/latest

  • Toxic Twitter - A Toxic Place for Women | Amnesty International
    https://www.amnesty.org/en/latest/research/2018/03/online-violence-against-women-chapter-1

    J’avoue ne pas m’être lu toute l’étude, mais y’a un truc qui me chiffonne dans le titre, un gout la chapelle pas sympa. Un souvenir de internet c’est le mal.
    Est-ce qu’on dirait d’un lieu public, disons les champs élysées, qu’il est toxique pour les femmes ?
    Qu’il en aille de la responsabilité de twitter de ne pas modérer les harcèlements, voire d’en faire son fond de commerce, certes.
    Est-ce qu’il n’y a pas là un problème d’outil, de manipulation des foules, de politique de ce type de réseaux sociaux à dénoncer avant tout. Je ne trouve pas que dire Twitter is a Toxic Place for Women soit porteur de solution. C’est toxique, donc il faut pas y aller ? comme la ville la nuit, comme sortir seule, comme travailler avec des hommes ? Un peu marre de l’aspect protecteur chaperon …

  • Over 200 Migrants Drown in Three Days in Mediterranean — Death Toll for 2018 Passes 1,000

    This weekend, some 204 migrants have died at sea off Libya, pushing the total number of migrant drownings in the entire Mediterranean so far this year to over 1,000 people.

    Today (1/07), a small rubber boat packed with migrants capsized off AlKhums, east of Tripoli, with an estimated 41 people surviving after rescue. On Friday (28/06), three babies were among the 103, who died in a shipwreck similar to Sunday’s incident, also caused by smugglers taking migrants to sea in completely unsafe vessels.

    So far this year, the Libyan Coast Guard has returned some 10,000 people to shore from small vessels.

    “I am traveling to Tripoli once again this week and will see firsthand the conditions of migrants who have been rescued as well as those returned to shore by the Libya Coast Guard,” said William Lacy Swing, IOM Director General. “IOM is determined to ensure that the human rights of all migrants are respected as together we all make efforts to stop the people smuggling trade, which is so exploitative of migrants,” said Swing.

    IOM staff were deployed to provide support and first aid to the the 41 migrants who survived the capsize of their small rubber vessel that capsized off AlKhums. This is the second major shipwreck in as many few days. On Friday, a rubber dinghy capsized north of Tripoli and the 16 survivors (young men from Gambia, Sudan, Yemen, Niger and Guinea) were rescued by the Libyan Cost Guard. However, an estimated 103 people lost their lives.

    Adding to grim and tragic scene, the bodies of three babies were taken from the sea by the Libyan Coast Guard. IOM provided assistance at the disembarkation point, including provision of food and water and health assistance. IOM is also in the process of providing psychosocial aid at Tajoura detention centre where the survivors have been transferred. The need for physcosocial support is high as the survivors spent traumatizing time in the water as their engine broke only 30 minutes after departing Garaboli. The survivors have received psychosocial first aid at the detention centre and IOM continues to monitor their condition.
    From Friday to Sunday, close to 1,000 migrants were returned to Libyan shore by the Libyan Coast Guard, who intercepted small crafts as they made their way towards the open sea. Upon disembarkation to shore, migrants have received emergency direct assistance, including food and water, health assistance and IOM protection staff has provided vulnerability interviews. Those rescued and returned by the Libyan Coast Guard are transferred by the Libyan authorities to the detention centres where IOM continues humanitarian assistance.
    “There is an alarming increase in deaths at sea off Libya Coast,” said IOM Libya Chief of Mission Othman Belbeisi, adding: “Smugglers are exploiting the desperation of migrants to leave before there are further crackdowns on Mediterranean crossings by Europe.”

    “Migrants returned by the coast guard should not automatically be transferred to detention and we are deeply concerned that the detention centres will yet again be overcrowded and that living conditions will deteriorate with the recent influx of migrants,” added Belbeisi.

    https://www.iom.int/news/over-200-migrants-drown-three-days-mediterranean-death-toll-2018-passes-1000
    #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mourir_en_mer #morts #décès #statistiques #chiffres #2018 #mer_Méditerranée

    en français:
    https://news.un.org/fr/story/2018/07/1018032

    • Dopo l’allontanamento delle ONG è strage quotidiana sulla rotta del Mediterraneo centrale

      Nel giorno in cui il ministro dell’interno e vice-presidente del Consiglio rilancia da Pontida l’ennesimo attacco contro le ONG, che vedranno “solo in cartolina” i porti italiani, e mentre tre navi umanitarie sono bloccate nel porto de La Valletta, per decisione del governo maltese, nelle acque del Mediterraneo Centrale si continua a morire. Si continua a morire nell’indifferenza della maggior parte della popolazione italiana, schierata con chi ha promesso che, chiudendo i porti, e le vie di fuga, ai migranti da soccorrere in mare, le condizioni di vita degli italiani colpiti dalla crisi potranno migliorare. Una tragica illusione. Il vero pericolo per tutti oggi non viene dal mare, ma dalla costituzione di un fronte sovranista ed identitario europeo, che potrebbe cancellare lo stato di diritto e la democrazia rappresentativa. E allora non ci sarà più spazio nè per i diritti umani nè per i diritti sociali. i più forti imporranno le loro leggi ai più deboli.

      Questa volta nessuno potrà accusare le navi umanitarie, come hanno fatto fino a oggi direttori di giornali in Italia ed esponenti della sedicente Guardia costiera libica. Adesso i libici, in assenza delle navi umanitarie, sono costretti ad avvalersi delle navi commerciali in navigazione nelle loro acque, per operazioni di soccorso che da soli non sono in grado di garantire, salvo poi attaccare le ONG. Per le persone “soccorse” in mare da questi mezzi il destino è segnato, lo sbarco avviene a Tripoli, porto più vicino ma non “place of safety“, e dopo poche ore, per coloro che sono trasferiti dal centro di prima accoglienza al porto, ai vari centri di detenzione gestiti dalle milizie, il destino è segnato.

      Si ripetono intanto attacchi scomposti contro gli operatori umanitari, che rilanciano la macchina del fango che da oltre un anno si rivolge contro le ONG, accusate di tutti i possibili reati, per il solo fatto di salvare vite umane in mare. Si vogliono eliminare tutti i testimoni dell’Olocausto nel Mediterraneo. Senza un voto del Parlamento si è cercato di introdurre in via surrettizia il reato di solidarietà, in spregio al principio di legalità, affermato dalla Costituzione italiana.

      Questa striscia di morte, che si allunga giorno dopo giorno, con una cadenza mai vista prima, deriva direttamente dalla eliminazione delle navi umanitarie e dall’arretramento degli assetti militari italiani ed europei che in passato, anche se si verificavano gravi stragi, riuscivano tuttavia a garantire più solleciti interventi di soccorso. Il blocco di tre navi umanitarie a Malta, come il sequestro della Juventa lo scorso anno, potrebbero essere stati causa di una forte riduzione della capacità di soccorso in acque internazionali, tra la Libia e ‘Europa, una capacità di soccorso che gli stati non hanno voluto mantenere negli standards imposti dalle Convenzioni internazionali a ciascun paese responsabile di una zona SAR ( ricerca e soccorso). La presenza delle navi umanitarie è stata bollata come un fattore di attrazione delle partenze, se non come vera e propria complicità con i trafficanti, come ha ripetuto in più occasioni Salvini. Ne vediamo oggi le conseguenze mortali.

      Anche l’UNHCR ha espresso la sua preoccupazione per la diminuzione degli assetti navali in grado di operare interventi di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. Secondo l’OIM negli ultimi tre giorni sono annegate oltre 200 persone, una serie di stragi ignorate dall’oipinione pubblica italiana e nascoste dai politici concentrati nel rinnovato attacco contro le ONG. La “banalità” della strage quotidiana in mare costituisce la cifra morale del governo Salvini-Di Maio. Con il sommarsi delle vittime, e l’allontanamento dei testimoni, si vuole produrre una totale assuefazione nella popolazione italiana. Per alimentare altro odio ed altra insicurezza, utili per le prossime scadenze elettorali.

      Nelle prime settimane di insediamento del nuovo governo, ed in vista del Consiglio europeo di Bruxelles del 28-29 giugno scorso, il ministero dell’interno ha disposto in modo informale la chiusura dei porti ed il divieto di ingresso nelle acque territoriali, per alcune imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che avevano effettuato soccorsi nelle acque internazionali antistanti le coste libiche. Sono state anche ritardate le operazioni di sbarco di centinaia di persone, soccorse da unità militari ( come la nave americana Trenton), o commerciali ( come il cargo Alexander Maersk), che, solo dopo lunghi giorni di attesa, hanno potuto trasbordare i naufraghi che avevamo a bordo e proseguire per la loro rotta. In molti casi si sono trasferite le responsabilità di coordinamento dei soccorsi alle autorità libiche, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

      Le ultime vicende delle navi umanitarie Acquarius , Lifeline e Open Arms, dopo il sequestro, lo scorso anno, della nave Juventa, ancora bloccata a Trapani, hanno aperto una nuova fase di tensioni anche a livello internazionale, in particolare con il governo maltese e con le autorità spagnole. Il governo italiano ha chiuso i porti alle poche navi umanitarie ancora impegnate nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre si è rilanciata la criminalizzazione delle Ong, e più in generale di chiunque rispetti il dovere di salvare vite umane in mare, malgrado importanti decisioni della magistratura (di Ragusa e di Palermo) riconoscessero come lecite, anzi doverose, le attività di soccorso umanitario delle stesse Ong sotto inchiesta.

      Da ultimo si è appreso che ci sarebbero motivi “di ordine pubblico” alla base della decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di vietare l’accesso ai porti italiani alla Open Arms.
Questi motivi, stando a informazioni che non sono state formalizzate in un provvedimento notificato agli interessati, sarebbero costituiti dalle “vicende giudiziarie” in cui è stata coinvolta la nave delle Ong spagnola, dissequestrata con una sentenza del Gip poi confermata dal tribunale di Ragusa, e dalle “manifestazioni”(rischio proteste) che si sono verificate in occasione del sequestro preventivo alla quale era stata sottoposta nel porto di Pozzallo.

      Si configura così come problema di “ordine pubblico” il doveroso espletamento di una operazione SAR che si è svolta nel pieno rispetto della legge e del diritto internazionale, per legittimare un provvedimento, ancora segretato, forse una circolare probabilmente da redigere, del ministro Toninelli, che vieta l’ingresso alle navi delle Ong nelle acque territoriali e nei porti italiani .

      L’allontanamento delle ONG per effetto delle “chiusure” informali dei porti, e la istituzione unilaterale di una zona SAR libica, oltre al blocco imposto alle navi umanitarie dalle autorità maltesi, riducono la presenza dei mezzi di soccorso nel Mediterraneo centrale e hanno già comportato un aumento esponenziale delle vittime.

      La realizzazione del progetto italiano di istituire una zona SAR , completata con una forte pressione sull’IMO a Londra, sta producendo tutti i suoi effetti mortali, considerando che la Guardia costiera “libica” non può coprire tutte le azioni di soccorso che è chiamata ad operare (spesso da assetti italiani), avendo a disposizione soltanto sei motovedette. Si tratta di mezzi ceduti dai precedenti governi italiani, oggi abbastanza logorati malgrado siano stati curati nella manutenzione dai marinai delle unità italiane, di stanza nel porto di Tripoli, nell’ambito della missione NAURAS. Non si sa come e quando arriveranno in Libia le 12 motovedette promesse alla Guardia costiera di Tripoli da Salvini, che doveva fare approvare la sua proposta in Consiglio dei ministri, approvazione che ancora non c’e’ stata. Una iniziativa che potrebbe infuocare ancora di più lo scontro tra le milizie libiche per il controllo dei porti, e del traffico di gas e petrolio.
      La creazione fittizia di una zona SAR libica, che sembra sia stata notificata anche all’IMO, sta legittimando gli interventi più frequenti della Guardia costiera di Tripoli, che arrivano a minacciare anche gli operatori umanitari mentre sono impegnati negli interventi di soccorso in acque internazionali. Interventi di soccorso che sono sempre monitorati dalle autorità militari italiane ed europee, che però non intervengono con la stessa tempestività che permetteva in passato il salvataggio di migliaia di vite.

      Il cerchio si chiude. Adesso arriva anche il supporto europeo alla chiusura contro le ONG, anche se non si traduce in alcun atto dotato di forza normativa vinclante. Tutte le politiche europee sull’immigrazione, anche i respingimenti, avverranno “su base volontaria”. Ma le navi di Frontex ( e di Eunavfor Med) rimangono vincolate agli obblighi di soccorso previsti dai Regolamenti europei n.656 del 2014 e 1624 del 2016. Atti normativi, vincolanti anche per i ministri,che subordinano le azioni contro i trafficanti alla salvaguardia della vita delle vittime, non esternazioni di leader sull’orlo di una crisi di nervi alla fine di un Consiglio europeo estenuante ed inconcludente.

      L’illegalità di scelte politiche e militari che vanno contro il diritto internazionale viene giustificata con lo spauracchio di manifestazioni democratiche di protesta. Non e’ a rischio soltanto la libertà di manifestazione o il diritto a svolgere attività di assistenza e di soccorso umanitario. Il messaggio lanciato dal governo italiano, e ripreso dal governo maltese, è chiaro, riguarda tutti, non solo i migranti. E’ la strategia mortale della dissuasione, rivolta ai migranti ed agli operatori umanitari. Altro che “pacchia”. Per chi si trova costretto a fuggire dalla Libia, senza alternative sicure per salvare la vita, il rischio del naufragio si fa sempre più concreto. Anche se gli “sbarchi” sono drasticamente calati, rispetto allo scorso anno, è in forte aumento il numero delle vittime, morti e dispersi, abbandonati nelle acque del Mediterraneo.

      In questa situazione la magistratura italiana è chiamata a fare rispettare le regole dello stato di diritto e gli impegni assunti dall’Italia con la firma e la ratifica delle Convenzioni internazionali di diritto del mare. Ma è anche importante il contributo della società civile organizzata, delle associazioni, di tutto quel mondo del volontariato che in questi ultimi mesi è stato messo sotto accusa con lo slogan della “lotta al business dell’immigrazione”. Quando erano state proprio le Organizzazioni non governative a denunciare chi faceva affari sulla pelle dei migranti e chi ometteva i controlli, denunce fatte in Parlamento e nel lavoro quotidiano di tanti cittadini solidali. L’attacco contro il sistema di accoglienza è stato utilizzato per delegittimare e bloccare chi portava soccorso in mare, mentre gli stati venivano meno ai loro obblighi di salvataggio. Verranno dalla società civile europea e dagli operatori umanitari le denunce che inchioderanno i responsabili delle stragi per omissione.

      Rispetto alle richieste di soccorso, e persino rispetto alle istanze che si stanno proponendo per avere chiarite le basi normative e i contenuti dei provvedimenti amministrativi, sulla base dei quali si sta interdicendo l’ingresso nelle acque territoriali e nei porti italiani alle navi delle ONG, impegnate in attività SAR nelle acque internazionali a nord delle coste libiche, silenzi e ritardi. Si può riscontrare silenzio e ritardo nell’attività delle pubbliche amministrazioni riconducibili al Ministero delle infrastrutture ( quanto al divieto di ingresso) e dell’interno (quanto alle note di rilevazione ed alla dichiarazione di una situazione di pericolo per l’ordine pubblico). Le decisioni dei ministri, su materie così importanti che incidono sulla vita ( e sulla morte) delle persone, non possono essere comunicate sui social, con messaggi Twitter o attraverso Facebook.

      Se gli avvistamenti iniziali ed il coordinamento “di fatto” (come rilevato dalla magistratura) della Guardia costiera “libica” sono effettuati da parte di autorità militari italiane, in sinergia con gli assetti aero-navali europei delle missioni Themis di Frontex ed Eunavfor MED, le autorità italiane non possono dismettere la loro responsabilità di soccorso.

      In questi casi il ministero dell’interno italiano ha l’obbligo di indicare un porto sicuro (place of safety) di sbarco in Italia, dal momento che la Libia non offre porti sicuri, e che Malta ha negato in diverse occasioni l’attracco a navi commerciali o umanitarie, che avevano operato soccorsi nelle acque del Mediterraneo centrale.

      Contro la scelta di chiudere i porti e di interdire l’ingresso delle navi delle ONG nelle acque territoriali, tanto per sbarcare naufraghi soccorsi in alto mare, quanto per effettuare rifornimenti e cambi di equipaggio, occorre rilanciare una forte iniziativa sul piano sociale, politico e legale. Per affermare il diritto alla vita, un diritto incondizionato, che non può essere piegato a finalità politiche o giudiziarie. Per battere quell’ondata di disinformazione e di rancore sociale che sta disintegrando il tessuto umano della nostra Repubblica, e la stessa Unione Europea, indicando nei migranti e in chi li assiste la ragione di tutti i mali che affliggono i cittadini italiani. Come se si trattasse di nemici interni da eliminare. Di fronte a tutto questo, la resistenza è un dovere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/01/dopo-lallontanamento-delle-ong-e-strage-quotidiana-sulla-rotta-del-mediterran

    • La rotta più pericolosa del mondo

      Nel primo weekend in cui Tripoli ha coordinato i soccorsi in mare ci sono stati tre naufragi che hanno portato il numero complessivo dei morti e dei dispersi nel solo mese di giugno a 679. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), il dato in meno di un mese è più che raddoppiato. Matteo Villa, un ricercatore dell’Ispi, ha elaborato i dati dell’Unhcr e dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) sulle morti registrate in relazione alle partenze dalla Libia e ha stabilito che dal 1 giugno la rotta del Mediterraneo è diventata la più pericolosa al mondo: “Muore una persona ogni dieci”.
      Un dato allarmante che riporta il tasso di mortalità e il numero assoluto dei morti ai livelli di quelli registrati prima della riduzione delle partenze nel luglio del 2017. “Dopo la repentina diminuzione delle partenze dal 16 luglio 2017, il numero assoluto dei morti e dei dispersi si è ridotto, ma ora siamo tornati incredibilmente ai livelli di prima”, afferma Villa (il tasso di mortalità invece era comunque aumentato nell’ultimo anno). Per il ricercatore questo fattore è legato a tre elementi: “Le ong sono coinvolte sempre di meno nei salvataggi, i mercantili non intervengono perché temono di essere bloccati per giorni in attesa di avere indicazioni sul porto di sbarco (come è successo al cargo danese Maersk) e la guardia costiera libica non ha né i mezzi né la competenza per occuparsi dei salvataggi”.


      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/07/03/morti-migranti-mediterraneo-libia
      #mortalité

    • Les tweet de Matteo Villa sur les morts en 2018 :

      Since June 1st, #migrant attempted crossings from #Libya have become THE RISKIEST since accurate public recordings started in 2016. ALMOST 1 IN 10 died or went missing upon departure from the Libyan coast bettween June 1st and July 2nd.

      After the sudden drop in #migrant departures from #Libya since 16 July 2017, the absolute number of dead and missing had abated. Astoundingly, we are now BACK to pre-drop levels. 679 persons have died or gone missing upon leaving Libya since June 1st.

      n 2018 so far, only about HALF of those departing from #Libya has made it to Italy (vs 86% last year). 44% have been brought back by the Libyan Coast Guard (vs 12% last year). 4.5% have died or gone missing (vs 2.3% last year).

      The increase in absolute dead and missings and in the risk of journey has occurred WHILE the Libyan Coast Guard rescued the highest number of persons in a single month since May 2016.

      Why is this happening: - NGOs carry out less and less SARs, may stop altogether; - commercial ships fear high losses if they do SARs and are held for days waiting for port; - Libyan Coast Guard understaffed and underequipped.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1014068492872704000

      data set
      https://docs.google.com/spreadsheets/d/1ncHxOHIx4ptt4YFXgGi9TIbwd53HaR3oFbrfBm67ak4/edit#gid=0
      (si @simplicissimus n’a rien à faire dans les prochains jours...)

      MAJOR CORRECTION: dead and missing from Libya since 1 June amount to 565, not 679 as previously stated. Risk of journey skyrocketed from 2.3% in Jan-May 2018 to 7.6% (NOT 9.0%). Absolute levels are still maximum since drop in sea arrivals in July 2017.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1014266248094474240

    • Record deaths at sea: will ‘regional disembarkation’ help save lives?

      Never has it been more dangerous for people in search of protection to make the crossing to Europe. The estimated death rate on boat migration journeys across the Mediterranean has risen from 4 per 1000 in 2015 to 24 per 1000 in the first four months of 2018, according to available data.

      While the death rate is higher than ever, the size of migration flows across the Mediterranean has shrunk dramatically. The number of refugees and other migrants who crossed the Mediterranean in June was down 94% compared to the peak of the migration and refugee crisis in 2015. This means that migration policy-makers now have an opportunity to move on from crisis response to a search for long-term solutions.

      Yet, Mediterranean boat migration is an increasingly thorny issue for intra-European relations, and a new surge in arrivals remains imaginable. It still dominates the political discourses of all major European countries. In Germany, Angela Merkel’s coalition remains wobbly due to disagreements over migration policy. Anxiety about migration is therefore much higher than the current number of border-crossings would suggest, and continues to shape policy-making. This was evident in the fraught discussions in the lead-up to the agreement reached by the European Council on 29 June. In fact, the pressure to reach agreement and deliver action seems to have overshadowed concerns about the feasibility of the proposed schemes.


      https://blogs.prio.org/2018/07/record-deaths-at-sea-will-regional-disembarkation-help-save-lives
      #mortalité
      signalé par @isskein

    • Responsibility for surging death toll in Central Med laid squarely at Europe’s door

      The number of people drowning in the Central Mediterranean or being taken back to squalid detention centres in Libya has surged as a result of European policies aimed at closing the central Mediterranean route, Amnesty International said in a new briefing published today.


      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/08/surging-death-toll-in-central-med
      #responsabilité

      Lien vers le briefing:
      https://www.amnesty.org/en/documents/eur30/8906/2018/en

      #rapport #Amnesty_international

    • Combien de migrants sont morts en Méditerranée ? Où sont-ils enterrés ?
      L’Organisation internationale pour les migrations (OIM) recense près de 17000 morts et disparus en Méditerranée depuis 2014

      Bonjour,

      Votre question renvoie vers un tweet de Pierre Sautarel (administrateur de Fdesouche, revue de presse consacrée aux thèmes favoris de l’extrême droite - immigration, sécurité, identité, etc.) qui s’appuie sur une erreur de chiffre dans une dépêche Reuters pour remettre en cause le décompte du nombre de migrants décédés en Méditerranée.

      « Plus de 100 000 migrants sont morts noyés [entre la Libye et l’Italie] depuis 2014, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) », lit-on dans l’extrait du texte de l’agence que poste Sautarel. Et celui-ci de commenter : « Mais pas trace d’un cadavre sur une plage ou dans un filet de pêche… Plus c’est gros plus ça passe… »

      De fait, il y a un « 0 » de trop dans la dépêche Reuters dont Sautarel reproduit un extrait. Il s’agit probablement d’une erreur de traduction, puisque sur le site de Reuters, le texte en français fait état de « plus 100 000 morts », mais la version originale en anglais, en compte « more than [plus de] 10 000 ». Cette erreur a donné l’occasion à Pierre Sautarel (et à d’autres) de remettre en cause le décompte des migrants morts, s’appuyant par ailleurs sur le fait que (selon lui) il n’y a aucune trace des cadavres.

      Comment, et par qui, sont comptés les morts ? Où sont-ils enterrés ?
      16862 morts et disparus en Méditerranée depuis 2014, selon l’OIM

      La source de Reuters (et de quasiment tous les médias) sur ce sujet est l’Organisation internationale pour les migrations (OIM). Entre le 1er janvier 2014 et le 30 juillet 2018, l’OIM, rattachée à l’ONU, a recensé 5773 « morts », dont on a retrouvé les corps, et 11089 « disparus », dont les dépouilles n’ont pas été récupérées immédiatement après les naufrages mais qui ont généralement été signalés par des survivants.

      Au total, l’OIM comptabilise donc 16 862 victimes en Méditerranée en quatre ans et demi.

      Selon l’organisation, dans leur immense majorité, ces décès et ces disparitions surviennent en Méditerranée centrale, entre la Libye, la Tunisie, Malte et l’Italie : 14587 morts et disparus dans cette zone selon l’OIM (on retrouve les « plus de 10 000 » dont parle Reuters).

      Cela représente plus de 86% du total méditerranéen. Il s’agit de la route migratoire la plus meurtrière au monde, selon l’OIM.
      Des sources essentiellement secondaires

      L’Organisation internationale pour les migrants collecte ces chiffres via le Missing Migrants Project (Programme des migrants disparus). Dans une publication de 2017, des chercheurs en charge du MMP précisent (en anglais) la méthodologie de cette comptabilité : « La base de données du MMP fournit une vue d’ensemble des données sur les morts des migrants, mais il dépend premièrement de sources secondaires d’information. » Ces sources secondaires sont évaluées en fonction de leurs avantages et de leurs inconvénients.

      Dans chaque cas (CheckNews a isolé ceux survenus en Méditerranée) l’OIM recense la date, le « nombre de morts », le « nombre minimum estimé de disparus », « le nombre de survivants ». Et renvoie vers des sources en ligne. A chaque type de source un chiffre (voir la méthodologie de collecte des données) : 1 quand un seul média a rapporté l’événement, 2 pour des témoignages de migrants à l’OIM, 3 quand plusieurs médias en font état, 4 si une organisation non-gouvernementale ou internationale en atteste, et 5 s’il y a au moins une source officielle (étatique ou gardes-côtes notamment) ou plusieurs sources humanitaires.

      Par exemple, le 30 juillet une personne meurt et deux survivent dans un naufrage près de Tanger selon un média local arabophone (indice : 1). Autre exemple : le 18 juillet, l’OIM enregistre 19 morts et (au moins) 25 disparus dans un naufrage au nord de Chypre, dont 103 personnes réchappent. Elle s’appuie sur Reuters, CNN en turc et un média turc, qui tiennent leurs infos des gardes-côtes turcs (indice : 5).

      L’OIM estime que le décompte n’est pas exhaustif, des cas de décès pouvant ne pas être portés à la connaissance des médias, ONG ou autorités locales. « Dans la plupart des régions, les chiffres sont probablement largement sous-estimés par rapport au nombre de vies perdues », selon un de ses rapports (en anglais).
      « Mortes sans laisser de traces »

      Autre source pour prendre la mesure des morts sur les routes migratoires : le réseau United for intercultural action. Se fondant également sur les articles de presse et les rapports d’ONG, une équipe basée à Amsterdam a compté, entre 1993 et 2018, 34 361 migrants morts lors de leur voyage vers l’Europe ou après leur arrivée. La liste a été publiée dans le quotidien britannique The Guardian, le 20 juin 2018, journée mondiale des réfugiés. Près de 80% de ces personnes sont mortes en mer.

      Le Guardian précise que cette liste non plus n’a pas de prétention exhaustive : « le vrai nombre pourrait être beaucoup plus élevé, puisqu’au fil des ans plusieurs milliers de personnes sont mortes sans laisser de traces lors de leur voyage par la terre ou la mer. »
      « Les Etats ne semblent pas faire d’efforts »

      Vous nous demandez aussi où sont les dépouilles des noyés de la Méditerranée. Comme nous l’écrivions plus haut, une majorité des corps ne sont pas retrouvés. Interrogée par CheckNews, Julia Black, qui coordonne le Missing Migrants Project à l’OIM fait le point : « 5773 corps et 11 089 disparus ont été enregistrés par le MMP depuis 2014, ce qui veut dire qu’à peu près 34% des migrants morts sont effectivement retrouvés. » Mais, l’Organisation internationale pour les migrations « n’a malheureusement pas de données sur où sont enterrées ces personnes », regrette Julia Black.

      « En général, les corps sont récupérés quand cela peut être fait sans compromettre les efforts de sauvetage », résume pour CheckNews Simon Robins, chercheur à l’université de York et responsable du projet Mediterranean Missing (auquel prend part l’OIM), qui vise à retrouver et identifier les morts en mer. Et de déplorer : « Les Etats ne semblent pas faire du tout d’effort pour recenser et publier des données concernant les corps qu’ils récupèrent. Cela est fait par la société civile et l’OIM. »
      « Cadavres traités comme des déchets »

      D’abord, donc, une majorité des victimes n’est pas retrouvée après les naufrages. Mais quand des corps arrivent sur des plages, la gestion s’avère compliquée. D’autant que « renvoyer une dépouille coûte cher et nécessite de la documentation. Cela n’est fait que si la famille est prête à investir la somme nécessaire et à remplir les papiers administratifs. Surtout, il faut que le corps soit identifié », souligne Simon Robins.

      Il incombe donc aux locaux de s’occuper des dépouilles non réclamées. Mediterranean Missing a consacré des rapports à la gestion des corps en Sicile (Italie) et à Lesbos (Grèce). Dans de nombreux cas, impossible d’identifier les migrants. Début 2016, la BBC publiait une enquête rapportant l’existence (d’au moins) 1278 tombes anonymes réparties dans 70 sites entre la Turquie, la Grèce et l’Italie (à l’époque, l’OIM recensait 8412 morts et disparus depuis 2014). Et le média britannique d’écrire : « En Turquie et en Grèce, les autorités locales, qui ont du mal à faire face à l’afflux de migrants et à la quantité inédite de corps qui s’échouent sur leurs plages, ont reconnu ne pas pouvoir tenir un compte précis des enterrements. » Des cimetières anonymes existent aussi en Tunisie, a constaté La Croix, et en Espagne, remarque RFI.

      En Libye, l’existence de fosses communes a même été rapportée (ici ou là). Les fondateurs de l’association Last Rights, qui veut donner un nom et une sépulture à tous les morts des migrations, Syd Bolton et Catriona Jarvis, confirment à CheckNews avoir recueilli « plusieurs témoignages » allant dans ce sens : « En Afrique, les autorités sont débordées et on entend parfois parler de cadavres traités comme des déchets. Ce n’est pas le cas, à notre connaissance, en Europe. »
      « Catastrophe »

      Cependant, « l’Union européenne n’a pas de politique vis-à-vis des migrants morts. C’est un problème qui incombe à chaque Etat, en fonction de sa loi et de ses pratiques nationales et régionales. Ces lois ne sont pas coordonnées ou harmonisées », détaille auprès de CheckNews la juriste Stefanie Grant, qui a rédigé un mémo juridique sur la question (en anglais) pour Mediterranean Missing. En revanche, au mois de juillet 2018, tous les Etats membres à l’exception de la Hongrie ont signé un engagement auprès de l’ONU sur les migrations. Le chapitre « Sauver des vies et faire des efforts coordonnés pour les migrants disparus » impose aux signataires de :

      Collecter, centraliser et systématiser les données concernant les corps, et assurer la traçabilité après l’enterrement […] établir des chaînes de coordination au niveau transnational pour faciliter l’identification et l’information des familles […] faire tous les efforts, y compris au travers de la coopération internationale pour retrouver, identifier et rapatrier les restes des migrants décédées à leurs pays d’origine […] et dans le cas d’invididus non identifiés, faciliter l’identification et la récupération des restes mortuaires.

      « Il ne manque plus qu’aux dirigeants de faire preuve de bonne volonté, c’est un processus très long », estiment les fondateurs de Last Rights, Syd Bolton et Catriona Jarvis. Ils expliquent à CheckNews que pour l’heure « les municipalités européennes doivent enterrer les morts qui arrivent sur leur territoire », mais qu’en termes de statistiques et de décompte, les pratiques varient d’une ville à l’autre.

      Pour les militants de Last Rights, cette situation explique pour partie le scepticisme de certains citoyens devant le drame des migrants : « Si l’Europe avait pris le parti de recenser exactement les disparus en mer et de s’occuper des dépouilles, personne ne pourrait douter de la catastrophe qui se déroule en Méditerranée. »

      http://www.liberation.fr/checknews/2018/08/09/combien-de-migrants-sont-morts-en-mediterranee-ou-sont-ils-enterres_16713

    • « La traversée de la Méditerranée se révèle plus mortelle que jamais »

      Plus de 1600 personnes ont trouvé la mort durant les premiers mois de 2018 lors de leur traversée de la Méditerranée. Selon un nouveau rapport publié lundi par le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (HCR), la route maritime « est plus mortelle que jamais pour les migrants ».

      Le rapport, intitulé Voyages désespérés, constate que, même si le nombre de migrants tentant de rejoindre l’Europe a diminué, le taux des décès a augmenté vertigineusement. Entre janvier et juillet 2018, une personne sur 18 tentant la traversée est morte ou a disparu en mer. Au cours de la même période en 2017, on enregistrait un décès pour 42 personnes s’entassant dans les embarcations de fortune.

      « Le rapport confirme une fois de plus que la route méditerranéenne est l’un des passages maritimes les plus meurtriers du monde », affirme Pascale Moreau, directrice du bureau du HCR pour l’Europe, dans un communiqué.
      Mesures sécuritaires en ligne de mire

      Les mesures européennes de contrôle qui visent l’immigration irrégulière, les restrictions infligées aux ONG qui limitent les opérations de secours, ainsi que l’accès restreint aux ports italiens, en particulier depuis le changement de gouvernement dans la Péninsule, ont certes conduit à une diminution du flux migratoire. Mais le HCR tient à souligner que ces mesures entraînent une hausse du taux de mortalité.

      Comme solution, le HCR appelle les pays européens à s’engager en faveur de la mise en place de voies d’accès alternatives, légales et sécurisées pour les personnes fuyant la guerre et les persécutions. L’organisation onusienne suggère aussi aux Européens de s’entendre sur des ports de débarquement dans plusieurs pays, afin que l’accueil des migrants ne repose pas uniquement sur l’Espagne, la Grèce et l’Italie.

      https://www.letemps.ch/monde/traversee-mediterranee-se-revele-plus-mortelle-jamais

    • La traversée de la Méditerranée est plus meurtrière que jamais, selon un nouveau rapport du HCR

      Trois ans après la diffusion des images choquantes d’Alan Kurdi, cet enfant syrien dont le corps sans vie avait été retrouvé échoué sur une plage turque, la traversée de la mer Méditerranée est un itinéraire encore plus meurtrier qu’auparavant, indique un nouveau rapport du HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés.

      Selon le nouveau rapport « Voyage du désespoir », plus de 1600 personnes ont déjà perdu la vie ou ont disparu cette année en tentant de rejoindre l’Europe.

      Si le nombre de personnes arrivées en Europe est en diminution, le taux de décès, surtout parmi ceux qui rejoignent le continent par la Méditerranée, a considérablement augmenté, souligne le rapport. En Méditerranée centrale, pour chaque groupe de 18 personnes ayant entrepris la traversée entre janvier et juillet 2018, une personne est décédée ou a disparu, contre une sur 42 au cours de la même période en 2017.

      « Ce rapport confirme une fois de plus que la traversée de la Méditerranée est l’une des voies les plus meurtrières au monde », a déclaré Pascale Moreau, la Directrice du bureau du HCR pour l’Europe. « Alors même que le nombre d’arrivants sur les côtes européennes diminue, il ne s’agit plus de tester la capacité de l’Europe à gérer les chiffres mais à faire preuve de l’humanité nécessaire pour sauver des vies. »

      Ces derniers mois, le HCR et l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) ont appelé à une approche prévisible et régionale afin de garantir le sauvetage et le débarquement des personnes en détresse en mer Méditerranée.

      Le HCR exhorte également l’Europe à accroître les possibilités de voies d’accès légales et sûres pour les réfugiés, notamment en augmentant le nombre de places de réinstallation et en éliminant les obstacles au regroupement familial – ce qui permettrait de fournir d’autres options à des périples dont l’issue risque d’être fatale.

      Le rapport souligne également les dangers auxquels sont confrontés les réfugiés lorsqu’ils voyagent le long des routes terrestres vers l’Europe ou lorsqu’ils traversent celle-ci. Notant les mesures prises par certains pour empêcher les réfugiés et les migrants d’accéder à leur territoire, le rapport exhorte les États à faire en sorte que les personnes cherchant la protection internationale puissent facilement accéder aux procédures d’asile. Il lance également un appel aux États afin que ceux-ci renforcent les mécanismes de protection des enfants qui voyagent seuls et demandent l’asile.

      L’auteur à succès et Ambassadeur de bonne volonté du HCR, Khaled Hosseini, lui-même réfugié afghan, a publié un livre illustré dont la parution coïncide avec le tragique troisième anniversaire de la mort d’Alan Kurdi. Intitulé « Sea Prayer », l’ouvrage rend hommage aux milliers de réfugiés qui ont perdu la vie en fuyant la guerre, la violence et les persécutions à travers le monde.

      « Quand j’ai vu ces images épouvantables du corps d’Alan Kurdi, j’ai eu le cœur brisé », a déclaré Khaled Hosseini. « Pourtant, trois ans plus tard et malgré le fait que des milliers d’autres personnes perdent la vie en mer, notre mémoire collective et l’urgence que nous avions à vouloir faire mieux semblent s’être estompées. »

      En juin et juillet 2018, Khaled Hosseini s’est rendu au Liban et en Italie, où il a pu constater les conséquences désastreuses pour les familles qui ont perdu des proches alors que ceux-ci tentaient de rejoindre l’Europe.

      « En Sicile, j’ai vu un cimetière isolé et mal entretenu qui était rempli de tombes d’anonymes, dont de nombreux enfants, qui se sont noyés durant leur périple ces dernières années, comme Alan Kurdi », a-t-il expliqué. « Chacune de ces personnes n’est plus qu’un chiffre, un code sur une tombe, mais il s’agissait d’hommes, de femmes et d’enfants qui ont osé rêver d’un avenir plus prometteur. Trois ans après le décès d’Alan, il est temps d’unir nos forces pour éviter d’autres tragédies et rappeler à nos amis, nos familles, nos communautés et nos gouvernements que nous sommes solidaires avec les réfugiés. »

      L’intégralité du rapport (en anglais) est disponible à l’adresse : http://www.unhcr.org/desperatejourneys

      Faits marquants

      Le long de l’itinéraire de la Méditerranée centrale, dix incidents ont eu lieu depuis le début de l’année, au cours desquels 50 personnes, voire davantage, sont décédées. La plupart d’entre elles étaient parties de Libye. Parmi ces incidents, sept se sont déroulés depuis juin.
      Depuis l’Afrique du Nord vers l’Espagne, plus de 300 personnes ont perdu la vie jusqu’à présent, soit déjà une nette augmentation par rapport au total de l’année 2017, durant laquelle 200 décès avaient été enregistrés.
      En avril dernier, lorsque 1200 personnes ont rejoint l’Espagne par la mer, le taux de décès est passé à une personne qui trouve la mort pour chaque groupe de 14 personnes qui arrive en Espagne par la mer.
      Plus de 78 décès de réfugiés et de migrants ont été enregistrés jusqu’à présent le long des routes terrestres en Europe ou aux frontières de celle-ci, contre 45 au cours de la même période l’an dernier.

      http://www.unhcr.org/fr/news/press/2018/9/5b8ccee9a/traversee-mediterranee-meurtriere-jamais-nouveau-rapport-hcr.html

      Lien vers le #rapport :
      http://www.unhcr.org/desperatejourneys

    • En septembre, près d’un migrant sur 5 partant de Libye aurait disparu en Méditerranée

      Sur les six premiers mois de 2018, une personne sur 18 qui tentait de traverser la Méditerranée y a disparu. D’après un chercheur italien, en septembre ce chiffre a radicalement augmenté, passant à un mort ou disparu sur cinq.

      Ils sont plus de 30 000. Trente mille hommes, femmes et enfants, qui ont trouvé la mort en Méditerranée en essayant d’atteindre l’Europe sur des embarcations de fortune. Depuis le début de l’année, et encore plus au cours des quatre derniers mois, la mortalité du trajet a explosé. Et ce, même si le nombre de personnes qui tentent la traversée a chuté.

      En septembre, le Haut commissariat aux réfugiés de l’ONU (HCR) révélait qu’en 2017, une personne qui essayait d’atteindre l’Europe sur 42 trouvait la mort en Méditerranée et qu’en 2018, ce chiffre était passé à une personne sur 18. En septembre, ce chiffre a encore grimpé : ils étaient un sur cinq à perdre la vie ou à « disparaître » entre la Libye et l’Europe, selon le chercheur Matteo Villa, de l’Institut italien pour les études de politique internationale. Il a compilé, sur la base des chiffres officiels du HCR, de l’Organisation internationale des migrations (OIM), des récits publiés dans la presse et de témoignages récoltés lui-même, les données concernant les départs de Libye, les arrivées en Europe et les interceptions réalisées par les garde-côtes libyens (1). Il en ressort, pour le mois de septembre, qu’une personne sur dix a réussi à atteindre l’Europe, sept sur dix ont été interceptées par les Libyens et ramenées sur la rive sud de la Méditerranée, et deux sur dix ont disparu.
      « Politiques de dissuasion »

      « La chose la plus importante est qu’autant le risque de mourir que les décès avérés ont considérablement augmenté si vous comparez deux périodes : celle allant de juillet 2017 à mai 2018, soit avant l’arrivée du gouvernement actuel et le durcissement des politiques de dissuasion contre les ONG, et celle allant de juin à septembre 2018, soit après le changement de gouvernement italien et le début des politiques de dissuasion », explique Matteo Villa à Libération.

      Selon le chercheur, l’effet du durcissement de la politique migratoire du gouvernement italien, en particulier, est tangible : « Avant les politiques menées par Minniti [l’ancien ministre de l’Intérieur italien, en poste entre décembre 2016 et juin 2018, ndlr] ne fassent effet, à peu près 12 migrants mouraient chaque jour. Pendant les politiques de Minniti, il y en avait 3 par jour. Depuis Salvini [le nouveau ministre de l’Intérieur italien d’extrême droite, ndlr], le chiffre est monté à 8 morts par jour », détaille encore le chercheur.
      « Navires sous-équipés »

      Peut-on pour autant faire le lien direct entre la fermeture des ports italiens, depuis cet été, aux ONG qui portent secours aux migrants en mer, ou les difficultés rencontrées notamment par l’Aquarius, que le Panama ne veut plus immatriculer, et la hausse de la mortalité ? « C’est difficile à dire, mais à mon avis, oui. Les données racontent une histoire spécifique : sans les ONG en mer, les seuls navires qui restent sont ceux des garde-côtes libyens, qui sont sous-équipés et sous-staffés, donc ils ne pourront pas éviter un grand nombre de décès en mer », explique Matteo Villa.

      Dans le même temps, les départs de Libye n’ont jamais été aussi peu nombreux, depuis 2012, signale-t-il : « C’est plus difficile de trouver une place dans un bateau aujourd’hui. » Pour autant, la politique de dissuasion menée envers les migrants ne peut être considérée comme satisfaisante, selon lui : « L’hypothèse était que, étant donné le risque de mourir, les gens ne tenteraient plus de traverser la mer depuis la Libye. Mais les gens essaient toujours, et cela débouche sur un nombre très haut de morts avérées. »


      https://www.liberation.fr/planete/2018/10/01/en-septembre-pres-d-un-migrant-sur-5-partant-de-libye-aurait-disparu-en-m
      #mortalité

    • Migrant Deaths in Western Mediterranean This Year Double Those Recorded in 2017: UN Migration Agency

      IOM’s Missing Migrants Project (MMP) team, based at IOM’s Global Migration Data Analysis Centre (GMDAC) in Berlin, has confirmed that two migrant boats were lost in the Alboran Sea in late August and early September and at least 113 people lost their lives. Since the beginning of the year, 547 people are estimated to have died in these waters, more than double the 224 deaths documented in all of 2017.

      On 30 August, a boat carrying 52 migrants, including six women (one of whom was pregnant) disappeared, according to the NGO Alarm Phone. The boat left on 29 August from Nador, Morocco, and both Spanish and Algerian authorities were involved in the unsuccessful search for the lost boat.

      Days later, on 3 September, another boat, with 61 migrants on board, went missing in the Alboran Sea after it departed for mainland Spain. The bodies of 13 people were found on the shores of Morocco and Algeria in the following days.

      “What’s concerning is that we’ve seen a consistent increase in the number of migrant deaths recorded in the Western Mediterranean each year since IOM began keeping track,” said Frank Laczko, Director of IOM’s Data Analysis Centre. “These numbers, however, tell only a partial story of the tragedy unfolding in the Western Mediterranean. For each person lost at sea, families are left wondering if their loved one is dead or alive.”

      The families of the 113 people who disappeared in these two shipwrecks are forced to live in limbo, not knowing the fate of their loved ones. They will have no place to mourn and lay their loved ones to rest.

      Unfortunately, deaths in the waters between North Africa and the Spain are not a new phenomenon. The Andalusian Association for Human Rights has documented the deaths of over 6,000 people on this route since 1997.

      Laczko noted, “The increase in recorded deaths in 2018 is linked to the increase in attempted sea crossings from North Africa to Spain compared with the past five years, as well as the number of fatalities in each shipwreck.” Of the 547 deaths and disappearances recorded so far in 2018, more than half (289) occurred in seven shipwrecks in which more than 20 people died or were lost at sea. Between 2014 and 2017, two or fewer such incidents were recorded each year.

      There are also strong indications that many migrants have been lost without a trace in the Western Mediterranean this year. The remains of more than 60 people have been found on beaches in Spain, Morocco and Algeria in 2018 that are not associated with any known shipwreck.

      Furthermore, non-governmental organizations operating in Spain and Morocco have received numerous requests from family members reporting loved ones lost in the Alboran Sea in shipwrecks which cannot be confirmed.

      IOM’s Missing Migrants Project collects data on migrant deaths from various sources, including coast guards, non-governmental and civil society organizations, and media reports. However, reports on migrant deaths are scattered and incomplete, and there are no complete data on border deaths released by Spanish or Moroccan authorities.

      In general, Missing Migrants Project data on migrant deaths and disappearances are best understood as minimum estimates: the true number of fatalities during migration is likely much higher. This lack of data reinforces the marginality and invisibility of migrant deaths and leads to an environment in which deaths seem to be tolerated as an assumed risk of irregular migration.


      https://reliefweb.int/report/spain/migrant-deaths-western-mediterranean-year-double-those-recorded-2017-un-m
      #mortalité #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #statistiques #chiffres #mourir_en_mer #2017 #morts #décès #2014 #2015 #2016 (et estimations #2018)

      Pour télécharger le pdf:
      https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/Migrant%20Deaths%20in%20Western%20Mediterranean%20This%20Year%20Double%20

      ping @isskein @reka

    • #Méditerranée_occidentale : les décès de migrants ont doublé cette année par rapport à 2017 (OIM)

      Selon l’Agence des Nations Unies pour les migrations (OIM), la mer Méditerranée reste l’une des voies les plus meurtrières pour les migrants, malgré la baisse du trafic sur la partie centrale. D’après le Projet de l’OIM sur les migrants disparus (MMP), en date du 24 octobre, 1.969 migrants « irréguliers » sont morts en Méditerranée, dont plus des deux tiers dans les eaux entre l’Afrique du Nord et la Sicile.

      Mais la voie de la Méditerranée occidentale reste la plus meurtrière parmi les routes méditerranéennes menant en Europe.

      « Depuis le début de l’année, 547 personnes ont péri dans la Méditerranée occidentale. Ce chiffre s’élevait à 224 pour toute l’année 2017 », a déclaré le porte-parole de l’OIM, Joel Millman, lors d’un point de presse vendredi à Genève.

      Selon Joel Millman, l’illustration de cette tragédie est le naufrage de deux bateaux sur la mer d’Alboran qui ont fait au moins 113 morts entre fin août et début septembre.

      Le 30 août, un bateau transportant 52 migrants, dont six femmes (une enceinte), a disparu, selon l’ONG Alarm Phone. Le bateau est parti le 29 août de Nador (Maroc) et les autorités espagnoles et algériennes ont participé à la recherche infructueuse de l’embarcation portée disparue.

      Le 3 septembre, un autre bateau, avec 61 migrants à bord, a disparu à une centaine de kilomètres au sud de l’île espagnole d’Alboran. Les corps de 13 personnes ont été retrouvés par la suite sur les côtes marocaines et algériennes.

      L’OIM rappelle que les décès dans les eaux entre l’Afrique du Nord et l’Espagne ne sont pas « malheureusement un phénomène nouveau ». « L’Association andalouse des droits de l’homme a documenté le décès de plus de 6.000 personnes sur cette route depuis 1997 », a ajouté M. Millman.
      L’Espagne reste la porte d’entrée en Europe des migrants arrivées par la Méditerranée en 2018

      « L’augmentation des décès enregistrés en 2018 est liée à l’augmentation du nombre de tentatives de traversées par la mer entre l’Afrique du Nord et l’Espagne par rapport aux cinq dernières années, ainsi que par le nombre de morts dans chaque naufrage », a déclaré de son côté Franck Laczko, le Directeur du Centre mondial d’analyse des données sur la migration (CMADM) de l’OIM. Sur les 547 décès et disparitions enregistrés à ce jour en 2018, plus de la moitié (289) ont eu lieu lors de sept naufrages au cours desquels plus de 20 personnes sont mortes ou portées disparuesen mer. Entre 2014 et 2017, deux incidents de ce type ou moins ont été enregistrés chaque année.

      Il existe également de fortes indications selon lesquelles de nombreux migrants sont portés disparus cette année, sans laisser de traces dans la Méditerranée occidentale. Les restes de plus de 60 personnes ont été retrouvés sur des plages en Espagne, au Maroc et en Algérie en 2018, qui ne sont pas pourtant associés à des naufrages connus.

      Malgré une traversée périlleuse en Méditerranée, les migrants continuent d’emprunter cette voie pour tenter de rejoindre l’Espagne, l’Italie ou la Grèce. D’après l’OIM, 95.909 migrants et réfugiés sont arrivés en Europe cette année par la mer en date du 24 octobre, dont 45.976 rien qu’Espagne, la principale destination de débarquement cette année.

      En réalité, depuis les arrivées de fin septembre, l’Espagne a accueilli, en 2018, plus de migrants irréguliers qu’elle ne l’a fait pour toutes les années 2015, 2016 et 2017 combinées. En comparaison, ils étaient 147.170 à la même période dans la région l’an dernier et 324 267 au même moment en 2016.

      Recensant 46% de toutes les arrivées irrégulières cette année, l’Espagne (45.976 arrivées par la mer en plus de 5.202 par voie terrestre) continue de recevoir près de trois fois plus de migrants que la Grèce (26.340) et huit fois et demi de plus que l’Italie (21.935).

      https://news.un.org/fr/story/2018/10/1027622

    • Plus de 2.260 migrants sont morts en tentant de traverser la Méditerranée en 2018

      Des arrivées en baisse, mais plus de 2.260 morts : la Méditerranée est restée l’an dernier la voie maritime la plus meurtrière pour les migrants, selon le HCR qui a appelé les pays européens à « sortir de l’impasse ».

      Un total de 2.262 migrants sont « morts ou portés disparus » en tentant de traverser la Méditerranée en 2018, contre 3.139 l’année précédente, selon les chiffres publiés par le Haut commissariat de l’ONU aux réfugiés (HCR) sur son site internet.

      https://www.courrierinternational.com/depeche/plus-de-2260-migrants-sont-morts-en-tentant-de-traverser-la-m

      Sur le site de l’HCR (04.01.2019) :


      https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean

    • Méditerranée : forte baisse des traversées en 2018 et l’Espagne en tête des arrivées (HCR)

      C’est toujours la voie maritime la plus meurtrière au monde pour les migrants : plus de 2 260 personnes sont mortes en tentant de traverser la Méditerranée en 2018, selon les chiffres publiés par le Haut-Commissariat de l’ONU aux réfugiés (HCR), jeudi 3 janvier.

      https://news.un.org/fr/story/2019/01/1032962

    • Irregular migration death, disappearance toll exceeds 30,000 during 2014-2018: IOM

      At least 30,510 deaths occurred between 2014 and 2018 during irregular migration around the world, the UN International Organization for Migration (IOM) said in a report Friday.

      More than 19,000 deaths and disappearances were recorded due to drowning, not only in the Mediterranean Sea but also in the Rio Grande, the Bay of Bengal and many other overseas routes, said the IOM citing data gathered by its Missing Migrants Project.

      Nearly half of the five-year total fatalities of at least 14,795 men, women and children were recorded on the central Mediterranean route between North Africa and Italy.

      The Missing Migrants Project estimates that at least 17,644 lives were lost at sea on all three trans-Mediterranean routes in the last five years, equivalent to roughly 10 times the number of people who drowned when the luxury liner Titanic sank in 1912.

      “Irregular migration poses significant risks to those who undertake such journeys, and safe, legal pathways are urgently needed so that fewer people resort to this option,” said Dr. Frank Laczko, director of IOM’s Global Migration Data Analysis Centre.

      “Even though many focus on the Mediterranean, the truth of the matter is that people die on migratory routes worldwide,” he said.

      Due to the lack of official information on deaths during migration, and a lack of detail on most of those who die during migration, the IOM said the figures are best understood as a minimum estimate.

      Deaths recorded during migration throughout Africa comprise the second-largest regional total of the 30,000 deaths logged since 2014, with 6,629 fatalities recorded since 2014.

      Nearly 4,000 of those deaths occurred in northern Africa, where a lack of reliable data and extensive anecdotal reports indicate that many more migrants have died than are recorded.

      In Asia, where data are similarly scarce, the deaths of more than 2,900 people were recorded during migration, including 2,191 in Southeast Asia and 531 in the Middle East.

      At least 2,959 people died migrating in the Americas in the last five years, more than 60 percent of whom (at least 1,871) lost their lives on the border between Mexico and the United States.

      There were more than 1,000 deaths in the rest of Latin America and the Caribbean between 2014 and 2018, although the difficulty in obtaining reliable reports — particularly at sea or through remote jungle areas — means that migrant deaths were likely far higher, said the IOM.

      http://www.xinhuanet.com/english/2019-01/12/c_137737134.htm

  • #Israel: Arms embargo needed as military unlawfully kills and maims #Gaza protesters | Amnesty International
    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/04/israel-arms-embargo-needed-as-military-unlawfully-kills-and-maims-gaza-prot
    https://www.amnesty.org:443/remote.axd/aineupstrmedia.blob.core.windows.net/media/18023/gettyimages-949116864.jpg?preset=fixed_1200_630

    Israel is carrying out a murderous assault against protesting Palestinians, with its armed forces killing and maiming demonstrators who pose no imminent threat to them, Amnesty International revealed today, based on its latest research, as the “Great March of Return” protests continued in the Gaza Strip.

    #crimes #meurtres#impunité

  • Turkey deports over 6,800 Afghan migrants

    The Turkish government has deported 6,846 Afghan refugees back to Kabul recently, according to a statement from the Interior Ministry’s General Directorate of Migration Management.

    The directorate said the migrants were deported from the eastern provinces of Erzurum, Ağrı, and the western province of İzmir on nine charter flights, as well as additional scheduled flights following the completion of deportation procedures, state-run Anadolu Agency reported on April 16.

    The undocumented migrants were reported to have entered Turkey through Iran via illegal means and were mostly captured in Erzurum.

    More migrants will be deported to Afghanistan through an additional four charter flights in the upcoming days, the directorate said.

    Turkey is a common transit country for migrants trying to reach Europe. Turkey accelerated the deportation process on April 8, following reports that nearly 20,000 undocumented Afghan migrants have arrived in the country over the past three months, an unprecedented number.

    The first group of Afghan migrants, consisting of more than 200 people, left Erzurum on April 8 on a charter flight bound for Kabul, with reports following that a total of 3,000 were planned to be deported from Erzurum alone.

    The Interior Ministry on April 7 said the Afghan migrants had crossed into Turkey through Iran due to “ongoing terrorist activities and economic troubles” in Afghanistan and security forces had handed the migrants over to provincial immigration authorities

    “Following the completion of deportation procedures for illegal migrants in our other provinces, deportations will speed up and continue in the coming days,” the ministry said in a statement.

    During an official visit to Kabul on April 8, Prime Minister Binali Yıldırım said the Interior Ministry was conducting a productive plan to stop the inflow of illegal Afghan migrants.

    https://www.pajhwok.com/en/2018/04/17/turkey-deports-over-6800-afghan-migrants
    #réfugiés_afghans #renvois #expulsions #Afghanistan #Turquie #asile #migrations #réfugiés

    cc @i_s_ @tchaala_la @isskein

    • Turkey : Thousands of Afghans swept up in ruthless deportation drive

      At least 2,000 Afghans who fled to Turkey to escape conflict and the worst excesses of the Taliban are in detention and at imminent risk of being forced back to danger, Amnesty International said today. The Turkish authorities appear to be ramping up a deportation spree that has seen 7,100 Afghans rounded up and returned to Afghanistan since early April.

      The Turkish authorities told Amnesty International that all these returns are voluntary, and that the UN Refugee Agency UNHCR has periodic access to places of detention. However, in telephone interviews with detainees in the Düziçi container camp in southern Turkey, where at least 2,000 Afghans are believed to be held, Amnesty International heard how detainees have been pressured to sign documents written in Turkish, which they are unable to understand. These could be “voluntary repatriation forms,” which the Turkish authorities have previously used in coercive circumstances with Syrian and other refugees.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/04/turkey-thousands-of-afghans-swept-up-in-ruthless-deportation-drive

    • Total of Afghans deported from Turkey to reach 10,000

      The Turkish Interior Minister Suleyman Soylu announced this week that 29,899 Afghans had crossed into Turkey since January – this compares to a total of 45,259 for the whole of 2017. The Minister said 7,100 migrants have been sent back to Afghanistan since early April and this number is likely to rise to 10,000 by the end of the week.

      https://www.ecre.org/total-of-afghans-deported-from-turkey-to-reach-10000

    • Mass Deportations of Afghans from Turkey: Thousands of migrants sent back in a deportation drive

      In a recent television appearance, the Turkish Interior Minister, Suleyman Soylu, said that 15,000 Afghans have been sent back home from Turkey. While it is likely that this number has been exaggerated, there is no doubt that in April and May of 2018, thousands of Afghan migrants were sent back on charter flights from Turkey to Kabul. This is the Turkish government’s response after a 400 per cent increase in arrivals of Afghan migrants to Turkey during the first quarter of 2018. In early April of this year, the first charter flight carrying Afghans back to Kabul flew out of Erzurum, a city in eastern Anatolia that has become the centre of these returns. AAN’s guest author Amy Pitonak visited Erzurum to find out first-hand about the situation for Afghans there.

      https://www.afghanistan-analysts.org/mass-deportations-of-afghans-from-turkey

  • Campaign targets Apple over privacy betrayal for Chinese iCloud users
    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/03/apple-privacy-betrayal-for-chinese-icloud-users

    Amnesty International is launching a new social media campaign targeting Apple over its betrayal of millions of Chinese iCloud users by recklessly making their personal data vulnerable to the arbitrary scrutiny of the Chinese government. In a nod to Apple’s iconic ‘1984’ advert, the campaign takes an Orwellian theme with the line “All Apple users are equal but some are less equal than others”. It launches as the tech company’s chief executive, Tim Cook, touches down in Beijing to co-chair a (...)

    #Apple #iCloud #serveur #web #surveillance #Amnesty

    ##iCloud

  • Un millier de migrants nigériens rapatriés d’Algérie

    Quelque 1.029 Nigériens en situation irrégulière en Algérie, dont des femmes et des enfants, ont été reconduits vers leur pays la semaine dernière, a indiqué vendredi le gouverneur d’Agadez (nord du Niger).

    https://www.voaafrique.com/a/un-millier-de-migrants-nigeriens-rapatries-da-l-algerie/4011192.html

    #Algérie #renvois #expulsions #migrations #réfugiés #asile #migrants_nigérians #réfugiés_nigérians #Nigeria

    • Algeria: Mass #racial_profiling used to deport more than 2,000 sub-Saharan migrants

      The Algerian authorities have launched a discriminatory crackdown against foreign nationals, rounding up and forcibly expelling more than 2,000 sub-Saharan African migrants from a range of countries to neighbouring Niger and Mali over the past three weeks, said Amnesty International. Those expelled include more than 300 minors, among them at least 25 unaccompanied children.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/10/algeria-mass-racial-profiling-used-to-deport-more-than-2000-sub-saharan-mig
      #profilage_racial

    • Africa, le espulsioni sotto accusa

      Delle migliaia di migranti dell’Africa sub-sahariana che cercano di raggiungere l’Europa, molti perdono la vita nel deserto e molti altri vengono respinti verso i Paesi di origine. Spesso le espulsioni forzate sono oggetto di denuncia da parte di organizzazioni umanitarie che raccolgono testimonianze di violenze e abusi. E il caso di molti respingimenti dall’Algeria verso Niger e Mali. Da Bamako, in Mali, Andrea De Georgio ci racconta la storie di chi è dovuto tornare indietro e di chi non ce l’ha fatta

      http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Africa-le-espulsioni-sotto-accusa-9509ac01-964f-4ad5-b1de-6aac1037f200.html
      #cimetière

    • ALERTE / Algérie : Nouvelles #arrestations et détention de personnes migrantes

      EuroMed Droits et ses membres condamnent avec fermeté les arrestations massives en cours dans #Alger et sa banlieue. Plusieurs dizaines de personnes migrantes issues de pays d’Afrique subsaharienne ont été arrêtées depuis ce samedi 10 février, y compris des personnes en situation régulière.

      https://euromedrights.org/fr/publication/algerie-nouvelles-arrestations-de-personnes-migrantes-sidi-abdellah
      #détention_administrative #rétention

    • Reçu via la mailing-list de Migreurop, le 12 mars 2018 :

      L’Algérie continue, en catimini de se débarrasser de milliers migrants sur tout son territoire.

      Pressée par les pays européens de contenir le flux migratoire et d’exporter leur frontière vers le Maghreb et l’Afrique sub-saharien, l’Algérie, l’un des meilleures élèves, multiplie les arrestations de migrants sur tout leur territoire jusqu’au niveau des frontières. Ces arrestations s’opèrent sans aucun contrôle d’identité, sous prétexte qu’on applique l’accord dit de rapatriement mais pourtant la majorité des maliens avait des documents en bon et due forme et avec des cachés d’entrée en cours de validité.
      L’on peut croire que cette situation s’est intensifiée avec le discours du Ministre de l’Intérieur nigérien, Mr Bazoum le 21 Février dernier, de cesser d’expulser des migrants non-nigériens vers son pays.
      Ainsi, les migrants sont dépossédés de leur bien et refoulés dans ce no man’s land (#Khalil, frontière malienne) où pour rallier Gao, ils sont ensuite confrontés et raquetés par les groupuscules armés du désert.
      Certains migrants, plus chanceux de garder par devers eux une petite somme, cotisent pour payer le transport jusqu’à #Gao. C’est ainsi que dans l’après-midi d’hier, Mercredi 07 mars la Maison du migrant a accueilli 110 migrants dont 77 Maliens, 12 Ivoiriens, 10 Guinéens, 05 Sénégalais, 05 Burkinabés et 01 Béninois. Entassés dans un camion, le visage empoussiéré, fatigués et affamés, on imagine à vue d’œil combien était caillouteux et ardu leur chemin de calvaire. L’un deux à peine posé les pieds au sol, s’est affaissé. Il est hospitalisé et maintenu sous perfusion.
      Un deuxième cas de paludéen est enregistré ce matin. Cependant l’effet le plus troublant est les crises d’émotion. Il va s’en dire que pour beaucoup de migrants c’est une honte pour soi et pour la famille, de rentrer bredouille (les poches vides) en communauté après plusieurs années de périple. Bien souvent, l’#orgueil leur ceint la poitrine de retrouver la chaleur familiale après tant d’efforts vains car cette #échec est synonyme de #rejet et de #mépris.
      C’est ce qui explique sans nul doute la #tentative_de_suicide d’un des maliens, hier soir, aux environs de 20hrs, au sein du centre d’accueil. Mr X, Kayesien (habitant de Kayes), a piqué une crise et s’est jeté du haut de l’estrade vers le sol, la tête en avant. Tout en pleure, il disait préférer mourir que de rentrer à la maison. Il nous a fallu plus d’une heure, avec l’aide de ses compagnons pour le conscientiser et le calmer. Toute la nuit durant, on a été sur le qui-vive pour parer à un éventuel ‘’re-tentative’’. Par la grâce de Dieu ce matin il s’est plutôt calmé et on l’a acheminé sur Bamako.
      Autant de situations dramatiques qui nous donnent la chair de poule et fait appel à notre bon sens dans l’entraide et l’assistance qu’on est censé apporter à nos chers frères migrants en situation de retour.
      ERIC ALAIN KAMDEM
      Coordinateur de la
      Maison du Migrant Gao/#Mali

    • L’Algérie accélère les expulsions de migrants subsahariens dans le désert

      En quelques semaines, des centaines de personnes ont été arrêtées pour être emmenées aux frontières avec le #Niger et le #Mali.
      Depuis le début de l’année, Alger a expulsé plusieurs centaines de migrants subsahariens à ses frontières sud, confirmant le durcissement de sa politique migratoire. Entre le 3 et le 13 février, plus de 500 personnes ont ainsi été expulsées à la frontière avec le Niger. Arrêtées dans différentes villes algériennes, elles ont été emmenées à Tamanrasset, à 1 800 km au sud d’Alger, où elles ont été retenues dans un camp de préfabriqués pendant plusieurs jours avant d’être emmenées dans des camions jusqu’à la frontière.

      L’Algérie et le Niger se sont mis d’accord en 2014 pour qu’Alger organise l’arrestation et l’expulsion de migrants nigériens qui mendient dans les différentes villes du pays. Selon les autorités algériennes, ces hommes, femmes et enfants sont utilisés par un réseau bien organisé, proche des réseaux de trafic et de terrorisme.

      Pourtant, depuis décembre 2016, les arrestations concernent également les migrants de différents pays d’Afrique de l’Ouest et d’Afrique centrale, de plus en plus nombreux dans les groupes d’expulsés. A tel point que le 21 février, en visite à Agadez, le ministre nigérien de l’intérieur a dénoncé les expulsions sur son territoire de ressortissants d’autres pays que le sien.

      « Nous avons eu de longues discussions avec les autorités algériennes, à l’occasion desquelles nous leur avons demandé de ne plus nous renvoyer de migrants du Mali, de Guinée et d’autres pays », a déclaré Mohamed Bazoum aux journalistes présents. Ce jour-là, dans le centre de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) de cette ville du nord du Niger, il y avait 770 non-Nigériens expulsés d’Algérie.

      Attaqués par des groupes armés

      Un autre élément montre qu’Alger a accéléré sa politique d’expulsion. Le 1er mars, les forces de l’ordre ont interpellé plusieurs dizaines d’hommes dans la ville de Ghardaïa, à 600 km au sud d’Alger. Selon les témoignages, la plupart étaient des ouvriers. Ces hommes ont été conduits à la frontière malienne, à proximité de la ville algérienne de Bordj Badji Mokhtar. Ils affirment avoir marché près de six heures dans le désert.

      Les 6 et 7 mars, 125 hommes sont finalement arrivés dans la ville de Gao, dans le nord-est Mali. La plupart étaient de nationalité malienne, les autres venaient de différents pays d’Afrique de l’Ouest. Selon un communiqué de Human Rights Watch (HRW), ils ont été attaqués à plusieurs reprises par des groupes armés sur la route. Certains d’entre eux font partie des quelques dizaines de manifestants qui, le 12 mars, ont violemment protesté devant l’ambassade d’Algérie à Bamako.

      Dans le même temps, les expulsions continuaient à la frontière nigérienne. Le 4 mars, Matias Meier, directeur du programme d’International Rescue Committee au Niger, a annoncé l’arrivée à Agadez de 1 000 migrantes expulsées d’Algérie. Et le 15 mars, le responsable de la mission de l’OIM au Niger a déclaré que 369 migrants, « principalement des Maliens et des Guinéens », ont été secourus à la frontière. Ils sont « en colère », « apeurés » et, pour certains, « traumatisés ».

      Premières arrestations à Oran

      Côté algérien, les arrestations ne faiblissent pas. Entre le 7 et le 11 mars, plusieurs dizaines de migrants ont été arrêtés sur différents chantiers de la capitale. Certains travaillaient sur des immeubles du quartier chic de Sidi Yahia et des logements sociaux construits par une entreprise turque dans la banlieue ouest. « Il faisait nuit, la police est entrée sur le chantier et a arrêté une vingtaine de personnes qui dormaient », explique un migrant employé par l’entreprise turque. « Des policiers, matraque à la main, pourchassaient des hommes en tenue de chantier dans la rue », affirme une jeune femme qui a assisté à une arrestation. Au total, dans la capitale, 280 personnes ont été arrêtées, dont des mineurs, selon les associations.

      Enfin, pour la première fois, samedi 17 mars, des interpellations ont eu lieu à Oran, la seconde ville du pays. « Vers 5 heures du matin, les forces de l’ordre ont déboulé dans nos habitations, témoigne un migrant ivoirien qui demande à rester anonyme. Ils nous ont demandé nos papiers. Ils cherchaient des Nigériens. » Le 8 mars, pourtant, à l’occasion de la Journée internationale des droits des femmes, le wali (préfet) d’Oran était apparu à la télévision d’Etat, accompagné du Croissant-Rouge algérien, distribuant des roses et des couvertures à des migrantes nigériennes.

      http://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/03/20/l-algerie-accelere-les-expulsions-de-migrants-subsahariens-dans-le-desert_52

    • Algeria: mass deportations of African migrants

      Algeria has repatriated 27,000 sub-Saharan African migrants since 2015, a rare official statistic revealed by the interior minister Nouredine Bedoui last Thursday. He added that repatriations are still ongoing. Algeria is a key destination and transit country for many African migrants, mostly from Mali, Niger, Burkina Faso or Chad. People who have been deported from Algeria earlier this month, stated they were detained in makeshift camps for a few days before being taken on trucks and sent across the border at gunpoint. They then had to walk through the desert for hours to reach In Khalil, the first town in Mali. Some migrants also reported being robbed by armed groups along the way.

      https://www.ecre.org/algeria-mass-deportations-of-african-migrants

    • SUR LES RIVES DU DESERT DE L’ALGERIE

      Reçu via la mailing-list Migreurop, le 30 mars 2018:

      Le mois de Mars a témoigné plusieurs centaines de migrants refoulés
      d’Algérie. En dépit de la fermeture des frontières Algéro-malienne et
      malgré les cris de détresse, les plaintes et les alertes formulés
      auprès des organismes internationaux (Amnistie Internationale…) ;
      l’Algérie perpétue sans cesse les arrestations et les refoulements de
      migrants dans ces zones dépourvues de toute assistance humanitaire et
      contrôlées par des Djihadistes et des groupuscules armés.
      Les droits des migrants sont bafoués continuellement : pas de
      notification de l’ordre de quitter le territoire, pas de contrôle du
      juge de la légalité, de l’arrestation, de la privation de liberté et
      de la reconduite à la frontière, abandon en plein désert d’adultes
      sans tenir compte des personnes vulnérables mais surtout pas de
      contact direct des migrants avec leurs représentants consulaires.
      Ce phénomène de refoulement massif est ressenti à notre niveau depuis
      que le Niger a refusé d’accueillir les migrants non nigériens dans son
      terroir. Va savoir combien de maliens refoulés ont transité par le
      Niger bien avant.
      Grâce aux témoignages de certains migrants accueillis au centre le 13
      Mars dernier, on a appris que plus de 250 personnes étaient bloquées à
      In-Khalil. Cependant, une tentative d’acheminement de retours
      volontaires avait été tentée récemment. Ceux dont le chauffeur engagé
      a trouvé sur place, à l’image de leurs prédécesseurs, préféraient
      rebrousser chemin dans l’optique de récupérer leurs biens abandonnés
      à cause d’une arrestation précipitée et abusive après trois ou quatre
      ans de vie.
      En moins de quarante-huit (48) heures, la Maison du Migrant a
      accueilli des vagues successives de migrants en provenance d’Algérie,
      dont Soixante migrants, cinq mineurs et en majorité maliens. En dépit
      de la fatigue, certains souffrent de carence tandis que d’autres sont
      administrés à l’hôpital pour Paludisme aigu et crise d’ulcère.
      Cette situation criarde a interpellé sans doute les autorités
      maliennes car nous avons été surpris de recevoir, pour une première,
      la visite du Responsable de la Sécurité d’Etat et la Garde Nationale
      à Gao venir récolter des données sur la statistique du nombre de
      migrants accueillis, de leur nationalité et de leur lieu de
      provenance.
      Face à tout cela, nous ne pouvons-nous empêcher de spéculer sur
      certaines inquiétudes à savoir :
      1. Quelles approches diplomatiques ont été à la base prises par les
      autorités consulaires pour défendre les droits de leurs ressortissants
      en Algérie ?
      2. Les échanges ressortis lors de la visite dernière du Ministre de
      l’Intérieur Français, Mr Collomb au Niger, ne nous poussent-il pas à
      croire que nos autorités minimisent les politiques migratoires
      européennes ?

      Ainsi, la Maison du migrant prévoit le plutôt possible de faire une
      déclaration auprès des radios locales le vendredi 31 Mars prochain et
      une succession de rencontres d’échanges en vue d’interpeller les
      autorités étatiques sur le contexte d’expulsion des migrants dans
      cette no-man’s land.
      On ne saurait finir sans souligner la libération des neufs passeurs
      interpellés par la sécurité d’Etat à Bamako, en début février passé.
      L’Etat malien avait décidé de réagir contre les réseaux de passeurs
      incrédules qui profitaient de la vulnérabilité et de la naïveté des
      migrants, candidats au départ. Cette mise en disposition quoique
      salutaire ne nous éloigne pas de notre motivation première qui n’est
      autre que de défendre les intérêts et les droits des migrants.
      Salutations amicales
      Eric
      Maison du Migrant Gao

    • L’Algérie continue toujours de se débarrasser de milliers de migrants sur tout son territoire vers les frontières malienne et nigérienne. Toujours et encore cette même xénophobie alimentée d’un égocentrisme sans limite, nourrit les refoulements intensifs de migrants hors du territoire algérien. Avec le mois du ramadan, une prise de conscience, un sentiment de partage et de respect de l’autre en l’occurrence du Droit du migrant, devrait enfin nourrir la Foi de ce peuple en majorité musulman. Hélas, non ! A l’instant, six (06) camions bondés de migrants sont à trois postes de l’entrée de la ville de Gao. D’après les treize migrants accueillis ce matin, toutes les nationalités et tous les genres se retrouvent dans ce convoi dont trois femmes camerounaises avec leurs enfants. Parmi les treize, l’histoire de TEHE Y.T, jeune ivoirien de 36 ans, est sans doute la plus marquante. Marié et père d’un enfant, rentrant du boulot un jour, il a constaté l’absence de sa femme, pourtant d’habitude elle était la première à la maison. Il s’est rendu à la crèche pour prendre son garçon, né en Alger un an et six mois plutôt, quand on lui raconte que celle-ci a été arrêtée par la police d’immigration sur le chemin de retour. Monsieur a vu sa vie se changer d’un jour à l’autre car contraint de prendre tout seul en charge le gamin en alternative avec son travail pendant que sa femme refoulée, elle-même ivoirienne, est sur la route de la Côte d’Ivoire. Quatre mois se sont écoulés avant qu’il ne subit le même sort que celui de sa femme. Heureusement que cette fois ci, l’enfant était en sa compagnie. Que serait devenu l’enfant, habitué à la crèche si le papa était arrêté au travail ou sur le chemin de retour ? Il y’aurait-il possibilité pour les parents de retrouver leur enfant ou simplement d’appréhender une vie sans leur petit ? Dans les préparatifs d’accueil des prochaines vagues de migrants, un problème crucial se pose à Gao. En effet, l’accès à l’eau devient un véritable talon d’Achille. Il faudrait patienter jusqu’à une heure du matin pour voir la première goutte d’eau sur le robinet. Pis l’assainissement de l’eau même reste à désirer. Dès l’ors on prévoit des Aqua-tabs, disponibles en pharmacie pour purifier et rendre consommable cette eau ou payer des pure-waters pour faire face à cette pénurie en cette période où la température monte jusqu’à 48° à l’ombre. A cela s’ajoute le manque de bus dans les agences de voyage dû à la dégradation des routes qui occasionne des retards de rentrée, l’insécurité qui oblige la fermeture des postes de contrôle dès 18hrs et le carême qui affecte forcément les chauffeurs avec cette canicule. Tous ces éléments concourent à rendre pénible le calvaire de ces migrants désespérés et pressés de rentrer en famille pour enfin retrouver la quiétude de l’esprit et un soulagement étreint par la haleur familiale.

      –-> reçu via email par la mailing-list Migreurop

    • Walk or die: Algeria strands 13,000 migrants in the Sahara

      From this isolated frontier post deep in the sands of the Sahara, the expelled migrants can be seen coming over the horizon by the hundreds. They look like specks in the distance, trudging miserably across some of the world’s most unforgiving terrain in the blistering sun.

      They are the ones who made it out alive.

      Here in the desert, Algeria has abandoned more than 13,000 people in the past 14 months, including pregnant women and children, stranding them without food or water and forcing them to walk, sometimes at gunpoint, under temperatures of up to 48 degrees Celsius (118 degrees Fahrenheit).

      In #Niger, where the majority head, the lucky ones limp across a desolate 15-kilometer (9-mile) no man’s land to #Assamaka, less a town than a collection of unsteady buildings sinking into drifts of sand. Others, disoriented and dehydrated, wander for days before a U.N. rescue squad can find them. Untold numbers perish along the way; nearly all the more than two dozen survivors interviewed by The Associated Press told of people in their groups who simply could not go on and vanished into the Sahara.

      “Women were lying dead, men..... Other people got missing in the desert because they didn’t know the way,” said Janet Kamara, who was pregnant at the time. “Everybody was just on their own.”

      Her body still aches from the dead baby she gave birth to during the trek and left behind in the Sahara, buried in a shallow grave in the molten sand. Blood streaked her legs for days afterward, and weeks later, her ankles are still swollen. Now in #Arlit, Niger, she is reeling from the time she spent in what she calls “the wilderness,” sleeping in the sand.

      Quietly, in a voice almost devoid of feeling, she recalled at least two nights in the open before her group was finally rescued, but said she lost track of time.

      “I lost my son, my child,” said Kamara, a Liberian who ran her own home business selling drinks and food in Algeria and was expelled in May.

      Another woman in her early twenties, who was expelled at the same time, also went into labor, she said. That baby didn’t make it either.

      Algeria’s mass expulsions have picked up since October 2017, as the European Union renewed pressure on North African countries to head off migrants going north to Europe via the Mediterranean Sea or the barrier fences with Spain. These migrants from across sub-Saharan Africa — Mali, the Gambia, Guinea, Ivory Coast, Niger and more — are part of the mass migration toward Europe, some fleeing violence, others just hoping to make a living.

      A European Union spokesperson said the EU was aware of what Algeria was doing, but that “sovereign countries” can expel migrants as long as they comply with international law. Unlike Niger, Algeria takes none of the EU money intended to help with the migration crisis, although it did receive $111.3 million in aid from Europe between 2014 and 2017.

      Algeria provides no figures for the expulsions. But the number of people crossing on foot to Niger has been rising steadily since the International Organization for Migration started counting in May 2017, when 135 people were dropped at the crossing, to as high as 2,888 in April 2018. In all, according to the #IOM, a total of 11,276 men, women and children survived the march.

      At least another 2,500 were forced on a similar trek this year through the Sahara into neighboring Mali, with an unknown number succumbing along the way.

      The migrants the AP talked to described being rounded up hundreds at a time, crammed into open trucks headed southward for six to eight hours to what is known as Point Zero, then dropped in the desert and pointed in the direction of Niger. They are told to walk, sometimes at gunpoint. In early June, 217 men, women and children were dropped well before reaching Point Zero, fully 30 kilometers (18 miles) from the nearest source of water, according to the IOM.

      Within seconds of setting foot on the sand, the heat pierces even the thickest shoes. Sweat dries upon the first touch of air, providing little relief from the beating sun overhead. Each inhalation is like breathing in an oven.

      But there is no turning back.

      “There were people who couldn’t take it. They sat down and we left them. They were suffering too much,” said Aliou Kande, an 18-year-old from Senegal.

      Kande said nearly a dozen people simply gave up, collapsing in the sand. His group of 1,000 got lost and wandered from 8 a.m. until 7 p.m., he said. He never saw the missing people again. The word he returned to, over and over, was “suffering.”

      Kande said the Algerian police stole everything he had earned when he was first detained — 40,000 dinars ($340) and a Samsung cellphone.

      “They tossed us into the desert, without our telephones, without money. I couldn’t even describe it to you,” he said, still livid at the memory.

      The migrants’ accounts are confirmed by multiple videos collected by the AP over months, which show hundreds of people stumbling away from lines of trucks and buses, spreading wider and wider through the desert. Two migrants told the AP gendarmes fired on the groups to force them to walk, and multiple videos seen by the AP showed armed, uniformed men standing guard near the trucks.

      “They bring you to the end of Algeria, to the end in the middle of the desert, and they show you that this is Niger,” said Tamba Dennis, another Liberian who was in Algeria on an expired work visa. “If you can’t bring water, some people die on the road.” He said not everyone in his group made it, but couldn’t say how many fell behind.

      Ju Dennis, another Liberian who is not related to Tamba, filmed his deportation with a cellphone he kept hidden on his body. It shows people crammed on the floor of an open truck, vainly trying to shade their bodies from the sun and hide from the gendarmes. He narrated every step of the way in a hushed voice.

      Even as he filmed, Ju Dennis knew what he wanted to tell the world what was happening.

      “You’re facing deportation in Algeria — there is no mercy,” he said. “I want to expose them now...We are here, and we saw what they did. And we got proof.”

      Algerian authorities refused to comment on the allegations raised by the AP. Algeria has denied criticism from the IOM and other organizations that it is committing human rights abuses by abandoning migrants in the desert, calling the allegations a “malicious campaign” intended to inflame neighboring countries.

      Along with the migrants who make their way from Algeria to Niger on foot, thousands more Nigerien migrants are expelled directly home in convoys of trucks and buses. That’s because of a 2015 agreement between Niger and Algeria to deal with Nigeriens living illegally in their neighbor to the north.

      Even then, there are reports of deaths, including one mother whose body was found inside the jammed bus at the end of the 450-kilometer (280-mile) journey from the border. Her two children, both sick with tuberculosis, were taken into custody, according to both the IOM and Ibrahim Diallo, a local journalist and activist.

      The number of migrants sent home in convoys — nearly all of them Nigerien — has also shot up, to at least 14,446 since August 2017, compared with 9,290 for all of 2016.

      The journey from Algeria to Niger is essentially the reverse of the path many in Africa took north — expecting work in Algeria or Libya or hoping to make it to Europe. They bumped across the desert in Toyota Hilux pickups, 15 to 20 in the flatbed, grasping gnarled sticks for balance and praying the jugs of water they sat upon would last the trip.

      The number of migrants going to Algeria may be increasing as an unintended side effect of Europe’s successful blocking of the Libyan crossing, said Camille Le Coz, an analyst at the Migration Policy Institute in Brussels.

      But people die going both ways; the Sahara is a swift killer that leaves little evidence behind. The arid heat shrivels bodies, and blowing sand envelops the remains. The IOM has estimated that for every migrant known to have died crossing the Mediterranean, as many as two are lost in the desert — potentially upwards of 30,000 people since 2014.

      The vast flow of migrants puts an enormous strain on all the points along the route. The first stop south is Assamaka, the only official border post in the 950-kilometer (590 mile) border Algeria shares with Niger.

      Even in Assamaka, there are just two water wells — one that pumps only at night and the other, dating to French colonial times, that gives rusty water. The needs of each wave of expelled migrants overwhelm the village — food, water, medicine.

      “They come by the thousands....I’ve never seen anything like it,” said Alhoussan Adouwal, an IOM official who has taken up residence in the village to send out the alert when a new group arrives. He then tries to arrange rescue for those still in the desert. “It’s a catastrophe.”

      In Assamaka, the migrants settle into a depression in the dunes behind the border post until the IOM can get enough buses to fetch them. The IOM offers them a choice: Register with IOM to return eventually to their home countries or fend for themselves at the border.

      Some decide to take their chances on another trip north, moving to The Dune, an otherworldly open-air market a few kilometers away, where macaroni and gasoline from Algeria are sold out of the back of pickups and donkey carts. From there, they will try again to return to Algeria, in hopes of regaining the lives and jobs they left behind. Trucks are leaving all the time, and they take their fare in Algerian dinars.

      The rest will leave by bus for the town of Arlit, about 6 hours to the south through soft sand.

      In Arlit, a sweltering transit center designed for a few hundred people lately has held upwards of 1,000 at a time for weeks on end.

      “Our geographical position is such that today, we are directly in the path of all the expulsions of migrants,” said Arlit Mayor Abdourahman Mawli. Mawli said he had heard of deaths along the way from the migrants and also from the IOM. Others, he said, simply turned right round and tried to return to Algeria.

      “So it becomes an endless cycle,” he said wearily.

      One man at the center with scars on his hands and arms was so traumatized that he never spoke and didn’t leave. The other migrants assumed he had endured the unspeakable in Algeria, a place where many said they had been robbed and beaten by authorities. Despite knowing nothing about him, they washed and dressed him tenderly in clean clothes, and laid out food so he could eat. He embarked on an endless loop of the yard in the midday sun.

      With no name, no confirmed nationality and no one to claim him, the man had been in Arlit for more than a month. Nearly all of the rest would continue south mostly off-road to Agadez, the Nigerien city that has been a crossroads for African trade and migration for generations. Ultimately, they will return to their home countries on IOM-sponsored flights.

      In Agadez, the IOM camps are also filling up with those expelled from Algeria. Both they and the mayor of Agadez are growing increasingly impatient with their fate.

      “We want to keep our little bit of tranquility,” said the mayor, Rhissa Feltou. “Our hospitality is a threat to us.”

      Even as these migrants move south, they cross paths with some who are making the trip north through #Agadez.

      Every Monday evening, dozens of pickup trucks filled with the hopeful pass through a military checkpoint at the edge of the city. They are fully loaded with water and people gripping sticks, their eyes firmly fixed on the future.


      https://apnews.com/9ca5592217aa4acd836b9ee091ebfc20
      #sahara #abandon #cartographie #visualisation #OIM #décès #mort #mourir_dans_le_désert

    • Algeria dumps thousands of migrants in the Sahara amid EU-funded crackdown

      Not far from the Algerian border, the infant gave up its fight for life under the punishing Saharan sun.

      “The mother, she is a friend of mine. Her baby passed away in the desert,” said Thomas Howard, a painter and decorator from the west African state of Liberia.

      Mr Howard and his friend had migrated north to Algeria looking for work but were rounded up, beaten and robbed by Algerian security forces before being put in a truck, driven back south and dumped in the desert.

      https://www.telegraph.co.uk/news/2018/06/25/algeria-dumps-thousands-migrants-sahara-amid-eu-funded-crackdown

      Et sur le compte twitter de l’auteure :

      “Algerian police went to my house and told me to leave with my wife and my kid. They said they want all black people to leave their country" — my report from Agadez, Niger, on Algeria’s racist expulsions of African migrants left to die in the Sahara.

      https://twitter.com/jaomahony/status/1011383536228524033

    • Algeria: growing number of migrants expelled into the Sahara desert to face death by exposure

      A report published by the Associated Press on Monday contains testimonies from individuals from sub-Saharan countries, who were expelled from Algeria to Niger. It describes how pregnant women and children were among those abandoned at the border, with others being threatened at gunpoint to walk through the desert without food or water in temperatures reaching 48 degrees Celsius.

      In the last 14 months since the International Organization for Migration (IOM) began recording the number of expulsions, over 13,000 migrants are said to have been forced into the desert after mass expulsions by the Algerian authorities, with an unknown number of these unable to survive the onward journey to safety and perishing in the desert.

      The report’s testimonies from those who survived the 15-kilometre walk from Algeria’s border zone to the closest town in Niger contain details of people collapsing in the desert, or dying of dehydration after becoming lost in the difficult terrain. A woman describes giving birth to her stillborn child during the trek, forced to bury him in the desert before continuing the journey. The migrants recount having their mobile telephones stolen by Algerian police before being deposited in the desert, making them unable to navigate.

      Camille Le Coz of the Migration Policy Institute in Brussels states that the number of migrants going to Algeria may be increasing as a side effect of Europe blocking the Libyan crossing. An IOM official working at the border town of Assamaka is quoted as saying “They come by the thousands….I’ve never seen anything like it […] It’s a catastrophe.” The IOM put out a press release this week expressing their concern at the situation.

      Human Rights Watch also reported this week that they had interviewed people who said that the Algerian authorities had raided areas where migrants are known to live, arresting them on the streets or on construction sites, and expelled them in large groups, in most instances with no food and little water. The Algerian authorities did not consider the migrants’ legal status in Algeria or their vulnerabilities, despite some of the migrants being in possession of a valid visa or a certificate from the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) stating that the agency is reviewing their claim for refugee status. Sarah Leah Whitson from Human Rights Watch said “Algeria has the power to control its borders, but that doesn’t mean it can round up people based on the color of their skin and dump them in the desert, regardless of their legal status and without a shred of due process.”

      On May 22, the UN Office of the High Commissioner for Human Rights called on the Algerian government to “cease the collective expulsions of migrants.” Earlier in June, the president of the Algerian Red Crescent pushed back against NGO and UN critiques of the deportations, “It would make more sense to point the finger not at the Algerian government, which has the upper hand in the present case, but at the people who caused all the tragedies being unwillingly suffered by the African migrants,” said Saida Benhabiles.

      https://www.ecre.org/algeria-growing-number-of-migrants-expelled-into-the-sahara-desert-to-face-dea

    • Le HCR réclame un accès à un groupe de réfugiés bloqué à la frontière entre l’Algérie et le Niger

      Le HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés, s’est dit préoccupé par la sécurité des personnes vulnérables originaires de Syrie, du Yémen et de Palestine qui seraient bloquées à la frontière avec le Niger, au sud de l’Algérie.

      Le HCR a reçu des informations selon lesquelles le groupe, composé d’environ 120 Syriens, Palestiniens et Yéménites, avait été détenu au centre de Tamanrasset dans le sud de l’Algérie, avant d’être conduit vers une zone proche du poste-frontière de Guezzam, le 26 décembre dernier.

      Certaines des personnes de ce groupe sont connues du HCR comme étant des réfugiés enregistrés qui ont fui le conflit et les persécutions ou qui ont signalé avoir tenté d’obtenir une protection internationale en Algérie.

      Selon les informations reçues, 20 personnes appartenant à ce groupe sont actuellement bloquées dans le désert, à trois kilomètres du poste-frontière de Guezzam où elles sont exposées aux éléments. Les 100 autres qui ont été transportées vers la frontière sont portées disparues.

      Le HCR est en contact avec les autorités algériennes au sujet de cet incident et demande à accéder à ces personnes pour évaluer leurs besoins en matière de protection. Cependant, l’agence onusienne a démenti les informations parues dans les médias algériens selon lesquelles ces personnes auraient été transférées à la frontière avec son accord.

      Compte tenu de l’urgence de fournir une aide humanitaire aux personnes bloquées, le HCR a appelé les autorités algériennes à pouvoir accéder à ces personnes, à répondre aux besoins humanitaires, à identifier les personnes qui ont besoin de protection internationale et à assurer leur sécurité.

      Tout en reconnaissant les difficultés rencontrées par l’Algérie pour faire face aux mouvements mixtes, l’agence onusienne maintient une communication régulière avec les autorités pour gérer la situation des réfugiés et des demandeurs d’asile, qui peuvent faire l’objet d’arrestations et d’expulsions.

      L’Algérie a ouvert ses portes à environ 50.000 réfugiés syriens en quête de sécurité dans le pays. Le HCR a appelé les autorités à étendre cette hospitalité aux personnes qui en ont besoin.

      Bien que la gestion des frontières demeure une prérogative souveraine de chaque gouvernement, l’agence onusienne a réaffirmé que la sécurité des frontières et la protection internationale ne s’excluent pas mutuellement. Selon elle, toute personne dont la vie est en danger dans son pays d’origine doit pouvoir accéder à un territoire afin de demander l’asile dans un pays sûr et chaque demande d’asile doit être examinée individuellement.

      https://news.un.org/fr/story/2019/01/1033032

    • Le HCR appelle à accéder aux réfugiés à la frontière entre l’Algérie et le Niger

      Le HCR, l’Agence des Nations Unies pour les réfugiés, est préoccupé par la sécurité des personnes vulnérables originaires de Syrie, du Yémen et de Palestine qui seraient bloquées à la frontière avec le Niger, au sud de l’Algérie.

      Le HCR a reçu des informations selon lesquelles le groupe, composé d’environ 120 Syriens, Palestiniens et Yéménites, avait été détenu au centre de Tamanrasset dans le sud de l’Algérie, avant d’être conduit vers une zone proche du poste-frontière de Guezzam, le 26 décembre dernier.

      Certaines des personnes de ce groupe sont connues du HCR comme étant des réfugiés enregistrés qui ont fui le conflit et les persécutions ou qui ont signalé avoir tenté d’obtenir une protection internationale en Algérie.

      Selon les informations reçues par le HCR, 20 personnes appartenant à ce groupe sont actuellement bloquées dans le désert, à trois kilomètres du poste-frontière de Guezzam où elles sont exposées aux éléments. Les 100 autres qui ont été transportées vers la frontière sont portées disparues.

      Le HCR est en contact avec les autorités algériennes au sujet de cet incident et demande à accéder à ces personnes pour évaluer leurs besoins en matière de protection. Cependant, selon des informations parues dans les médias algériens d’après lesquelles ces personnes auraient été transférées à la frontière avec l’accord du HCR, nous tenons à préciser que le HCR n’a été impliqué en aucune manière dans cette affaire.

      Compte tenu de l’urgence de fournir une aide humanitaire aux personnes bloquées, le HCR appelle les autorités algériennes à pouvoir accéder à ces personnes, à répondre aux besoins humanitaires, à identifier les personnes qui ont besoin de protection internationale et à assurer leur sécurité.

      Tout en reconnaissant les difficultés rencontrées par l’Algérie pour faire face aux mouvements mixtes, le HCR maintient une communication régulière avec les autorités pour gérer la situation des réfugiés et des demandeurs d’asile, qui peuvent faire l’objet d’arrestations et d’expulsions.

      L’Algérie a ouvert ses portes à environ 50 000 réfugiés syriens en quête de sécurité dans le pays et nous appelons les autorités à étendre cette hospitalité aux personnes qui en ont besoin.

      Bien que la gestion des frontières demeure une prérogative souveraine de chaque gouvernement, le HCR réaffirme que la sécurité des frontières et la protection internationale ne s’excluent pas mutuellement.

      Le HCR souligne que toute personne dont la vie est en danger dans son pays d’origine doit pouvoir accéder à un territoire afin de demander l’asile dans un pays sûr et que chaque demande d’asile doit être examinée individuellement.

      https://www.unhcr.org/fr/news/press/2019/1/5c2e3f42a/hcr-appelle-acceder-refugies-frontiere-lalgerie-niger.html

    • Une centaine de migrants « portés disparus » dans le sud de l’Algérie, le HCR se dit inquiet

      Le HCR a exprimé jeudi son inquiétude concernant le sort d’une centaine de migrants originaires de pays arabes « portés disparus » après avoir été emmenés par les autorités algériennes dans un secteur proche de la frontière nigérienne.

      Une centaine de migrants syriens, palestiniens et yéménites sont « portés disparus » dans le sud de l’Algérie. Ils faisaient partie d’un groupe de 120 migrants originaires de pays arabes qui avaient été « détenus au centre de #Tamanrasset dans le sud de l’Algérie, avant d’être conduits vers une zone proche du poste-frontière d’#In_Guezzam, le 26 décembre », a affirmé le Haut-commissariat pour les réfugiés de l’ONU (HCR), jeudi 3 janvier, dans un communiqué.

      Vingt autres personnes du groupe sont, elles, « actuellement bloquées dans le désert », près du poste-frontière d’In Guezzam.

      « Certaines des personnes de ce groupe sont connues du HCR comme étant des réfugiés enregistrés qui ont fui le conflit et les persécutions ou qui ont signalé avoir tenté d’obtenir une protection internationale en Algérie », affirme l’agence onusienne dans le communiqué.

      Contacté par l’AFP, un responsable du ministère algérien de l’Intérieur a déclaré jeudi qu’une « centaine de personnes, en majorité des Syriens », avaient été expulsées en raison de soupçons de liens avec des groupes « jihadistes ».

      Selon Hacen Kacimi, directeur chargé de la migration au sein du ministère, ces personnes étaient entrées illégalement en Algérie. Elles avaient été arrêtées en septembre et traduites devant la justice qui a ordonné leur expulsion.

      Le HCR a demandé aux autorités algériennes de pouvoir accéder aux personnes bloquées à la frontière, pour « répondre aux besoins humanitaires, identifier les personnes qui ont besoin de protection internationale et assurer leur sécurité ».

      L’Algérie est régulièrement la cible de critiques des ONG sur la façon dont les migrants subsahariens sont traités dans le pays.

      Le pays, qui ne dispose pas de législation en matière d’asile, fait face ces dernières années à un afflux de migrants subsahariens, estimés à quelque 100 000 en Algérie par les ONG.


      http://www.infomigrants.net/fr/post/14306/une-centaine-de-migrants-portes-disparus-dans-le-sud-de-l-algerie-le-h

    • Migration : Chasse aux sorciers de l’Algérie contre les migrants maliens

      Depuis plusieurs mois, on assiste à véritable chasse aux sorciers des autorités algériennes contre les migrants maliens. Ces maliens vivants dans ce pays frontalier du Mali sont tout le temps prisent et refoulés. Depuis le début du mois janvier 2019 à ce jour, plus de 700 migrants maliens ont été refoulés par l’Algérie sans raison valable.

      Les chiffres parlent d’eux même. Selon nos informations, trois bus avec à bord 160 migrants maliens sont arrivés le mardi dernier à Bamako en provenance de l’Algérie. Ce nombre vient compléter le total à 760 migrants maliens expulsés de ce pays depuis le début de l’année. Actuellement 100 autres migrants sont en attente la frontière nigérienne. Les autorités nigériennes ont accepté qu’ils passent par le Niger cela grâce à la diplomatie de l’Ambassade du Mali au Niger. Mais Niamey a juste donné un moratoire en laissant les migrants passer par leur pays. Les autorités Nigériennes ont fait savoir que qu’elles ne vont plus permettre le passage d’autres migrants Maliens en provenance de l’Algérie. De sources proche du département des Maliens de extérieur et de l’intégration Africaine, les mesures sont déjà prises pour le retour des ces 100 migrants Maliens à Bamako en passant par le Niger.

      Qu’est ce qui explique cet acharnement contre les Maliens en Algérie ? Pourquoi pas les migrants des autres pays ? En entendant de trouver des réponses à ces interrogations, selon les spécialistes des questions migratoires, cet acte de l’Algérie est une violation flagrante des accords et traités internationaux signés et ratifiés par l’Algérie. Il constitue aussi une violation grave des droits de l’homme et des principes de la migration dans le monde.

      http://malijet.co/societe/diaspora-immigration/migration-chasse-aux-sorciers-de-lalgerie-contre-les-migrants-maliens

    • En Algérie, la chasse aux migrants continue pendant la contestation

      Les autorités algériennes multiplient les opérations de reconduite à la frontière du #Niger de migrants subsahariens. Lesquels migrants dénoncent des pratiques brutales, en dehors de toute procédure, avec des biens confisqués et des personnes parfois livrées à elles-mêmes en plein désert.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/100419/en-algerie-la-chasse-aux-migrants-continue-pendant-la-contestation?onglet=

  • There are no camps" in #Libya, only detention centres. Need to protect refugees, migrants before they get there


    Déclaration de #Cochetel, publiée sur twitter le 18.07.2017
    https://twitter.com/UNGeneva/status/887339785081237506

    #terminologie #mots #vocabulaire #camps #centres_de_détention #asile #migrations #réfugiés #Libye #détention #centres

    No detention centres in Libya, just ’prisons’ - UNHCR

    “We can hope that one day there will be decent and open centres, but now they don’t exist,” Cochetel said.

    http://www.ansa.it/english/news/2017/08/04/no-detention-centres-in-libya-just-prisons-unhcr-2_7aba4a80-8178-42b8-9095-f074

    @sinehebdo : la question de la #terminologie est évoquée deux fois :
    – dans le tweet : « Need to protect refugees , migrants before they get there »
    – et puis sur les #camps/#centres_de_détention en Libye

    #cpa_camps

    • Noury (Amnesty Italia): «I centri d’accoglienza in Libia sono in realtà prigioni»

      «Esatto, senza considerare poi che i centri d’accoglienza libici dove verrebbero condotti i respinti sono in realtà delle prigioni, alcune delle quali informali, magari vecchi capannoni industriali, o alberghi, o addirittura case private. Chiamarli “centri d’accoglienza” è del tutto sbagliato, sono luoghi di detenzione nei quali non c’è alcuna garanzia per l’incolumità fisica delle persone. Sappiamo che avvengono stupri e torture quotidianamente, ci sono prigionieri detenuti in ostaggio fino a quando i familiari non pagano, prigionieri venduti da una banda criminale all’altra. E, se noi contribuiamo a rafforzare questo sistema illegale, ne siamo pienamente complici.

      https://left.it/2017/08/12/noury-amnesty-italia-i-centri-daccoglienza-in-libia-sono-in-realta-prigioni

    • Rescue ship says Libyan coast guard shot at and boarded it, seeking migrants

      A Libyan coast guard vessel fired shots and boarded a humanitarian ship in the Mediterranean on Tuesday, demanding that the migrants on board be handed over to them, a spokesman for the Mission Lifeline charity said.

      “The Libyan man said: ‘This is our territory,’” said Axel Steier, a spokesman for the German-based charity that performed its first rescues on Tuesday.

      “After a while, they fired shots,” he said, probably into the air or sea. No one was wounded.

      Afterward two Libyans boarded the Lifeline ship to try to persuade them to hand over some 70 migrants they had just taken off a wooden boat in international waters.

      “We told them we don’t return migrants to Libya. After a while, they gave up,” Steier said. The two men spent about 15 minutes on board, he said.

      A Libyan coast guard spokesman in Tripoli declined to comment, saying he was seeking information. Italy’s coast guard, which coordinates rescues, did not respond to repeated telephone calls.

      It was the latest incident reported between the Libyan coast guard and humanitarian rescue ships operating off North Africa. Financed, trained and equipped by Italy, the Tripoli-based coastguard is intercepting a growing number of migrant boats.

      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-ngo/rescue-ship-says-libyan-coast-guard-shot-at-and-boarded-it-seeking-migrants
      #Méditerranée #gardes-côtes

    • Quei campi libici sono irriformabili

      Hai voglia di annunciare bandi, di investire qualche milione di euro per rendere vivibile ciò che vivibile non è. Perché i lager libici sono come il socialismo reale: irriformabili. In discussione non sono le buone intenzioni che animano il vice ministro degli Esteri con delega per la Cooperazione internazionale, Mario Giro: per lui parla il lungo impegno in favore della pace e della giustizia sociale per l’Africa e il fatto, politicamente significativo, che nell’estate dominata dalla «caccia» alle Ong e da una ondata securista, Giro è stata una delle poche voci alzatesi tra le fila del governo per ricordare a tutti che i migranti intercettati sulla rotta del Mediterraneo venivano ricacciati nell’"inferno libico".

      http://www.huffingtonpost.it/umberto-de-giovannangeli/quei-campi-libici-sono-irriformabili_a_23225947

    • L’Onu vuole aprire un centro di transito per i profughi in Libia

      Un contingente di 250 guardie di sicurezza nepalesi arriverà in Libia in questi giorni per garantire sicurezza alla base militare dell’Onu di Tripoli. Se tutto andrà come previsto, spiega Roberto Mignone, capomissione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’inizio di novembre anche il personale internazionale dell’organizzazione, che dal 2014 si è spostato a Tunisi per ragioni di sicurezza, potrebbe tornare in Libia in pianta stabile.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2017/09/29/onu-libia-centro-profughi
      #centre_de_transit

    • UN human rights chief: Suffering of migrants in Libya outrage to conscience of humanity

      “The international community cannot continue to turn a blind eye to the unimaginable horrors endured by migrants in Libya, and pretend that the situation can be remedied only by improving conditions in detention,” Zeid Ra’ad Al Hussein said, calling for the creation of domestic legal measures and the decriminalisation of irregular migration to ensure the protection of migrants’ human rights.

      http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22393&LangID=E

    • Cet extrait tiré d’un article du Sole 24 Ore (journal italien plutôt tourné économie et finance) est quand même assez incroyable, surtout le début, ce « certo »( « certes »)...

      Certes... il y a toujours le problème des centres de détention dans un pays qui n’a pas signé la convention de Genève, mais certaines ONG italiennes sont en train d’entrer dans les centres pour vérifier le respect des principes humanitaires basiques...
      dit l’article... « certes »...

      Certo, resta sempre il problema dei centri di detenzione in un Paese che non ha firmato la convenzione di Ginevra, ma alcune Ong italiane stanno entrando nei centri per verificare il rispetto dei più elementari principi umanitari. Sarebbero oltre 700mila i migranti identificati in Libia tra gennaio e febbraio dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Ma non ci sono numeri precisi (si parla di altri 300 o 400mila migranti) sparsi in Libia in condizioni anche peggiori dei centri. Per il 63% si tratta di giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana, per il 29% da quella settentrionale e per l’8% da Medio Oriente e Asia.


      http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-02-24/libia-e-niger-bilancio-dell-italia-e-l-eredita-il-prossimo-governo--212

      A mettre en lien, comme le suggère @isskein sur FB, avec cet autre article publié l’été passé :

      Italy minister sees light at the end of the tunnel on migrant flows

      Italy’s interior minister said on Tuesday (15 August) he saw light at the end of the tunnel for curbing migrant flows from Libya after a slowdown in arrivals across the Mediterranean in recent months.

      https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/italy-minister-sees-light-at-the-end-of-the-tunnel-on-migrant-flows

    • Campi libici, l’inferno nel deserto. La sentenza della Corte di assise di Milano

      La qualità delle indagini e della loro resa dibattimentale, insieme alla ritenuta credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ha confermato, secondo i giudici dell’assise, un contesto di privazione della libertà dei migranti e di violenze di ogni tipo che scolpisce una realtà che per la sorte dei diritti umani è fondamentale non ignorare.

      http://questionegiustizia.it/articolo/campi-libici-l-inferno-nel-deserto-la-sentenza-della-corte-di-ass

    • « Je voudrais faire comprendre qu’une fois entrée dans ce système de traite humaine et de rançonnage, une personne ne peut en sortir qu’en se jetant à la mer. Elle y est poussée. On ne passe plus par ce pays [la Libye], on en réchappe : Yacouba ne cherchait plus à se rendre en Europe, il voulait juste ne pas mourir en Libye. Les migrants qui embarquent sur les zodiacs ont été ballottés de ghetto en ghetto, placés en détention durant plusieurs mois. Maltraités, dépouillés, leurs corps épuisés sont alors portés par le seul espoir de retrouver un semblant de dignité sur le ’continent des droits de l’homme’. »

      Source : Samuel GRATACAP, in Manon PAULIC, « Ce que l’Europe refuse de voir », Le 1, n°188, 7 février 2018, p.3.

    • Libya: Shameful EU policies fuel surge in detention of migrants and refugees

      A surge in migrants and refugees intercepted at sea by the Libyan authorities has seen at least 2,600 people transferred, in the past two months alone, to squalid detention centres where they face torture and extortion, Amnesty International said today.

      The global human rights organisation accuses European governments of complicity in these abuses by actively supporting the Libyan authorities in stopping sea crossings and sending people back to detention centres in Libya.

      “The EU is turning a blind eye to the suffering caused by its callous immigration policies that outsource border control to Libya,” said Heba Morayef, Amnesty International’s Middle East and North Africa Director.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/05/libya-shameful-eu-policies-fuel-surge-in-detention-of-migrants-and-refugees

    • Ne dites pas que ce sont des #camps !

      Bien sûr, tous ces #centres_fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « #non-prisons » devraient être appelées « #centres_de_transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « #tourisme_d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « #centres_de_protection » mais aussi celui de « #plateformes_d’atterrissage_et_de_débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du #vernis_linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      https://www.tdg.ch/monde/europe/dites-camps/story/31177430

    • Cruel European migration policies leave refugees trapped in Libya with no way out

      A year after shocking images purporting to show human beings being bought and sold in Libya caused a global outcry, the situation for migrants and refugees in the country remains bleak and in some respects has worsened, said Amnesty International.

      Findings published by the organization today highlight how EU member states’ policies to curb migration, as well as their failure to provide sufficient resettlement places for refugees, continue to fuel a cycle of abuse by trapping thousands of migrants and refugees in appalling conditions in Libyan detention centres.

      “One year after video footage showing human beings being bought and sold like merchandise shocked the world, the situation for refugees and migrants in Libya remains bleak,” said Heba Morayef, Middle East and North Africa Director for Amnesty International.

      “Cruel policies by EU states to stop people arriving on European shores, coupled with their woefully insufficient support to help refugees reach safety through regular routes, means that thousands of men, women and children are trapped in Libya facing horrific abuses with no way out.”

      Migrants and refugees in Libyan detention centres are routinely exposed to torture, extortion and rape.

      One year after video footage showing human beings being bought and sold like merchandise shocked the world, the situation for refugees and migrants in Libya remains bleak
      Heba Morayef, Amnesty International’s Director for the Middle East and North Africa

      The UN refugee agency (UNHCR) has registered 56,442 refugees and asylum seekers in Libya and has repeatedly called on European and other governments to offer resettlement to refugees stranded in Libya, including through evacuation to Niger. However, only 3,886 resettlement places have been pledged by 12 countries and in total just 1,140 refugees have been resettled from Libya and Niger so far. Italy separately evacuated 312 asylum seekers from Libya directly to Italy between December 2017 and February 2018, but no further evacuations took place until the resettlement of 44 refugees on 7 November.

      Over the past two years EU member states have put in place a series of measures to block migration across the central Mediterranean, boosting the capacity of the Libyan Coast Guard to intercept sea crossings, striking deals with militias in Libya and hampering the work of NGOs carrying out search and rescue operations.

      These policies have contributed to a nearly 80% drop in the numbers crossing the central Mediterranean and arriving in Italy, from 114,415 between January and November 2017 to just 22,232 so far in 2018. There are currently around 6,000 refugees and migrants being held in detention centres in Libya.

      With the central Mediterranean sea route almost completely shut off, and the Libyan authorities keeping refugees in unlawful detention and refusing to release them to UNHCR’s care, the only way out of Libyan detention centres is through evacuation to another country via programmes run by the UN. For refugees, who cannot return to their home country, the lack of international resettlement places on offer has left thousands stranded in Libyan detention centres.

      The opening of a long promised UNHCR processing centre in Libya that would offer safety for up to 1,000 refugees by allowing them to relocate from the abusive detention centres has been repeatedly delayed. Its opening would undoubtedly be a positive step, but it would only assist a small proportion of refugees in detention and does not offer a sustainable solution.

      “At the same time as doing their utmost to stop sea crossings and helping the Libyan Coast Guard to intercept people at sea and send them back to notorious detention centres, European governments have catastrophically failed to offer other routes out of the country for those most in need,” said Heba Morayef.

      “While Europe fails to extend the desperately needed lifeline to save those stuck in Libya and at risk of abuse, it is time that the Libyan authorities take responsibility for their atrocious policies of unlawful detention and protect the human rights of all people in their territory.”

      Armed clashes in Tripoli between August and September this year have also made the situation for refugees and migrants more dangerous. Some of those held in detention centres have been wounded by stray bullets. There have also been instances where detention centre guards have fled to escape rocket attacks leaving thousands of inmates locked up without food or water.

      The publication of Amnesty’s findings is timed to coincide with a meeting of Libyan and other world leaders in the Italian city of Palermo on 12 and 13 November. This international conference is intended to find solutions to break the political stalemate in Libya. Amnesty International is calling on all those taking part in the conference to ensure that human rights of all people in the country, including refugees and migrants, are placed at the centre of their negotiations.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/11/cruel-european-migration-policies-leave-refugees-trapped-in-libya-with-no-w

    • UNHCR Flash Update Libya (9 - 15 November 2018) [EN/AR]

      An estimated 5,400 refugees and migrants are presently held in detention centres in Libya, of whom 3,900 are of concern to UNHCR. Over the past month, UNHCR has registered 2,629 persons of concern in detention centres in and around Tripoli. So far in 2018, UNHCR conducted 1,139 visits to detention centres and distributed CRIs to 19,348 individuals. Through its partner International Medical Corps (IMC), UNHCR continues to provide medical assistance in detention centres in Libya. So far in 2018, IMC provided 20,070 primary health care consultations in detention centres and 237 medical referrals to public hospitals. In detention centres in the East, UNHCR’s partners have so far provided 1,058 primary health care consultations and distributed CRIs to 725 individuals.

      https://reliefweb.int/report/libya/unhcr-flash-update-libya-9-15-november-2018-enar

      #statistiques #chiffres #2018

    • Libia, i minori abusati e torturati nei centri di detenzione per migranti finanziati dall’Ue

      I minori bloccati nei centri di detenzione in Libia, finanziati anche dall’Unione europea tramite il Fondo per l’Africa, subiscono abusi e soffrono di malnutrizione, secondo quanto riportato dal Guardian.

      I bambini hanno raccontato di essere stati picchiati e maltrattati dalla polizia libica e dalle guardie del campo, descrivendo la loro vita come “un inferno in terra”.

      Secondo i dati analizzati dal Guardian, in Libia esistono 26 centri dei detenzione dei migranti, ma il numero dei minori detenuti non è chiaro in quanto non esistono registi affidabili.
      Nonostante ciò, si pensa che siano più di mille i bambini presenti nei campi di detenzione in Libia.Secondo l’Unhcr, almeno 5.400 rifugiati sono detenuti in territorio libico.

      Le rivelazioni dei bambini, che rischiano di essere puniti dalle guardie per aver parlato con i media, forniscono il resoconto più dettagliato della vita nei campi di detenzione.
      Le denunce delle Ong – A inizio di novembre Amnesty International aveva già denunciato le condizioni insostenibili in cui i migranti erano costretti a vivere, raccontando come la tortura e i maltrattamenti fossero all’ordine del giorno.

      “C’è un vero e proprio disprezzo da parte dell’Europa e di altri Stati per la sofferenza di coloro che si trovano nei centri di detenzione”, si legge nel rapporto di Amnesty.

      Un ragazzo di 16 anni ha raccontato al Guardian cosa vuol dire viver nei centri di detenzione in Libia: “Sono qui da quattro mesi. Ho cercato di scappare tre volte per attraversare il mare diretto in Italia ma ogni volta sono stato catturato e riportato al centro di detenzione”.

      “Stiamo morendo, ma nessuno se ne sta assumendo la responsabilità. Dobbiamo essere portati in un posto sicuro, invece siamo rinchiusi qui 24 ore al giorno. Non vediamo l’alba e non vediamo il tramonto “.

      I centri sono progettati per mantenere i richiedenti asilo in Libia ed evitare che attraversino il Mediterraneo diretti verso l’Europa.

      L’Ue ha investito decine di milioni di euro per cercare di impedire ai richiedenti asilo provenienti da zone di conflitto, come l’Eritrea e il Sudan, di entrare in Europa.

      Le testimonianze – Un rifugiato eritreo di 13 anni rinchiuso in un campo di Tripoli ha raccontato che i detenuti ricevono solo una o due piccole porzioni di pasta in bianco al giorno.

      Malattie come la tubercolosi sono diffuse e in molti possiedono solo una maglietta e un paio di pantaloncini, inadatte alle temperature nei centri.

      “Non abbiamo niente qui, niente cibo, niente vestiti, niente telefoni. Mi mancano così tanto mia madre e mio padre”, ha detto il ragazzo.

      Nei giorni precedenti un rifugiato di 24 anni ha cercato di impiccarsi nella toilette di uno dei campi e un altro si è dato fuoco nel campo di Triq al Sikka di Tripoli.

      Un ragazzo eritreo di 17 anni che è fuggito da un centro di detenzione e ha raggiunto il Regno Unito aveva 50 cicatrici sul suo corpo, a dimostrazione delle torture subite in Libia.

      “Quello che giovani, donne, bambini e neonati stanno soffrendo nei centri di detenzione in Libia è uno dei più grandi fallimenti della nostra civiltà”, ha affermato Giulia Tranchina, del Wilsons solicitors, che rappresenta il diciassettenne eritreo.

      “I governi europei, a nostro nome, con il nostro denaro stanno pagando le autorità libiche, le milizie e i generali dell’esercito per continuare a detenere e torturare i profughi per assicurarsi che non arrivino in Europa”.

      Una portavoce dell’UNHCR ha dichiarato: “Siamo incredibilmente preoccupati per la situazione dei profughi e dei migranti detenuti in Libia. Le condizioni di detenzione sono terribili”.

      https://mediterraneomigrante.it/2018/11/26/libia-i-minori-abusati-e-torturati-nei-centri-di-detenzione-per
      #enfants #enfance #torture #abus_sexuels #viols

    • Un #rapport de l’ONU met en lumière les «horreurs inimaginables» des migrants et réfugiés en Libye et au-delà

      Les migrants et les réfugiés sont soumis à des « horreurs inimaginables » dès leur arrivée en Libye, tout au long de leur séjour dans le pays et - s’ils parviennent à ce résultat - lors de leurs tentatives de traverser la Méditerranée, selon un rapport publié jeudi, par la mission politique des Nations Unies en Libye (#MANUL) et le Bureau des droits de l’homme des Nations Unies (HCDH).

      « Il y a un échec local et international à gérer cette calamité humaine cachée qui continue de se produire en Libye », a déclaré Ghassan Salamé, qui dirige la MINUS.

      Assassinats illégaux, détention arbitraire et tortures, viols collectifs, esclavage et traite des êtres humains, le rapport couvre une période de 20 mois jusqu’en août 2018 et détaille une terrible litanie de violations et d’exactions commises par divers agents de l’État, armés contrebandiers et trafiquants contre les migrants et les réfugiés.

      Les conclusions reposent sur 1 300 témoignages de première main recueillis par le personnel des droits de l’homme des Nations Unies en Libye, ainsi que sur des migrants qui sont rentrés au Nigéria ou ont réussi à atteindre l’Italie, retraçant tout le parcours des migrants et des réfugiés de la frontière sud de la Libye, à travers le désert jusqu’à la côte nord.

      Le climat d’anarchie en Libye fournit un terrain fertile pour les activités illicites, laissant les migrants et les réfugiés « à la merci d’innombrables prédateurs qui les considèrent comme des marchandises à exploiter et à extorquer », indique le rapport, notant que « l’écrasante majorité des femmes et des adolescentes »ont déclaré avoir été« violées par des passeurs ou des trafiquants ».
      Trafic d’êtres humains

      De nombreuses personnes sont vendues par un groupe criminel à un autre et détenues dans des centres non officiels et illégaux gérés directement par des groupes armés ou des gangs criminels.

      « D’innombrables migrants et réfugiés ont perdu la vie en captivité tués par des passeurs, après avoir été abattus, torturés à mort ou tout simplement avoir été laissés mourir de faim ou de négligence médicale », indique le rapport.

      « Dans toute la Libye, des corps non identifiés de migrants et de réfugiés portant des blessures par balle, des marques de torture et des brûlures sont fréquemment découverts dans des poubelles, des lits de rivière asséchés, des fermes et le désert. »

      Ceux qui réussissent à survivre aux abus et à l’exploitation, et à tenter la traversée périlleuse de la Méditerranée, sont de plus en plus interceptés - ou « sauvés » comme certains le prétendent - par les garde-côtes libyens. Depuis le début de 2017, les quelque 29 000 migrants renvoyés en Libye par les garde-côtes ont été placés dans des centres de détention où des milliers de personnes restent indéfiniment et arbitrairement, sans procédure régulière ni accès à un avocat ou à des services consulaires.

      Des membres du personnel de l’ONU se sont rendus dans 11 centres de détention où sont détenus des milliers de migrants et de réfugiés. Ils ont constaté des cas de torture, de mauvais traitements, de travaux forcés et de viols commis par les gardes. Les migrants retenus dans les centres sont systématiquement soumis à la famine et à des passages à tabac sévères, brûlés avec des objets chauds en métal, électrocutés et soumis à d’autres formes de mauvais traitements dans le but d’extorquer de l’argent à leurs familles par le biais d’un système complexe de transferts d’argent.
      Surpeuplement des centres de détention

      Les centres de détention se caractérisent par un surpeuplement important, un manque de ventilation et d’éclairage, et des installations de lavage et des latrines insuffisantes. Outre les exactions et les actes de violence perpétrés contre les personnes détenues, beaucoup d’entre elles souffrent de malnutrition, d’infections cutanées, de diarrhée aiguë, d’infections du tractus respiratoire et d’autres affections, ainsi que de traitements médicaux inadéquats. Les enfants sont détenus avec des adultes dans les mêmes conditions sordides.

      Le rapport signale l’apparente « complicité de certains acteurs étatiques, notamment de responsables locaux, de membres de groupes armés officiellement intégrés aux institutions de l’État et de représentants des ministères de l’Intérieur et de la Défense, dans le trafic illicite ou le trafic de migrants et de réfugiés ».

      Nils Melzer, expert indépendant des droits de l’homme des Nations Unies sur la torture, estime que, compte tenu des risques de violations des droits de l’homme dans le pays, les transferts et les retours en Libye peuvent être considérés comme une violation du principe juridique international du « non-refoulement », qui protège les demandeurs d’asile et les migrants contre le retour dans des pays où ils ont des raisons de craindre la violence ou la persécution.

      « La situation est abominablement terrible », a déclaré jeudi Michelle Bachelet, Haut-Commissaire des Nations Unies aux droits de l’homme. « Combattre l’impunité généralisée non seulement mettrait fin aux souffrances de dizaines de milliers de femmes, d’hommes et d’enfants migrants et réfugiés, à la recherche d’une vie meilleure, mais saperait également l’économie parallèle et illégale fondée sur les atteintes à ces personnes et contribuerait à l’instauration de l’état de droit et des institutions nationales ».

      Le rapport appelle les États européens à reconsidérer les coûts humains de leurs politiques et à veiller à ce que leur coopération et leur assistance aux autorités libyennes soient respectueuses des droits de l’homme et conformes au droit international des droits de l’homme et du droit des réfugiés, de manière à ne pas, directement ou indirectement, aboutir à ce que des hommes, des femmes et des enfants soient enfermés dans des situations de violence avec peu d’espoir de protection et de recours.

      https://news.un.org/fr/story/2018/12/1032271

    • Libya: Nightmarish Detention for Migrants, Asylum Seekers

      EU and Italy Bear Responsibility, Should Condition Cooperation

      (Brussels) – European Union policies contribute to a cycle of extreme abuse against migrants in Libya, Human Rights Watch said in a report released today. The EU and Italy’s support for the Libyan Coast Guard contributes significantly to the interception of migrants and asylum seekers and their subsequent detention in arbitrary, abusive detention in Libya.

      The 70-page report, “‘No Escape from Hell’: EU Policies Contribute to Abuse of Migrants in Libya,” documents severe overcrowding, unsanitary conditions, malnutrition, and lack of adequate health care. Human Rights Watch found violent abuse by guards in four official detention centers in western Libya, including beatings and whippings. Human Rights Watch witnessed large numbers of children, including newborns, detained in grossly unsuitable conditions in three out of the four detention centers. Almost 20 percent of those who reached Europe by sea from Libya in 2018 were children.

      “Migrants and asylum seekers detained in Libya, including children, are trapped in a nightmare, and what EU governments are doing perpetuates detention instead of getting people out of these abusive conditions,” said Judith Sunderland, associate Europe director at Human Rights Watch. “Fig-leaf efforts to improve conditions and get some people out of detention do not absolve the EU of responsibility for enabling the barbaric detention system in the first place.”

      In a letter to Human Rights Watch as the report went to print, the European Commission indicated that its dialogue with Libyan authorities has focused on respect for the human rights of migrants and refugees, that the EU’s engagement in Libya is of a humanitarian nature, and that concrete improvements have been achieved though challenges remain.

      Human Rights Watch visited the #Ain_Zara and #Tajoura detention centers in Tripoli, the al-Karareem detention center in Misrata, and the Zuwara detention center in the city of the same name in July 2018. All are under the nominal control of the Directorate to Counter Illegal Migration (DCIM) of the Government of National Accord (GNA), one of two competing authorities in Libya. Human Rights Watch spoke with over 100 detained migrants and asylum seekers, including 8 unaccompanied children, and each center’s director and senior staff. Researchers also met with the head of DCIM; senior officials of Libya’s Coast Guard, which is aligned with the GNA; and representatives of international organizations and diplomats.

      Abdul, an 18-year-old from Darfur, was intercepted by the Libyan Coast Guard in May 2018, when he attempted to reach Europe to apply for asylum. He was subsequently detained in abysmal, overcrowded, and unsanitary conditions in the al-Karareem center. He said that guards beat him on the bottom of his feet with a hose to make him confess to helping three men escape. Abdul’s experience encapsulates the struggle, dashed hopes, and suffering of so many migrants and asylum seekers in Libya today, Human Rights Watch said.

      Senior officials in EU institutions and member countries are aware of the situation. In November 2017, EU migration commissioner, Dimitri Avramopoulos, said: “We are all conscious of the appalling and degrading conditions in which some migrants are held in Libya.” Yet since 2016, the EU and particular member states have poured millions of euros into programs to beef up the Libyan Coast Guard’s capacity to intercept boats leaving Libya, fully aware that everyone is then automatically detained in indefinite, arbitrary detention without judicial review.

      Italy – the EU country where the majority of migrants departing Libya have arrived – has taken the lead in providing material and technical assistance to the Libyan Coast Guard forces and abdicated virtually all responsibility for coordinating rescue operations at sea, to limit the number of people arriving on its shores. The increase in interceptions in international waters by the Libyan Coast Guard, combined with obstruction by Italy and Malta of rescue vessels operated by nongovernmental organizations, has contributed to overcrowding and deteriorating conditions in Libyan detention centers.

      Enabling the Libyan Coast Guard to intercept people in international waters and return them to cruel, inhuman, or degrading treatment in Libya can constitute aiding or assisting in the commission of serious human rights violations, Human Rights Watch said. EU and member state support for programs for humanitarian assistance to detained migrants and asylum seekers and for evacuation and repatriation schemes have done little to address the systemic problems with immigration detention in Libya, and serve to cover up the injustice of the EU containment policy.

      Libyan authorities should end arbitrary immigration detention and institute alternatives to detention, improve conditions in detention centers, and ensure accountability for state and non-state actors who violate the rights of migrants and asylum seekers. The authorities should also sign a memorandum of understanding with UNHCR, the United Nations refugee agency, to allow it to register anyone in need of international protection, regardless of nationality, in full respect of its mandate.

      EU institutions and member states should impose clear benchmarks for improvements in the treatment of migrants and conditions in detention centers in Libya and be prepared to suspend cooperation if benchmarks are not met. The EU should also ensure and enable robust search-and-rescue operations in the central Mediterranean, including by nongovernmental groups, and significantly increase resettlement of asylum seekers and vulnerable migrants out of Libya.

      “EU leaders know how bad things are in Libya, but continue to provide political and material support to prop up a rotten system,” Sunderland said. “To avoid complicity in gross human rights abuses, Italy and its EU partners should rethink their strategy to truly press for fundamental reforms and ending automatic detention.”

      https://www.hrw.org/news/2019/01/21/libya-nightmarish-detention-migrants-asylum-seekers

    • L’odissea degli ultimi. Libia, nuove cronache dall’orrore

      Ancora foto choc dai campi di detenzione di #Bani_Walid, dove i trafficanti torturano e ricattano le vittime Prigionieri di criminali efferati, 150 profughi subiscono violenza da mesi.

      Le immagini provengono direttamente dall’inferno di Bani Walid, distretto di #Misurata, circa 150 chilometri a sud-est di Tripoli. Sono state mandate ai familiari dai trafficanti di esseri umani per indurli al pagamento del riscatto per rilasciarli. Da sei mesi ogni giorno i detenuti subiscono minacce, percosse, torture e le donne spesso vengono stuprate dai guardiani. Tutti hanno cicatrici e bruciature per la plastica fusa gettata su arti e schiena. Ma la cifra chiesta dai libici – 4 o 5mila dollari – è troppo alta perché i parenti hanno già dovuto pagare le diverse tappe del viaggio e ora stanno chiedendo aiuto ai conoscenti. Come ha scritto di recente anche il Corriere della Sera, nel caos libico lo scontro tra il governo centrale di Serraj e quello di Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha lasciato senza paghe i dipendenti pubblici, tra cui i guardiani delle galere.


      https://dossierlibia.lasciatecientrare.it/lodissea-degli-ultimi-libia-nuove-cronache-dallorrore

    • Torture and shocking conditions: the human cost of keeping migrants out of Europe

      It’s been heralded as the start of a new dialogue. The first summit between the League of Arab States and EU member states ended with a lofty statement of shared values.

      European leaders shook hands with their Arab counterparts and discussed issues such as Syria, Yemen and nuclear proliferation. They agreed to tackle the “common challenge” of migration.

      Tonight, we’ve new evidence of how Libyan authorities are tackling that challenge.

      Footage from inside camps in Libya shows migrants living in shocking conditions. And there are disturbing signs that some migrants are being tortured by people traffickers. This report contains images that some viewers will find distressing.


      https://www.channel4.com/news/torture-and-shocking-conditions-the-human-cost-of-keeping-migrants-out-of-

    • Des migrants détenus en Libye, torturés pour s’être rebellés

      L’affaire est révélée par la télévision al-Jazeera. Le sort des migrants et des réfugiés bloqués en Libye ne cesse de se dégrader. Le 26 février 2019, plus d’une centaine se sont révoltés dans le centre de Triq al-Sikka à Tripoli, pour dénoncer leurs conditions de détention. La répression a été terrible. Une trentaine de ces détenus auraient été torturés.


      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/naufrage-a-lampedusa/des-migrants-detenus-en-libye-tortures-pour-setre-rebelles_3217669.html

    • L’incapacité européenne face à la #maltraitance des réfugiés en Libye

      #Matteo_de_Bellis, chercheur d’Amnesty International sur les migrations, revient sur les tortures et les violences contre les réfugiés et les migrants en Libye et l’incapacité honteuse de l’Europe à y mettre fin.

      Farah, un jeune homme somalien, sa femme et leur fille qui venait de naître avaient passé 12 heures en mer quand les gardes-côtes libyens ont intercepté leur canot. Le couple avait fui la Libye après plusieurs mois de torture dans un hangar dans lequel Farah était battu et sa femme était violée par des bandes criminelles libyennes essayant d’obtenir une rançon de leurs proches.

      Lorsqu’il a réalisé qu’il allait être renvoyé en Libye, le jeune homme de 24 ans a été pris de nausées. « Je savais qu’il valait mieux mourir que retourner en Libye, mais ils nous ont menacés avec des armes. »

      Farah, sa femme et son bébé ont passé les sept mois suivants dans deux centres de détention de Tripoli. « Il n’y avait pas de nourriture ou de soins pour mon bébé. Elle est morte à huit mois. Elle s’appelait Sagal. »

      Leur histoire n’est que l’une des nombreuses histoires déchirantes de violence et de cruauté inimaginable que j’ai pu entendre le mois dernier à Médenine, une petite ville du sud de la Tunisie, qui a accueilli un nombre limité mais constant de réfugiés et de migrants franchissant la frontière pour échapper à l’enfer de la Libye.

      Ce weekend, de nouveaux témoignages faisant état de torture dans le centre de détention de Triq al Sikka ont été recueillis. D’après ces informations, plus de 20 réfugiés et migrants, dont des enfants, ont été conduits dans une cellule en sous-sol et torturés individuellement, à tour de rôle, à titre de punition pour avoir protesté contre leur détention arbitraire dans des conditions déplorables et l’absence de solution. En réponse à cette contestation, plus d’une centaine d’autres personnes détenues ont été transférées vers d’autres centres de détention, notamment celui d’#Ain_Zara, dans lequel Sagal est morte.

      Ces témoignages de violences correspondent à ce que j’ai pu entendre en Tunisie. Un autre homme somalien, Abdi, a décrit l’extorsion et les violences qu’il a subies aux mains des gardiens des centres de détention. Comme Farah, Abdi a été arrêté en mer par les gardes-côtes libyens et renvoyé en Libye où il est passé d’un centre de détention à un autre.

      Parfois, les gardes boivent et fument, puis frappent des gens. Ils demandent aussi aux gens de leur donner de l’argent en échange de leur libération, et ceux qui ne paient pas sont frappés. On voyait les gardes, tant des membres des milices que de la police, venir et frapper des gens qui n’avaient pas payé.

      La plupart des personnes actuellement détenues dans les centres de détention de Libye ont été interceptées en mer par les gardes-côtes libyens, qui ont bénéficié de tout un éventail de mesures de soutien de la part des gouvernements européens en échange de leur coopération en vue d’empêcher les réfugiés et les migrants d’atteindre les côtes européennes.

      L’argent des contribuables européens a été utilisé pour fournir des bateaux, créer une zone de recherche et sauvetage libyenne et construire des centres de coordination, entre autres mesures, en vue de renforcer les capacités de la Libye à empêcher ces personnes de fuir le pays et à les maintenir en détention illégale. Et ces aides ont été accordées sans la moindre condition associée, même si une telle coopération entraîne de graves violations des droits humains, comme des actes de torture.

      Si les États membres de l’Union européenne veulent cesser d’être complices des violences, des viols et de l’exploitation que subissent des femmes, des hommes et des enfants, ils doivent exiger la fermeture de tous les centres de détention pour migrants en Libye et la libération des quelque 5 000 personnes qui y sont actuellement détenues.

      Les gouvernements européens qui, depuis des années, prennent des mesures frénétiques, faisant adopter des politiques destinées à empêcher les arrivées en Europe quel qu’en soit le coût humain, doivent revenir à la raison, surtout maintenant que le nombre de traversées est très faible. Au-delà de mesures en vue de remédier à la crise des droits humains en Libye qui touche tant des Libyens que des ressortissants d’autres pays, la réponse doit prévoir un mécanisme rapide et fiable de débarquement en Europe des personnes en quête d’asile et des migrants secourus en Méditerranée, ainsi qu’un système équitable de partage des responsabilités en matière d’assistance entre les États membres de l’Union européenne.

      Ces mesures permettraient de contribuer à éviter les événements désastreux qui se sont enchaînés l’année dernière : des bateaux de sauvetage bloqués en mer pendant des semaines face au refus des pays de l’Union européenne d’ouvrir leurs ports et de les accueillir. Non seulement ces événements aggravent les souffrances des personnes qui viennent de fuir des traitements épouvantables, mais ils découragent également les navires marchands de porter secours à des personnes en détresse et de veiller à ce que ces personnes puissent débarquer dans un lieu sûr, où elles ne pourront pas être renvoyées en Libye.

      Emmanuel, un réfugié de 28 ans qui a fui le conflit au Cameroun, a décrit sa dérive en mer à bord d’un canot non loin d’une autre embarcation qui prenait l’eau, et sa stupéfaction lorsqu’un bateau a refusé de leur porter secours.

      Depuis le gros bateau, ils ont passé des appels, mais nous ont dit : “Désolé, nous ne pouvons pas vous accueillir, ce n’est pas de ma faute, nous avons ordre de laisser les Libyens venir vous chercher.” Pendant ce temps, je voyais les gens mourir sur l’autre bateau. Des bouts de bateau et des corps flottaient. [Quand] un petit bateau libyen est venu nous chercher... toutes les personnes à bord de l’autre canot étaient mortes. »

      Alors que des informations selon lesquelles des réfugiés de pays comme l’Érythrée retournent dans leur pays en dépit des risques bien connus pesant sur leur vie émergent, l’Europe ne peut pas se permettre d’ignorer les conséquences catastrophiques de ses politiques irresponsables destinées à freiner l’immigration en Méditerranée.

      Les départs depuis la Libye sont en déclin, c’est donc le moment d’exiger des changements, notamment la fermeture des centres de détention pour migrants en Libye, la mise en place d’un système de débarquement et de relocalisation équitable en Europe et des voies sûres et légales qui n’obligent pas les personnes qui cherchent la sécurité à passer par des traversées en mer.

      Cela permettrait à de nombreux enfants et adultes de sortir de ce calvaire et de quitter les centres de détention atroces dans lesquels ils sont actuellement détenus arbitrairement en Libye. Les gouvernements européens, qui ont fermé la route de la Méditerranée centrale et donc abandonné des milliers de personnes prises au piège en Libye, ne doivent pas perdre de temps.

      Nous pourrions aider à sauver des dizaines d’autres Sagal, de pères et de mères.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/lincapacite-europeenne-face-a-la-maltraitance-des

    • Refugees report brutal and routine sexual violence in Libya

      Abuse often filmed and sent to victims’ relatives, Women’s Refugee Commission finds.
      Refugees and migrants trying to reach Europe from Africa are being subjected to horrific and routine sexual violence in Libyan detention centres, a survey has found.

      People arriving at the centres are “often immediately raped by guards who conduct violent anal cavity searches, which serves the dual purpose of retrieving money, as well as humiliation and subjugation”, the report by the Women’s Refugee Commission says. Many of the victims have been forcibly returned to the country by the Libyan coastguard under policies endorsed by the European Union.

      The level of psychological treatment for victims of sexual violence who reach Italy is woefully inadequate, the report adds.

      Sarah Chynoweth, the lead researcher on the report, said: “Profoundly cruel and brutal sexual violence and torture are perpetrated in official detention centers and clandestine prisons, during random stops and checkpoints, and in the context of forced labor and enslavement. The fact that refugees and migrants crossing the Mediterranean are intercepted and forced back into this violence is untenable.”

      The report, released at the Swedish mission in Geneva, is based on surveys and focus groups of people who have reached Italy. Much of the sexual violence it describes is too graphic to detail, but the authors make the broad point that “during the course of this research, almost all refugees, migrants, and key informants emphasised that sexual violence against male and female migrants along the entire central Mediterranean route was exceptionally high”.

      A UN officer estimated that 90% of male refugees and migrants being hosted in the Italian reception system had experienced sexual violence during their journey. A local government official said that, among refugee and migrant boys, “although there are no real numbers, we know that a huge number of the minors have experienced sexual violence on the journey [to Italy]”.

      The extent of sexual violence perpetrated against refugees appears in part to be contingent on their financial resources, their connections, and the year that they travelled – those traveling in recent years are seemingly more likely to have experienced sexual violence.

      In many cases, sexual violence and torture are filmed on Skype and used to try to extract ransom money from the victims’ relatives, the report by the Swedish-funded, US-based commission says.

      Refugees, migrants and informants told researchers that sexual violence was commonplace throughout the journey to Italy. “All along the journey they experienced sexual violence,” a health provider reported. “The whole journey is traumatic. Libya is just [the] icing on the cake.”

      It had been thought that the dominance of young males in the Libyan refugee trail would reduce the risk of sexual violence. It is estimated 72% of sea arrivals in Italy were men and 18% were children, mainly unaccompanied boys.

      In response to questions about sexual violence in Libya, refugees and migrants variously told the researchers that it “happened to everyone”, “is normal in Libya”, “happened to all people inside Libya” and “happened to many, many of my friends”.

      Only two refugees among those surveyed explicitly reported that they had not been exposed to sexual violence, due to their ability to pay large sums in exchange for relatively safe passage.

      A mental health provider in Italy working with refugees and migrants said that most of the men he spoke to had been raped in centres in Libya. A protection officer commented: “It is so widespread. Everyone knows when a man says”: ‘I’ve gone through Libya’ it is a euphemism for rape.”

      Among the forms of sexual violence described to researchers was anal and oral rape, forced rape of others including corpses, castration and forced incest.

      Much of the sexual violence described by research participants contained elements of profound psychological torture and cruelty.

      Violence against detainees is frequently perpetrated in front of others or recorded on mobile phones, compounding the humiliation and reinforcing the experience of subjugation, the researchers found. “Perpetrators send (or threaten to send) the video footage to detainees’ family members for extortion purposes,” the report says.

      A commonly reported torture technique involved forcing men to stand in a circle to watch the rape and sometimes murder of women; men who moved or spoke out were beaten or killed.

      Health and mental health providers who had treated male survivors frequently reported electroshock burns to the genitals. Other genital violence included beating, burning, tying and “pulling of the penis and scrotum”.


      In February 2017, Italy made a deal, backed by the EU, to spend tens of millions of euros funding the Libyan coastguard, which intercepts boats heading for Italy and returns those onboard to Libya.

      From January 2017 to September 2018, the Libyan coastguard intercepted and forcibly returned more than 29,000 people. Many ended up in detention centres or disappeared altogether.

      https://www.theguardian.com/world/2019/mar/25/refugees-face-routine-sexual-violence-in-libyan-detention-centres-repor
      #viols

      Et ce chiffre...

      A UN officer estimated that 90% of male refugees and migrants being hosted in the Italian reception system had experienced sexual violence during their journey.

      v. aussi :

      Il 90% dei migranti visitati nelle cliniche del Medu ha parlato di violenza estrema e torture

      https://seenthis.net/messages/598508#message599359

  • Iraq : US military admits failures to monitor over $1 billion worth of arms transfers | Amnesty International
    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/05/us-military-admits-failures-to-monitor-over-1-billion-worth-of-arms-transfe

    The US Army failed to keep tabs on more than $1 billion worth of arms and other military equipment in Iraq and Kuwait according to a now declassified Department of Defense (DoD) audit, obtained by Amnesty International following Freedom of Information requests.

    The government audit, from September 2016, reveals that the DoD “did not have accurate, up-to-date records on the quantity and location”of a vast amount of equipment pouring into Kuwait and Iraq to provision the Iraqi Army.

    “This audit provides a worrying insight into the US Army’s flawed – and potentially dangerous - system for controlling millions of dollars’ worth of arms transfers to a hugely volatile region,” said Patrick Wilcken, Amnesty International’s Arms Control and Human Rights Researcher.

    “It makes for especially sobering reading given the long history of leakage of US arms to multiple armed groups committing atrocities in Iraq, including the armed group calling itself the Islamic State.”

    The military transfers came under the Iraq Train and Equip Fund (ITEF), a linchpin of US-Iraqi security cooperation. In 2015, US Congress appropriated USD$1.6 billion for the programme to combat the advance of IS.

    Voilà qui « enrichit » l’invraisemblable liste de milliards de dollars perdus par les Américains dans des zones déjà riches en conflits, massacres et terroristes :
    https://seenthis.net/messages/119431

  • Egypt : Cancel Military Court Death Sentences. Convicted Civilians Alleged Torture, Forcible Disappearances

    (Beirut) – The case of eight men who could face imminent execution following a military trial shows why Egyptian authorities should place a moratorium on the death penalty, Human Rights Watch said today.


    https://www.hrw.org/news/2017/06/11/egypt-cancel-military-court-death-sentences
    #torture #Egypte #peine_de_mort #disparitions #Souhaib_Sa’ad #procès

  • France: Unchecked clampdown on protests under guise of fighting terrorism - Amnesty International
    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/05/france-unchecked-clampdown-on-protests-under-guise-of-fighting-terrorism

    Between November 2015 and 5 May 2017, authorities used emergency powers to issue 155 decrees prohibiting public assemblies, in addition to banning dozens of protests using ordinary French law. They also imposed 639 measures preventing specific individuals participating in public assemblies. Of these, 574 were targeted at those protesting against proposed labour law reforms. Moreover, according to media reports, authorities imposed dozens of similar measures to prevent people from participating in protests after the second round of the presidential elections on 7 May.

  • Trump to sign executive orders enabling construction of proposed border wall and targeting sanctuary cities - The Washington Post
    https://www.washingtonpost.com/world/national-security/president-trump-is-planning-to-sign-executive-orders-on-immigration-this-week/2017/01/24/aba22b7a-e287-11e6-a453-19ec4b3d09ba_story.html

    President Trump plans to sign executive orders Wednesday enabling construction of his proposed wall on the U.S.-Mexico border and targeting cities where local leaders refuse to hand over illegal immigrants for deportation, according to White House officials familiar with the decisions.

    The actions, part of a multi-day focus on immigration, are among an array of sweeping and immediate changes to the nation’s immigration system under consideration by the new president. The moves represent Trump’s first effort to deliver on perhaps the signature issue that drove his presidential campaign: his belief that illegal immigration is out of control and threatening the country’s safety and security

    #états-unis #mexique #murs #frontières

  • RÉFUGIÉS : LA SLOVÉNIE VEUT S’AFFRANCHIR DU DROIT INTERNATIONAL POUR MIEUX EXPULSER
    De notre correspondant à Ljubljana | lundi 9 janvier 2017

    Le gouvernement va proposer au Parlement une nouvelle « Loi sur les étrangers » (sic), qui permettra d’accélérer les procédures d’expulsion, sans même examiner le dossier des demandeurs d’asile. La société civile dénonce un projet contraire au #droit_international, ainsi que les discours alarmistes du gouvernement, alors que la Slovénie accueille en tout et pour tout... 315 demandeurs d’asile.

    Par Charles Nonne

    La Slovénie se prépare à l’arrivée possible d’une nouvelle crise migratoire, et les discours alarmistes sont à l’ordre du jour. « Nous faisons face à une augmentation de 100% des migrations illégales, de 500% du nombre de demandes d’asile », s’est récemment inquiétée la ministre de l’Intérieur, Vesna Györkös Žnidar. Le chef de la diplomatie, Karel Erjavec, a mis en garde contre le risque d’une vague fondamentalement différente de la première, car constituée de migrants économiques mais aussi d’anciens combattants de Syrie.

    Les autorités slovènes ne se contentent pas de muscler leurs discours : en plus de projets sur l’équipement des policiers, encore dans les cartons, la nouvelle loi prévoit une série de mesures d’urgence applicables en cas de « circonstances exceptionnelles ». Son objectif : permettre au pays de renvoyer légalement des migrants en masse.

    Les reconduites immédiates à la frontière seront facilitées dès lors que les entrants potentiels ne rempliraient pas les « conditions nécessaires ». L’expulsion automatique des arrivants sera rendue possible sans le moindre examen de leur dossier, à partir du moment où ils seront entrés illégalement sur le territoire slovène, ou à partir d’un autre pays de l’Union européenne (UE) — en l’occurence de la Croatie voisine.

    Ce projet détonne dans un pays où les demandeurs d’asile, au nombre de 315, perçoivent une indemnité de 18 euros par mois. En guise de garde-fou, le projet exclut les mineurs non-accompagnés et les personnes « en grave danger » ou dans une situation médicale critique – ces précautions ne suffisent pas, cependant, pour rassurer les défenseurs des droits des réfugiés.

    “Un projet contraire au droit humanitaire international, au droit de l’UE et à la Constitution slovène elle-même.”

    Les critiques ont immédiatement plu, dénonçant un projet contraire au droit humanitaire international, au droit de l’UE et à la Constitution slovène elle-même. Miha Kordiš, député de la Gauche Unie (opposition), estime que « le gouvernement se cherche un ennemi extérieur en créant des peurs inutiles [...] et concrétise tous les fantasmes de la droite slovène ». Pour Saša Zagorc, éminent professeur de droit constitutionnel, cette loi « bafoue tout ce pourquoi nous avons gagné notre indépendance il y a 25 ans ». Dans un communiqué cinglant, un collectif des ONG les plus influentes de Slovénie déplore le fait que « le gouvernement pourra désormais piétiner les droits de la personne à chaque fois qu’il estimera que des ’conditions exceptionnelles’ sont réunies ».

    Unique fissure dans l’unanimité gouvernementale, le ministre de la Justice Zoran Klemenčič, ancien champion de la lutte anti-corruption, s’est abstenu lors du vote de la loi par le gouvernement. Le projet est désormais au Parlement, où il doit obtenir les deux tiers des voix pour entrer en vigueur.

    www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/slovenie-loi-sur-les-etrangers-liberticide.html
    #Slovénie #expulsions #asile #migrations #réfugiés #renvois

  • Myanmar: Security forces target #Rohingya during vicious Rakhine scorched-earth campaign

    The Myanmar security forces are responsible for unlawful killings, multiple rapes and the burning down of houses and entire villages in a campaign of violence against Rohingya people that may amount to crimes against humanity, Amnesty International reveals in a new report today.

    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2016/12/myanmar-security-forces-target-rohingya-viscious-scorched-earth-campaign

    #rapport:
    https://www.amnesty.org/en/documents/asa16/5362/2016/en
    #Birmanie #Bangladesh #asile #migrations #réfugiés #destruction #feu #crime_contre_l'humanité #viols

  • Global brands profiting from child and forced labour | Amnesty International
    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2016/11/palm-oil-global-brands-profiting-from-child-and-forced-labour
    https://www.amnesty.org/remote.axd/amnestysgprdasset.blob.core.windows.net/media/14155/234524_palm_oil_production_-_indonesia-1.jpg?center=0.5,0.5&preset=fixed_12

    On ne s’ennuie pas avec l’#industrie_palmiste, on en apprend tous les jours

    The report, The great palm oil scandal: Labour abuses behind big brand names, investigates palm oil plantations in Indonesia run by the world’s biggest palm oil grower, Singapore-based agri-business Wilmar, tracing palm oil to nine global firms: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser and Unilever.

    ...

    “Corporate giants like Colgate, Nestlé and Unilever assure consumers that their products use ‘sustainable palm oil’, but our findings reveal that the palm oil is anything but. There is nothing sustainable about palm oil that is produced using child labour and forced labour. The abuses discovered within Wilmar’s palm oil operations are not isolated incidents but are systemic and a predictable result of the way Wilmar does business.

    #travail_des_enfants #esclavage

  • Ethiopia: After a year of protests, time to address grave human rights concerns | Amnesty International
    https://www.amnesty.org/en/latest/news/2016/11/ethiopia-after-a-year-of-protests-time-to-address-grave-human-rights-concer

    Nearly one year on from the start of a wave of protests that has left at least 800 people dead at the hands of security forces, the Ethiopian government must take concrete steps to address grave human rights concerns in the country, Amnesty International said today.

    The protests began in the central Oromia region on 12 November 2015, in opposition to the Addis Ababa Masterplan, a government plan to extend the capital Addis Ababa’s administrative control into parts of the Oromia.

    #Ethiopie #répression #meurtres #contestation

  • Hotspot Italy: Abuses of refugees and migrants

    Thousands of people continue to cross the Mediterranean, fleeing persecution, conflict and poverty, seeking protection and a decent life in Europe.

    Europe’s so-called ‘hotspot approach’ to receive refugees and migrants in key arrival countries like Italy was introduced in 2015, as a way to faster identify, screen and filter all newly arrived men, women and children.

    But Amnesty International’s research suggests that, in Italy, there are cases where it’s less ‘identify, screen and filter’ and more a case of ‘abuse, mislead and expel’.

    https://www.amnesty.org/en/latest/campaigns/2016/11/hotspot-italy
    #Italie #violence #police #empreintes_digitales #asile #migrations #réfugiés #hotspots #torture

  • Hungary : stranded hopes

    Asylum-seekers – including unaccompanied children – are suffering violent abuse, illegal push backs and unlawful detention at the hands of Hungary’s police and immigration authorities, under a system blatantly designed to deter them from entering the country.

    https://www.amnesty.org/remote.axd/amnestysgprdasset.blob.core.windows.net/media/13658/232281_serbia_hungary_border_august_2016.jpg?center=0.33%2c0.76842105263157
    https://www.amnesty.org/en/latest/campaigns/2016/09/hungary-stranded-hopes
    #asile #migrations #réfugiés #Hongrie #MNA #mineurs_non_accompagnés #push-back #violences #refoulement #détention_administrative #rétention