• Perché l’università delle piattaforme è la fine dell’università

    Un gruppo di docenti di alcune università italiane ha scritto una lettera aperta sulle conseguenze dell’uso di piattaforme digitali proprietarie nella didattica a distanza. Auspichiamo che si apra al più presto una discussione sul futuro dell’educazione e che gli investimenti di cui si discute in queste settimane vengano utilizzati per la creazione di un’infrastruttura digitale pubblica per scuole e università.

    Care colleghe e cari colleghi, care studentesse e cari studenti,

    come certamente sapete, le scuole e le università italiane, da quando è iniziata l’emergenza COVID, per ragioni inizialmente comprensibili, si sono affidate per la gestione della didattica a distanza (esami inclusi) a piattaforme e strumenti proprietari, appartenenti, perlopiù, alla galassia cosiddetta “GAFAM” (Google, Apple, Facebook, Microsoft e Amazon: https://gafam.info). Esistono poche eccezioni, come il Politecnico di Torino, che ha adottato soluzioni non-proprietarie (https://www.coronavirus.polito.it/didattica_online/supporto_tecnico_alla_didattica_online/linee_guida_e_vademecum_tecnici) e autoprodotte. Tuttavia, il 16 luglio 2020 la Corte di Giustizia Europea ha emanato una sentenza (https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/FAQ+dell%27EDPB+sulla+sentenza+della+Corte+di+giustizia+dell%27Unione+europea+nella+causa+C-311_18.pdf/d2f928b2-ab57-ae7c-8f17-390664610d2c?version=3.0) molto importante, dove, in sintesi, si afferma che le imprese statunitensi non garantiscono la privacy degli utenti secondo il regolamento europeo sulla protezioni dei dati, conosciuto come #GDPR (#General_Data_Protection_Regulation: https://gdpr.eu/what-is-gdpr). Dunque allo stato tutti i trasferimenti di dati da UE a Stati Uniti devono essere considerati non conformi alla direttiva europea e perciò illegittimi.

    Sul tema è in corso un dibattito a livello comunitario e il Garante Europeo ha esplicitamente invitato “istituzioni, uffici, agenzie e organi dell’Unione europea a evitare trasferimenti di dati personali verso gli Stati Uniti per nuove operazioni di trattamento o in caso di nuovi contratti con fornitori di servizi” (https://www.key4biz.it/il-garante-privacy-europeo-non-usare-i-cloud-provider-usa-conformarsi-alla-sentenza-schrems-ii/328472). Mentre il garante irlandese ha direttamente vietato (https://www.politico.eu/article/facebook-privacy-data-us) i trasferimenti dei dati degli utenti Facebook verso gli Stati Uniti. Alcuni studi (http://copyrightblog.kluweriplaw.com/2020/06/04/emergency-remote-teaching-a-study-of-copyright-and-data-p) infine sottolineano come la maggioranza della piattaforme commerciali usate durante la “didattica emergenziale” (in primis G-Suite: https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/liberiamo-la-scuola-dai-servizi-cloud-usa-lettera-aperta-ai-presidi) pongano seri problemi legali e documentano una “sistematica violazione dei principi di trasparenza.”

    In questa difficile situazione, varie organizzazioni, tra cui (come diremo sotto) alcuni docenti universitari, stanno cercando di sensibilizzare scuole e università italiane ad adeguarsi alla sentenza, nell’interesse non solo di docenti e studenti, che hanno il diritto di studiare, insegnare e discutere senza essere sorvegliati (https://www.vox.com/recode/2020/5/4/21241062/schools-cheating-proctorio-artificial-intelligence), profilati e schedati, ma delle istituzioni stesse. I rischi legati a una didattica appaltata a multinazionali che fanno dei nostri dati ciò che vogliono non sono, infatti, solo economici e culturali, ma anche legali: chiunque, in questa situazione, potrebbe sporgere reclamo al garante della privacy a danno dell’istituzione in cui ci troviamo a lavorare.

    La questione va però al di là del diritto alla privatezza nostra e dei nostri studenti. Nella rinnovata emergenza COVID sappiamo che vi sono enormi interessi economici (https://www.roars.it/online/dematerializzazioni-algoritmi-e-profitti) in ballo e che le piattaforme digitali, che in questi mesi hanno moltiplicato i loro fatturati (si veda lo studio (https://www.mbres.it/sites/default/files/resources/rs_WebSoft2020_presentazione.pdf) pubblicato a ottobre da Mediobanca), hanno la forza e il potere per plasmare il futuro dell’educazione in tutto il mondo. Un esempio è quello che sta accadendo nella scuola con il progetto nazionale “#Smart_Class” (https://www.istruzione.it/pon), finanziato con fondi UE dal Ministero dell’Istruzione. Si tratta di un pacchetto preconfezionato di “didattica integrata” (https://www.youtube.com/watch?v=vPPhUL8MIPs&feature=youtu.be

    ) dove i contenuti (di tutte le materie) li mette Pearson, il software Google e l’hardware è Acer-Chrome Book. (Per inciso, Pearson è il secondo editore al mondo (https://www.publishersweekly.com/binary-data/Global502019.pdf), con un fatturato di oltre 4 miliardi e mezzo di euro nel 2018.) E per le scuole che aderiscono non è possibile acquistare altri prodotti…

    Infine, sebbene possa apparirci fantascienza, oltre a stabilizzare la teledidattica proprietaria (https://www.roars.it/online/teledidattica-proprietaria-e-privata-o-libera-e-pubblica) come “offerta”, si parla già (https://www.forbes.com/sites/forbestechcouncil/2020/06/08/artificial-intelligence-in-education-transformation) di intelligenze artificiali che “affiancheranno” i docenti nel loro lavoro.

    Per tutte queste ragioni un gruppo di docenti di varie università italiane ha deciso di reagire.

    La loro e nostra iniziativa non è al momento finalizzata a presentare un reclamo immediato al garante, ma ad evitarlo, permettendo a docenti e studenti di creare spazi di discussione e indurre a rettificare scelte che coinvolgono la loro libertà d’insegnamento e il loro diritto allo studio. Solo se la risposta istituzionale sarà insufficiente o assente, ricorreremo, come extrema ratio, al reclamo al garante della privacy. In tal caso il primo passo sarà sfruttare la “falla” aperta dalla sentenza della corte UE per spingere il garante italiano a intervenire (invero lo aveva già fatto #Antonello_Soro (https://www.key4biz.it/soro-al-parlamento-infrastruttura-cloud-pubblica-non-piu-eludibile-per-lindipendenza-dai-poteri-privati/311412), ma è rimasto inascoltato). Lo scopo di queste azioni non è certamente quello di “bloccare” le piattaforme che erogano la didattica a distanza e chi le usa, ma spingere il governo a investire finalmente nella creazione di un’infrastruttura pubblica e basata su software libero (https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/leuropa-post-privacy-shield-e-lopen-source-la-via-per-uscire-dal-colo) per la comunicazione scientifica e didattica. Esistono vari modelli (vedi quello proposto qui: https://infolet.it/files/2020/11/FACSIMILE-MODULO-DOCENTI-PRIVACY_pdf.pdf) ai quali ispirarsi, per esempio in Francia (http://apps.education.fr), ma anche in Spagna (https://cedec.intef.es/proyecto-edia), ecc. e la stessa UNESCO nel 2019 ha approvato una Raccomandazione (https://en.unesco.org/news/new-unesco-recommendation-will-promote-access-educational-resources-all) per l’uso di risorse e strumenti aperti in ambito educativo.

    Come dicevamo sopra, prima di arrivare al garante nazionale è necessario una tappa preliminare. Ciascuno deve scrivere al responsabile del trattamento dati richiedendo alcune informazioni (qui il fac-simile di modulo per docenti che abbiamo preparato: https://infolet.it/files/2020/11/FACSIMILE-MODULO-DOCENTI-PRIVACY_pdf.pdf). Se non si riceverà risposta entro trenta giorni, o se la risposta è considerata insoddisfacente, si potrà procedere col reclamo al garante nazionale. A quel punto, il discorso cambierà, perché il reclamo al garante potrà essere fatto non solo da singoli, ma da gruppi o associazioni. È importante sottolineare che, anche in questo evitabile scenario, la domanda al responsabile del trattamento dati non può essere assolutamente interpretata come una “protesta” contro il proprio ateneo, ma come un tentativo di renderlo, per tutti e tutte, un ambiente di lavoro e di studi migliore, adeguandosi alle norme europee.

    https://infolet.it/2020/11/10/perche-luniversita-delle-piattaforme-e-la-fine-delluniversita

    #université #enseignement_à_distance #gafa #vie_privée #protection_des_données #business #GAFAM #cour_de_justice_européenne #CJUE #enseignement #ESR #distanciel

    ping @etraces

    • Why basing universities on digital platforms will lead to their demise
      (All links removed. They can be found in the original post – English Translation by Desmond Schmidt)

      A group of professors from Italian universities have written an open letter on the consequences of using proprietary digital platforms in distance learning. They hope that a discussion on the future of education will begin as soon as possible and that the investments discussed in recent weeks will be used to create a public digital infrastructure for schools and universities.

      Dear colleagues and students,

      as you already know, since the COVID-19 emergency began, Italian schools and universities have relied on proprietary platforms and tools for distance learning (including exams), which are mostly produced by the “GAFAM” group of companies (Google, Apple, Facebook, Microsoft and Amazon). There are a few exceptions, such as the Politecnico di Torino, which has adopted instead its own custom-built solutions. However, on July 16, 2020 the European Court of Justice issued a very important ruling, which essentially says that US companies do not guarantee user privacy in accordance with the European General Data Protection Regulation (GDPR). As a result, all data transfers from the EU to the United States must be regarded as non-compliant with this regulation, and are therefore illegal.

      A debate on this issue is currently underway in the EU, and the European Authority has explicitly invited “institutions, offices, agencies and organizations of the European Union to avoid transfers of personal data to the United States for new procedures or when securing new contracts with service providers.” In fact the Irish Authority has explicitly banned the transfer of Facebook user data to the United States. Finally, some studies underline how the majority of commercial platforms used during the “educational emergency” (primarily G-Suite) pose serious legal problems and represent a “systematic violation of the principles of transparency.”

      In this difficult situation, various organizations, including (as stated below) some university professors, are trying to help Italian schools and universities comply with the ruling. They do so in the interests not only of the institutions themselves, but also of teachers and students, who have the right to study, teach and discuss without being surveilled, profiled and catalogued. The inherent risks in outsourcing teaching to multinational companies, who can do as they please with our data, are not only cultural or economic, but also legal: anyone, in this situation, could complain to the privacy authority to the detriment of the institution for which they are working.

      However, the question goes beyond our own right, or that of our students, to privacy. In the renewed COVID emergency we know that there are enormous economic interests at stake, and the digital platforms, which in recent months have increased their turnover (see the study published in October by Mediobanca), now have the power to shape the future of education around the world. An example is what is happening in Italian schools with the national “Smart Class” project, financed with EU funds by the Ministry of Education. This is a package of “integrated teaching” where Pearson contributes the content for all the subjects, Google provides the software, and the hardware is the Acer Chromebook. (Incidentally, Pearson is the second largest publisher in the world, with a turnover of more than 4.5 billion euros in 2018.) And for the schools that join, it is not possible to buy other products.

      Finally, although it may seem like science fiction, in addition to stabilizing proprietary distance learning as an “offer”, there is already talk of using artificial intelligence to “support” teachers in their work.

      For all these reasons, a group of professors from various Italian universities decided to take action. Our initiative is not currently aimed at presenting an immediate complaint to the data protection officer, but at avoiding it, by allowing teachers and students to create spaces for discussion and encourage them to make choices that combine their freedom of teaching with their right to study. Only if the institutional response is insufficient or absent, we will register, as a last resort, a complaint to the national privacy authority. In this case the first step will be to exploit the “flaw” opened by the EU court ruling to push the Italian privacy authority to intervene (indeed, the former President, Antonello Soro, had already done so, but received no response). The purpose of these actions is certainly not to “block” the platforms that provide distance learning and those who use them, but to push the government to finally invest in the creation of a public infrastructure based on free software for scientific communication and teaching (on the model of what is proposed here and
      which is already a reality for example in France, Spain and other European countries).

      As we said above, before appealing to the national authority, a preliminary stage is necessary. Everyone must write to the data protection officer (DPO) requesting some information (attached here is the facsimile of the form for teachers we have prepared). If no response is received within thirty days, or if the response is considered unsatisfactory, we can proceed with the complaint to the national authority. At that point, the conversation will change, because the complaint to the national authority can be made not only by individuals, but also by groups or associations. It is important to emphasize that, even in this avoidable scenario, the question to the data controller is not necessarily a “protest” against the institution, but an attempt to turn it into a better working and study environment for everyone, conforming to European standards.

      https://theoreti.ca/?p=7684