La realtà libica raccontata attraverso un rapporto sugli interventi finanziati da fondi AICS nei centri di detenzione

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  • Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.


    https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2020/07/Profili-critici-delle-attivita%CC%80-delle-ONG-italiane-nei-centr

    Résumé du rapport en anglais :
    https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2020/07/ENG-executive-summary.pdf

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    Commentaire sur le site de Melting Pot :

    Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi #AICS. ASGI presenta il rapporto sugli interventi finanziati dall’#Agenzia_Italiana_per_la_Cooperazione_e_lo_Sviluppo nei centri di detenzione libici

    Tra queste troviamo: #Emergenza_Sorrisi, #Helpcode (già #CCS), #CEFA, #CESVI, #Terre_des_Hommes_Italia, #Fondation_Suisse_de_Deminage, #GVC (già #We_World), #Istituto_di_Cooperazione_Universitaria, #Consorzio_Italiano_Rifugiati (#CIR), #Fondazione_Albero_della_Vita.
    I progetti, alcuni dei quali sono ancora in corso di realizzazione, sono stati finanziati con 6 milioni di euro dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS).

    L’iniziativa ha suscitato, sin dall’emanazione del primo bando a novembre 2017 molto scalpore nell’opinione pubblica, sia perché il sistema di detenzione per migranti in Libia è caratterizzato da gravissimi e sistematici abusi (“è troppo compromesso per essere aggiustato”, aveva detto il Commissario ONU per i diritti umani) sia per la vicinanza temporale con gli accordi Italia-Libia del febbraio 2017. I centri di detenzione libici infatti, soprattutto quelli ubicati nei dintorni di Tripoli che sono destinatari della maggior parte degli interventi italiani, sono destinati ad ospitare anche migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera Libica, a cui l’Italia ha fornito e tuttora fornisce un decisivo appoggio economico, politico e operativo.

    Il rapporto si interroga quindi sulle conseguenze giuridiche degli interventi attuati, a spese del contribuente italiano, nei centri di detenzione libici.

    Anzitutto, si mette in discussione la logica stessa dell’intervento ideato dall’AICS, mostrando come in larga misura le condizioni disumane nei centri, che i Bandi mirano in parte a migliorare, dipendano da precise scelte del governo di Tripoli (politiche oltremodo repressive dell’immigrazione clandestina, gestione affidata a milizie, assenza di controlli sugli abusi, ubicazione in strutture fatiscenti, mancata volontà di spesa, ecc.). I Bandi non condizionano l’erogazione delle prestazioni ad alcun impegno da parte del governo libico a rimediare a tali criticità, rendendo così l’intervento italiano inefficace e non sostenibile nel tempo.

    In secondo luogo, il rapporto osserva come nei centri nei pressi di Tripoli le ONG italiane svolgano un’attività strutturale, che si sostituisce in parte alle responsabilità di gestione quotidiana dei centri che spetterebbe al governo libico. Inoltre, alcuni interventi non sono a beneficio dei detenuti ma della struttura detentiva, preservandone la solidità strutturale e la sua capacità di ospitare, anche in futuro, nuovi prigionieri.

    In terzo luogo, alcuni interventi sono volti a mantenere in efficienza infrastrutture anche costrittive, come cancelli e recinzioni, cosicché potrebbe profilarsi un contributo al mantenimento di detenuti nella disponibilità di soggetti notoriamente coinvolti in gravissime violazioni di diritti fondamentali.

    Infine, il rapporto si interroga sulla destinazione effettiva dei beni e dei servizi erogati. L’assenza di personale italiano sul campo e il fatto che i centri siano in gran parte gestiti da milizie indubbiamente ostacolano un controllo effettivo sulla destinazione dei beni acquistati. L’approssimativa rendicontazione da parte di alcune ONG delle spese sostenute sembra avvalorare il quadro di scarso o nullo controllo su quanto effettivamente attuato dagli implementing partner libici sul campo. Non può così escludersi che di almeno parte dei fondi abbiano beneficiato i gestori dei centri, ossia quelle stesse milizie che sono talora anche attori del conflitto armato sul territorio libico nonché autori delle già ricordate sevizie ai danni dei detenuti.

    Il rapporto conclude osservando che l’intervento italiano è direttamente funzionale alla strategia di contenimento dei flussi irregolari di migranti attraverso meccanismi per la loro intercettazione, trasferimento in Libia, detenzione e successiva rimozione dal territorio libico attraverso rimpatrio nel paese di origine o resettlement in Paesi terzi.

    Il rapporto, pur ponendo alcuni interrogativi cruciali, non fornisce un quadro esaustivo, in quanto l’AICS ha sempre negato l’accesso ad alcuni documenti-chiave, quali i testi dei progetti, necessari a comprendere appieno la situazione.

    https://www.meltingpot.org/Profili-critici-delle-attivita%CC%80-delle-ONG-italiane-nei.html

    #Libye #asile #migrations #centres_de_détention #détention #ONG #ONG_italiennes #rapport #aide_du_développement #développement #coopération_au_développement #financement

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    • La realtà libica raccontata attraverso un rapporto sugli interventi finanziati da fondi AICS nei centri di detenzione

      Il rapporto presentato da ASGI nell’ambito del progetto Sciabaca e Oruka

      Il 15 luglio nell’ambito del progetto Sciabaca e Oruka è stato pubblicato dall’ASGI un interessante rapporto sugli interventi attuati da alcune ONG italiane nei centri di detenzione per stranieri in Libia.

      Il rapporto «Profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.» [1] rappresenta un’analisi critica sull’operato in Libia dei progetti di alcune ONG finanziate dal nostro Paese. Si tratta di un’analisi che evidenzia soprattutto le grandi contraddizioni che si celano dietro tali interventi, le enormi lacune e soprattutto le pesanti violazioni dei diritti umani da parte del governo di Tripoli.

      Si parla di progetti, alcuni dei quali ancora in corso, finanziati con 6 milioni di euro dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo (AICS). Progetti che non hanno sicuramente migliorato le condizioni dei tanti migranti detenuti presso i centri libici.

      In particolare, il rapporto osserva come “nei centri nei pressi di Tripoli le ONG italiane svolgano un’attività strutturale, che si sostituisce in parte alle responsabilità di gestione quotidiana dei centri che spetterebbe al governo libico”, ma purtroppo tale attività non serve a superare le mancanze del governo libico e a migliorare la condizione generale dei soggetti detenuti. Infatti, vi sono delle pre-condizioni che non permettono di cambiare lo stato delle cose neppure con gli interventi che arrivano attraverso questi progetti.

      A tale proposito, è significativo il contesto generale in cui si inseriscono i progetti presi in considerazione dal rapporto pubblicato da ASGI. Non va infatti dimenticato che in Libia la detenzione di cittadini stranieri nei centri è disposta da un’autorità amministrativa (il Ministero dell’Interno) e che tale decisione non è soggetta ad alcun vaglio da parte delle autorità giurisdizionali. La detenzione, poi, è disposta per un tempo indeterminato e si accompagna alla pratica dei lavori forzati.
      Ma non solo.

      Le autorità libiche, con la limitata eccezione di alcune nazionalità, non distinguono tra migranti irregolari e richiedenti asilo bisognosi di protezione internazionale e, in ultimo, non sono previsti meccanismi successivi di controllo sulla legalità della detenzione disposta. Un quadro molto chiaro che si pone in netta violazione dei più elementari principi di tutela dei diritti umani e in aperto contrasto con il diritto internazionale.

      In questo quadro generale, si inseriscono gli interventi finanziati dal Governo italiano con i Bandi che vengono specificamente analizzati nel rapporto in commento. E, la descrizione che ne viene data è, a dir poco, drammatica. Una situazione, quella nei centri libici, “non determinata dalla temporanea impossibilità di un governo in difficoltà nel fornire assistenza volta a salvare le vite delle persone più vulnerabili”.

      Infatti, le condizioni in cui sono detenute migliaia di cittadini stranieri in Libia sembrano essere dovute non da circostanze esterne indipendenti dalla volontà del governo libico ma da sue precise scelte in merito alla:
      – mancata erogazione di servizi di base (cibo, medicine, ecc.), a fronte di una non trascurabile capacità di spesa pubblica;
      – detenzione di un numero di persone eccessivo rispetto agli spazi disponibili;
      – ubicazione in strutture intrinsecamente inadeguate allo scopo;
      – detenzione di persone vulnerabili quali donne e bambini anche in assenza di garanzie ed appositi servizi loro dedicati;
      – detenzione di persone in modo arbitrario (per durata indefinita, senza alcuna procedura legale, controllo giurisdizionale, registrazione formale o possibilità di accesso ad un avvocato);
      – gestione solo nominale da parte del Ministero libico di molti centri, di fatto gestiti da milizie;
      – assenza di meccanismi di prevenzione o controllo sugli abusi commessi in tali centri.

      Nello specifico, il rapporto fa emergere una serie di contraddizioni che sono intrinseche alla situazione politica della Libia e rispetto alle quali gli aiuti economici e logistici approvati con gli accordi tra Libia ed Italia del 2017 nulla possono.

      La ragione di questi accordi allora è da rinvenire esclusivamente nella volontà di limitare l’afflusso di migranti verso il continente europeo, senza alcuna considerazione di quelle che sono le condizioni in cui versano coloro che vengono trattenuti nel paese libico.

      Come più volte sottolineato dai più attenti osservatori, assistiamo ad un fenomeno di “esternalizzazione” delle frontiere europee con l’aggravante che in questi nuovi territori ove si esercita il controllo si ha una vera e propria sospensione del diritto internazionale e continue violazioni dei diritti umani. Non interessa se chi viene trattenuto sia un richiedente asilo o possa essere iscritto ad una categoria protetta. Non vi è distinzione tra uomini, donne e bambini. Sono tutti semplicemente migranti destinati a vivere la stessa drammatica situazione di detenzione arbitraria e indefinita, di violenze e di torture.

      In più, dalla lettura del rapporto, viene in evidenza l’esistenza di un problema a monte che concerne le politiche migratorie europee che sono, purtroppo, finalizzare esclusivamente al contenimento dei flussi migratori. Si tratta di una impostazione del discorso da parte dei Paesi europei che influenza pesantemente le scelte legislative che vengono compiute e gli interventi concreti che vengono fatti. Una errata impostazione delle politiche migratorie che si aggiunge ai tanti problemi concreti presenti in Libia. Non possiamo infatti dimenticare che la Libia è un paese politicamente instabile, caratterizzato da un controllo del territorio da parte di milizie armate che estromettono lo Stato e si sostituiscono a questo. Milizie rispetto alle quali è impossibile intervenire da parte delle ONG che non possono neppure effettuare un controllo sull’utilizzo effettivo che viene fatto dei beni acquistati con il denaro pubblico.

      Stando così le cose, non stupisce lo stato dei centri di detenzione libici. Una situazione di grande precarietà, di sovraffollamento, di carenza di cibo, di carenze strutturali degli edifici utilizzati, di mancanza di attenzione alle donne e ai bambini, di assenza di assistenza sanitaria.

      Nelle conclusioni del Rapporto, i ricercatori che si sono dedicati a questa attenta analisi dei progetti delle ONG italiane in Libia evidenziano quanto già abbiamo avuto modo di dire in precedenza. Tali progetti sono uno dei tasselli di cui si compone il complesso mosaico che riguardo i rapporti bilaterali tra Italia e Libia.

      Una stagione di accordi che prende le mosse dal noto memorandum del mese di febbraio 2017 e che mira soprattutto a limitare l’afflusso di migranti privi di visto di ingresso dal territorio libico a quello italiano.

      Un altro tassello è sicuramente costituito dalle missioni (peraltro rifinanziate dal nostro Parlamento pochi giorni fa) di addestramento e sostegno alla Guardia Costiera libica sempre da parte del nostro Stato.

      Lo scopo di questi accordi è quello di bloccare o riportare in Libia i migranti irregolari, detenerli in questo Paese e, poi, eventualmente smistarli verso altri paese terzi come il Niger o il Ruanda (o rimpatriarli nei paesi di origine).

      Tutto quello che accade durante e dopo non interessa. Non interessano gli strumenti che vengono utilizzati per bloccare le partenze, non interessano i metodi che vengono adoperati dalla Guardia costiera per bloccare i migranti, non interessa lo stato di detenzione a cui sono sottoposti. In vista del contenimento dei flussi migratori tutto è consentito alla Libia.

      https://www.meltingpot.org/La-realta-libica-raccontata-attraverso-un-rapporto-sugli.html