• Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

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    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • Discussion #Frontex et #MSF sur twitter...

    Tout commence par un tweet de Frontex, le 13.11.2020 :

    Ruthless people smugglers put dozens of people in danger today. Thankfully a Frontex plane saw the overcrowded boat near Libyan coast and issued mayday call. We also alerted all national rescue centres. 102 people were rescued by Libyan Coast Guard. Sadly, 2 bodies were recovered

    MSF répond le 14.11.2020 :

    How many boats do you see & not report to the NGOs who could have rescued them?
    How many people have you watched die without alerting the world to what reality looks in the #Med?
    What happens to the people you facilitate the Libyan Coast Guard in trapping & forcing back to Libya?

    https://twitter.com/MSF_Sea/status/1327569141344194560

    Frontex :

    Frontex always alerts national rescue centres in the relevant area, as required by international law. Always. Don’t you?

    MSF :

    International law requires people to be brought to a place of safety.

    Frontex :

    So you do not/would not contact the closest internationally-recognised rescue centres, violating international law and putting lives in danger?

    MSF :

    So you are not/ would not be concerned that people are taken back to a place internationally recognised as unsafe, violating international law and putting lives in danger?
    Your Director was.

    –-> en ajoutant le lien vers une lettre signée par Paraskevi MICHOU (EUROPEAN COMMISSION DIRECTORATE-GENERAL FOR MIGRATION AND HOME AFFAIRS) et adressée à #Fabrice_Leggeri (Ref. Ares(2019)1755075 - 18/03/2019) :
    https://www.statewatch.org/media/documents/news/2019/jun/eu-letter-from-frontex-director-ares-2019)1362751%20Rev.pdf

    Frontex :

    We care deeply about the safety and security of hundreds of millions of European by helping to protect our borders. And we care deeply about the lives of those in distress at sea. This is why we helped to save more than a quarter million people in recent years.

    https://twitter.com/Frontex/status/1327288578678906880

    –---

    Commentaire de #Jeff_Crisp sur twitter :

    Latest score:
    MSF: 3
    Frontex: 0
    And it is only half-time...

    https://twitter.com/JFCrisp/status/1327692414686027776

    #sauvetages_en_mer #frontières #migrations #asile #réfugiés #sauvetage #mensonges #Libye #twitter #réseaux_sociaux #Méditerranée #mer_Méditerranée

    ping @isskein @karine4

  • Migration : la #France et l’#Italie déploieront des #navires et des #avions pour alerter la Tunisie sur le départ des migrants

    Le ministre français de l’Intérieur, #Gérald_Darmanin, est attendu, ce weekend, en visite en Tunisie pour de décisives discussions dans la foulée de l’attentat contre la basilique de Nice commis par un migrant illégal tunisien, qui a fait trois morts. Une visite qui intervient aussi dans un climat de plus en plus tendu en France dont le gouvernement et le président de la République, Emmanuel Macron, s’emploient à restreindre au maximum les flux migratoires à travers la Méditerranée.

    A la veille de cette visite, le ministre français de l’Intérieur, qui se trouve ce vendredi à Rome , envisage avec son homologue italienne, #Luciana_Lamorgese, de déployer des navires ou des avions pour alerter la Tunisie du départ de #bateaux clandestins transportant des migrants vers les côtes italiennes, comme le jeune Tunisien qui est le principal suspect d’une attaque à l’arme blanche dans une église française la semaine dernière, a déclaré vendredi la ministre italienne.

    A l’issue d’une entrevue entre les deux ministres, Gerald Darmanin s’est gardé de critiquer l’Italie pour sa gestion du suspect tunisien, qui a débarqué sur l’île italienne de Lampedusa en septembre, a été mis en quarantaine en vertu du protocole sanitaire relatif à la pandémie et reçu des papiers d’expulsion des autorités italiennes avant de gagner la France en octobre.

    « A aucun moment, je n’ai pensé qu’il y avait quelque chose de défectueux » dans la façon dont l’Italie a géré l’affaire, a déclaré Darmanin, en réponse à une question posée lors d’une conférence de presse avec Lamorgese après leurs entretiens. Il a plutôt remercié Lamorgese et les services de renseignement italiens pour l’échange d’informations dans les jours qui ont suivi l’#attentat de #Nice.

    Les Tunisiens qui fuient une économie dévastée par les effets du virus, constituent le plus grand contingent de migrants débarqués en Italie cette année, et ils arrivent directement de Tunisie dans des bateaux assez solides pour ne pas avoir besoin de secours, souligne le Washington Post, rappelant que, ces dernières années, la majorité des migrants qui ont atteint les côtes méridionales de l’Italie venaient d’Afrique subsaharienne et traversaient la Méditerranée dans des embarcations de fortune , donc en mauvais état pour la plupart, et opérées par des trafiquants en Libye.

    Lamorgese a déclaré qu’elle avait discuté avec Darmarin d’un #plan prévoyant le déploiement de « moyens navals ou aériens qui pourraient alerter les autorités tunisiennes d’éventuels départs » et les aider à intercepter les bateaux, « dans le respect de leurs souveraineté et autonomie que nous ne voulons pas violer ».

    Selon ce plan, il n’y aurait « qu’une #alerte que nous donnerions aux autorités tunisiennes pour faciliter le #traçage des navires qui partent de leur territoire pour rejoindre les côtes italiennes », a déclaré la ministre italienne. « Il est évident que cela suppose la #collaboration des autorités tunisiennes ».

    La France aurait-elle son « #Patriot_Act ?

    Après sa réunion du matin à Rome, Darmarin a déclaré qu’il se rend en Tunisie, en Algérie et à Malte, pour discuter des questions de migration et de #terrorisme.

    « La France et l’Italie doivent définir une position commune pour la lutte contre l’immigration clandestine au niveau européen », a-t-il déclaré.

    Il a été demandé à Darmarin si, à la suite des récents attentats terroristes en France, le gouvernement français devrait adopter une loi comme le « USA Patriot Act » promulgué après les attentats du 11 septembre 2001 pour intensifier les efforts de détection et de prévention du terrorisme.

    « Plus qu’un Patriot Act, ce qu’il faut, c’est un #acte_européen », a répondu Darmarin. « La France ne peut pas lutter seule contre la politique islamiste ».

    La Tunisie est l’un des rares pays à avoir conclu un accord de rapatriement avec l’Italie. Mais avec des milliers de Tunisiens arrivés par mer récemment et moins de 100 migrants expulsés et renvoyés dans le pays par voie aérienne chaque semaine, la priorité est donnée aux personnes considérées comme dangereuses, indique le Washington Post. Selon Lamorgese, rien n’indique que l’agresseur de Nice, Ibrahim Issaoui, 21 ans, constituait une menace.

    Les deux ministres se sont rencontrés un jour après que le président français Emmanuel Macron ait déclaré que son pays renforcera ses contrôles aux frontières après les multiples attaques de cet automne.

    L’Italie et la France lancent, sur une base expérimentale de six mois, des #brigades_mixtes de forces de sécurité italiennes et françaises à leurs frontières communes pour renforcer les contrôles, a déclaré Lamorgese aux journalistes.

    #externalisation #asile #réfugiés #migrations #frontières #surveillance_frontalière #Tunisie #militarisation_des_frontières #Darmanin #accord_de_réadmission

    ping @isskein @karine4

    • Union européenne – Tunisie : l’illusion d’une coopération équilibrée

      Dans la nuit de vendredi 12 au samedi 13 février, 48 personnes de différentes nationalités africaines sont parties de Sidi Mansour, dans la province de Sfax en Tunisie, direction les côtes italiennes. La marine tunisienne est intervenue à une centaine de kilomètres au nord-ouest de Lampedusa lorsque les passagers naviguaient dans une mer agitée. Tandis que 25 personnes ont pu être secourues, une personne est décédée et 22 autres sont déclarées « disparues », comme des milliers d’autres avant elles [1]. Cet énième naufrage témoigne des traversées plus importantes au cours des derniers mois depuis la Tunisie, qui sont rendues plus dangereuses alors que l’Union européenne (UE) renforce ses politiques sécuritaires en Méditerranée en collaboration avec les États d’Afrique du Nord, dont la Tunisie.

      Au cours de 2020, plus de 13 400 personnes migrantes parties de Tunisie ont été interceptées par les garde-côtes tunisiens et plus de 13 200 autres sont parvenues à rejoindre les côtes européennes [2]. Jamais les chiffres n’ont été aussi élevés et depuis l’été 2020, jamais la Tunisie n’a été autant au centre de l’attention des dirigeant·e·s européen·ne·s. A l’occasion d’une rencontre dans ce pays le 17 août 2020, l’Italie et la Tunisie ont ainsi conclu un accord accompagné d’une enveloppe de 11 millions d’euros pour le renforcement des contrôles aux frontières tunisiennes et en particulier la surveillance maritime [3]. Le 6 novembre 2020, à l’issue d’une réunion à Rome, la ministre italienne de l’Intérieur et son homologue français ont également décidé de déployer au large des côtes tunisiennes des « moyens navals ou aériens qui pourraient alerter les autorités tunisiennes d’éventuels départs » [4].

      Cette attention a été redoublée au lendemain de l’attentat de Nice, le 29 octobre 2020. Lors d’une visite à Tunis, le ministre français, jouant de l’amalgame entre terrorisme et migration, faisait du contrôle migratoire le fer de lance de la lutte contre le terrorisme et appelait à une coopération à l’échelle européenne avec les pays d’Afrique du Nord pour verrouiller leurs frontières. Suivant l’exemple de l’Italie qui coopère déjà de manière étroite avec la Tunisie pour renvoyer de force ses ressortissant·e·s [5], la France a demandé aux autorités tunisiennes la délivrance automatique de laissez-passer pour faciliter les expulsions et augmenter leurs cadences.

      Cette coopération déséquilibrée qui met la Tunisie face à l’UE et ses États membres, inlassablement dénoncée des deux côtés de la Méditerranée par les associations de défense des droits, n’est pas nouvelle et s’accélère.

      Alors qu’a augmenté, au cours de l’année 2020, le nombre d’exilé·e·s en provenance d’Afrique subsaharienne et quittant les côtes tunisiennes en direction de l’Italie [6], les dirigeant·e·s européen·ne·s craignent que la Tunisie ne se transforme en pays de départ non seulement pour les ressortissant·e·s tunisien·ne·s mais également pour des exilé·e·s venu·e·s de tout le continent. Après être parvenue à réduire les départs depuis les côtes libyennes, mais surtout à augmenter le nombre de refoulements grâce à l’intervention des pseudo garde-côtes libyens en Méditerranée centrale (10 000 rien qu’en 2020) [7], l’UE et ses États membres se tournent de plus en plus vers la Tunisie, devenue l’une des principales cibles de leur politique d’externalisation en vue de tarir les passages sur cette route. Dès 2018, la Commission européenne avait d’ailleurs identifié la Tunisie comme candidate privilégiée pour l’installation sur son sol de « plateformes de débarquement » [8], autrement dit des camps de tri externalisés au service de l’UE, destinés aux exilé·e·s secouru·e·s ou intercepté·e·s en mer. Le plan prévoyait également le renforcement des capacités d’interception des dits garde-côtes tunisiens.

      Si à l’époque la Tunisie avait clamé son refus de devenir le hotspot africain et le garde-frontière de l’Europe [9], Tunis, sous la pression européenne, semble accepter peu à peu d’être partie prenante de cette approche [10]. Le soutien que la Tunisie reçoit de l’UE pour surveiller ses frontières maritimes ne cesse de s’intensifier. Depuis 2015, Bruxelles multiplie en effet les programmes destinés à la formation et au renforcement des capacités des garde-côtes tunisiens, notamment en matière de collecte de données personnelles. Dans le cadre du programme « Gestion des frontières au Maghreb » [11] lancé en juillet 2018, l’UE a prévu d’allouer 24,5 millions d’euros qui bénéficieront principalement à la Garde nationale maritime tunisienne [12]. Sans oublier l’agence européenne Frontex qui contrôle les eaux tunisiennes au moyen d’images satellite, de radars et de drones [13] et récolte des données qui depuis quelques mois sont partagées avec les garde-côtes tunisiens [14], comme cela se fait déjà avec les (soi-disant) garde-côtes libyens [15]. Le but est simple : détecter les embarcations au plus tôt pour alerter les autorités tunisiennes afin qu’elles se chargent elles-mêmes des interceptions maritimes. Les moyens de surveillance navals et aériens que l’Italie et la France veulent déployer pour surveiller les départs de Tunisie viennent compléter cet édifice.

      Les gouvernements européens se félicitent volontiers des résultats de leur stratégie des « #refoulements_par_procuration » [16] en Libye. Cette stratégie occulte cependant les conséquences d’un partenariat avec des « garde-côtes » liés à des milices et des réseaux de trafiquants d’êtres humains [17], à savoir le renvoi des personnes migrantes dans un pays non-sûr, qu’elles tentent désespérément de fuir, ainsi qu’une hécatombe en mer Méditerranée. A mesure que les autorités européennes se défaussent de leurs responsabilités en matière de recherche et de secours sur les garde-côtes des pays d’Afrique du Nord, les cas de non-assistance et les naufrages se multiplient [18]. Alors que la route de la Méditerranée centrale est l’une des mieux surveillées au monde, c’est aussi l’une des plus mortelles du fait de cette politique du laisser-mourir en mer. Au cours de l’année 2020, près de 1 000 décès y ont été comptabilisés [19], sans compter les nombreux naufrages invisibles [20].

      Nous refusons que cette coopération euro-libyenne, dont on connaît déjà les conséquences, soit dupliquée en Tunisie. Si ce pays en paix et doté d’institutions démocratiques peut à première vue offrir une image plus « accueillante » que la Libye, il ne saurait être considéré comme un pays « sûr », ni pour les migrant·e·s, ni pour ses propres ressortissant·e·s, de plus en plus nombreux·ses à fuir la situation socio-économique dégradée, et aggravée par la crise sanitaire [21]. Les pressions exercées par l’UE et ses États membres pour obliger la Tunisie à devenir le réceptacle de tou·te·s les migrant·e·s « indésirables » sous couvert de lutte contre le terrorisme sont inacceptables. La complaisance des autorités tunisiennes et le manque de transparence des négociations avec l’UE et ses États membres le sont tout autant. En aucun cas le combat contre le terrorisme ne saurait justifier que soient sacrifiées les valeurs de la démocratie et du respect des droits fondamentaux, tels que la liberté d’aller et venir et le droit de trouver une véritable protection.

      De part et d’autre de la Méditerranée, nos organisations affirment leur solidarité avec les personnes exilées de Tunisie et d’ailleurs. Nous condamnons ces politiques sécuritaires externalisées qui génèrent d’innombrables violations des droits et ne font que propager l’intolérance et la haine.

      –—

      Notes :

      [1] « En Tunisie, 22 migrants sont portés disparus après le naufrage d’un bateau », La Presse.ca, 13 février 2021

      [2] Rapport du mois de décembre 2020 des mouvements sociaux, suicides, violences, et migrations, n°87, Observatoire social tunisien, FTDES

      [3] Quel est le contenu du récent accord entre la Tunisie et l’Italie ? Réponses aux demandes d’accès introduit par ASGI, FTDES et ASF, Projet Sciabaca & Oruka, 7 décembre 2020

      [4] « Migration : la France et l’Italie déploieront des navires et des avions pour alerter la Tunisie sur le départ des migrants », African Manager, 6 décembre 2020

      [5] Chaque semaine, deux charters partent de Sicile pour renvoyer une centaine de migrant·e·s tunisien·ne·s. En 2019, selon les chiffres du FTDES, 1 739 ressortissant·e·s tunisien·ne·s ont été expulsé·e·s d’Italie via ces vols. En 2020, ceux-ci étaient encore affrétés malgré la crise sanitaire.

      [6] Rapport du mois d’octobre 2020 des mouvements sociaux, suicides, violences, et migrations, n°85, Observatoire social tunisien, FTDES

      [7] Le nombre de migrant·e·s ayant été intercepté·e·s par les pseudo garde-côtes libyens en 2019 est estimé à 9 000 selon Alarmphone (voir : Central Mediterranean Regional Analysis 1 October 2019-31 December 2019, 5 janvier 2020).

      [8] Migration : Regional disembarkation arrangements - Follow-up to the European Council Conlusions of 28 June 2018

      [9] « Tri, confinement, expulsion : l’approche hotspot au service de l’UE », Migreurop, 25 juin 2019

      [10] « Comment l’Europe contrôle ses frontières en Tunisie ? », Inkyfada, 20 mars 2020

      [11] Programme du Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique, mis en œuvre par l’ICMPD et le Ministère italien de l’intérieur - Document d’action pour la mise en œuvre du programme Afrique du Nord, Commission européenne (non daté)

      [12] Réponse de la Commission européenne à une question parlementaire sur les programmes de gestion des frontières financés par le Fonds fiduciaire d’urgence, 26 octobre 2020

      [13] « EU pays for surveillance in Gulf of Tunis », Matthias Monroy, 28 juin 2020

      [14] Réponse question parlementaire donnée par la Haute représentante/Vice-présidente Borrell au nom de la Commission européenne sur le projet Seahorse Mediterraneo 2.0, 7 mai 2020

      [15] « A Struggle for Every Single Boat- Central Mediterranean Analysis, July - December 2020 », Alarm Phone, 14 janvier 2021

      [16] « MARE CLAUSUM - Italy and the EU’s undeclared operation to stem migration across the Mediterranea » ; Forensic Oceanography, Forensic Architecture agency, Goldsmiths, Université de Londres, Mai 2018

      [17] « Migrants detained in Libya for profit, leaked EU report reveals », The Guardian, 20 novembre 2019

      [18] « Carnage in the Mediterranean is the direct result of European state policies », MSF 13 novembre 2020

      [19] Selon les chiffres de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) en Méditerranée : https://missingmigrants.iom.int/region/mediterranean?migrant_route%5B%5D=1376

      [20] « November Shipwrecks - Hundreds of Visible and Invisible Deaths in the Central Med », Alarmphone, 26 novembre 2020

      [21] « Politiques du non-accueil en Tunisie : des acteurs humanitaires au service des politiques sécuritaires européennes », Migreurop, FTDES juin 2020

      https://www.migreurop.org/article3028.html

    • La Tunisia come frontiera esterna d’Europa: a farne le spese sono sempre i diritti umani

      Migreurop, FTDES e EuroMed Rights lanciano un appello congiunto contro la riproposizione del “modello libico” in Tunisia.

      La Tunisia è divenuta negli ultimi anni uno degli interlocutori principali per le politiche securitarie europee basate sull’esternalizzazione delle frontiere. Il governo tunisino si presta, in modo sempre più evidente, a soddisfare le richieste dell’Unione europea e dei suoi paesi membri, Italia e Francia in particolare, che mirano a bloccare nel paese i flussi migratori, ancor prima che possano raggiungere il territorio europeo.

      Ma la situazione non può essere sostenibile sul lungo termine: una grande quantità di denaro viene investita nel finanziamento e supporto alla Guardia costiera tunisina e alle forze di polizia, che controllano i confini marittimi e riportano indietro le persone intercettate in mare, in quelli che sono stati definiti “respingimenti per procura” di cui le autorità europee non vogliono farsi carico, per non dover rispondere degli obblighi internazionali in materia di protezione e asilo.

      Intanto, nel paese imperversa una crisi socio-economica molto grave, che sta smorzando l’entusiasmo nei confronti della giovane democrazia tunisina, unico esperimento politico post-2011 ad aver resistito finora alle spinte autocratiche. Al malessere della popolazione, che nelle ultime settimane ha manifestato nelle strade di diverse città, lo Stato sembra saper rispondere solo con la forza e la repressione.
      La precarietà della situazione economica e sociale non farà che alimentare le partenze dalla Tunisia, che avevano registrato numeri consistenti durante il 2020.

      La guardia costiera, seppure ben equipaggiata e addestrata, non può rappresentare un vero deterrente per chi non ha nulla da perdere: e infatti negli ultimi giorni sono sbarcate a Lampedusa complessivamente più di 230 persone provenienti dall’area di Sfax, attualmente isolati nell’hotspot dell’isola. Altri arrivano invece a Pantelleria, situata a pochi chilometri dalle coste della capitale [1].

      Ma nel Mediterraneo si continua anche a morire: l’ultimo episodio noto che ha coinvolto la Tunisia è avvenuto tra il 12 e il 13 febbraio, quando un’imbarcazione in difficoltà è stata soccorsa dalla marina tunisina al largo di Lampedusa. Secondo le informazioni disponibili, la barca era partita da Sidi Mansour, nella provincia di Sfax, e le 48 persone a bordo erano di varie nazionalità africane. Il maltempo aveva spinto la marina tunisina a interrompere le operazioni di soccorso: delle 48 persone a bordo, 25 sono state tratte in salvo e ricondotte in Tunisia, una è morta e le altre 22 sono state dichiarate “disperse” [2].

      Sono numerose, ma ancora ampiamente inascoltate, le voci che contestano l’approccio del governo tunisino in tema di emigrazione nei rapporti con i paesi a nord del Mediterraneo. Un comunicato congiunto pubblicato il 17 febbraio da Migreurop, del Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali e di EuroMed Rights, dal titolo “Unione europea - Tunisia: l’illusione di una cooperazione equilibrata” [3], denuncia la complicità delle autorità tunisine nell’assecondare le politiche securitarie europee, che rende sempre più preoccupante la situazione per chi tenta di raggiungere l’Europa dalla Tunisia. Lo Stato tunisino non è in grado di difendere i diritti dei propri cittadini o di chi, in generale, parte dalle proprie coste, di fronte alle pressioni europee che perseguono imperterrite delle politiche emergenziali insostenibili sul lungo periodo.

      Il comunicato esprime la propria contrarietà alla riproposizione in Tunisia del tristemente noto modello libico, basato sulla delegazione alle forze locali dei controlli frontalieri europei, sui respingimenti collettivi e sulla criminalizzazione delle persone migranti. Il 2020 è stato un anno cruciale per l’inasprimento dei controlli alle frontiere nel paese: l’aumento delle partenze dalle coste tunisine a causa della crisi economica, e l’attacco di Nizza ad opera di un cittadino tunisino hanno comportato una maggiore attenzione dei governi europei al paese nordafricano, con conseguente aumento dei finanziamenti destinati al controllo frontaliero. A farne le spese, nel caso tunisino come in quello libico, saranno ancora una volta le persone che vedranno violati i loro diritti:

      “Con le autorità europee che si sottraggono alle loro responsabilità in materia di ricerca e di soccorso in mare, affidandole alle guardie costiere dei paesi nordafricani, i casi di mancata assistenza sono in aumento e i naufragi proliferano. Benché la rotta del Mediterraneo centrale sia una delle più controllate al mondo, è anche una delle più mortali, a causa di questa politica di lasciar morire la gente in mare. Durante il 2020, sono stati registrati quasi 1.000 morti, senza contare i casi di naufragi invisibili.

      Ci rifiutiamo di lasciare che il modello di cooperazione euro-libica venga riproposto in Tunisia, con le conseguenze che già conosciamo. Se questo paese, in pace e con istituzioni democratiche, può a prima vista offrire un’immagine più «accogliente» della Libia, non può però essere considerato un paese «sicuro», né per le persone migranti né per i suoi stessi cittadini, che fuggono dal deterioramento della situazione socio-economica, aggravata dalla crisi sanitaria.

      La pressione esercitata dall’Ue e dai suoi Stati membri per costringere la Tunisia a diventare un rifugio per tutti/e i/le migranti «indesiderabili» con il pretesto della lotta al terrorismo è inaccettabile. La connivenza delle autorità tunisine e la mancanza di trasparenza nei negoziati con l’Ue e i suoi Stati membri sono altrettanto inaccettabili. In nessun caso la lotta contro il terrorismo può giustificare il sacrificio dei valori della democrazia e del rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di movimento e il diritto a una vera protezione.”

      https://www.meltingpot.org/La-Tunisia-come-frontiera-esterna-d-Europa-a-farne-le-spese.html?var_mod

      #Tunisie #asile #migrations #réfugiés #frontières #modèle_libyen #externalisation

    • Unmanned surveillance for Fortress Europe

      The agencies #EMSA and Frontex have spent more than €300 million on drone services since 2016. The Mediterranean in particular is becoming a testing track for further projects.

      According to the study „Eurodrones Inc.“ presented by Ben Hayes, Chris Jones and Eric Töpfer for Statewatch seven years ago, the European Commission had already spent over €315 million at that time to investigate the use of drones for border surveillance. These efforts focused on capabilities of member states and their national contact centres for #EUROSUR. The border surveillance system, managed by Frontex in Warsaw, became operational in 2014 – initially only in some EU Member States.

      The Statewatch study also documented in detail the investments made by the Defence Agency (EDA) in European drone research up to 2014. More than €190 million in funding for drones on land, at sea and in the air has flowed since the EU military agency was founded. 39 projects researched technologies or standards to make the unmanned systems usable for civilian and military purposes.

      Military research on drone technologies should also benefit border police applications. This was already laid down in the conclusions of the “ First European High Level Conference on Unmanned Aerial Systems“, to which the Commission and the EDA invited military and aviation security authorities, the defence industry and other „representatives of the European aviation community“ to Brussels in 2010. According to this, once „the existing barriers to growth are removed, the civil market could be potentially much larger than the military market“.

      Merging „maritime surveillance“ initiatives

      Because unmanned flights over land have to be set up with cumbersome authorisation procedures, Europe’s unregulated seas have become a popular testing ground for both civilian and military drone projects. It is therefore not surprising that in 2014, in the action plan of its „Maritime Security Strategy“, the Commission also called for a „cross-sectoral approach“ by civilian and military authorities to bring together the various „maritime surveillance initiatives“ and support them with unmanned systems.

      In addition to the military EDA, this primarily meant those EU agencies that take on tasks to monitor seas and coastlines: The Maritime Safety Agency (EMSA) in Lisbon, founded in 2002, the Border and Coast Guard Agency (Frontex) in Warsaw since 2004, and the Fisheries Control Agency (EFCA) in Vigo, Spain, which followed a year later.

      Since 2009, the three agencies have been cooperating within the framework of bi- and trilateral agreements in certain areas, this mainly concerned satellite surveillance. With „CleanSeaNet“, EMSA has had a monitoring system for detecting oil spills in European waters since 2007. From 2013, the data collected there was continuously transmitted to the Frontex Situation Centre. There, they flow into the EUROSUR border surveillance system, which is also based on satellites. Finally, EFCA also operates „Integrated Maritime Services“ (IMS) for vessel detection and tracking using satellites to monitor, control and enforce the common EU fisheries policy.

      After the so-called „migration crisis“ in 2015, the Commission proposed the modification of the mandates of the three agencies in a „set of measures to manage the EU’s external borders and protect our Schengen area without internal borders“. They should cooperate more closely in the five areas of information exchange, surveillance and communication services, risk analysis, capacity building and exchange. To this end, the communication calls for the „jointly operating Remotely Piloted Aircraft Systems (drones) in the Mediterranean Sea“.

      Starting in 2016, Frontex, EMSA and EFCA set out the closer cooperation in several cooperation agreements and initially carried out a research project on the use of satellites, drones and manned surveillance aircraft. EMSA covered the costs of €310,000, and the fixed-wing aircraft „AR 5 Evo“ from the Portuguese company Tekever and a „Scan Eagle“ from the Boeing offshoot Insitu were flown.

      EMSA took the lead

      Since then, EMSA has taken the lead regarding unmanned maritime surveillance services. The development of such a drone fleet was included in the proposal for a new EMSA regulation presented by the Commission at the end of 2015. Drones were to become a „complementary tool in the overall surveillance chain“. The Commission expected this to provide „early detection of migrant departures“, another purpose was to „support of law enforcement activities“.

      EMSA initially received €67 million for the new leased drone services, with further money earmarked for the necessary expansion of satellite communications. In a call for tenders, medium-sized fixed-wing aircraft with a long range as well as vertical take-off aircraft were sought; as basic equipment, they were to carry optical and infrared cameras, an optical scanner and an AIS receiver. For pollution tracking or emission monitoring, manufacturers should fit additional sensors.

      From 2018, EMSA awarded further contracts totalling €38 million for systems launching either on land or from ships. Also in 2018, the agency paid €2.86 million for quadrocopters that can be launched from ships. In the same year, EMSA signed a framework contract worth €59 million for flights with the long-range drone „Hermes 900“ from Israeli company Elbit Systems. In 2020, for €20 million, the agency was again looking for unmanned vertical take-off aircraft that can be launched either on land or from ships and can stay in the air for up to four hours.

      In addition to the „Hermes 900“, the EMSA drone fleet includes three fixed-wing aircraft, the „AR5 Evo“ from Tekever (Portugal), the „Ouranos“ from ALTUS (Greece) and the „Ogassa“ from UAVision (Portugal). The larger helicopter drones are the „Skeldar V-200“ from UMS (Sweden) and the „Camcopter S-100“ from Schiebel GmbH (Austria), as well as the „Indago“ quadrocopter from Lockheed Martin (USA).

      EMSA handles flights with different destinations for numerous EU member states, as well as for Iceland as the only Schengen state. Due to increasing demand, capacities are now being expanded. In a tender worth €20 million, „RPAS Services for Maritime Surveillance with Extended Coastal Range“ with vertically launched, larger drones are being sought. Another large contract for „RPAS Services for Multipurpose Maritime Surveillance“ is expected to cost €50 million. Finally, EMSA is looking for several dozen small drones under 25 kilograms for €7 million.

      Airbus flies for Frontex

      As early as 2009, the EU border agency hosted relevant workshops and seminars on the use of drones and invited manufacturers to give demonstrations. The events were intended to present marketable systems „for land and sea border surveillance“ to border police from member states. In its 2012 Work Programme, Frontex announced its intention to pursue „developments regarding identification and removing of the existing gaps in border surveillance with special focus on Unmanned Aircraft Systems“.

      After a failed award in 2015, Frontex initially tendered a „Trial of Remotely Piloted Aircraft System (RPAS) for long endurance Maritime Aerial Surveillance“ in Crete and Sicily in 2018. The contract was awarded to Airbus (€4.75 million) for flights with a „Heron 1“ from Israel Aeronautics Industries (IAI) and Leonardo (€1.7 million) with its „Falco Evo“. The focus was not only on testing surveillance technology, but also on the use of drones within civilian airspace.

      After the pilot projects, Frontex then started to procure its own drones of the high-flying MALE class. The tender was for a company that would carry out missions in all weather conditions and at day and night time off Malta, Italy or Greece for €50 million. The contract was again awarded to the defence company Airbus for flights with a „Heron 1“. The aircraft are to operate in a radius of up to 250 nautical miles, which means they could also reconnoitre off the coasts of Tunisia, Libya and Egypt. They carry electro-optical cameras, thermal imaging cameras and so-called „daylight spotters“ to track moving targets. Other equipment includes mobile and satellite phone tracking systems.

      It is not yet clear when the Frontex drones will begin operations, nor does the agency say where they will be stationed in the central Mediterranean. However, it has announced that it will launch two tenders per year for a total of up to 3.000 contracted hours to operate large drones.

      Drone offensive for „pull backs“

      So since 2016, EMSA and Frontex have spent more than €300 million on drone services. On top of that, the Commission has spent at least €38 million funding migration-related drone research such as UPAC S-100, SARA, ROBORDER, CAMELOT, COMPASS2020, FOLDOUT, BorderUAS. This does not include the numerous research projects in the Horizon2020 framework programme, which, like unmanned passenger transport, are not related to border surveillance. Similar research was also carried out during the same period on behalf of the Defence Agency, which spent well over €100 million on it.

      The new unmanned capabilities significantly expand maritime surveillance in particular and enable a new concept of joint command and control structures between Frontex, EMSA and EFCA. Long-range drones, such as those used by EMSA with the „Hermes 900“ and Frontex with the „Heron 1“ in the Mediterranean, can stay in the air for a whole day, covering large sea areas.

      It is expected that the missions will generate significantly more situational information about boats of refugees. The drone offensive will then ensure even more „pull backs“ in violation of international law, after the surveillance information is passed on to the coast guards in countries such as Libya as before, in order to intercept refugees as quickly as possible after they set sail from the coasts there.

      https://digit.site36.net/2021/04/30/unmanned-surveillance-for-fortress-europe
      #drones

  • EU: Damning draft report on the implementation of the Return Directive

    Tineke Strik, the Green MEP responsible for overseeing the passage through the European Parliament of the ’recast Return Directive’, which governs certain common procedures regarding the detention and expulsion of non-EU nationals, has prepared a report on the implementation of the original 2008 Return Directive. It criticises the Commission’s emphasis, since 2017, on punitive enforcement measures, at the expense of alternatives that have not been fully explored or implemented by the Commission or the member states, despite the 2008 legislation providing for them.

    See: DRAFT REPORT on the implementation of the Return Directive (2019/2208(INI)): https://www.statewatch.org/media/documents/news/2020/jun/ep-libe-returns-directive-implementation-draft-rep-9-6-20.pdf

    From the explanatory statement:

    “This Report, highlighting several gaps in the implementation of the Return Directive, is not intended to substitute the still overdue fully-fledged implementation assessment of the Commission. It calls on Member States to ensure compliance with the Return Directive and on the Commission to ensure timely and proper monitoring and support for its implementation, and to enforce compliance if necessary.

    (...)

    With a view to the dual objective of the Return Directive, notably promoting effective returns and ensuring that returns comply with fundamental rights and procedural safeguards, this Report shows that the Directive allows for and supports effective returns, but that most factors impeding effective return are absent in the current discourse, as the effectiveness is mainly stressed and understood as return rate.”

    Parliamentary procedure page: Implementation report on the Return Directive (European Parliament, link: https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference=2019/2208(INI)&l=en)

    https://www.statewatch.org/news/2020/june/eu-damning-draft-report-on-the-implementation-of-the-return-directive
    #Directive_Retour #EU #Europe #Union_européenne #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #rétention #détention_administrative #évaluation #identification #efficacité #2008_Return_Directive #régimes_parallèles #retour_volontaire #déboutés #sans-papiers #permis_de_résidence #régularisation #proportionnalité #principe_de_proportionnalité #AVR_programmes #AVR #interdiction_d'entrée_sur_le_territoire #externalisation #Gambie #Bangladesh #Turquie #Ethiopie #Afghanistan #Guinée #Côte_d'Ivoire #droits_humains #Tineke_Strik #risque_de_fuite #fuite #accord #réadmission

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    Quelques passages intéressants tirés du rapport:

    The study shows that Member States make use of the possibility offered in Article 2(2)(a) not to apply the Directive in “border cases”, by creating parallel regimes, where procedures falling outside the scope of the Directive offer less safeguards compared to the regular return procedure, for instance no voluntary return term, no suspensive effect of an appeal and less restrictions on the length of detention. This lower level of protection gives serious reasons for concern, as the fact that border situations may remain outside the scope of the Directive also enhances the risks of push backs and refoulement. (...) Your Rapporteur considers that it is key to ensure a proper assessment of the risk of refoulement prior to the issuance of a return decision. This already takes place in Sweden and France. Although unaccompanied minors are rarely returned, most Member States do not officially ban their return. Their being subject to a return procedure adds vulnerability to their situation, due to the lack of safeguards and legal certainty.

    (p.4)
    #frontières #zones_frontalières #push-backs #refoulement

    Sur les #statistiques et #chiffres de #Eurostat:

    According to Eurostat, Member States issued over 490.000 return decisions in 2019, of which 85% were issued by the ten Member States under the current study. These figures are less reliable then they seem, due to the divergent practices. In some Member States, migrants are issued with a return decision more than once, children are not issued a decision separately, and refusals at the border are excluded.

    Statistics on the percentage of departure being voluntary show significant varieties between the Member States: from 96% in Poland to 7% in Spain and Italy. Germany and the Netherlands have reported not being able to collect data of non-assisted voluntary returns, which is remarkable in the light of the information provided by other Member States. According to Frontex, almost half of the departures are voluntary.

    (p.5)

    As Article 7(4) is often applied in an automatic way, and as the voluntary departure period is often insufficient to organise the departure, many returnees are automatically subject to an entry ban. Due to the different interpretations of a risk of absconding, the scope of the mandatory imposition of an entry ban may vary considerably between the countries. The legislation and practice in Belgium, Bulgaria, France, the Netherlands and Sweden provides for an automatic entry ban if the term for voluntary departure was not granted or respected by the returnee and in other cases, the imposition is optional. In Germany, Spain, Italy, Poland and Bulgaria however, legislation or practice provides for an automatic imposition of entry bans in all cases, including cases in which the returnee has left during the voluntary departure period. Also in the Netherlands, migrants with a voluntary departure term can be issued with an entry ban before the term is expired. This raises questions on the purpose and effectiveness of imposing an entry ban, as it can have a discouraging effect if imposed at an early stage. Why leave the territory in time on a voluntary basis if that is not rewarded with the possibility to re-enter? This approach is also at odds with the administrative and non-punitive approach taken in the Directive.

    (p.6)

    National legislation transposing the definition of “risk of absconding” significantly differs, and while several Member States have long lists of criteria which justify finding a risk of absconding (Belgium has 11, France 8, Germany 7, The Netherlands 19), other Member States (Bulgaria, Greece, Poland) do not enumerate the criteria in an exhaustive manner. A broad legal basis for detention allows detention to be imposed in a systematic manner, while individual circumstances are marginally assessed. National practices highlighted in this context also confirm previous studies that most returns take place in the first few weeks and that longer detention hardly has an added value.

    (p.6)

    In its 2016 Communication on establishing a new Partnership Framework with third countries under the European Agenda on Migration, the Commission recognised that cooperation with third countries is essential in ensuring effective and sustainable returns. Since the adoption of this Communication, several informal arrangements have been concluded with third countries, including Gambia, Bangladesh, Turkey, Ethiopia, Afghanistan, Guinea and Ivory Coast. The Rapporteur regrets that such informal deals are concluded in the complete absence of duly parliamentary scrutiny and democratic and judicial oversight that according to the Treaties the conclusion of formal readmission agreements would warrant.

    (p.7)

    With the informalisation of cooperation with third countries in the field of migration, including with transit countries, also came an increased emphasis on conditionality in terms of return and readmission. The Rapporteur is concerned that funding earmarked for development cooperation is increasingly being redirected away from development and poverty eradication goals.

    (p.7)
    #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide

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