• Gli affari dei “campioni italiani” con il regime di #al-Sisi in Egitto

    #Eni, #Snam, #Intesa_Sanpaolo e #Sace hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo del Cairo, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Nemmeno l’omicidio di Giulio Regeni ha segnato un punto di svolta nella fossile “campagna d’Egitto”. Il dettagliato report di ReCommon (https://www.recommon.org) in occasione della Cop27 sul clima.

    Perché Eni ha continuato ad aumentare i propri investimenti in Egitto persino dopo che sono emersi possibili legami tra l’assassinio del ricercatore italiano Giulio Regeni e il regime di Abdel Fattah al-Sisi? Qual è stata la destinazione finale degli ingenti finanziamenti che Intesa Sanpaolo ha concesso al ministero della Difesa e al ministero delle Finanze egiziani? Perché l’assicuratore pubblico Sace non ha avuto alcuna remora nel garantire la raffineria di Assiut, nonostante altri attori finanziari fossero preoccupati per le implicazioni reputazionali derivanti proprio dal “caso Regeni”? E perché Snam non pubblica ancora l’elenco completo degli azionisti dell’East mediterranean gas company?

    Sono solo alcune delle domande che ReCommon ha rivolto alle principali aziende e società italiane che hanno stretto in questi anni rapporti proficui con il governo egiziano, accusato di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani (su tutte la detenzione di circa 60mila dissidenti politici) e che si rifiuta di collaborare con gli inquirenti italiani nelle indagini sul rapimento, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Gli interrogativi, insieme a un’attenta analisi degli interessi economici delle singole realtà, è contenuta nel dossier “La campagna d’Egitto – Gli affari dei ‘campioni’ italiani con il regime di al-Sisi” pubblicato il 7 novembre 2022, all’indomani dell’apertura della 27esima Conferenza della Nazioni Unite sul clima (Cop27) che si svolge a Sharm el-Sheikh. Un documento preciso e dettagliato da cui emerge, ancora una volta, come il business prevalga sui diritti umani e sui processi democratici.

    L’Egitto è un punto di investimento centrale per Eni, che lì possiede circa il 20% delle proprie riserve di gas con una produzione annuale di 15 miliardi di metri cubi (pari al 30% del totale dell’azienda e al 60% di quella egiziana) per un utile di 5,2 miliardi di euro in cinque anni, che costituisce circa un terzo degli utili complessivi della divisione “Esplorazione e produzione”.

    Uno snodo chiave negli interessi dell’azienda in Egitto è stata la scoperta ad agosto 2015 del giacimento sottomarino “Zohr” che, secondo le esplorazioni di Eni, conterebbe circa 850 miliardi di metri cubi di gas: si tratterebbe quindi di una delle maggiori riserve a livello mondiale e la più grande nel Mediterraneo. Con l’omicidio Regeni, rinvenuto il 2 febbraio 2016, le relazioni diplomatiche tra i due Paesi si sono però complicate. “Abbiamo detto chiaramente che noi siamo per i diritti umani, per questo pretendiamo chiarezza assoluta. La vogliamo come italiani e come Eni”, aveva dichiarato Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’azienda, a Il Messaggero il 6 marzo 2016. Ma solo pochi giorni prima, il 21 febbraio, la sua società aveva ottenuto l’assegnazione proprio dell’appalto per il giacimento “Zohr”.

    Secondo ReCommon al centro dei legami tra Eni e il regime di al-Sisi vi sarebbero i debiti accumulati dalle aziende energetiche egiziane nei confronti delle compagnie fossili straniere che nel 2013, anno della presa del potere da parte del generale, avevano raggiunto quota sei miliardi di euro. In particolare Eni era tra le aziende più esposte, con un ammontare di crediti scaduti pari a un miliardo di euro. Nel 2015 l’azienda italiana è riuscita però ad accordarsi con l’Egitto garantendo cinque miliardi di euro in investimenti in cambio di condizioni contrattuali favorevoli che comprendono anche un raddoppio del prezzo del gas che il Paese acquista dall’azienda. “Di lì a poco la società realizzerà la maxi scoperta di ‘Zohr’ e nel giro di qualche anno i debiti contratti dallo Stato egiziano risulteranno azzerati. Non c’è ombra di dubbio che, dal punto di vista degli affari, Eni abbia vinto la sua scommessa, accettando però di legarsi al regime egiziano con un nodo così stretto da non allentarsi neppure di fronte all’uccisione di un cittadino italiano”, ricorda ReCommon. Inoltre grazie ai progetti realizzati da Eni, il regime di al-Sisi è riuscito a conquistarsi un ruolo di primo piano nello scacchiere energetico regionale ed europeo

    Anche Snam, il più grande operatore d’Europa per quanto riguarda il trasporto del gas e che gestisce una rete di 41mila chilometri e una capacità di stoccaggio di 20 miliardi di metri cubi, partecipata dallo Stato italiano, vanta numerosi affari nel Paese nordafricano. L’azienda ha acquistato a dicembre 2021 il 25% della East mediterranean gas company (Emg), proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon che collega Israele ed Egitto, anche noto come “Gasdotto della pace”. Secondo ReCommon tra gli azionisti di Emg vi sarebbero Emed, una società “partecipata dalla israeliana Delek Drilling e dal gruppo statunitense Chevron” e che controlla il 39% di Emg. Secondo le inchieste di ReCommon e della testata investigativa egiziana Mada Masr, Emed avrebbe legami con i vertici dei servizi segreti egiziani.

    “Tutti questi investimenti infrastrutturali vengono attuati grazie agli istituti di credito e alle istituzioni finanziarie. In prima fila c’è Bank of Alexandria, la sussidiaria locale del primo gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo”, ricorda ReCommon. L’istituto è la quinta banca d’Egitto e conta 1,5 milioni di clienti su 179 filiali. Nel 2006 il governo di Hosni Mubarak aveva venduto per 1,6 miliardi di dollari l’80% delle azioni della banca a Intesa Sanpaolo. Bank of Alexandria, partecipata anche dal governo egiziano, afferma di essere il canale privilegiato degli investimenti italiani nel Paese nordafricano, tra cui il settore oil&gas e quello degli armamenti.

    A garanzia degli investimenti vi è poi Sace, l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia, che tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie a progetti oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro, ponendosi così al terzo posto per il supporto finanziario all’industria fossile dopo le controparti canadesi e statunitensi. In Egitto, Sace ha emesso garanzie per 3,9 miliardi di euro. Tra le infrastrutture supportate dall’istituto vi sono due raffinerie: la Middle East oil refinery (Midor) e l’Assiut oil refinery (Aor), entrambe in capo all’Egyptian general petroleum corporation (Egpc), l’azienda petrolifera di Stato.

    Per realizzare Midor, Sace ha garantito i prestiti di Bnp Paribas, Crédit agricole e Cassa depositi e prestiti (Cdp) per un ammontare di 1,2 miliardi di euro. Mentre per quanto riguarda la raffineria di Assiut, Sace ha agito in modo simile garantendo a febbraio 2022 un supporto finanziario pari a 1,32 miliardi di euro: l’impianto è la più grande raffineria dell’Egitto meridionale e si tratta di un’infrastruttura strategica per al-Sisi che ha presenziato personalmente l’inaugurazione dei lavori il 22 dicembre 2021. Tuttavia secondo le ricostruzioni dei quotidiani StartMag e Milano Finanza (citate nel report di ReCommon) vi sarebbero state delle resistenze all’interno di Cdp in merito al finanziamento della raffineria dovute alla “scarsa sostenibilità ambientale e a imprecisate ‘considerazioni geopolitiche’”.

    La stima di 3,9 miliardi di euro relativa alle garanzie di Sace comprende però solo il supporto alle operazioni classificate di categoria A e B cioè “quei progetti che possono avere ripercussioni ambientali e sociali che vanno da gravi a irreversibili: raffinerie, oleodotti, gasdotti, centrali termoelettriche, petrolchimici, dighe e altre mega-infrastrutture”. Sace, infatti, non è obbligata a riportare le altre categorie di investimento tra cui possono ricadere armamenti come ad esempio l’acquisto di due fregate militari italiane da parte dell’Egitto da Fincantieri nel 2020 per un totale di 1,2 miliardi di euro. L’esposizione storica di Sace al regime del Generale al-Sisi è quindi molto superiore ai 3,9 miliardi di euro dichiarati.

    https://altreconomia.it/gli-affari-dei-campioni-italiani-con-il-regime-di-al-sisi-in-egitto

    #Italie #Egypte #Regeni #Giulio_Regeni #Assiut #pétrole #raffinerie #East_mediterranean_gas_company (#EMG) #droits_humains #Zohr #gaz #énergie #gazduc #gazduc_Arish-Ashkelon #Emed #Delek_Drilling #Chevron #Bank_of_Alexandria #Middle_East_oil_refinery (#Midor) #Assiut_oil_refinery (#Aor) #Egyptian_general_petroleum_corporation (#Egpc) #Bnp_Paribas #Crédit_agricole #Cassa_depositi_e_prestiti (#Cdp) #Fincantieri

  • Panthère Première » Autonomie électrique, le rêve d’une reconnexion
    https://pantherepremiere.org/texte/autonomie-electrique-le-reve-dune-reconnexion

    Alors que les réseaux électriques qui structurent le monde sont largement invisibles, la chercheuse Fanny Lopez nous invite à plonger dans l’histoire de l’« ordre électrique », centralisé et uniformisé à l’extrême, pour envisager une pluralité de modèles et inverser la perspective : partir du bas, maîtriser la technique, repenser le politique via la réappropriation de la ressource énergétique.

    Enseignante-chercheuse dont les travaux se situent au croisement de l’histoire de l’architecture et de l’urbanisme, des techniques et de l’environnement, Fanny Lopez est l’autrice de deux ouvrages consacrés à l’autonomie énergétique. Dans Le Rêve d’une déconnexion, de la maison autonome à la cité auto-énergétique (éditions de la Villette, 2014), elle dresse la généalogie des projets architecturaux qui, au cours de l’histoire, ont intégré cette dimension autonomiste alors que la connexion aux grands réseaux électriques faisait (et fait) œuvre de modèle. Puis elle retrace, dans L’ordre électrique : infrastructures énergétiques et territoires (MétisPresses, 2019), l’histoire matérielle de l’électrification des territoires tout en s’intéressant, grâce à de nombreux exemples puisés en Europe et aux États-Unis, aux enjeux de la relocalisation des ressources en énergie. Traversant son travail de bout en bout, une question : comment les projets locaux d’autonomie énergétique peuvent-ils s’articuler avec des revendications d’autonomie politique ? Discussion.

    PS : En septembre 2022, Fanny Lopez a sorti un nouveau livre, À bout de flux, chez Divergences, qui explore la matérialité de la machine et des câbles du numérique et des objets connectés. Et on adore !

    #électricité #énergie #gestion_des_flux #Fanny_Lopez #Panthère_Première

    • Depuis une quinzaine d’années, la coopérative est devenue une forme privilégiée et leur nombre a explosé en zone rurale, urbaine ou périphérique notamment en Europe mais aussi aux États-Unis. Pour la ville, on pourrait citer l’exemple de Co-op City dans le Bronx, un quartier du nord-est de la ville de New York. Co-op City, c’est une coopérative d’habitant·es qui gère, en lien avec le bailleur et soutenue par des financements publics, l’un des plus grands micro-réseaux à usage résidentiel au monde. Les deux turbines à gaz de l’installation électrique, qui produisent 38 MW, permettent de produire de l’électricité à moindre coût pour les résident·es (dont les factures ont baissé) et de vendre de l’électricité excédentaire au grand réseau électrique, même si c’est un bras de fer avec l’opérateur historique5. Les fonds générés par la vente d’électricité permettent de rembourser les prêts liés à la réalisation du projet et d’investir dans d’autres projets collectifs dans le quartier. L’autonomie électrique de Co-op City avoisine aujourd’hui les 90 %. La coopérative prévoit d’ajouter 5 MW de capacité solaire photovoltaïque et une station d’épuration pour convertir les eaux usées en eaux grises. Il y a aussi l’idée de méthaniser une partie des déchets fermentescibles pour transformer la centrale de cogénération gaz en centrale biomasse6. Ici, l’exemple est intéressant parce que c’est une communauté d’habitant·es qui s’est structurée en coopérative pour récupérer la plus-value financière : les bénéfices vont à la communauté. Car relocaliser l’énergie, c’est aussi relocaliser des flux économiques.

      #coopérative #micro-centrale #relocalisation #décentralisation

    • La notion de technologie accessible renvoie à celle de technologie démocratique dont on parlait avec Mumford. Dans mes deux ouvrages, une bonne partie des exemples passe par des « technologies » manipulables, maîtrisables, conviviales. Sous-entendu, si le micro-éolien tombe en panne, la coopérative sait le réparer. En fonction de l’échelle ou de la technologie, soit la tendance est low-tech15, et les solutions techniques sont facilement appropriables, soit la communauté s’appuie sur une société de gestion énergétique (comme Coop-city) qui emploie des gens dont la maintenance et la réparation sont le métier. Dans son anthropologie des projets d’autonomie énergétique, Laure Dobigny montre que quand les habitant·es se sentent copropriétaires et responsables d’une partie de l’infrastructure énergétique qu’ils et elles utilisent, mais aussi des espaces communs collectivement investis, des changements de comportement et d’usages sont observés, au premier rang desquels une baisse de la consommation.

      #autonomie #low-tech #décroissance #Lewis_Mumford #Ivan_Illich #convivialité #outil_convivial

  • Une lecture géographique de la crise électrique au Liban et des bonus cartographiques – Hybridelec
    https://hybridelec.hypotheses.org/874

    Depuis l’été 2021, la population du Liban n’a plus accès à l’électricité publique que 2 à 3 heures par jour, avec parfois des pannes totales. Cette déliquescence extrême a des origines remontant à la guerre civile (1975-1990), malgré une amélioration temporaire jusqu’à 2006. Depuis, le secteur connaît une dégradation aux raisons multiples, entre insuffisance de la capacité installée, manque d’investissement, blocage des importations de combustible, corruption, clientélisme… Cette gabegie a également des dimensions géographiques.

    Trois grilles de lecture s’imposent. La première est celle du communautarisme libanais, ancré dans des territoires divisés. Pour les élites politico-confessionnelles, l’électricité est à la fois une ressource à sécuriser pour leur territoire et une source de pouvoir. La deuxième renvoie à l’opposition entre centre et périphéries du pays et aux inégalités spatiales dans la distribution de l’électricité. La troisième est régionale et géopolitique : la dépendance du Liban aux importations d’hydrocarbures est une source majeure de vulnérabilité face aux conflits et blocus affectant les infrastructures énergétiques, mais aussi face aux évolutions brutales des marchés internationaux, à l’impact aggravé par la dévaluation récente.
    Face à ces défis, le territoire libanais offre-t-il des ressources permettant une autonomisation de la production énergétique ? Les promesses du gaz du bassin levantin sont encore incertaines, et si les énergies renouvelables ont un vrai potentiel, leur exploitation dépend d’une transformation de la gouvernance. En attendant, l’essor rapide des technologies individuelles ne comble pas les lignes de fracture internes au Liban et risque de les accentuer.

    Éric Verdeil, 2022, La crise électrique du Liban : une lecture géographique, Moyen Orient, n°56, oct.-déc., pp.56-62.

    Je me suis entretenu le 11 octobre avec Eric Bataillon, pour son émission Orient-Hebdo sur Radio France Internationale, au sujet de cet article : vous pouvez écouter le podcast qui en présente les principaux arguments :

    https://www.rfi.fr/fr/podcasts/orient-hebdo/20221024-revue-moyen-orient-un-dossier-consacr%C3%A9-au-liban-la-question-de-l-%

  • LNG tankers idle off Europe’s coast as traders wait for gas price rise | Financial Times
    https://www.ft.com/content/19ad9f9f-e1cb-40f9-bae3-082e533423ab

    More than 30 ships seek to maximise the return on their combined $2bn cargo

    More than 30 tankers holding liquefied natural gas are floating just off Europe’s shoreline as energy traders bet the autumn price reprieve prompted by robust supplies and warm weather will prove to be fleeting.

    The ships, which are hauling $2bn combined worth of LNG, are idling or sailing slowly around north-west Europe and the Iberian peninsula, according to shipping analytics company Vortexa. The number of LNG vessels on European waters has doubled in the past two months.

    The traders who control the tankers are holding out for higher prices in the coming months, when temperatures cool over the winter and the glut of natural gas in Europe’s storage now begins to be drawn down. Another 30 vessels are on their way, currently crossing the Atlantic and expected to join the queue ahead of the winter, Vortexa data show.

    The queue has come as European countries have filled their storage tanks to near their limits ahead of the winter. This has been achieved through voracious purchases of LNG to substitute for Russian gas that has been cut off in retaliation for western sanctions.

    Higher than usual temperatures for this time of year have also reduced heating demand, helping keep storage sites full and prices falling. As of end of October, European storage sites were at 94 per cent capacity, with Belgium reaching 100 per cent, France 99 per cent, and Germany 98 per cent, according to Gas Infrastructure Europe.
    […]
    With gas storage capacities full, “LNG vessels have been queued up outside European LNG receiving terminals, chasing what they expected to be the premium market for this LNG,” said Felix Booth, head of LNG at Vortexa, adding that it will probably take another month for the cargoes to find a terminal to offload.

    “For now these vessels have incentive to hold positions” in anticipation of higher prices as the weather gets colder, he said.
    […]
    But the market is now in a situation known in the industry as #contango, in which prices for delivery in the future are trading higher than for immediate delivery. TTF contracts for delivery in December are roughly 30 per cent higher than the level the November contract closed at, and January some 35 per cent higher, incentivising traders holding cargoes to deliver as late as possible.

    The hold up of cargoes has led to a scarcity in available vessels, leading to higher freight prices that has made LNG further out of reach for Asian buyers, which have been competing with Europe for cargoes throughout the year.

  • Etats-Unis : Le bruit des mines à bitcoin couvre celui des chutes du Niagara L’essentiel

    « Bourdonnement lancinant », « bruit aigu » : dans la ville américaine de Niagara Falls, des résidents habitués au grondement apaisant des célèbres chutes d’eau ont récemment découvert un son beaucoup moins agréable : le rugissement des fermes de minage de bitcoins.


    Le doux bruit des chutes du Niagara est remplacé par les fermes à Bitcoin pour certains habitants.

    « Je n’arrive à dormir qu’environ quatre heures par nuit à cause de ce bruit constant », déplore Elizabeth Lundy, 80 ans. « Je peux l’entendre même à travers mes doubles fenêtres », poursuit cette coiffeuse à la retraite, parée de lunettes de soleil et gants de jardinage. Le ronron mécanique s’entend distinctement en cette matinée ensoleillée d’octobre sur le perron de Mme Lundy. Il se transforme en vacarme assourdissant 500 mètres plus loin, sur l’avenue Buffalo où opère l’entreprise US Bitcoin.

    Les fermes de minage de bitcoin se sont multipliées aux Etats-Unis, devenus leaders mondiaux du secteur, depuis que la Chine a mis en 2021 un coup d’arrêt à cette activité sur son territoire. Attirée par l’énergie hydroélectrique bon marché disponible à Niagara Falls, la société Blockfusion y a élu domicile en 2019, suivie par US Bitcoin en 2020 qui s’est implantée dans une ancienne usine de production de sodium.

    Cette dernière a aligné en extérieur des centaines de bruyants ventilateurs, nécessaires au refroidissement des milliers de cartes graphiques qui chauffent en générant la plus connue des cryptomonnaies par la résolution d’équations complexes.


    Des ventilateurs refroidissent les serveurs de l’installation US Bitcoin à Niagara Falls, dans l’État de New York.

    « Bourdonnement lancinant »
    « On dirait le bruit d’un réacteur de (Boeing) 747 », commente Frank Peller qui habite une maison brune à plus d’un kilomètre et demi de ce centre de calcul. « Quand on était assis dans notre jardin – je vis à environ trois ou quatre kilomètres des chutes du Niagara – on pouvait les entendre au loin chaque soir. Maintenant, on ne les entend plus du tout, mais d’où j’habite j’entends le bruit du minage de bitcoins tous les jours », résume auprès de l’AFP le septuagénaire à la crinière argentée. « C’est plus fort le matin, en soirée, s’il y a beaucoup d’humidité et une brise », ajoute-t-il.

    Bryan Maacks, qui réside plus près de cette « mine », décrit lui un « bourdonnement lancinant », une vibration qui traverse sa maison nuit et jour depuis l’hiver dernier. « C’est épuisant mentalement. C’est comme avoir une rage de dents qui dure 24 heures tous les jours », fulmine l’homme de 65 ans. Il explique devoir porter des écouteurs en permanence chez lui et utiliser un ventilateur pour neutraliser le son et parvenir à s’endormir. Excédé, il a lancé une pétition et confectionné un panneau « US Bitcoin Stop au bruit » trônant à l’arrière de son pick-up rouge qu’il a garé plusieurs semaines face à l’entreprise.

    « La pollution sonore de cette industrie ne ressemble à rien de ce qu’on a connu », assène le maire de Niagara Falls, Robert Restaino, dans son bureau décoré de tableaux représentant les fameuses cascades. La ville accueille pourtant de l’industrie lourde depuis des décennies. Face au flot de plaintes, concernant principalement US Bitcoin, la mairie a décrété en décembre 2021 un moratoire sur toute nouvelle activité de minage, puis imposé début septembre aux cryptomineurs de stricts niveaux sonores à ne pas dépasser : 40 à 50 décibels aux abords d’une zone résidentielle.

    Mur antibruit
    « Dès que nous avons eu connaissance de ces préoccupations, nous avons érigé une barrière en plastique », s’est défendu US Bitcoin dans un communiqué à l’AFP. « Nous avions établi des plans pour un mur antibruit » dont la construction a été empêchée par le moratoire, selon l’entreprise. Dans la ville voisine de North Tonawanda, l’entreprise de minage canadienne Digihost, elle aussi confrontée à l’ire des riverains, a entrepris la construction d’un mur d’isolation acoustique de plus de six mètres de haut, pour un coût estimé à plusieurs centaines de milliers de dollars, relate le maire Austin Tylec.

    A Niagara Falls, la mairie a ordonné début octobre la fermeture des deux fermes à bitcoins tant qu’elles ne seraient pas en conformité avec les nouveaux statuts locaux. Si les deux entreprises assurent coopérer avec la ville, seule Blockfusion avait éteint ses processeurs fin octobre et réduit le nombre de ventilateurs en fonctionnement, ceux d’US Bitcoin tournant encore à plein régime, a constaté une journaliste de l’AFP.

    « Si elles continuent à refuser de se plier à notre ordre de fermeture, alors nous devrons aller devant les tribunaux », assure Robert Restaino. Une telle bataille juridique oppose déjà dans le Tennessee la ferme à bitcoins Red Dog Technologies aux autorités locales. D’autres plaintes pour pollution sonore aux abords de centres de calcul ont émergé de la Caroline du Nord à la Pennsylvanie. « Je continuerai à protester jusqu’à ce que le bourdonnement disparaisse. Jusqu’à ce que je récupère le grondement des chutes », conclut Bryan Maacks.

    #pollution_sonore #gaspillage #énergie #numérique #bitcoin #cryptomonnaie #carbone #bitcoins #co2 #électricité #blockchain #monnaie #crypto-monnaie #finance #bruit

    Source : https://www.lessentiel.lu/fr/story/le-bruit-des-mines-a-bitcoin-couvre-celui-des-chutes-du-niagara-871498766

  • Comment est l’opinion publique mondiale envers le changement climatique ?
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4383

    Le ministre de l’intérieur de France, Mr Darmarin, qualifie une manifestation contre une bâche d’eau de stockage d’eau pour l’agriculture intensive d’écoterrorisme. C’est pour nuire au militantisme opérationnel dont la communication produit, au sein de son système d’engagement, un appel hautement complexe et dynamique envers les individus, organisations et institutions. Son message est animé d’une connaissance des politiques et des cultures parfois très divergentes. Grands événements : Gigantisme de l’inattendu.

    / #Journalisme,_presse,_médias, #énergie, #crise,_capitalisme,_économie,_justice,_Bourse, #Ecologie,_environnement,_nature,_animaux, Internet, Web, cyber-démocratie, communication, société, (...)

    #Grands_événements_:_Gigantisme_de_l’inattendu. #Internet,_Web,_cyber-démocratie,_communication,_société,_médias
    https://climatecommunication.yale.edu/wp-content/uploads/2022/06/international-public-opinion-on-climate-change-2022a.pdf

  • De quoi va-t-on manquer cet hiver, et à quel prix ?
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/de-quoi-va-t-on-manquer-cet-hiver-et-a-quel-prix-hM1GfN2qTAeiHYSBzpoXGA

    A l’approche de l’hiver, la question des pénuries d’énergie devient brûlante. Entre la guerre en Ukraine, la destruction récente des gazoducs Nord Stream, la réduction de la production nucléaire, et les grèves dans le secteur de l’énergie, la situation…

    #Grève #Pénurie #Énergie
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-de-quoi-va-t-on-manquer-cet-hiver-et-a-quel-prix-

  • Prix de l’électricité : ce sénateur explique comment les capitalistes se gavent
    https://www.lemediatv.fr/emissions/2022/prix-de-lelectricite-ce-senateur-explique-comment-les-capitalistes-se-gave

    Si l’énergie a toujours été un sujet important pour les Françaises et les Français, il ne fait que prendre toujours plus de place dans le débat public. Surtout depuis le déclenchement de la guerre en Ukraine par la Russie de Poutine. Néanmoins, la crise…

    #Économie #Énergie #Politique

  • Crise de l’énergie : à Lille, on ferme une serre botanique mais on agrandit l’aéroport Luc Semal - Reporterre

    Lille a fermé sa serre botanique, pour une question de sobriété. Une aberration, selon l’auteur de cette tribune, qui plaide pour d’autres mesures plus efficaces, comme l’abandon de l’agrandissement de l’aéroport.
    Luc Semal est maître de conférences en science politique au Muséum national d’histoire naturelle. Il est l’auteur de Face à l’effondrement — Militer à l’ombre des catastrophes (PUF, 2019) et a codirigé l’ouvrage collectif Sobriété énergétique — Contraintes matérielles, équité sociale et perspectives institutionnelles (Quae, 2018).

    Le 9 octobre 2022, la Ville de Lille a fermé les portes de la grande serre du Jardin des plantes de Lille. Cette fermeture, prétendument rendue nécessaire par l’impératif de sobriété, est présentée comme définitive. En réaction, le collectif Sauvons la serre a lancé une pétition pour s’opposer à toute fermeture définitive, demander des mesures d’urgence qui feraient faire à la serre sa juste part de l’effort de sobriété cet hiver, et proposer l’étude d’un projet de rénovation ambitieuse pour ce lieu potentiellement emblématique de la transition écologique dans la métropole et la région.

    Pour l’heure, ces demandes ont été rejetées. Face à une contestation croissante, la mairie a préféré accélérer le démantèlement et le « déplacement » _ de la collection, impliquant concrètement la mutilation ou le sacrifice de spécimens remarquables, comme la Monstera [1], dont les jardiniers disent que celle de Lille est la plus grande de France.

    La Ville de Lille est ainsi en passe d’entrer dans l’Histoire comme la première ville française à fermer définitivement un équipement culturel au nom de la sobriété. Et de quelle manière ! Absence de concertation, aucun vote en conseil municipal ; invectives adressées aux mécontents https://www.lavoixdunord.fr/1243039/article/2022-10-18/lille-face-aux-critiques-martine-aubry-defend-l-epineux-demenagement-de réclamant un groupe de travail ; argumentaire invoquant des études prétendument sans appel, mais non communiquées et dont l’existence même est mise en doute…

    Tout cela pour finalement choisir comme seul équipement à sacrifier l’un des seuls qui soient consacrés à l’émerveillement naturaliste et à la découverte de la biodiversité. Pour éparpiller façon puzzle, dans un simulacre de dispositif participatif grotesquement baptisé « adopte une plante », la ressource publique que constituent ensemble cette serre et la collection botanique qu’elle abrite. À Lille, la sobriété a bon dos…

    L’égalité d’accès à la biodiversité est sacrifiée
    Car finalement, qu’est-ce qu’une serre ? Est-ce vraiment une gabegie énergétique, un luxe désormais incompatible avec la nouvelle donne géopolitique et climatique ? Dans son récent texte de soutien au collectif Sauvons la serre, la Société botanique de France prend le contre-pied de ces clichés : « Fermer des serres, c’est priver les générations futures, gestionnaires après nous de nos sociétés et de la nature, d’une acculturation à la biodiversité et aux écosystèmes du monde entier, déjà bien mis à mal par les changements globaux. » Un argument qui pourrait compter dans une ville telle que Lille, notoirement mal dotée en espaces verts (seulement 15 m² par habitant, quand la moyenne pour les villes françaises est de 51 m² par habitant).

    Car la serre de Lille est un microcosme de nature extraordinaire à portée de marche et de métro, dont l’entrée est gratuite, et visité chaque année par des centaines de scolaires. Les enfants des familles les plus aisées ne seront pas les plus impactés par sa fermeture : beaucoup prendront l’avion avec leurs parents pour aller admirer la nature exotique « sur place » , en mieux, en vrai.

    Les militants mobilisés à l’aéroport de Lille pour dénoncer les projets d’extension d’aéroports, samedi 8 octobre 2022. © ANV-COP21 Lille/Basile Mesré Barjon

    Et tant pis si la catastrophe climatique en cours devrait nous conduire à réduire nos trajets aériens. Et tant pis si les enfants des familles moins favorisées n’ont pas accès à de tels voyages. Une sobriété par le petit bout de la lorgnette peut donner l’impression qu’il est préférable de fermer une serre, plutôt que d’intégrer sa rénovation dans un projet pédagogique ambitieux conçu en cohérence avec la nécessaire réduction de la mobilité.

    Demain, va-t-on fermer les musées et les écoles ?
    Et cette sobriété par le petit bout de la lorgnette est bien le problème, depuis que les pouvoirs publics ont enfin admis, lamentablement tardivement, la nécessité de la sobriété. Longtemps marqueur d’une écologie exigeante, voire radicale, ce mot « sobriété » est devenu la cible d’une intense opération d’institutionnalisation, voire de récupération.

    Mais il ne suffit pas de sauter sur sa chaise comme un cabri en répétant « sobriété » pour conduire une politique de sobriété écologiquement cohérente et socialement juste. L’enjeu central est — ou pourrait être, ou devrait être — de produire les conditions d’une réflexion démocratique, d’une part, sur la répartition équitable des efforts de sobriété, et, d’autre part, sur l’identification des cibles prioritaires en matière de sobriété.

    Or, c’est ici que le cas lillois pourrait constituer un précédent fâcheux. Pour la Ville de Lille, la serre n’est pas une pépite de nature extraordinaire en ville : elle est une « passoire énergétique » représentant 1,4 % de sa consommation énergétique. Mais ce chiffre, soupçonné d’être artificiellement grossi par un périmètre de calcul opaque, d’une part, ne dit rien de ce que serait la consommation après rénovation du bâtiment, et, d’autre part, témoigne d’une conception rabougrie du périmètre dans lequel penser la sobriété collective.

    Car à jouer ce jeu-là, est-ce la seule passoire énergétique potentiellement en ligne de mire dans le parc immobilier lillois ? Va-t-on fermer aussi le Palais des beaux-arts en 2024, quand il faudra à nouveau réduire de 10 % les consommations énergétiques ? Les écoles, en 2026 ? Les mairies de quartier ? Car après tout, l’Union européenne est en train de revoir à la hausse nos objectifs de réduction des consommations d’énergie, pour viser 40 % de réduction d’ici 2030 : donc il faudra bien trouver quelque chose à fermer…

    Pendant qu’on ferme la serre, on agrandit l’aéroport
    Sauf, bien sûr, si l’on questionne enfin la pertinence de ce périmètre d’action. Si l’on s’accorde sur le fait qu’il est absurde de demander plus aux équipements publics qu’aux jets privés — les premiers contribuant au bien commun, quand les seconds pourraient être regardés comme un privilège énergétique méritant d’être aboli. https://reporterre.net/Jets-prives-l-Etat-ne-vole-pas-haut

    À Lille, pendant que l’on ferme une serre à vocation pédagogique et scientifique, le projet d’extension de l’aéroport de Lille-Lesquin est maintenu https://reporterre.net/A-Lille-les-militants-determines-contre-l-extension-de-l-aeroport . Et dans les environs, il existe pleins d’hectares de serres à tomates chauffées pour une production hors-saison. La Ville de Lille dira que ces deux exemples ne relèvent pas de ses compétences : certes, mais une approche écologiquement cohérente et socialement juste de la sobriété ne vaudrait-elle pas justement créer un espace politique où mettre en balance ces différents usages ?

    Une pétition a été lancée par le collectif Les Amis du Jardin des plantes de Lille. Elle est ici.

    #Lille #ps #martine_aubry #destruction #énergie #béton aéroport #botanique #savoirs #école #d&couverte #Lesquin #aéroport

    Source : https://reporterre.net/Crise-de-l-energie-a-Lille-on-ferme-une-serre-botanique-mais-on-agrandit

  • Le diesel des data centers pourrait sauver la Suisse du black-out cet hiver RTS - Pascal Jeannerat

    La puissance de production cumulée des 90 data centers commerciaux de Suisse équivaut à celle d’un réacteur nucléaire. La branche est prête à engager ses génératrices de secours pour soutenir le réseau cet hiver et éviter les délestages.

    Entre 300 et 400 Mégawatts : telle est l’estimation que l’Association suisse des data centers a confiée à la RTS pour l’ensemble de ses génératrices installées. « C’est à peu près l’équivalent d’un réacteur comme Beznau », précise son président Sergio Milesi. Cette puissance s’explique par le fait que les data centers, gros consommateurs de courant, sont également équipés de doubles redondances y compris pour leur approvisionnement électrique de secours.

    Déjà opérationnels
    Certains centres de données comme celui de Green à Lupfig (AG) sont déjà reliés et synchronisés au réseau électrique et capables d’y injecter du courant. « C’est un service-système que nous fournissons à Swissgrid, le gestionnaire du réseau qui peut activer lui-même à distance les génératrices. Tout est automatisé », explique son directeur général Roger Süess à la RTS. Au total, sur l’ensemble de ses data centers en Suisse, l’entreprise dispose à elle seule d’un parc de génératrices allant de 2 à 3,5 MW pour un total de 35 MW.

    En Suisse, la plupart des grands data centers sont capables de synchroniser leurs machines sur la fréquence du réseau et d’y fournir leur production. « Certains autres nécessiteraient de s’équiper en conséquence, précise le président de l’Association suisse des data centers, mais c’est techniquement possible ». Sergio Milesi indique que la branche dans son ensemble est favorable à cette contribution, sous certaines conditions qui sont actuellement en discussion avec la Confédération.

    Levée de restrictions
    Selon les normes actuelles, l’utilisation des génératrices de secours est limitée à cinquante heures par an en raison de leurs nuisances sonores. Il faudrait relever ce seuil, argumente Roger Süess, qui en appelle aussi à une exemption de la taxe CO2 : « Si nous aidons comme cela à produire du courant en période de pénurie, il faudrait peut-être nous en dispenser », plaide-t-il, conscient que les émissions de CO2 des génératrices diesel représenteraient une lourde charge.

    Concernant le prix auquel la branche consentirait à vendre ses kilowattheures, la réponse est unanime : à prix coûtant. « L’objectif est simplement de pouvoir couvrir les coûts : carburant, garantie de livraison, frais supplémentaires d’exploitation, pas de faire des bénéfices ! », affirme Roger Süess. Pour lui, face à la pénurie, les data centers font partie de la solution, pas du problème : « C’est une opération gagnant-gagnant », résume Sergio Milesi, qui relève que les génératrices de secours représentent des millions de francs d’investissement qui dorment pratiquement toute l’année. Roger Süess abonde : « Le prix d’une génératrice, c’est un nombre à sept chiffres ! »

    Accord à bout touchant
    Cette réserve de secours intéresse la Confédération. « Leurs groupes de secours sont modernes et remplissent généralement les normes environnementales », répond l’Office fédéral de l’énergie, qui parle de discussions positives. « Nous avons identifié quelques défis à surmonter pour assurer l’exploitation des groupes de secours - à savoir, leur intégration dans le réseau électrique ainsi que leur approvisionnement en carburant ».

    La branche s’attend à voir les conditions de mise en œuvre réglées dans une ordonnance « d’ici deux à trois semaines » pour consultation. Cette capacité de production s’ajoute à la première réserve de secours déjà mise sur pied par la Confédération. C’est à quelques centaines de mètres du data center de Lupfig, à Birr (AG), que cette réserve vient d’être conclue jusqu’en 2026 avec l’entreprise américaine General Electric. Un contrat de location de huit turbines tricombustibles fonctionnant au diesel, au gaz ou à l’hydrogène pour une puissance totale de 250 MW a été signé. Objectif : pallier la potentielle pénurie de courant redoutée dès février 2023.

    Polluant mais transitoire
    Ce recours aux énergies fossiles pourrait être très utile cet hiver, mais il n’enchante pas pour autant le directeur général de Green. « Si on regarde ce que la Suisse innovante offre comme possibilités dans l’hydraulique, l’éolien, le solaire, ou avec les Ecoles polytechniques sur les nouvelles sources d’énergie, j’espère bien que c’est avec ça que nous trouverons les solutions d’avenir, sans devoir encore nous tourner vers ces génératrices », répond Roger Süess.

    Même credo au sein de l’association : « Nous regardons de près les nouvelles technologies concernant l’électricité, qui est un facteur très important pour notre branche. Et je pense que l’hydrogène va jouer un rôle central dans ce secteur, y compris pour le stockage de l’électricité », conclut Sergio Milesi. En attendant, si l’hiver est froid et sec, s’il ne voit pas le retour rapide de la puissance électrique nucléaire française, il risque bien de plomber le bilan CO2 de la Suisse.

    #data_centers #nuisances #bruit #pollution #co2 #pénuries #énergie #réseau_électrique #électricité #Suisse

  • Les limites de la sobriété en col roulé
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/les-limites-de-la-sobriete-en-col-roule-5Ztq1qJES52sdj2dA5z_8Q

    Sobriété, on n’a jamais autant entendu ce mot que depuis le mois de septembre. Si les scientifiques préconisent cette sobriété depuis des années et que le dernier rapport du GIEC y a consacré pour la première fois un chapitre entier, en pleine crise…

    #Climat #Sobriété #Énergie
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-les-limites-de-la-sobriete-en-col-roule-5Ztq1qJES

  • Faut-il réserver un réacteur nucléaire pour alimenter les stations de ski ? (En réalité les seules remontées mécaniques)

    Le risque de pénurie d’électricité et la hausse des prix des énergies forcent les stations de ski à adapter leur plan d’exploitation. Elles promettent d’appliquer des mesures de sobriété comme la réduction de la vitesse des remontées mécaniques, un damage plus précis et des techniques d’enneigement artificiel moins énergivores. Mais quel-est réellement l’impact d’une station de ski sur le réseau électrique ?

    La France est l’un des plus grands pays de ski au monde. Elle possède 350 stations, qui opèrent 3 346 remontées mécaniques d’après France Montagne, une association des acteurs du tourisme en montagne.


    Illustration : Révolution Énergétique - Hugo LARA

    Chaque saison, ces domaines consomment de grandes quantités d’énergie, principalement de l’électricité pour les remontées et le chauffage, mais aussi des carburants pour le damage et les véhicules.

    Le risque de blackout qui plane sur le réseau électrique national et les hausses de prix des énergies ne leur permet plus de dépenser sans compter.
    . . . . . .
    Des remontées mécaniques très gourmandes en électricité
    Réunis, les domaines skiables constituent une industrie très gourmande en électricité. Elles appellent une puissance élevée, notamment au démarrage des remontées. D’autant que leur ouverture le matin correspond aux horaires du premier pic de consommation de la journée, entre 8 h et 13 h. Elles n’ont toutefois aucun impact sur le pic de 19 h, le plus délicat pour le réseau, puisqu’elles ferment généralement autour de 17 h.
    . . . . . . .
    Un réacteur nucléaire monopolisé pour les stations de ski ?
    En considérant une puissance moyenne totalement arbitraire de 200 kW par remontée mécanique, les 3 346 machines installées en France développeraient une puissance cumulée d’environ 670 MW, pas si éloignée d’un réacteur nucléaire de palier CP0/Y (900 MW).

    Un chiffre qui ne tient pas compte des pertes liées au transport et à la conversion du courant sur certaines machines ainsi que des consommations auxiliaires (moteurs des systèmes débrayables, tapis d’embarquement, chauffage…).

    Bien sûr, toutes les remontées ne fonctionnent pas en même temps et à puissance maximale. Si la puissance réellement appelée par les stations de ski est certainement bien inférieure à notre calcul, elle reste significative. Ainsi, les opérateurs prévoient déjà des mesures pour réduire la consommation des leurs remontées.

    #loisirs #ski #remontées_mécaniques #pénuries #énergie #réseau_électrique #montagne #électricité #charbon #nucléaire #France

    Source : https://www.revolution-energetique.com/faut-il-reserver-un-reacteur-nucleaire-pour-alimenter-les-st

    • Reste à alimenter en énergie les logements et restaurants, les canons à neige, les transports, l’éclairage . . . . . des stations de sport d’hiver.

      Un grand merci à la petite bourgeoisie de gôche fanatique des sports d’hiver.

  • Un bien-être se ressent de la présence de la nature en zone urbaine.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4379

    Les fonctions des végétaux en ville sont diverses. Certaines comprises, telle l’absorption de la pollution, la lutte contre les dépenses énergétiques, la réduction des inégalités sociales par l’accession à un environnement de qualité et outil de pacification voir de socialisation etc. Sports / Santé

    / #énergie, Sciences & Savoir, #Ecologie,_environnement,_nature,_animaux

    #Sports_/_Santé #Sciences_&_Savoir
    https://pdfs.semanticscholar.org/8c71/45bde105cb78dca177d133a6fec1cdce5958.pdf?_ga=2.108641410.16115

  • Energieverbrauch von Denkmälern: Giffeys ewige Flamme der Ignoranz - taz.de
    https://taz.de/Energieverbrauch-von-Denkmaelern/!5883997

    12. 10. 2022 von Marie Frank - Auf Wunsch der Regierenden lodert die „Ewige Flamme“ wieder. Dabei ist das Mahnmal für die deutschen Heimatvertriebenen ein unnötiger Energiefresser.

    Eine ewige Flamme, bezahlt vom Energieversorger – das würden sich angesichts der unaufhaltsam steigenden Gaspreise derzeit viele Ber­li­ne­r*in­nen wünschen. Immerhin lassen breite Teile der Gesellschaft aus Sorge vor der nächsten Nebenkostenabrechnung selbst bei niedrigen Temperaturen ihre Heizung aus.

    Da kommt eine Gasflamme, die rund um die Uhr das ganze Jahr über in einer Eisenschale sinnlos vor sich hin lodert, nicht besonders gut an. Nach Beschwerden von Bür­ge­r*in­nen über diese Energieverschwendung in Zeiten knapper Ressourcen schaltete die Gasag vor rund zwei Wochen dann auch folgerichtig dem Mahnmal „Ewige Flamme“ in Charlottenburg-Wilmersdorf, das an die Opfer von Flucht und Vertreibung erinnern soll, das Erdgas ab.

    Doch Berlins Energieversorger hatte seine Rechnung ohne die Regierende Bürgermeisterin Franziska Giffey gemacht. Denn während ihre Kol­le­g*in­nen aus der Politik nicht müde werden, die Menschen tagein tagaus zum Energiesparen anzuhalten, pfeift die SPD-Politikerin auf Energie- und Klimakrise und sorgte durch ihre Senatskanzlei dafür, dass die Flamme des Mahnmals am Mittwoch wieder in Betrieb genommen wurde.

    Dabei verfeuert die symbolische Opferschale laut Gasag pro Jahr rund 210.000 kWh – das entspricht dem Verbrauch von rund 15 Einfamilienhäusern oder fast 40 Ein-Personen-Haushalten.

    Doch Franziska Giffey, die in der Energiekrise im Fall der Fälle auch mal ganzen Stadtteilen für mehrere Stunden den Strom abstellen will, ficht das nicht an. Energiesparen schön und gut, aber wenn es um ein Denkmal für die deutschen Heimatvertriebenen geht, hört für die SPD-Politikerin der Spaß offenbar auf. Man muss schließlich Prioritäten setzen. Sollen sich die Armen doch an der „Ewigen Flamme“ wärmen!

    Wenn das Mahnmal künftig nicht auch noch an die Opfer von Ignoranz und Misswirtschaft erinnern soll, wird das mit dem auf dem Sockel beschworenen Frieden so jedenfalls nichts.

    #Berlin #Charlottenburg #Westend #Theodor-Heuss-Platz #Kultur #Politik #Denkmal #Energiekrise #SPD #WTF

  • 1 million d’euros de budget carburant, 15 camions-citerne de diesel : On a joué au chat et à la souris avec le méga-yacht de Bernard
    https://blogs.mediapart.fr/yachtco2tracker/blog/121022/joue-au-chat-et-la-souris-avec-le-mega-yacht-de-bernard-0

    À l’heure des plans de communication égrenés par le gouvernement pour nous enjoindre à la sobriété, nous voulons attirer l’attention sur la surconsommation des ultra-riches en retraçant l’itinéraire du yacht de Bernard Arnault, et cela n’a pas été simple ! Retour sur une aventure qui va nous révéler que ces petits trajets ont consommé pas loin de... 1250 tonnes de CO2 sur un mois.

    Après une publication de notre part sur un voyage du fameux Symphony de Bernard en août dernier, son AIS (qui permet de le localiser) est mystérieusement tombé en panne

    Depuis cette date, nous sommes forcé-es de ruser pour suivre le navire dont l’AIS ne fonctionne que par intermittence. Notez qu’ils font aussi en sorte de dissimuler leurs déplacements en jet 👀

    #énergie #sobriété #Bernard_Arnault #yachts #écologie

  • Pour la première fois : « Historique », la France livre du gaz à l’Allemagne via la Moselle L’essentiel - afp

    La France a commencé, jeudi pour la première fois, à acheminer directement du gaz vers l’Allemagne, une étape et un symbole dans la solidarité énergétique européenne pour surmonter cet hiver le tarissement des flux venant de la Russie. « C’est historique, la première fois que la France va livrer du gaz directement vers l’Allemagne. Jusqu’ici on envoyait du gaz à notre voisin via la Belgique », a déclaré Thierry Trouvé, directeur général de GRTgaz, le gestionnaire du réseau de transport de gaz français.


    Ces premières livraisons concrétisent un accord d’entraide formalisé le 5 septembre entre les dirigeants français et allemand, Emmanuel Macron et Olaf Scholz, pour faire jouer la solidarité européenne à l’heure où le gaz est très convoité et son prix vertigineux. Après l’invasion de l’Ukraine, la Russie a considérablement baissé ses livraisons de gaz à l’Europe, dont certains pays étaient très dépendants. C’est le cas de l’Allemagne, qui a besoin de cette énergie pour faire tourner ses usines, le nerf de son économie.

    Or la France détient plus de gaz que son voisin car elle bénéficie d’apports massifs venus de Norvège et de gaz naturel liquéfié (GNL) depuis les Etats-Unis, qui lui ont permis en partie de remplir ses stocks hivernaux à 100%.

    Il a fallu inverser le sens de circulation
    Les deux dirigeants ont donc convenu que la France livre davantage de gaz à l’Allemagne, qui pourrait en retour fournir, si besoin, de l’électricité à son voisin fragilisé par une production nucléaire au plus bas. Dans ce contexte de « forte diminution des livraisons de gaz russe vers l’Europe et dans le cadre de la solidarité européenne sur la sécurité énergétique, GRTgaz s’est mobilisé pour adapter son réseau et formaliser une proposition afin de commercialiser une capacité de transport de gaz de la France vers l’Allemagne », a donc annoncé jeudi le gestionnaire français GRTgaz dans un communiqué.

    Les premières commercialisations de gaz odorisé vers l’Allemagne ont commencé à 6h à hauteur de 31 gigawattheures/jour, en transitant via les communes frontalières de Obergailbach (Moselle) côté français, et Medelsheim en Sarre, au point d’interconnexion du réseau gazier. Le niveau de cette capacité sera « évalué tous les jours en fonction des conditions de réseau », et pourra atteindre au maximum 100 GWh/jour.

    Alors que l’unique point d’interconnexion à la frontière franco-allemande avait été conçu pour fonctionner dans le sens Allemagne vers France, il a fallu inverser le sens de circulation.

    #pénuries organisée à sens unique #escroquerie #vol #énergie #gaz #électricité #charbon #nucléaire #ue #union_européenne #ursula_von_der_leyen #allemagne #macron #emmanuel_macron #olaf_schol #schol

    Sourece : https://www.lessentiel.lu/fr/story/historique-la-france-livre-du-gaz-vers-l-allemagne-via-la-moselle-2775322

  • « Comme au Moyen Âge, les Européens font des réserves de bois pour cet hiver »  L’essentiel - afp
    À Moscou, le président russe a répété que la balle était dans le camp de l’UE concernant la reprise des livraisons de gaz. Il a aussi qualifié les fuites de Nord Stream de « terrorisme international ». 

    Vladimir Poutine a accusé mercredi le G7 et l’UE de « détruire » le marché mondial de l’énergie en voulant plafonner le prix du pétrole russe, assurant que Moscou était prêt à reprendre ses livraisons vers l’Europe via les gazoducs Nord Stream.


    Vladimir Poutine a souligné qu’une partie du gazoduc Nord Stream 2 fonctionnait toujours. AFP

    S’exprimant lors d’un forum de l’énergie à Moscou, le président russe a affirmé que « certains hommes politiques occidentaux détruisent en réalité l’économie mondiale de marché » et « menacent le bien-être de milliards de personnes » avec ce projet de plafonnement. Il a par ailleurs affirmé que les graves fuites ayant touché en septembre les gazoducs Nord Stream, qui relient la Russie à l’Allemagne, étaient le résultat d’un acte de « terrorisme international ».

    « Elle n’a qu’à ouvrir le robinet »
    « Les bénéficiaires sont clairs (...) Car (cet incident) renforce l’importance géopolitique des systèmes gaziers restants, ceux qui passent par le territoire de la Pologne (...) et de l’Ukraine, et que la Russie a construit à ses frais. Mais aussi aux Etats-Unis qui peuvent désormais livrer leur énergie à des prix élevés », a-t-il estimé.

    Néanmoins, il a souligné qu’une partie du gazoduc Nord Stream 2, un tube sous-marin qui n’a jamais été mis en service à cause de l’offensive contre l’Ukraine, fonctionnait toujours et a assuré que Moscou pouvait livrer du gaz via ce segment. « La Russie est prête à reprendre les livraisons », a-t-il indiqué. « La balle est dans le camp de l’UE, si elle le veut, elle n’a qu’à ouvrir le robinet », a-t-il jugé, ajoutant que les autres gazoducs du système Nord Stream ne seraient réparés que si leur exploitation était garantie.

    « Des Européens ordinaires souffrent »
    Il a aussi proposé, sans donner de détails concrets, de faire désormais transiter l’essentiel du gaz russe par la mer Noire. « Nous pourrions (...) faire passer les principales voies de livraison de notre carburant et de notre gaz via la Turquie, en créant en Turquie le plus important hub de gaz ».

    Vladimir Poutine a aussi déclaré que la situation actuelle faisait revenir certains Européens au « Moyen Âge ». « Des Européens ordinaires souffrent. En un an, leurs factures d’électricité et de gaz ont plus que triplé. La population, comme au Moyen Âge, a commencé à faire des réserves de bois pour se chauffer cet hiver », a-t-il assuré.

    #bois #forêts #déforestation #énergie #gaz #électricité #charbon #nucléaire #bûches #pellets #NOx #SOX #soufre #benzène #goudron #particules_fines #fumées #ue #union_européenne #ursula_von_der_leyen

    Source : https://www.lessentiel.lu/fr/story/comme-au-moyen-age-les-europeens-font-des-reserves-de-bois-pour-cet-hiver

  • Les trois raisons pour lesquelles vous aurez froid cet hiver…

    Pourquoi il y a des coupures de courants ?
    Et pourquoi votre facture d’électricité a été multipliée par 10 ?
    Ne parlons pas de la taxe carbonne sur les centrales électriques, surtout

    Voici les trois raisons pour lesquelles vous aurez froid cet hiver :
    – La transition écologique,
    – Les embargos,
    – Le marché de l’électricité européen.
    Conclusion d’ursula van der leyen : c’est la faute à Moscou.

    https://www.youtube.com/watch?v=T7WC_6RFvUw&feature=emb_logo

    00:00 Intro
    00:23 Raison n°1 : La transition écologique
    18:00 Raison n°2 : La hausse des prix de l’énergie
    26:55 Raison n°3 : Le marché de l’électricité Européen
    1:06:00 Conclusion / Résumé

    #spéculation #vol #énergie #gaz #électricité #charbon #irresponsabilité #transition_écologique #pillage
    C’est la faute à la #Russie pas à celle de l’#union_européenne #ue #information #allemagne #bruno_lemaire #emmanuel_macron #impôts

  • François Jarrige, Sobriété énergétique, un nouvel oxymore ?, 2020 – Et vous n’avez encore rien vu…
    https://sniadecki.wordpress.com/2022/10/10/jarrige-sobriete

    Certains annoncent la miraculeuse fusion nucléaire, d’autres attendent tout des énergies dites renouvelables, alors que l’électricité et l’hydrogène sont présentés comme plus écologiques, sans parler des innombrables promesses qui circulent autour de l’ « énergie libre » obtenue au moyen de dispositifs capables de produire une énergie supérieure à celle qu’ils reçoivent, et qui offrirait donc un potentiel de puissance gratuit et presque infini, seul l’omerta des grands groupes énergétiques capitalistes empêcherait son développement. Ces promesses d’énergies infinies et quasiment gratuites réactivent le vieux rêve du mouvement perpétuel, elles fleurissent et circulent en maintenant vivant le mythe sclérosant selon lequel un génie ou une innovation miraculeuse pourrait nous sauver.

    Mais cette quête incessante du graal énergétique détourne d’autres trajectoires plus modestes et sans doute plus réalistes. La domination croissante de l’écologie modernisatrice et technophile prolonge et réactive aujourd’hui l’ancien solutionnisme technologique né au milieu du XIXe siècle lorsque s’est installée la société industrielle et ses nouvelles représentations positives de l’innovation [1]. Mais ce techno-fix, ou confiance excessive dans le remède technologique, devient de plus en plus problématique à mesure que les destructions et impasses du modèle énergétique dominant sont mieux documentées.

    […]

    L’innovation et les convertisseurs permettant de tirer profit des sources d’énergie primaires renouvelables ne sont pas la solution aux défis écologiques, ils sont un des instruments qui doit accompagner la sobriété et la décroissance des productions et consommation tout en réinventant un autre rapport au monde.

    Loin d’une nouveauté, il faut par ailleurs rappeler combien la sobriété a longtemps été une évidence. Elle était dominante lorsque l’accès à l’énergie était marqué par des contraintes importantes, faisant de fait des mondes anciens des sociétés de faible intensité énergétique. Durant une grande partie de l’histoire humaine, les populations ont su s’organiser pour répartir des sources d’énergies peu abondantes, gérer la pénurie pour se chauffer, s’alimenter, se déplacer, ou produire des biens. Par la suite la sobriété a de plus en plus été interprétée, à partir du XIXe siècle, comme un signe de misère ou de retard.

    […]

    La sobriété apparait dans des choix rendus invisibles par la fascination dominante pour les grandes technologies puissantes utilisant les énergies fossiles. Beaucoup d’acteurs font pourtant d’autres choix, au grand dam des modernisateurs. Ainsi, l’essor de la production et de la consommation passe souvent au XIXe siècle par l’adoption des petits moteurs simples et fabriqués localement, comme les manèges de chevaux, les manivelles et autres dispositifs modestes et robustes permettant d’accroître la force disponible et le travail, sans passer par les technologies de la vapeur, en particulier dans les pays comme la France qui manquaient structurellement de charbon et de pétrole.

    Il est important aujourd’hui d’étudier l’industrialisation en s’écartant de la fascination pour les machines puissantes fondées sur les combustibles fossiles, pour retrouver ce que faisaient réellement les acteurs, quels types d’outils et d’équipement ils utilisaient au quotidien.

    #François_Jarrige #énergie #sobriété #oxymore #capitalisme #low-tech

  • Relax, everyone! France has found a solution to the energy crisis | Emma Beddington | The Guardian
    https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/oct/10/relax-everyone-france-has-found-a-solution-to-the-energy-crisis
    https://i.guim.co.uk/img/media/41f4dd53f27e3aee21d6192eb9b2575e5ff59213/0_0_7543_4525/master/7543.jpg?width=1200&height=630&quality=85&auto=format&fit=crop&overlay-ali

    it’s called a jumper. If you’re not familiar with the concept, keep an eye out for photos of President Macron and his economy minister, Bruno Le Maire

  • Au-delà des gazoducs Nord Stream, le méthane fuit un peu partout sur le globe vajo avec afp - RTS

    Des dizaines de milliers de tonnes de méthane se sont échappées des gazoducs Nord Stream 1 et 2. Mais pour les spécialistes, cet événement n’est qu’un incident parmi des milliers d’autres qui se produisent chaque année à travers le monde.


    Carte montrant la localisation des principaux gazoducs et les principales sources d’émission de méthane liées à l’industrie pétrolière et gazière. © Kayrros Inc., Esri, HERE, Garmin, FAO, NOAA, USGS, OpenStreetMap contributors, and the GIS User Community

    Les fuites des gazoducs Nord Stream 1 et 2 dues à un sabotage présumé en mer Baltique ont relâché quelque 70’000 tonnes de méthane (lire encadré), puissant gaz à effet de serre, selon une estimation mercredi de chercheurs français à partir d’observations atmosphériques. L’armée danoise avait publié sur Twitter des photos et vidéos de trois bouillonnements à la surface de la mer Baltique. Ces « jacuzzis » géants mesurent de 200 mètres à 1 kilomètre de diamètre.

    « Ce sont des chiffres importants, équivalents à 2% des émissions françaises ou aux émissions d’une ville comme Paris sur un an, ce n’est pas une bonne nouvelle, mais pas une bombe climatique », a relevé Philippe Ciais, chercheur au Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA), au Laboratoire des sciences du climat et de l’environnement.

    Ces estimations sont bien moins élevées que les premières produites par des experts ou ONG dans les jours suivant les explosions sur les gazoducs le 26 septembre, qui se fondaient sur des estimations des quantités de gaz contenues dans les tuyaux. Plusieurs les évaluaient autour de 300’000 tonnes. Les chercheurs du CEA ont toutefois souligné que cette première étude devrait quoi qu’il en soit « être confirmée par d’autres modélisateurs ».

    Des fuites, pas des événements isolés
    Ce n’est pas la première fois que des fuites causées par l’industrie des hydrocarbures ont lieu. L’Agence internationale de l’énergie (AIE) a souvent pointé les quantités énormes de méthane qui fuient chaque année des installations de production d’énergies fossiles à travers le monde.

    Pour 2021, elle avait estimé que ces fuites mondiales équivalaient à la totalité de la consommation de gaz du secteur énergétique en Europe. Quant aux infrastructures gazières mondiales, souvent mal entretenues, elles perdraient à cause de fuites environ 10% des quantités transportées.

    Début 2022, des chercheurs du CNRS, dont Thomas Lauvaux, associés à la société Kayrros https://www.cnrs.fr/fr/des-emissions-massives-de-methane-par-lindustrie-petroliere-et-gaziere-detectee , ont cartographié 1800 panaches de méthane à travers le globe et visibles sur des images satellites. « On se doute que ces fuites sont courantes et datent de plusieurs décennies. Mais formellement, on est remonté jusqu’en 2019, année des premiers satellites capables de voir ce phénomène », explique Thomas Lauvaux, jeudi dans l’émission de la RTS Tout un monde.

    Selon une étude du Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives, les émissions de méthane ont augmenté de près de 10% sur la dernière décennie et proviennent pour 22% de l’exploitation du pétrole et du gaz.

    Les fuites se produisent majoritairement dans les « grands bassins gaziers » aux Etats-Unis, en Algérie, au Turkménistan, en Russie ou encore en Iran. « Chez tous les producteurs de gaz et de pétrole, on voit régulièrement des fuites énormes sortir de leurs installations », indique-t-il.

    Manque de transparence
    Ces rejets sont provoqués par des fuites accidentelles « de quelques jours à quelques semaines », par des fuites quasi continues dues à l’ancienneté des installations et par des opérations de maintenance, « qui représentent près de la moitié des détections ». « Pour sécuriser la zone, on laisse les gazoducs à l’air libre ventiler le gaz dans l’atmosphère », décrit Thomas Lauvaux.

    Jusqu’à présent, il y avait une « forme de minimisation » des fuites qui étaient mises sur le compte de « rares accidents ». « On se rend compte qu’on est bien au-delà du simple accident », dit-il. Le chercheur dénonce un manque de transparence qui ne permet pas aux gouvernements d’agir. Il estime qu’il faudrait davantage de satellites et de moyens humains pour pouvoir suivre l’ensemble des fuites sur la planète.

    Le méthane, fort pouvoir réchauffant à court terme
    La gaz naturel est principalement composé de méthane, à l’effet de réchauffement 80 fois plus important que celui du CO2 sur un horizon de 10 à 20 ans. Il est considéré comme responsable de près du tiers du réchauffement de la planète déjà enregistré.

    Toutefois, sa durée de vie dans l’atmosphère est relativement courte, une dizaine d’années, contre des décennies, voire des centaines d’années pour le CO2. Au contact de l’eau, une partie de ce méthane va s’oxyder et se transformer en CO2.

    « Sur le long terme, on pourrait presque ignorer le méthane. Mais sur les objectifs à court terme, 2030, que l’Union européenne et l’ONU se sont fixés, le méthane a un rôle très important à jouer », estime Thomas Lauvaux, professeur à l’Université de Reims Champagne-Ardenne, spécialiste des sciences du climat.

    Source : https://www.rts.ch/info/monde/13443237-audela-des-gazoducs-nord-stream-le-methane-fuit-un-peu-partout-sur-le-g

    #climat #méthane #gazoducs #énergie #pollution #methane #gaz #co2 #gaz_de_schiste #réalité #pollution #fuites #réchauffement

  • « Pénurie » d’essence chez TotalEnergies : le gouvernement puise dans ses stocks stratégiques... de quoi s’agit-il ?
    https://www.ladepeche.fr/2022/10/06/ruee-des-conducteurs-chez-totalenergies-le-gouvernement-puise-dans-ses-sto

    Hors de question de parler de « pénurie », estime le porte-parole du gouvernement Olivier Véran. Il préfère parler de « tensions » dans l’approvisionnement en carburant. […] Ainsi, selon Olivier Véran, le gouvernement a « puisé dans les stocks stratégiques (...) ça et là » pour alimenter des stations à sec.

  • Vers une #Crise économique mondiale en 2023 ?
    https://www.blast-info.fr/emissions/2022/vers-une-crise-economique-mondiale-en-2023-rzTVJlv8TZq_amcBSwsCgg

    Instabilité géopolitique, crise de l’énergie, pénuries alimentaires ou inflation : le moins que l’on puisse dire c’est que la situation économique se dégrade. Afin de remédier à l’inflation, la banque centrale européenne a décidé de relever ses taux…

    #Énergie
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-vers-une-crise-economique-mondiale-en-2023-rzTVJl

  • Le fléau des moules jetées dans la baie du Mont-Saint-Michel

    Les moules sous taille s’étalent sur la plage de Cherrueix, avec en toile de fond le Mont-Saint-Michel, en septembre 2022. - © Guy Pichard/Reporterre

    Dans la baie du Mont-Saint-Michel, les mytiliculteurs déposent de grandes quantités de moules non commercialisables sur la plage. Cela crée des nuisances sanitaires et olfactives. De quoi créer la discorde.


    De fortes odeurs de décomposition se dégagent sur la plage dans la zone d’épandage. © Guy Pichard / Reporterre

    « Week-end de grande marée à Cherrueix, en Bretagne, début septembre. Les allées et venues des engins agricoles sont incessantes sur la plage. Les uns déposent les ouvriers mytilicoles, les éleveurs de moules, pour entretenir les fameux bouchots, ces pieux de bois où poussent ces mollusques. Les autres vident sur le sable leurs remorques pleines de moules sous taille, qui font moins de 4 centimètres et sont donc trop petites pour être vendues. L’estran est jonché de coquilles d’une couleur bleutée.

    La couche est si épaisse qu’on ne voit même plus le sable, d’autant que des centaines de goélands viennent bruyamment savourer ce festin en putréfaction. Ces mollusques sont déposés depuis plusieurs années à même la plage, au grand dam d’associations écologistes et de riverains qui ont déposé des plaintes en 2020.

    Les mytiliculteurs sont présents dans cette baie du Mont-Saint-Michel depuis soixante-dix ans, mais c’est seulement depuis une dizaine d’années que ce dépôt de moules pose problème. En effet, lorsqu’elles font moins de 4 centimètres, ces mollusques sont impossibles à commercialiser sous l’appellation AOP « moules de bouchot baie du Mont-Saint-Michel » . Elles sont alors déversées sur une zone bien délimitée, sur la grève de la Larronnière, à Cherrueix.

    « Sur les 12 000 tonnes de moules produites dans la baie du Mont-Saint-Michel l’année dernière, 10 à 15 % d’entre elles étaient sous taille » , explique Sylvain Cornée, président du comité régional de la conchyliculture (CRC) Bretagne Nord et mytiliculteur. Un chiffre contesté par la direction départementale des territoires et de la mer. L’année dernière, elle estimait ce pourcentage à 30 %. https://reporterre.net/IMG/pdf/note_participation_du_public_-_gestion_moules_sous_taille_juin2021.pdf

    « Les moules sous-calibrées existent partout, mais ce qui diffère, ce sont les pratiques, explique Aurélie Foveau, ingénieure en écologie côtière à l’Ifremer [1]. En baie de Somme par exemple, la récolte se fait encore en partie manuellement, cela permet de mieux sélectionner les tailles des coquillages et diminue ainsi ce problème. »


    © Guy Pichard / Reporterre

    En attendant, rien que cette année, trois arrêtés préfectoraux ont posé un cadre juridique sur cette pratique. Le dernier, du 8 juillet, demande des suivis environnementaux, sanitaires et en matière de qualité de l’air. En effet, les quantités de moules sont telles que de fortes odeurs de décomposition se dégagent de ces tas. Mais elles font surtout peser sur la plage et le biotope marin de réels risques sanitaires.

    « De l’hydrogène sulfuré [le même gaz rejeté par les algues vertes] https://reporterre.net/Algues-vertes-le-desastre-s-amplifie a été détecté par des agents de l’État, dit Sylvain Cornée. Les épandages en tas polluaient au gaz et ce, depuis cinq ans. Le CRC a donc imposé l’épandage avec des bennes agricoles, pour que l’épaisseur soit faible partout. » Si l’épaisseur de déchets mytilicoles sur la plage est donc limitée à 5 centimètres aujourd’hui, plus de 10 centimètres ont été constatés par endroits lors de notre reportage, début septembre.
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    La suite : https://reporterre.net/Le-fleau-des-moules-jetees-dans-la-baie-du-Mont-Saint-Michel


    © Guy Pichard / Reporterre

    #moules #Mont-Saint-Michel #pollution #aoc #bouchots #plage #conchyliculture #Bretagne #mer #épandages #hydrogène_sulfuré #gaz

    • 70,000 protest in Prague against Czech government, EU, NATO New York Post - 3 Septembre 2022
      An estimated 70,000 people protested in Prague against the Czech government on Saturday, calling on the ruling coalition to do more to control soaring energy prices and voicing opposition to the European Union and NATO.


      The Prague protest was held a day after the government survived a no-confidence vote amid opposition claims of inaction against inflation and energy prices. - MARTIN DIVISEK/EPA-EFE/Shutterst

      Organizers of the demonstration from a number of far-right and fringe political groups including the Communist party, said the central European nation should be neutral militarily and ensure direct contracts with gas suppliers, including Russia.

      Police estimates put the number of protesters at around 70,000 by mid-afternoon.

      “The aim of our demonstration is to demand change, mainly in solving the issue of energy prices, especially electricity and gas, which will destroy our economy this autumn,” event co-organizer Jiri Havel told iDNES.cz news website.

      The protest at Wenceslas Square in the city center was held a day after the government survived a no-confidence vote amid opposition claims of inaction against inflation and energy prices.

      The vote showed how Europe’s energy crisis is fueling political instability as soaring power prices stoke inflation, already at levels unseen in three decades.
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      #manifestation contre l’#OTAN #NATO et l’#UE #union_européenne #énergie #Tchéquie #Prague
      Source : https://nypost.com/2022/09/03/70000-protest-in-prague-against-czech-government-eu-nato