è d’altronde un imperativo morale, ma alcune cause di morte fanno eccezione. Con altrettanta incuria ci si dedicò alle principali concause della malaria: la deforestazione selvaggia e la miseria. La lotta durò quindi un intero secolo, anche perché il vaccino funzionò solo in parte. Speriamo che contro questo coronavirus ci vada meglio. Perché abbiamo già iniziato a contare i morti dovuti alle misure di contenimento del contagio. E a discutere soluzioni alla recessione devastante che ci attende sulla base di teorie economiche altrettanto parziali che, guarda caso, nascono nella stessa epoca, e su una mappa (13).

    E anche se abbiamo imparato a distinguere una correlazione da un nesso di causalità, facciamo ancora confusione tra ciò che è efficace e ciò che è giusto. Ma questa è un’altra storia. Nonostante, quindi, siano trascorsi secoli di progresso scientifico e civile continuiamo ad adottare metodi di contenimento delle epidemie simili - isolamento, quarantena, sanificazione, militarizzazione del territorio. Sappiamo tutto su virus, contagi, abitudini e movimenti delle persone ma applichiamo una strategia che è stata inventata a Venezia nel ‘300. Continuiamo a disegnare carte nel tentativo (spesso altrettanto vano) di individuare origini, canali di diffusione, soluzioni, scorciatoie. Continuiamo ad adottare soluzioni parziali, sperimentali, sproporzionate, pensando che esse si basino su incontrovertibili verità scientifiche. Il tutto condito da tonnellate di fake news, feroci caccie all’untore e elefantiaci dispositivi di sicurezza che se non fossero pericolosi sarebbero ridicoli, mentre la morte nera dilaga e ci inchioda, oggi come sempre, alla nostra prigione cartografica fatta di reti di contagio, confini di contenimento e territori minuscoli nei quali, terrificati, ci isoliamo. Perché “vedi, figlio mio”, come dice Gurnemanz a Parsifal nell’omonimo dramma anti-positivista di Wagner, “il tempo qui diventa spazio”. Niente di nuovo. Niente di strano. L’errore è aver pensato che, nel frattempo, il mondo fosse cambiato. Solo che nello spazio reti, confini, territori non esistono. Sono solo modi a volte goffi, a volte efficaci, con i quali tentiamo di dare un senso al mondo, che poi vengono facilmente confusi con la realtà che rappresentano (d’altronde sia la mappa di Snow che quella di Aucland erano ‘vere’). E che poi – anche per questo - hanno effetti molto concreti sul modo con il quale gestiamo e modifichiamo il territorio, l’architettura, le abitudini. Piaccia o non piaccia, speriamo almeno che funzioni.

    FONTI

    Al-Marashi I. (2020) Black plague, Spanish flu, smallpox: All hold lessons for coronavirus. Bullettin of the Atomic Scientists, March 13, 2020. Bagnato A., Terra infecta: Mapping malaria in Italy [https://research-development.hetnieuweinstituut.nl/en/research-projects/mapping-malaria-italy]

    Bynum W. (2008) The history of medicine: A very short introduction. Oxford University Press. Farinelli F. (2003) Geografia: un’introduzione ai modelli del mondo. Einaudi.

    Gandy M. (1999) The Paris sewers and the rationalization of urban space. Transactions of the Institute of British Geographers 24: 23-44. Koch T. & Denike K. (2009) Crediting his critics’ concerns: Remaking John Snow’s map of Broad Street cholera, 1854. Social Science & Medicine 69: 1246-1251.

    Koch T. (2005) Mapping the miasma: Air, health, and place in early medical mapping. Cartographic Perspectives 52: 4-27.

    Koch T. (2011) Disease maps: epidemics on the ground. University of Chicago Press.

    Mason B. (2019) The Topography of Disease: A 19th-century doctor famously mapped cholera’s toll to try and understand its origin and spread.

    Scientific American, January 29, 2019.

    Snowden F.M. (2002) Naples in the Time of Cholera, 1884-1911. Cambridge University Press. Snowden F.M. (2019) Mr. Clean: Edwin Chadwick and the movement to blame the poor for being sick. Lapham’s Quarterly, October 23, 2019.

    MAPPE

    MAPPE

    (1) Filippo de Arrieta, “Raguaglio historico del contaggio occorso nella provincia di Bari negli anni 1690, 1691 e 1692”
    https://it.wikipedia.org/wiki/File:Raguaglio_historico_del_contaggio..._Wellcome_L0043986.jpg

    (2) I luoghi della quarantena a Venezia nel 1572: Lazzaretto vecchio e Lazzaretto nuovo
    https://www.piratesurgeon.com/pages/surgeon_pages/quarantine10.html

    (3) Monro Scott Orr (1874-1955), “Storia e diffusione della morte nera nel mondo”
    https://wellcomecollection.org/works/v37g7nq9

    (4) Valentine Seaman (1770-1817), “Indagine sulle cause e la prevalenza della febbre gialla a New York”, 1797
    https://lib-dbserver.princeton.edu/visual_materials/maps/websites/thematic-maps/quantitative/medicine/medicine.html

    (5) Edwin Chadwick (1800-1890), “Rapporto sulle condizioni sanitarie della popolazione lavorativa della Gran Bretagna”: “Mappa sanitaria di Leeds”, 1842
    https://www.parliament.uk/about/living-heritage/transformingsociety/livinglearning/coll-9-health1/health-02/1842-sanitary-report-leeds

    (6) Eugène Belgrand (1810-1878), “I lavori sotterranei di Parigi, Vol. V”: “Fogne costruite tra il 1856 e il 1878”
    https://rgs-ibg.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/j.0020-2754.1999.00023.x

    (7) Thomas Shapter (1809-1902), “Mappa di Exeter che mostra le località dove si sono verificate le morti causata dal pestilenziale colera negli anni 1832, 1833 e 1834”, 1849

    (8) Richard Grainger, “Mappa del colera nella metropoli, 1849”, 1850
    https://wellcomecollection.org/works/hjutkspw

    (9) John Snow (1813-1858), “Rapporto sull’epidemia di colera nel quartiere St. Jaimes, Westminster, durante l’autunno del 1854”, 1855
    https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8e/Snow-cholera-map-1.jpg%3Fuselang%3Dit

    (10) John Snow, riproduzione della linea di equidistanza tra il pozzo di Broad Street e quelli contigui, 1855
    https://medium.com/through-the-optic-glass/la-mappa-che-cambi%C3%B2-le-citt%C3%A0-8027752b2c12

    (11) Henry Acland (1815-1900), “Memorie sul colera a Oxford nel 1854”, “Mappa di Oxford”, 1855
    https://blogs.bodleian.ox.ac.uk/maps/2015/10

    (12) Luigi Torelli (1810-1887) “Carta della malaria dell’Italia”, 1882
    https://zanzare.ipla.org/index.php/2-non-categorizzato/152-note-storiche-sulla-lotta-alla-malaria-in-italia

    (13) Johann Einrich von Thunen (1783-1850), “Lo stato isolato in relazione all’agricoltura e all’economia”, 1826. Secondo alcuni è la prima applicazione di un modello economico marginalista.
    https://archive.org/stream/derisoliertestaa00thuoft?ref=ol#page/n4/mode/2up

    http://temi.repubblica.it/micromega-online/storia-semiseria-della-cartografia-esattissima-delle-epidemie-anno-d
    #cartographie #cartographie_historique #histoire #épidémie

    Auteur : #Filippo_Celata, qui a publié ce billet sur @visionscarto :
    Cartographie d’un désastre : la santé publique en Italie face au coronavirus
    https://visionscarto.net/hopital-et-coronavirus-en-italie