• À l’image du texte : Geste de l’écriture et manipulation des images. Mon intervention dans le cadre du colloque international : « Les iconothèques d’écrivain·e·s contemporain·e·s » à l’Université du Québec à Montréal

    http://liminaire.fr/liminaire/article/a-l-image-du-texte-geste-de-l-ecriture-et-manipulation-des-images

    https://youtu.be/gRXJee7njgs

    Cette année je présente trois de mes textes publiés, Les accolades (Contre mur, 2014), Laisse venir, co-écrit avec Anne Savelli (La Marelle éditions, 2017) et L’esprit d’escalier (La Marelle éditions, 2020) et l’un de mes tous derniers projets encore en cours : L’espace d’un instant. (...) #Livre, #Lecture, #Écriture, #Langage, #Exposition, #Poésie, #Marseille, #Montréal, #UQAM #Numérique, #Création, #Art, ❞

  • #Journal du #Regard : Mars 2022
    http://liminaire.fr/journal/article/journal-du-regard-mars-2022

    https://youtu.be/CRjiTUYzZUY

    Chaque mois, un film regroupant l’ensemble des images prises au fil des jours, le mois précédent, et le texte qui s’écrit en creux. « Une sorte de palimpseste, dans lequel doivent transparaître les traces - ténues mais non déchiffrables - de l’écriture “préalable” ». Jorge Luis Borges, Fictions Nous ne faisons qu’apparaître dans un monde soumis comme nous au pouvoir du temps. Dans le silence qui suit la fin du signal de départ. Dans un seul et unique instant. Non pas suites sans principe de (...) #Journal / #Vidéo, #Architecture, #Art, #Écriture, #Voix, #Sons, #Paris, #Marseille, #Paysage, #Ville, #Journal_du_regard, #Regard, #Dérive, #Ciel, #Voyage, (...)

  • Lecture d’un extrait du livre « Vide sanitaire » de François Durif paru aux éditions Verticales

    http://liminaire.fr/radio-marelle/article/vide-sanitaire-de-francois-durif

    À sa sortie des Beaux-Arts, François Durif devient croque-mort pendant trois ans pour gagner sa vie, avant de retrouver finalement une pratique artistique. L’auteur décrit son quotidien aux pompes funèbres, chronique ses « passages à vide », revenant sur son enfance, sa découverte des lieux de drague homosexuelle à Paris, et son parcours artistique. Ce récit suit la narration itinérante d’une de ses performances promenées au cimetière du Père-Lachaise. (...) #Radio_Marelle / #Écriture, #Quotidien, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Vidéo, #En_lisant_en_écrivant, #Biographie, #Hétérotopies, #Podcast, #Voix, #Art, #Mort, #Cimetière, (...)

    http://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_vide_sanitaire_franc_ois_durif.mp4

    https://www.gallimard.fr/Catalogue/GALLIMARD/Verticales/Verticales/Vide-sanitaire

  • #Schwa: storia, motivi e obiettivi di una proposta

    Una dichiarazione di intenti

    «Lo statuto della sociolinguistica è simile a quello di molte scienze umane; essa accoglie e fonde nozioni del senso comune, assiomi e concetti tecnici, esigenze di formalizzazione e di quantificazione; presuppone nel suo cultore più anime coesistenti; alla sintesi impressionista oppone il linguaggio delle statistiche e dei questionari, ma rivendica poi l’insostituibilità dell’intuizione, dell’empatia antropologica; aspira a generalizzazioni ampie e insieme spia le particolarità del vivere quotidiano. Se il linguista è un curioso di parole, che può osservare anche nelle pagine di un dizionario, il sociolinguista è un curioso di discorsi, che deve necessariamente spiare nella pratica viva dell’interazione. Ma a caratterizzarlo non è soltanto il campo visuale delle sue osservazioni; è la spinta a interpretare quel che vede, a cercare correlazioni pertinenti tra i comportamenti linguistici da un lato e la struttura della società, dei suoi ruoli, status, funzioni, istituzioni, dall’altro. A differenza del linguista, non considererà estranee alla sua attenzione categorie come il potere e l’autorità, il conflitto e l’antagonismo, la subordinazione, lo scambio, la legittimazione, la solidarietà; al contrario, ne cercherà le manifestazioni, ordinarie o solenni, e i meccanismi di controllo e manipolazione».

    Apro il mio pezzo con una lunga citazione di Giorgio Raimondo Cardona (Introduzione alla sociolinguistica, a cura di Glauco Sanga, UTET, Torino, 2009, pp. 5-6); lo faccio non tanto per richiamare un argumentum auctoritatis, quanto per mettere subito in chiaro quale sia l’impostazione di studio e ricerca che ho fatto mia da molti anni. In particolare, ritengo una necessità quella di non scindere i fatti linguistici dai fatti sociali, pena – a mio avviso – una visione solo parziale del quadro che si ha di fronte. Per questo, parlerò qui di (socio)linguistica, certo; ma vorrei che al centro del discorso rimanessero coloro che troppo spesso ne vengono estromesse, ossia le persone.

    Che cos’è lo schwa e come mai se ne discute

    La questione di cui mi occupo da qualche anno ha come suo fulcro un simbolo: lo schwa o scevà, nome che indica una e ruotata di 180°, ossia ə, un simbolo appartenente all’IPA, International Phonetic Alphabet o Alfabeto Fonetico Internazionale, un alfabeto “di lavoro” usato in ambito linguistico per descrivere i suoni linguistici delle lingue del mondo. Osservando la trascrizione fonetica di una parola, dunque, è possibile, posto che si conosca l’IPA, comprenderne la pronuncia.

    In particolare, lo schwa indica una vocale media-centrale, che si situa al centro del quadrilatero vocalico: se, dunque, per pronunciare le altre vocali occorre “deformare la bocca” (pensiamo ad a-e-i-o-u), per pronunciare lo schwa la bocca va tenuta in posizione rilassata, semiaperta. È il suono iniziale dell’inglese about, come pure quello finale del napoletano jamm; tale suono non è presente nell’italiano standard, e il simbolo manca dal nostro alfabeto; in compenso lo schwa, seppure con un valore fonetico leggermente diverso, fa parte da qualche tempo dell’alfabeto latino della lingua azera e anche di quello pan-nigeriano; si noti, peraltro, che in azero la versione maiuscola dello schwa è lo stesso carattere aumentato di dimensioni, ə-Ə, mentre nel pan-nigeriano lo schwa maiuscolo è una E rovesciata: ə-Ǝ.

    Il motivo per cui questo simbolo è diventato oggetto di un’accesa discussione, che ha portato fino alla creazione di una petizione su change.org intitolata “Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra” (https://www.change.org/p/lo-schwa-%C9%99-no-grazie-pro-lingua-nostra), è che negli ultimi anni il suo uso ha iniziato a diffondersi in vari contesti per cercare di superare quello che alcune categorie di persone giudicano come un limite espressivo della lingua italiana, ossia il fatto che non sia possibile non esprimere il genere di una persona o di un gruppo di persone.

    L’italiano, una lingua con genere grammaticale

    L’italiano, come è noto, è una lingua dotata di due generi grammaticali: sostantivi e pronomi sono o di genere maschile o di genere femminile, tertium non datur (per un’analisi dettagliata, cfr. Federica Formato, Gender, Discourse and Ideology in Italian, Palgrave Macmillan, London, 2019, specialmente cap. 2, An Overview of Grammatical Gender in Italian, pp. 39-80). Mentre per oggetti inanimati e concetti la distinzione appare convenzionale (anche se non del tutto priva di conseguenze a livello semantico, come argomenta ad esempio la scienziata cognitiva e psicologa Lera Boroditsky), per animali ed esseri umani il genere grammaticale tende a essere scelto in accordo con il sesso dell’animale o il genere della persona che si va a designare. Sebbene più fonti colleghino tradizionalmente il genere grammaticale al sesso biologico, ritengo che, quando si parla di persone, sarebbe ancora più preciso dire che il genere grammaticale viene scelto in base al genere percepito di una determinata persona (si pensi al personaggio femminile interpretato dall’attore Gianluca Gori, Drusilla Foer, normalmente nominato al femminile al di là del suo sesso biologico: nella percezione, infatti, è una donna). Aggiungiamo, infine, che l’italiano ha notoriamente perso il neutro, che esisteva in latino in riferimento, principalmente, a concetti astratti e oggetti.

    Sesso, genere, orientamento sessuale: cerchiamo di fare chiarezza

    Oggigiorno, la percezione diffusa è ancora che il mondo sia composto di esseri umani di sesso maschile e di sesso femminile. Nel suo importante libro Queer. Storia culturale della comunità LGBT+ (Einaudi, Torino, 2021), Maya De Leo spiega come questa concezione dicotomica del sesso, ossia il dimorfismo sessuale, si diffonda massicciamente nel XVIII Secolo anche grazie alle (supposte) scoperte in campo medico. Precedentemente, il centro del sistema era rappresentato dal maschio, rispetto al quale la femmina non era altro che una «versione imperfetta» (p. 19); d’altro canto, però, la concezione androcentrica permetteva concettualmente l’esistenza di altri sessi «a minor grado di perfezione» (p. 13), comprese persone intersex (una volta definite ermafrodite) e in altri modi non conformi al genere. Il dimorfismo sessuale, che ancora oggi è la concezione prevalente, «non prevede […] la possibilità di corpi non riconducibili a uno dei due poli» (p. 20). Eppure, nel frattempo, la medicina, e la conoscenza dell’essere umano in generale, sono andate avanti, permettendo di scoprire che esiste una percentuale di persone con caratteristiche cromosomiche “non standard”, quindi non-XX e non-XY, ma anche che l’identità di genere di una persona è ben più complessa del suo sesso biologico. Per l’esattezza, per ogni essere umano possiamo identificare:

    1) Il sesso biologico assegnato alla nascita: normalmente maschile o femminile, dunque; e siccome l’assegnazione del sesso alla nascita si basa, nella maggioranza dei casi, sull’osservazione delle caratteristiche fisiche dell’infante, è possibile che situazioni di intersessualità non vengano scoperte in quel momento, e in alcuni casi addirittura mai.

    2) L’identità di genere: è un insieme di fattori psicologici e culturali e risponde, all’incirca, alla domanda “come mi sento”: maschio, femmina, altro? Si definisce con il termine cappello transgender una persona che, genericamente, non si identifica nel sesso assegnatole alla nascita, mentre da qualche tempo viene definita cisgender chi, al contrario, vi si riconosce. Io, ad esempio, sono una donna cisgender. Sotto il termine transgender abbiamo, invece, persone transessuali, ma anche non binarie, gender-fluid, agender, genderqueer, genderflux, genderfuck, in generale gender non-conforming. Molta terminologia del settore, al momento, è in inglese, perché la consapevolezza rispetto a questi temi è sicuramente più avanzata in ambito angloamericano (cfr. Sally Hines, Il genere è fluido?, Nutrimenti, Roma, 2021, traduzione di Martina Rinaldi di Is Gender Fluid?, 2018).

    3) Non ovunque, però, è possibile manifestare liberamente la propria identità di genere, giacché il coming out come persona transgender implica spesso molte difficoltà, se non veri e propri pericoli, a livello sociale (su questo rimando ancora alla disamina di De Leo 2021). Dunque, un terzo fattore è proprio l’espressione di genere, che all’incirca risponde alla domanda “come mi presento”.

    4) Infine, ogni persona ha un orientamento sessuale: semplificando, è la risposta alla domanda “chi mi piace”. Normalmente, sempre come lascito della visione dicotomica di cui sopra, tenderemo a pensare che esistano persone eterosessuali e omosessuali; in realtà, ultimamente sta venendo nominata una pletora di altre sessualità come, ad esempio, la bisessualità, la pansessualità, l’asessualità, ecc. (per questa nomenclatura rimando alle pagg. 16-21 di AA.VV., Questioni di un certo genere. Le identità sessuali, i diritti, le parole da usare: una guida per saperne di più e parlarne meglio, Iperborea, Milano, 2021).

    Identità di genere e schwa

    Questa lunga premessa era, a mio avviso, necessaria per cercare di comprendere meglio la radice della questione dello schwa. L’apertura del ventaglio delle identità di genere verso “generi altri” crea una tensione con la tipologia della nostra lingua, che de facto prevede solo maschile e femminile. Dunque, chi non si riconosce in questo dimorfismo, prova un disagio dovuto all’incapacità di trovare una sistemazione all’interno del sistema-lingua.

    Normalmente, a questo ragionamento si obietta in due modi: il primo ricorre all’affermazione che, in fondo, la questione è residuale perché impatta direttamente solo su un numero molto limitato di persone; come scrive Cecilia Robustelli su Micromega (30 aprile 2021): «la quasi totalità delle persone è identificabile su base sessuale come maschio o femmina. È vero, le persone intersex (1%) restano fuori, ma eliminare le desinenze grammaticali significa impedire la rappresentazione di metà della popolazione italiana, quella di sesso femminile» (si noti che si rimane sul piano del sesso biologico, nominando le persone intersex, e non si parla di identità di genere). In realtà, ricordando che non si tratta di eliminare le desinenze grammaticali, ma di ricercare ulteriori modi per esprimersi, al di là del problema posto dalla necessità di nominare direttamente le persone non binarie esistono numerose situazioni in cui forse sarebbe meglio non creare alcun bias di genere (si pensi a un annuncio di lavoro). La seconda obiezione è che la soluzione migliore, quella prevista dalla grammatica italiana, rimarrebbe quella di ricorrere senza distorsioni al maschile sovraesteso (chiamato di volta in volta inclusivo, non marcato, neutro ecc.), come ci ricorda Paolo D’Achille nella sua dettagliata analisi pubblicata sul sito web dell’Accademia della Crusca.

    Mi sento di dissentire da entrambe le affermazioni; tornerò al primo punto nel prosieguo, mentre qui vorrei fare riferimento ai diversi studi che rilevano come l’uso del maschile sovraesteso sia tutt’altro che “naturale”, quanto piuttosto motivato da questioni storiche e culturali: «La lingua quotidiana riflette e amplifica una divisione già di per sé così netta come quella sessuale, e il predominio sociale dei ruoli maschili impronta di sé anche la nostra concezione della lingua; infatti quella che viene sempre assunta come forma “normale” di una lingua è proprio quella usualmente parlata dagli uomini» (Cardona, op. cit., p. 74). Non solo, ma è anche dato ormai verificato che l’uso del maschile non è privo di conseguenze a livello cognitivo: lo studioso Pascal Gygax lo rileva da molti anni (qui una lista delle sue pubblicazioni; qui la sua presentazione al simposio di studi Équivalences; Gygax viene citato anche da Giuliana Giusti in un suo recente articolo sul tema. Cfr. anche Federica Formato, op.cit., cap. 3, Feminine Forms Between Recommendations and Usages, pp. 81-133).

    La strada dello schwa si incrocia con la questione di genere all’incirca una decina di anni fa, quando nelle comunità LGBTQIA+, nei collettivi transfemministi, intersezionali o anarca-femministi (per questa definizione, cfr. Chiara Bottici, Manifesto anarca femminista, Laterza, Roma-Bari, 2022), iniziano a manifestare la propria presenza persone gender non-conforming. Per tenere conto di loro, in vari gruppi si ricorre a soluzioni “fatte in casa” per cercare di superare non solo il maschile sovraesteso, sentito già come non sufficiente dalle donne, in particolare le femministe (come già argomentato da Alma Sabatini nel suo famoso saggio Il sessismo nella lingua italiana, 1987), ma anche la doppia forma (“Buonasera a tutte e tutti”), osservando semplicemente che quel “tutte e tutti” non comprende tutta la varietà umana esistente.

    Le soluzioni adottate – tuttora in circolazione – sono molte, dall’asterisco (“Buonasera a tutt*”) alla chiocciola, all’apostrofo, alla barra; dalla u (“Buonasera a tuttu”) alla x, alla z, allo schwa (“Buonasera a tuttə”). Queste soluzioni (di cui ho cercato di fornire un elenco, per quanto parziale, nel 2020, qui, e che sono recentemente state sottoposte a una prima analisi quantitativa da Gloria Comandini, Salve a tuttə, tutt*, tuttu, tuttx e tutt@: l’uso delle strategie di neutralizzazione di genere nella comunità queer online, “Testo e senso”, 23, 2021) rispondono ad almeno due necessità: quella di rivolgersi a una moltitudine mista e quella di parlare a una persona che non si riconosce nel binarismo di genere. Dunque, sarebbe forse corretto identificare questi tentativi come la ricerca non di un neutro o di un terzo genere, ma di una forma priva di genere. È difficile trovare attestazioni di questa prima fase, perché il grosso di tali sperimentazioni è avvenuto all’interno delle specifiche comunità, in assenza di una regia comune.

    La prima vera e stabile attestazione dello schwa è dunque rappresentata da un articolo pubblicato online nel 2015 a firma di Luca Boschetto, “Proposta per l’introduzione della schwa come desinenza per un italiano neutro rispetto al genere, o italiano inclusivo”; successivamente, nel 2020, il testo di quell’articolo è diventato parte del sito web Italiano Inclusivo, creato e mantenuto a oggi sempre da Boschetto; non un linguista, dunque, ma una persona interessata a fatti di lingua che fa parte della comunità queer. La proposta di Boschetto è di integrare l’italiano con due caratteri diversi: lo “schwa breve”, “ə”, per il singolare, e lo “schwa lungo”, “ɜ”, per il plurale; sul sito vengono fornite anche delle linee guida piuttosto puntuali per il loro uso.

    Quando, nel 2020, la casa editrice effequ decise di tradurre e pubblicare Feminismo em comum, un libro della femminista brasiliana Marcia Tiburi (che è apparso in Italia, nella traduzione di Eloisa Del Giudice, con il titolo Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune), si trovò di fronte una difficoltà: in un paio di occorrenze l’autrice usa nel testo il plurale “inclusivo” in e che esiste ufficiosamente sia in spagnolo sia in portoghese: accanto a todas e todos, dunque, anche todes. Si noti, peraltro, che queste sperimentazioni linguistiche hanno destato e destano proteste da parte del mondo accademico nei paesi ispanofoni e lusofoni.

    Nel 2019, era stato pubblicato dalla stessa casa editrice il mio libro Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, che accenna al tema dello schwa in un breve trafiletto di una decina di righe (pp. 184-185):

    «In italiano, alcuni tentativi per far riemergere una sorta di neutro hanno portato all’impiego, nello scritto, dell’asterisco in fine di parola: car* tutt*; un uso interessante e molto espressivo, forse più elegante del raddoppio care tutte e cari tutti, che può effettivamente diventare molto farraginoso, ma con un difetto che non può che limitarne l’impiego su ampia scala: l’impronunciabilità. Proprio tenendo conto di questo limite oggettivo, qualche tempo fa avevo proposto (ma non sono stata la prima a farlo) l’impiego, in questi contesti, dello schwa, ossia della vocale indistinta che, nell’alfabeto fonetico internazionale, viene identificata con il simbolo ə: lo si trova in molti dialetti, in fine di parola (per esempio, in napoletano), ed è la vocale che potremmo descrivere come il suono che emettiamo quando abbiamo la bocca ‘a riposo’, non contraiamo nessun muscolo ed emettiamo semplicemente un suono così, con il viso rilassato. Certo, lo schwa ha a sua volta un limite: il simbolo non è presente sulla tastiera standard, e anzi, è noto solo a una parte della comunità dei parlanti. Ciononostante, chissà che non possa un giorno porsi come alternativa valida per i casi in cui non identificare il genere di una moltitudine o di una persona è rilevante: Carə colleghə, siete tuttə benvenutə.»

    A partire da questa idea in nuce, effequ iniziò a pensare alla possibilità di rendere todes con lo schwa, tuttə; un impiego, quindi, che è differente da quello proposto da Italiano Inclusivo (che all’epoca di quella prima formulazione non era noto né a me né a effequ), e alla cui sistematizzazione ho successivamente lavorato assieme alla casa editrice; secondo la “scuola di pensiero” che io stessa seguo, basta un solo simbolo in più per gestire sia il singolare sia il plurale, dato che nella quasi totalità dei casi gli accordi intrafrasali sono sufficienti per disambiguare il significato: “lə scrittorə sceltə dalla commissione vincerà un premio in denaro” vs “ə scrittorə sceltə dalla commissione vinceranno in premio in denaro” (cfr. Cos’è quella “e” rovesciata, in Questioni di un certo genere, op.cit., pp. 24-33).

    Dopo quella prima sperimentazione, dunque, effequ ha deciso di impiegare lo schwa al posto del maschile sovraesteso nella sua collana di saggistica (i “Saggi Pop”). Proprio la necessità di usare il simbolo con consistenza e coerenza, pur nella consapevolezza che si tratta di un esperimento, ha reso necessaria la creazione di una norma redazionale consistente, che riporto qui per sommi capi, e che compare anche nel già citato Questioni di un certo genere, p. 32.

    – Sostantivi (singolare): la sindaca, il sindaco, lə sindacə; la dottoressa, il dottore, lə dottorə; la poeta, il poeta, lə poeta; l’autrice, l’autore, l’autorə, un’amante, un amante, unə amante.

    – Sostantivi (plurale): le sindache, i sindaci, ə sindacə; le dottoresse, i dottori, ə dottorə; le poete, i poeti, ə poetə, le autrici, gli autori, ə autorə; delle amanti, degli amanti, deə amanti.

    – Pronome personale 3a persona singolare: lei, lui, ləi; a lei/le, a lui/gli, a ləi, lə.

    La scelta, nel caso di termini come lettore/lettrice, di unire lo schwa alla radice lettor-, nasce dall’osservazione che i femminili dei nomi in -tore e -sore prevedono, tra gli esiti possibili, quello a suffisso zero (come gestora accanto a gestrice, o assessora, o incisora). Il pronome personale ləi pone senz’altro delle difficoltà in più, poiché normalmente lo schwa si trova in posizione atona, non tonica; tuttavia, esistono esempi, nelle lingue del mondo, di ə in posizione tonica, a testimonianza del fatto che non si tratta di un’articolazione foneticamente impossibile, per quanto indubbiamente complessa, soprattutto per una persona italofona.

    È interessante notare che da qualche tempo in tedesco si usa, con funzione “epicena”, la doppia suffissazione (Bürger+Bürgerinnen=Bürger*innen); uno degli ostacoli citati più spesso da coloro che si oppongono all’esperimento è quello della difficoltà di pronuncia. In realtà, come argomentato dal sociolinguista Carsten Sinner durante un recente convegno, il modo più semplice per pronunciare tali nessi è inserendo un colpo di glottide, che i germanofoni impiegano già inconsciamente in molte altre occasioni (ad es, nella pronuncia di Rührei ‘uovo strapazzato’); dunque, un po’ come per lo schwa in italiano, si tratta di rendere consapevole una pronuncia presente inconsapevolmente nei parlanti.

    Chiaramente, gli esempi offerti non coprono tutta la casistica che si incontra in una lingua, ma a oggi le due “scuole” (Italiano Inclusivo ed effequ) sono quelle che presentano lo stadio più avanzato di sistematicità nell’uso; d’altro canto, è evidente (e anche normale) che in una fase di sperimentazione diffusa ci siano numerose incertezze, non esistendo una direzione normante e comune, quanto piuttosto il desiderio di provare a impiegare un linguaggio meno connotato per genere. Per quanto, dunque, le sperimentazioni con lo schwa siano diventate più diffuse, si notano oscillazioni nel suo impiego (si veda, ad es. Michela Murgia, Chiara Tagliaferri, L’uomo ricco sono io, Mondadori, Milano, 2021), che non sono altro che l’ulteriore dimostrazione della mancanza di quell’“imposizione dall’alto” che viene invece spesso paventata da più parti.

    Nel 2021 Femminili singolari è stato ripubblicato con l’aggiunta di un capitolo intitolato L’avventura dello schwa, che tenta di ricostruire quanto successo tra il 2020 e oggi. In più, il volume è stato aggiornato inserendo nel testo lo schwa al posto del maschile sovraesteso; recentemente, ne è stata pubblicata la versione audiolibro, letta quindi con lo schwa. Per dare invece un esempio di testo scritto con lo schwa, ecco un passaggio da In altre parole. Dizionario minimo di diversità, di Fabrizio Acanfora (effequ, Firenze, 2021, p. 42):

    «È importante essere consapevoli del ruolo fondamentale del linguaggio nella costruzione della nostra realtà e della realtà di coloro che incontriamo sul nostro cammino. Il modo in cui ci rivolgeremo a loro, le parole che useremo per posizionarci nei confronti deə altrə e per descrivere la loro identità in relazione al nostro mondo, avrà un’influenza diretta sulle loro vite non solo a livello personale ed emotivo, ma contribuirà a forgiare la percezione che il mondo avrà di loro influendo anche su aspetti come i diritti, le leggi, le libertà. Bisogna essere consapevoli che garantire a ciascunə il diritto a esistere non toglie nulla a noi e ai nostri diritti. È importante domandarci come le persone diverse da noi desiderino essere definite e rappresentate, perché questo semplice gesto garantisce loro l’esistenza, almeno nel nostro mondo, e non è poco. E dobbiamo capire che allargare le nostre possibilità linguistiche interrogandoci ad esempio sull’uso dei pronomi e su quanto le nostre consuetudini non includano una fetta anche piuttosto consistente della popolazione, abbia conseguenze dirette sulla loro visibilità come individui aventi gli stessi diritti e le stesse opportunità di chiunque altrə».

    Come si può notare, la presenza del simbolo non è così impattante come si potrebbe pensare, e viene ridotta al minimo indispensabile. In generale, l’idea che segue effequ è di limitare il ricorso allo schwa allo stretto necessario, preferendo, ove possibile, formulazioni alternative (come sto cercando di fare anche in questo articolo), ad esempio tramite il ricorso a termini semanticamente neutri come persona, individuo, essere umano, o a circonlocuzioni come la cittadinanza, la popolazione studentesca, chi lavora in questa azienda ecc.

    Il passaggio da questione di nicchia al mainstream

    La questione dello schwa sarebbe probabilmente rimasta interna a contesti specifici, se il 25 luglio 2020 il giornalista Mattia Feltri non avesse pubblicato un trafiletto intitolato Allarmi siam fascistə sulla prima pagina del quotidiano La Stampa. Riporto qui il testo, rimandando a Manuel Favaro, Linguaggio inclusivo e sessismo linguistico: un’introduzione (Testo&Senso, 23, pp. 7-9) e al già citato estratto da Femminili Singolari (2021) per una disamina dei fatti attorno alla sua uscita.

    «Anche se non siete entomologi dei social, anzi entomolog*, vi sarà capitato d’imbattervi in parole scritte con l’asterisco al posto dell’ultima vocale. L’asterisco indica un plurale né femminile né maschile, poiché in italiano il plurale neutro finisce in -i, e coincide col maschile. Dunque è sessismo. Cioè, se scrivo cari amici intendo cari amici e care amiche, ma il maschile che psicologicamente prevale sul femminile fa di me un fascio. Quindi scriverò car* amic*. Francamente, non so se scrivendo car* lettor* sono lo stesso un po’ fascio, essendo il femminile lettrici, e qui l’asterisco fallisce. Comunque l’asterisco è perfetto anche nel singolare se converso con una persona fluida, cioè dal genere inespresso dalle rudimentali categorie maschio/femmina. Ma quando passo alla comunicazione orale? Su Facebook un’accademica della Crusca – dove ritengono oltraggioso per la nostra lingua se i ragazzi dicono spoilerare anziché svelare il finale – suggerisce l’uso dello schwa. È un fonema che si pronuncia a metà fra la a e la e come nell’inglese about, e si scrive ə. Penso ai professori, anzi professor*, anzi professorə. Quando vi rivolgete aglə studentə d’ora in poi dovete scrivere e dire studentə. Forza, ripetete con me: “Ragazzə, aprite il libro a pagina ventuno”. Dai dev’essere qualcosa fra ragazzae e ragazzea. Non è chiaro? Facciamo così: fino a ragazz ci siamo, poi dite una vocale che sia una specie d’abbozzo di sbadiglio, ragazzaoew. Vabbè, pensate a Stanlio e Ollio e sarà sufficiente. L’uditorio, maturo e consapevole, apprezzerà lo sforzo e non vi sputerà addosso: non è che potete diventare democraticə dalla sera alla mattina, bruttə fascistə.»

    Questo testo è rilevante, nella vicenda, perché rappresenta a mio avviso il momento dello spillover, della tracimazione dell’istanza da ambiti circoscritti a un pubblico indistinto; ed essendo il trafiletto scritto con un tono ben preciso, di scherno misto a indignazione, è anche il testo che definisce, in buona parte, il tenore della discussione successiva, portando a una repentina quanto violenta polarizzazione tra schwaisti e contrari allo schwa (sulla disamina dei vari contributi di intellettuali, linguisti e linguiste pubblicati nei mesi successivi a tale elzeviro, rimando ai testi già citati di Favaro e Gheno).

    È importante sottolineare un aspetto: stiamo discutendo di una tra le soluzioni “ampie” nate in seno alle comunità LGBTQIA+, usata da membri di tali comunità e da simpatizzanti con la causa, generalmente in un numero limitato di contesti e spesso non in maniera consistente, che ha raggiunto un certo grado di standardizzazione perché almeno una casa editrice ha deciso di usarlo in maniera regolare in una sua collana, mentre diverse altre lo hanno impiegato in alcuni dei loro volumi (ad es. Grada Kilomba, Memorie della piantagione. Episodi di razzismo quotidiano, Capovolte, Alessandria, 2021, traduzione di Mackda Ghebremariam Tesfaù e Marie Moïse di Plantation Memories. Episodes of Everyday Racism, 2008; Zoe Mendelson, Pussypedia, Fabbri, Milano, 2022, traduzione di Angela Lombardo e Stefania Ionta dell’omonimo originale del 2021).

    Dunque, successivamente alla sua nascita e alla sua iniziale circolazione, si è sentita l’esigenza di definirne l’uso in maniera più precisa, anche se tali norme non sono usate univocamente e in maniera diffusa. Si può, considerato tutto questo, parlare davvero di un uso “inventato a tavolino” e “imposto dall’alto”? Dove si riscontra tale obbligo? Eppure, uno dei punti forti della già citata petizione è proprio la supposta imposizione, tanto che nel testo si parla della «proposta di una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un’intera comunità di parlanti e di scriventi»; peraltro, di tali direttive impositive non viene fornito alcun esempio.

    In un altro passaggio della stessa petizione, il promotore scrive:

    «Lo schwa e altri simboli (slash, asterischi, chioccioline, ecc.), oppure specifici suoni (come la «u» in «Caru tuttu», per «Cari tutti, care tutte»), che si vorrebbe introdurre a modificare l’uso linguistico italiano corrente, non sono motivati da reali richieste di cambiamento. Sono invece il frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività».

    Penso che il disagio linguistico manifestato da una minoranza che fa in ogni caso parte della nostra comunità di parlanti sia reale (basta, del resto, confrontarsi con le persone direttamente interessate alla questione per averne una conferma), e che questo fermento linguistico ne sia un segnale concreto, per quanto rimanga assolutamente imprevedibile la direzione che la riflessione prenderà: non è da escludere che si possa, un giorno, tornare pacificamente all’uso del maschile sovraesteso, ma solamente se questo avverrà con una mentalità completamente diversa da quella attuale. Ma questo è un problema diverso.

    Lo schwa in contesti ufficiali

    In realtà, la pietra dello scandalo, per molti tra quelli che hanno sottoscritto la petizione, pare essere il fatto che lo schwa (breve e lungo) sia finito in sei verbali di una commissione ministeriale per l’Abilitazione Scientifica Nazionale. Si noti che di questo si occupa un singolo passaggio della suddetta petizione, che infatti è stata più comunemente interpretata come una sorta di grido di allarme contro il presunto degrado della lingua italiana.

    Sono d’accordo che dei documenti ministeriali non siano il contesto più adatto per una sperimentazione linguistica (così come avevo avuto qualche perplessità quando l’amministrazione comunale di Castelfranco Emilia aveva deciso di adottare lo schwa nella sua comunicazione social; a quanto vedo, peraltro, il Comune è successivamente tornato sui suoi passi). La prima strategia di non-espressione del genere dovrebbe rimanere quella di scegliere, ove possibile, circonlocuzioni semanticamente neutre; non si può, infatti, prestare attenzione alla questione di genere dimenticandosi di chi potrebbe subire un danno nella sua capacità di decodificare il testo (ad esempio persone anziane o con una scarsa conoscenza dell’italiano). Insomma, la leggibilità deve venire preservata, soprattutto per documenti che devono essere fruibili da un pubblico ampio e indistinto.

    Per lo specifico caso dei verbali in discussione, tuttavia, considerando che si è trattato della decisione di un singolo estensore, il professor Maurizio Decastri, che successivamente ha spiegato le proprie ragioni in una lettera pubblicata sul blog del Corriere La 27a ora, non credo che la strada giusta per discutere della sua scelta fosse quella di creare una petizione pubblica: contro cosa, esattamente? Con quali finalità? Per ottenere quale risultato? (per una critica dettagliata al testo della petizione, consiglio la visione del video registrato dal filoso femminista ed estetologo Lorenzo Gasparrini e la lettura di Matteo Pascoletti, L’assurda petizione per ‘difendere’ la lingua italiana, “Valigia Blu”, 9 febbraio 2022, nonché di Dario Accolla, La congiura (inesistente) dello schwa, ibid., 13 febbraio 2022).

    Contro lo schwa

    Il popoloso fronte di anti-schwaisti solleva numerose obiezioni. Vediamo le principali; per un approfondimento su questo tema, rimando a un articolo recentemente uscito su Valigia Blu (Schwa, asterisco e linguaggio inclusivo: proviamo a rispondere alle critiche più frequenti, 4 marzo 2022).

    Lo schwa crea difficoltà di lettura

    In primis, lo schwa rappresenterebbe un problema per persone dislessiche, neurodivergenti o, in generale, con difficoltà di lettura (per esempio le persone anziane). Questa questione è reale e da non sottovalutare. Tuttavia, la difficoltà di fronte alle forme di linguaggio ampio non è unanime, come si legge in questa lettera aperta comparsa sulla pagina Facebook di Fərocia e promossa da «persone neurodivergenti appartenenti alla comunità lgbtiaq+, insegnanti, attivistə e semplici allies». Il già citato Fabrizio Acanfora è autistico (lui sceglie per sé la definizione identity first, per cui la uso in ossequio al suo desiderio), e ha più volte ribadito, assieme ad altri membri della sua comunità, di non provare particolari difficoltà nella lettura e nell’uso dello schwa. Del resto, se si riflette in una prospettiva intersezionale (sul concetto di intersezionalità cfr. Barbara Giovanna Bello, Intersezionalità. Teorie e pratiche tra diritto e società, FrancoAngeli, Milano, 2020), appare più chiaro come non abbia senso mettere una minoranza (quella di dislessici e neurodivergenti) contro un’altra (quella delle persone gender non-conforming); intanto, perché ci sono persone che appartengono a entrambe le categorie; secondariamente, perché se le soluzioni oggi in circolazione non soddisfano ogni soggettività, nulla vieta di cercare altre vie o di ricorrere ad altre soluzioni.

    Lo schwa non è supportato dalla tecnologia

    In secondo luogo, lo schwa sarebbe difficile da usare perché le tastiere non lo riportano; in più, non è riconosciuto dai lettori vocali di testo, essenziali, tra l’altro, per rendere fruibili i testi per persone cieche e ipovedenti. Questa è una questione reale e seria quanto quella precedente. Tuttavia, in questo caso i problemi sono legati alla tecnologia, più che alle persone, e questo vuol dire che forse sono risolvibili più facilmente.

    Intanto, nella primavera del 2021 il sistema operativo Android ha inserito lo schwa tra le alternative della lettera e sulla tastiera di cellulari e tablet che lo montano; a settembre dello stesso anno la medesima innovazione è stata introdotta da Apple per iOs. Al momento, digitare lo schwa sulla tastiera di un computer è più difficile, ma non impossibile, anche se indubbiamente è necessario ricorrere a qualche accorgimento in più. Per quanto riguarda, invece, la tecnologia assistiva, il problema non è di facile risoluzione; tuttavia, se ci fosse un vero interesse a impegnarsi per superare questo limite, ossia la leggibilità dello schwa da parte dei software di lettura, la questione potrebbe probabilmente essere risolta in tempi contenuti.

    Lo schwa e gli ostacoli presenti nel sistema lingua

    Lo schwa sarebbe de facto “impossibile” a livello di sistema linguistico: su questo hanno dato il loro parere molte persone di grandissima competenza, come Roberta D’Alessandro («Una regola come quella dello schwa, nel sistema italiano che marca il genere binario e ha il maschile di default (cioè lo usa nei verbi impersonali o in quelli meteorologici) non è acquisibile» [Huffington Post, 21 settembre 2021]), Cristiana De Sanctis, presente anche in questo Speciale («Decidere di agire sulla terminazione o sul corpo delle parole per occultare il genere, in ogni caso, non equivale a intervenire solo sull’ortografia (non si tratta di cambiare una lettera, sostituendola con un simbolo più “neutro”): vuol dire intaccare in profondità la morfologia della nostra lingua, smagliandone anche la sintassi (che non può prescindere dalla regola dell’accordo) e la testualità (l’accordo delle parole, anche a distanza, è uno dei requisiti della buona formazione dei testi perché contribuisce alla coesione, cioè alla compattezza del discorso). Sarebbe comodo, certo, pensare di estendere un espediente ‘semplice’ (facilmente accessibile oramai sulle tastiere alfanumeriche) per risolvere i nostri problemi di (in)tolleranza e convivenza civile, se non ci fosse una controindicazione tanto forte da agire come dissuasore: non solo avalleremmo una soluzione semplicistica, ma ci sottrarremmo alle regole grammaticali della nostra lingua, acquisite in modo libero e spontaneo da ogni parlante madrelingua» [Treccani, 9 febbraio 2022]), Giuliana Giusti (cfr. Inclusività della lingua italiana, nella lingua italiana: come e perché. Fondamenti teorici e proposte operative, in “DEP – Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile” n° 48, 1/2022”), Cristina Lavinio (Generi grammaticali e identità di genere, in “Testo e senso”, n° 23, dicembre 2021, pp. 31-42), ecc.

    Ritengo che continuare a discutere sulla liceità di un uso sperimentale già diffuso sia fuori fuoco: un “fatto di lingua” esiste nel momento in cui ci sono persone che vi fanno ricorso; questo non implica però che tale uso debba arrivare in alcun modo “a regime”. In altre parole io stessa, da persona che sta studiando il fenomeno (e che, in quanto ally della comunità LGBTQIA+, usa lo schwa in alcune situazioni per rimarcare il proprio interesse per l’istanza), non credo che lo schwa sia la soluzione definitiva al problema, quanto piuttosto il segnale di un’esigenza per la quale, al momento, non è stata pensata una risposta più sostenibile di questa. Tutto questo, per quanto mi riguarda, non toglie minimamente rilevanza agli esperimenti inclusivi. Bisognerebbe quindi casomai riflettere sulla loro praticabilità o sulla possibilità di altre soluzioni, come si è fatto recentemente al già citato simposio multilingue Équivalences (i materiali condivisi in tale occasione dal sociolinguista Carsten Sinner sono utilissimi perché forniscono una disamina delle varie soluzioni inclusive implementate in tedesco e francese).

    Approcci di studio differenti non sono insoliti all’interno della stessa branca del sapere; dunque, anche quella che genericamente potrebbe essere definita “linguistica” è fatta da mille rivoli differenti: dalla pragmatica alla glottologia, dalla psicolinguistica alla sociolinguistica, dalla storia della lingua alla linguistica descrittiva, ecc. Quando ventun anni fa iniziavo a ragionare sulla mia tesi di laurea, che volevo dedicare al linguaggio dei newsgroup, tra le prime forme di aggregazione virtuale, professori e professoresse con cui mi ero consultata per il tema ne misero in dubbio la rilevanza, chiedendomi se fossi sicura di scrivere una tesi di laurea su un argomento “che entro qualche anno perderà qualsiasi rilievo”. Più di due decenni dopo, quasi non esiste linguista che non abbia detto la sua sulla comunicazione mediata dal computer. È con lo stesso spirito laico, ma da entusiasta frequentatrice della comunità LGBTQIA+, che adesso studio le molte realizzazioni del linguaggio ampio (e non inclusivo, così come cerco di non usare inclusività, ma preferisco l’espressione convivenza delle differenze, seguendo il ragionamento del già citato Acanfora).

    Lo schwa e la cancellazione del femminile

    Infine, spesso si parla dello schwa come di un tentativo di “opacizzazione del genere”, di cancellazione del femminile che a oggi, va riconosciuto, è ancora poco strutturato nell’uso. Nella mia esperienza personale, che del resto condivido con molte altre persone (si pensi solo alla visione anarca-femminista di Bottici, già menzionata precedentemente), lo schwa, se usato al posto del maschile sovraesteso e là dove doppie o triple forme à la Marcia Tiburi sarebbero insostenibili, non va a sostituire o nascondere il femminile, ma semplicemente a evitare il maschile sovraesteso con tutte le conseguenze cognitive legate al suo uso. La mia impostazione di femminista intersezionale non mi fa vedere le due istanze di visibilizzazione, quella femminile e quella queer, come in contrasto, bensì in continuità, come teorizza anche la linguista Manuela Manera (La lingua che cambia. Rappresentare le identità di genere, creare gli immaginari, aprire lo spazio linguistico, Eris Edizioni, Torino, 2021).

    Allo stesso modo, non penso che sia corretto pensare di sistemare prima la situazione femminile, riservando a un momento successivo la riflessione sulle persone gender non-conforming, perché in questo modo non si farebbe altro che spostare il confine del privilegio, senza però rimuovere le iniquità che, certo, sono sociali, ma che si realizzano anche a livello linguistico (su questo argomento, cfr. Kübra Gümüsay, Lingua e essere, Fandango, Roma, 2021, trad. di Lavinia Azzone di Sprache und Sein, 2020 e Vera Gheno, La lingua non deve essere un museo. La necessità di un linguaggio inclusivo, in AA.VV., Non si può più dire niente?, UTET, Torino, 2022, pp. 107-124).

    Il momento storico richiede studio, collaborazione, discussione e riflessioni sul tema nella maniera meno polarizzata possibile, prendendo atto dell’esistenza di un’esigenza che può inizialmente essere di difficile definizione ma, soprattutto, lavorando a contatto con le comunità LGBTQIA+, i cui malesseri e le cui richieste vengono ancora ascoltate troppo poco. Nella polarizzazione, esattamente come prevede il concetto dell’ingiustizia discorsiva («l’appartenenza a un gruppo sociale discriminato […] sembra distorcere e a volte annullare la possibilità di agire efficacemente con le proprie parole», cit. Claudia Bianchi, Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio, Laterza, Roma-Bari, 2021, p. 17), la voce del mondo queer viene spesso ignorata quasi del tutto. Come si può pensare di affrontare la questione senza dare ascolto a chi di questa riflessione linguistica sente il bisogno?

    Al di là delle questioni linguistiche, di sistema, è urgente mantenere una visione internazionale (già, perché la ricerca di una lingua abitabile comodamente anche dalle persone non binarie è in corso in molti idiomi) e soprattutto, come già menzionato, rimettere al centro le persone. Ho la sensazione che spesso si neghi l’esistenza di un indubbio privilegio, quello di avere una lingua a propria immagine e somiglianza, giustificandolo come uno stato di cose naturale e immutabile. Come scrive Sarah Schulman (The gentrification of the mind. Witness to a lost imagination, University of California Press, Berkeley, 2012, p.167):

    «In order to transform the structures, we who benefit from them would have to accept that our privileges are enforced, not earned. And that others, who are currently created as inferior, just simply lack the lifelong process of false inflation and its concrete material consequence. Facing this would mean altering our sense of self from deservingly superior to inflated. That would be uncomfortable. […] Being uncomfortable or asking others to be uncomfortable is practically considered antisocial because the revelation of truth is tremendously dangerous to supremacy. As a result, we have a society in which the happiness of the privileged is based on never starting the process towards becoming accountable».

    Invito chi ritiene che l’intera istanza sollevata dallo schwa sia una moda, o che determinate persone “soffrano” di una “fluttuazione del genere” (e non, invece, per le ingiuste conseguenze sociali date dall’avere un’identità di genere non conforme), o ancora, che queste questioni siano leziosità figlie di un’ossessione per il “politicamente corretto” (sul tema rimando a Federico Faloppa, Breve storia di una strumentalizzazione. Alle origini dell’espressione “politically correct”, in Non si può più dire niente?, op.cit., pp. 69-88), a leggere il testo di questo messaggio privato arrivatomi un anno fa su Facebook, che a mio avviso spiega la questione – e il mio approccio – meglio di qualsiasi dato empirico, oggettivo (il messaggio è riprodotto nella forma originale).

    «[…] Mia figlia adolescente, che sta vivendo un momento di passaggio probabilmente a un futuro genere maschile, non ama ovviamente essere interpellata al femminile. Io cerco di adeguarmi ma con grandissima fatica e spesso mi rendo conto di pronunciare la schwa come estremo tentativo di tenere in equilibrio i due generi che compongono la sua personalità. Sarà pure aborrita dai puristi della lingua ma io ci trovo un segnale di inclusività e amore verso il genere umano nelle sue infinite sfaccettature che non riesco a spiegare altrimenti se non raccontando la mia esperienza».

    Tutta questa riflessione è, forse, davvero marginale; ma del resto, come ci ricorda bell hooks (Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano, 1998, trad. di Maria Nadotti), è proprio al margine che si manifestano fermenti, innovazioni, istanze che talvolta, da una posizione centrale, si fatica a vedere.

    https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Schwa/4_Gheno.html

    #écriture_inclusive #schwa #italien #langue #genre

    • LO SCHWA TRA FANTASIA E NORMA

      COME SUPERARE IL MASCHILE SOVRAESTESO NELLA LINGUA ITALIANA

      Tra i problemi di cui mi occupo c’è quello dei cosiddetti nomina agentis, cioè i nomi professionali, declinati al femminile (ministra, assessora, ecc.). Nell’ambito delle questioni di genere, una discussione correlata riguarda il modo di rivolgersi a una moltitudine mista; la norma dell’italiano prevede che, anche in presenza di un solo maschio, si adotti il maschile sovraesteso (da non confondere con il neutro, che in italiano non esiste come genere a sé stante).

      Già Alma Sabatini, nelle sue Raccomandazioni (1987), consigliava di usare, ove ci fosse prevalenza femminile, il femminile sovraesteso, ma tale consuetudine non si è mai diffusa in modo massiccio. Nel corso del tempo, parallelamente all’aumento dell’attenzione nei confronti delle istanze queer, si è iniziato a ragionare sulla necessità di superare in qualche modo il binarismo linguistico, dato che esistono persone che non si identificano né con il maschile né con il femminile.

      Questo discorso non è stato accolto in maniera unanimemente positiva da tutti gli ambienti femministi, perché ad alcuni è sembrato che ragionare su una forma neutra sottintendesse la volontà di cancellare il femminile; ma come argomenta Jennifer Guerra nel suo libro Il corpo elettrico (Tlon),

      «Per un certo periodo è sembrato che le teorie queer volessero cancellare ogni differenza fra i generi e negare la differenza sessuale tout court. Ma non è così. Innanzitutto, non dobbiamo pensare alle teorie queer come a una sostituzione del femminismo o a una sua deriva.

      Le persone queer sono sempre esistite […]. Inoltre, i queer studies non suggeriscono affatto la distruzione o l’appiattimento del genere, ma la distruzione o, ancora meglio, la decostruzione delle norme di genere. Le stesse norme di genere che anche i femminismi si prefiggono di abbattere. Allora più che della sola identità, possiamo cominciare a parlare delle identità, più che di differenza possiamo cominciare a parlare delle differenze.».

      Il dibattito si è acuito recentemente in seguito alla condivisione social di una nota inserita all’inizio del libro di Valentine Wolf Post porno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali (Eris Edizioni), in cui l’autrice fa una scelta particolare, che decide, giustamente, di chiosare:

      «Nota: in questo libro si è scelto di non usare il maschile generalizzato previsto dalla norma grammaticale italiana in quanto espressione di un uso sessista della lingua. L’uso dell’asterisco al posto del suffisso finale di una parola permette di superare la dicotomia di genere femminile/maschile e usare una forma neutra, in un’ottica di inclusività. In un caso si troverà anche l’uso del suffisso non binario “u”».

      L’autrice è un’attivista e il libro tratta di una questione molto specifica: non si tratta di un testo rivolto a un pubblico generico. La nota, condivisa inizialmente – e con un giudizio favorevole rispetto alla scelta dell’autrice – il 17 luglio dalla linguista e studiosa delle questioni di genere Manuela Manera, inizia a girare, per lo più in forma decontestualizzata rispetto all’intento del post iniziale, privata dei suoi crediti, dando adito a commenti talora irripetibili. Pubblica la foto, sempre senza crediti, anche Diego Fusaro (nel suo post del 21 luglio si legge: «Le nuove rivoluzioni ortografiche. Quelle che davvero fanno male ai padroni e ai loro interessi»).

      Pochi giorni dopo, la casa editrice EffeQu, per la quale ho pubblicato, nella collana Saggi pop, un saggio intitolato Femminili singolari, annuncia di avere adottato una mia proposta inizialmente giocosa (che ho solo contribuito a divulgare, dato che esisteva già) di usare, per i plurali ambigeneri, lo schwa invece dell’asterisco, che pone un oggettivo problema di pronuncia. Lo spunto è un saggio sul femminismo dell’autrice brasiliana Marcia Tiburi, Il contrario della solitudine (trad. di Eloisa Del Giudice). Nel caso del saggio di Tiburi, la scelta di EffeQu serve per tradurre una forma terza usata dall’autrice nella sua lingua, ossia todes invece di todos e todas. L’idea di usare lo schwa, dunque, nasce in maniera ponderata per non cancellare, nella traduzione, la soluzione linguistica militante di Tiburi.

      Credo sia rilevante ribadire che in entrambi i casi abbiamo a che fare con testi nei quali la questione di genere è centrale alla trattazione. Questo aspetto è importante, perché è evidente che al momento – e forse anche per un tempo indefinitamente lungo – queste istanze saranno trattate solo in determinati testi e in determinati contesti. Nessuno sta puntando a cambiare la lingua italiana in blocco. Comunque, poiché ritengo rilevante che si discuta di queste questioni, vi ho accennato anche durante un mio intervento il 23 luglio a Prendiamola con filosofia, serata organizzata a Roma da Tlon.

      Il 25 luglio viene pubblicato, sul quotidiano La Stampa, un breve elzeviro a firma di Mattia Feltri (qui il testo integrale).

      Il pezzo, che contiene diverse imprecisioni (compreso il riferimento a una fantomatica accademica della Crusca: ce ne sono cinque, attive su Facebook, e nessuna di loro ha scritto nulla, pubblicamente, sullo schwa), mi spinge a una replica su Facebook. E la discussione continua, con interventi più o meno centrati.

      Ho riportato l’intera vicenda degli ultimi giorni per contestualizzare questo articolo. La discussione riguardo a forme linguistiche che vadano oltre il binarismo appare sovente viziata da preconcetti, scarse conoscenze e – perché no? – anche paure, come se fosse in corso un piano per sovvertire le regole dell’italiano as we know it.

      L’italiano è una lingua con genere grammaticale (nella quale, dunque, i sostantivi non possono che avere genere maschile o femminile); questo ha portato da anni a tentativi per trovare delle forme neutre nei contesti in cui si presta particolare attenzione al genere, in cui l’asterisco circola da anni; tuttavia, non c’è mai stata una vera linea comune, tanto è vero che sono state adottate molte soluzioni.

      Eccone una lista, compilata grazie ai miei contatti su Facebook:

      – Il tradizionale maschile sovraesteso: Cari tutti, siamo qui riuniti…

      – La doppia forma: Care tutte e cari tutti, siamo qui riunite e riuniti…

      – La circonlocuzione: Care persone qui riunite…

      – Il femminile sovraesteso: Care tutte, siamo qui riunite…

      – L’omissione dell’ultima lettera: Car tutt, siamo qui riunit…

      – Il trattino basso: Car_ tutt_, siamo qui riunit_…

      – L’asterisco: car* tutt*, siamo qui riunit*…

      – L’apostrofo: Car’ tutt’, siamo qui riunit’…

      – La chiocciola: car@ tutt@, siamo qui riunit@…

      – Lo schwa: Carə tuttə, siamo qui riunitə…

      – La u: Caru tuttu, siamo qui riunitu…

      – La x: Carx tuttx, siamo qui riunitx…

      – La y: Cary tutty, siamo qui riunity…

      – L’inserimento di entrambe le desinenze: Carei tuttei, siamo qui riunitei…

      – Entrambe le desinenze divise dal punto: Care.i tutte.i, siamo qui riunite.i…

      – Le desinenze divise con la barra: Care/i tutte/i, siamo qui riunite/i…

      Quattro gruppi di soluzioni, dunque, ognuna con i propri pregi e i propri limiti. Ho una preferenza per lo schwa perché questo simbolo, che appartiene all’alfabeto fonetico internazionale o IPA, International Phonetic Alphabet, rappresenta la vocale media per eccellenza: quella che possiamo pronunciare senza deformare in alcun modo la bocca (laddove A-E-I-O-U richiedono di fare… delle smorfie). Per chi non ne avesse chiaro il suono (che però è naturalmente presente in molti dialetti del Meridione), è una specie di forma intermedia tra A ed E. Per questa sua caratteristica, mi pare particolarmente adatto per il ruolo di identificatore del mix di generi maschile e femminile o di una moltitudine mista. Il vantaggio è che, al contrario di altri simboli non alfabetici, ha un suono (e un suono davvero medio, non come la U che in alcuni dialetti denota un maschile). Il problema principale è che il simbolo non compare al momento sulle tastiere di cellulari o computer; personalmente, o lo recupero dalla mappa caratteri oppure lo cerco e copio da Google. Per chi volesse approfondire la questione, esiste un intero sito, Italiano inclusivo, dedicato proprio a incoraggiare l’uso di questo segno.

      Ritengo che sia socialmente e culturalmente rilevante l’esistenza di una discussione in merito alla questione. Tutto questo va letto, a mio avviso, come un arricchimento dell’italiano, non come un attacco alla sua tradizione (anche perché, nel caso, si tratta di aggiungere qualcosa alla nostra lingua, non di sostituire). Sono d’accordo con Francesco Quatraro, una delle due teste che compongono EffeQu assieme a Silvia Costantino, quando scrive in un post su FB:

      «Per me la lingua è molto, praticamente tutto. Di questo tutto qui richiamo tre aspetti che trovo pertinenti: la fantasia, la norma e l’attenzione. Se non abbiamo una norma in grado di designare entrambi i generi non dico di inventarcela, ma almeno di cominciare a immaginarcela, a lavorarci su. Questo è uno dei compiti editoriali: fare una proposta, tracciare una (propria) norma, diffonderne le possibilità. E sia chiaro: ribadisco che il detto tentativo della nostra casa editrice lo considero del tutto provvisorio, anche perché manca ancora della fluidità e della precisione che solo il tempo e l’uso possono fornire. Inoltre, ognuno può, e sa, usare la norma che vuole – basta che ne sia consapevole. Però una cosa è importante: l’attenzione. […] Questo è uno dei punti di partenza per riflettere e far vivere una lingua, che alla fine dovrà essere sufficientemente ampia ed elastica per descrivere un altrettanto ampio ed elastico stato di cose: prestare attenzione al singolo, per evitare dunque di generalizzare (perché lo sappiamo, così nascono sdruciti stereotipi), e per riuscire a essere inclusivə. Tutto il corollario ideologico (che c’è perché la lingua FA ideologia) è comunque strumentale e tangenziale: qui si ragiona di possibilità, e noi come editori proviamo a preparare il campo».

      Mi sento di aggiungere un’unica cosa: dobbiamo discutere, dobbiamo scontrarci, anche, ma possiamo farlo in maniera pacata, senza per forza farne una guerra. La discussione linguistica può portare molti frutti, perché più teste ragionano sicuramente meglio.

      Il litigio perenne, lo sberleffo, la presa in giro dell’avversario invece portano solo a inutili polarizzazioni nelle quali, alla fine, si perde di vista l’oggetto stesso del contendere.

      https://lafalla.cassero.it/lo-schwa-tra-fantasia-e-norma

    • Salve a tuttə, tutt, tuttu, tuttx e tutt@: l’uso delle strategie di neutralizzazione di genere nella comunità queer online.*

      Gli ultimi mesi hanno visto protagonista del dibattito politico l’uso dello schwa come morfema di genere neutro, adatto a far riferimento alle persone non binarie, che non si identificano né nel genere femminile, né in quello maschile.

      Questo studio propone un’analisi delle diverse strategie di neutralizzazione di genere sub-standard italiane, utilizzate nella comunicazione scritta e informale delle comunità LGBTQIA+ online, con l’obiettivo di offrire una prima panoramica preliminare sull’effettivo uso che viene fatto di questi fenomeni. Attraverso l’annotazione manuale di CoGeNSI (Corpus of Gender Neutralization Strategies in Italian), un corpus formato da testi prodotti su pagine Facebook queer, si mostreranno le regolarità e le irregolarità nell’applicazione di queste strategie, le differenze d’uso tra i riferimenti alla propria persona e quelli ad altre persone, e il loro raro uso prettamente politico. Infine, si rifletterà su come queste strategie di neutralizzazione di genere sub-standard siano un fenomeno ampiamente caratterizzato dalla velocità e dall’espressività della comunicazione mediata dal computer informale.

      https://testoesenso.it/index.php/testoesenso/article/view/524

    • Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole

      Sindaca, architetta, avvocata: c’è chi ritiene intollerabile una declinazione al femminile di alcune professioni. E dietro a queste reazioni c’è un mondo di parole, un mondo fatto di storia e di usi che riflette quel che pensiamo, come ci costruiamo.
      Attraverso le innumerevoli esperienze avute sui social, personali e dell’Accademia della Crusca, l’autrice smonta, pezzo per pezzo, tutte le convinzioni linguistiche della comunità italiana, rintracciandone l’inclinazione irrimediabilmente maschilista.

      Questo libro mostra in che modo una rideterminazione del femminile si possa pensare a partire dalle sue parole e da un uso consapevole di esse, vero primo passo per una pratica femminista. Tutto con l’ironia che solo una social-linguista può avere.

      https://www.effequ.it/saggi-pop/femminili-singolari

  • Tarkos poète : Œuvres et documents, une exposition monographique d’ambition rétrospective à Marseille au Cipm et au Frac

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/tarkos-poete-oeuvres-et-documents-au-cipm-et-au-frac

    Tarkos poète est la première exposition monographique d’ambition rétrospective consacrée à la poésie de Christophe Tarkos. L’exposition se déploie au Cipm et au Frac Provence-Alpes-Côte d’Azur et réunit sur ces deux lieux, des publications, livres et revues devenus très rares et des documents originaux de toute nature tels que des carnets et des cahiers manuscrits, des pages A4, des vidéos et des audios de performances, parlées, improvisées, avec ou sans musique, des photocopies, des grands et des petits dessins. Un ensemble qui met en valeur tous les aspects de la pratique du poète, montrant ainsi la parfaite cohérence de son œuvre. (...) #Livre, #Lecture, #Ecriture, #Langage, #Exposition, #Poésie, #Marseille, #Cipm, #Frac, #Tarkos, #Art, ❞

  • Lecture d’un extrait du livre « Précipitations » de Sophie Weverbergh paru aux éditions Verticales

    http://liminaire.fr/radio-marelle/article/precipitations-de-sophie-weverbergh

    Pétra a trente-sept ans, enceinte de son deuxième garçon, et belle-mère de deux autres enfants. Elle se sent incompétente dans son rôle de mère et surtout celui de belle-mère. Laver, plier, repasser, ranger. L’enchevêtrement des tâches domestiques la rassure : « L’éternel retour du même, ce recommencement maternant, la démultiplication des tâches ménagères, la flopée de corvées » qui lui bouche les oreilles et remplit son temps, ses creux, son vide. Elle glisse tout doucement dans l’introspection de sa vie qu’elle trouve insipide, se sentant sans cesse jugée, inutile. (...) #Radio_Marelle / #Écriture, #Quotidien, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Vidéo, #En_lisant_en_écrivant, #Biographie, #Cirque, #Podcast, #Voix, #Maternité, #Femme, #Belgique, (...)

    http://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_pre_cipitations_sophie_weverbergh.mp4

    https://www.gallimard.fr/Catalogue/GALLIMARD/Verticales/Verticales/Precipitations

  • #Journal du #Regard : Février 2022
    http://liminaire.fr/journal/article/journal-du-regard-fevrier-2022

    https://youtu.be/zxwI3mQWX2c

    Chaque mois, un film regroupant l’ensemble des images prises au fil des jours, le mois précédent, et le texte qui s’écrit en creux. « Une sorte de palimpseste, dans lequel doivent transparaître les traces - ténues mais non déchiffrables - de l’écriture “préalable” ». Jorge Luis Borges, Fictions Nous ne faisons qu’apparaître dans un monde soumis comme nous au pouvoir du temps. Dans le silence qui suit la fin du signal de départ. Dans un seul et unique instant. Non pas suites sans principe de (...) #Journal / #Vidéo, #Architecture, #Art, #Écriture, #Voix, #Sons, #Paris, #Paysage, #Ville, #Journal_du_regard, #Regard, #Dérive, #Ciel, #Voyage, (...)

  • Pas de règles d’équilibre : L’impression vertigineuse d’une légère vibration de l’air

    http://liminaire.fr/palimpseste/article/pas-de-regles-d-equilibre

    Sur la plage. Le soleil vient de se lever. Brumes estivales. Houle au loin. Vent violent, assourdissant. Brusques rafales. Les vagues soulevées par les bourrasques de vent. Marée montante. Lendemain de fête. Fatigue de la nuit passée, à traîner de café en café. Dans la moiteur émolliente des vapeurs d’alcool, le souvenir diffus des danses débridées, des étreintes inachevées, des baisers volés, les échos de la musique surgissent par bribes inattendues. Costume blanc défraîchi, froissé, ensablé. Du mal à garder les yeux ouverts. À comprendre la scène qui se déroule en retrait, mystérieuse, incompréhensible. (...) #Livre / #Lecture, #Ecriture, #Langage, #Fiction, #Cinéma, #MonBeauSouci, ❞

  • Lecture d’un extrait du livre « L’amour la mer » de Pascal Quignard paru aux éditions Gallimard

    http://liminaire.fr/radio-marelle/article/l-amour-la-mer-de-pascal-quignard

    L’amour la mer raconte la vie et les amours de plusieurs musiciens dans l’Europe du XVIIème Siècle, sur fond d’épidémie, de famines et de guerres de religion. Les voix des personnages se déploient librement, s’assemblent et s’éloignent. Les chapitres, courtes vignettes et brèves scènes, se tissent de manière subtile, imperceptible, se superposant dans un flux temporel, figures interchangeables d’un jeu de cartes qui fait évoluer le sens du récit à mesure que les cartes sont battues, comme s’ils se diluaient dans leurs jeux, leurs dialogues et leurs monologues, hors de toute psychologie. (...) #Radio_Marelle / #Écriture, #Histoire, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Vidéo, #En_lisant_en_écrivant, #Biographie, #Cinéma, #Podcast, #Voix, #Musique, #Quignard, #Amour, #Création, (...)

    http://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_l_amour_la_mer_pascal_quignard.mp4

    https://www.gallimard.fr/Catalogue/GALLIMARD/Blanche/L-amour-la-mer

  • #L'espace_d'un_instant #60 : D’Antamok aux Philippines à Manaus au Brésil

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/l-espace-d-un-instant-60

    « La grande révélation n’était jamais arrivée. En fait, la grande révélation n’arrivait peut-être jamais. C’était plutôt de petits miracles quotidiens, des illuminations, allumettes craquées à l’improviste dans le noir ; en voici une. » Vers le phare, Virginia Woolf (...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Voix, #Sons, L’espace d’un instant, Fenêtre, #Quotidien, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage

  • Présentation et extraits du livre de Matthieu Gounelle : Un ciel de pierres : Voyage en Atacama, avec des dessins de Frédéric Pajak

    http://liminaire.fr/livre-lecture/article/un-ciel-de-pierres-voyage-en-atacama-de-matthieu-gounelle

    « Le désert de l’Atacama est l’une des régions les plus arides sur Terre. Il abrite la plus ancienne collection de météorites au monde dont certaines sont au sol depuis plus de deux millions d’années. Matthieu Gounel s’y rend régulièrement en expéditions. Il revient dans cet ouvrage sur sa passion, évoque l’histoire de ce lieu au fil du temps, de ses anciens habitants, les Changos, exterminés sans lutter, brisés par la variole et le catholicisme, l’alcoolisme et les mines « où les métaux précieux affleurent de toutes parts, semblant ruisseler comme un fleuve d’abondance sur la terre pâle et sèche. » Et puis les opposants à la dictature de Pinochet dont les os fragmentés, bien qu’invisibles, se dressent à l’horizon comme des pierres sacrées, livides et n’oubliant rien. Et quand on ne les faisait pas disparaître dans le désert, c’est dans la mer qu’on les jetait. Depuis des avions ou des hélicoptères. »(...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Dessins, #Biographie, #Atacama, #Désert, #Météorites, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage

  • Création littéraire et poétique à l’heure numérique : Journée d’échanges au MAC VAL dans le cadre du Festival Les Échappées

    http://liminaire.fr/liminaire/article/creation-litteraire-et-poetique-a-l-heure-numerique-2328

    https://vimeo.com/668244482

    Jeudi 24 mars 2022, de 9h30 à 17h : Journée d’échanges programmée par Pierre Ménard au MAC VAL (Place de la Libération, 94400 Vitry-sur-Seine), dans le cadre du Festival Les Échappées #3 (Festival Poésie – Musique – Numérique), un événement initié par le Département du Val-de-Marne.
    Réservations : directiondelaculture@valdemarne.fr
    (...) #Litterature, #Écriture, #Numérique, #Art, #Livre, #Lecture, #Récit, #Poésie, #Festival, #Performance (...)

  • Lecture d’un extrait du livre « La nuit de Rachel Cooper » de Christine Jeanney paru chez Publie.net

    http://liminaire.fr/radio-marelle/article/la-nuit-de-rachel-cooper-de-christine-jeanney

    Le livre de Christine Jeanney est un livre d’art et d’essai. Une lecture de La nuit du chasseur, l’unique film du comédien Charles Laughton, et en même temps le rêve de ce film. L’autrice raconte à plusieurs reprises l’histoire du film, bien consciente que « cette Nuit ne peut pas être résumée. » (...) #Radio_Marelle / #Écriture, #Histoire, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Vidéo, #En_lisant_en_écrivant, #Biographie, #Cinéma, #Podcast, #Voix, (...)

    http://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_la_nuit_de_rachel_cooper_christine_jeanney.mp4

    https://www.publie.net/livre/la-nuit-de-rachel-cooper-c-jeanney

  • #L'espace_d'un_instant #59 : De Kirovsk en Russie à Jalalabad en Afghanistan

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/l-espace-d-un-instant-59

    « La grande révélation n’était jamais arrivée. En fait, la grande révélation n’arrivait peut-être jamais. C’était plutôt de petits miracles quotidiens, des illuminations, allumettes craquées à l’improviste dans le noir ; en voici une. » Vers le phare, Virginia Woolf (...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Voix, #Sons, L’espace d’un instant, Fenêtre, #Quotidien, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage

  • Tentative d’épuisement d’un lieu planétaire : Un événement perecquien sur Twitter le 3 mars 2022

    http://liminaire.fr/liminaire/article/tentative-d-epuisement-d-un-lieu-planetaire

    Le 3 mars prochain marquera les 40 ans de la mort de Georges Perec. À cette occasion, célébrons son esprit encore vivace, le temps d’une performance collective éphémère, inspirée de son œuvre.

    Jeudi 3 mars 2022, de 12h30 à 13h30 heure de Paris, participez à la « Tentative d’épuisement d’un lieu planétaire ». [1]

    Mode d’emploi : chacun(e) se poste dans un lieu de son choix et décrit, à la manière « infraordinaire », ce qu’il voit et perçoit, le banal, le quotidien, et le poste en série sur Twitter. Chacun des tweets est accompagné systématiquement d’un hashtag donnant le nom de la ville où il/elle se trouve (#Kinshasa #Malakoff #Paris #Bruxelles #Poitiers #Tours #Marseille #Montevidéo #NewYork #Montréal #Rome #Madrid #Tokyo...), et du hashtag de l’événement #Perec40. (...) #Perec, #Écriture, #Histoire, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Poésie, #Hommage, #Performance, #Twitter (...)

  • #L'espace_d'un_instant #58 : De Tbilissi en Géorgie à Nsang en Guinée-Équatoriale

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/l-espace-d-un-instant-58

    « La grande révélation n’était jamais arrivée. En fait, la grande révélation n’arrivait peut-être jamais. C’était plutôt de petits miracles quotidiens, des illuminations, allumettes craquées à l’improviste dans le noir ; en voici une. » Vers le phare, Virginia Woolf (...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Voix, #Sons, L’espace d’un instant, Fenêtre, #Quotidien, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage

  • Présentation et lecture d’un extrait du livre « Dehors Jésus » , de Charles Pennequin, éditions P.O.L.

    http://liminaire.fr/livre-lecture/article/dehors-jesus-de-charles-pennequin

    Charles Pennequin propose avec ce texte une nouvelle Vie de Jésus. « Un bourdonnement qui déplie toute l’époque. » Jésus est un poète pour Charles Pennequin et ce Jésus est le portrait en creux de l’auteur. Tout un poème. Jésus marche sans arrêt. Parle sans arrêt. Il voyage. À travers les paysages et les villes, entre la frontière belge et la frontière française. Il voudrait tout redéfinir, tout changer autour de lui. Il tombe amoureux. Il réfléchit à voix haute. « La pensée est un organe vivant. Une vivance cachée. » (...) #Radio_Marelle / #Écriture, #Histoire, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Vidéo, #En_lisant_en_écrivant, #Biographie, #Guerre, #Podcast, #Voix, (...)

    https://youtu.be/4u5qduqWqEQ

    https://www.pol-editeur.com/index.php?spec=livre&ISBN=978-2-8180-5344-7

  • #Journal du #Regard : Janvier 2022
    http://liminaire.fr/journal/article/journal-du-regard-janvier-2022

    https://youtu.be/NXPZakLh7Zw

    Chaque mois, un film regroupant l’ensemble des images prises au fil des jours, le mois précédent, et le texte qui s’écrit en creux. « Une sorte de palimpseste, dans lequel doivent transparaître les traces - ténues mais non déchiffrables - de l’écriture “préalable” ». Jorge Luis Borges, Fictions Nous ne faisons qu’apparaître dans un monde soumis comme nous au pouvoir du temps. Dans le silence qui suit la fin du signal de départ. Dans un seul et unique instant. Non pas suites sans principe de (...) #Journal / #Vidéo, #Architecture, #Art, #Écriture, #Voix, #Sons, #Paris, #Paysage, #Ville, #Journal_du_regard, #Politique, #Regard, #Dérive, #Ciel, #Marseille, #Voyage, #Paris (...)

  • #L'espace_d'un_instant #57 : De Mafeteng au Lesotho à Tanna au Vanuatu

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/l-espace-d-un-instant-57

    « La grande révélation n’était jamais arrivée. En fait, la grande révélation n’arrivait peut-être jamais. C’était plutôt de petits miracles quotidiens, des illuminations, allumettes craquées à l’improviste dans le noir ; en voici une. » Vers le phare, Virginia Woolf (...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Voix, #Sons, L’espace d’un instant, Fenêtre, #Quotidien, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage

  • Lecture d’un extrait du livre « Une sortie honorable » d’Éric Vuillard

    http://liminaire.fr/radio-marelle/article/une-sortie-honorable-d-eric-vuillard

    Dans ce court récit, Éric Vuillard s’empare à nouveau d’un pan de l’Histoire (comme il avait pu le faire avec le nazisme dans L’ordre du jour (Prix Goncourt en 2017), pour s’arrêter cette fois-ci sur la guerre d’Indochine. Il dresse un portrait au vitriol de la Quatrième République moribonde, dont il caricature avec délice et férocité les principaux acteurs, vils et calculateurs : notables bouffis, nobles consanguins, maires et députés à vie, indéboulonnables du Palais Bourbon. (...) #Radio_Marelle / #Écriture, #Histoire, #Langage, #Livre, #Lecture, #Récit, #Vidéo, #En_lisant_en_écrivant, #Biographie, #Guerre, #Podcast, #Sexe, (...)

    http://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_une_sortie_honorable_e_ric_vuillard.mp4

    https://www.actes-sud.fr/catalogue/litterature/une-sortie-honorable

  • #L'espace_d'un_instant #56 : De Melekeok aux Palaos à Malé aux Îles Maldives

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/l-espace-d-un-instant-56

    « La grande révélation n’était jamais arrivée. En fait, la grande révélation n’arrivait peut-être jamais. C’était plutôt de petits miracles quotidiens, des illuminations, allumettes craquées à l’improviste dans le noir ; en voici une. » Vers le phare, Virginia Woolf (...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Voix, #Sons, L’espace d’un instant, Fenêtre, #Quotidien, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage

  • #L'espace_d'un_instant #55 : De Saint John’s à Antigua-et-Barbuda à Chisinau en Moldavie

    http://liminaire.fr/entre-les-lignes/article/l-espace-d-un-instant-55

    « La grande révélation n’était jamais arrivée. En fait, la grande révélation n’arrivait peut-être jamais. C’était plutôt de petits miracles quotidiens, des illuminations, allumettes craquées à l’improviste dans le noir ; en voici une. » Vers le phare, Virginia Woolf (...)

    #Entre_les_lignes / #Écriture, #Poésie, #Récit, #Voix, #Sons, L’espace d’un instant, Fenêtre, #Quotidien, #Dérive, #Regard, #Sensation, #Voyage