*Du colonialisme italien* métaliste, évidemment non exhaustive, d’infos publiées sur seenthis…

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  • Il colonialismo degli italiani. Storia di un’ideologia

    Cercare “posti al sole” in Africa per gli emigranti, lavoratori e “brava gente”: questa è l’idea che più di altre ha spinto gli italiani alla conquista di un impero coloniale, nella convinzione che i problemi sociali dovessero trovare una soluzione non in Italia, attraverso riforme o rivoluzioni, né all’estero, ma in terra d’Africa, sotto la bandiera italiana. Il volume racconta i 150 anni di un’ideologia capace di sopravvivere ai rovesci militari, all’ascesa e caduta di regimi, persino alla fine del colonialismo, ripercorrendo dal Risorgimento a oggi grandi progetti e grandi fallimenti, la nascita di una cultura coloniale sempre più diffusa e l’evoluzione di un’idea cantata da Pascoli, estremizzata da Mussolini, ereditata dalla Repubblica fino a diventare uno dei cardini dell’identità nazionale.

    http://old.carocci.it/index.php?option=com_carocci&task=schedalibro&Itemid=72&isbn=97888290150

    #idéologie #colonialisme #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #italiani_brava_gente #fascisme #identité_nationale #culture_coloniale
    #livre

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  • Mémoires. Genève dans le monde colonial

    Comment Genève a-t-elle traversé l’époque coloniale ? En quoi le Musée d’ethnographie est-il un acteur culturel majeur du contexte colonial ? Quels sont les futurs des collections qui y sont conservées ? Peut-on saisir aujourd’hui quelle est la véritable identité d’un objet, parfois des siècles après son entrée dans les collections muséales genevoises ?

    Autant de questions auxquelles cette exposition participative tente de répondre. De nombreux-ses partenaires ont accepté de construire avec le MEG un propos aligné avec l’actualité de la réflexion décoloniale. Nous les remercions d’avoir pris ce risque et de nous avoir accordé leur confiance. Un fil rouge relie toutes les histoires de cette exposition, celui de la #responsabilité du Musée envers les collections et de son engagement à tisser sur le long terme des relations respectueuses et apaisées avec leurs héritières et héritiers culturel-le-s.

    https://colonialgeneva.ch

    L’expo est super bien faite (je l’ai visitée hier) et tout a été mis en ligne sur ce site. C’est super !

    #exposition #musée #MEG #Genève #Genève_coloniale #Suisse #Suisse_coloniale #colonialisme_suisse #colonialisme #décolonial #objets

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  • Andrea Di Michele. Il segno coloniale

    Dopo decenni di rimozione collettiva, l’epoca delle colonie italiana viene oggi riletta in chiave critica. Di Michele, professore di Storia contemporanea a Bolzano, delinea le fasi di un passato ancora presente nelle piazze e nelle vie.

    Monumenti, mausolei, bassorilievi, intitolazioni di vie: le tracce del colonialismo italiano sono presenti ancora oggi in molte città. Negli ultimi anni il dibattito culturale e politico si è interrogato su come intervenire su queste opere. Lo storico Andrea Di Michele vede nelle iniziative di ricontestualizzazione la possibilità di leggere criticamente l’epoca coloniale italiana e di fornire alla cittadinanza gli strumenti per conoscere e approfondire questo periodo che costituisce una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.

    Professor Di Michele, in quale cornice temporale si ascrive l’epoca coloniale italiana?
    ADM Si tende erroneamente a fare coincidere il colonialismo italiano con il fascismo, mentre il suo inizio si colloca immediatamente dopo l’unificazione del Paese e più precisamente nel 1869 con l’acquisto della baia di Assab, in Eritrea, da parte di una compagnia di navigazione privata. Nei primi anni Ottanta dell’Ottocento questo avamposto venne poi acquistato dallo Stato italiano e nel 1885 l’occupazione di Massaua segnò l’inizio dell’esperienza coloniale statale italiana.

    Come si sviluppò questo primo periodo coloniale?
    ADM In questa fase l’Italia fece i conti con i suoi limiti, subendo molte sconfitte. Nel 1887, a Dogali, cercò di espandere senza successo la propria posizione, arrivando a contare cinquecento morti tra le proprie fila. Ancora più pesante fu la sconfitta di Adua, in Etiopia, nel 1896: i morti italiani furono migliaia, il Governo Crispi cadde e la politica coloniale si arrestò temporaneamente per riprendere nel 1911 con la guerra di Libia.

    L’avvento del fascisco cambiò le cose?
    ADM Benito Mussolini ampliò le conquiste dell’Italia liberale e lo fece con una violenza inaudita nei confronti della popolazione civile. Ad esempio per invadere definitivamente la Cirenaica, all’inizio degli anni Trenta, più di un terzo della popolazione di questo territorio -circa 100mila persone- venne deportata e rinchiusa in veri e propri campi di concentramento con una tasso di mortalità spaventosa. Nel 1937, il fallito attentato a Rodolfo Graziani, a quel tempo viceré di Etiopia, scatenò una vera e propria caccia all’uomo che provocò migliaia di morti. Non va poi dimenticata la legislazione che portò alla “zonizzazione”, ovvero a un sistema di apartheid con aree separate per bianchi e neri.

    Il 1869 è stato l’anno in cui gli storici collocano l’inizio del colo-nialismo italiano che coincide con l’acquisto della baia di Assab, in Eritrea, da parte di una compagnia di navigazione privata

    La caduta del fascismo sancì una rottura con l’epoca coloniale?
    ADM No. Dopo il 1945 l’Italia cercò di mantenere il controllo dei territori che deteneva prima del fascismo. Vi fu anche una netta continuità nell’amministrazione pubblica: fino al 1953 ha operato il ministero dell’Africa italiana, in cui lavorava chi aveva le “competenze” giuste, ovvero chi aveva lavorato nel Paese fino a poco prima.

    Quando si è iniziato a guardare al passato coloniale italiano con uno sguardo critico?
    ADM L’immagine di un colonialismo italiano sostanzialmente un po’ “all’acqua di rose” ha resistito a lungo. Solo a partire dagli anni Ottanta una nuova generazione di studiosi si è interrogata sul ruolo dei fenomeni profondamente razzisti che avevano caratterizzato la storia d’Italia. Si sono ricostruite quindi le gravi responsabilità italiane nelle colonie, ad esempio per quanto riguarda l’uso dei gas, per molti anni negato. Poi dagli archivi militari sono emersi i documenti ufficiali, in molti casi tenuti prima volutamente nascosti, e con loro la verità storica.

    Secondo lei perché questo processo è stato così lento e osteggiato?
    ADM La politica della memoria è un tema molto caldo che rimanda spesso a dinamiche a livello nazionale e locale. Va inoltre sottolineato il ruolo giocato dalla presenza di forze politiche che non hanno mai rinnegato il passato fascista e coloniale. In questo senso è interessante monitorare cosa avviene nelle singole Regioni e nei Comuni, dove ancora oggi una determinata maggioranza politica e un certo clima consentono di intitolare monumenti e vie a personaggi che ebbero un ruolo drammatico in quel periodo storico.

    Ci può fare un esempio?
    ADM A Filettino, in provincia di Roma, nel 2012 è stato dedicato un mausoleo a Rodolfo Graziani. L’amministrazione comunale di destra si è giustificata dicendo di voler ricordare il proprio concittadino che fece “anche cose buone”.

    Che cosa fare con l’eredità architettonica e odonomastica del colonialismo?
    ADM Credo che la strada da percorrere non sia l’eliminazione di queste opere, ma la loro ricontestualizzazione. Ci sono, ad esempio, diversi progetti di mappatura dell’odonomastica, che coniugano ricerca e attivismo. Penso al caso di Bologna, dove “Resistenze in Cirenaica” (resistenzeincirenaica.com) ha operato una ridenominazione -non ufficiale ma parallela- delle vie, intitolandole a partigiani e ad altri personaggi politici e non della città. Un esempio forse unico è poi quello di Bolzano, con la risignificazione del Monumento alla Vittoria e del bassorilievo con il duce a cavallo.

    Di che cosa si tratta?
    ADM Il primo è un monumentale complesso marmoreo costruito tra il 1926 e il 1928, che celebrava la vittoria italiana sull’Austria-Ungheria nella Prima guerra mondiale. La seconda opera andò a decorare la “Casa Littoria”, sede del Partito nazionale fascista ed è costituita da 57 pannelli di larghezza variabile, alti 2,75 metri, posti su due file sovrapposte, per uno sviluppo lineare di 36 metri e una superficie di 198 metri quadrati.

    Quale intervento è stato fatto su queste due opere?
    ADM Nel 2011, un accordo tra Stato, Provincia e Comune di Bolzano ha previsto di accompagnare il restauro del Monumento con un intervento di contestualizzazione storica. Si è deciso di aprire al suo interno uno spazio museale su Bolzano, l’Alto Adige e i totalitarismi che ne hanno segnato la storia e di apporre all’esterno un segno visibile, che si è tradotto in un anello a led con un testo luminoso rotante recante la scritta “Un Monumento, una città, due dittature. Un percorso espositivo” intorno a una delle colonne dei fasci littori. Opposto è stato invece quanto fatto sul bassorilievo.

    “La strada da percorrere non è l’eliminazione delle opere, ma la loro ricontestualizzazione. Ci sono diversi progetti di mappatura dell’odonomastica, che coniugano ricerca e attivism0″

    Ovvero?
    ADM In questo caso l’equilibrio tra opera visiva e approfondimento storico è stato ribaltato. Si è scelto di privilegiare il linguaggio visivo ed emozionale, apponendo davanti al bassorilievo una frase di Hannah Arendt in tre lingue, italiano, tedesco e ladino: “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Contestualmente nella piazza di fronte all’opera è stato realizzato un intervento di approfondimento storico con dei pannelli esplicativi.

    Che cosa ha reso possibile questo tipo di operazione a Bolzano?
    ADM La ricontestualizzazione di queste opere è avvenuta perché erano monumenti che continuavano a rappresentare un elemento di divisione e tensione tra i gruppi di lingua italiana e tedesca. Quello che per decenni ha rappresentato un problema quindi si è trasformato in una possibilità di apprendimento e approfondimento e, al contempo, il tema del monumentalismo fascista ha perso la sua carica divisoria.

    Questo intervento locale ha sortito qualche effetto a livello nazionale?
    ADM La stampa ha acceso i riflettori sul “caso-Bolzano” che però a oggi resta un esempio unico. Forse non è nemmeno necessario fare un lavoro del genere dappertutto, ma almeno nei luoghi dove un monumento ha un impatto a causa delle sue dimensioni sì. Penso all’Obelisco di Mussolini a Roma, dove un intervento sarebbe auspicabile. Se ne potrebbero immaginare differenti da quelli di Bolzano, magari legati a installazioni artistiche o utilizzando le nuove tecnologie.

    A quali progetti sta lavorando attualmente?
    ADM Da qualche settimana ho iniziato “Curating fascism”, un progetto in collaborazione con la facoltà di Design. Ho scritto un testo immaginando una passeggiata sulle tracce del colonialismo a Bolzano a partire dal retro del Monumento alla Vittoria, quindi la Colonna romana, le iscrizioni dei palazzi di Piazza Vittoria, le vie intitolate a personaggi e luoghi di quell’epoca come Reginaldo Giuliani e la battaglia dell’Amba Alagi. L’idea è di realizzare una pubblicazione in cui testo e immagini si combinino così da offrire alla cittadinanza e a chi visita la città una guida per conoscere i suoi monumenti, la loro storia e il loro significato.

    https://altreconomia.it/andrea-di-michele-il-segno-coloniale

    #toponymie #toponymie_coloniale #Italie #passé_colonial #présent_colonial #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces #recontextualisation #Erythrée #histoire_coloniale #Libye #fascisme #camps_de_concentration #Rodolfo_Graziani #Ethiopie #apartheid #zonizzazione #responsabilité #mémoire #politique_de_la_mémoire #Filettino #héritage #Bologne #Resistenze_in_Cirenaica #Bolzano #Monumento_alla_vittoria #Casa_Littoria #monuments #Reginaldo_Giuliani

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  • Gaddafi in Rome : Notes for a Film

    “Alessandra Ferrini is an artist, researcher and educator whose artistic practice is based on a historiographical and archival form of investigation in which she resignifies the history of Italy in relation to the phenomenon of colonialism. Gaddafi in Rome: Notes for a Film is the result of six years of research into the Libyan leader’s visit to Italy in 2009. The video installation presents three acts, with images and news produced in real time during Gaddafi’s visit, together with archive materials collected and manipulated by the artist. At the heart of the work is a photograph of the meeting with Silvio Berlusconi at Ciampino airport and the protests sparked by Gaddafi’s choice to display an image on his chest, showing the capture of Omar al-Mukhtar (1858-1931), the leader of the fight against the Italian occupation of Libya. The images are accompanied by the voice of the artist, who extrapolates the facts from the context of mass communication and reflects on the diplomatic and power relations at play, highlighting the relationship between the Treaty of Friendship, Partnership and Cooperation between Italy and Libya, and the manipulation of the colonial past by the two leaders. Ferrini’s analytical approach to deconstructing the media vision of an event that marked the beginning of new European policies on immigration can be seen in a number of elements of the installation:a curtain that recalls the anatomical theatre in Padua, a picture of Berlusconi and Gaddafi holding a photo of the Libyan coast, printed on plexiglass and a cloth on an oval table with a photo that was shown in the Green Square in Tripoli in 2011.”

    https://www.alessandraferrini.info/gaddafi-in-rome-notes-for-a-film
    #Alessandra_Ferrini
    #Italie #Italie_coloniale #colonialisme #art #art_et_politique #vidéo #Alessandra_Ferrini #Libye #trattato_d'amicizia #traité #amitié

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  • Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista

    Questo libro è stato già pubblicato nel 1992 (con il titolo L’Olocausto rimosso), ma nessuno ha mai potuto trovarlo in libreria. La casa editrice Rizzoli decise infatti, subito dopo averle stampate, di mandare al macero tutte le copie di questo testo, ritenuto evidentemente troppo scomodo. Il lavoro di ricerca di #Michael_Palumbo sulla storia dei crimini di guerra del fascismo era già presente nel documentario Fascist Legacy prodotto dalla Bbc nel 1989, anch’esso acquistato dalla Rai e mai mandato in onda nonostante L’Unità del 10 giugno 1990 lo definisse come l’opera che «ha posto fine per sempre alla leggenda degli “italiani brava gente”».

    Palumbo ha portato infatti alla luce la decisiva documentazione proveniente dagli archivi nazionali degli Stati Uniti a Washington DC e dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra con cui, insieme a ulteriore materiale reperito in dieci lingue diverse, comprova le atrocità commesse in tutti i paesi in cui l’Italia entrò in guerra: dalla Libia all’Etiopia, dalla Grecia alla Jugoslavia. Crimini poi insabbiati dagli angloamericani per non disturbare gli equilibri del dopoguerra e mantenere a disposizione una classe dirigente utile alla crociata anticomunista della nuova Italia democratica. Successivamente, tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, altri studiosi hanno pubblicato importanti ricerche sui crimini di guerra fascisti. Arrivando solo oggi nelle librerie italiane, Le atrocità di Mussolini completa il quadro.

    Lo stile di Palumbo e la drammaticità degli eventi offrono un affresco tragico e illuminante di cosa è stata l’Italia fascista, un volto che le forze politiche eredi di quella stagione provano costantemente a rimuovere dalla memoria nazionale.

    https://edizionialegre.it/product/le-atrocita-di-mussolini
    #livre
    #histoire #Italie #fascisme #crimes_de_guerre #italiani_brava_gente #Libye #Ethiopie #Grèce #Yougoslavie #Mussolini #colonialisme #colonisation #Italie_coloniale

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    • La storia strappata al macero

      Vede finalmente gli scaffali il libro scomparso che documenta i crimini rimossi dell’Italia fascista e le atrocità commesse dai soldati italiani in Africa e in Europa.

      Qualcuno l’ha avuto in mano, questo libro, prima che finisse (quasi) integralmente al macero. Qualcuno è riuscito a recuperarne una copia, e ora Le atrocità di Mussolini. I crimini di guerra rimossi dell’Italia fascista, fresco di stampa per le Edizioni Alegre, non solo è arrivato in magazzino, ma anche in libreria. Dopo oltre trent’anni. E a quarantaquattro anni da quando, il 28 marzo 1980, il suo autore, l’allora giovane ricercatore Michael Palumbo, annunciò al New York Times la scoperta dei documenti della Commissione delle Nazioni Unite sui Crimini di Guerra (Unwcc), che avrebbero scoperchiato un vaso di Pandora portando alla realizzazione del documentario Fascist Legacy di Ken Kirby (BBC, 1989), basato sulle ricerche di Palumbo, e alla stesura di questo saggio «fantasma» all’epoca ampiamente annunciato e atteso.

      La rassegna stampa sul lavoro del ricercatore italo-americano e sulle sue implicazioni sul piano della conoscenza storica e della memoria pubblica in quegli anni tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta fu notevole. Tre articoli in particolare anticiparono l’uscita del libro in quella primavera editoriale di trentadue anni fa: Italiani bonaccioni? No, assassini di James Walston (L’Indipendente, 17 marzo 1992: «Un libro che si preannuncia come una vera e propria bomba editoriale», scriveva Walston); Come trucidavamo di Giorgio Fabre (Panorama, 12 aprile 1992) e Quel libro non si stampi! di Simonetta Fiori, pezzo apparso sulle pagine culturali de la Repubblica del 17 aprile 1992, che esordisce riferendosi all’articolo di cinque giorni precedente:

      Quel lunedì mattina, in casa editrice tirava una brutta aria. Il libro di Michael Palumbo sui crimini dei soldati italiani continuava a produrre grane. L’ultima – di quel lunedì – era l’intervista a Panorama di uno dei personaggi incriminati. […]
      Chi ce lo ha fatto fare?, devono aver pensato alla Rizzoli. D’altra parte, che la materia fosse incandescente non era notizia di quel lunedì. Già tre anni prima, un programma sullo stesso argomento curato da Palumbo per la Bbc – Fascist Legacy, coautore Ken Kirby – aveva scatenato a Londra un pandemonio. Con la protesta risentita dell’ambasciatore italiano Boris Biancheri. Il documentario denunciava per la prima volta, senza reticenze, le atrocità commesse dai soldati italiani in Grecia, Jugoslavia e nelle colonie d’Africa. E la copertura che nel dopoguerra il potere democristiano avrebbe garantito ai criminali di guerra. Tanto per non sbagliare, la rete Uno della Rai, che s’era assicurata i diritti, si guardò bene dal mandarlo in onda.
      Il documentario di Palumbo, giovane ricercatore di Brooklyn, incuriosì l’allora direttore editoriale della Rizzoli, Gian Andrea Piccioli, che sottoscrisse con lui un contratto. Dopo un anno il libro, ricco di rivelazioni sulle malversazioni degli italiani nel campo di Arbe, in Etiopia, in Cirenaica e in Grecia, era già pronto.

      «Che fare del libro tanto atteso, che in un primo tempo doveva chiamarsi L’Olocausto mancato, poi più morbidamente Italiani, brava gente? e infine – titolo definitivo – L’Olocausto rimosso?», si chiedeva Fiori. A fronte alle minacce di querela di uno degli innumerevoli personaggi coinvolti nella galleria di atrocità compiute dagli italiani, «secondo una prima notizia, la Rizzoli avrebbe deciso di mandare al macero le ottomila copie già stampate, una tiratura giustificata dalle attese», chiosava.

      «Caso alla Rizzoli: che fine ha fatto il lavoro di Palumbo sui criminali italiani?», recitava l’occhiello di quell’articolo de la Repubblica. Aveva fatto una brutta fine, allora. Ma ora eccolo qui, finalmente, con una prefazione di Eric Gobetti e una postfazione (Breve storia di un libro censurato e ritrovato) di Ivan Serra, metalmeccanico e animatore del sito diecifebbraio.info, che ha inseguito come un segugio questa pista fino a ritrovare una copia – una delle copie? – sopravvissuta alla distruzione.

      «Abbiamo distrutto ogni cosa da cima a fondo senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni notte, picchiandoli a morte o con le armi. Basta che facciano un movimento, noi spariamo senza pietà. Se muoiono, muoiono. Stanotte ci sono stati cinque morti: due donne, un bambino piccolo e due uomini», scriveva una camicia nera alla famiglia il 1° luglio 1942 dal Montenegro.

      «Stanno arrivando gli italiani», è una frase testuale che rispetto allo scenario greco riporta l’autore riferendo delle scene di panico che seguono annunci come questo, nel genocidio in Cirenaica come in Etiopia, come nella Jugoslavia «a ferro e fuoco» – nella Slovenia della famigerata «Circolare 3C» del generale Mario Roatta che autorizzava a fucilare in maniera indiscriminata, in Croazia e in Montenegro – come in Grecia, lasciando non di rado attoniti anche gli alleati nazisti.

      L’angolatura prospettica che permette a Palumbo questa ricognizione, oltre all’accesso alle ricerche allora già disponibili – in particolare quelle solidissime e pionieristiche di Angelo Del Boca e Giorgio Rochat – è proprio la documentazione della Unwcc, e il suo lavoro pachidermico cominciato nel 1978 quando ha potuto attingere massicciamente a documenti etiopici, jugoslavi, britannici, statunitensi, tedeschi, oltre che italiani, producendo il dossier necessario a realizzare Fascist Legacy e documentando, oltre che i crimini, la lucida e strategica opera di insabbiamento degli stessi, quando la lista della Unwcc arrivò «a comprendere 700 persone, molte delle quali occupavano un posto chiave nel governo italiano», e «gli alleati continuarono la loro tattica di indugio». «Fra i criminali di guerra ancora in servizio c’erano i generali [Alessandro] Pirzio Biroli, [Mario] Robotti, [Carlo] Tucci, [Silvio] Bonini, [Domenico] Chinnici e [Alessandro] Maccario, tutti colpevoli delle più gravi atrocità commesse in Jugoslavia», scriveva Palumbo un decennio prima che l’istituzione del Giorno del Ricordo contribuisse a ribaltare completamente nel senso comune il giudizio storico su quegli anni. Il libro avrebbe potuto persino precedere la celebre querelle tra Del Boca e Indro Montanelli, che nel 1996, dopo aver negato l’uso dei gas iprite in Africa orientale, a fronte delle prove schiaccianti prodotte dallo storico novarese, avrebbe infine ammesso di essersi sbagliato e – almeno di questo – si sarebbe pubblicamente scusato.

      Centinaia di voci – da Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani all’ultimo dei loro sottoposti, dai carnefici alle vittime, ai testimoni degli orrori africani ed europei – si avvicendano nelle quasi quattrocento pagine a stampa che ora chiunque può avere tra le mani. Il saggio di Palumbo è una cartografia d’epoca – in fondo è un pezzo da collezione di storia della ricerca storica – delle atrocità commesse dall’Italia fascista lungo tutto il ventennio, e in particolare all’estero e dal 1930 in Libia al termine del secondo conflitto mondiale, in un procedere per episodi dei quali gli studi più recenti avrebbero confermato la rilevanza storica: il massacro di Addis Abeba del febbraio 1937 («una visione da inferno dantesco» nelle parole del delegato della Croce Rossa Internazionale in Etiopia, Marcel Junod), finalmente ricostruito nel dettaglio da Ian L. Campbell in un libro edito nel 2018 dalla stessa Rizzoli; quello immediatamente successivo di Debre Libanos, oggetto di uno studio approfondito di Paolo Borruso edito da Laterza nel 2020; quello di Zeret dell’aprile del 1939, a cui Matteo Dominioni avrebbe dedicato uno studio nel 2006; quello di Domeniko/Domenikon del 16 febbraio 1943 in Grecia (definito ancora «l’eccidio dimenticato» dal Corriere della Sera tre anni fa), quando gli italiani massacrarono tutti gli uomini validi di un piccolo villaggio greco, in Tessaglia, ora portato alla luce da Vincenzo Sinapi (Domenikon 1943. Quando ad ammazzare sono gli italiani, Mursia 2021) e al quale Palumbo dedicava già diverse pagine, con tanto di interviste ai sopravvissuti.

      Si ha l’impressione di assistere a un what if? della memoria pubblica italiana, trovando episodi ora noti tra gli studiosi e non solo già descritti nel dettaglio, e tutti insieme, in un libro di un terzo di secolo fa, prima ancora della «scoperta» a Roma dell’«armadio della vergogna» nel 1994. Già, perché il testo è stato pubblicato così come sarebbe dovuto uscire, in un’operazione di repêchage più unica che rara nel panorama della saggistica italiana. Con un valore conoscitivo e civile davvero con pochi precedenti.

      Il libro edito oggi da Alegre è infatti un recupero integrale di quel testo stampato (prima edizione: aprile 1992) e «cancellato», con la sola correzione di alcuni refusi e imprecisioni, specie nei toponimi, opera della traduttrice Paola Tornaghi. Un esempio che può illuminare è appunto la lectio «Domenikos» che Palumbo aveva utilizzato al posto di «Domenikon» (dicitura in katharevousa) e «Domeniko» (come è chiamato oggi, in dimotiko), le uniche due occorrenze presenti nelle fonti: leggiamo questa precisazione in Camicie nere sull’Acropoli. L’occupazione italiana in Grecia (1941-1943), edito da Deriveapprodi nel 2013, in cui l’autore Marco Clementi raccontando questo evento «riscoperto in Italia» solo negli anni Duemila si stupiva di questa versione del toponimo rintracciata in altri studi, ignaro del fatto che verosimilmente provenisse dal libro di Palumbo. Qualche altra copia oltre a quella recuperata da Serra è dunque circolata tra gli studiosi?

      Certo, la ricerca sul «nuovo ordine mediterraneo» (così avrebbe titolato il saggio di Davide Rodogno del 2003, edito da Bollati Boringhieri) in questi tre decenni è andata avanti, e il progetto imperiale fascista che in Europa come in Africa condusse a incalcolabili atrocità è stato studiato e divulgato con serietà e passione proprio da storici come Del Boca – che nel decennio seguente avrebbe intitolato il suo libro di maggior successo proprio Italiani, brava gente? Un mito duro a morire (Neri Pozza 2005), scomparso nel 2021 – e come Rochat, scomparso due settimane fa, che furono maestri per molti. E dalle successive generazioni ricordate anche nella prefazione di Gobetti: si pensi a Nicola Labanca, il già citato Dominioni e Valeria Deplano e Alessandro Pes per il colonialismo; a Paolo Fonzi per la Grecia, allo stesso Gobetti per la Jugoslavia, a Filippo Focardi per gli studi sulla memoria pubblica.

      Ma la ricerca, e ancora di più la discussione pubblica, avrebbe potuto avanzare con maggiore rapidità e pregnanza se i risultati di questo lavoro «cancellato» di Palumbo fossero passati dai magazzini alle librerie, e non solo in qualche mano fortunata che ha potuto avere le poche copie scampate al macero; avrebbe forse potuto avere, a proposito di what if?, un impatto simile a quello che il controverso I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocasusto di Daniel J. Goldhagen (1996) ebbe nel dibattito tedesco e globale sulla partecipazione delle persone «ordinarie» alla Shoah.

      Dal momento che non esistono «caratteri nazionali» immutabili, gli italiani furono As Cruel as Anyone Else, come titola la traduzione inglese del pamphlet di Del Boca, fresca di stampa per i tipi della University of Chicago Press. Eppure avviandosi a concludere Le atrocità di Mussolini l’autore italo-americano lasciava spazio a un’immagine controfattuale che vale la pena riportare, dopo aver riflettuto a lungo anche sulle profonde radici nel nazionalismo e nelle «avventure» espansionistiche e coloniali che hanno preceduto il fascismo, utili da ricordare in questi giorni in cui la sbronza nazionalista e militarista del 4 novembre ci sovrasta:

      È difficile valutare il numero totale delle vittime dei crimini di guerra fascisti, sicuramente centinaia di migliaia di persone morirono nei campi di concentramento italiani, nelle tremende incursioni e nelle carestie artificialmente create nei Balcani.
      Si possono aggiungere poi i massacri compiuti dalle forze di [Rodolfo] Graziani durante la Repubblica di Salò, così come le migliaia di civili e prigionieri di guerra assassinati dalle legioni di Mussolini nella guerra civile spagnola e sul fronte russo durante la Seconda guerra mondiale. Benché non si possa più conoscere il numero reale delle vittime, è probabile che un milione di persone siano morte in conseguenza delle atrocità fasciste italiane […].
      Se il regime di Mussolini fosse stato più efficiente, se la sua caduta non fosse coincisa col momento culminante della Seconda guerra mondiale, il tributo delle vittime sarebbe stato molto più elevato. Infatti, dato che i fascisti avevano progettato di spopolare grandi aree della Libia, dell’Etiopia, della Grecia e della Jugoslavia, la conclusione inevitabile è che, se il regime di Mussolini fosse sopravvissuto, parecchi milioni di persone sarebbero morte nelle zone destinate al nuovo Impero Romano.

      «Stavo dicendo all’Italia che il mito dell’innocenza italiana era finito», scrive oggi, da Taipei, Michael Palumbo, ricordando l’effetto del documentario della Bbc e introducendo il suo libro che vede finalmente gli scaffali, sperando che ne sia in qualche modo una replica tardiva. Forse, allora, quando si ammaineranno i tricolori dopo l’ennesimo e imbarazzante tripudio di celebrazioni del diritto alla «Difesa» di questo paese, si potrà iniziare a fare i conti con le guerre d’aggressione che per vent’anni si sono mosse in ogni angolo del tanto agognato progetto imperiale. Trentadue anni dopo quel «Non si stampi!» (da leggersi: «Non si distribuisca!»), e ottant’anni dopo la Liberazione.

      https://jacobinitalia.it/la-storia-strappata-al-macero

  • Italiani, brava gente ?

    Negli anni che vanno dall’unità del nostro Paese alla fine della seconda guerra mondiale si sono verificati molti episodi nei quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà. In genere le stragi sono state compiute...

    https://neripozza.it/libro/9788854503199

    #livre #Italie #histoire #colonisation #colonialisme #fascisme #colonialisme_italien #italiani_brava_gente #Angelo_del_Boca #WWII #seconde_guerre_mondiale
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    • Le livre a été traduit en anglais, avec un très beau titre :
      As Cruel as Anyone Else. Italians, Colonies and Empire

      Reveals a dark chapter in the Italian government’s colonial history that has been largely hidden from view.

      Between the end of the nineteenth century and over the first half of the twentieth, Italy invaded and occupied the Horn of Africa, Libya and several other territories. Yet recognition of this history of colonial destruction, racist violence and genocidal aerial and chemical warfare—carried out not only during the Fascist dictatorship but also under preceding liberal governments—has been consistently repressed beneath the myth that the Italians never truly practiced colonialism.

      The late journalist, historian, novelist, campaigner and former Resistance fighter Angelo Del Boca dismantles this myth. He expertly narrates episodes of state violence committed by Italians both abroad—from Ethiopia to Slovenia, from China to Libya—and ‘at home’ during the civil war following Unification in the 1860s or when the anti-Fascist Resistance faced off against the Republic of Salò after 1943. Attentive to the losses and pain suffered by all sides in war, Del Boca deftly demonstrates how such violence was not only a tool of domination but has also been central to creating and shaping an Italian ‘people’.

      Drawing on a lifetime of interviews as a special correspondent, decades of work in private and state archives and his own experiences during the Second World War, Del Boca’s popular and influential work has contributed to overturning views of Italian history. Presenting many historical episodes in English for the first time, As Cruel as Anyone Else provides a key to reading contemporary Italy, its place in international politics and the disturbing permanence of the far-right within mainstream Italian politics.

      https://www.seagullbooks.org/as-cruel-as-anyone-else

  • Dalle Alpi all’Africa. La politica fascista per l’italianizzazione delle “nuove province” (1922-1943)

    L’Italia fascista mise a punto strategie precise per consolidare il dominio sulle recenti acquisizioni territoriali: le regioni nord-orientali del Paese e le colonie in Africa settentrionale. In che modo il regime si impegnò a formulare e imporre la sovranità italiana su territori e popolazioni molto diversi fra loro, ma ugualmente estranei alla nazione?

    Come mostra #Roberta_Pergher attraverso lo studio di quanto avvenne in Alto Adige e in Libia, la politica di insediamento in quelle regioni non fu ideata per risolvere un problema di sovrappopolazione, bensì per rafforzare il controllo su aree di fatto non italiane, quando già si era affermato il principio di autodeterminazione dei popoli e imposizioni di stampo imperialista erano viste con sospetto dall’opinione pubblica internazionale.

    Pergher esplora le caratteristiche della politica di insediamento fascista, ma anche il modo in cui gli italiani presero parte o si opposero agli sforzi del regime per italianizzare i territori in cui l’autorità era contestata.

    https://www.viella.it/libro/9788833132792
    #Italie #colonisation #Italie_coloniale #Alpes #Haut-Adige #Libye #nationalisme #contrôle #autodétermination_des_peuples #italianisation

    #livre

    Le livre a été traduit de l’anglais:
    Mussolini’s Nation-Empire. Sovereignty and Settlement in Italy’s Borderlands, 1922–1943

    Roberta Pergher transforms our understanding of Fascist rule. Examining Fascist Italy’s efforts to control the antipodes of its realm - the regions annexed in northern Italy after the First World War, and Italy’s North African colonies - she shows how the regime struggled to imagine and implement Italian sovereignty over alien territories and peoples. Contrary to the claims of existing scholarship, Fascist settlement policy in these regions was not designed to solve an overpopulation problem, but to bolster Italian claims to rule in an era that prized self-determination and no longer saw imperial claims as self-evident. Professor Pergher explores the character and impact of Fascist settlement policy and the degree to which ordinary Italians participated in and challenged the regime’s efforts to Italianize contested territory. Employing models and concepts from the historiography of empire, she shows how Fascist Italy rethought the boundaries between national and imperial rule.


    https://www.cambridge.org/core/books/mussolinis-nationempire/CF0473B2EA56FEF20223BAFD2C90B440

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  • Un site web créé par Felice Panzone, neveu de #Antonio_Panzone. Ce dernier a travaillé pour le #Génie_civil italien en #Libye dans les années 1930... Le neveu étant très fier de l’oeuvre à laquelle a participé son oncle, notamment la construction de la #route #Litoranea_Libica (#Balbia), il a créé un site web pour récolter les informations dessus... Un oncle qui n’est pas vraiment critique (euphémisme !) vis-à-vis des oeuvres de l’Italie coloniale, mais qui a le mérite d’avoir récolté dans un seul site web plein d’informations... que d’autres pourront analyser de manière critique (comme l’a fait Resistenze in Cirenaica dans un de ses carnets, le 4ème notamment : https://seenthis.net/messages/1066339) :

    On y trouve notamment, le scan de ce #livre :
    La strada litoranea della Libia

    Une biographie de l’oncle vénéré Antonio Panzone, of course : http://litoranealibicabalbia.altervista.org/2.html
    Une riche collection de #photographies prises par Panzone à l’époque :

    http://litoranealibicabalbia.altervista.org/1.html

    Et une note biographique de #Italo_Balbo :
    http://litoranealibicabalbia.altervista.org/balboitalo.html

    Une section dédiée à la #philatélie :
    http://litoranealibicabalbia.altervista.org/bruno.html

    Et une liste de #chansons des années 1930-1940 :


    http://litoranealibicabalbia.altervista.org/canzoni.html

    Le site web :
    http://litoranealibicabalbia.altervista.org
    #Italie_coloniale #colonialisme #Italie #histoire #histoire_coloniale #infrastructure #fascisme

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  • #Sight_Unseen
    https://vimeo.com/320820227

    #Omar_al-Mukhtar (1885-1931) was the leader of the resistance against the Italian colonisation of Libya (1911-1943). He became the symbol of the Libyan people’s resilience, but in Italy, he remains unknown. Sight Unseen explores the concealment and appropriation around the memory and documentation of Mukhtar’s final days and spectacularised state killing through the analysis of visual and material culture that has been subject to either manipulation or obfuscation in Italy. At its core is the most complete - but legally unpublishable - series of images of Mukhtar’s capture and execution, which historian Alessandro Volterra describes and shows to the camera. Conveying the concealment and marginalisation of these images (and legal ban), they are never fully revealed: barely discernible, they are faded to black, blurred, shown for just an instant. Interwoven to this material, are other references that attest to the carefully orchestrated politics of visibility and invisibility that shape the memory of colonial violence in Italy: Mukhtar’s contested glasses; the movie Lion of the Desert; extracts from Mukhtar’s trial; and Monumento al Carabiniere, a 1933 memorial to the Italian armed forces in Turin.

    https://www.alessandraferrini.info/sight-unseen
    #Italie #Italie_coloniale #colonialisme #art #art_et_politique #vidéo #Alessandra_Ferrini #Libye

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  • Il leone del deserto

    Film storico basato sulla vita del condottiero senussita libico #Omar_al-Mukhtar, che si batté opponendosi alla riconquista della Libia da parte del #Regio_Esercito_italiano, il film è stato censurato impedendone la distribuzione in Italia, in quanto ritenuto «lesivo all’onore dell’esercito italiano», dove è stato trasmesso in televisione solo una volta, su Sky nel 2009 a distanza di quasi trent’anni e mai trasmesso dalla televisione pubblica italiana.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Il_leone_del_deserto
    https://www.youtube.com/watch?v=sb3O3knbFCk

    #histoire_coloniale #Italie #Italie_coloniale #film #film_historique #Libye #colonialisme #colonisation #histoire #histoire_coloniale #Mustafa_Akkad

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  • “Resistenze in Cirenaica”, parcours et chantier toponymiques au cœur de Bologne

    Il y a 4 ans, c’est grâce à un ouvrage acheté dans une librairie de la ville de Terni – Nera Nahar. Segni, sguardi, parole al femminile della città di Terni – que j’avais découvert l’existence d’un quartier dont l’odonymie était entièrement dédiée à des figures féminines. Cela avait été l’occasion, livre à la main, d’aller visiter le quartier et d’en écrire un billet pour ce même blog.

    Pour ce texte, c’est un autre ouvrage qui me guide – le premier volume des Quaderni di Cirene (Cahiers de Cyrène, publié par le collectif Resistenze in Cerenaica) – en ce mois de mai 2024 dans une autre ville italienne : Bologne. J’ai acheté les quatre volumes lors de l’événement « ibridazioni in Cirenaica » (hybridations en Cyrénaïque) organisé par le groupe dans le quartier homonyme les 24 et 25 mai 2024. Le samedi soir, quatre illustrateurs présentaient leurs travaux terminés ou en cours, dont la petite bande-dessinée pédagogique sur le massacre de Addis Abeba.

    C’est le premier tome, vert, du cahier de Cyrène qui m’accompagnera, le dimanche 26 mai, dans les rues de Bologne.

    La tâche est facilitée par la reproduction, dans le cahier, de la liste des rues qui ont vu leur nom changé lors de la session du Conseil communal du 16 avril 1949, comme le relate un site web de l’histoire administrative de la ville :

    Nouveaux noms pour les rues et les places de la ville. Dans le quartier Libye, dans les avenues des Giardini Margherita et à l’intérieur des murs de la ville, les rues portent le nom de ceux qui sont tombés dans la lutte pour la Libération.

    Ainsi, on découvre que 11 rues ont été renommées :

    Quatre chemins dans un parc public (Giardini Margherita) sans dénomination ont été nommées en honneur à : Medardo Bottonelli, Rino Cristiani, Dante Drusiani, Gino Gamberini, Mario Giurini, Massimo Melliconi, Mario Jacchia, Libero Lossanti et Stenio Polischi.

    Les dénominations touchent trois espaces distincts de la ville, comme le montre la carte ci-dessous : le quartier appelé aujourd’hui « Cirenaica », situé au-delà des anciens murs du centre historique, dans la partie orientale de la ville et qui, à l’époque de la délibération était nommé Quartiere Libia (Quartier Libye) (en rouge) ; le parc public Giardini Margherita situé au Sud-Est de la ville, toujours au-delà de l’enceinte historique (en bleu) ; trois rues éparpillées dans le centre-ville (en vert).

    Des localisations et des logiques distinctes, donc, et qui ont également été débattus lors de la session du conseil communal en 1949[2], comme rapporté dans l’ouvrage. Les arguments des élu·es touchent en effet la question de la localisation : le conseiller Alberti (parti de la Démocratie chrétienne) regrette le fait que les rues nouvellement nommées soient situées aux marges de la ville. Alberti exprime aussi le regret que la Commission Toponymique n’ait pas imaginé de dédier un quartier entier qu’il propose d’appeler « rione dei Martiri della Libertà » (quartier des Martyrs de la Liberté), aux résistants[3] anti-fascistes. Or, si le quartier ne sera plus appelé « Libye », il est aujourd’hui connu comme « cyrénaïque », du nom d’une des trois provinces traditionnelles libyennes.

    Les arguments portés par les élu·es communaux touchent aussi, en ce qui concerne le quartier Cirenaica (en rouge sur la carte), la question de l’opportunité de dé-nommer des rues en vue d’une re-nomination. La proposition, en effet, consiste à remplacer les noms faisant référence au passé colonial italien par la mise à l’honneur de résistants anti-fascistes. Ceci est valable pour toutes les rues, sauf une : Via Libia ne sera pas touchée par ce changement et garde aujourd’hui encore intacte sa dénomination. Pour rappel, l’Italie a perdu ses colonies à la suite du Traité de Paris de 1947. Deux ans après, lors de la session municipale, la critique au colonialisme est loin d’imprégner les élu·es, y compris celleux qui étaient favorables à honorer les combattants anti-fascistes. Aldo Cucchi, représentant du parti communiste, exprime ainsi son attachement aux colonies perdues :

    « Dans le quartier Libye, en laissant le nom Libye, il reste, disons ainsi, la valeur morale, la signification d’un notre éventuel droit à cette terre. »

    Alberti motive ainsi son opposition au fait de remplacer les noms renvoyant au passé colonial italien :

    « Pourquoi renoncer aujourd’hui à des noms qui pour nous représentent quelque chose, qui représentent un souvenir, car ceux qui ont combattu étaient des travailleurs comme nous le sommes et comme vous l’êtes, et ceux qui étaient là-bas en train de coloniser étaient eux aussi des travailleurs. Ceux-là ont un bon souvenir, et il y a des associations de réfugiés d’Afrique qui pourraient considérer tout ceci comme une sorte d’insulte à leur mémoire. »

    L’introduction à la session écrite par le collectif qui a édité le volume pointe l’incapacité de s’attaquer à la question coloniale à l’époque et incite à en prendre conscience aujourd’hui pour imaginer le futur :

    « En aucun point de la discussion vous ne trouverez la critique au colonialisme que nous sommes en mesure de faire aujourd’hui. Cependant, la décision a été prise, et sur cette décision nous pouvons aujourd’hui nous appuyer, pour aller au-delà – bien au-delà – des précautions, des périphrases et des propos choisis avec tant de précaution. »

    C’est une des tâches que le collectif Resistenze in Cirenaica s’est donnée : aller au-delà, dénoncer les dénominations qui sèment le paysage toponymique italien de dominations coloniales et patriarcales et non seulement fascistes, pour en faire une lutte intersectionnelle. Le collectif, d’ailleurs, a décidé de s’appeler ResistenzE, au pluriel, et non pas ResistenzA au singulier. Les luttes sont pensées également avec une visée internationaliste :

    « Les résistances européennes devraient être lues comme faisant partie d’un cycle beaucoup plus long et insérées dans un contexte planétaire, celui de la lutte anti-coloniale. »

    Iels souhaitent aussi « se libérer de toute forme de regard italocentrique, voire eurocentrique. En Afrique, la résistance fasciste a commencé bien avant la Seconde Guerre mondiale »[4], rappellent-iels dans l’introduction de leur cahier.

    L’aventure de Resistenze in Cirenaica commence, elle, le 27 septembre 2015, quand un groupe de personnes organise une journée de manifestation, musique, marches, projections, récits pour « déterrer les histoires de celleux qui résistèrent aux fascismes, aux colonialismes, aux impérialismes allemand et italien en Afrique et dans les Balkans »[5]. C’était l’occasion de fêter une victoire d’une « bataille » menée par les habitant·es du quartier, car iels avaient réussi à empêcher qu’un parc soit détruit au profit d’un parking, fruit de la spéculation immobilière[6]. La bataille pour l’espace vert s’est aussi matérialisée dans la toponymie du lieu, aujourd’hui officiellement nommé d’après Lorenzo Giusti, cheminot anarchiste[7].

    Une journée que le cahier documente[8] avec beaucoup de précision et soin, en présentant quelques figures dont le nom a fait partie de ceux que Bologne a honoré en leur dédiant une rue, mais aussi à d’autres, qui n’ont pas eu ce privilège : Omar al-Mukhtar, Ilio Barontini, et Vinka Kitarovic notamment. L’intense activité anti-fasciste dans la Croatie actuelle comme en Italie de Vinka Kitarovic, qui a habité dans le quartier, est racontée lorsque le collectif décide, pour la journée du 27 septembre, que son nom doit remplacer la dénomination de Via Libia. Une opération anti-fasciste et féministe, hélas éphémère.

    D’autres femmes prennent petit à petit place dans le quartier. C’est lors de ma dérive urbaine odonymique que mon regard s’arrête sur un faux panneau signalétique, quasi certainement le reste d’une des nombreuses « guerrilla odonymiques » organisées par le collectif. Sous le nom de Sylvia Pankhurst, il est possible de lire : « journaliste et activiste ». Wikipedia m’apprendra que Sylvia Pankhurst, née à Manchester en 1882 et décédée à Addis Abbeba en 1960, a été « particulièrement connue pour son engagement féministe et suffragiste, elle est aussi une militante communiste, anticolonialiste et antiraciste »[9].

    En parcourant Via Libia, je vois aussi apparaître le panneau indiquant « Giardino Benedetto XV », une dénomination récente qui met à l’honneur pape Benoît XV, ni féministe ni anti-fasciste, et encore moins anti-colonialiste, vu que « Monseigneur della Chiesa [Pape Benoît XV] fut un fervent partisan de l’intervention italienne en Libye, conformément à la doctrine de la ‘guerre juste’ »[10], comme le rappelle un texte publié sur le blog de Resistenze in Cirenaica en 2021 et qui dénonce cette mise à l’honneur. Une tâche dans un paysage odonymique du quartier, désormais gardé par des « esprits bienveillants et des noms tutélaires » [11] ; des noms qui rappellent des histoires de la résistance partisane, choisis lors d’une session du conseil communal définie comme « courageuse » par les éditeur·es du petit livret vert… Une décision qui marquera le début du « chantier culturel permanent »[12] initié par le collectif Resistenze in Cirenaica et qui semble bien déterminé à poursuivre le combat pour re-signifier l’espace public.

    https://neotopo.hypotheses.org/7371

    #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #Cirenaica #Bologne #Italie

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  • Il massacro di Addis Abeba

    Ci sono pagine della storia d’Italia che conosciamo ormai a memoria, e altre su cui ancora non è stata scritta la parola “fine”. E poi ci sono le pagine dimenticate, relegate all’oblio perché troppo dolorose. Anche quelle, però, fanno parte del nostro passato. In questo caso, del nostro passato di “potenza imperialista”. La mattina del 19 febbraio 1937, ad Addis Abeba, il viceré Rodolfo Graziani e le autorità italiane che da nove mesi governano un terzo dell’Etiopia celebrano la nascita del primo figlio maschio del principe Umberto di Savoia. Ma un gruppo d’insorti riesce a superare i controlli e, all’improvviso, otto bombe a mano seminano il caos tra quei notabili. Di fronte al bilancio — sette morti e decine di feriti, compreso lo stesso Graziani — il Duce ordina la repressione: “Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi”. È così che si scatena uno dei massacri più ignobili della parentesi coloniale italiana: giorni di terrore, tra omicidi e saccheggi, durante i quali migliaia di innocenti vengono trucidati con sistematica brutalità. Repressione che culmina, nel maggio dello stesso anno, con l’eccidio di centinaia di monaci, preti e pellegrini cristiani della Chiesa etiope, tutti disarmati, radunati nel monastero di Debra Libanos. Intanto, le Camicie nere ne approfittano per azzerare l’intellighenzia del Paese, in un vero e proprio pogrom.Con precisione accademica e passo narrativo, Ian Campell ricostruisce in questo saggio una delle atrocità meno conosciute del regime fascista, analizzandone premesse e conseguenze, senza fare sconti a nessuno. Perché è venuto il momento di guardare in faccia la realtà e l’orrore di quanto accaduto, per non dimenticare né le vittime né i carnefici.

    https://www.rizzolilibri.it/libri/il-massacro-di-addis-abeba
    #livre #Italie #Italie_coloniale #histoire_coloniale #colonialisme #Ethiopie #colonialisme_italien #massacre

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  • Plotone chimico. Cronache abissine di una generazione scomoda

    In queste preziosissime memorie sul colonialismo italiano in Etiopia e in particolare sulla strage di #Zeret, al rigore della testimonianza storica si intrecciano la pietà e l’amore per un popolo e un paese che hanno lasciato il segno nell’animo del soldato italiano #Alessandro_Boaglio. La società e la cultura indigene vengono viste con gli occhi di chi tornato in patria ricorda, rivive e rivede in chiave diversa comportamenti, azioni e stragi efferate delle quali l’autore è stato protagonista, essendo partito per l’impero come sergente maggiore di un reparto chimico.

    https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857501567

    #livre #Italie #Italie_coloniale #histoire_coloniale #colonialisme #Ethiopie #colonialisme_italien

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  • Cronache dalla polvere

    Nel 1936 l’esercito italiano conquista la capitale dell’impero etiope, Addis Abeba. Per quelle popolazioni un nuovo inizio: la #pace_romana, come la definì Benito Mussolini. Cronache dalla polvere racconta questa pagina di storia dell’Italia dimenticata e troppo a lungo taciuta: l’occupazione dei territori dell’Abissinia da parte delle truppe fasciste. Il regime ambiva a farne il fiore all’occhiello dell’Impero italiano ma si trovò a reprimere con atroce violenza la resistenza dei fieri guerriglieri arbegnuoc. Le truppe italiane insieme alle camicie nere si resero protagoniste di rastrellamenti, distruzioni e massacri di uomini, donne e bambini, abbandonando umanità e pietà. Perdute per sempre in quelle terre lontane da Roma. Le popolazioni locali non hanno mai dimenticato quel passato di inaudita violenza. Cronache dalla polvere è un’occasione per ricordare l’orrore della guerra e delle ideologie di superiorità della razza. Questa storia batte al tempo inesorabile dei tamburi di guerra, respira polvere e vento e ha gli occhi dei suoi protagonisti: soldati italiani, guerriglieri etiopi e alcune misteriose presenze. Fantasmi. Il paesaggio africano del secolo scorso rivive con una vena fantastica grazie al racconto corale del collettivo di scrittrici, scrittori e illustratori in tutta la sua spettacolare intensità e drammaticità.

    https://www.bompiani.it/catalogo/cronache-dalla-polvere-9788830100220
    #livre #colonialisme_italien #Italie_coloniale #colonialisme #Italie #histoire_coloniale #Abyssinie #fascisme #arbegnuoc #résistance #violence #Ethiopie #guerre_d'Ethiopie #Rodolfo_Graziani #massacre

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  • #CONTRADE_RIBELLI – Short Movie
    https://www.youtube.com/watch?v=c_WE3QgZMlU

    L’anteprima del cortometraggio Contrade Ribelli sulle narrazioni meticce del cantiere permanente Resistenze in Cirenaica, attivo dal 2015 nel rione bolognese.
    Una produzione RIC, Solipsia e Studio Banshee.

    “CONTRADE RIBELLI” è il primo documentario autoprodotto da SOLIPSIA in collaborazione con STUDIO BANSHEE e RESISTENZE IN CIRENAICA.

    Negli scorsi mesi, qui a Bologna, abbiamo avuto il piacere di conoscere le sorelle e i fratelli di Resistenze In Cirenaica. Fin dal primo giorno la sinergia sprigionatasi nelle lotte, negli intenti e negli animi ha fatto sì che i nostri cammini siano tutt’oggi stabilmente incrociati.
    Da allora, percorriamo insieme le strade e i quartieri di questa città: loro ci hanno raccontato le incredibili storie, gli incantesimi, le evocazioni e gli esorcismi che hanno segnato queste strade, con una particolare – quanto dovuta – attenzione a un rione: la Contrada Ribelle della Cirenaica.
    Noi, dal canto nostro, non potevamo che raccogliere quelle incredibili testimonianze, rimanendo ammaliati da quanto ascoltavamo e guardando con occhi diversi per la prima volta quelle che, fino ad allora, ci erano sempre sembrate apparentemente strade come tante.
    Durante queste notti, spesso siamo stati i testimoni di alcune “apparizioni”: quelle strade, al nostro congiunto passaggio, cambiavano nome e “luce”, riportando in vita i fantasmi e i numi tutelari benevoli che ne hanno nel tempo caratterizzato le cronache e svelato la loro profonda natura rivoltosa. Insomma, insieme abbiamo vissuto vere e proprie Evocazioni.

    Tuttavia tali apparizioni, effimere per natura, sono “condannate”, almeno visivamente, alla sparizione, provocando un leggero rammarico per lo svanire di una presenza, non solo nel suo autore.
    Per questo, abbiamo deciso di realizzare insieme, in collaborazione con Studio Banshee, un documentario che raccontasse proprio Resistenze In Cirenaica, cercando di racchiudere in un cortometraggio la storia di questo incredibile “cantiere permanente”, attivo sin dal 2015.

    Proprio nel giorno in cui il malfermo ponte di Via Libia viene chiuso per lavori di riqualificazione e inizia il percorso di cancellazione delle tracce del rituale che ha visto l’apparizione dei custodi della memoria partigiana e dei fantasmi del rimosso coloniale, siamo lieti di presentarvi finalmente il teaser, primo estratto di “CONTRADE RIBELLI”.

    https://www.solipsia.it/contrade-ribelli-short-movie

    #court-métrage #vidéo #film #film_documentaire
    #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #Cirenaica #Bologne #Italie #diversité #métissage #colonialisme #néo-colonialisme #histoire_coloniale #odonomyie #noms_de_rue #magie_blanche #partisans #Lorenzo_Giusti #guérilla_odonymique

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  • I luoghi della memoria dell’Italia fascista

    Il territorio di questo paese conserva molte tracce del suo passato fascista sotto forma di edifici, monumenti, ma anche nomi di strade, vie o scuole. In alcuni casi, quando simboli, monumenti e intitolazioni sono presenti nella nostra vita quotidiana senza essere oggetto di commemorazione o ricostruzione memoriale specifica, essi giacciono lì, muti per la maggior parte della popolazione, ma presenti e disponibili a diversi tipi di riattivazione. In altri casi questi luoghi sono invece oggetto di commemorazioni e cerimonie, per lo più presidi di una memoria minoritaria, ma che riappare carsicamente nella storia d’Italia, coltivate da minoranze neofasciste o della nuova destra, che cercano di costruire un ponte che legittimi il presente attraverso la storia del passato fascista, ma anche che permetta di coltivare costruzioni identitarie antidemocratiche.

    Per riflettere su questi fenomeni, l’Istituto nazionale Ferruccio Parri ha avviato un progetto che ha l’obiettivo di mappare e ricostruire progressivamente la storia dei ‘luoghi della memoria’ locale e nazionale del fascismo storico (1919-1945). Obiettivo del progetto è individuare e analizzare i monumenti e le intitolazioni di strade e edifici pubblici che sono stati costruiti come luoghi della memoria del fascismo durante il regime o negli anni successivi alla Liberazione del paese.

    Questa mappatura ha l’obiettivo di verificare la geografia di questi monumenti e di queste intitolazioni ricorrenti; leggerne la stratificazione storica e in ogni caso ricostruire la storia di questi luoghi della memoria, del significato che hanno assunto del tempo e di come sono stati modificati dal tempo o dagli uomini e dalle donne di questo paese. Questa ricerca dovrebbe così permettere di leggere e analizzare i diversi modi in cui nelle composite comunità locali e territoriali la memoria del fascismo è stata preservata e/o ricostruita, come questa costruzione si collochi in relazione con altre memorie politiche e come, nel corso di questi anni, in concomitanza con la rilegittimazione in corso dell’esperienza fascista, queste memorie si siano ridefinite e rialimentate. Questo progetto ha nutrito anche una riflessione scientifica più articolata, che è stata ripresa e riarticolata nel volume curato da Giulia Albanese e Lucia Ceci intitolato I luoghi del fascismo. Memoria, politica e rimozione (Viella, 2022).

    Questo progetto è coordinato da Giulia Albanese insieme a un gruppo di lavoro del comitato scientifico del Parri composto da Filippo Focardi (direttore scientifico dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri), Mirco Carrattieri, Lucia Ceci, Costantino Di Sante, Carlo Greppi, Metella Montanari, Nicola Labanca. Questo gruppo, a partire dal 2021, è stato sostituito dai membri del nuovo Comitato scientifico del Parri (2021-2024): Filippo Focardi (Direttore scientifico, Presidente), Laura Bordoni, Lucia Ceci, Annalisa Cegna, Chiara Colombini, Andrea Di Michele, Nicola Labanca, Matteo Mazzoni, Santo Peli, Antonella Salomoni, Giovanni Scirocco.

    Il progetto del sito e del database è stato realizzato da Igor Pizzirusso.
    Antonio Spinelli e Giulia Dodi hanno invece curato redazione, approfondimento scientifico e validazione delle schede (oltre a contribuire con ulteriori segnalazioni).
    Fondamentale è stato il lavoro dei volontari della rete degli istituti per la storia della resistenza che hanno inviato segnalazioni o realizzato il primo censimento, ma anche da studiosi indipendenti che hanno collaborato all’individuazione dei luoghi e alla loro schedatura. Questa ricerca è dunque il frutto di un progetto collaborativo e in progress, ma ciascuna scheda riporta l’indicazione dell’autore della compilazione.

    L’Istituto nazionale Ferruccio Parri ha aperto una collaborazione con Postcolonialitaly.com, per rendere disponibili a quel progetto i luoghi coloniali censiti in questo sito e ricevere le schede di quel sito con riferimento ai luoghi coloniali che sono pertinenti per questo progetto. Nella scheda descrittiva daremo conto di eventuali schede derivate da quel progetto.


    https://www.luoghifascismo.it

    #Italie_fasciste #fascisme #Italie #cartographie #traces #visualisation #mémoire #toponymie #toponymie_politique #toponymie_fasciste

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    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale (la question coloniale se chevauche avec la question fasciste) :
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    • I luoghi del fascismo. Memoria, politica, rimozione

      Cosa resta dei monumenti, dei complessi architettonici, delle opere d’arte attraverso cui il fascismo intese esplicitamente celebrare e tramandare sé stesso? Quale uso è stato fatto nell’Italia repubblicana di queste tracce materiali?

      In che modo la memoria dei luoghi del fascismo somiglia a quanto è avvenuto in altri stati con esperienze analoghe?

      Il volume indaga questi temi a partire da alcuni luoghi particolarmente significativi nella storia italiana (presenti in città come Roma, Milano, Latina, Livorno, Padova o in piccoli centri della Calabria) e di alcuni paesi europei (Germania, Spagna, Portogallo). Il lavoro si inserisce in un ampio progetto di ricerca dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri finalizzato alla mappatura dei luoghi della memoria commemorativa del fascismo in Italia.

      https://www.viella.it/libro/9791254691908

      #livre

  • Storia del colonialismo italiano. Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni

    Il colonialismo si è intrecciato con la storia d’Italia dall’Ottocento alla Seconda guerra mondiale e ha proiettato la sua ombra anche nel periodo repubblicano, fino ai giorni nostri. Muovendo dal più recente dibattito storiografico, il volume ricostruisce per la prima volta in maniera sistematica e sintetica la storia dell’espansionismo italiano in Africa in età liberale e durante il ventennio fascista e ripercorre le vicende delle sue eredità e implicazioni nell’Italia del secondo Novecento e del XXI secolo. Si raccontano non solo i progetti politici, le relazioni diplomatiche, le operazioni militari, le violenze dell’occupazione, le leggi razziste, ma anche i movimenti di persone da e per l’Africa e il modo con cui la scuola, i libri, i film, la scienza e i monumenti hanno reso possibile l’espansione, contribuendo a costruire immaginari che influenzano ancora oggi le vite di milioni di donne e di uomini.

    https://www.carocci.it/prodotto/storia-del-colonialismo-italiano

    #histoire #Italie #colonialisme_italien #Italie_coloniale #histoire_coloniale #fascisme #expansionnisme #Afrique

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  • Le invisibili

    L’oscuro passato di un’Italia coloniale raggiunge il presente attraverso le generazioni. Le storie private di due famiglie catapultano il lettore in una Storia che, come ogni altra epoca che l’ha preceduta e che seguirà, si consuma sul corpo delle donne, mentre nessuno guarda.

    https://neripozza.it/libro/9788854529120

    #livre #Italie_coloniale #colonialisme_italien #roman #Italie_coloniale #femmes #Elena_Rausa

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  • Perché serve mappare i “segni” del fascismo presenti nelle nostre città

    Targhe, intitolazioni e monumenti. I “resti” del regime ancora evidenti sul territorio italiano sono stati raccolti in una piattaforma online dall’Istituto nazionale Ferruccio Parri. Ma tocca alla cittadinanza decidere in che modo agire per dargli un nuovo senso.

    Nell’atrio della questura di Trieste è impossibile non vedere una lapide che ricorda i nomi dei poliziotti caduti nel compimento del proprio dovere. Nell’elenco compare anche quello di Gaetano Collotti e di altri agenti che tra il 1942 e il 1945 avevano fatto parte dell’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza incaricato alla repressione di partigiani e antifascisti. A Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, c’è ancora una via intitolata a Emilio De Bono, gerarca della prima ora e quadrumviro della Marcia su Roma. All’imbocco della galleria ferroviaria tra Ibla e Ragusa (RG) è ancora visibile la scritta: “Duce, i nostri caduti di guerra saranno vendicati”. Per non parlare dell’imponente obelisco all’ingresso del Foro italico di Roma, con le scritte “Mussolini” e “Dux”.

    Sono solo alcuni esempi -piccoli e grandi- dei molti luoghi dove ancora oggi è possibile trovare tracce del passato fascista dell’Italia, raccolti dai ricercatori dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri (che coordina la rete degli istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea in Italia) in una mappa online nell’ambito del progetto “I luoghi del fascismo” e che è possibile approfondire attraverso singole schede dedicate a ciascuna targa, intitolazione o monumento censito. “Il fascismo aveva un’idea molto chiara del fatto che il controllo politico del territorio passava necessariamente anche attraverso l’intitolazione di strade e monumenti -spiega Giulia Albanese, professoressa di Storia contemporanea presso l’Università di Padova e coordinatrice del progetto-. La forza di questo impatto, tuttavia, non è mai stata oggetto di una riflessione ampia da parte della classe dirigente dell’Italia repubblicana”.

    Il progetto affonda le sue radici in una discussione all’interno della rete degli Istituti per la storia della Resistenza rispetto ai simboli del regime ancora evidenti sul territorio. “A innescare questo percorso, nel 2018, fu il dibattito attorno alla possibile istituzione di un museo del fascismo a Predappio -ricorda Albanese-. La mia proposta fu quella di ragionare in maniera complessiva su quali fossero i luoghi commemorativi ancora presenti oggi in Italia e così, pur tra molte difficoltà, abbiamo dato il via alla mappatura”.

    Nel database e nella mappa sono stati inseriti monumenti e lapidi, scritte, intitolazioni di scuole e di vie che commemorano personaggi ed episodi legati al fascismo, sia a livello nazionale sia locale. Per individuarli è stato necessario applicare alcuni criteri: “Il territorio italiano è pieno di opere architettoniche che nel dopoguerra sono state utilizzate per altri scopi: noi abbiamo scelto di includere solo quelle che avevano forti segni commemorativi ancora visibili”, spiega Albanese. Un’analoga selezione è stata fatta per le vie che portano il nome di protagonisti o di luoghi legati al colonialismo italiano: in questo caso la scelta è stata di inserire solo quelle intitolate dopo il 1922, anno della presa del potere da parte di Mussolini. Il lavoro ha portato non solo alla creazione del sito (che può essere costantemente aggiornato ed è possibile inviare le proprie segnalazioni grazie a un apposito form) ma anche alla pubblicazione del volume “I luoghi del fascismo. Memoria, politica, rimozione” (Viella, 2022): una raccolta di saggi a firma di diversi autori che approfondiscono vari aspetti del tema.

    Da un punto di vista temporale parte di questi monumenti e di queste intitolazioni risalgono agli anni Venti e Trenta del Novecento e non sono stati rimossi con la caduta del regime. “Dopo il 1945 ci sono state alcune indicazioni in tal senso dalla presidenza del Consiglio dei ministri -ricorda Albanese- ma in generale la questione è stata demandata alle autorità, alle sensibilità e alle culture politiche locali. Nel nostro Paese è mancata una riflessione collettiva su che cosa fare con questo patrimonio e come agire per costruire un segno dell’Italia repubblicana sul nostro territorio”. Non solo: anche dopo il 25 aprile 1945 ci sono state nuove intitolazioni. “Questo è legato alla normalizzazione e alla banalizzazione dell’esperienza fascista, soprattutto nell’immediato dopoguerra. Poi, tra gli anni Ottanta e Novanta, assistiamo al ritorno nell’odonomastica di una serie di figure legate alla memoria di quel periodo storico e alla Repubblica sociale italiana, che fino a quel momento erano assenti -riprende Albanese-. Questa fase coincide con l’ascesa politica di Alleanza nazionale che ha fatto sì che alcune figure tornassero in auge. Ma non solo: fu Francesco Rutelli a proporre, nel 1995, di intitolare una strada di Roma a Giuseppe Bottai, già ministro sotto il fascismo. Segno anche di una certa inconsapevolezza di fronte a questi temi del mondo democratico e della sinistra”.

    Che cosa fare, quindi, con questa eredità poco evidente ma decisamente ingombrante? “Il nostro compito, come storici, è stato quello di individuare e mappare i segni commemorativi del fascismo al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica. È arrivato il momento di affrontare questo tema in un’ottica nazionale, superando le polemiche sui singoli episodi come è avvenuto in passato. Accogliere questa consapevolezza, discutere per valutare le opzioni possibili è una scelta politica, che riguarda la polis e il modo con cui questa si relaziona con la propria storia”, sottolinea Albanese. Possibili risposte agli interrogativi su che cosa fare di questi luoghi sono offerte da due episodi di risignificazione. Il primo riguarda l’arco di trionfo costruito a Bolzano nel 1928 per celebrare la “vittoria” italiana della Prima guerra mondiale: nel 2014, contestualmente a un intervento di restauro, è stato inaugurato un percorso espositivo dedicato alla storia della città tra il 1918 e il 1945 che permette agli osservatori di contestualizzare il monumento. Il secondo arriva dal Comune di Palazzolo Acreide (SR) dove nel 1936 venne posta una lapide per ricordare “l’enorme ingiustizia” delle sanzioni comminate all’Italia dalla Società delle Nazioni a seguito dell’invasione dell’Etiopia. “Nel 2014 l’amministrazione comunale ha deciso di non rimuoverla ma di affiancarla a una targa in vetro che esprime la lontananza politica e culturale dagli avvenimenti citati -conclude Albanese-. Questi processi di contestualizzazione storica sono molto efficaci perché aiutano a costruire una condivisione di valori attorno a episodi del passato senza censurarli”.

    https://altreconomia.it/perche-serve-mappare-i-segni-del-fascismo-presenti-nelle-nostre-citta

    #Italie #toponymie_coloniale #toponymie_politique #noms_de_rue

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