I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

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  • Respingimenti alla frontiera con la Slovenia: i dati che smontano gli annunci del governo

    A fine 2022 il Viminale aveva prefigurato la ripresa delle riammissioni dei migranti, già dichiarate illegittime. Lubiana si è però rifiutata di accettarle nel 90% dei casi. Le autorità di frontiera hanno dovuto perciò virare sui provvedimenti di espulsione: oltre 650 in pochi mesi, di cui 500 a carico di cittadini afghani tecnicamente inespellibili

    Le “riammissioni” dei migranti verso la Slovenia annunciate dal governo italiano a fine 2022 sono state un flop. Dati inediti trasmessi dal Viminale ad Altreconomia mostrano infatti che quasi tutte quelle “proposte” dall’Italia tra dicembre 2022 e metà marzo 2023 sono state rifiutate da Lubiana: ben 167 sulle 190 “tentate” dalle autorità di frontiera italiane.
    “L’annuncio trionfale delle riammissioni rivela la sua autentica natura -commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e membro della rete RiVolti ai Balcani-: un annuncio politico volutamente vago che celava la consapevolezza che quelle pratiche erano e restano illegali”.

    Per comprendere ragioni e proporzioni della bolla propagandistica “esplosa” alla frontiera orientale occorre fare un passo indietro al dicembre del 2022, quando cioè il Viminale diffonde tramite agenzie la notizia di una nuova direttiva finalizzata al “rafforzamento dei controlli sui flussi della rotta balcanica”. Viene prefigurata la ripresa delle riammissioni -cioè dei respingimenti- verso la Slovenia, con tanto di invito rivolto ai prefetti di Trieste, Gorizia e Udine di “adottare iniziative volte a dare ulteriore impulso all’attività di vigilanza sulla fascia di confine”.

    Non è il ministro Piantedosi a firmare quella “direttiva” ma la sua capa di gabinetto, la prefetta Maria Teresa Sempreviva. Lo schema sembra voler replicare quanto già visto nella primavera 2020, quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, il suo capo di gabinetto era Piantedosi e il prefetto di Trieste si chiamava Valerio Valenti, appena nominato Commissario governativo “all’emergenza migranti”. Sappiamo come è andata a finire: quasi 1.300 persone riammesse “informalmente” (https://altreconomia.it/rotta-balcanica-nel-2020-record-di-respingimenti-dallitalia-verso-la-sl), cioè senza avere in mano alcun provvedimento scritto, tra maggio e dicembre di quell’anno, in forza di una circolare ministeriale a firma di Piantedosi -mai resa pubblica- che si richiamava al contestato accordo bilaterale tra Italia e il Paese di confine datato 1996, mai ratificato dal Parlamento, in contrasto con la Costituzione. Dietro l’espressione burocratica delle “riammissioni” c’erano in realtà veri e propri respingimenti a catena, con le persone, richiedenti asilo inclusi, spostate come pacchi tra le polizie di frontiera, per finire poi scaricate nell’arco di poche ore in Bosnia ed Erzegovina. Nel gennaio 2021, con un’ordinanza di capitale importanza, il tribunale di Roma, per mano della giudice Silvia Albano e sulla base di un ricorso presentato dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla, dichiarò la grave illegittimità di quelle riammissioni-respingimenti (https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min), costringendo il Viminale a fare un’imbarazzata marcia indietro: l’Italia aveva consapevolmente esposto le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. E nessuno dei governi che si sono succeduti da allora ha mai riconosciuto il carattere illegale di quelle procedure, come ben racconta anche il film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore.

    Trascorsi nemmeno due anni dall’ordinanza di Roma, a dicembre 2022 arriva come detto l’annuncio della nuova “circolare Sempreviva”, tanto pubblicizzata a bocconi e virgolettati estratti sui media quanto sottratta nella sua interezza all’opinione pubblica. L’accesso civico presentato da Altreconomia nei mesi scorsi è stato infatti negato dal gabinetto del ministro dell’Interno per presunte ragioni di cooperazione di polizia e del “concreto pregiudizio” alla “integrità dei rapporti internazionali” con Slovenia e Austria. Ancora una volta rifacendosi al decreto ministeriale Lamorgese del marzo 2022 che ha dato un colpo durissimo alla trasparenza lungo le frontiere.

    I dati ottenuti oggi chiariscono la natura propagandistica di quegli annunci. Ma c’è di più. In questo scenario prossimo alla farsa si inserisce infatti anche Lubiana. Interpellata sulle ragioni del “no” opposto alle riammissioni tentate dall’Italia, la polizia slovena, per bocca del rappresentante Drago Menegalija, ci ha fatto sapere che il “motivo principale del rifiuto di riammissione […] è la mancanza di prove presentate nella richiesta di riammissione alla polizia slovena in relazione al fatto che i migranti avrebbero (precedentemente) soggiornato nel territorio della Slovenia”. Aggiungendo poi che “in base all’accordo tra i Paesi, i rimpatri avvengono continuamente” e che “l’accordo definisce chiaramente i criteri in base ai quali possiamo accogliere solo i migranti che sono entrati in Italia attraverso la Slovenia, che sono stati fermati nella fascia di confine e che non hanno fatto richiesta di protezione internazionale in Italia”.

    L’avvocata Caterina Bove aiuta a capire le ragioni del mutato atteggiamento della Slovenia: “Quel Paese non ha alcun interesse a riammettere sul proprio territorio coloro che sono giunti in Italia -spiega-. Il cambio di governo da un lato e l’ingresso della Croazia nell’area Schengen (avvenuto il primo gennaio 2023) dall’altro, consentono ora alla Slovenia di ricoprire un ruolo più ‘leggero’ nel contrasto ai flussi, ricevendo una minore pressione dall’Europa. Questo escamotage le consente di tenere anche i buoni rapporti con l’Italia, senza troppo colpo ferire. Tanto sa che le persone non intendono fermarsi lì”.

    La risposta della polizia slovena, pur orientata a preservare le relazioni diplomatiche con l’Italia (“The relations between the police forces of both countries are very good”, si legge nella risposta), fa però trasparire alcuni aspetti importanti. Il primo, secondo Gianfranco Schiavone, è l’”evidente preoccupazione rispetto all’operato della polizia italiana”. “La nota slovena evidenzia infatti come le riammissioni, secondo il diritto interno di quello Stato, non possono avere seguito quando non sia stata provata la provenienza degli stranieri dal territorio sloveno né soprattutto quando gli stranieri abbiano manifestato l’intenzione di chiedere protezione internazionale in Italia. Con tale risposta le autorità slovene mettono una pietra tombale sulla questione, lampante dal punto di vista giuridico, ma mai ammessa formalmente dalle autorità italiane, che è tassativamente proibita la riammissione degli stranieri che intendono chiedere asilo in Italia. L’abnorme numero delle tentate riammissioni chieste da parte italiana, pressoché tutte rigettate, fa emergere un quadro oscuro sull’operato italiano poiché, a seconda degli ordini politici del momento, stranieri che si trovano nella medesima condizione giuridica finiscono per subire trattamenti completamente diversi; così al medesimo cittadino afghano può accadere di accedere alla domanda di asilo oppure di vedersi oggetto di una tentata la riammissione illegittima in Slovenia, o infine essere espulso dall’Unione europea con provvedimento delle autorità italiane benché inespellibile”.

    Quella di Schiavone non è una forzatura. Non potendo compiere le riammissioni ordinate dall’alto perché palesemente illegali ma essendo costrette al contempo a dar l’idea del “pugno duro”, le autorità di frontiera hanno dovuto così virare sui provvedimenti di espulsione. Lo dimostrano i dati relativi ai provvedimenti di espulsione e allontanamento trasmessi ad Altreconomia dalla prefettura di Trieste: tra la fine del 2022 e il primo trimestre 2023 ne sono stati adottati oltre 650, di cui oltre 500 a carico di persone in fuga dall’Afghanistan e giunte a Trieste dalla “rotta balcanica”. Un numero impressionante se confrontato con i mesi precedenti e che risponde appunto alla necessità di dar seguito, anche solo sulla carta, alle indicazioni governative. Indicazioni disposte a tutto, anche a negare l’evidente bisogno di protezione di persone tecnicamente inespellibili, e che sollevano forti dubbi sulla corretta attività informativa in tema di diritto d’asilo condotta dalle autorità di frontiera.

    Schiavone parla di una dinamica “sconcertante”. “In primo luogo va evidenziata la radicale illegittimità dei provvedimenti di espulsione che sono stati emanati”. Il Testo unico sull’immigrazione prevede infatti che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Di più: la norma aggiunge che “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. “Questa disposizione è di inequivoca interpretazione dal momento che l’espressione ‘in nessun caso’ rappresenta un divieto assoluto che non ammette eccezioni di sorta -chiarisce Schiavone-. L’indiscutibile condizione di estremo pericolo in cui si trova oggi qualsiasi cittadino afghano che sia fuggito dal suo Paese configura l’assoluta proibizione di emettere nei suoi confronti un provvedimento di espulsione verso il suo Paese. Tutto ciò era pienamente noto alla prefettura di Trieste che però ha agito in contrasto con la normativa e alla quale andrebbe dunque chiesto di fornire precise spiegazioni di tale condotta”.

    “Una motivazione che immagino potrebbe essere avanzata da quella amministrazione al fine di sostenere le proprie scelte -non si nasconde Schiavone- è che i cittadini afghani, pur essendo palesemente persone con chiaro bisogno di protezione, non avevano manifestato alle autorità di frontiera la loro volontà di chiedere protezione internazionale in Italia e che, fallita la loro tentata riammissione in Slovenia, l’unica ‘via d’uscita’ per le autorità italiane era stata quella di emettere nei confronti di questi stranieri un provvedimento di espulsione confidando che tutti gli interessati si sarebbero dispersi, come in effetti è accaduto. Una simile motivazione è radicalmente infondata e semmai solleva ulteriori gravi interrogativi su che cosa sia accaduto ancora una volta alla sempre inquieta frontiera italo-slovena nell’inverno 2022-2023. Oltre ai già evidenziati profili di illegittimità dei provvedimenti per inespellibilità degli stranieri verso il loro Paese appare necessario sapere se a quegli stranieri sia stata fornita o no l’assistenza e l’informazione sull’esercizio dei loro diritti che il diritto dell’Unione europea prevede”.

    Il presidente dell’Ics di Trieste si rifà al “Manuale comune ad uso delle autorità competenti degli Stati membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone” diramato dalla Commissione europea. È lì dentro, nel cosiddetto Manuale Schengen, che si evidenzia come “un cittadino di Paese terzo deve essere considerato un richiedente asilo/protezione internazionale se esprime in un qualsiasi modo il timore di subire persecuzioni o danni gravi facendo ritorno al proprio Paese di origine o nel paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale”. È una sottolineatura importante perché “l’intenzione di chiedere protezione internazionale non deve essere manifestata in una forma particolare”. Non occorre dunque che la parola “asilo” sia pronunciata espressamente: “l’elemento determinante è l’espressione del timore di quanto potrebbe accadere in caso di ritorno”.

    Non si può strumentalmente fraintendere l’eventuale silenzio delle persone in transito: “L’attività della polizia di frontiera deve essere orientata perciò a escludere ogni ragionevole dubbio sull’esistenza di una situazione di pericolo verso persone che potrebbero non formulare in modo esplicito la domanda di protezione in modo diretto, perché vogliono ad esempio proseguire il viaggio per raggiungere famigliari o parenti in altri Paesi, come è noto accade per gran parte dei rifugiati che entrano in Italia”, aggiunge ancora Schiavone.

    Affinché sia effettivo il diritto di chiedere asilo o protezione alla frontiera (dovrebbe valere via terra così come via mare) e di presentare la relativa domanda il prima possibile, continua il Manuale Schengen, “le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire (come e dove presentare la domanda), nonché dei loro diritti e doveri, incluse le conseguenze possibili dell’inosservanza dei loro obblighi e di una mancata collaborazione con le autorità”.

    Gli fa eco l’avvocata Anna Brambilla: “Che tipo di informativa legale viene fatta a queste persone in arrivo dalla Slovenia e per le quali è adottato un provvedimento di espulsione? Dai dati ottenuti possiamo concludere che delle due l’una: o le autorità italiane non fanno un’informativa adeguata oppure tentano di riammettere nell’altro territorio persone che non dovrebbero essere espulse”.

    “Il riferimento all’obbligo di informare gli stranieri delle possibili conseguenze dell’inosservanza dei loro obblighi di cooperazione con le autorità è un elemento cruciale per valutare la corretta condotta delle forze di polizia di frontiera -riprende Schiavone-. Ci sono chiari motivi per ritenere che la condotta della polizia di frontiera terrestre a Trieste nella gestione dell’ammissione al territorio degli stranieri con chiaro bisogno di protezione sia stata impostata su un modus operandi assai lontano rispetto a quello prescritto dalle indicazioni sopra riportate. Non sappiamo come sono stati condotti i colloqui con gli stranieri, se e quanti erano i mediatori in servizio nelle diverse lingue e quale informazione sia stata fornita agli stranieri. Ciò che sappiamo è che nessun osservatore terzo indipendente è mai stato ammesso a quella frontiera e che anche la presenza di funzionari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stata, almeno in alcuni periodi, assai intermittente”.

    Quello che è certo è che centinaia di persone alla frontiera hanno affrontato in questi mesi le sorti più diverse. Ma non per l’applicazione di norme -e delle loro relative garanzie- quanto per l’obbedienza a ordini e umori del governo: “La certezza del diritto è totalmente assente -denuncia Schiavone-. Siamo in una sorta di terra di nessuno dove ogni irregolarità diviene sempre possibile e l’arbitrio diventa l’unica certezza”.

    https://altreconomia.it/respingimenti-alla-frontiera-con-la-slovenia-i-dati-che-smontano-gli-an
    #asile #migrations #frontières #frontière_sud-alpine #Alpes #Slovénie #Italie #push-backs #refoulements #chiffres #statistiques #réadmissions #réfugiés_afghans #Maria_Teresa_Sempreviva #refoulements_en_chaîne #circolare_Sempreviva

  • Pubblicato il dossier di RiVolti ai Balcani

    L’obiettivo: rompere il silenzio sulla rotta balcanica, denunciando quanto sta avvenendo in quei luoghi e lanciando chiaro il messaggio che i soggetti vulnerabili del #game” non sono più soli.

    Il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” della neonata rete “RiVolti ai Balcani” è composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali.

    Il report è la prima selezione e analisi ragionata delle principali fonti internazionali sulle violenze nei Balcani che viene pubblicata in Italia. Un capitolo esamina la gravissima situazione dei respingimenti alla frontiera italo-slovena.

    http://www.icsufficiorifugiati.org/la-rotta-balcanica-i-migranti-senza-diritti-nel-cuore-delleurop

    #rapport #rivolti_ai_balcani #ICS #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #Balkans #route_des_balkans #the_game

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    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

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    ajouté à la métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans :
    https://seenthis.net/messages/1009117

    • Riammissioni tra Italia e Slovenia : 32 migranti rimandati di nuovo sulla Rotta

      „Tante sono le persone che il Dipartimento di polizia di #Capodistria ha ricevuto da parte delle autorità italiane. Nel giro di qualche settimana tenteranno nuovamente di passare“

      Continua il fenomeno delle riammissioni di migranti che le autorità italiane riconsegnano alla polizia slovena in base agli accordi firmati tra Roma e Lubiana nel 1996. Nelle ultime 24 ore sono 32 le persone rimandate nel territorio della vicina repubblica. Nel dettaglio, sono 31 cittadini di origine pakistana e una persona proveniente invece dal Marocco. La Rotta balcanica alle spalle di Trieste ha ripreso vigore nelle ultime settimane, con la conferma che arriva dai dati diffusi dal Dipartimento di polizia di Capodistria negli ultimi 10 giorni e dal corposo rintraccio avvenuto due giorni fa nella zona della #val_Rosandra, in comune di #San_Dorligo_della_Valle/Dolina.

      I dati dell’ultimo periodo

      Ai circa 150 migranti rintriaccati dalle autorità slovene negli ultimi giorni, vanno agigunti altri 13 cittadini afghani e quattro nepalesi. Dai campi profughi della Bosnia è iniziata la fase che vede i migranti tentare di passare i confini prima dell’arrivo delle rigide temperature che caratterizzano l’inverno sulla frontiera con la Croazia. Riuscire a farcela prima che cominicino le forti nevicate signfiica non dover aspettare fino a primavera. Nel frattempo, gli addetti ai lavori sono convinti che non passeranno troppe settimane prima che gli stessi migranti riammessi in Slovenia vengano nuovamente rintracciati in territorio italiano.

      https://www.triesteprima.it/cronaca/rotta-balcanica-migranti-slovenia-italia-riammissioni.html

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission

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      ajouté à cette liste sur les accords de réadmission entre pays européens :
      https://seenthis.net/messages/736091

    • "Le riammissioni dei migranti in Slovenia sono illegali", il Tribunale di Roma condanna il Viminale

      Per la prima volta un giudice si pronuncia sulla prassi di riportare indietro i richiedenti asilo in base a un vecchio accordo bilaterale. «Stanno violando la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali». L’ordinanza nasce dal ricorso di un 27 enne pakistano

      «La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia è illlegittima sotto molteplici profili». Non sono le parole di un’associazione che tutela i diritti dei migranti o di una delle tante ong che denuncia da mesi violenze e soprusi sulla rotta balcanica. Questa volta a dirlo, o meglio, a scriverlo in un’ordinanza a suo modo storica e che farà giurisprudenza, è una giudice della Repubblica. E’ il primo pronunciamento di questo tipo. Un durissimo atto d’accusa che porta l’intestazione del «Tribunale ordinario di Roma - Sezione diritti della persona e immigrazione» e la data del 18 gennaio 2021. Con le riammissioni informali sul confine italo-sloveno, che si tramutano - come documentato di recente anche da Repubblica - in un respingimento a catena fino alla Bosnia, il governo italiano sta violando contemporaneamente la legge italiana, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e persino lo stesso accordo bilaterale.

      La storia di Mahmood

      L’ordinanza emessa dalla giudice Silvia Albano è l’esito di un procedimento cautelare d’urgenza. Il pakistano Mahmood contro il ministero dell’Interno. Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si chiedeva al Tribunale «di accertare il diritto del signor Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia». La storia di questo 27 enne non è diversa da quella di migliaia di migranti che partecipano al Game, come nei campi profughi della Bosnia è stata beffardamente ribattezzata la pericolosa traversata dei boschi croati e sloveni. A metà del luglio scorso Mahmood raggiunge la frontiera di Trieste dopo il viaggio lungo rotta balcanica durante il quale ha subito violenze e trattamenti inumani, provati da una serie di fotografie che ha messo a disposizione del magistrato. E’ fuggito dal Pakistan «per le persecuzioni a causa del mio orientamento sessuale». Giunto in Italia insieme a un gruppo di connazionali, è rintracciato dagli agenti di frontiera e portato in una stazione di polizia italiana.

      «Minacciato coi bastoni dalla polizia italiana»

      Nel suo ricorso Mahmood sostiene di aver chiesto esplicitamente ai poliziotti l’intenzione di presentare la domanda di protezione internazionale. Richiesta del tutto ignorata. La sua testimonianza, evidentemente ritenuta attendibile dalla giudice Albano, prosegue col racconto di quanto accaduto all’interno e nelle vicinanze della stazione di frontiera. Si legge nell’ordinanza: «Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone». Da lì in poi il suo destino del pakistano è segnato: riportato nell’affollato campo bosniaco di Lipa, ha dormito alcune notti in campagna, infine ha trovato rifugio in un rudere a Sarajevo.

      Il Viminale non poteva non sapere

      Secondo il Tribunale di Roma ci sono tre solide ragioni per ritenere illegali le riammissioni in Slovenia. La prima. Avvengono senza che sia rilasciato alcun pezzo di carta legalmente valido. «Il riaccompagnamento forzato - scrive Albano - incide sulla sfera giuridica degli interessati quindi deve essere disposto con un provvedimento amministrativo motivato impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria». La seconda attiene al rispetto della Carta dei diritti fondamentali, che impone la necessità di esame individuale delle singole posizioni e vieta espulsioni collettive. E’ uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza. «Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali. Il ministero era in condizioni di sapere, alla luce dei report delle Ong, delle risoluzioni dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazioanale, che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani».

      Infine la terza ragione, che sbriciola la posizione ufficiale del Viminale, rappresentata al Parlamento dal sottosegretario Achille Variati durante un question time in cui è stato affermato che le riammissioni si applicano a tutti, anche a chi vuol presentare domanda di asilo. Scrive invece la giudice: «Non si può mai applicare nei confronti di un richiedente asilo senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale e lo stesso contenuto dell’Accordo bilaterale con la Slovenia».

      La condanna

      Per queste tre ragioni, il Viminale è condannato a prendere in esame la domanda di asilo di Mahmood, consentendogli l’immediato ingresso nel territorio italiano, e a pagare le spese legali. E’ la vittoria di Gianfranco Schiavone, componente del direttivo Asgi e presidente del Consorzio italiano di Solidarietà, che da mesi denuncia quanto sta accadendo sul confine italo-sloveno. Nel 2020 le riammissioni informali sono state circa 1.300. E’ la vittoria soprattutto delle due legali che hanno presentato il ricorso e sostenuto la causa, Anna Brambilla e Caterina Bove. «Siamo molto soddisfatte della pronuncia», commenta Brambilla. «Alla luce di questa ordinanza si devono interrompere subito le riammissioni informali in Slovenia perché sia garantito l’accesso al diritto di asilo».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/21/news/viminale_condannato_riammissioni_illegali_respingimenti_slovenia_migranti

      #condamnation #justice

    • I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

      Per il Tribunale di Roma le “riammissioni” del Viminale a danno dei migranti hanno esposto consapevolmente le persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. Il caso di un cittadino pachistano respinto a catena in Bosnia. L’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso, ricostruisce la vicenda e spiega perché l’ordinanza è importantissima

      I respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano e praticati con sempre maggior intensità dalla primavera 2020 al confine con la Slovenia sono “illegittimi”, violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale, e hanno esposto consapevolmente i migranti in transito lungo la “rotta balcanica”, inclusi i richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” oltreché a “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.

      A cristallizzarlo, demolendo la prassi governativa delle “riammissioni informali” alla frontiera orientale, è il Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione) con un’ordinanza datata 18 gennaio 2021 e giunta a seguito di un ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla (foro di Trieste e Milano, socie Asgi) nell’interesse di un richiedente asilo originario del Pakistan respinto dall’Italia nell’estate 2020 una volta giunto a Trieste e ritrovatosi a Sarajevo a vivere di stenti.

      Le 13 pagine firmate dalla giudice designata Silvia Albano tolgono ogni alibi al Viminale, che nemmeno si era costituito in giudizio, e riconoscono in capo alle “riammissioni informali” attuate in forza di un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 1996 la palese violazione, tra le altre fonti, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E non solo quando colpiscono i richiedenti asilo ma tutte le persone giunte al confine italiano.

      Abbiamo chiesto all’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso insieme a Brambilla, di spiegarci perché questa ordinanza segna un punto di svolta.

      Avvocata, facciamo un passo indietro e torniamo al luglio 2020. Che cosa è successo a Trieste?
      CB Dopo aver attraversato la “rotta balcanica” con grande sofferenza e aver tentato almeno dieci volte di oltrepassare il confine croato, il nostro assistito, originario del Pakistan, Paese dal quale era fuggito a seguito delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo, ha raggiunto Trieste nell’estate 2020. Lì, è stato intercettato dalla polizia italiana che lo ha accompagnato in un luogo gestito dalle autorità di frontiera.

      E poi?
      CB Presso quella che noi ipotizziamo si trattasse di una caserma (probabilmente la Fernetti, ndr) il ricorrente ha espresso più volte la volontà di accedere alla procedura di asilo. Invece di indirizzarlo presso le autorità competenti a ricevere la domanda di asilo, è stato fotosegnalato, trattenuto insieme ad altri in maniera informale e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli hanno fatto solo firmare dei documenti scritti in italiano e sequestrato il telefono. Dopodiché lo hanno ammanettato, caricato bruscamente su una camionetta e poi rilasciato su una zona collinare al confine con la Slovenia.

      In Slovenia, scrivete nel ricorso, hanno trascorso una notte senza possibilità di avere accesso ai servizi igienici, cibo o acqua. Quando chiedevano di usare il bagno “gli agenti ridevano e li ignoravano”.
      CB Confermo. Veniamo ora al respingimento a catena in Croazia. Il ricorrente e i suoi compagni vengono scaricati dalla polizia al confine e “accolti” da agenti croati che indossavano magliette blu scuro con pantaloni e stivali neri. I profughi vengono fatti sdraiare a terra e ammanettati dietro la schiena con delle fascette. Vengono presi a calci sulla schiena, colpiti con manganelli avvolti con filo spinato, spruzzati con spray al peperoncino, fatti rincorrere dai cani dopo un conto alla rovescia cadenzato da spari in aria.

      Queste circostanze sono ritenute provate dal Tribunale. In meno di 48 ore dalla riammissione a Trieste il vostro assistito si ritrova in Bosnia.
      CB Il ricorrente ha raggiunto il campo di Lipa, a pochi chilometri da Bihać, che però era saturo. Così ha raggiunto Sarajevo, dove vive attualmente spostandosi tra edifici abbandonati della città. La polizia bosniaca lo sgombera di continuo.

      Come avete fatto a entrare in contatto con lui?
      CB La sua testimonianza è stata prima raccolta dal Border Violence Monitoring Network e poi dal giornalista danese Martin Gottzske per il periodico Informatiòn.

      “La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia e anche in danno dell’odierno ricorrente è illegittima sotto molteplici profili”, si legge nell’ordinanza. Possiamo esaminarne alcuni?
      CB Il punto di partenza del giudice è che l’accordo bilaterale firmato nel settembre 1996 non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano e ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

      “Sono invece numerose le norme di legge che vengono violate dall’autorità italiana con la prassi dei cosiddetti ‘respingimenti informali in Slovenia’”, continua il Tribunale.
      CB Infatti. La riammissione avviene senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo. Le persone respinte non vengono informate di cosa sta avvenendo nei loro confronti, non ricevono alcun provvedimento amministrativo scritto e motivato e dunque non hanno possibilità di contestare le ragioni della procedura che subiscono, tantomeno di provarla direttamente. Questo viola il loro diritto di difesa e a un ricorso effettivo, diritti tutelati dall’articolo 24 della Costituzione, dall’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Dunque è una violazione che non dipende dalla condizione di richiedente asilo.
      CB Esatto, anche qui sta l’importanza del provvedimento e la sua ampia portata. Poi c’è la questione della libertà personale: la persona sottoposta a riammissione si vede ristretta la propria libertà personale senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.

      Arriviamo al cuore della decisione. La giudice scrive che “Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero ricevuto [in Croazia, ndr] in ordine al rispetto dei loro diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti e quello di proporre domanda di protezione internazionale”. E aggiunge che il ministero “era in condizioni di sapere” delle “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
      CB È accolta la nostra tesi, fondata su numerosi report, inchieste giornalistiche, denunce circostanziate di autorevoli organizzazioni per i diritti umani.
      La riammissione, anche a prescindere dalla richiesta di asilo, viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che reca il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento in caso lo straniero possa correre il rischio di subire tali trattamenti. Ogni Stato è cioè responsabile anche se non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è stata allontanata.
      In questo senso è un passaggio molto importante perché allarga la portata della decisione a tutte le persone che arrivano in Italia e che vengono rimandate indietro secondo la procedura descritta.
      È noto il meccanismo di riammissione a catena ed è nota la situazione in Croazia.

      La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il 13 gennaio 2021, ha ribadito però che Slovenia e Croazia sarebbero “Paesi sicuri”.
      CB Il Tribunale descrive una situazione diversa e ribadisce che la riammissione non può mai essere applicata nei confronti dei richiedenti asilo e di coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

      Che cosa succede ora?
      CB Considerato il comportamento illecito delle autorità italiane, il Tribunale fa diretta applicazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione consentendo l’ingresso sul territorio nazionale al ricorrente al fine di presentare la domanda di protezione internazionale, possibilità negatagli al suo arrivo. Non c’è un diritto di accedere al territorio italiano per chiedere asilo “da fuori” però, in base a questa norma come declinata dalla Corte di Cassazione, esiste tale diritto di ingresso se il diritto d’asilo sul territorio è stato negato per un comportamento illecito dell’autorità.
      Quindi il ricorrente dovrà poter fare ingresso il prima possibile per fare domanda di asilo. Spero che possa essergli rilasciato al più presto un visto d’ingresso.

      E per chi è stato respinto in questi mesi? Penso anche ai richiedenti asilo respinti, pratica confermata dal Viminale nell’estate 2020 e recentemente, a parole, “rivista”.
      CB Purtroppo per il passato non sarà facilissimo tutelare le persone respinte attraverso simili ricorsi perché le persone subiscono lungo la rotta la sistematica distruzione dei loro documenti di identità, dei telefonini e delle foto e, anche tenuto conto di come vivono poi in Bosnia, diventa per loro difficile provare quanto subito ma anche provare la propria identità. Per il futuro questa decisione chiarisce l’illegalità delle procedure di riammissione sia nei confronti dei richiedenti asilo sia dei non richiedenti protezione. Deve essere assicurato l’esame individuale delle singole posizioni.

      https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min

    • Tratto dal rapporto “#Doors_Wide_Shut – Quarterly report on push-backs on the Western Balkan Route” (Juin 2021):

      Pushbacks from Italy to Slovenia have been virtually suspended, following the visibility and advocacy pursued by national civil society actors on chain pushbacks and potentially reinforced by the January Court of Rome ruling. However, at least two reports on chain pushbacks from Italy through Slovenia and Croatia to BiH have been recorded in May 2021, by the Border Violence Monitoring Network (BVMN). As irregular movements continue, the question remains whether Italy will ensure access to individual formal procedures for those entering its territory from Slovenia and seeking asylum.

      https://helsinki.hu/en/doors-wide-shut-quarterly-report-on-push-backs-on-the-western-balkan-route
      https://seenthis.net/messages/927293

    • Italian Court Ruling on Chain Pushback

      A new ruling from the Court of Rome has been released, finding in favour of an applicant who was subject to an illegal chain pushback from Italy, via Slovenia and Croatia, to Bosnia-Herzegovina. This important development was brought to the court by Italian legal association ASGI, and supported by the Border Violence Monitoring Network (BVMN), who provided a first hand testimony from the applicant. The court found unequivocal evidence of violations of international law, and acknowledged the applicant’s right to enter Italy immediately, and to full and proper access to the asylum system.

      The pushback, which was recorded by BVMN member Fresh Response in Sarajevo, involved violations from all three EU member states who combined to eject the transit group into Bosnia-Herzegovina. In particular, the court found Italian authorities, who initiated the pushback, to have breached:

      - Access to asylum
      - Obligations on Non-refoulement
      - Application of detention
      - Right to effective remedies

      You can read more about the ruling in the press release below:
      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/Decisione-del-Tribunale.pdf

      https://www.borderviolence.eu/italian-court-ruling-on-chain-pushback