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  • Così l’Italia ha svuotato il diritto alla trasparenza sulle frontiere

    Il Consiglio di Stato ha ribadito la inaccessibilità “assoluta” degli atti che riguardano genericamente la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Intanto le forniture milionarie del governo a Libia, Tunisia ed Egitto continuano.

    L’Italia fa un gigantesco e preoccupante passo indietro in tema di trasparenza sulle frontiere e di controllo democratico dell’esercizio del potere esecutivo. Su parte delle nostre forniture milionarie alla Libia, anche di natura militare, per bloccare le persone rischia infatti di calare un velo nero. A fine 2023 il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza che riconosce come non illegittima la “assoluta” inaccessibilità di quegli atti della Pubblica amministrazione che ricadono genericamente nel settore di interesse della “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”, svuotando così di fatto l’istituto dell’accesso civico generalizzato che è a disposizione di tutti i cittadini (e non solo dei giornalisti). Non è un passaggio banale dal momento che la conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, o meglio, dovrebbe consentire la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione della classe politica e dirigente del Paese. Ma la teoria traballa. E ne siamo testimoni.

    Breve riepilogo dei fatti. Il 21 ottobre 2021 l’Agenzia industrie difesa (Aid) -ente di diritto pubblico controllato dal ministero della Difesa- stipula un “Accordo di collaborazione” con la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere in seno al ministero dell’Interno. Fu il Viminale -allora guidato dalla prefetta Luciana Lamorgese, che come capo di gabinetto ebbe l’attuale ministro, Matteo Piantedosi- a rivolgersi all’Agenzia, chiedendole “la disponibilità a fornire collaborazione per iniziative a favore dei Paesi non appartenenti all’Unione europea finalizzate al rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. L’accordo dell’ottobre di tre anni fa riguardava una cooperazione “da attuarsi anche tramite la fornitura di mezzi e materiali” per dare impulso alla seconda fase del progetto “Support to integrated border and migration management in Libya”.

    Il Sibmmil è legato finanziariamente al Fondo fiduciario per l’Africa, istituito dalla Commissione europea a fine 2015 al dichiarato scopo di “affrontare le cause profonde dell’instabilità, degli spostamenti forzati e della migrazione irregolare e per contribuire a una migliore gestione della migrazione”. La prima “fase” del progetto è dotata di un budget di 46,3 milioni di euro, la seconda, quella al centro dell’accordo tra Aid e ministero dell’Interno, di 15 milioni. A beneficiare di queste forniture (navi, formazione, equipaggiamenti, tecnologie), come abbiamo ricostruito in questi anni, sono state soprattutto le milizie costiere libiche, che si sono rese responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani. Nel 2022, pochi mesi dopo la stipula dell’accordo, abbiamo inoltrato come Altreconomia un’istanza di accesso civico alla Aid -allora guidata dall’ex senatore Nicola Latorre, sostituito dal dicembre scorso dall’accademica Fiammetta Salmoni- per avere la copia del testo e degli allegati.

    La richiesta fu negata richiamando a mo’ di “sostegno normativo” un decreto del ministero dell’Interno datato 16 marzo 2022 (ancora a guida Lamorgese). L’oggetto di quel provvedimento era l’aggiornamento della “Disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Un’apparente formalità. Il Viminale, però, agì di sostanza, includendo tra i documenti ritenuti “inaccessibili per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni internazionali” anche quelli “relativi agli accordi intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia, nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e dell’immigrazione”.

    Il 16 gennaio 2023 Roma e Ankara hanno firmato un memorandum per “procedure operative standard” per il distacco in Italia di “esperti della polizia nazionale turca”

    Non solo. In quel decreto si schermava poi un altro soggetto sensibile: Frontex. Vengono infatti classificati come inaccessibili anche i “documenti relativi alla cooperazione con l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (appunto Frontex, ndr), per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea coincidenti con quelle italiane e che non siano già sottratti all’accesso dall’applicazione di classifiche di riservatezza Ue”. Così come le “relazioni, rapporti ed ogni altro documento relativo a problemi concernenti le zone di confine […] la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali”.

    È per questo motivo che lo definimmo il “decreto che azzera la trasparenza sulle frontiere”, promuovendo di lì a poco un ricorso al Tar -grazie agli avvocati Giulia Crescini, Nicola Datena, Salvatore Fachile e Ginevra Maccarone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e membri del progetto Sciabaca&Oruka- contro i ministeri dell’Interno, della Difesa, della Pubblicazione amministrazione, oltreché l’Agenzia industrie difesa (Aid), proprio per vedere riconosciuto il diritto all’accesso civico generalizzato. In primo grado, però, il Tar del Lazio ci ha dato torto.

    Ed eccoci arrivati al Consiglio di Stato, il cui pronunciamento, pubblicato a metà novembre 2023, ha ritenuto infondato il nostro appello, riconoscendo come “fonte di un divieto assoluto all’accesso civico generalizzato”, non sorretto perciò da alcuna motivazione, proprio quel decreto ministeriale firmato Luciana Lamorgese del marzo 2022. “All’ampliamento della platea dei soggetti che possono avvalersi dell’accesso civico generalizzato corrisponde un maggior rigore normativo nella previsione delle eccezioni poste a tutela dei contro-interessi pubblici e privati”, hanno scritto i giudici della quarta sezione.

    I legali che ci hanno accompagnato in questo percorso non la pensano allo stesso modo. “Il Consiglio di Stato ha affermato che il decreto ministeriale del 16 marzo 2022, una fonte secondaria, non legislativa, adottata in attuazione della disciplina del diverso istituto dell’accesso documentale, abbia introdotto nell’ordinamento un limite assoluto all’accesso civico, che può essere invocato dalla Pubblica amministrazione senza che questa sia tenuta a fornire alcuna motivazione in merito alla sua ricorrenza.

    Si tratta di un’evidente elusione del dettato normativo, che prevede in materia una riserva assoluta di legge”, osservano le avvocate Crescini e Maccarone. Che aggiungono: “I giudici hanno respinto anche la censura relativa all’assoluta genericità del limite introdotto con il decreto ministeriale, che non individua precisamente le categorie di atti sottratti all’accesso, ma al contrario solo il settore di interesse, cioè la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, essendo idoneo a ricomprendere qualunque tipologia di atto, documento o dato, di fatto svuotando di contenuto l’istituto”. Questa sentenza del Consiglio di Stato rischia di rappresentare un precedente preoccupante. “L’accesso civico è uno strumento moderno che avrebbe potuto garantire la trasparenza degli atti della Pubblica amministrazione secondo canoni condivisibili che rispecchiano le esigenze che si sono cristallizzate in tutta Europa nel corso degli ultimi anni -riflettono le avvocate-. Tuttavia con questa interpretazione l’istituto viene totalmente svuotato di significato, costringendoci a fare un passo indietro di notevole importanza in tema di trasparenza, che è chiamata ad assicurare l’effettivo andamento democratico di un ordinamento giuridico”.

    I mezzi guardacoste che l’Italia si appresta a cedere quest’anno alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno tunisino sono sei

    Le forniture italiane per ostacolare i transiti, intanto, continuano. Negli ultimi mesi la Direzione centrale dell’Immigrazione e della polizia delle frontiere del Viminale -retta da Claudio Galzerano, già a capo di Europol- ha ripreso con forza a bandire gare o pubblicare, a cose fatte, affidamenti diretti. Anche per trasferte o distacchi in Italia di “ufficiali” libici, tunisini, ivoriani o “esperti della polizia nazionale turca”. La delegazione della Libyan coast guard and port security, ad esempio, è stata portata dal 15 al 18 gennaio di quest’anno alla base navale della Guardia di Finanza a Capo Miseno (NA) per una “visita tecnica”. Nei mesi prima altre “autorità libiche” erano state formate alle basi di Gaeta (LT) o Capo Miseno. Gli ufficiali della Costa d’Avorio sono stati in missione dal 30 ottobre scorso al 20 gennaio 2024 “in materia di rimpatri”. Sono stati portati nei punti caldi di Lampedusa e Ventimiglia.

    Al dicembre 2023 risale invece la firma dell’accordo tra la Direzione centrale e il Comando generale della Gdf per la fornitura di navi, assistenza, manutenzione, supporto tecnico-logistico a beneficio di Libia, Tunisia ed Egitto. Obiettivo: il “rafforzamento delle capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”. Proprio alla Guardia nazionale del ministero dell’Interno di Tunisi finiranno sei guardacoste litoranei della classe “G.L. 1.400”, con servizi annessi del tipo “consulenza, assistenza e tutoraggio”, per un valore di 4,8 milioni di euro (i soldi li mette il Viminale, i mezzi e la competenza la Guardia di Finanza). Navi ma anche carburante. A inizio gennaio di quest’anno il direttore Galzerano, dietro presunta richiesta di non ben precisate “autorità tunisine”, ha approvato la spesa di “nove milioni di euro circa” (testualmente) per “il pagamento del carburante delle unità navali impegnate nella lotta all’immigrazione clandestina e nelle operazioni di ricerca e di soccorso” nelle acque tunisine. Dove hanno recuperato le risorse? Da un fondo ministeriale dedicato a “misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie anche attraverso imprescindibili misure di cooperazione internazionale”. Chissà quale sarà la prossima fermata.

    https://altreconomia.it/cosi-litalia-ha-svuotato-il-diritto-alla-trasparenza-sulle-frontiere
    #Tunisie #Egypte #transparence #Agenzia_industrie_difesa (#Aid) #Support_to_integrated_border_and_migration_management_in_Libya (#Sibmmil) #Fonds_fiduciaire_pour_l'Afrique #gardes-côtes_libyens #Frontex

  • #Allemagne : l’extrême droite prévoit des expulsions massives

    Il est ressorti de recherches menées par le média d’investigation Correctiv que des politiques AfD, des personnalités de l’extrême-droite allemande et des entrepreneurs triés sur le volet, entre autres individus, se sont retrouvés dans un hôtel près de Potsdam en novembre 2023. A l’ordre du jour : des projets d’expulsion de millions de citoyens allemands issus de l’immigration. Bronca dans la presse européenne, toutefois rassurée par l’importante mobilisation contre l’extrême droite.

    https://www.eurotopics.net/fr/313676/allemagne-l-extrme-droite-prevoit-des-expulsions-massives

    #renvois #expulsions #machine_à_expulser #asile #migrations #réfugiés #expulsions #extrême_droite

    voir aussi :


    https://seenthis.net/messages/1022396

    ping @karine4 @_kg_

    • German government urged to tighten asylum policy as #AfD grows in popularity

      Germany’s main opposition party, the CDU, is urging the country’s three-way coalition government to work with the states to tighten asylum policy, fearing that the issue could be left to the far-right AfD party, which is currently performing well in the polls.

      Under pressure from the opposition and the German states, Chancellor Olaf Scholz met with the heads of the German states in November to discuss ways of tightening the country’s asylum policy. Now, there are growing calls for the results to be discussed.

      “The power of populists and extremists is always fuelled by the democrats’ inability to act. This is especially true when it comes to one of the major problems of our time: the migration question,” Minister-President of the state of North Rhine-Westphalia, Hendrik Wüst (CDU/EPP), told Tagesspiegel.

      Wüst called for another meeting between the heads of state and government and Scholz to assess the asylum measures taken so far.

      His demand follows the rising popularity of AfD, which is currently polling above any of the governing parties at 22%, which sets them only behind the CDU, a recent poll has shown.

      However, the matter has become especially sensitive after independent and investigative not-for-profit newsroom Correctiv revealed that AfD members met with influential businessmen and extremist businesses in November at a hotel in secret and discussed plans to expel unwanted residents, questioning the fundamental rights of German citizens who do not fit into their viewpoint.

      Berlin Mayor Kai Wegner (also CDU) joined the call for the government to work with the states, calling for “another migration summit between the federal and state governments”.

      “We need a joint effort by the democratic parties to overcome the challenges of our time,” Wegner told Tagesspiegel. “We must finally change course in migration policy, for example,” he added.

      But Kevin Kühnert, the General Secretary of Scholz’s ruling SPD, rejected the proposal and called “Wüst’s demand tactless, especially in these times”, referring to the recent revelations.

      MEP Dennis Radtke (CDU/EPP) commented on X, saying, “A cross-party solution to the refugee issue is not a concession to the AfD, but would be an important contribution to the fight against migration.”

      Germany, which saw almost one in three asylum seekers applying to EU countries, Switzerland and Norway in 2023, apply there, according to unpublished figures from the EU’s Asylum Agency (EUAA) seen by Die Welt, may well see a drop in numbers as a result of stricter asylum rules.

      Although Germany’s status as an economic powerhouse in the European Union may continue to attract many, if a more restrictive asylum policy has the same effect as Denmark’s, it could end up not only making it more difficult to enter the country but also as Die Welt reports, potentially deter future attempts to enter in the first place.

      https://www.euractiv.com/section/politics/news/german-government-urged-to-tighten-asylum-policy-as-afd-grows-in-popularit

    • En Allemagne, l’extrême droite planifie secrètement la « #remigration » de millions de citoyens

      Personne ne devait être au courant de cette réunion. Des personnalités politiques du parti AfD, des néonazis et de riches entrepreneurs se sont rencontrés dans un hôtel près de Potsdam en novembre. Ils n’ont planifié rien de moins que l’expulsion de millions de personnes d’Allemagne.

      UneUne bonne vingtaine de personnes pénètrent dans la salle à manger d’un hôtel de campagne, près de la ville de Potsdam, à l’ouest de Berlin. Certaines sont des figures d’Alternative pour l’Allemagne (AfD, le principal parti d’extrême droite outre-Rhin). D’autres sont membres de corporations étudiantes ; il y a des bourgeois, des avocats, des hommes politiques, des entrepreneurs, des médecins. Il y a une tête d’affiche de la mouvance identitaire. Sont également présents deux représentants de l’Union chrétienne-démocrate (CDU), issus de la Werteunion (« Union des valeurs »), un courant qui se positionne à l’aile droite du grand parti conservateur.

      Un article récemment publié dans l’hebdomadaire Die Zeit soulignait la proximité des tenanciers de l’hôtel avec les milieux d’extrême droite.

      Deux hommes sont à l’initiative de ce rendez-vous : Gernot Mörig, la soixantaine, ancien dentiste à Düsseldorf (Ouest), et Hans-Christian Limmer, un homme d’affaires bien connu dans le secteur de la restauration, qui a notamment été associé dans l’enseigne de boulangerie industrielle Backwerk, la chaîne de hamburgers Hans im Glück et le service de livraison de produits alimentaires Pottsalat. Contrairement à Gernot Mörig, Hans-Christian Limmer n’est pas présent. Interrogé par Correctiv (voir la Boîte noire), il a expliqué avoir pris ses distances avec l’ordre du jour de la réunion et n’avoir « joué aucun rôle » dans sa préparation.
      Prologue. Dans les coulisses

      Nous sommes le samedi 25 novembre 2023, peu avant 9 heures. La neige s’accumule sur les voitures garées dans la cour. Ce qui se passe ce jour-là dans la maison d’hôtes Adlon ressemble à une pièce de théâtre de chambre, mais tout est vrai. Cela montre ce qui peut arriver lorsque des promoteurs d’idées d’extrême droite, des représentants de l’AfD et des partisans fortunés de l’extrême droite se mélangent. Leur objectif commun : que des personnes puissent être expulsées d’Allemagne sur la base de critères racistes, qu’elles possèdent ou non un passeport allemand.

      La réunion était censée rester secrète. La communication entre les organisateurs et les invités ne s’est faite que par courrier postal. Des copies de ces correspondances ont néanmoins été remises à Correctiv. Nous avons pris des photos, à l’avant et à l’arrière du bâtiment, et avons également pu filmer en caméra discrète dans le bâtiment. Un de nos journalistes s’est enregistré à l’hôtel sous une fausse identité. Il a suivi la réunion de près et a pu observer qui y assistait. L’ONG écologiste Greenpeace a par ailleurs effectué ses propres recherches et a fourni à Correctiv des photos et des documents. Nos journalistes se sont entretenus avec des membres de l’AfD. Plusieurs sources ont confirmé les déclarations des participants à Correctiv.

      Nous avons donc pu reconstituer la rencontre.

      Il s’agit de bien plus qu’une simple réunion d’adeptes de l’extrême droite. Parmi les participants figurent des personnalités influentes au sein de l’AfD. L’un d’eux jouera un rôle clé dans cette histoire. Il se vante de parler ce jour-là au nom du comité exécutif du parti fédéral de l’AfD. Il est le conseiller personnel d’Alice Weidel, cheffe de cette organisation politique anti-immigration fondée en 2013, partenaire du Rassemblement national au niveau européen.

      Organisée dix mois avant les élections régionales dans les Länder de Thuringe, de Saxe et de Brandebourg, prévues en septembre 2024, cette réunion montre que l’idéologie raciste imprègne le parti jusqu’à l’échelon fédéral. Et cela ne devrait pas s’arrêter aux intentions : certains responsables politiques souhaitent également agir en conséquence, même si l’AfD affirme ne pas être un parti d’extrême droite.

      C’est un sujet juridiquement sensible pour l’AfD, en plein débat sur une éventuelle procédure d’interdiction dirigée contre le parti. En même temps, c’est un avant-goût de ce qui pourrait arriver si l’AfD arrivait au pouvoir en Allemagne. Ce qui se mijote ce week-end-là n’est rien de moins qu’une attaque contre la Constitution de la République fédérale.

      Acte 1, scène 1. Un hôtel de campagne au bord du lac

      La villa est située sur le lac Lehnitz, non loin de Potsdam. C’est un bâtiment des années 1920 avec un toit de tuiles et une vue sur l’eau. Les premiers invités arrivent la veille. Un SUV blanc immatriculé à Stade (Basse-Saxe) se gare dans la cour, la musique du groupe italien de rock allemand Frei.Wild résonne à travers ses fenêtres : « Nous, nous, nous, nous créons l’Allemagne. »

      De nombreux invités arrivent le samedi matin, se dirigeant vers une table où sont dressées une trentaine d’assiettes, chacune avec une serviette pliée.

      Beaucoup ont reçu des invitations personnelles où l’on évoque un « réseau exclusif » et un « don minimum » de 5 000 euros recommandé pour participer. Objectif du « Forum de Düsseldorf », ainsi que s’est nommé le groupe : collecter les dons de personnalités fortunées et d’entrepreneurs qui souhaitent secrètement soutenir des alliances d’extrême droite. « Nous avons besoin de patriotes qui font activement quelque chose et de personnalités qui soutiennent financièrement ces activités », indique l’invitation.

      Mais quelle est la finalité de ces dons ?

      La première indication est l’invitation signée par les organisateurs Gernot Mörig, le dentiste, et Hans-Christian Limmer, l’homme d’affaires. Dans une autre lettre d’invitation consultée par Correctiv, Gernot Mörig écrit : il existe un « concept global, au sens d’un plan stratégique », qui sera introduit par un orateur, Martin Sellner, cofondateur du Mouvement identitaire d’Autriche, branche de l’organisation française – dissoute en 2021 – Génération identitaire. Tous ceux qui ont participé au week-end savaient donc où ils mettaient les pieds.
      Acte 1, scène 2. Une « feuille de route » pour se débarrasser des immigrés

      Martin Sellner, auteur et figure de proue de la Nouvelle Droite, est le premier intervenant de la réunion. Gernot Mörig arrive rapidement au point dont il est censé être question aujourd’hui : la « remigration ».

      Dans l’introduction, l’organisateur accorde un poids particulier à la thèse de Martin Sellner : tout le reste – les mesures liées au coronavirus et à la vaccination, la situation en Ukraine et au Proche-Orient – sont autant de points de discorde à droite. La seule question qui les rassemble est de savoir « si nous, en tant que peuple, allons survivre en Occident ou non ».

      Martin Sellner explique le concept de « remigration » comme suit : il existe trois groupes cibles de migrants qui doivent quitter l’Allemagne pour, dit-il, « inverser l’installation des étrangers ». Il précise de qui il s’agit : les demandeurs d’asile, les étrangers ayant le droit de rester et les « citoyens non assimilés ». Selon lui, ces derniers constituent le plus gros « problème ». En d’autres termes : Martin Sellner divise la population entre ceux qui devraient vivre sans être inquiétés en Allemagne et ceux auxquels ce droit fondamental ne devrait pas s’appliquer.

      Les réflexions du jour se résument finalement à une chose : les gens devraient pouvoir être expulsés d’Allemagne s’ils ont la mauvaise couleur de peau, la mauvaise origine ou s’ils ne sont pas suffisamment « assimilés ». Même s’ils sont citoyens allemands. Ce serait une attaque contre la Loi fondamentale, contre la citoyenneté et contre le principe d’égalité.
      Acte 1, scène 3. Aucune objection de la part de l’AfD

      Sur le fond, aucune critique de l’idée du « plan stratégique » n’émerge dans l’assemblée. La plupart des participants émettent des avis favorables, n’exprimant des doutes que sur sa faisabilité.

      Silke Schröder, entrepreneuse dans l’immobilier et membre du conseil d’administration de l’Association de langue allemande, proche de la CDU, se demande comment cela devrait fonctionner dans la pratique. Car dès qu’une personne possède un passeport « approprié », c’est « une impossibilité ».

      Pour Martin Sellner, ce n’est pas un obstacle. Selon lui, il faut mettre une « forte pression » sur les gens pour qu’ils s’adaptent, au travers par exemple de « lois sur mesure ». La remigration ne peut pas se faire rapidement, c’est « un projet qui s’étend sur dix ans ».

      Les membres de l’AfD présents n’énoncent également aucune objection, bien au contraire. Gerrit Huy, députée de l’AfD au Bundestag, souligne qu’elle poursuit depuis longtemps l’objectif fixé.

      Lorsqu’elle a rejoint le parti il ​​y a sept ans, elle « portait déjà le concept de remigration ». C’est pour cette raison que l’AfD ne s’oppose plus à la double nationalité. « Parce qu’on peut alors leur retirer le passeport allemand, ils en ont toujours un. » Comme le dit Gerrit Huy, les immigrés possédant un passeport allemand sont censés être attirés dans un piège.

      Le chef du groupe parlementaire AfD en Saxe-Anhalt (Est), Ulrich Siegmund, est également présent dans la salle. Il est influent au sein de son parti, notamment parce que sa fédération régionale bénéficie d’une belle cote de popularité. Il estime qu’il faudrait transformer le paysage urbain et mettre la pression sur les restaurants étrangers. Il devrait être « le moins attrayant possible pour cette clientèle de vivre en Saxe-Anhalt ». Et cela pourrait être fait très facilement. Ses propos pourraient avoir des conséquences lors des élections à venir.

      Correctiv a envoyé aux participants des questions sur la réunion, demandant, entre autres, ce qu’ils pensaient des principales déclarations qui y avaient été faites. Au moment de la publication de l’article, Gerrit Huy, députée de l’AfD au Bundestag, n’a pas répondu à nos questions, pas plus que le cadre de l’AfD Roland Hartwig ou le comité exécutif fédéral du parti.

      Ulrich Siegmund, le parlementaire de Saxe-Anhalt, a demandé à un cabinet d’avocats d’écrire qu’il n’était pas là en tant que député de l’AfD mais à titre « privé ». Dans sa réponse, le cabinet d’avocats laisse ouverte la manière dont Siegmund perçoit le concept de « remigration ». Il déclare simplement qu’il ne veut pas « expulser illégalement » des personnes.

      Gernot Mörig, lui, prend ses distances. Il « se souvient » différemment des déclarations de Martin Sellner. S’il avait entendu de telles déclarations, écrit-il, elles « n’auraient pas été sans objection de [sa] part » – notamment en ce qui concerne le traitement inégal des citoyens allemands.

      L’AfD a récemment engrangé plusieurs succès électoraux et ne compte pas s’arrêter en si bon chemin. Selon de récents sondages, il cumulerait plus de 30 % des intentions de vote dans les Länder de Saxe et de Thuringe, devant la CDU, les sociaux-démocrates ou les Verts. Mais dans le même temps, le parti est sous pression. L’Office fédéral de protection de la Constitution, le service de renseignement intérieur allemand, qualifie les fédérations de l’AfD en Thuringe, en Saxe-Anhalt et en Saxe d’extrême droite.

      L’interdiction du parti est de plus en plus discutée ces temps-ci. Plus de 660 000 personnes ont signé une pétition en faveur de cette mesure et le député CDU Marco Wanderwitz envisage de déposer une motion d’interdiction au Bundestag.

      L’AfD se présente pourtant comme une force politique démocratique. « En tant que parti fondé sur l’État de droit, l’AfD s’engage sans réserve envers le peuple allemand en tant que somme de tous les citoyens allemands », indique-t-il sur son site internet. Les immigrés titulaires d’un passeport allemand sont « tout aussi Allemands que les descendants d’une famille qui vit en Allemagne depuis des siècles » et, « pour [le parti], il n’y a pas de citoyens de première ou de deuxième classe ».

      Les propos tenus au cours de la réunion tranchent avec ce discours de façade : les femmes et hommes politiques de l’AfD y ont professé librement leurs idéaux nationalistes, sans se distinguer des positions des idéologues d’extrême droite présents à leurs côtés.
      Acte 1, scène 4. L’utopie des nazis

      Dehors, la neige fond. L’organisateur Gernot Mörig se dit généralement pessimiste. Mais ce jour-là, il a de l’espoir. Et cela a notamment à voir avec le « plan stratégique » du militant d’extrême droite Martin Sellner.

      L’idée d’instaurer un « État modèle » en Afrique du Nord surgit. Martin Sellner explique que jusqu’à deux millions de personnes « déplacées » pourraient vivre dans une telle zone. Tous ceux qui soutiennent les réfugiés pourraient y aller aussi.

      Ce que conçoit Martin Sellner n’est pas sans rappeler le projet des nationaux-socialistes de déporter quatre millions de juifs vers l’île de Madagascar en 1940. On ne sait pas si Martin Sellner a en tête ce parallèle historique. Autre coïncidence : pour leur réunion conspiratrice, les organisateurs ont choisi un hôtel situé à huit kilomètres de la villa de la conférence de Wannsee, où les nazis ont mis au point la « solution finale de la question juive ».

      Martin Sellner évoque ensuite le « vote ethnique », un autre terme issu du vocable de l’extrême droite. « Ce n’est pas seulement que les étrangers vivent ici. Ici aussi, ils votent », explique-t-il. « Vote ethnique » signifie pour lui que les personnes issues de l’immigration voteraient principalement pour des partis « favorables aux migrants ».

      Non seulement Martin Sellner délégitime ainsi les élections en elles-mêmes, mais il transforme également les Allemands en étrangers dans leur propre pays. Selon les données de l’Office fédéral de la statistique, 20,2 millions de personnes ont en Allemagne un « passé d’immigration », c’est-à-dire qu’elles ont elles-mêmes immigré depuis 1950 ou qu’elles descendent de ces immigrant·es.

      Il apparaît clairement que les stratégies de ces différents acteurs d’extrême droite s’entrelacent : Martin Sellner fournit les idées, l’AfD les reprend et les porte dans le parti. En arrière-plan, des personnes fortunées s’occupent du réseautage. Les débats tournent toujours autour d’une seule question : comment parvenir à une communauté ethnique unifiée ?

      Acte 2, scène 1. L’influenceur au service du plan d’expulsions

      Il s’agit maintenant d’évoquer les détails pratiques, les prochaines étapes. Gernot Mörig, qui se décrit plus tard comme « l’unique organisateur » en réponse aux questions de Correctiv, parle d’un comité d’experts qui élaborera ce plan – l’expulsion des personnes d’origine immigrée, y compris de citoyens allemands – d’un « point de vue éthique, juridique et logistique ». Gernot Mörig a déjà une idée de qui pourrait prendre la tête de ce comité : Hans-Georg Maaßen, ancien chef de l’Office pour la protection de la Constitution et grand promoteur de l’union des droites.

      Le nom de Maaßen revient fréquemment ce jour-là. Selon plusieurs médias, l’ancien haut fonctionnaire et membre de la CDU envisage d’annoncer la création de son propre parti en janvier. Les gens présents dans la salle le savent déjà, ils évoquent cette future formation à plusieurs reprises lors de la conférence.

      Mais les participants ne semblent pas prendre ce nouveau parti très au sérieux. Ils sont davantage préoccupés par leurs propres projets et se donnent pour but d’être prêts lorsqu’« une force patriotique dans ce pays aura pris ses responsabilités », expose Gernot Mörig.

      La discussion porte sur la manière dont l’idée de « remigration » devrait devenir une stratégie politique. Martin Sellner indique que pour y parvenir, il faut construire un « pouvoir métapolitique et prépolitique » afin de « changer le climat de l’opinion ».

      Si l’on suit le contenu des conférences, cela signifie en pratique que l’argent doit aussi couler dans des projets d’influence, de propagande, dans des mouvements d’action et des projets universitaires. D’un côté, pour construire une opinion publique d’extrême droite ; de l’autre, pour affaiblir la démocratie, ce qui signifie mettre en doute les élections, discréditer la Cour constitutionnelle, dénigrer les opinions divergentes et combattre les médias publics.
      Acte 2, scène 2. Comme si le rapport de force avait déjà basculé

      Les intervenants se succèdent et chaque conférence dure environ une heure. Entre-temps, le déjeuner est apporté et une employée de l’hôtel semble agacée par le nombre de convives qu’elle doit servir.

      Dans l’après-midi, Ulrich Vosgerau s’avance. Il est avocat et membre du conseil d’administration de la Fondation Desiderius-Erasmus, affiliée à l’AfD, et a représenté le parti devant la Cour constitutionnelle fédérale dans le litige concernant le financement de la fondation.

      Le constitutionnaliste parle du vote par correspondance : il s’interroge sur le processus, le secret du vote, partage ses inquiétudes concernant ces jeunes électeurs d’origine turque qui seraient incapables de se forger une opinion indépendante. En réponse aux questions de Correctiv, il confirme avoir tenu ces propos mais affirme ne pas se souvenir de l’idée d’expulser des citoyens, pourtant abordée dans la conférence de Martin Sellner.

      Ulrich Vosgerau considère comme envisageable la suggestion selon laquelle un modèle de lettre-type pourrait être élaboré avant les prochaines élections afin de contester leur légalité : plus il y aurait de participants à envoyer ces lettres aux autorités, expose-t-il, plus les chances que leurs revendications soient prises en compte seraient élevées. Des applaudissements ponctuent la fin de son intervention.

      D’autres estiment que le rapport de force entre les partis traditionnels et l’extrême droite a déjà basculé. Mario Müller, identitaire condamné à plusieurs reprises pour violences, actuellement assistant du député de l’AfD au Bundestag Jan Wenzel Schmidt, s’est exprimé en ce sens lors de sa conférence.
      Acte 3, scène 1. Le clan Mörig

      À travers les fenêtres à croisillons de la maison de campagne, une vue s’ouvre sur l’assemblée présente. La salle respire la splendeur d’antan : une épinette dans le coin, une horloge ancestrale au mur ; de nombreux invités portent des chemises et des vestes.

      Les plans sont définis, du moins dans leurs grandes lignes. Mais tout dépend de l’argent. Gernot Mörig le sait bien : dans les années 1970, il était le dirigeant fédéral de la Bundes Heimattreuer Jugend (« Association des jeunes fidèles à la patrie »), un groupuscule d’extrême droite promouvant l’idéologie « Blut und Boden » (« sang et sol »). L’association qui lui a succédé, Heimattreu deutsche Jugend, a été interdite en 2009 en raison de son idéologie néonazie. Andreas Kalbitz, ancien chef de l’AfD dans le Land de Brandebourg, a été exclu du parti car il avait été invité à un camp d’été du groupe.

      C’est Gernot Mörig qui a sélectionné les invités et établi le programme. C’est lui qui a parlé du « plan stratégique » dans sa lettre et a demandé des dons aux invités. L’argent qu’il collecte sera utilisé pour soutenir des organisations comme celles de Martin Sellner, explique-t-il plus tard.

      Il montre une liste de soutiens qui ont fait des promesses de dons ou ont déjà versé de l’argent. Il cite aussi ceux qui ne sont pas présents. Comme Christian Goldschagg, fondateur de la chaîne de fitness Fit-Plus et ancien associé de l’éditeur de presse Süddeutscher Verlag. À Correctiv, celui-ci explique qu’il n’a « transféré aucune somme pour cet événement ou le projet décrit » et qu’il n’avait rien à voir avec l’AfD. Ou comme Klaus Nordmann, homme d’affaires de Rhénanie du Nord-Westphalie et grand donateur de l’AfD. En réponse aux questions de la rédaction, il assure qu’il n’a pas fait don de 5 000 euros et qu’il ne s’est pas senti obligé de le faire.

      Gernot Mörig donne d’autres noms. Alexander von Bismarck, qui a attiré l’attention par son action de soutien à l’invasion russe de l’Ukraine, est également dans la salle. Gernot Mörig se vante de cette autre personne qui a transféré une « somme élevée à quatre chiffres en guise de don » ou qui compte encore le faire.

      Jusqu’à présent, les dons ont été effectués via le compte privé de son beau-frère banquier. Gernot Mörig annonce que « la prochaine fois, ils auront probablement une association non enregistrée » à travers laquelle les versements pourront être effectués.
      Acte 3, scène 2. Un homme politique de l’AfD réclame plus d’un million d’euros

      Ulrich Siegmund, chef du groupe parlementaire de l’AfD en Saxe-Anhalt, a apparemment lui aussi besoin d’argent. Le politicien sollicite ouvertement des dons lors de la réunion : il pense déjà aux élections et à la propagande électorale qu’il aimerait envoyer, de préférence directement dans les boîtes aux lettres des électeurs et électrices.

      Ulrich Siegmund dit qu’il aimerait que tout le monde reçoive une lettre au moins une fois. Une campagne de publicité traditionnelle à la radio et à la télévision est nécessaire. Mais il veut plus : il lui faut 1,37 million d’euros, « en plus de ce qui est fourni par le parti ». Les dons aux partis sont « bien sûr, et de loin, la chose la plus propre », déclare Ulrich Siegmund. « Néanmoins », selon lui, il existe « des moyens tout à fait légaux de faire des dons directs » en contournant les caisses du parti – ce qui n’est pas nécessairement illégal.
      Acte 3, scène 3. Le bras droit d’Alice Weidel

      Le fait qu’une partie de l’AfD entretient des liens étroits avec les néonazis et la Nouvelle Droite n’a rien de nouveau. Jusqu’à présent, cependant, le parti a imputé le problème à certaines de ses fédérations locales ou à des cas individuels isolés.

      Un représentant de la direction du parti est également présent à la réunion secrète à l’hôtel : Roland Hartwig, ancien député de l’AfD, assistant personnel de la dirigeante de l’AfD Alice Weidel et, selon plusieurs sources, « secrétaire général non officiel du parti politique ». En somme, quelqu’un qui exerce une influence en coulisses sur les plus hauts niveaux décisionnels du parti.

      Devant les invités, Roland Hartwig avoue être un fan du militant Martin Sellner, dont il a lu le livre « avec grand plaisir ». Il fait également référence au « plan stratégique » discuté précédemment et évoqué par Gernot Mörig. Roland Hartwig poursuit en affirmant que l’AfD envisage actuellement un procès contre l’audiovisuel public et une campagne qui montrera à quel point ses antennes sont luxueusement équipées.

      Le projet présenté par le fils de Gernot Mörig lors de la réunion doit également être replacé dans le contexte de la conférence de Martin Sellner : Arne Friedrich Mörig souhaite créer une agence regroupant des influenceurs de droite. Roland Hartwig évoque la possibilité que l’AfD cofinance cette structure. L’objectif, selon Roland Hartwig, est d’influer sur les élections, en particulier à travers les jeunes : « La génération qui doit inverser la tendance est là. » Ce projet vise à attirer les jeunes sur des plateformes comme TikTok ou YouTube pour consulter des contenus politiques qui seraient produits par ces influenceurs.

      Selon Roland Hartwig, la prochaine étape consistera désormais à présenter le projet au conseil exécutif fédéral et à convaincre le parti qu’il en bénéficiera également.

      Roland Hartwig prononce une phrase cruciale : « Le nouveau directoire fédéral, en fonction depuis un an et demi, est ouvert à cette question. Nous sommes donc prêts à dépenser de l’argent et à nous emparer de sujets qui ne profitent pas directement au seul parti. »

      On a l’impression que Roland Hartwig, bras droit d’Alice Weidel, joue le rôle d’intermédiaire auprès du comité exécutif fédéral de l’AfD, afin de transmettre au parti les projets qui naîtraient de cette réunion. Roland Hartwig n’a pas répondu à nos questions au moment de la publication de cet article.
      Épilogue

      Le soir d’après, tout est calme. L’hôtel a l’air désert. Ce qu’il reste c’est :

      - un dentiste d’extrême droite qui a dévoilé son réseau conspirateur ;
      - une réunion d’extrémistes de droite radicaux avec des représentants fédéraux de l’AfD ;
      - un « plan stratégique » visant à expulser massivement des citoyens allemands, sapant les articles 3, 16 et 21 de la Loi fondamentale ;
      - la révélation de plusieurs donateurs potentiels d’extrême droite issus de la bourgeoise allemande ;
      – un constitutionnaliste qui décrit les méthodes juridiques pour mettre systématiquement en doute les élections démocratiques ;
      - un chef de groupe parlementaire de l’AfD qui sollicite des dons électoraux en contournant son parti ;
      - un propriétaire d’hôtel qui a pu gagner un peu d’argent pour couvrir ses frais.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/150124/en-allemagne-l-extreme-droite-planifie-secretement-la-remigration-de-milli

    • 15.01.2024
      +++ Demokratie schützen, AFD bekämpfen +++
      Aufruf zur Kundgebung auf dem Alter Markt Köln, Sonntag, 21.01.2024, 12 Uhr

      Mit großer Besorgnis haben wir die Recherchen von „Correctiv“ zum Treffen von AFD Politikern und Mitgliedern der Werteunion mit der identitären Bewegung zur Kenntnis genommen.

      Wir danken Correctiv und den Medien für die Berichterstattung zum „Geheimplan gegen Deutschland“, einem Masterplan zur „Remigration“, der die Vertreibung von Millionen von Menschen aus Deutschland beinhaltet, einem Plan, um die Artikel 3, 16 und Artikel 21 des Grundgesetzes zu unterlaufen. Asylbewerber:innen, Ausländer:innen mit Bleiberecht und „nicht assimilierte dt. Staatsbürger“ aber auch Menschen mit deutschem Pass die eine Migrationsgeschichte haben, sollen mit „maßgeschneiderten Gesetzen“ aus Deutschland ausgewiesen werden. Dazu wird ein „afrikanischer Musterstaat“ für bis zu zwei Mio. Vertriebene anvisiert. Dieser Vorschlag erinnert fatal an eine Idee der Nationalsozialisten von 1940, alle europäischen Jüdinnen und Juden auf die Insel Madagaskar umzusiedeln.

      Die Recherchen von „Correctiv“ haben einmal mehr offengelegt, wie weit wichtige Mitglieder und Funktionäre der AFD offen für rechtsextremistische, verfassungswidrige Ideen und Pläne sind.

      Sie haben offengelegt, wie systematisch Finanziers für solche verfassungswidrige Ideen angeworben werden. Und sie haben gefährliche Netzwerke gleichermaßen zu Mitgliedern und Funktionären der Werte Union offengelegt, die gleichzeitig Mitglieder der CDU sind.

      Alles das erinnert fatal an die schlimmsten rassistischen Traditionen des deutschen Faschismus von Ausgrenzung und Diskriminierung. Es ist höchste Zeit zu handeln!

      Wir warnen alle demokratischen Parteien vor einem Wettbewerb um eine möglichst repressive Flüchtlingspolitik. Dabei gewinnt nur die AFD.

      Wir fordern angesichts der bevorstehenden Europawahl und der Landtagswahlen in diesem Jahr, dass die Brandmauern der demokratischen Parteien gegen die AFD erhöht werden.

      Für die großen ökologischen, wirtschaftlichen und sozialen Herausforderungen bietet die AFD keine Lösungen. Im Gegenteil: Sie leugnet den menschengemachten Klimawandel, sie ist für Sozialabbau und gegen Mindestlöhne sowie gegen Steuererhöhungen für Wohlhabende und will die EU abschaffen.

      Es ist höchste Zeit, das Verbindende der demokratischen Kräfte in den Vordergrund zu stellen im Einsatz für ein demokratisches, soziales Europa ohne Rassismus, Antisemitismus und Nationalismus.

      Wer die AFD unterstützt und wählt, gibt Personen ein Mandat, die menschenverachtende Verfassungsfeinde sind, die die Demokratie missbrauchen, um sie abzuschaffen, und die selbst vor Deportationen nicht zurückschrecken.

      KSSQ setzt sich ein für ein breites Kölner Bündnis für den Schutz der Demokratie und zur Bekämpfung aller Rechtsextremisten und der AFD als ihrem parlamentarischen Arm.

      Wir rufen auf zur Kundgebung „Demokratie schützen, AFD bekämpfen“
      Auf dem Alter Markt , Sonntag, 21.01.2024, 12 Uhr

      https://koeln-bonn.dgb.de/++co++d40cdb26-b392-11ee-aad6-001a4a160123/scaled/size/2048

      https://koeln-bonn.dgb.de/themen/++co++eb8ca2c8-b391-11ee-8318-001a4a160123

      #ver.di #demonstration

    • En Allemagne, des responsables du parti d’extrême droite AfD envisagent l’expulsion en masse d’Allemands d’origine étrangère
      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/01/10/en-allemagne-des-responsables-du-parti-d-extreme-droite-afd-envisagent-l-exp

      Le site d’investigation « Correctiv » a révélé que des cadres d’Alternative pour l’Allemagne se sont réunis avec des représentants de la mouvance néonazie pour envisager des « lois sur mesure » poussant les « citoyens allemands non assimilés » à partir vers l’Afrique du Nord.
      Par Thomas Wieder (Berlin, correspondant), 10 janvier 2024

      Depuis sa création en 2013, le parti d’extrême droite Alternative pour l’Allemagne (AfD) n’a cessé de se radicaliser, alors qu’il n’a jamais atteint de tels niveaux dans les intentions de vote : de 21 %-23 % à l’échelle nationale, autour de 30 % dans les six Länder d’ex-Allemagne de l’Est, et même 35 % dans deux d’entre eux, la Saxe et la Thuringe, où auront lieu des élections régionales le 1er septembre.

      Mais que ferait l’AfD en cas d’arrivée au pouvoir ? Selon une enquête publiée mercredi 10 janvier par le site d’investigation Correctiv, plusieurs de ses responsables se sont retrouvés, en présence de donateurs du parti et de membres de la mouvance néonazie, dans un hôtel de Potsdam, le 25 novembre 2023, pour discuter d’un projet d’expulsion à grande échelle visant des Allemands d’origine étrangère.
      Présenté par Martin Sellner, fondateur du Mouvement des identitaires d’Autriche et figure influente des droites radicales germanophones, ce plan de « remigration » nécessiterait des « lois sur mesure » afin de « mettre sous forte pression » les « citoyens allemands non assimilés ». Pour être mis en œuvre, il aurait besoin d’un « Etat modèle » en Afrique du Nord, où seraient « déplacées » jusqu’à deux millions de personnes, parmi lesquelles « des individus qui aident les réfugiés en #Allemagne ».

      « Remigration »

      Selon Correctiv, les responsables de l’AfD qui ont assisté à cette rencontre tenue secrète et pour laquelle une contribution de 5 000 euros était exigée à chaque participant – une trentaine au total – n’ont pas exprimé la moindre réserve.
      Parmi eux figuraient Roland Hartwig, ancien député et proche conseiller d’Alice Weidel, la présidente du parti d’extrême droite ; Ulrich Siegmund, chef de file des députés AfD au Parlement de Saxe-Anhalt, un Land de l’est du pays, où les services de renseignement ont récemment publié un rapport alarmiste sur la menace que constitue le parti pour « l’ordre démocratique et constitutionnel » ; et la députée fédérale Gerrit Huy, qui s’est vantée, lors de la réunion, d’avoir déjà « mis sur la table le concept de remigration au moment de [son] entrée à l’AfD il y a sept ans ».

      Officiellement, l’AfD ne prône pas la « remigration », notion chère à la droite identitaire. Sur son site, le parti assure qu’il considère « le peuple allemand comme la somme de toutes les personnes ayant la nationalité allemande, et s’inscrit en faux contre l’idée qu’il y aurait “des citoyens de première et de deuxième classe” ».

      Il n’empêche. A son dernier congrès, qui s’est tenu à Magdebourg (Saxe-Anhalt) en juillet 2023, le mot a été prononcé à la tribune par Irmhild Bossdorf, qui figure en neuvième place sur la liste de l’AfD pour les européennes du 9 juin. Cette dernière a notamment réclamé une « #remigration se chiffrant en millions [de personnes] », estimant que les Allemands devraient se préoccuper du « changement démographique » plutôt que du « changement climatique ».

      Après le congrès, Thomas Haldenwang, président de l’Office fédéral de protection de la Constitution (BfV), le renseignement intérieur allemand, s’était inquiété des « théories conspirationnistes d’extrême droite » entendues à Magdebourg. « Il est clair que des personnes qui se sont fait remarquer dans le passé par des positions incompatibles avec notre ordre fondamental libéral et démocratique feront partie de la délégation de l’AfD au prochain Parlement européen », avait-il déclaré.

      « Interdire un parti est très compliqué »

      « Nous voyons combien il est nécessaire que le BfV observe très attentivement les contacts qui se nouent à l’#extrême_droite, comment les ennemis de la Constitution tissent des liens avec les représentants de l’AfD et quelles idéees abjectes sont propagées », a déclaré au magazine Stern la ministre fédérale de l’intérieur, Nancy Faeser, en réaction à l’article de Correctiv.
      En #Autriche, le parti d’extrême droite FPÖ, qui est en tête dans les intentions de vote (autour de 30 %) et a des liens étroits avec le mouvement identitaire de Martin Sellner, s’est étonné de l’indignation suscitée par les révélations du site d’investigation allemand. « Que des responsables politiques patriotes tentent de réparer les dégâts causés pendant des décennies par la gauche en matière migratoire n’est pas un secret mais un devoir dans l’intérêt de notre population », a réagi le secrétaire général du FPÖ, Christian Hafenecker, pour qui « la remigration est le mot d’ordre du moment ».
      Les révélations de Correctiv pourraient donner des arguments à ceux qui estiment que l’AfD devrait être interdit. C’est le cas du député chrétien-démocrate Marco Wanderwitz, élu de Saxe et ex-délégué du gouvernement fédéral pour les Länder de l’Est (2020-2021). « L’AfD devient ce qu’était le [parti néonazi] NPD. On ne peut pas faire plus radicalement d’extrême droite », a-t-il déclaré, dimanche, à la DPA.

      Si une pétition, lancée en août 2023 par des personnalités de la culture et des médias pour réclamer une interdiction, a déjà recueilli plus 400 000 signatures, l’idée – à laquelle l’hebdomadaire Der Spiegel a récemment consacré sa « une » – est loin de faire l’unanimité dans les grands partis de gouvernement.
      Membre du Parti social-démocrate du chancelier Olaf Scholz, l’actuel délégué du gouvernement fédéral pour les Länder de l’Est, Carsten Schneider, est ainsi en désaccord avec son prédécesseur, pour des raisons juridiques et politiques. « Interdire un parti est très compliqué. Sur le plan du droit, les chances sont minces, a-t-il affirmé à la Süddeutsche Zeitung, le 3 janvier. Vouloir interdire un parti qui ne nous convient pas, mais est durablement installé à un niveau élevé dans les sondages, ne peut que créer un réflexe de solidarité à son égard, et ce, même de personnes qui ne sont ni des électeurs ni des sympathisants de l’#AfD. A ce titre, les dommages collatéraux pourraient être considérables. »

      (pas pigé si ils envisageait de déchoir de leur nationalité les étrangers naturalisés ou si ils considéraient ces derniers comme suffisamment assimilés au vu des obstacles à l’acquisition de la nationalité allemande)

      #néonazis #citoyens_non_assimilés #fascisation

      @_kg_, en publiant les citations de textes en allemand
      entre

      nous pourrions utiliser la traduction automatique...

    • –> as theater play; livestream (free access) below

      Livestream: „Geheimplan gegen Deutschland“ im Berliner Ensemble

      Neue investigative Recherche zum Geheimtreffen von einflussreichen AfD-Politikern, Geldgebern und Neonazis als szenische Lesung im Berliner Ensemble.
      12. Januar 2024
      Hartwig

      Die szenische Lesung haben wir als kostenloser Stream zusammen mit dem Berliner Ensemble, dem Volkstheater Wien und nachtkritik.de auf www.berliner-ensemble.de und www.volkstheater.at bereitgestellt.

      Die investigative Redaktion von CORRECTIV veröffentlichte am 10. Januar eine Recherche rund um ein Treffen, von dem niemand erfahren sollte: AfD-Politiker, Neonazis und finanzstarke Unternehmer kamen im November 2023 in einem Hotel bei Potsdam zusammen. Sie planten nichts Geringeres als die Vertreibung von Millionen von Menschen aus Deutschland. CORRECTIV war auch im Hotel – und hat das Treffen dokumentiert.

      Regisseur und Intendant des Volkstheaters Wien Kay Voges bringt die Recherche als Koproduktion des Berliner Ensembles und des Volkstheaters Wien in Form einer szenischen Lesung auf die Bühne des Berliner Ensembles. Während der szenischen Lesung enthüllen wir gemeinsam weitere Details, die parallel auf unserer Webseite veröffentlicht werden.

      Das Stück kann hier frei herunter geladen werden. Jeder der will, kann es tantiemenfrei aufführen. So wollen wir ermöglichen, dass mehr Theater die Debatte weitertragen können. Es wäre toll, wenn die Vorstellungen genutzt werden, um die politische Auseinandersetzung mit den menschenfeindlichen Gedankengut der AfD zu ermöglichen. Wir sehen in Theatern einen zentralen Ort der Kommunikation in unserer Gesellschaft.

      Besetzung:

      Andreas Beck
      Constanze Becker
      Max Gindorff
      Oliver Kraushaar
      Veit Schubert
      Laura Talenti

      Regieteam:

      Lolita Lax (Text)
      Jean Peters (Co-Autor)
      Kay Voges (Szenische Einrichtung)
      Max Hammel (Video)
      Mona Ulrich (Kostüme)

      Link (starts min 19):
      https://youtu.be/kJMQODymCsQ

      https://correctiv.org/events/2024/01/12/correctiv-recherche-geheimplan-gegen-deutschland-im-berliner-ensemble

      #theater_play #Berliner_Ensemble

    • En Autriche, l’extrême droite (en tête des sondages...) envisage bien des déchéance de nationalité

      Qui est vraiment… Martin Sellner, l’identitaire qui inspire les extrêmes droites européennes
      https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2024/01/18/qui-est-vraiment-martin-sellner-l-identitaire-qui-inspire-les-extremes-droit
      L’Autrichien a suscité une vive polémique outre-Rhin avec son projet de « remigration » d’Allemands d’origine étrangère, présenté aux cadres du parti Alternative pour l’Allemagne (AfD). Une radicalité dont se nourrissent plusieurs mouvements d’extrême droite européens.
      Par Jean-Baptiste Chastand


      Martin Sellner, à Vienne, le 13 avril 2019. MICHAEL GRUBER/GETTY IMAGES VIA AFP

      Martin Sellner a suscité la polémique en Allemagne avec un projet, présenté aux cadres du parti d’extrême droite Alternative pour l’Allemagne (AfD), de « remigration » d’étrangers et d’Allemands d’origine étrangère vers un « Etat modèle » en Afrique du Nord.

      Un idéologue qui scandalise l’Allemagne
      Grandes lunettes et look sportif, Martin Sellner était au cœur du rendez-vous d’extrême droite organisé à Potsdam en novembre 2023 qui fait scandale dans toute l’Allemagne.
      Mercredi 10 janvier, le site d’investigation Correctiv a révélé que des cadres du parti Alternative pour l’Allemagne (AfD) s’étaient discrètement réunis dans un hôtel de cette ville proche de Berlin pour écouter l’idéologue d’ultradroite autrichien prôner « la remigration » vers un « Etat modèle » en Afrique du Nord de « millions » d’étrangers et d’Allemands d’origine étrangère jugés indésirables.
      Martin Sellner a pu leur expliquer en détail le « système d’#incitation_au_départ_volontaire » qu’il rêve d’établir pour débarrasser l’Allemagne et l’Autriche de « ceux qui sont un fardeau ­économique, criminel et culturel ».

      Un des inspirateurs du tueur de Christchurch
      A 35 ans, la renommée de Martin Sellner n’est plus à faire. Après avoir participé à la fondation de la branche autrichienne du Mouvement identitaire en 2012, sur le modèle du groupe Génération identitaire français (dissous en 2021), son nom est apparu dans les médias du monde entier après la tuerie islamophobe de Christchurch, en Nouvelle-Zélande, en 2019. Avant d’assassiner cinquante et une personnes dans deux mosquées différentes, le tueur, Brenton Tarrant, avait entretenu une correspondance avec Martin Sellner et fait un don de 1 500 euros à son mouvement.
      Ces liens avaient valu à l’Autrichien de faire l’objet d’une enquête pour « participation à une organisation terroriste » finalement ­classée sans suite par la justice autrichienne en 2021. En 2018, Martin Sellner avait déjà échappé à une condamnation pour ­appartenance à une « organisation criminelle ».

      Un nostalgique du régime nazi
      Martin Sellner s’est fait remarquer par les forces de l’ordre dès 2006, lorsque, à 17 ans, il collait des autocollants avec des croix gammées sur le mur de la synagogue de sa ville d’origine, Baden, dans les environs de Vienne. S’il assure depuis qu’il s’agissait d’« une provocation » de jeunesse « effectivement raciste, xénophobe et antisémite », il joue ­toujours avec les symboles ambigus. L’homme apprécie, par exemple, organiser des retraites aux flambeaux à l’occasion des célébrations du 8 mai 1945.
      L’hôtel où s’est tenue la ­rencontre en novembre 2023 se situe par ailleurs à une dizaine de kilomètres seulement de la tristement célèbre villa des bords du lac de Wannsee où les nazis prirent, en 1942, la décision d’exterminer les juifs. « Un rapprochement qui défie l’entendement », s’est défendu Martin Sellner, qui affirme avoir quitté le mouvement identitaire en 2023.

      Un modèle pour les extrêmes droites germaniques
      Bien loin d’une Marine Le Pen qui fait tout pour policer son image, l’AfD allemande et le Parti pour la liberté d’Autriche (FPÖ) – deux formations avec qui le Rassemblemant national siège au Parlement européen – basculent sur une ligne toujours plus radicale en multipliant les contacts avec les identitaires.
      Après les révélations de Correctiv, les deux partis ont repris à leur compte le concept de « remigration » défendu par Martin Sellner. En débattant de ses modalités, Herbert Kickl, le chef du FPÖ, a confirmé qu’il envisageait jusqu’à la #déchéance_de_nationalité et à l’expulsion de citoyens ­autrichiens d’origine étrangère qui « méprisent notre société ».
      A la faveur des sondages historiquement élevés pour l’AfD et le FPÖ, Martin Sellner espère bien que l’heure de la concrétisation de son grand plan approche.

      #expulsion_de_citoyens

    • Geheimtreffen in Potsdam: AfD-Mitarbeiter brüstet sich mit Gewalt

      Gewalt und Medienarbeit – Mario Müller, langjähriger führender Kopf der Identitären, vorbestraft wegen Körperverletzung, gab in einem Vortrag in Potsdam verstörende Einblicke in seine Strategie im Kampf gegen Linke. Für die AfD könnte sich dies in Bezug auf ein Verbotsverfahren als brisant erweisen. Denn Müller ist Mitarbeiter im Büro eines AfD-Abgeordneten. Auf Anfrage bestreitet er, die Aussagen getroffen zu haben.

      von Jean Peters , Gabriela Keller , Till Eckert , Anette Dowideit , Marcus Bensmann
      17. Januar 2024

      Mario Müller, ein mehrfach wegen Körperverletzung verurteilter Rechtsextremer und Mitarbeiter eines AfD-Bundestagsabgeordneten, am 25. November 2023 im Landhaus Adlon in Potsdam. (Fotos und Collage: CORRECTIV)

      Mario Müller schämt sich nicht für seine Vorstrafen, im Gegenteil: Er gibt damit an.

      „Mein Name ist Mario Müller“, so stellt er sich bei dem Geheimtreffen vor, „ich bin gewaltbereiter Neonazi.“ Im ironischen Ton sagt er das laut Quellen, zieht es gleich ins Lächerliche: Das gelte nur, wenn man linken „Denunziationsportalen“ glaube. Und das tut natürlich niemand hier, bei dieser Zusammenkunft nahe Potsdam, die CORRECTIV in der vergangenen Woche aufgedeckt hat.

      Knapp 30 Leute, Rechtsextreme, AfD-Funktionäre, private Unterstützer kamen am 25. November 2023 in dem Hotel „Landhaus Adlon“ zusammen. Sie berieten über Vertreibungen von Menschen mit Migrationshintergrund, und er, Mario Müller, war mittendrin.

      Sein Fokus: Der Kampf gegen die Linke. Dafür setzt er auf zwei Waffen: Gewalt und Medienarbeit. Beides greift bei ihm offenbar ineinander. In seinem Vortrag macht er dies mit einem Beispiel anschaulich: Er habe 2021 den Aufenthaltsort eines deutschen Antifa-Aktivisten in Polen verbreitet und einen Schlägertrupp auf ihn angesetzt.
      Der AfD-Mitarbeiter und die Gewalt: Erst Bekenntnis, dann Dementi

      Als CORRECTIV Müller mit seinen Aussagen konfrontiert, streitet er dies kategorisch ab: „Ich habe niemals einen „Schlägertrupp“ auf irgendjemanden angesetzt“, teilt er mit. Er habe sich nur „mit polnischen Journalisten“ über den Aufenthaltsort des Mannes „ausgetauscht“ und später „aus dem Internet“ von dem Angriff erfahren.

      Dagegen steht Müllers Vortrag. Im Landhaus Adlon brüstete er sich nicht nur mit der Attacke, sondern auch damit, den reichweitenstarken Kanal „Dokumentation Linksextremismus“ auf der Plattform X zu betreiben, der geleakte Details über linke Akteure verbreitet und sie dort wie auf dem Präsentierteller preisgibt – mit Foto, Klarnamen und anderen Angaben. Wer hinter dem Kanal steht, war bisher nicht bekannt. Einige Medien scheinen ihn als Informationsquelle zu nutzen. Auf Anfrage von CORRECTIV leugnet Müller seine Rolle als Betreiber des Kanals pauschal, ohne dazu Details zu nennen.

      Sollte es zu einem Verbotsverfahren gegen die AfD kommen, könnte sich die Personalie Müller als relevant erweisen: Denn bei Verbotsverfahren kommt es nicht nur darauf an, ob eine Partei eine verfassungsfeindliche Haltung vertritt. Sondern auch darauf, ob sie versucht, diese Haltung in aggressiver, kämpferischer Weise umzusetzen.

      Müller steht beispielhaft für die enge Verstrickung der AfD mit gewaltbereiten Rechtsextremen: Der Aktivist, mehrfach vorbestraft, unter anderem wegen gefährlicher Körperverletzung, ist Mitarbeiter des Bundestagsabgeordneten Jan Wenzel Schmidt, wie seit Ende 2022 bekannt ist.

      Allein die Anwesenheit Müllers auf dem Treffen bei Potsdam wirft Fragen auf. Gegenüber CORRECTIV teilt er mit, er sei dazu eingeladen worden. Die AfD-Fraktion habe von seiner Teilnahme dort keine Kenntnis gehabt. Wie sein Arbeitgeber dies bewertet? Der AfD-Politiker Schmidt schreibt dazu auf CORRECTIV-Anfrage: „Die Freizeitaktivitäten von Mitarbeitern überwache ich nicht.“

      Beobachter und Rechtsextremismus-Expertinnen sehen die Tätigkeit Müllers im Büro des Bundestagsabgeordneten kritisch: „Mario Müller ist ein gefährlicher Neonazi, mit Verbindungen, die das ganze extrem rechte Spektrum abdecken“, sagt die Thüringer Landtagsabgeordnete Katharina König-Preuss (Linke).

      Das sei nicht das einzige Problem: „Zudem hat er Zugriff auf Informationen, an die nicht jeder kommt“, sagt sie. Er könne über parlamentarische Informationssysteme verfügen, Flurgespräche oder Inhalte aus Ausschüssen mitbekommen, Kontakte aufbauen: „Ein extrem rechter Gewalttäter bekommt darüber die Zeit, die Infrastruktur und Möglichkeiten, um seine politische Agenda zu betreiben.“

      Mit anderen Worten: Es sei gut möglich, dass er an sensible Informationen komme – und diese nutzen könne, um politische Widersacher einzuschüchtern oder anzugreifen. Dazu teilt Müller auf Nachfrage von CORRECTIV mit: Bei seiner Tätigkeit als wissenschaftlicher Mitarbeiter für Schmidt beschäftige er sich ausschließlich mit mandatsbezogener Sach- und Öffentlichkeitsarbeit.
      Ein Foto zeigt Müller mit geballter Faust auf Lesbos

      Rechtsextremismus-Fachleuten war Müller bereits lange vor dem Treffen nahe Potsdam ein Begriff: Er spielte laut Verfassungsschutz, Fachleuten und Beobachtern innerhalb der sogenannten Identitären Bewegung lange eine zentrale Rolle und schrieb als Reporter des stramm rechten Magazins Compact. Als im März 2020 mehrere Dutzend Neonazis nach Lesbos reisten, war auch Müller mit vor Ort, angeblich als Reporter. Laut Berichten sollen einige versucht haben, Boote von Geflüchteten zu behindern. Offenbar wurde die Gruppe von Antifaschisten angegriffen: Ein Foto zeigt Müller mit geballter Faust, neben einem Mann mit blutverschmierter Glatze.

      Er schätze die Identitäre Bewegung zwar nach wie vor, antwortet er auf die Frage von CORRECTIV nach seiner heutigen Funktion. An deren Aktionen beteilige er sich seit Jahren nicht mehr.

      Das Treffen im Landhaus Adlon eröffnet seltene Einblicke in das Selbstbild der Rechtsextremen. In Müllers Vortrag dreht sich den Quellen zufolge alles um den Kampf gegen den politischen Gegner: Die Antifa sei das größte Hindernis für die Rechten. Sie stehe „der patriotischen Wende“ und damit auch „dem Aufstieg der AfD“ im Weg, sagte Müller, wie es die Quellen bestätigen. Und nur deswegen könnten sich die Rechten nicht offen zum Rechtssein bekennen.

      Müller spricht von der Antifa. Aber in seinem Vortrag wird deutlich: Er hat offenbar ein sehr weit gefasstes Verständnis davon, wer seine Gegner sind. Er nennt auch Politiker, Journalisten, linke Zivilgesellschaft, Gerhard Schröders „Aufstand der Anständigen“. Antifa, so versteigt er sich Quellen zufolge, sei sogar die „Staatsdoktrin“ in Deutschland, und zudem „Handlanger der Ampelregierung”.

      Auf CORRECTIV-Anfrage schreibt er, diese Bewertung sei „substanzlos und falsch“. Er engagiere sich gegen die „linksextreme, gewalttätige Antifa.”

      In seinem Vortrag bezeichnete er die linke Szene als das „Grundproblem“ und erklärte auch, was man dagegen tun kann. Er erwähnt zum Beispiel den Angriff auf den Autonomen in Warschau namens Johannes D. im November 2021. Die Geschichte dahinter ist verworren: Gut einen Monat zuvor verbreiteten linke Websites Vergewaltigungsvorwürfe gegen D.; er wurde deswegen von mehreren deutschen Antifa-Gruppen geoutet und ausgeschlossen. Der Aktivist wollte offenbar neu anfangen und arbeitete zu der Zeit als Erzieher in einer Kita in Polen.

      „Wir haben das rausgefunden“, sagt Müller und diese Informationen „polnischen erlebnisorientierten Fußballkreisen“ übergeben. Also Hooligans. Wie Quellen bestätigen, sagte er, D. sei daraufhin auf der Straße „sehr handfest und sportlich” konfrontiert worden und habe in der Folge einen Nervenzusammenbruch erlitten.

      Mehrere AfD-Politiker sind bei dem Treffen in der Nähe von Potsdam dabei, darunter die Bundestagsabgeordnete Gerrit Huy und Roland Hartwig, der inzwischen entlassene Referent von Parteichefin Alice Weidel. Aber niemand äußert Kritik oder Unwohlsein. Im Gegenteil: Laut Quellen wird während des Vortrags gelacht – gerade während der Schilderung von Gewalt.

      Auf Anfrage will Müller davon jetzt nichts wissen. Er wirft CORRECTIV vor, „falsch informiert“ zu sein oder bewusst zu verzerren: In seinem Vortrag habe er ausgeführt, dass D. nach eigener Aussage vor Gericht zum Kronzeugen wurde, „nachdem seine Anwesenheit in Polen bekannt geworden war.“ Dazu habe die Berichterstattung polnischer Journalisten beigetragen, mit denen er in Verbindung stand. Dass er den Angriff auf D. organisiert oder herbeigeführt habe, weist er vehement zurück.
      Der Kronzeuge wurde nach eigener Aussage in Polen von Neonazis drangsaliert

      Es steht dieser Tage vieles auf dem Spiel für die AfD. Was Müller laut Quellen in dem Vortrag sagte, war brisant, und zwar nicht nur wegen des Bekenntnisses zur Gewalt, das er nun bestreitet. Denn Johannes D. ist nicht irgendwer: Als Kronzeuge sollte er einige Monate nach dem Angriff auf ihn im Verfahren gegen die linksextreme Gruppe um Lina E. eine Schlüsselrolle spielen – den Angeklagten werden die Bildung einer kriminellen Vereinigung und Angriffe auf Rechtsextreme vorgeworfen.

      Auf dem Treffen nahe Potsdam stellte Müller es so dar, als hätten er und seine Mitstreiter dafür gesorgt, dass D. aussagt. Ohne seine „Outing-Aktivitäten“ wäre der Kronzeuge „natürlich immer noch Kindergärtner in Warschau”, behauptete er laut Quellen vor den Zuhörern. Allerdings wirkt es so, als habe er dabei seine Rolle übertrieben: Nach Johannes D.s eigenen Aussagen im Thüringer Untersuchungsausschuss gaben eher persönliche Gründe und seine Ächtung in der linken Szene den Ausschlag.

      Prüfen lassen sich die Vorfälle nur teilweise: Auf einem rechten Profil auf der Plattform X gibt es ein Video, datiert auf den 13. November 2021. Angeblich dokumentiert es den Angriff auf Johannes D. Zu sehen ist, wie eine Person wegrennt, gejagt von mehreren Männern. Das Material lässt nach Videoanalyse von CORRECTIV keine eindeutigen Rückschlüsse zu: Die Bildqualität ist zu schlecht, um D. eindeutig identifizieren zu können.

      Nur der Aufnahmeort lässt sich ermitteln: Das Video entstand vor einem Supermarkt in Warschau, an der Straßenecke Jerozolimskie und Krucza. Ringsum sind mehrere Menschen zu sehen, offenbar bei einer Demonstration. Nach Recherchen von CORRECTIV handelt es sich um den Nationalfeiertag in Polen. Das passt zur Berichterstattung über einen Protest von Rechtsextremen am 11.November 2021 in Warschau, also zwei Tage, bevor das Video hochgeladen wurde. Johannes D. soll an dem Tag an einer Gegendemonstration teilgenommen haben. Er selbst hat selbst mehrfach ausgesagt, dass er in Warschau von Neonazis drangsaliert wurde, vor Gericht und im Untersuchungsausschuss im Thüringer Landtag. Nachfragen kann man bei D. nicht; er ist in einem Zeugenschutzprogramm. Belege für seine Aussagen liegen CORRECTIV aber vor.

      Ob Müller den Angriff herbeigeführt hat, ist damit aber nicht gesagt: Er selbst behauptete das in seinem Vortrag und dementiert später per Mail auf CORRECTIV-Anfrage. Fest steht nur: Der Rechtsextreme hatte Informationen über den Linksautonomen. Und er ist international vernetzt.
      Vom niedersächsischen Neonazi-Milieu in die Identitäre Bewegung

      Müller ist 35 Jahre alt, stammt aus dem niedersächsischen Neonazi-Milieu und war unter anderem bei den „Jungen Nationaldemokraten“ aktiv, der damaligen NPD- Jugendorganisation. 2013 wurde er in Delmenhorst wegen gefährlicher Körperverletzung verurteilt. Laut Lokalpresse soll er einen Jugendlichen mit einem Totschläger angegriffen und schwer verletzt haben – einem 200 Gramm schweren Stück Metall in einer Socke.

      Aus Behörden in Niedersachsen heißt es, damals seien in der Gegend häufiger rechte und linke Aktivisten aneinandergeraten, es gab Schlägereien und Sachbeschädigungen. Müller sei mehrfach auffällig geworden, dann aber weggezogen; die Scharmützel in den Straßen seien in derselben Zeit abgeklungen.

      Einige Jahre später tauchte Müller in Halle wieder auf, studierte Politik und Geschichte – und galt als führender Kopf der identitären Gruppe „Kontrakultur“ und Mitorganisator eines Hausprojekt der Identitären, das zwischen 2017 und 2019 als örtlicher Dreh- und Angelpunkt der rechtsextremen Bewegung diente.

      Müller sei damals in der Stadt sehr präsent gewesen, sagt Torsten Hahnel, Mitarbeiter der Arbeitsstelle Rechtsextremismus beim Verein „Miteinander.“ in Halle: „Es war klar, dass er einer der Hauptakteure war und in der Strukturentwicklung der Neuen Rechten eine wichtige Rolle spielte.“

      Seit Jahren agiert Müller auch international, kreuzte bei einer Kampagne der Identitären gegen Seenotretter auf einem Schiff im Mittelmeer, reiste nach Syrien und posierte mit dem rechtsextremen ukrainische Asow-Bataillon, all das ist mit Fotos dokumentiert. „Müller ist wie ein Handlungsreisender für die extreme Rechte“, so Hahnels Einschätzung, „er scheint sich als wichtigen Akteur der internationalen Vernetzung zu sehen.“
      Müller hält beim Geheimtreffen einen Vortrag über den Kampf gegen die linke Szene

      Bei seinem Vortrag Ende November, zwischen AfD-Politikern, Mitgliedern der Werteunion und privaten Unterstützern, spricht Müller offen von seiner Strategie; er glaubt sich unter Gleichgesinnten: Die linke Szene soll ausgeschaltet werden – vor allem mit Recherchen und gezielt verbreiteten Informationen.

      Es ist unklar, ob Müller tatsächlich den X-Kanal „Dokumentation Linksextremismus“ verantwortet, wie er in dem Vortrag behauptete. Der Account kommt dem, was er in seinem Vortrag beschreibt, jedenfalls recht nahe: Dort tauchen nicht nur mutmaßliche Gewalttäter aus dem Antifa-Milieu auf, sondern auch Journalisten, ein Mitarbeiter der Amadeu-Antonio-Stiftung oder Politiker der SPD oder Grünen.

      Die Thüringer Linken-Abgeordnete König-Preuss kennt den Kanal; sie war dort schon Thema. In Bezug auf Müllers angebliche Rolle als Betreiber sagt sie: „Damit ließe sich erklären, wofür er seine Arbeitszeit nutzt.“ Auf dem Account werde Stimmung gemacht, um Personen in den Fokus der rechten Szene zu rücken, so ihr Eindruck. Das Profil diene als „eine Kampagnenplattform um Leute zu diffamieren, die sich gegen Rechtsextremismus stark machen.“

      Müller gibt bei diesem Treffen preis, er betreibe den Kanal gemeinsam mit dem IT-Marketing-Fachmann Dorian Schubert – der ist ebenfalls langjähriger Neonazi, war mit Müller beteiligt an Hausprojekt in Halle und stand auch mit ihm gemeinsam vor Gericht: Nach dem Angriffs auf einen Zivilpolizisten im November 2017 waren beiden wegen gefährlicher Körperverletzung angeklagt.: Müller hatte sich offenbar mit Schutzhelm, Stock und Pfefferspray gewappnet, Schubert soll Sturmmaske und Baseballschläger getragen haben. Schubert wurde freigesprochen, Müller zu sechs Monaten auf Bewährung verurteilt; das Urteil liegt CORRECTIV vor.

      CORRECTIV hat eine Bitte um Stellungnahme an Schuberts Anwalt geschickt. Die Anfrage blieb bis Redaktionsschluss unbeantwortet.

      Müller teilt dazu auf Anfrage mit, er empfinde die Verurteilungen „als Unrecht.“ Er habe „in Notwehr“ gegen „Angriffe von Linksextremisten“ gehandelt, die ihn und sein Wohnhaus zuvor attackiert hätten. Tatsächlich seien er und sein Mitbewohner dann mit Zivilpolizisten zusammengestoßen, die sich nicht zu erkennen gegeben hätten.

      Die Identitäre Bewegung steht auf der Unvereinbarkeitsliste der AfD. Das wäre bei Müller eigentlich ein Ausschlusskriterium für Tätigkeiten innerhalb der Partei. Der Abgeordnete Jan Wenzel Schmidt stört sich daran offenbar nicht. Wie er CORRECTIV mitteilt, sei er sehr zufrieden mit seinem Mitarbeiters: „Herr Müller hat ein abgeschlossenes Studium und wäre somit vermutlich bei den Grünen überqualifiziert“, schreibt er: „Deshalb habe ich ihm eine Chance gegeben.“

      Für Schmidt dürfte die Personalie durchaus politische Vorteile bringen, meint ein Insider aus der AfD-Fraktion: „Ein Großteil der Gelder, die Abgeordnete für Mitarbeiter haben, werden nicht ausschließlich dafür ausgegeben, damit die Leute Bundestagsarbeit machen.“

      Vielmehr kauften sich manche Parlamentarier über ihre Mitarbeiter quasi Rückhalt in bestimmten für ihre Partei relevanten Kreisen oder Organisationen. „Dann beschäftigen Sie Leute, die Ihnen Stimmen organisieren oder medial oder im Vorfeld Unterstützung sichern.“ Er vermutet, dass Müller in diese Kategorie falle.

      Müller weist diesen Eindruck auf Anfrage zurück.
      Sorgen im Bundestag: „Man guckt schon, mit wem man im Aufzug steht“

      Als Rechtsextremer im Dienst für einen AfD-Politiker stellt Müller keine Ausnahme dar: Im Juli 2023 wurde bekannt, dass der ehemalige Neonazi Benedikt Kaiser beim AfD-Abgeordneten Jürgen Pohl als wissenschaftlicher Mitarbeiter beschäftigt ist.

      Aus Sicht von Politikern und Politikerinnen anderer Parteien ist das ein Sicherheitsproblem: „Wir finden das schwierig, weil die Mitarbeiter hier bis vor Kurzem ohne Sicherheitscheck rein und raus konnten und jetzt nur sporadisch kontrolliert werden“, sagt die Linke Bundestagsabgeordnete Martina Renner. Bei 7.000 Mitarbeitern der Abgeordneten und Fraktionen könne sie bei Weitem nicht jeden auf Anhieb zuordnen. Aber generell empfinde sie die Situation als unangenehm, sagt sie: „Man guckt schon, mit wem man im Fahrstuhl steht.“

      Aus Sicht Renners teilten sich die Teilnehmenden bei dem Geheimtreffen in Potsdam in drei Gruppen: „Strategen, Finanziers, Vollstrecker.“ Müller, sagt sie, würde sie zu den Vollstreckern zählen.

      Müller teilt dazu mit, von ihm gehe für niemanden im Bundestag oder anderswo ein Risiko aus: „Die Gewalt lehne ich aus Überzeugung ab.“

      Zurück ins „Landhaus Adlon“. Die Gespräche kreisten auf der Tagung um einen zentralen Punkt: Die Vertreibung von Menschen mit aus völkischer Sicht falscher Hautfarbe, falscher Herkunft, falscher politischer Einstellung. Das ist es, was Rechtsradikale mit dem Begriff „Remigration“ meinen – sie wollen entscheiden, wer sich in Deutschland wohl und sicher fühlen darf.

      Müller spricht nicht direkt über dieses Thema. Bei ihm geht es um die Frage, wie die extreme Rechte zur tonangebenden Macht in Deutschland werden kann. Er behauptete, mit dem X-Kanal „Dokumentation Linksextremismus“ füttere er Medien mit Informationen, setze „Narrative“ und arbeite zum Teil eng mit Journalisten, wie er sagt: „Die Antifa muss mit „Gewalt und Terror in Verbindung gebracht werden.“

      An diesem Ziel arbeite er – und dafür möchte er Geld, zunächst gleich, als Spende von den Teilnehmern. Und künftig auch offiziell: Er sehe vor allem „die Politik“ in der Pflicht, in den Parlamenten auf Landes- und Bundesebene „Recherchestellen“ zu schaffen. Mit „finanzieller Unterstützung könne er noch mehr Kraft in seine „wichtige Arbeit“ stecken, sagte er laut Quellen, und „das Projekt weiter professionalisieren.“

      Bei dem Treffen inszeniert er sich als umtriebiger Antifa-Jäger. Im Nachgang, auf Anfrage von CORRECTIV, weist er all das schriftlich zurück. Nach Angaben von Quellen sprach er dagegen in seinem Vortrag lange und stolz über seine Recherchen, die er und sein Mitstreiter auf dem Kanal präsentierten.

      Knapp 14.000 Nutzer folgen dem X-Account. Nach Einschätzung von Fachleuten sticht der Kanal durchaus hervor: „Immer wieder scheint der Account exklusive Informationen zu haben, beispielsweise Namen, Fotos, Tatvorwürfe“, sagt der Rechtsextremismus-Experte Sebastian Wehrhahn. Ob diese von der Polizei, der Staatsanwaltschaft oder Verfahrensbeteiligten stammen, lasse sich nicht sagen. „Mein Eindruck ist, dass die Betreiber einigermaßen gut vernetzt sind und in der Lage, Informationen zu verknüpfen und zuzuspitzen.“ Für solche Recherchen brauche es Kontakte und vor allem viel Zeit. Er fragt sich: „Wenn Müller dahinter steckt, wurde er als Mitarbeiter von Schmidt vielleicht genau dafür angestellt?“

      Müller behauptete, Behörden zählten zu seinen Informationsquellen. Auch pflege er enge Beziehungen zu einigen Journalisten; mehrere Medien „schrieben“ bei ihm „ab“.

      In einem Fall scheint es, als ließe sich ein Informationsfluss nachzeichnen: Am 18. Oktober 2023 verbreitete der Account ein Dokument der Staatsanwaltschaft Dessau. Daraus geht hervor, dass gegen die Linksextremistin Lina E. auch wegen versuchten Mordes ermittelt wird. Zwei Tage später berichteten Bild, Leipziger Volkszeitung und MDR über die Vorwürfe – unter Berufung auf dieses Dokument. Die Leipziger Volkszeitung nennt den Account „Dokumentation Linksextremismus“ ausdrücklich als Quelle. Im Bericht des MDR ist die Rede von einem Brief, der „im sozialen Netzwerk X, vormals Twitter“ kursiere. Ein Scoop für Müller, mit dem er sich auch auf dem Treffen der Rechtsextremen Ende November brüstete – für ihn zeigt der Fall, dass seine Strategie aufgeht.

      https://correctiv.org/aktuelles/neue-rechte/2024/01/17/geheimtreffen-in-potsdam-afd-mitarbeiter-bruestet-sich-mit-gewalt

      #Mario_Müller

    • Einblick hinter die Recherche | CORRECTIV

      Von diesem Treffen sollte niemand erfahren: Hochrangige AfD-Politiker, Neonazis und finanzstarke Unternehmer kamen im November in einem Hotel bei Potsdam zusammen. Sie planten nichts Geringeres als die Vertreibung von Millionen von Menschen aus Deutschland.

      Seit der Veröffentlichung der Geheimplan-Recherche ist vieles in Bewegung gekommen. Dieser Film erzählt, wie es überhaupt zur Recherche kam und wie die Reporter vorgegangen sind.

      https://www.youtube.com/watch?v=c9gNQOFZHSI

  • La mer Rouge sous la pression des houthistes yéménites
    https://archive.ph/2023.12.15-115002/https://www.lemonde.fr/international/article/2023/12/15/la-mer-rouge-sous-la-pression-des-houthistes-yemenites_6205987_3210.html

    La multiplication des assauts houthistes en mer Rouge affecte d’ores et déjà fortement le commerce maritime d’Israël, dont les bâtiments sont les premières cibles revendiquées des rebelles. Le 9 décembre, le groupe avait déclaré dans un communiqué qu’il « empêcherait le passage des navires à destination de l’entité sioniste » si la nourriture et les médicaments ne pouvaient pas entrer dans la bande de Gaza.

    Quels que soient le pavillon des navires ou la nationalité de leurs propriétaires, les bâtiments à destination d’Israël « deviendront une cible légitime pour nos forces armées », précisait la milice yéménite.

    Certaines compagnies maritimes ont donc décidé de détourner leurs navires et préfèrent désormais contourner l’Afrique pour rallier la Méditerranée, ajoutant quelque 13 000 kilomètres à leur itinéraire et de dix à quatorze jours de navigation. Près d’une vingtaine de navires israéliens empruntent ainsi actuellement cette longue route, dont des bâtiments de ZIM, le plus gros armateur israélien. L’allemand Hapag-Lloyd et le chinois Cosco ont aussi dérouté des navires. Mais pas le français CMA CGM, numéro trois mondial des porte-conteneurs, qui n’a pas renoncé au passage par la mer Rouge et le canal de Suez, même sans soutien de navires militaires.

    […]

    Les attaques des houthistes, principalement au moyen de drones bon marché (entre 10 000 et 50 000 euros pièce) mettent aussi au défi la soutenabilité des moyens engagés par les marines militaires pour les contrer. Ces dernières semaines, l’US Navy et la marine française ont dû tirer des missiles d’une valeur de plusieurs millions d’euros pour protéger leurs bâtiments ou des navires commerciaux. « Quand on “tue” un Shahed [un drone iranien low cost] avec un Aster [le missile français notamment utilisé en mer Rouge], en réalité c’est le Shahed qui a tué l’Aster », a ainsi estimé le chef d’état-major des armées françaises, le général Thierry Burkhard, lors d’un colloque le 7 décembre, à l’Institut Montaigne, à Paris.

  • La Corte europea condanna l’Italia a pagare per i maltrattamenti ai migranti : costretti a denudarsi, privati della libertà e malnutriti

    La causa avviata da quattro esuli sudanesi: dovranno ricevere in tutto 36 mila euro dallo Stato

    VENTIMIGLIA. Spogliati «senza alcuna ragione convincente». Maltrattati e «arbitrariamente privati della libertà». Ecco perché, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire quattro migranti sudanesi con cifre che vanno dagli 8 ai diecimila euro ciascuno. La sentenza della prima sezione della Corte (presieduta da Marko Bošnjak) è datata 16 novembre, ma riguarda episodi accaduti nell’estate del 2016. Dopo aver avviato le pratiche per far attribuire ai loro clienti lo status di rifugiato, nel febbraio 2017 gli avvocati (Nicoletta Masuelli, Gianluca Vitale e Donatella Bava, tutti di Torino) avevano deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo.
    I quattro erano arrivati in Italia in momenti diversi: due «in un giorno imprecisato di luglio» del 2016 a Cagliari, un altro il 14 luglio a Reggio Calabria, uno il 6 agosto sempre a Reggio Calabria e l’ultimo l’8 agosto «in un luogo imprecisato della costa siciliana». Il più giovane ha 30 anni, il più vecchio 43.

    In comune, i quattro hanno che sono stati tutti trasferiti nello stesso centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa a Ventimiglia. Sono stati «costretti a salire su un furgone della polizia», trasportati in una caserma dove sono stati «perquisiti», obbligati a consegnare «i telefoni, i lacci delle scarpe e le cinture» e poi «è stato chiesto loro di spogliarsi». Sono rimasti nudi dieci minuti, in attesa che gli agenti rilevassero le loro impronte digitali.
    Concluse le procedure, la polizia ha fatto salire i quattro (assieme a una ventina di connazionali) su un pullman. Destinazione: l’hotspot di Taranto. Secondo quanto ricostruito nella sentenza, i migranti sono stati «costretti a rimanere seduti per l’intero viaggio» e potevano andare in bagno soltanto scortati e lasciando la porta spalancata, rimanendo «esposti alla vista degli agenti e degli altri migranti».
    Il 23 agosto, i quattro (con un gruppo di compatrioti) sono risaliti su un pullman diretti a Ventimiglia, dove hanno incontrato un rappresentante del governo sudanese che li ha riconosciuti come cittadini del suo Paese. A quel punto, è stata avviata la procedura per il rimpatrio. In aereo, dall’aeroporto di Torino Caselle. Ma sul velivolo c’era posto soltanto per sette migranti, così il questore aveva firmato un provvedimento di trattenimento e i quattro sono stati accompagnati al Centro di identificazione ed espulsione di Torino.
    Uno, però, è stato prelevato pochi giorni dopo dalla polizia. Per lui, era pronto un posto sull’aereo per il rimpatrio. Lui non voleva, arrivato a bordo ha incominciato a dare in escandescenze assieme a un altro migrante finché il comandante del velivolo ha deciso di chiedere alla polizia di farli sbarcare entrambi, per problemi di sicurezza. Appena rientrato al Cie, l’uomo ha ribadito la sua intenzione di ottenere la protezione internazionale. Lo stesso hanno fatto gli altri tre. Tutti hanno ottenuto lo status di rifugiato.

    La sentenza della Corte condanna l’Italia a pagare per varie violazioni. Una riguarda «la procedura di spogliazione forzata da parte della polizia», che «può costituire una misura talmente invasiva e potenzialmente degradante da non poter essere applicata senza un motivo imperativo». E per i giudici di Strasburgo «il governo non ha fornito alcuna ragione convincente» per giustificare quel comportamento. Poi, ci sono le accuse dei quattro di essere rimasti senz’acqua e cibo nel trasferimento Ventimiglia-Taranto e ritorno. Il governo aveva ribattuto fornendo «le copie delle richieste della questura di Imperia a una società di catering», che però «riguardavano altri migranti». Per la Corte, quella situazione «esaminata nel contesto generale degli eventi era chiaramente di natura tale da provocare stress mentale». E ancora, le condizioni vissute in quei giorni «hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante», vietato dalla legge. I giudici di Strasburgo ritengono, poi, che i quattro siano «stati arbitrariamente privati della libertà», pur se in una situazione di «vuoto legislativo dovuto alla mancanza di una normativa specifica in materia di hotspot», già denunciata nel 2016 dal garante nazionale dei detenuti.

    Per la Corte, ce n’è abbastanza per condannate l’Italia a risarcire i quattro: uno dovrà ricevere 8 mila euro, un altro 9 mila e altri due diecimila «a titolo di danno morale».

    https://www.lastampa.it/cronaca/2023/11/18/news/litalia_condannata_a_pagare_per_i_maltrattamenti_ai_migranti-13871399

    Le périple des 4 Soudanais en résumé :
    – 4 personnes concernées, ressortissants soudanais
    – 2 arrivés à Cagliari en juillet 2016, un le 14 juillet à Reggio Calabria, un le 16 août 2016
    – Transfert des 4 au centre d’accueil de la Croix-Rouge à Vintimille avec un fourgon de la police —> dénudés, humiliés
    – Transfert (avec 20 autres) vers l’hotspot de Taranto
    – 23 août —> transfert à Vintimille par bus, RV avec un représentant du gouvernement soudanais qui a reconnu leur nationalité soudanaise, début procédure de renvoi vers Soudan en avion
    – Transfert à l’aéroport de Torino Caselle, mais pas de place pour les 4 dans l’avion
    – Transfert au centre de rétention de Turin
    – Personne ne part, les 4 arrivent à demander l’asile et obtenir le statut de réfugié
    – Novembre 2023 : Italie condamnée par la Cour européenne des droits de l’homme

    #justice #condamnation #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #CEDH #cour_européenne_des_droits_de_l'homme #mauvais_traitements #privation_de_liberté #nudité #violences_policières #Taranto #hotspot #CPR #rétention #détention_administrative #réfugiés_soudanais #Turin #migrerrance #humiliation

    voir aussi ce fil de discussion sur les transferts frontière_sud-alpine - hotspot de Taranto :
    Migranti come (costosi) pacchi postali


    https://seenthis.net/messages/613202

    • Denudati, maltrattati e privati della libertà: la CEDU condanna nuovamente l’Italia

      Le persone migranti denunciarono i rastrellamenti avvenuti a Ventimiglia nell’estate 2016

      La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha nuovamente condannato l’Italia a risarcire con un totale di 27mila euro (più 4.000 euro di costi e spese legali) quattro cittadini sudanesi per averli denudati, maltrattati e privati della libertà nell’estate 2016 durante le cosiddette operazioni per “alleggerire la pressione alla frontiera” di Ventimiglia, quando centinaia di persone migranti venivano coattivamente trasferite negli hotspot del sud Italia 1 e, in alcuni casi, trasferiti nei CIE e quindi rimpatriati nel paese di origine 2.

      C’è da dire che la Corte avrebbe potuto condannare l’Italia con maggiore severità, soprattutto per quanto riguarda le deportazioni in un paese non sicuro come il Sudan. Tuttavia, si tratta dell’ennesima conferma che l’Italia nega i diritti fondamentali alle persone migranti e che i governi portano avanti operazioni nei quali gli abusi e i maltrattamenti delle forze dell’ordine non sono delle eccezioni o degli eccessi di un singolo agente, ma qualcosa di strutturale e quindi sistemico. E quando queste violazioni sono denunciate, nemmeno vengono condotte indagini per fare luce sulle responsabilità e indagare i colpevoli.

      La sentenza della CEDU pubblicata il 16 novembre 3 riguarda nove cittadini sudanesi arrivati in Italia nell’estate del 2016 i quali hanno denunciato diversi abusi subiti dalle autorità italiane, un tentativo di rimpatrio forzato e uno portato a termine.

      Nel primo caso i ricorrenti hanno avanzato denunce in merito al loro arresto, trasporto e detenzione in Italia, uno di loro ha anche affermato di essere stato maltrattato.

      I quattro ricorrenti del primo caso hanno ottenuto la protezione internazionale, mentre i cinque ricorrenti del secondo caso hanno affermato di aver fatto parte di un gruppo di 40 persone migranti che erano state espulse subito dopo il loro arrivo in Italia.

      Le persone sono state difese dall’avv. Gianluca Vitale e dell’avv.te Nicoletta Masuelli e Donatella Bava, tutte del foro di Torino.
      I fatti riportati nella sintesi

      I quattro ricorrenti nel primo caso sono nati tra il 1980 e il 1994. Vivono tutti a Torino, tranne uno che vive in Germania. I ricorrenti nel secondo caso sono nati tra il 1989 e il 1996. Uno vive in Egitto, uno in Niger e tre in Sudan.

      Tutti e nove i richiedenti sono arrivati in Italia nell’estate del 2016. I primi quattro hanno raggiunto le coste italiane in barca, mentre gli altri cinque sono stati salvati in mare dalla Marina italiana. Alcuni sono transitati attraverso vari hotspot e tutti sono finiti a Ventimiglia presso il centro della Croce Rossa.

      Secondo i ricorrenti nel primo caso, il 17 e il 19 agosto 2016 sono stati arrestati, costretti a salire su un furgone della polizia e portati in quella che hanno capito essere una stazione di polizia. Sono stati perquisiti, è stato chiesto loro di spogliarsi e sono stati lasciati nudi per circa dieci minuti prima che venissero prese le loro impronte digitali.

      Sono stati poi costretti a salire su un autobus, scortati da numerosi agenti di polizia, senza conoscere la loro destinazione e senza ricevere alcun documento sulle ragioni del loro trasferimento o della loro privazione di libertà. In seguito hanno scoperto di essere stati trasferiti da Ventimiglia all’hotspot di Taranto.

      Nell’hotspot di Taranto, dal quale non avrebbero potuto uscire, sostengono di aver ricevuto un provvedimento di respingimento il 22 agosto 2016. Il giorno successivo sono stati riportati a Ventimiglia in autobus.

      Secondo i ricorrenti, le condizioni all’hotspot erano difficili come lo erano durante ciascuno dei trasferimenti in autobus durati 15 ore. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e minacce, senza cibo o acqua sufficienti in piena estate.

      Sostengono di non aver incontrato un avvocato o un giudice durante quel periodo e di non aver capito cosa stesse succedendo. Il 24 agosto 2016 sono stati trasferiti da Ventimiglia all’aeroporto di Torino per essere imbarcati su un volo per il Sudan. Poiché non c’erano abbastanza posti sull’aereo, il loro trasferimento è stato posticipato. Sono stati quindi trasferiti al CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Torino e il Questore ha emesso per ciascuno di loro un provvedimento di trattenimento.

      Uno dei ricorrenti (T.B.) sostiene che le autorità hanno tentato di espellerlo nuovamente il 1° settembre 2016. Ha protestato e la polizia lo ha colpito al volto e allo stomaco. Lo hanno poi costretto a salire sull’aereo e lo hanno legato. Tuttavia, il pilota si è rifiutato di decollare a causa del suo stato di agitazione. È stato riportato al CIE di Torino.

      Tutti e quattro i richiedenti hanno ottenuto la protezione internazionale, essenzialmente sulla base della loro storia personale in Sudan e del conseguente rischio di vita in caso di rimpatrio.

      Secondo i ricorrenti del secondo caso, invece, non sono mai stati informati in nessun momento della possibilità di chiedere protezione internazionale. Sostengono inoltre di aver fatto parte di un gruppo di circa 40 migranti per i quali è stato trovato posto sul volo in partenza il 24 agosto 2016 e di essere stati rimpatriati a Khartoum lo stesso giorno.

      Il governo italiano ha contestato tale affermazione, sostenendo che i ricorrenti non sono mai stati sul territorio italiano. Hanno fornito alla Corte le fotografie identificative delle persone rimpatriate in Sudan il 24 agosto 2016, sostenendo che non presentavano una stretta somiglianza con i ricorrenti. Ha sostenuto inoltre che i nomi delle persone allontanate non corrispondevano a quelli dei ricorrenti. In considerazione del disaccordo delle parti, la Corte ha nominato un esperto di comparazione facciale della polizia belga (articolo A1, paragrafi 1 e 2, del Regolamento della Corte – atti istruttori) che, il 5 ottobre 2022, ha presentato una relazione per valutare se le persone rappresentate nelle fotografie e nei filmati forniti dai rappresentanti dei ricorrenti corrispondessero a quelle raffigurate nelle fotografie identificative presentate dal Governo.

      Il rapporto ha concluso, per quanto riguarda uno dei ricorrenti nel caso, W.A., che i due individui raffigurati in tali fonti corrispondevano al massimo livello di affidabilità. Per quanto riguarda gli altri quattro richiedenti, non vi era alcuna corrispondenza affidabile.
      La decisione della Corte

      Le sentenze sono state emesse da una Camera di sette giudici, composta da: Marko Bošnjak (Slovenia), Presidente, Alena Poláčková (Slovacchia), Krzysztof Wojtyczek (Polonia), Péter Paczolay (Ungheria), Ivana Jelić (Montenegro), Erik Wennerström (Svezia), Raffaele Sabato (Italia), e anche Liv Tigerstedt, Vice Cancelliere di Sezione.

      La Corte, ha ritenuto, all’unanimità, che vi è stata:

      1) una violazione dell’articolo 3 per quanto riguarda l’assenza di una ragione sufficientemente convincente per giustificare il fatto che i ricorrenti siano stati lasciati nudi insieme a molti altri migranti, senza privacy e sorvegliati dalla polizia e le condizioni dei loro successivi trasferimenti in autobus da e verso un hotspot, sotto il costante controllo della polizia, senza sapere dove stessero andando;

      2) una violazione dell’articolo 3, in quanto non è stata svolta alcuna indagine in merito alle accuse del ricorrente di essere stato picchiato da agenti di polizia durante un tentativo di rimpatrio;

      3) la violazione dell’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza) per quanto riguarda tre dei quattro ricorrenti in relazione al loro fermo, trasporto e detenzione arbitrari.

      La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare ai ricorrenti nel caso A.E. e T.B. contro Italia 27.000 euro per danni morali e 4.000 euro, congiuntamente, per costi e spese.

      In particolare:

      Per quanto riguarda i restanti reclami dei ricorrenti in A.E. e T.B. contro l’Italia, la Corte ha riscontrato che le condizioni del loro arresto e del trasferimento in autobus, considerate nel loro insieme, devono aver causato un notevole disagio e umiliazione, equivalenti a un trattamento degradante, in violazione dell’Articolo 3.

      Inoltre, i successivi lunghi trasferimenti in autobus dei ricorrenti sono avvenuti in un breve lasso di tempo e in un periodo dell’anno molto caldo, senza cibo o acqua sufficienti e senza che sapessero dove erano diretti o perché. Erano sotto il costante controllo della polizia, in un clima di violenza e di minacce. Queste condizioni, nel complesso, devono essere state fonte di angoscia.

      Infine, la Corte ha riscontrato una violazione dell’Articolo 3 per quanto riguarda il richiedente (T.B.) che ha affermato di essere stato picchiato durante un altro tentativo di allontanamento. Due degli altri richiedenti hanno confermato il suo racconto durante i colloqui relativi alle loro richieste di protezione internazionale; uno ha dichiarato in particolare di aver visto un altro migrante che veniva riportato dalla polizia dall’aeroporto con il volto tumefatto. Anche se T.B. aveva detto, durante un colloquio con le autorità, di essere in grado di identificare i tre agenti di polizia responsabili dei suoi maltrattamenti, non è stata condotta alcuna indagine.

      La Corte ha notato che il Governo le aveva fornito una copia di un’ordinanza di refusal-of-entry nei confronti di uno dei richiedenti, A.E., datata 1 agosto 2016, e la Corte ha quindi dichiarato inammissibile il suo reclamo sulla sua detenzione. D’altra parte, ha rilevato che gli altri tre ricorrenti nel caso, ai quali non erano stati notificati ordini di refusal-of-entry fino al 22 agosto 2016, erano stati arrestati e trasferiti senza alcuna documentazione e senza che potessero lasciare l’hotspot di Taranto. Ciò ha comportato una privazione arbitraria della loro libertà, in violazione dell’Articolo 5 § 1.

      Inoltre, era assente una legislazione chiara e accessibile relativa agli hotspot e la Corte non ha avuto alcuna prova di come le autorità avrebbero potuto informare i richiedenti delle ragioni legali della loro privazione di libertà o dare loro l’opportunità di contestare in tribunale i motivi della loro detenzione de facto.

      La Corte ha però respinto come inammissibili tutti i reclami dei nove ricorrenti, tranne uno, in merito al fatto che le autorità italiane non avevano preso in considerazione il rischio di trattamenti inumani se fossero stati rimpatriati in Sudan. In A.E. e T.B. contro Italia, i richiedenti, che avevano ottenuto la protezione internazionale, non erano più a rischio di deportazione e non potevano quindi affermare di essere vittime di una violazione dell’Articolo 3. In W.A. e altri c. Italia, la Corte ha ritenuto che quattro dei cinque ricorrenti, per i quali il rapporto della polizia belga del 2022 non aveva stabilito una corrispondenza affidabile tra le fotografie fornite dalle parti, non avessero sufficientemente motivato i loro reclami.

      La Corte ha dichiarato ammissibile il reclamo del ricorrente, W.A.. Ha osservato che i documenti disponibili erano sufficienti per concludere che si trattava di una delle persone indicate nelle fotografie identificative fornite dal Governo. Ha quindi ritenuto che fosse tra i cittadini sudanesi allontanati in Sudan il 24 agosto 2016. Tuttavia, la Corte ha continuato a ritenere che non vi fosse stata alcuna violazione dell’Articolo 3 nel caso di W.A. .

      In particolare, ha notato che c’erano state delle imprecisioni nel suo modulo di richiesta alla Corte e che, sebbene fosse stato assistito da un avvocato in diversi momenti della procedura di espulsione, aveva esplicitamente dichiarato di non voler chiedere la protezione internazionale e di essere semplicemente in transito in Italia. Inoltre, a differenza dei richiedenti nel caso A.E. e T.B. contro l’Italia, che avevano ottenuto la protezione internazionale sulla base delle loro esperienze personali, W.A. aveva sostenuto di appartenere a una tribù perseguitata dal Governo sudanese solo dopo aver presentato la domanda alla Corte europea. Questa informazione non era quindi disponibile per le autorità italiane al momento rilevante e la Corte ha concluso che il Governo italiano non ha violato il suo dovere di fornire garanzie effettive per proteggere W.A. dal respingimento arbitrario nel suo Paese d’origine.

      – Guerra al desiderio migrante. Deportazioni da Ventimiglia e Como verso gli hotspot, di Francesco Ferri (https://www.meltingpot.org/2016/08/guerra-al-desiderio-migrante-deportazioni-da-ventimiglia-e-como-verso-gl) – 17 agosto 2026
      – Rimpatrio forzato dei cittadini sudanesi: l’Italia ha violato i diritti. Rapporto giuridico sul memorandum d’intesa Italia-Sudan a cura della Clinica Dipartimento di Giurisprudenza di Torino (https://www.meltingpot.org/2017/10/rimpatrio-forzato-dei-cittadini-sudanesi-litalia-ha-violato-i-diritti-um) – 31 ottobre 2017.
      - The cases of A.E. and T.B. v. Italy (application nos. 18911/17, 18941/17, and 18959/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228836) and W.A. and Others v. Italy (no. 18787/17, https://hudoc.echr.coe.int/?i=001-228835)

      https://www.meltingpot.org/2023/11/denudati-maltrattati-e-privati-della-liberta-la-cedu-condanna-nuovamente

  • Los estibadores de Barcelona deciden “no permitir la actividad” de barcos que envíen armas a Palestina e Israel

    Los estibadores del puerto de Barcelona han decidido “no permitir la actividad de barcos que contengan material bélico”. Así lo han explicado en un comunicado que se ha hecho público tras una asamblea del comité de empresa.

    La Organización de #Estibadores_Portuarios_de_Barcelona (#OEPB), el sindicato mayoritario entre los 1.200 estibadores barceloneses, apunta que han tomado esta decisión para “proteger a la población civil, sea del territorio que sea”.

    Con todo, los trabajadores aseguran un “rechazo absoluto a cualquier forma de violencia” y ven como una “obligación y un compromiso” defender “con vehemencia” la Declaración Universal de los Derechos Humanos. Unos derechos, dicen, que están siendo “violados” en Ucrania, Israel o en el territorio palestino.

    De esta manera, los trabajadores se comprometen a no cargar, descargar ni facilitar las tareas de cualquier buque que contenga armas. Ahora bien, los estibadores no tienen “capacidad para saber de facto que hay en los contenedores”, han afirmado a este diario.

    Los trabajadores se ponen en manos de ONG y entidades de ayuda humanitaria que sí puedan tener conocimiento sobre envíos de armas desde el puerto barcelonés. En esta línea, recuerdan el boicot que ya llevaron a cabo en 2011 en el marco de la guerra de Libia, durante la cual colaboraron con diversas entidades para entorpecer el envío de material bélico y, a su vez, se facilitó el envió de agua y alimentos.

    A pesar de que el Gobierno ha asegurado que no prevé exportar a Israel armas letales que se puedan usar en Gaza, los estibadores son conscientes de que, sólo en 2023, España ha comprado material militar a Israel por valor de 300 millones de euros, unido a otros 700 millones comprometidos en adquisición de armamento para los próximos años.

    Los trabajadores insisten en que con este comunicado no se están posicionado políticamente en el conflicto, simplemente abogan por el alto al fuego y la distribución de ayuda humanitaria. “No es un comunicado político, sólo queremos que se agoten todas las vías de diálogo antes de usar la violencia”.

    Este argumento fue el mismo que estos trabajadores portuarios usaron para negarse a dar servicio a los cruceros en los que la Policía Nacional se alojó durante los días previos al 1 de Octubre. En aquella ocasión también aseguraron que tomaban la decisión “en defensa de los derechos civiles”.

    Con este gesto, los estibadores se suman a otros colectivos de trabajadores portuarios, como los belgas, que también han anunciado que no permitirán el envío de material militar a Israel o Palestina. La del boicot es una estrategia que no es nueva: estibadores de diversos lugares del mundo ya la han llevado a cabo en momentos crudos del conflicto durante los últimos años. Por ejemplo durante el conflicto en la Franja de Gaza de 2008 y 2009, estibadores de Italia, Sudáfrica y Estados Unidos ya se negaron a a manipular cargamentos provenientes de Israel.

    https://www.eldiario.es/catalunya/estibadores-barcelona-deciden-no-permitir-actividad-barcos-envien-armas-pal
    #Barcelone #résistance #armes #armement #Israël #Palestine

    • Espagne : les #dockers du #port de Barcelone refusent de charger les #navires transportant des armes à destination d’Israël

      - « Aucune cause ne justifie la mort de civils », déclare le syndicat des dockers OEPB dans un #communiqué

      Les dockers du port espagnol de Barcelone ont annoncé qu’ils refuseraient de charger ou de décharger des navires transportant des armes à destination d’Israël, à la lumière des attaques de ce pays contre Gaza.

      « En tant que collectif de travailleurs, nous avons l’obligation et l’engagement de respecter et de défendre avec véhémence la Déclaration universelle des droits de l’homme », a déclaré l’OEPB, le seul syndicat représentant quelque 1 200 dockers du port, dans un communiqué.

      « C’est pourquoi nous avons décidé en assemblée de ne pas autoriser les navires contenant du matériel de guerre à opérer dans notre port, dans le seul but de protéger toute population civile », a ajouté le communiqué, notant qu’"aucune cause ne justifie la mort de civils".

      L’OEPB appelle à un cessez-le-feu immédiat et à un règlement pacifique des conflits en cours dans le monde, et notamment du conflit israélo-palestinien.

      Les Nations unies devraient abandonner leur position de complicité, due à l’inaction ou à leur renoncement dans l’exercice de leurs fonctions, a ajouté le communiqué.

      Israël mène, depuis un mois, une offensive aérienne et terrestre contre la Bande de Gaza, à la suite de l’attaque transfrontalière menée par le mouvement de résistance palestinien Hamas le 7 octobre dernier.

      Le ministère palestinien de la Santé a déclaré, mardi, que le bilan des victimes de l’intensification des attaques israéliennes sur la Bande de Gaza depuis le 7 octobre s’élevait à 10 328 morts.

      Quelque 4 237 enfants et 2 719 femmes figurent parmi les victimes de l’agression israélienne, a précisé le porte-parole du ministère, Ashraf al-Qudra, lors d’une conférence de presse.

      Plus de 25 956 autres personnes ont été blessées à la suite des attaques des forces israéliennes sur Gaza, a-t-il ajouté.

      Le nombre de morts israéliens s’élève quant à lui à près de 1 600, selon les chiffres officiels.

      Outre le grand nombre de victimes et les déplacements massifs, les approvisionnements en produits essentiels viennent à manquer pour les 2,3 millions d’habitants de la Bande de Gaza, en raison du siège israélien, qui s’ajoute au blocus imposé par Israël à l’enclave côtière palestinienne.

      https://www.aa.com.tr/fr/monde/espagne-les-dockers-du-port-de-barcelone-refusent-de-charger-les-navires-transportant-des-armes-%C3%A0-destination-disra%C3%ABl/3046909

    • #Genova, Barcellona, #Sidney. I lavoratori portuali si rifiutano di caricare le navi con le armi per Israele

      Diverse organizzazioni di lavoratori portuali hanno indetto mobilitazioni e iniziative per protestare contro i bombardamenti della striscia di #Gaza. Venerdì prossimo a Genova si svolgerà il presidio indetto dai portuali del capoluogo ligure. La mobilitazione raccoglie l’appello lanciato lo scorso 16 ottobre dai sindacati palestinesi per “smettere di armare Israele”. I lavoratori dello scalo genovese si rifiutano di gestire l’imbarco di carichi di armi diretti in Israele (e non solo). Un’iniziativa simile è in atto nel porto di Sidney, in Australia, dove si protesta contro l’attracco di una nave della compagnia israeliana #Zim. All’appello dei colleghi palestinesi hanno aderito ieri anche i lavoratori dello scalo di Barcellona, annunciando che impediranno “le attività delle navi che portano materiale bellico”. Come lavoratori, si legge nel comunicato degli spagnoli, “difendiamo con veemenza la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo“, aggiungendo che “nessuna causa giustifica il sacrificio dei civili”. In Belgio a rifiutarsi di caricare armi sono da alcune settimane gli addetti aeroportuali che nel comunicato spiegano “caricare e scaricare ordigni bellici contribuisce all’uccisione di innocenti“. Solidarietà con i lavoratori palestinesi è arrivata inoltre dal sindacato francese Cgt, così come è molto attivo il coordinamento dei sindacati greci #Pame.

      Negli Stati Uniti, nei pressi di Seattle, sono invece stati un centinaio di attivisti a bloccare il porto di #Tacoma, mossi dal sospetto che la #Cape_Orlando, nave statunitense alla fonda, trasportasse munizioni ed armamenti per Israele. La nave era già stata fermata alcuni giorni prima nello scalo di #Oakland, nella baia di San Francisco. Iniziative di questo genere si stanno moltiplicando. Nei giorni scorsi gli attivisti avevano bloccato tutte le entrate di un impianto della statunitense #Boeing destinato alla fabbricazione di armamenti nei pressi di St Louis. Manifestazioni si sono svolte alla sede londinese di #Leonardo, gruppo italiano che ad Israele fornisce gli elicotteri Apache. Il 26 ottobre scorso un centinaio di persone avevano invece bloccato l’accesso alla filiale britannica dell’azienda di armi israeliana #Elbit_Systems.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/07/genova-barcellona-sidney-i-lavoratori-portuali-si-rifiutano-di-caricare-le-navi-con-le-armi-per-israele/7345757
      #Gênes

    • La logistica di guerra

      Venerdì 10 novembre i lavoratori del porto di Genova hanno lanciato un blocco della logistica di guerra. I porti sono uno snodo fondamentale della circolazione delle armi impiegate in ogni dove.
      A Genova è stato osservato un carico di pannelli per pagode militari che verrà destinato ad una delle navi della compagnia saudita Bahri.
      Dal terminal dei traghetti nelle scorse settimane sono stati caricati camion militari dell’Iveco destinati alla Tunisia, con ogni probabilità destinati alla repressione dei migranti.
      Le organizzazioni operaie palestinesi hanno fatto appello alla solidarietà internazionalista, alla lotta degli sfruttati contro tutti i padroni a partire da quelli direttamente coinvolti nel conflitto.
      Nel porto di Genova opera una compagnia merci, l’israeliana ZIM, che il 10 novembre gli antimilitaristi puntano a bloccare.
      Inceppare il meccanismo è un obiettivo concreto che salda l’opposizione alla guerra con la lotta alla produzione e circolazione delle armi.
      L’appuntamento per il presidio/picchetto è alle 6 del mattino al varco San Benigno.
      Ne abbiamo parlato con Christian, un lavoratore del porto dell’assemblea contro la guerra e la repressione.

      https://www.rivoluzioneanarchica.it/genova-fermare-la-logistica-di-guerra
      #logistique

    • Porti bloccati contro l’invio di armi a Israele

      Genova, Barcellona, #Oackland, #Tacoma, Sidney. I lavoratori portuali si rifiutano di caricare le navi con le armi per Israele

      L’appello lanciato lo scorso 16 ottobre dai sindacati palestinesi per “smettere di armare Israele” è stato raccolto dai sindacati in diversi paesi.

      Diverse organizzazioni di lavoratori portuali hanno indetto mobilitazioni e iniziative per protestare contro i bombardamenti della striscia di Gaza. Venerdì prossimo a Genova si svolgerà il presidio indetto dai portuali del capoluogo ligure. La mobilitazione raccoglie l’appello lanciato lo scorso 16 ottobre dai sindacati palestinesi per “smettere di armare Israele”. I lavoratori dello scalo genovese si rifiutano di gestire l’imbarco di carichi di armi diretti in Israele (e non solo).

      “Mentre da quasi due anni in Ucraina si combatte una guerra fra blocchi di paesi capitalisti, mentre lo stato d’Israele massacra i palestinesi, mentre la guerra nucleare è dietro l’angolo, il Porto di Genova continua a caratterizzarsi come snodo della logistica di guerra: imbarchi di camion militari diretti alla Tunisia per il contrasto dei flussi migratori, passaggio di navi della ZIM, principale compagnia navale israeliana, nuovi materiali militari per l’aeronautica Saudita pronti per la prossima Bahri. Questo è quello che sta dietro ai varchi del porto di Genova. Basta traffici di armi in porto. Solidarietà internazionalista agli oppressi/e palestinesi. Il nemico è in casa nostra. Guerra alla Guerra” si legge nel comunicato che invita alla partecipazione.

      Anche i lavoratori del porto australiano di Sidney, stanno protestando contro l’attracco di una nave della compagnia israeliana Zim. All’appello dei sindacati palestinesi. E’ di ieri la dichiarazione della Organización de Estibadores Portuarios di Barcellona (OEPB) i cui aderenti si rifiuteranno di caricare armi destinate al conflitto israelo-palestinese dal porto catalano. E’ la risposta all’appello lanciato dai sindacati palestinesi per fermare «i crimini di guerra di Israele» sin dall’inizio dell’invasione di Gaza

      In Belgio già da alcune settimane a rifiutarsi di caricare armi sono i lavoratori aeroportuali che nel comunicato spiegano “caricare e scaricare ordigni bellici contribuisce all’uccisione di innocenti“. Solidarietà con i lavoratori palestinesi è arrivata inoltre dal sindacato francese Cgt, così dal sindacato greco Pame che il 2 novembre ha bloccato l’aeroporto di Atene per protesta contro i bombardamenti israeliani.

      Negli Stati Uniti, nei pressi di Seattle, sono invece stati un centinaio di attivisti a bloccare il porto di Tacoma, mossi dal sospetto che la Cape Orlando, nave statunitense alla fonda, trasportasse munizioni ed armamenti per Israele. La nave era già stata fermata alcuni giorni prima nello scalo di Oakland, nella baia di San Francisco. Iniziative di questo genere si stanno moltiplicando. Nei giorni scorsi gli attivisti avevano bloccato tutte le entrate di un impianto della statunitense Boeing destinato alla fabbricazione di armamenti nei pressi di St Louis.

      Manifestazioni si sono svolte alla sede londinese di Leonardo, gruppo italiano che ad Israele fornisce gli elicotteri Apache. Il 26 ottobre scorso un centinaio di persone avevano invece bloccato l’accesso alla filiale britannica dell’azienda di armi israeliana Elbit Systems.

      Di fronte al genocidio dei palestinesi in corso a Gaza, in tutto il mondo sta montando un’ondata di indignazione che chiede il boicottaggio degli apparati militari ed economici di Israele, con un movimento che somiglia molto a quello che portò alla fine del regime di apartheid in Sudafrica.

      A livello internazionale da anni è attiva in tal senso la campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) verso Israele che le autorità di Tel Aviv temono moltissimo e contro cui hanno creato un apposito dipartimento, lanciando una contro campagna di criminalizzazione del Bds in vari paesi europei e negli USA. Un tentativo evidentemente destinato a fallire.

      https://www.osservatoriorepressione.info/porti-bloccati-linvio-armi-israele

    • Genova: In centinaia bloccano il porto contro l’invio di armi a Israele

      E’ iniziato all’alba, presso il porto di Genova, il presidio per impedire il passaggio della nave della #ZIM, carica di armamenti e diretta a Israele.

      Dal varco San Benigno già centinaia le persone solidali con il popolo palestinese, tra lavoratori del porto, studenti, cittadini e realtà che vanno dal sindacalismo di base alle associazioni pacifiste e che si sono ritrovati questa mattina uniti sotto gli slogan “la guerra comincia da qui” “fermiamo le navi della morte”. Oltre al varco della ZIM bloccato anche il varco dei traghetti.

      Oltre al varco della ZIM, la principale compagnia logistica di Israele, è stato bloccato anche il varco dei traghetti.

      Il cielo di Genova si è anche illuminato di rosso (clicca qui per il video: https://www.facebook.com/watch/?v=348645561154990) con una serie di torce, a simulare quello che, tutti i giorni, accade a Gaza con l’occupazione militare israeliana: “i popoli in rivolta – dicono camalli e solidali – scrivono la storia”.

      «Sono cinque anni che facciano una serie di blocchi, scioperi, presidi, azioni anche con la comunità europea per contrastare i traffici. Principalmente contro la compagnia Bahri. Nel 2019 siamo riusciti a evitare che una nave dell’azienda saudita caricasse dal porto di Genova armi che sarebbero state utilizzate in Yemen», spiega Josè Nivoi, sindacalista dell’Usb dopo essere stato per 16 anni un lavoratore del porto: «Nella nostra chat abbiamo condiviso anche un piccolo manuale, scritto insieme all’osservatorio Weapon Watch, su come identificare i container che contengono armi. Perché ci sono degli obblighi internazionali, ad esempio, che costringono le compagnie ad applicare una serie di adesivi utili per quando i vigili del fuoco devono intervenire in caso di incendio. Che rendono riconoscibili i carichi. Mentre in altre navi le armi sono facilmente individuabili, visibili ad occhio nudo».

      Nel 2021 il Collettivo autonomo dei lavoratori portuali di Genova, insieme quelli di Napoli e Livorno ha anche cercato di bloccare una nave israeliana che stava trasportando missili italiani a Tel Aviv: «Non siamo riusciti a fermarla perché abbiamo saputo troppo tardi, dalle carte d’imbarco, che cosa trasportava. Ma da quel momento sono iniziate le nostre operazioni in solidarietà con il popolo palestinese. E abbiamo deciso di accogliere l’appello lanciato lo scorso 16 ottobre dai sindacati palestinesi per “smettere di armare Israele”. Rifiutando di gestire l’imbarco di carichi di armi. Non vogliamo essere complici della guerra».
      A convocare l’iniziativa l’Assemblea contro la guerra e la repressione. “Mentre da quasi due anni in Ucraina si combatte una guerra fra blocchi di paesi capitalisti, mentre lo stato d’Israele massacra i palestinesi, mentre la guerra nucleare è dietro l’angolo, il Porto di Genova continua a caratterizzarsi come snodo della logistica di guerra: imbarchi di camion militari diretti alla Tunisia per il contrasto dei flussi migratori, passaggio di navi della ZIM, principale compagnia navale israeliana, nuovi materiali militari per l’aeronautica Saudita pronti per la prossima Bahri. Questo è quello che sta dietro ai varchi del porto di Genova. Basta traffici di armi in porto. Solidarietà internazionalista agli oppressi/e palestinesi. Il nemico è in casa nostra. Guerra alla Guerra” si legge nel comunicato che invitava alla partecipazione.
      L’iniziativa di oggi raccoglie l’invito dei sindacati palestinesi, che nei giorni scorsi avevano diffuso un appello nel quale chiedono ai lavoratori delle industrie coinvolte di rifiutarsi di costruire armi destinate ad Israele, di rifiutarsi di trasportare armi ad Israele, di passare mozioni e risoluzioni al proprio interno volte a questi obiettivi, di agire contro le aziende complicitamente coinvolte nell’implementare il brutale ed illegale assedio messo in atto da Israele, in particolare se hanno contratti con la vostra istituzione, di mettere pressione sui governi per fermare tutti i commerci militari ed in armi con Israele, e nel caso degli Stati Uniti, per interrompere il proprio sostegno economico diretto.a lottare e a opporci con tutta la nostra forza a questa guerra, boicottandola praticamente con i mezzi che abbiamo a disposizione e quindi chiediamo a tutte e tutti di partecipare al presidio.

      Il collegamento dal porto di Genova con Rosangela della redazione di Radio Onda d’Urto e le interviste ai manifestanti: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/11/Rosangela-da-Genova.mp3

      Le interviste ai partecipanti: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/11/interviste-Rosangela-due.mp3



      Il blocco del molo è poi diventato corteo fino alla sede della compagnia israeliana ZIM dove si è verificato un fitto lancio di uova piene di vernice rossa. La cronaca di Rosangela della Redazione di Radio Onda d’Urto: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/11/Rosi-da-sede-Zim-Genova.mp3

      Ancora interviste ai partecipanti: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/11/interviste-Rosangela-tre.mp3

      Corrispondenza conclusiva con un bilancio dell’iniziativa di Riccardo del Collettivo autonomo lavoratori portuali: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2023/11/Corrispondenza-conclusiva-di-Riccardo-Calp-Genova.mp3

      https://www.osservatoriorepressione.info/genova-centinaia-bloccano-porto-linvio-armi-israele
      #camalli

    • Shutting Down the Port of Tacoma

      Since October 7, the Israeli military has killed over 10,000 people in Palestine, almost half of whom were children. In response, people around the world have mobilized in solidarity. Many are seeking ways to proceed from demanding a ceasefire to using direct action to hinder the United States government from channeling arms to Israel. Despite the cold weather on Monday, November 6, several hundred people showed up at the Port of Tacoma in Washington State to block access to a shipping vessel that was scheduled to deliver equipment to the Israeli military.

      In the following text, participants review the history of port blockades in the Puget Sound, share their experience at the protest, and seek to offer inspiration for continued transoceanic solidarity.
      Escalating Resistance

      On Thursday, November 2, demonstrators protesting the bombing and invasion of Gaza blocked a freeway in Durham, North Carolina and shut down 30th Street Station in Philadelphia. Early on Friday, November 3, at the Port of Oakland in California, demonstrators managed to board the United States Ready Reserve Fleet’s MV Cape Orlando, which was scheduled to depart for Tacoma to pick up military equipment bound for Israel. The Cape Orlando is owned by the Department of Transportation, directed by the Department of Defense, and managed and crewed by commercial mariners. After an hours-long standoff, the Coast Guard finally managed to get the protesters off the boat.

      Afterwards, word spread that there would be another protest when the boat arrived in Tacoma. The event was announced by a coalition of national organizations and their local chapters: Falastiniyat (a Palestinian diaspora feminist collective), Samidoun (a national Palestinian prisoner support network), and the Arab Resource & Organizing Center, which had also participated in organizing the protest in Oakland.

      The mobilization in Tacoma was originally scheduled for 2:30 pm on Sunday, November 5, but the organizers changed the time due to updated information about the ship’s arrival, calling for people to show up at 5 am on Monday. Despite fears that the last-minute change would undercut momentum, several hundred demonstrators turned out that morning. The blockade itself consisted of a continual picket at multiple points, bolstered by quite a few drivers who were willing to risk the authorities impounding their cars.

      All of the workers that the ILWU deployed for the day shift were blocked from loading the ship. Stopping the port workers from loading it was widely understood as the goal of the blockade; unfortunately, however, this did not prevent the military cargo from reaching the ship. Acting as scabs, the United States military stepped in to load it, apparently having been snuck into the port on Coast Guard vessels.

      Now that the fog of war is lifting, we can review the events of the day in detail.

      Drawing on Decades of Port Blockades

      The Pacific Northwest has a long history of port shutdowns.

      In 1984, port workers in the International Longshore and Warehouse Union (ILWU) coordinated with anti-Apartheid activists and refused to unload cargo ships from South Africa. Between 2006 and 2009, the Port Militarization Resistance movement repeatedly blockaded the ports of Olympia and Tacoma to protest against the occupation of Iraq and Afghanistan. In 2011 and 2012, participants in Occupy/Decolonize Seattle organized in solidarity with port workers in the ILWU in Longview and shut down the Port of Seattle, among other ports.

      In 2014, demonstrators blockaded the Port of Tacoma using the slogan Block the Boat, singing “Our ports will be blocked to Israel’s ships until Gaza’s ports are free.” One of the participants was the mother of Rachel Corrie, a student who was murdered in Gaza by the Israeli military in 2002 while attempting to prevent them from demolishing the homes of Palestinian families. In 2015, an activist chained herself to a support ship for Royal Dutch Shell’s exploratory oil drilling plans, using the slogan Shell No. In 2021, Block the Boat protesters delayed the unloading of the Israeli-operated ZIM San Diego ship for weeks. The Arab Resource & Organizing Center played a part in organizing the Block the Boat protests.

      Today, the Port of Tacoma appears to be the preferred loading point for military equipment in the region—perhaps because the Port Militarization Resistance successfully shut down logistics at the Port of Olympia, while Tacoma police were able to use enough violent force to keep the Port of Tacoma open for military shipments to Iraq and Afghanistan. The various port blockades fostered years of organizing between ILWU workers, marginalized migrant truck workers, environmentalists, and anti-war activists. New tactics of kayaktivism emerged out of anti-extractivism struggles in Seattle, where seafaring affinity groups were able to outmaneuver both the Coast Guard and the environmental nonprofit organizations that wanted to keep things symbolic. On one occasion, a kayaking group managed to run a Shell vessel aground without being apprehended. Some participants brought reinforced banners to the demonstration on Monday, November 6, 2023, because they remembered how police used force to clear away less-equipped demonstrators during the “Block the Boat” picket at the Port of Seattle in 2021.

      Over the years, these port blockades have inspired other innovations in the genre. In November 2017, demonstrators blockaded the railroad tracks that pass through Olympia.1 At a time when Indigenous water protector and land defense struggles were escalating and locals wanted to act in solidarity, blockading the port seemed prohibitively challenging, so they chose a section of railroad tracks via which fracking proppants were sent to the port. This occupation was arguably more defensible and effective than a port blockade would have been, lasting well over a week. It may indicate a future field for experimentation.
      Gathering at the Port

      The Port of Tacoma and the nearby ICE detention center are located in an industrial area that also houses a police academy. They are only accessible through narrow choke points; in the past, police have taken advantage of these to target and harass protesters. The preceding action at the Port of Oakland took place in a more urban terrain; as protesters prepared for the ship to dock in Tacoma, concerns grew about the various possibilities for repression. Veterans of the Port Militarization Resistance and other logistically-minded individuals compiled lists of considerations to take into account when carrying out an action at this particular port.

      On Monday morning, people showed up with positive energy and reinforced banners. Hundreds of people coordinated to bring in supplies and additional waves of picketers. The plan was to establish a picket line at every of the three entrances into Pier 7. As it turned out, the police preemptively blocked the entrances, sitting in their vehicles behind the Port fence. Demonstrators marched in circles, chanting, while others gathered material with which to create impromptu barricades.

      Other anarchists remained at a distance, standing by to do jail support and advising the participants on security precautions. Others set up at the nearby casino, investigating and squashing rumors in the growing signal groups and helping to link people to the information or communication loops they needed. Whether autonomously or in conversation with the organizers, all of them did their best to contribute to the unfolding action.

      The demonstration successfully accomplished what some had thought might be impossible, preventing the ILWU workers from loading the military shipment. Unexpectedly, this was not enough. Even seasoned longshoremen were surprised that the military could be brought in to act as scabs by loading the ship.

      Could we have focused instead on blocking the equipment from reaching the port in the first place? According to publicly available shift screens, the cargo that was eventually loaded onto the ship had already arrived at the port before the action’s originally planned 2:30 pm start time on November 5. Considering that Sunday afternoon was arguably the earliest that anyone could mobilize a mass action on such short notice, it is not surprising that the idea of blocking the cargo was abandoned in favor of blocking the ILWU workers. Of course, if the information that military supplies were entering the port had circulated earlier, something else might have been possible.

      The organizers chose the approach of blocking the workers in spite of the tension it was bound to cause with the ILWU Local 23. Our contacts in the ILWU describe the Local 23 president as a Zionist; most workers in Local 23 were supposedly against the action, despite respecting the picket.2 The president allegedly went so far as to suggest bringing in ILWU workers on boats, a plan that the military apparently rejected.

      There were rumors that a flotilla of kayaks was organizing to impede the Orlando’s departure the following morning. In the end, a canoe piloted by members of the Puyallup, Nisqually, and other Coast Salish peoples and accompanied by a few kayakers blocked the ship’s path for a short time on November 6, but nothing materialized for November 7.

      This intervention is an important reminder of the ethical and strategic necessity of working with Indigenous groups who know the land and water and preserve a living memory of struggle against colonial violence that includes repeatedly outmaneuvering the United States military.

      The ship departed, but one Stryker Armored Personnel Carrier that was scheduled for work according the ILWU shift screens was not loaded, presumably due to the picket. Given the military work-crew’s inexperience in loading shipping containers, it’s unclear how much of the shipment was completely loaded in the time allotted for the ship, as ports hold to a strict schedule in order not to disrupt capital’s global supply chains.
      Evaluation

      The main organizers received feedback in the course of the protest and adapted their strategy as the situation changed, shifting their communication to articulate what they were trying to do and explaining their choices rather than simply appealing to their authority as an organization or as Palestinians. Nonetheless, some participants have expressed displeasure about how things unfolded. It was difficult to get comprehensive information about what was going on, and this hindered people from making their own decisions and acting autonomously. Some anarchists who were on the ground report that the vessel was still being loaded when the organizers called off the event; others question the choice not to reveal the fact that the military was loading the equipment while the demonstration still had numbers and momentum.

      It is hard to determine to what extent organizers intentionally withheld information. We believe that it is important to offer constructive feedback and principled criticism while resisting the temptation to make assumptions about others’ intentions (or, at worst, to engage in snitch-jacketing, which can undermine efforts to respond to actual infiltration and security breaches in the movement and often contributes to misdiagnosing the problems in play).

      Cooperating with the authorities—especially at the expense of other radicals—is always unacceptable. This is a staple of events dominated by authoritarian organizations. Fortunately, nothing of this kind appears to have occurred during the blockade on November 6. Those on either side of this debate should be careful to resist knee-jerk reactions and to avoid projecting bad intentions onto imagined all-white “adventurists” or repressive “peace police.”

      In that spirit, we will spell out our concern. The organizers simultaneously announced that the weapons had been loaded onto the ship, and at the same time, declared victory. This fosters room for suspicion that the original intention had been to “block the boat” symbolically without actually hampering the weapons shipment, in order to create the impression of achieving a “movement win” without any substantive impact. Such empty victories can deflate movements and momentum, sowing distrust in the hundreds of people who showed up on short notice with the intention of stopping weapons from reaching Israel. It might be better to acknowledge failure, admitting that despite our best efforts, the authorities succeeded in their goal, and affirming that we have to step up our efforts if we want to save lives in Gaza. We need organizers to be honest with us so we know what we are up against.

      It’s important to highlight that ultimately it was the military that loaded the ship, not the ILWU. This move was unprecedented, just like the military spying on demonstrators during the Port Militarization Resistance. But it should not have been unexpected. From now on, we should bear in mind that the military is prepared to intervene directly in the logistics of capitalism.

      This also highlights a weakness in the strategy of blocking a ship by means of a picket line and blockading the streets around the terminal. To have actually stopped the ship, a much more disruptive action would have been called for, potentially including storming the terminal itself and risking police violence and arrests. This isn’t to say that storming the port would have been practical, nor to argue that there is never any reason to blockade the terminal in the way that we did. Rather, the point is that the mechanics of war-capitalism are more pervasive and adaptable than the strategies that people employed to block it in Oakland and Tacoma. Any form of escalation will require more militancy and risk tolerance.

      At the same time, we should be honest about our capabilities, our limits, and the challenges we face. Although many people were prepared to engage in a picket, storming a secured facility involves different considerations and material preparation, and demands a cool-headed assessment of benefits versus consequences. We should not simply blame the organizers for the fact that it did not happen. A powerful enough movement cannot be held back, not even by its leaders.

      Considering that the United States military outmaneuvered the picket strategy—and in view of the grave stakes of what is occurring Palestine—”Why not storm the port?” might be a good starting point for future strategizing. Yet from this point forward, the port is only going to become more and more secure. Another approach would be to pan back from the port, looking for points of intervention outside it. In this regard, the rail blockade in Olympia in 2017 might offer a promising example.

      Likewise, while we should explore ways to resolve differences when we have to work together, we can also look for ways to share information and coordinate while organizing autonomously. We might not be able to reach consensus about what strategy to use, but we can explore where we agree and diverge, acquire and circulate intelligence, and try many different strategies at once.

      The logic and logistics of the ruling order are intertwined all the world over. Israeli weapons helped Azerbaijan invade the Armenian enclave of Nagorno-Karabakh in September. The technologies of surveillance, occupation, and repression, refined from besieging Gaza and fragmenting the West Bank, are deployed along the deadly southern border of the United States. The FBI calls Israeli tech firms when they need to hack into someone’s phone. Everything is connected, from the ports on the Salish Sea to the eastern coast of the Mediterranean.

      Here’s to mutiny in the belly of the empire. If not us, then who? If not now, then when?

      https://pugetsoundanarchists.org/shutting-down-the-port-of-tacoma

    • Des #syndicats du monde entier tentent d’empêcher les livraisons d’armes vers Israël

      #Liège, Gênes, Barcelone, #Melbourne, #Oakland, #Toronto et peut-être bientôt différents ports français… Depuis le début du bombardement de Gaza, des syndicats ont tenté de bloquer des livraisons d’armes vers Israël, rappelant la tradition de lutte internationaliste du syndicalisme. Des initiatives insuffisantes pour entraver l’armement du pays, mais qui ont le mérite de mettre les États exportateurs d’armes face à leurs responsabilités.

      Peut-on compter sur la solidarité internationaliste des syndicats pour mettre fin à l’attaque de Gaza ? C’est en tout cas ce que veut croire la coordination syndicale Workers in Palestine. Composée de dizaines de syndicats palestiniens rassemblant travailleurs agricoles, pharmaciens ou encore enseignants, elle a lancé un appel aux travailleurs du monde entier afin d’entraver l’acheminement de matériel militaire vers Israël.

      « Nous lançons cet appel alors que nous constatons des tentatives visant à interdire et à réduire au silence toute forme de solidarité avec le peuple palestinien. Nous vous demandons de vous exprimer et d’agir face à l’injustice, comme les syndicats l’ont fait historiquement », écrivait-elle le 16 octobre. Dans la foulée, elle appelait à deux journées d’actions internationales les 9 et 10 novembre pour empêcher les livraisons d’armes.

      Tradition de lutte anti-impérialiste du syndicalisme

      En rappelant la tradition internationaliste du syndicalisme, Workers in Palestine inscrit son appel dans l’histoire des luttes syndicales contre les guerres impérialistes et coloniales. Une tradition qui n’est pas étrangère aux syndicats Français. Ainsi, en 1949, une grève organisée par les dockers de la CGT sur le port de Marseille permettait de bloquer plusieurs bateaux destinés à acheminer des armes vers l’Indochine, alors en pleine guerre de décolonisation. Et ce mode d’action n’a pas été oublié depuis. En 2019, les dockers du port de Gênes se sont mis en grève afin de ne pas avoir à charger un navire soupçonné de transporter des armes (françaises) vers l’Arabie Saoudite. « On a aussi fait des actions pendant la guerre en Irak », se remémore Didier Lebbe, secrétaire permanent de la CNE, un des syndicats belge qui a récemment refusé de transporter des armes vers Israël.

      Qu’ils répondent consciemment à l’appel de Workers in Palestine ou non, des syndicats et des collectifs citoyens ont organisé des actions sur des lieux stratégiques du commerce d’armes depuis le début des bombardements sur Gaza. Des blocages et des manifestations ont eu lieu sur les ports de Tacoma aux Etat-unis, ou encore à Melbourne, en Australie ou à Toronto au Canada. A Barcelone, des dockers ont déclaré vouloir refuser de charger ou de décharger tout matériel militaire en lien avec les bombardements à Gaza. Nous avons choisi de nous attarder sur quatre de ces initiatives.

      A Gênes, les dockers visent une entreprise de matériel militaire

      « De 2019 à aujourd’hui, nous avons bloqué presque deux fois par an les navires transportant des armes vers des zones de guerre comme le Yémen, le Kurdistan, l’Afrique et Gaza », explique Josè Nivoi, docker génois et syndicaliste à l’Unions Sindicale di Base (USB). C’est dans la continuité de ces actions qu’il s’est mobilisé avec ses collègues et son syndicat, à l’appel de Workers in Palestine. Vendredi 10 novembre, près de 400 personnes ont manifesté devant le port de Gênes pour protester contre l’envoi d’armes en Israël. Les dockers ont ensuite marché vers les locaux de Zim integrated Shipping Service, une entreprise israélienne de transport de marchandises et de matériel militaire.

      Après l’attaque du Hamas le 7 octobre, cette dernière a proposé son aide à Israël afin d’y acheminer du matériel. « Nous avons des camarades qui surveillent les navires et peuvent voir s’il y a des armes à bord », glisse le docker. Il ajoute que cette action s’inscrit dans la tradition, encore très forte à Gênes, des mobilisation anti-fasciste et anti-impérialsites : « Nous avons toujours été solidaires des peuples qui luttent pour l’autodétermination, et la question palestinienne fait partie de ces luttes. Nous sommes des travailleurs internationalistes et c’est pourquoi nous voulons nous battre pour essayer de changer les choses », explique le docker.

      En Angleterre, une usine d’armes bloquée temporairement

      Le même jour, près de 400 syndicalistes ont bloqué l’usine d’armes de l’entreprise BAE, à Rochester en Angleterre. L’usine d’arme fabrique notamment des « systèmes d’interception actif » pour les jet F35, « utilisés actuellement par Israël pour bombarder Gaza », écrivent les syndicats organisateurs de cette mobilisation. Art, culture, éducation, santé, sept organisations syndicales se sont retrouvées sous le mot d’ordre « Travailleurs pour une Palestine libre », répondant également à l’appel des syndicats palestiniens du 16 octobre.

      « L’industrie d’armement britannique, subventionnée par de l’argent public, est impliquée dans les massacres de Palestiniens. Nous sommes ici aujourd’hui pour perturber la machine de guerre israélienne et prendre position contre la complicité de notre gouvernement et nous exhortons les travailleurs de tout le Royaume-Uni à prendre des mesures similaires sur leurs lieux de travail et dans leurs communautés », explique une professeur qui manifestait vendredi à Dorchester.

      En Belgique les syndicats de l’aviation refusent de charger des armes vers Israël

      Si les avions de passagers ne relient plus Israël et la Belgique depuis l’attaque du Hamas, des avions cargos continuent de transporter des armes vers l’État hébreu, selon des syndicats. « On constate même une augmentation des vols cargo depuis Liège vers Tel Aviv », confie Christian Delcourt, porte-parole de l’aéroport de Liège, à la presse belge. Un phénomène qui n’a pas échappé aux travailleurs de ces sites. « Dans le courant du mois d’octobre, des manutentionnaires nous ont informés qu’ils chargeaient des armes dans des avions civils commerciaux. D’habitude, ces cargaisons doivent être transportées par des avions militaires. Mais quoi qu’il en soit, il n’était pas question pour eux de participer à une guerre, particulièrement quand on sait que des civils sont massacrés », explique Didier Lebbe, secrétaire permanent de la CNE. Le syndicat chrétien, majoritaire dans ces aéroports, prend alors contact avec trois autres syndicats du secteur pour rédiger un communiqué commun. « Alors qu’un génocide est en cours en Palestine, les travailleurs des différents aéroports de Belgique voient des armes partir vers des zones de guerre », écrivent-ils fin octobre. L’initiative fait en partie mouche : « parmi les deux compagnies aériennes qui effectuent ces livraisons, l’une d’elle les a arrêtées. L’autre, c’est une compagnie israélienne », soutient Didier Lebbe.

      En France, les dockers s’organisent

      En France, si aucun syndicat n’a pour l’instant appelé à des actions sur les lieux de travail, la fédération CGT Ports et docks pourrait bientôt rejoindre le mouvement international. La semaine prochaine, au port du Pirée à Athènes,12 organisations syndicales de dockers et portuaires européennes, membres de l’EDC (European Dockworkers Council )doivent se réunir pour une assemblée générale. « Au niveau français, on va pousser pour obtenir une journée d’arrêt de travail dans tous les ports européens pour manifester notre volonté d’un processus de paix, et dénoncer tous les conflits armés », affirme Tony Hautbois, secrétaire général de la fédération CGT Ports et docks. La possibilité d’un boycott des syndicats sur le transport d’armes vers Israël sera aussi en débat, il pourrait déboucher sur une position commune entre ces syndicats, qui regroupent 20 000 dockers à travers l’Europe.

      D’autres syndicats français ont également mis en avant la nécessité d’une action sur l’outil de travail pour empêcher les livraisons d’armes vers Israël. La fédération Sud-Rail a ainsi appelé à s’exprimer dans la rue « mais aussi avec les méthodes de la lutte des classes, comme la grève ». Sur le réseau social X (ex-Twitter), l’union locale CGT de Guingamp a relayé l’appel de Workers in Palestine.

      Des actions symboliques qui ne pèsent pas réellement sur le conflit…

      Pourtant, même si les initiatives syndicales essaiment, elles ne suffisent pas à entraver la capacité d’armement d’Israël. « Même si la vente de matériel militaire était bloquée en France, cela ne pèserait pas beaucoup. On estime que notre pays vend environ 20 millions d’euros de composants militaires par an à Israël. C’est incomparable avec ce que l’on vend aux Emirats arabes unis, par exemple », explique Patrice Bouveret, cofondateur de l’Observatoire des armements, centre d’étude antimilitariste basé à Lyon. A cela s’ajoutent les ventes de biens dits « à double usage », des composants qui peuvent servir pour produire du matériel militaire, ou non. « Mais il s’agit de matériel d’une telle précision qu’il est bien souvent utilisé uniquement pour les armes », commente Patrice Bouveret. Ces biens représentent une somme évaluée à 34 millions par le ministère de l’économie dans un rapport (voir tableau p. 38) remis aux parlementaires en juin 2023.

      « Le principal fournisseur d’armes à Israël, ce sont les États-Unis : près de 4 milliards d’euros de vente d’armes. Les américains entreposent également des stocks d’armes en Israël dans laquelle cette dernière peut puiser. Enfin, comme Israël a des capacités de production, elle peut importer des composants moins chers, qu’elle pourra elle-même transformer », continue Patrice Bouveret.

      …mais qui mettent les États face à leurs responsabilités

      Ces actions ont toutefois le mérite de poser la question de la responsabilité des États producteurs ou exportateurs d’armes dans les bombardements israéliens sur la bande de Gaza et sa population. Alors que 10 000 personnes sont mortes sous les bombes israéliennes, dont 4000 enfants, les termes « nettoyage ethnique », « génocide », ou « crimes de guerre » commencent à se faire entendre dans les plus hautes instances internationales. « La punition collective infligée par Israël aux civils palestiniens est également un crime de guerre, tout comme l’évacuation forcée illégale de civils », a déclaré Volker Türk, Haut Commissaire des Nations unies pour les réfugiés, le 8 novembre.

      Les accords et traités internationaux sont très clairs sur l’implication de pays tiers dans la commission de crimes de guerre, notamment par le biais de la vente d’armes. Le traité sur le commerce des armes (TCA), interdit tout transfert d’armes qui pourrait être employé dans le cadre de crimes de guerre. Amnesty international a déjà alerté sur l’implication de la France dans la vente d’armes à l’Arabie Saoudite, accusée de bombarder sans distinction la population civile au Yémen, où elle mène une guerre contre les rebelles Houthis, depuis huit ans.

      Quant à savoir si les bombardement israéliens constituent un crime de guerre ou un génocide, c’est à la cour pénale Internationale d’en décider. Une plainte pour « génocide » a déjà été déposée par une centaines de palestiniens, tandis que la France enquête déjà sur de possibles « crimes de guerre » du Hamas. Reporter sans Frontière a aussi déposé une plainte pour « crimes de guerres » après la mort de journalistes palestiniens et israéliens. Enfin, l’ONU enquête actuellement en Israël et en Palestine sur de possibles crimes de guerres, en lien avec l’attaque du Hamas le 7 octobre, ou les bombardements israéliens sur la bande de Gaza depuis un mois.

      https://rapportsdeforce.fr/linternationale/des-syndicats-du-monde-entier-tentent-dempecher-les-livraisons-darme

  • #Etats-Unis : nous ne sommes pas capables d’arrêter le genocide perpétré par l’état sioniste que nous protégeons ostensiblement et alimentons en armes 24 heures sur 24.

    US Says It’s Powerless To Stop The Genocide That It Is Directly Funding And Supplying
    https://www.caitlinjohnst.one/p/us-says-its-powerless-to-stop-the

    In a bizarre new article titled “White House frustrated by Israel’s onslaught but sees few options,” The Washington Post reports that the Biden administration believes Israel has gone too far and is killing too many civilians in its assault on Gaza, but are powerless to do anything about it.

    L’extrait de l’article du WAPO
    https://seenthis.net/messages/1024948

    #leadership

  • Il n’y a jamais eu de #Nakba et nous allons en tenter une deuxieme (langue sioniste)

    Israeli think tank lays out a blueprint for the complete ethnic cleansing of Gaza –…
    https://seenthis.net/messages/1023122

    On October 17, the Misgav Institute for National Security & Zionist Strategy published a position paper advocating for the “relocation and final settlement of the entire Gaza population.” The report advocates exploiting the current moment to accomplish a long-held Zionist goal of moving Palestinians off the land of historic Palestine. The report’s subtitle makes it clear: “There is at the moment a unique and rare opportunity to evacuate the whole Gaza Strip in coordination with the Egyptian government.” 

    The Misgav Institute is headed by former Netanyahu National Security Advisor Meir Ben Shabbat, who remains influential in Israeli security circles.

    Visualizing Palestine sur X :
    https://seenthis.net/messages/1022757

    The Nakba did not end in 1948. We’re witnessing its continuation with the displacement of 600K Palestinians in Gaza and 87 families across 8 villages in the West Bank.

    “Step Back from the Brink” : Ex-Israeli Peace Negotiator DanielLevy Decries Israel’s Actions in Gaza
    https://seenthis.net/messages/1023242

    […] we have heard a lot of talk coming out of Israel in the last years, and it has only intensified, including after October 7th, of a second Nakba, of a second forced displacement of Palestinians.

    Itay Epshtain sur X
    https://seenthis.net/messages/1023717

    Israel’s Ministry of Intelligence deportation directive outlines the four stages:
    1. A call on Palestinian civilians to vacate north #Gaza and allow for land operations;
    2. Sequential land operations from north to south Gaza;
    3. Leaving routes open across Rafah;
    4. Establishing “tent cities” in northern Sinai and the construction of cities to resettle Palestinians in #Egypt.

  • Une manifestation propalestinienne prévue à Paris samedi interdite par le préfet de police
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/10/26/une-manifestation-propalestinienne-prevue-a-paris-samedi-interdite-par-le-pr

    Laurent Nuñez a mis en avant un risque de « trouble à l’ordre public » en raison de « propos » tenus par les organisateurs pouvant « laisser à penser » qu’ils consitutaient un « soutien au Hamas ».

    .... « Ce n’est pas une question de maintien de l’ordre (…), le critère est plutôt immatériel », a argué Laurent Nuñez. « Le trouble à l’ordre public peut être immatériel. Le seul fait qu’on puisse tenir des propos négationnistes, antisémites ou de soutien au terrorisme, c’est pour nous un problème, c’est ce qui justifie ces interdictions », a-t-il déclaré, citant des organisations comme le Front populaire de libération de la Palestine en France et le NPA (Nouveau parti anticapitaliste).

    (plus qu’à attendre le résultat du référé liberté qui devrait avoir lieu...)

    Israël-Hamas : les dangers de la polarisation politique française
    ÉDITORIAL
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/26/israel-hamas-les-dangers-de-la-polarisation-politique-francaise_6196596_3232

    A chaque embrasement dans la région, le sujet a suscité des clivages. Cette fois, c’est la polarisation aux extrêmes qui domine. Dans ce contexte incendiaire, il était urgent pour Emmanuel Macron de dissiper les malentendus susceptibles de servir de carburant à l’un ou l’autre camp.

    ... refusant de qualifier le Hamas d’organisation terroriste, Jean-Luc Mélenchon a fait le pari cynique d’être le mieux placé pour récupérer la colère dans les banlieues, si un jour elle explose. Si Marine Le Pen se présente désormais comme la meilleure alliée d’Israël, c’est pour mieux blanchir son parti de son passé antisémite.

    .... Parce que le premier réflexe du gouvernement français avait été d’interdire les manifestations propalestiniennes, le sentiment avait pu prévaloir que la position française était devenue univoque. Le malaise est aujourd’hui heureusement dissipé. (youpi !)

  • Les cartes sont-elles « objectives » ?

    Alors que des milliards de milliards de données sont créées sans cesse sur tout, l’ensemble du territoire n’est aujourd’hui pas entièrement cartographié. Que signifient la présence de blancs dans les cartes ? Quels en sont les enjeux de #pouvoir ?

    Tout part de l’observation de cartes anciennes qui représentent des contrées mal connues par les cartographes européens. L’Afrique, L’Amérique latine, dont a vient juste de découvrir les côtes. Dans les espaces encore inconnus, on laisse de larges #espaces_blancs, agrémentés d’animaux exotiques qu’on imagine se trouver là : des tigres, des éléphants, de petites montagnes stylisés ou des humains représentés sous une forme exotique. Il y a comme une part de rêve dans ce qui n’est pas représenté par la carte : le #vide semble nous raconter plus d’histoire que le plein et nous dire : « il était une fois, dans une contrée très éloignée... ». D’ailleurs les informations dessinées dans le blanc des cartes étaient imaginaires, c’était une époque où la géographie avait à voir avec la fiction. Ce #blanc_des_cartes avait un effet puissant sur l’imagination des explorateurs…

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/geographie-a-la-carte/les-cartes-sont-elles-objectives-6785331
    #audio #podcast #cartographie #objectivité #Matthieu_Noucher #géographie_du_vide #imaginaire #imagination #blanc

    ping @visionscarto

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    Voir aussi :
    Blancs des cartes et boîtes noires algorithmiques


    https://seenthis.net/messages/1004355
    #livre

  • écoute un truc sur la sexualité des punaises de lit... zyva, elles sont carrément wokes ! C’est complètement à tort qu’on les a arbitrairement classées parmi les hétéroptères, en réalité elles sont grave libérées, les bestioles ! Sans tabous ! Hétérotes, homotes, bi, trans, queers, gender fluid, non-binaires et patin-couffin, ça y va chez les arthropodes ! En fait faut pas chercher plus loin, c’est uniquement pour ça que tou(te)s les droitistes et autres petit(e)s bourgeois(es) décadent(e)s leur déclarent subitement la guerre et en font tout un pataquès ! Ce n’est pas une question d’hygiène, mais d’idéologie ! Allez allez, fichez la paix aux insectes et ouvrez vos chakras, les capitalos, respirez, faut pas être jalouses(-oux), avec la tête que vous avez ce n’est certes pas gagné mais si vous vous décoincez du derche vous aussi vous aurez peut-être une identité de genre et une sexualité un jour !