• La politica dell’Unione europea sui biocarburanti fa male al clima e ai sistemi alimentari

    Per produrre gli eco-combustibili utilizzati oggi in Europa si coltivano mais, colza e palma da olio su una superficie di 9,6 milioni di ettari, che basterebbe a sfamare 120 milioni di persone. “L’Ue non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi”, denunciano T&E e Oxfam

    “I biocarburanti vegetali sono probabilmente la cosa più stupida mai promossa in nome del clima”. Non ha usato mezzi termini Maik Marahrens, biofuels manager di Transport&Environment nel commentare il nuovo rapporto pubblicato il 9 marzo che la federazione europea per i trasporti e l’ambiente ha curato insieme all’Ong Oxfam.

    Oggi l’Europa utilizza l’equivalente di circa 9,6 milioni di ettari di terre agricole (una superficie pari a quella dell’Irlanda) per coltivare colza, mais, soia, barbabietole da zucchero, grano e altre derrate alimentari che, invece di finire sulle nostre tavole, vengono utilizzati per produrre bioetanolo, biodiesel e biometano. “Stiamo cedendo vaste porzioni di terra per coltivazioni che poi bruciamo nelle nostre automobili -riprende Marahrens-. È uno spreco scandaloso: questi terreni potrebbero sfamare milioni di persone o, se restituiti alla natura, potrebbero diventare serbatoi di carbonio ricchi di biodiversità”.

    L’utilizzo di questi combustibili era stato introdotto a livello europeo con la Eu Renewable energy directive (Red) del 2009 con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili; ma già le successive direttive in materia (2015 e 2018) hanno introdotto delle limitazioni all’uso di biocarburanti di origine alimentare. Oggi Germania e Francia sono i due Paesi che ne consumano le maggiori quantità (facendo affidamento rispettivamente sull’olio di palma, che viene importato, e sulla colza) seguiti da Svezia, Regno Unito, Spagna e Italia.

    “Il consumo di biocarburanti di origine vegetale in Europa richiede un’area totale di 9,6 milioni di ettari, pari al 9,2% del totale dei terreni coltivati nel continente”, si legge nel report che evidenzia come la gran parte di questa superficie (circa due terzi) si trovi in Europa. Mentre la quota restante, dove vengono coltivate soprattutto palma da olio e soia, si trova in Asia e in America Latina.

    Ma che cosa succederebbe se queste superfici venissero destinate ad altri scopi? La prima opzione presa in considerazione nel report riguarda la possibilità di abbandonare le monocolture per la produzione di mais e colza per da trasformare in biocombustibili per lasciare spazio al ritorno della vegetazione naturale e al ripristino dei boschi: “Questo permetterebbe di rimuovere dall’atmosfera 64,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno -si legge nel report- circa il doppio del risparmio netto generato, in termini di minori emissioni, dall’utilizzo di biocarburanti pari a circa 32,9 milioni di tonnellate”. La rinaturalizzazione di queste aree avrebbe poi ulteriori benefici, rappresentando un argine alla perdita di biodiversità che oggi interessa circa l’80% degli habitat del continente, secondo una stima della Commissione europea: “L’occupazione di vaste aree con monocolture per i biocarburanti significa invariabilmente meno spazio per gli ecosistemi naturali e meno habitat per piante e animali selvatici”, sottolinea il report.

    La seconda possibilità prevede la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. I biocarburanti consumati in Europa consentono di percorrere circa 329mila milioni di chilometri: “Per coprire la stessa distanza con auto elettriche alimentate con energia prodotta da pannelli fotovoltaici servirebbe una superficie di 0,133 milioni di ettari -spiega Horst Fehrenbach dell’Istituto per l’energia e la ricerca ambientale (Ifeu), che ha curato la ricerca per conto di T&E e Oxfam-. In questo modo il 97,5% della superficie oggi utilizzata per produrre biocombustibili potrebbe essere destinata ad altro uso”.

    La terza possibile alternativa riguarda l’utilizzo dei terreni oggi destinati alla produzione di biocarburanti per coltivare generi alimentari destinati al consumo umano: secondo le stime contenuta nel report se la superficie oggi utilizzata solo in Europa (escludendo quindi dal conteggio le piantagioni in altri continenti) venisse utilizzata per produrre grano questo permetterebbe di soddisfare il fabbisogno calorico di circa 120 milioni di persone, circa un quarto della popolazione del continente. “La politica dell’Unione europea sui biocarburanti è una catastrofe per centinaia di milioni di persone che lottano per portare in tavola il loro prossimo pasto -commenta Julie Bos, consulente per la giustizia climatica dell’Unione europea di Oxfam-. Non solo cede vaste aree coltivate per alimentare le automobili ma fa anche salire ulteriormente i prezzi dei prodotti alimentari. I Paesi europei devono smettere una volta per tutte di usare il cibo per produrre carburante”.

    Marahrens ricorda poi come “ogni giorno 15 milioni di pagnotte e 19 milioni di bottiglie di olio di girasole e di colza vengono bruciati nei motori di camion e automobili. Continuare a farlo mentre il mondo sta affrontando una crescente crisi alimentare globale è al limite del criminale. Paesi come la Germania e il Belgio stanno discutendo di limitare i biocarburanti per le colture alimentari. Il resto dell’Europa deve seguirne l’esempio”.

    https://altreconomia.it/la-politica-dellunione-europea-sui-biocarburanti-fa-male-al-clima-e-ai-

    #biocarburants #alimentation #terres #agriculture #maïs #colza #huile_de_palme

    • Biofuels: An obstacle to real climate solutions

      The EU wastes land the size of Ireland on biofuels, missing enormous opportunities to fight climate change, biodiversity loss and the global food crisis.

      A new study by the IFEU institute quantifies for the first time the enormous opportunity costs across Europe of dedicating millions of hectares of fertile cropland to the production of biofuels. The results are clear – this land could be used much better in the interest of mitigating climate change, stemming biodiversity loss or increasing global food security.

      In 2009, the European Union (EU) introduced a biofuels mandate as part of its green fuels law, the ‘#Renewable_Energy_Directive’ (RED). The proposition at the time was attractive: farmers would be supported to produce ‘green fuels’. In reality, biofuels have harmed food security and obstructed climate change mitigation.

      The study carried out by the Institut für Energie- und Umweltforschung (IFEU) on behalf of T&E shows that production of crops for biofuels consumed in Europe requires 9.6 Mha of land – an area larger than the island of Ireland. This is 5.3 Mha if the production of co-products, mainly feed for industrial livestock farming, is taken into account.
      Key findings

      - If this land were returned to its natural state (‘rewilded’) it could absorb around 65 million tonnes of CO2 from the atmosphere – nearly twice the officially reported net CO2 savings from biofuels replacing fossil fuels.
      - Using the land for solar farms would be far more efficient. You need 40 times more land to power a car using biofuels vs an electric car powered by solar. Using an area equivalent to just 2.5% of this land for solar panels would produce the same amount of energy.
      - Crops cultivated on these lands could be used to provide the calorie needs of at least 120 million people.

      https://www.transportenvironment.org/discover/biofuels-an-obstacle-to-real-climate-solutions

      #rapport

  • La colère monte à Marseille face à la pollution des géants des mers oang
    https://www.rts.ch/info/sciences-tech/environnement/12984643-la-colere-monte-a-marseille-face-a-la-pollution-des-geants-des-mers.htm

    Face à la pollution engendrée par les navires de croisière, la mobilisation citoyenne se renforce à Marseille. Chiffres à l’appui, les habitants les plus touchés dénoncent le manque d’activisme du monde politique sur ce dossier.

    En arrivant par l’autoroute à Marseille, on plonge sur le Grand Port maritime (GPPM) et ses immenses navires de croisière à quai. Ce trafic est estimé à deux millions de passagers par an et c’est une manne importante pour la ville.
    https://www.youtube.com/watch?v=7bpSM0mrHu8


    Mais cette activité génère aussi une gigantesque pollution. En 2017, les 57 navires qui ont fait escale à Marseille auraient émis autant de NOx que le quart des 340’000 voitures qui ont sillonné la ville.

    Treize paquebots immobilisés moteurs allumés
    Et la pandémie a relancé la polémique autant qu’elle a renforcé ces émissions nocives. Selon une étude d’AtmoSud (observatoire de la qualité de l’air en Région Sud Provence-Alpes-Côte d’Azur, agréé par le gouvernement), les treize paquebots immobilisés à quai pendant plus d’un an ont continué à faire tourner leurs moteurs à cause des équipages à bord.

    Les émissions d’oxyde d’azote auraient ainsi été multipliées par six, selon son directeur Dominique Robin, cité par Franceinfo. Ces bateaux auraient ainsi pollué autant que tout le trafic automobile enregistré sur la ville durant cette période.

    Pollution bien supérieure au seuil fixé par l’OMS
    Habitante des quartiers nord de Marseille qui subissent de plein fouet les conséquences de ces navires de croisière, Michèle Rauzier a témoigné jeudi dans l’émission Forum de la RTS. Elle tient des chambres d’hôtes et a installé des capteurs de mesures des particules fines. Elle observe une pollution en moyenne une fois et demie supérieure au seuil préconisé par l’Organisation mondiale de la santé (OMS).

    "Il faut savoir qu’un bateau qui arrive dans le port de Marseille, soit il va en réparation et ses moteurs vont tourner 24h sur 24, soit il va au terminal croisières où ils vont tourner toute la journée", a-t-elle expliqué. "Et ce sont des bateaux très énergivores, donc on a une pollution permanente".
    https://www.youtube.com/watch?v=pWhLYoKhi08


    Des "usines à cancers" pour les habitants
    Les habitants des quartiers les plus proches subissent de plein fouet, notamment, les particules fines et ultrafines avec des risques de cancers ou de maladies cardio-vasculaires. La maire-adjointe de Marseille Michèle Rubirola (EELV) parle du reste "d’usines à cancers". Mais "sur l’échéancier de notre maire, M. Gaudin, il n’y a jamais rien eu, au contraire", souligne Michèle Rauzier. "On a souhaité le développement de cette activité au détriment de la santé des quartiers nord".

    Partisans et détracteurs des croisières s’écharpent, pendant que le GPMM, entité publique, promet de gros efforts en matière d’électrification. L’établissement public a voté un plan d’investissement de 20 millions d’euros pour accélérer la mise en place de branchements électriques pour les navires à quai, avec pour objectif de "faire de Marseille-Fos le premier port de Méditerranée 100% électrique d’ici 2025".

    Mais Michèle Rauzier n’y croit pas : "C’est aberrant que, face l’électrification que nous demandons depuis 2012, le port ne bouge pas. Ils font des promesses, des communications, mais derrière rien ne se fait". Ce qu’on attend, enchaîne-t-elle, "c’est une volonté politique. On a l’impression qu’on nous balade depuis des années et qu’on ne peut pas continuer comme ça".


    "Une économie qui fait la course au gigantisme"
    Théo Challande-Névoret, membre d’Europe Ecologie Les Verts (EELV) à Marseille, est sur la même longueur d’onde. "La maison brûle et on regarde ailleurs", a-t-il relevé. "Ici, pour les habitants, ce sont leurs poumons qui brûlent. Et on est dans une économie de tourisme de masse qui fait la course au gigantisme alors que notre ville cherche probablement un autre tourisme, plus durable et qui va pouvoir bénéficier aux quartiers".

    Le journaliste Philippe Pujol, lauréat du prix Albert-Londres, a signé deux ouvrages marquants sur Marseille ("La fabrique du monstre" en 2016 et "La chute du monstre" en 2019). Il déplore surtout le fait que ces croisières n’apportent pratiquement rien au tourisme local en matière d’emplois. "Ce sont deux millions de touristes qui viennent et qu’on amène en car dans le Lubéron et dans la région aixoise mais qui restent assez peu à Marseille ».o

    #co2 #souffre #oxyde_d_azote #particules_fines #pollution #paquebots #croisiéres #Marseille #quartiers_nord

    • Pas d’étude épidémiologique
      « La réponse est toujours la même ! C’est trop compliqué, il faudrait définir une zone précise, etc., etc… Or nous, les habitants, on sait ! Il n’y a qu’à voir dans nos jardins.

      Quand on coupe une branche d’arbre, elle est toute noire, remplie de suie. Et quand on nettoie les tables, ça mousse, c’est le soufre. Surtout, il y a six cancers du sein dans un rayon de 200 mètres autour de chez moi. Il y a des tumeurs au cerveau chez plusieurs enfants dans l’arrondissement. On pourrait au moins comparer avec d’autres quartiers de Marseille pour avoir une idée. Mais les pouvoirs publics se refusent à le faire. » Élisabeth Pelliccio n’appartient pas à la mouvance complotiste. Elle s’étonne pourtant de l’attitude très en retrait de l’État sur ce dossier. Il y a trois capteurs sur l’ensemble du secteur concerné qui abrite plus de 100 000 habitants. Et aucun derrière les grilles du port, à proximité des navires.

      Pas de capteurs sur le port
      Autre étonnement des riverains, aussi incroyable que cela puisse paraître, aucun capteur n’a été déployé à proximité des cheminées des paquebots. « Le port nous dit que ça n’a pas de sens. Que c’est comme si on mettait des capteurs sur la Corniche à hauteur des pots d’échappements des voitures », regrette Patrick Borg de l’association de défense de la qualité de vie Cap au Nord. https://marseille-cap-au-nord.blogspot.com « Or, cela permettrait de savoir la nature des polluants et leur importance. Et surtout mettrait un terme à l’argument du port qui explique qu’on ne peut pas discerner dans la pollution de l’air que l’on respire, nous les riverains, ce qui relève des navires, des voitures ou du chauffage ».

      Des comparaisons abracadabrantesques
      Un paquebot équivaut à un million de véhicules en marche.  Quand en 2018, avant les autres, France Nature Environnement a fait claquer ce chiffre, https://fne.asso.fr/dossiers/l-insoutenable-pollution-de-l-air-du-transport-maritime les professionnels du maritime ont dénoncé le règne du n’importe quoi ! Un rapport publié il y a deux ans par l’ONG américaine Transport et Environnement https://www.transportenvironment.org/discover/one-corporation-pollute-them-all l’a pourtant confirmé et majoré. Il affirme que le leader mondial de la croisière de luxe, Carnival Corporation, asphyxie les côtes européennes en émettant à lui seul, avec ses 94 paquebots de croisière, plus d’oxyde de soufre que l’ensemble des véhicules du continent. Soit 260 millions de voitures.

      Source : https://marcelle.media/pollution-de-air-la-croisiere-constat-accablant-revolution-verte

    • Ça fait penser aux dizaines de milliers d’avions que l’union européenne a fait voler à vide, afin qu’ils conservent leurs créneaux horaires, tout en nous faisant la morale sur la pollution.

    • Les fondations du parc de éolien de #Fécamp dévoilent un chantier pharaonique 71 #éoliennes !
      https://lemarin.ouest-france.fr/secteurs-activites/energies-marines/42834-les-fondations-du-parc-de-fecamp-devoilent-un-chantier
      Le chantier des fondations gravitaires mobilise en moyenne 600 personnes avec des pics allant jusqu’à 1 000.
      Une visite du chantier a été organisée à la mi-février à l’occasion de l’achèvement de la première des 71 fondations.
      L’intérieur des fondations sera rempli de ballast pour lester les structures.
      Le top ring, de couleur jaune comme toutes les pièces de transition, fait partie intégrante de la fondation gravitaire. 




      Le top ring, de couleur jaune comme toutes les pièces de transition, fait partie intégrante de la fondation gravitaire. (Photo : Éric Houri)

    • En conflit avec P&O Ferries, Londres impose un salaire minimum
      https://investir.lesechos.fr/marches/actualites/en-conflit-avec-p-o-ferries-londres-impose-un-salaire-minimum-2009

      LONDRES, 28 mars (Reuters) - Le Royaume-Uni a annoncé lundi qu’il obligerait les exploitants de ferries accostant au Royaume-Uni à payer un salaire minimum alors que les efforts s’intensifient pour que P&O Ferries renonce au licenciement surprise de 800 salariés et à leur remplacement par une main d’œuvre moins onéreuse.


      La compagnie maritime, détenu par la société portuaire Dubaï DP World, s’apprête à enfreindre la loi en remplaçant des salariés par du personnel intérimaire moins payé, après avoir perdu 100 millions de livres l’année dernière en raison des restrictions liées à la pandémie de COVID-19.
      Le gouvernement a condamné cette initiative et a exhorté l’entreprise à revenir sur sa décision au moment où les Britanniques sont confrontés à une hausse de l’inflation et des impôts.
      Alors que P&O a indiqué que ses nouveaux équipages gagneraient quelque 5,50 livres par heure, Grant Shapps, le ministre britannique des Transports, a annoncé un projet de loi « vouant à l’échec » le plan du directeur général de P&O, Peter Hebblethwaite.
      Ce projet de loi prévoit de porter dès le mois prochain à au moins 9,50 livres - le minimum national - le salaire de la plupart des salariés des opérateurs de ferries opérant à partir des ports britanniques. (Reportage de Kate Holton ; version française Dina Kartit, édité par Jean-Michel Bélot)