• La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

    –—

    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

    –—

    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

    –—

    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Installations photovoltaïques mises hors réseau… à cause du soleil  Antonin Marsac - La Libre Eco

    Le retour du beau temps implique le retour des problèmes de surtension sur le réseau électrique. Les détenteurs de panneaux photovoltaïques déchantent. Encore ?

    Alors que le soleil perce les nuages et chauffe les toitures du pays, les citoyens qui ont installé des panneaux pourraient encore être “pénalisés”. Pourquoi ? Car en cas de fort ensoleillement – et nous ne sommes qu’au début du mois d’avril -, la production des milliers de panneaux du pays génère une surtension sur le “réseau basse tension” (soit le réseau 230 volts utilisé par l’ensemble des Belges). Et pour éviter une surtension trop importante, ces mêmes panneaux sont équipés d’onduleurs qui les “décrochent” du réseau le temps que l’offre et la demande se rééquilibrent.

    ”Le problème, c’est que le réseau est construit depuis des décennies sur le modèle du ’download’ et non de l’inverse. Aujourd’hui, il y a 230 000 installations en Wallonie et il y en aura 250 000 d’ici la fin de l’année. Le réseau doit pouvoir absorber cette production. Aujourd’hui, des villages entiers ne produisent plus rien entre 11h et 14h30”, avance Régis François, de l’association Beprosumer, à cause de la surproduction lors du pic d’ensoleillement.

    ”Il y a trop d’installations par rapport à la mise à jour de la capacité du réseau, au niveau des cabines, des câbles, et des capacités d’absorption en cas de surproduction” , renchérit-il.

    Peut-on dire pour autant qu’il y a trop d’installations, alors que les volontés de souveraineté énergétique les justifient ? Une réponse nuancée est nécessaire. Le problème de surtension dépend des zones dans le pays, s’il y a des éoliennes, une consommation relativement basse ou non dans les localités, et si la production nucléaire nationale est à son maximum.

    Mais ce qui agace Régis François, c’est que les panneaux soient les premiers “déconnectés”, grâce aux onduleurs. On pourrait penser que c’est pourtant la solution la plus simple : une mise hors réseau automatique, qui se déroule en cas de surtension, sans intervention humaine. “Mais cela laisse une surtension potentielle jusqu’à 10 % sur les réseaux, soit jusqu’à 253 volts, puisque c’est la marge que laissent ces onduleurs avant le décrochage. Ça peut abîmer les appareils électroniques. Et de toute façon, les panneaux photovoltaïques ont une priorité au niveau de l’injection d’électricité sur le réseau, en théorie. Et on veut que cette priorité soit respectée” , avance Régis François.

    ”Le propriétaire de panneaux est appâté mais piégé”
    Il faut dire que les détenteurs de panneaux, avec le tarif prosumer (le coût pour prélever de l’électricité sur le réseau) et les déboires des certificats verts, ont l’habitude des mauvaises nouvelles. “Clairement, le propriétaire de panneaux est appâté à court terme. Mais on le tue dès qu’il commence à s’engraisser. Le piège se referme” , déplore le président de l’association.

    ”Il faut que les autorités investissent dans le réseau, mettent des incitants, comme en Flandre, pour favoriser le stockage via des batteries domestiques. On peut également encourager le déplacement de charge. Pousser à ce que les gens fassent tourner leurs lave-vaisselles et machines à laver pendant les pics de production, soit entre 11h et 14h30.”

    Ce qui sonne la fin des compteurs bi-horaire, ceux-ci poussant à consommer et faire tourner ses machines la nuit ? “Oui. La stratégie doit être revue et elle le sera pour tout le monde. Ce qui va signer l’arrêt de mort des compteurs bi-horaire, d’ici 2024 ou 2025” , lance-t-il. Cette proposition est d’ailleurs dans les cartons, au niveau wallon.

    ”Le socle de stabilité, c’est le nucléaire”, reconnaît également le président de l’association. “La promotion des énergies renouvelables, c’est très bien. Mais bon sang, ayons une vision claire de la politique !” , lance-t-il. “Aujourd’hui, il n’y a rien de pire que la politique énergétique wallonne” , tacle encore Régis François.

    Des chiffres du nombre de personnes pénalisées ?
    C’est le grand problème : les gestionnaires de réseau n’ont pas de cadastre des installations mises hors réseau. C’est d’ailleurs pour cela que l’association Beprosumer, apprend-on justement en contactant son président à ce sujet, a mis en place une carte de Wallonie reprenant les déclarations anonymisées des citoyens qui constatent cette mise hors réseau automatique. Une communication au grand public doit être faite à ce sujet cette semaine.

    ”C’est un problème récurrent. Les installations ’décrochent’ depuis déjà 7 ou 8 ans. Il faut que le politique réagisse !”, termine Régis François.

    Source : https://www.lalibre.be/economie/mes-finances/2023/04/03/installations-photovoltaiques-mises-hors-reseau-a-cause-du-soleil-aujourdhui

    #énergie #photovoltaïque #électricité #écologie #solaire #nucléaire #transition_énergétique #environnement #économie #énergies_renouvelables #énergie_solaire #pollution #énergie_renouvelable #panneaux_solaires #agrivoltaïsme

    • Et quand le vent est un peu fort, les éoliennes sont débrayées.

      Stocker l’électricité en batterie aux moments ensoleillés, ou venteux, il faudrait que les batteries existent.
      Le cout de ces batteries est de plusieurs fois le PIB de chaque pays.

      Surtout, ne pas réfléchir ou faire un calcul simple. Cela contrarierai la #doxa.

    • Consultation populaire sur l’éolien dans l’Aisne : un raz de marée de non, Remi Vivenot

      La consultation populaire non officielle organisée dimanche 2 avril par 17 communes de l’Aisne sur l’implantation d’éoliennes dans leur secteur s’est soldée par un score de 87% de non. Un résultat net. Pour autant, la participation annoncée est plus nuancée.

      87% de non à l’implantation d’éoliennes contre 13% de oui. C’est le résultat annoncé par les 17 communes de l’Aisne organisatrices de la consultation par les maires dans un périmètre géographique allant de Fismes aux confins de la Marne jusqu’au Tardenois. Le résultat semble donc sans appel atteignant des pointes allant jusqu’à 100% de non dans le village de Dhuizel par exemple.

      Pour Patrick Fillioud, maire (divers) de Bruys, un des principaux organisateurs de cette initiative. « C’est assez clair. C’est un rejet profond ». Un choix des électeurs qui n’étonne pas Véronique Stragier, maire (divers) de Coulonges-Cohan « Ils ont exprimé leur souhait qu’il n’y ait pas d’implantation. Cette orientation-là est bien marquée. C’est flagrant. La tendance générale, c’est le non, cela ne me surprend pas ».

      Non loin de là, à Mareuil-en-Dôle où une trentaine d’éoliennes pourraient être construites à quelques encablures du village, les votants se sont prononcés à 94% contre. Maire de la commune, Régine Domingues (divers) réagit : « Moi, je suis très satisfaite du résultat de mon village. C’est représentatif. Je discute beaucoup avec les gens. Cela ne surprend pas. Les gens n’étaient pas d’accord du tout. Cela me donne la pêche même pour d’autres sujets ».
      . . . . . .

      #Démocratie #Référendum #Votation #Consultation #énergie #éoliennes #électricité #éoliennes_industrielles #résistance #énergie_éolienne #france #éolienne #énergie_renouvelable #critique_techno

      Source : https://france3-regions.francetvinfo.fr/hauts-de-france/aisne/consultation-populaire-sur-l-eolien-dans-l-aisne-un-raz

  • Lecture de : La guerre des métaux rares. La face cachée de la transition énergétique et numérique, de Guillaume Pitron

    Une perspective nationaliste navrante, mais une somme d’informations capitales.

    Extraits :

    « Le monde a de plus en plus besoin de terres rares, de « #métaux rares », pour son #développement_numérique, et donc pour ttes les #technologies_de_l’information_et_de_la_communication. Les #voitures_électriques et #voitures_hybrides en nécessitent deux fois plus que les voitures à essence, etc. »

    « Nos aïeux du XIXe siècle connaissaient l’importance du #charbon, & l’honnête homme du XXe siècle n’ignorait rien de la nécessité du pétrole. Au XXIe siècle, nous ne savons même pas qu’un monde + durable dépend en très grande partie de substances rocheuses nommées métaux rares. »

    « #Terres_rares, #graphite, #vanadium, #germanium, #platinoïdes, #tungstène, #antimoine, #béryllium, #fluorine, #rhénium, #prométhium… un sous-ensemble cohérent d’une trentaine de #matières_premières dont le point commun est d’être souvent associées ds la nature aux métaux les + abondants »

    « C’est là la clé du « #capitalisme_vert » : [remplacer] des #ressources qui rejettent des millions de milliards de tonnes de #gaz_carbonique par d’autres qui ne brûlent pas – et ne génèrent donc pas le moindre gramme de CO2. »

    « Avec des réserves d’or noir en déclin, les stratèges doivent anticiper la guerre sans #pétrole. […] ne plus dépendre des énergies fossiles d’ici à 2040. […] En recourant notamment aux #énergies_renouvelables & en levant des légions de robots alimentés à l’électricité. »

    « La Grande-Bretagne a dominé le XIXe s. grâce à son hégémonie sur la production mondiale de charbon ; une grande partie des événements du XXe s. peuvent se lire à travers le prisme de l’ascendant pris par les Etats-Unis et l’Arabie saoudite sur la production et la sécurisation des routes du pétrole ; .. au XXIe siècle, un État est en train d’asseoir sa domina routes du pétrole ; au XXIe siècle, un État est en train d’asseoir sa domination sur l’exportation et la consommation des métaux rares. Cet État, c’est la Chine. »

    La Chine « détient le #monopole d’une kyrielle de métaux rares indispensables aux énergies bas carbone & numérique, ces 2 piliers de la transition énergétique. Il est le fournisseur unique du + stratégique : terres rares — sans substitut connu & dont personne ne peut se passer. »

    « Notre quête d’un modèle de #croissance + écologique a plutôt conduit à l’exploitation intensifiée de l’écorce terrestre pr en extraire le principe actif, à savoir les métaux rares, avec des #impacts_environnementaux encore + importants que cx générés par l’#extraction_pétrolière »

    « Soutenir le changement de notre #modèle_énergétique exige déjà un doublement de la production de métaux rares tous les 15 ans environ, et nécessitera au cours des trente prochaines années d’extraire davantage de minerais que ce que l’humanité a prélevé depuis 70 000 ans. » (25)

    « En voulant nous émanciper des #énergies_fossiles, en basculant d’un ordre ancien vers un monde nouveau, nous sombrons en réalité dans une nouvelle dépendance, plus forte encore. #Robotique, #intelligence_artificielle, #hôpital_numérique, #cybersécurité, #biotechnologies_médicale, objets connectés, nanoélectronique, voitures sans chauffeur… Tous les pans les + stratégiques des économies du futur, toutes les technologies qui décupleront nos capacités de calcul et moderniseront notre façon de consommer de l’énergie, le moindre de nos gestes quotidien… et même nos grands choix collectifs vont se révéler totalement tributaires des métaux rares. Ces ressources vont devenir le socle élémentaire, tangible, palpable, du XXIe siècle. » (26)

    #Metaux_Rares Derrière l’#extraction et le « #raffinage », une immense #catastrophe_écologique : « D’un bout à l’autre de la chaîne de production de métaux rares, quasiment rien en #Chine n’a été fait selon les standards écologiques & sanitaires les plus élémentaires. En même temps qu’ils devenaient omniprésents ds les technologies vertes & numériques les + enthousiasmantes qui soient, les métaux rares ont imprégné de leurs scories hautement toxiques l’eau, la terre, l’atmosphère & jusqu’aux flammes des hauts-fourneaux – les 4 éléments nécessaires à la vie »

    « C’est ici que bat le cœur de la transition énergétique & numérique. Sidérés, ns restons une bonne h à observer immensités lunaires & paysages désagrégés. Mais il vaut mieux déguerpir avant que la maréchaussée alertée par les caméras ne débarque »

    « Nous avons effectué des tests, et notre village a été surnommé “le village du cancer”. Nous savons que nous respirons un air toxique et que nous n’en avons plus pour longtemps à vivre. »

    « La seule production d’un #panneau_solaire, compte tenu en particulier du silicium qu’il contient, génère, avance-t-il, plus de 70 kilos de CO2. Or, avec un nombre de panneaux photovoltaïques qui va augmenter de 23 % par an dans les années à venir, cela signifie que les installations solaires produiront chaque année dix gigawatts d’électricité supplémentaires. Cela représente 2,7 milliards de tonnes de carbone rejetées dans l’atmosphère, soit l’équivalent de la #pollution générée pendant un an par l’activité de près de 600 000 automobiles.

    « Ces mêmes énergies – [dites] « renouvelables » – se fondent sur l’exploitation de matières premières qui, elles, ne sont pas renouvelables. »

    « Ces énergies – [dites] « vertes » ou « décarbonées » – reposent en réalité sur des activités génératrices de #gaz_à_effet_de_serre . »

    « N’y a-t-il pas une ironie tragique à ce que la pollution qui n’est plus émise dans les agglomérations grâce aux voitures électriques soit simplement déplacée dans les zones minières où l’on extrait les ressources indispensables à la fabrication de ces dernières ?

    .. En ce sens, la transition énergétique et numérique est une transition pour les classes les plus aisées : elle dépollue les centres-villes, plus huppés, pour mieux lester de ses impacts réels les zones plus miséreuses et éloignées des regards. »

    « Certaines technologies vertes sur lesquelles se fonde notre idéal de sobriété énergétique nécessitent en réalité, pour leur fabrication, davantage de matières premières que des technologies plus anciennes. »

    .. « Un futur fondé sur les technologies vertes suppose la consommation de beaucoup de matières, et, faute d’une gestion adéquate, celui-ci pourrait ruiner […] les objectifs de développement durable. » (The World Bank Group, juin 2017.)

    « Le #recyclage dont dépend notre monde + vert n’est pas aussi écologique qu’on le dit. Son bilan environnemental risque même de s’alourdir à mesure que nos sociétés produiront des alliages + variés, composés d’un nombre + élevé de matières, ds des proportions tjrs + importantes »

    « Dans le monde des matières premières, ces observations relèvent le + souvent de l’évidence ; pr l’immense majorité d’entre nous, en revanche, elles sont tellement contre-intuitives qu’il va certainement nous falloir de longues années avant de bien les appréhender & faire admettre. Peut-être [dans 30 ans] nous dirons-nous aussi que les énergies nucléaires sont finalement moins néfastes que les technologies que nous avons voulu leur substituer et qu’il est difficile d’en faire l’économie dans nos mix énergétiques. »

    « Devenue productrice prépondérante de certains métaux rares, la Chine [a] désormais l’opportunité inédite d’en refuser l’exportation vers les États qui en [ont] le plus besoin. […] Pékin produit 44 % de l’#indium consommé dans le monde, 55 % du vanadium, près de 65 % du #spath_fluor et du #graphite naturel, 71 % du germanium et 77 % de l’antimoine. La Commission européenne tient sa propre liste et abonde dans le même sens : la Chine produit 61 % du silicium et 67 % du germanium. Les taux atteignent 84 % pour le tungstène et 95 % pour les terres rares. Sobre conclusion de Bruxelles : « La Chine est le pays le plus influent en ce qui concerne l’approvisionnement mondial en maintes matières premières critiques ». »

    « La République démocratique du Congo produit ainsi 64 % du #cobalt, l’Afrique du Sud fournit 83 % du platine, de l’iridium et du #ruthénium, et le Brésil exploite 90 % du #niobium. L’Europe est également dépendante des États-Unis, qui produisent plus de 90 % du #béryllium . »

    « Les 14 pays membres de l’OPEP, capables depuis des décennies d’influencer fortement les cours du baril, ne totalisent « que » 41 % de la prod. mondiale d’or noir… La Chine, elle, s’arroge jusqu’à 99 % de la prod. mondiale de terres rares, le + convoité des métaux rares ! »

    Aimants — « Alors qu’à la fin de la décennie 1990 le Japon, les États-Unis et l’Europe concentraient 90 % du marché des aimants, la Chine contrôle désormais les 3/4 de la production mondiale ! Bref, par le jeu du chantage « technologies contre ressources », le monopole chinois de la production des minerais s’est transposé à l’échelon de leur transformation. La Chine n’a pas trusté une, mais deux étapes de la chaîne industrielle. C’est ce que confirme la Chinoise Vivian Wu : « Je pense même que, dans un avenir proche, la Chine se sera dotée d’une industrie de terres rares totalement intégrée d’un bout à l’autre de la chaîne de valeur. » Vœu déjà en partie réalisé. Il a surtout pris racine dans la ville de #Baotou, en #Mongolie-Intérieure . »

    « Baotou produit chaque année 30 000 tonnes d’aimants de terres rares, soit le tiers de la production mondiale. »

    « Nos besoins en métaux rares se diversifient et s’accroissent de façon exponentielle. […] D’ici à 2040, nous devrons extraire trois fois plus de terres rares, cinq fois plus de tellure, douze fois plus de cobalt et seize fois plus de #lithium qu’aujourd’hui. […] la croissance de ce marché va exiger, d’ici à 2050, « 3 200 millions de tonnes d’acier, 310 millions de tonnes d’aluminium et 40 millions de tonnes de #cuivre 5 », car les éoliennes engloutissent davantage de matières premières que les technologies antérieures.

    .. « À capacité [de production électrique] équivalente, les infrastructures […] éoliennes nécessitent jusqu’à quinze fois davantage de #béton, quatre-vingt-dix fois plus d’aluminium et cinquante fois plus de fer, de cuivre et de verre » que les installations utilisant des #combustibles traditionnels, indique M. Vidal. Selon la Banque mondiale, qui a conduit sa propre étude en 2017, cela vaut également pour le solaire et pour l’hydrogène. […] La conclusion d’ensemble est aberrante : puisque la consommation mondiale de métaux croît à un rythme de 3 à 5 % par an, « pour satisfaire les besoins mondiaux d’ici à 2050, nous devrons extraire du sous-sol plus de métaux que l’humanité n’en a extrait depuis son origine ».

    .. Que le lecteur nous pardonne d’insister : nous allons consommer davantage de #minerais durant la prochaine génération qu’au cours des 70 000 dernières années, c’est-à-dire des cinq cents générations qui nous ont précédés. Nos 7,5 milliards de contemporains vont absorber plus de #ressources_minérales que les 108 milliards d’humains que la Terre a portés jusqu’à ce jour. » (211-214)

    Sans parler des « immenses quantités d’eau consommées par l’industrie minière, [des] rejets de gaz carbonique causés par le transport, [du] #stockage et [de] l’utilisation de l’énergie, [de] l’impact, encore mal connu, du recyclage des technologies vertes [de] toutes les autres formes de pollution des #écosystèmes générées par l’ensemble de ces activités [et] des multiples incidences sur la biodiversité. » (215)

    « D’un côté, les avocats de la transition énergétique nous ont promis que nous pourrions puiser à l’infini aux intarissables sources d’énergie que constituent les marées, les vents et les rayons solaires pour faire fonctionner nos technologies vertes. Mais, de l’autre, les chasseurs de métaux rares nous préviennent que nous allons bientôt manquer d’un nombre considérable de matières premières. Nous avions déjà des listes d’espèces animales et végétales menacées ; nous établirons bientôt des listes rouges de métaux en voie de disparition. » (216)

    « Au rythme actuel de production, les #réserves rentables d’une quinzaine de métaux de base et de métaux rares seront épuisées en moins de cinquante ans ; pour cinq métaux supplémentaires (y compris le fer, pourtant très abondant), ce sera avant la fin de ce siècle. Nous nous dirigeons aussi, à court ou moyen terme, vers une pénurie de vanadium, de #dysprosium, de #terbium, d’#europium & de #néodyme. Le #titane et l’indium sont également en tension, de même que le cobalt. « La prochaine pénurie va concerner ce métal, Personne n’a vu le problème venir. »

    « La #révolution_verte, plus lente qu’espéré, sera emmenée par la Chine, l’un des rares pays à s’être dotés d’une stratégie d’approvisionnement adéquate. Et Pékin ne va pas accroître exagérément sa production de métaux rares pour étancher la soif du reste du monde. Non seulement parce que sa politique commerciale lui permet d’asphyxier les États occidentaux, mais parce qu’il craint à son tour que ses ressources ne s’amenuisent trop rapidement. Le marché noir des terres rares, qui représente un tiers de la demande officielle, accélère l’appauvrissement des mines, et, à ce rythme, certaines réserves pourraient être épuisées dès 2027. »

    De la question « du #taux_de_retour_énergétique (#TRE), c’est-à-dire le ratio entre l’énergie nécessaire à la production des métaux et celle que leur utilisation va générer. […] C’est une fuite en avant dont nous pressentons l’absurdité. Notre modèle de production sera-t-il encore sensé le jour où un baril permettra tt juste de remplir un autre baril ? […] Les limites de notre système productiviste se dessinent aujourd’hui plus nettement : elles seront atteintes le jour où il nous faudra dépenser davantage d’énergie que nous ne pourrons en produire. »

    « Plusieurs vagues de #nationalisme minier ont déjà placé les États importateurs à la merci de pays fournisseurs prtant bien moins puissants qu’eux. En fait de mines, le client ne sera donc plus (toujours) roi. La géopolitique des métaux rares pourrait faire émerger de nouveaux acteurs prépondérants, souvent issus du monde en développement : le #Chili, le #Pérou et la #Bolivie, grâce à leurs fabuleuses réserves de lithium et de cuivre ; l’#Inde, riche de son titane, de son #acier et de son #fer ; la #Guinée et l’#Afrique_australe, dont les sous-sols regorgent de bauxite, de chrome, de manganèse et de platine ; le Brésil, où le bauxite et le fer abondent ; la Nouvelle-Calédonie, grâce à ses prodigieux gisements de #nickel. » (226-227)

    « En engageant l’humanité ds la quête de métaux rares, la transition énergétique & numérique va assurément aggraver dissensions & discordes. Loin de mettre un terme à la géopol. de l’énergie, elle va au contraire l’exacerber. Et la Chine entend façonner ce nouveau monde à sa main. »

    « Les #ONG écologistes font la preuve d’une certaine incohérence, puisqu’elles dénoncent les effets du nouveau monde plus durable qu’elles ont elles-mêmes appelé de leurs vœux. Elles n’admettent pas que la transition énergétique et numérique est aussi une transition des champs de pétrole vers les gisements de métaux rares, et que la lutte contre le réchauffement climatique appelle une réponse minière qu’il faut bien assumer. » (234-235)

    « La bataille des terres rares (et de la transition énergétique et numérique) est bel et bien en train de gagner le fond des mers. Une nouvelle ruée minière se profile. […] La #France est particulièrement bien positionnée dans cette nouvelle course. Paris a en effet mené avec succès, ces dernières années, une politique d’extension de son territoire maritime. […] L’ensemble du #domaine_maritime français [est] le deuxième plus grand au monde après celui des #États-Unis. […] Résumons : alors que, pendant des milliers d’années, 71 % de la surface du globe n’ont appartenu à personne, au cours des six dernières décennies 40 % de la surface des océans ont été rattachés à un pays, et 10 % supplémentaires font l’objet d’une demande d’extension du plateau continental. À terme, les États pourvus d’une côte exerceront leur juridiction sur 57 % des fonds marins. Attirés, en particulier par le pactole des métaux rares, nous avons mené, en un tps record, la + vaste entreprise d’#appropriation_de_territoires de l’histoire. »

    « Le projet, entonné en chœur par tous les avocats de la #transition_énergétique et numérique, de réduire l’impact de l’homme sur les écosystèmes a en réalité conduit à accroître notre mainmise sur la #biodiversité. » (248)

    « N’est-il pas absurde de conduire une mutation écologique qui pourrait tous nous empoisonner aux métaux lourds avant même que nous l’ayons menée à bien ? Peut-on sérieusement prôner l’harmonie confucéenne par le bien-être matériel si c’est pour engendrer de nouveaux maux sanitaires et un #chaos_écologique – soit son exact contraire ? » (252)

    Métaux rares, transition énergétique et capitalisme vert https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/01/23/metaux-rares-transition-energetique-et-capitalisme-vert_4727 (Lutte de classe, 10 janvier 2023)

    #écologie #capitalisme #impérialisme

  • Report: Morocco uses green energy to embellish its occupation

    By 2030, half of Morocco’s wind energy production could be generated illegally in occupied Western Sahara. Yet, Morocco presents itself as best-in-class on the energy transition.

    In November 2021, the governments of the world will meet in Glasgow for the COP26 climate talks. At the same time, Morocco - the occupying power of Western Sahara - is erecting its largest energy project on occupied land to date: another step forward in its comprehensive plan to build controversial infrastructure on the land it illegally holds.

    #Western_Sahara_Resource_Watch (#WSRW) today publishes a report exposing all existing and planned renewable energy projects in occupied Western Sahara.

    The report estimates that the energy produced from wind in the territory could constitute 47.20% of Morocco’s total wind capacity by the year 2030, while its share of generated solar power may by then reach 32.64% of Morocco’s total solar capacity.

    As late as 30 September 2021, a new company, #General_Electric, announced an agreement to take part in the controversy.

    The energy produced on occupied land increases Morocco’s dependency on the territory that it occupies. As such, the projects fundamentally undermine the UN peace efforts in Western Sahara directed towards allowing the expression of the right to self-determination of the Saharawi people. The energy is used by industries that plunder the territory’s non-renewable resources, and provides job opportunities attracting more settlers from Morocco. It may also, in time, be exported abroad, including to the EU.

    Morocco brands itself internationally as best in class on renewable energy as part of its commitments under the Paris Agreement. States, however, are only meant to present efforts undertaken in their own territory, not outside of their borders. The UN body that registers and reviews state parties’ achievements, the UNFCCC, claims that it is not in a position to assess the content of the submissions. The scandal of the UNFCCC’s complacency is, of course, compounded by the fact that Morocco’s energy projects can only be carried out under the military occupation that the UN’s central bodies have declared illegal.

    None of the companies participating in the renewable energy industry inside Western Sahara, including those most heavily implicated - Italian company Enel and Spanish Siemens Gamesa - have clarified whether they have even tried to obtain the consent of the people of the territory.

    Instead, the companies refer to an alleged ‘consultation’ of local ‘stakeholders’ or ‘population’. This is the exact same flawed approach taken by the European Commission in its trade and fisheries agreements with Morocco. The European Court of Justice ruled on 29 September 2021 that the EU’s approach in Western Sahara is illegal. The Court explicitly stated that the liberation movement Polisario is the representative of the Saharawi people, that consent must be obtained from them, and that a ‘consultation’ of the ‘population’ cannot substitute the legal requirement of Saharawi consent.

    WSRW demands an immediate exit of all energy companies from the occupied territory, and asks the UNFCCC and its State Parties to challenge Morocco’s systematically erroneous climate reporting.

    https://wsrw.org/en/news/report-morocco-uses-green-energy-to-embellish-its-occupation

    #Maroc #Sahara_occidental #occupation #green_washing #rapport #énergie_éolienne #énergie #transition_énergétique #énergies_renouvelables

    ping @visionscarto

    • Il Sahara Occidentale di fronte all’estrattivismo “green”
      Report del workshop al Venice Climate Camp, di Héctor Santorum

      L’8 settembre 2022 si è tenuto al Venice Climate Camp il workshop “Sahrawi: Colonialismo, estrattivismo e repressione nel Sahara Occidentale” a cura della Sahrawi Youth Union. Proponiamo qui il report del workshop stilato da uno degli organizzatori. Ulteriori informazioni sull’operato delle multinazionali nel Sahara Occidentale sono reperibili sul sito Western Sahara Resource Watch. Traduzione di Fiorella Zenobio.

      Il Sahara Occidentale produce il 50% del PIL marocchino. Alla sommità dell’ordine sociale si trova il colonizzatore, che sia esso un militare, un funzionario o un commerciante; nella parte inferiore troviamo invece il colonizzato. Le azioni dei colonizzatori beneficiano loro stessi e la classe dirigente marocchina. È piuttosto facile individuare il funzionario e il militare. Ma chi è il commerciante? È ognuna delle aziende, statali o private, marocchine o straniere, che operano nel Sahara Occidentale, con la complicità di diversi paesi. Sono questi gli strumenti necessari per la colonizzazione.

      Nel 1884, si svolge la Conferenza di Berlino, nella quale le potenze europee si spartiscono l’Africa. Quello stesso anno avviene la colonizzazione ufficiale del Sahara Occidentale da parte della Spagna. Nel 1957, l’ONU elabora una lista di territori non autonomi, nella quale è incluso il Sahara Occidentale. Due anni dopo, la Spagna avvia le attività di estrazione di risorse e dichiara il Sahara la sua provincia numero 53, concedendo forme di rappresentanza ai sahrawi al fine di evitare la decolonizzazione.

      Nel 1960, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la risoluzione 1514 secondo la quale “qualsiasi territorio non autonomo deve poter esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione attraverso un referendum” e il Marocco inizia a reclamare il Sahara come proprio. Nel 1975, il Marocco chiede alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo riguardo all’appartenenza del Sahara al Marocco e/o alla Mauritania. La risposta è che il Sahara non è mai appartenuto a nessuno dei due. La Spagna comunica allora che si terrà il referendum.

      La reazione a questi avvenimenti è la cosiddetta “Marcia Verde”, una colonna composta da migliaia di persone – civili e militari marocchini – che si dirige verso il territorio sahrawi il 6 novembre 1975. Il 14 novembre si tiene a Madrid il vertice tra Spagna, Marocco e Mauritania per firmare gli “Accordi di Madrid”, a partire dai quali la Spagna abbandona il territorio del Sahara Occidentale cedendone la titolarità a Marocco e Mauritania. Questa cessione non viene riconosciuta dalle Nazioni Unite, motivo per cui la Spagna continua a essere considerata responsabile della decolonizzazione del territorio.

      Parallelamente a questo accordo, le truppe spagnole abbandonano i sahrawi, che in quel momento erano considerati una delle tante province spagnole e possedevano documenti identificativi spagnoli. Il Fronte Polisario, successore del Movimento Nazionale di Liberazione Sahrawi, dà inizio alla guerra contro il Marocco e la Mauritania.

      Nel 1979, la Mauritania si ritira dalla guerra e riconosce la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi. Nel 1991, le Nazioni Unite intervengono affinché venga firmato il “Plan de Arreglo” [una sorta di Piano d’Intesa] tra il Sahara e il Marocco, vale a dire: il cessate il fuoco, lo svolgimento del referendum entro sei mesi e la creazione di MINURSO, organo incaricato di portare a termine il referendum.

      Un muro minato di oltre duemila chilometri divide le famiglie sahrawi da circa quarant’anni. Durante tutto questo tempo, il popolo sahrawi ha fatto affidamento sulle Nazioni Unite per trovare una soluzione pacifica attraverso il referendum, che però non è mai stato realizzato. La guerra è riscoppiata nel novembre 2020 in seguito alla rottura del cessate il fuoco da parte del Marocco all’altezza del villaggio di Guerguerat. Un gruppo di sahrawi aveva infatti manifestato pacificamente bloccando un’autostrada illegale costruita dal Marocco nel villaggio di Guerguerat, una rotta terrestre per il commercio di prodotti provenienti anche dal Sahara occupato.

      Nei territori occupati dal Marocco si trovano quasi 600.000 persone, delle quali circa 400.000 sono sahrawi. Questi ultimi sono soggetti a violazioni dei diritti umani ed emarginazione sociale (l’80% è disoccupato). È uno spazio chiuso, il Marocco vieta l’accesso agli organi internazionali rendendolo un carcere a cielo aperto. La situazione nei campi per rifugiati di Tindouf è precaria. I loro abitanti hanno accesso limitato a elettricità e acqua, vivono in condizioni climatiche estreme e dipendono dagli aiuti umanitari, in calo a causa delle diverse crisi internazionali.

      Il Marocco non ha gas o petrolio, per cui dipende dalle importazioni. L’azienda norvegese Wisby Tankers AB consegna ogni giorno mezzo milione di litri di petrolio al porto di El Laayoune. Il 30% di questo petrolio viene impiegato da veicoli militari. Il Marocco vuole incrementare la propria capacità produttiva di energia solare ed eolica, rispettivamente del 47% e del 32% entro il 2030. Ci sono diverse aziende coinvolte, tra le quali Siemens Gamesa ed Enel Green Energy, che sostengono di avere il consenso della popolazione, affermazione che risulta essere falsa. Infatti, il consenso dev’essere ottenuto innanzitutto dal Fronte Polisario, il rappresentante riconosciuto dalle Nazioni Unite.

      Per cosa vengono usati questi progetti rinnovabili? Nel Sahara occupato si trovano grandi quantità di fosfato. Il 95% dei bisogni energetici dell’azienda statale marocchina per il fosfato viene soddisfatto dal parco eolico di Foum El Oued. L’industria dei fosfati sahrawi genera annualmente 400 milioni di euro per il Marocco. Il nuovo progetto di Dakhla mira a supportare ed espandere l’industria agricola. Annualmente vengono prodotte 160.000 tonnellate di pomodori, meloni e cetrioli, per il 95% esportate sui mercati internazionali. Tali prodotti provenienti da Dakhla vengono rietichettati ad Agadir per nasconderne la vera provenienza e commercializzarli nei mercati europei.

      Questi progetti ripuliscono la propria immagine con l’energia rinnovabile, fenomeno che chiamiamo “greenwashing”, ma in realtà aiutano a perpetuare l’estrattivismo, ottimizzandolo e consolidandolo. La presenza di queste compagnie si traduce in un supporto implicito alla colonizzazione. Esse affermano che il loro lavoro beneficerà il Sahara (Enel Green Energy), che non si occupano di politica (Enel Green Energy) e che non ci sono sanzioni internazionali (Enel Green Energy, Wisby Tankers AB). Tali argomentazioni dimostrano l’inesistenza della loro etica aziendale.

      Per quanto riguarda l’Unione Europea, la sua posizione ufficiale è la difesa delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Tuttavia, l’Europa riserva un trattamento differenziato al Sahara occupato e alla Crimea. La Siemens è stata investigata a causa dell’installazione delle sue turbine in Crimea in violazione delle sanzioni contro la Russia. Sembra però che le aziende europee e il governo marocchino abbiano il via libera per fare nei e dei territori occupati ciò che vogliono, senza timore di ripercussioni.

      Di recente, il 29 settembre 2021, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha annullato alcune decisioni del Consiglio relative all’Accordo tra l’Unione Europea e il Marocco. Questi ultimi volevano estendere l’Accordo ai prodotti agricoli provenienti dal Sahara Occidentale e modificare l’Accordo di Pesca includendovi acque territoriali sahrawi. Le acque in questione sono molto proficue per la pesca, producono circa due milioni di tonnellate annuali, rendendo il Marocco il primo esportatore ittico dell’Africa. Il 70% di queste esportazioni arriva in Europa.

      In conclusione, la situazione attuale è difficile. Al livello globale, si stanno creando zone di sacrificio, dove non hanno importanza né i diritti umani, né l’ambiente, né alcunché. Il Sahara Occidentale è una di queste zone, dove importa solo il tornaconto economico delle attività che le aziende straniere svolgono nel territorio. Non conta se sono immorali o se supportano la colonizzazione, in quanto i mezzi di comunicazione non ne parlano. Nonostante siano trascorsi quasi cinquant’anni dall’inizio dell’occupazione, il popolo sahrawi continua a lottare.
      Fonti

      - Corte di Giustizia dell’Unione Europea, comunicato stampa n° 166/21, settembre 2021 (es – en – fr)
      - Western Sahara Resource Watch (WSRW) ed Emmaus Stockholm, Report “Combustible para la ocupación”, giugno 2014.
      – Western Sahara Resource Watch (WSRW), Report “Greenwashing Occupation”, ottobre 2021.
      - Western Sahara Resource Watch (WSRW) ed Emmaus Stockholm, Report “Conflict Tomatoes”, febbraio 2012.

      https://www.meltingpot.org/2022/09/il-sahara-occidentale-di-fronte-allestrattivismo-green
      #extractivisme

  • Derrière l’opposition aux éoliennes, une galaxie influente et pronucléaire
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2022/06/28/derriere-l-opposition-aux-eoliennes-une-galaxie-influente-et-pronucleaire_61

    Dans l’ombre des contestations locales et souvent spontanées contre les implantations, s’active un réseau bénéficiant de puissants relais jusqu’au sommet de l’Etat. Avec pour objectif d’imposer une relance massive du nucléaire.

    « Tu as raison. Bats-toi. Tu es notre Don Quichotte ! » L’hommage est de Brigitte Macron. Son Don Quichotte ? Stéphane Bern. Ses moulins à vent ? Les éoliennes. L’animateur télé, ami du couple présidentiel, les combat sans relâche au nom de la préservation du patrimoine, son autre mission – officielle celle-là –, confiée par le chef de l’Etat. La scène se déroule il y a un an, le 7 juin 2021, sous les lambris de l’Institut de France, à Paris, lors de la remise des prix de la fondation Stéphane Bern. Le présentateur étrille les éoliennes dont « la multiplication anarchique » est « en train de défigurer nos paysages, de saccager des sites naturels et de polluer notre environnement ». La première dame acquiesce.

    Deux ans plus tôt, dans l’hélicoptère qui les emmène à Amboise (Indre-et-Loire) pour le 500e anniversaire de la mort de Léonard de Vinci, Emmanuel Macron fait une confidence à Stéphane Bern en survolant un parc éolien : « C’est vrai que c’est moche, tu as raison il y en a trop. » Au cours de son premier quinquennat, le chef de l’Etat a opéré un virage à 180 degrés sur la stratégie énergétique de la France. Il débute son mandat en mettant en œuvre la fermeture de la centrale de Fessenheim (Haut-Rhin) décidée par son prédécesseur et prévoit de doubler les capacités de l’éolien terrestre d’ici à 2030. Cinq ans plus tard, il reporte cet objectif à 2050 et relance la filière nucléaire.

    Pourquoi un tel revirement ? Ces dernières années, un peu partout en France, des citoyens se sont opposés à des projets éoliens. Mais, dans l’ombre de ces contestations locales et souvent spontanées, s’active une galaxie organisée au niveau national qui milite non seulement pour mettre un coup d’arrêt à l’éolien, mais aussi pour une relance massive du nucléaire. Une mouvance qui dispose de puissants relais politiques et médiatiques et de réseaux d’influence touchant jusqu’au sommet de l’Etat, comme le montre cette enquête, qui s’appuie notamment sur des éléments transmis par Greenpeace et le Global Strategic Communications Council (un réseau international promouvant la transition écologique), vérifiés et complétés par Le Monde.

    Mardi 31 mai, ses représentants ont rendez-vous dans le quartier de Saint-Germain-des-Prés, à Paris, pour une conférence portant sur « un nouveau mix énergétique ». Lorsque l’ordinateur qui projette les présentations des intervenants s’éteint, la boutade est toute trouvée : « C’est à cause de l’intermittence des éoliennes ! », s’amuse la salle.

    Au rez-de-chaussée de l’Hôtel de l’industrie sont réunies des figures historiques des mouvements antiéolien, mais aussi pronucléaire. Jean-Louis Butré, le président de la Fédération environnement durable (FED), la principale organisation antiéoliennes ; Fabien Bouglé, conseiller municipal (divers droite) de Versailles, auteur d’un livre à charge contre les éoliennes (Eoliennes. La face noire de la transition énergétique, Editions du Rocher, 2019) et d’un autre vantant les mérites de l’atome (Nucléaire. Les vérités cachées, Editions du Rocher, 2021) ; Bernard Accoyer (Les Républicains, LR), ancien président de l’Assemblée nationale, fondateur de l’association de défense du patrimoine nucléaire et du climat (PNC) ; ou encore les présidents du saint des saints de l’establishment français – le Cercle de l’Union interalliée – Denis de Kergorlay, et du Cercle d’étude réalités écologiques et mix énergétique (Cérémé) Xavier Moreno, deux autres pourfendeurs de l’éolien et défenseurs acharnés de l’atome.

    #paywall

    • Une « agression » contre les populations rurales

      Quelques mois plus tôt, les mêmes étaient rassemblés dans un lieu encore plus prestigieux : à l’invitation de M. Accoyer, environ 200 personnes participaient au colloque organisé par le Cérémé au sein même de l’Assemblée nationale, avec pour ambition de « faire entrer la politique énergétique française dans l’âge de la raison » . Lors de ces rencontres s’égrainent, au fil des interventions, les contours de leur « combat » .
      Pour les intervenants, les éoliennes sont une « agression » à l’encontre des populations rurales, une atteinte aux paysages qui provoque dégâts environnementaux, problèmes de santé et dévaluation des prix de l’immobilier. Elles seraient aussi une aberration économique aux mains d’un « cartel » et imposées par la « corruption  » ou les « menaces » des développeurs éoliens.

      Plus largement, les renouvelables sont jugés inutiles pour lutter contre le réchauffement climatique. Intermittentes (les éoliennes ne fonctionnent que lorsqu’il y a du vent) et non pilotables (la production ne peut être ajustée en fonction des besoins), elles nécessiteraient inévitablement de rallumer des centrales à gaz polluantes dès qu’elles cessent de fonctionner. Et si les prix de l’énergie explosent et que la France risque aujourd’hui « le black-out » , ce ne serait que parce qu’un « puissant lobby éolien » aurait « infiltré » tous les niveaux de l’Etat : l’Agence de la transition écologique (Ademe), le gestionnaire du réseau de transport d’électricité (RTE), la direction générale de l’énergie et du climat et surtout le ministère de la transition écologique.

      Face à « l’illusion » de l’éolien, il n’y a, pour tous ces acteurs, qu’une seule option : relancer massivement la filière nucléaire. « La France a un atout fabuleux : il est de notre responsabilité de harceler l’exécutif, de harceler les élus » pour que soit reconstruite la filière, insiste, en conclusion du colloque du 31 mai, Bernard Accoyer, le président de l’association PNC, lancée en février 2021 par une cinquantaine de personnalités de tous bords [?!] (l’ancien ministre et sénateur (LR) de la Meuse Gérard Longuet, l’ex-député (LR) de Vaucluse Julien Aubert, l’ancien président de la SNCF Louis Gallois, les anciens ministres Jean-Pierre Chevènement et Arnaud Montebourg…).

      « Un lobby nucléaire fort »

      Pour ces défenseurs de l’atome, les ambitions du président, qui prévoit désormais la construction de six, voire quatorze nouveaux réacteurs, restent largement insuffisantes. Sur la petite estrade de l’Hôtel de l’industrie, Xavier Moreno sort de son tote bag blanc l’étude de RTE « Futurs énergétiques 2050 », qui décrit six scénarios possibles permettant d’atteindre la neutralité carbone du système électrique en France, à l’horizon 2050. L’option la plus favorable au nucléaire prévoit que celle-ci fournisse la moitié de l’électricité d’ici à trente ans. Bien trop peu, aux yeux du Cérémé, qui a donc fait réaliser son propre scénario par le cabinet d’étude indépendant Roland Berger. Sans surprise, celui-ci affirme qu’un mix électrique reposant à 80 % sur le nucléaire, grâce à la construction de vingt-quatre #EPR 2 d’ici à 2050 et sans nouveau parc éolien, serait « le meilleur pour la France » .

      Les défenseurs des énergies renouvelables réfutent les arguments de leurs adversaires et dénoncent des stratégies de désinformation. Au-delà des acteurs du secteur, aucun organisme officiel ou organisation internationale n’a jusqu’à présent confirmé qu’il était possible d’atteindre la neutralité carbone en cessant le développement de l’éolien et en misant quasiment exclusivement sur l’atome.

      Le parc nucléaire permet aujourd’hui à la France d’avoir le système électrique le plus décarboné d’Europe. Mais, au cours des prochaines décennies, pour des raisons industrielles liées à leur vieillissement, les cinquante-six réacteurs devront être mis à l’arrêt. Or, en parallèle, l’objectif de baisse drastique des émissions de gaz à effet de serre va exiger une électrification de nombreux usages, et donc une hausse de la consommation d’électricité.

      Pour le gouvernement et la plupart des experts de l’énergie, une augmentation massive de la production d’électricité d’origine renouvelable est donc indispensable pour faire face à cette double dynamique, et ce même en conservant des capacités de production nucléaire importantes.
      « On entend de la part des pronucléaire que RTE est vendu au lobby des renouvelables, ce qui est faux. Mais l’Agence internationale de l’énergie, ce ne sont pas des écolos en Birkenstock, et pourtant ils disent la même chose sur la nécessité de développer massivement l’éolien ! , indique Barbara Pompili, l’ancienne ministre de la transition écologique, réélue députée de la Somme. Il y a de nouveaux acteurs, mais il y a toujours eu un lobby nucléaire fort en France. Ces gens considèrent le développement des renouvelables comme une menace vis-à-vis du nucléaire, qui serait dans une situation de forteresse assiégée. »

      « Kits » pour monter une association

      Enarque et polytechnicien, ancien de la direction du Trésor du ministère des finances, de Sanofi et de Suez, Xavier Moreno est lui aussi plus costume-cravate que Birkenstock. Président du Cérémé, un think tank inconnu du grand public créé en mai 2020, il occupe désormais une place centrale dans le mouvement antiéolien.

      En 1998, il a cofondé la société d’investissement Astorg Partners. Avec cette entreprise internationale, Xavier Moreno assure avoir gagné « plus d’argent qu’il n’en a besoin » . Alors, à 74 ans, il fait de la « philanthropie » dans deux domaines : la musique, en soutenant une école privée, et l’énergie. Il finance ainsi, sur ses ressources personnelles, plus de la moitié du budget du Cérémé (1 million d’euros en 2021).

      Nouveau venu dans cette galaxie antiéoliennes, Xavier Moreno se voit comme un « facilitateur » . D’abord par les ressources financières qu’il met en partie à disposition des autres associations, « souvent tenues par des bénévoles sur un coin de table, avec très peu de moyens » . Le Cérémé finance des études et de la documentation, des événements, des campagnes de communication, mais aussi la revue Books ou encore des lobbyistes à Bruxelles. Parmi ses « petits camarades » _et « connaissances » figurent, assure-t-il, le ministre de l’économie Bruno Le Maire, l’ex-PDG d’Engie Gérard Mestrallet, le commissaire européen Thierry Breton, le PDG d’EDF Jean-Bernard Lévy… Ses « notes » sont envoyées au Trésor, à Matignon, parfois jusqu’à l’Elysée. Lorsque Xavier Moreno reçoit Emmanuel Macron pour le premier dîner du cercle Charles Gide – qu’il préside –, réunissant l’élite protestante, le président lui lance avec un clin d’œil : « Faut qu’on parle d’énergie ! »

      Patron historique de la FED, qu’il a fondée en 2009, l’octogénaire Jean-Louis Butré salue l’arrivée d’acteurs comme le Cérémé ou l’association fondée par Bernard Accoyer. Même si ces groupes n’agissent qu’au niveau national, sans implantation sur le terrain. Depuis plus d’une décennie, cet ancien du Commissariat à l’énergie atomique (CEA) et de Rhône-Poulenc laboure le champ antiéolien au niveau local.

      L’association revendique mille sept cents adhérents, allant de la minuscule association comptant trois membres dans un hameau à des groupes de plusieurs centaines de personnes. « A chaque fois que des gens découvrent tout à coup l’existence d’un projet éolien, ils se mettent à chercher de l’aide , raconte Jean-Louis Butré. _Alors on leur donne des conseils. » La FED fournit ainsi des kits complets pour monter une association ou financer les actions en justice… Car elle a mis en place un processus de systématisation des recours, en s’appuyant sur un réseau de vingt-sept avocats. Une stratégie de blocage qui paie : aujourd’hui, près de 80 % des projets sont contestés – il suffit ainsi de quelques personnes pour lancer une action en justice.

      « Les masques sont tombés »

      Il y a encore quelques années, la FED ou les autres associations de lutte antiéoliennes, au nom de la défense des paysages, évitaient de prendre position sur le nucléaire. « Les deux sujets sur lesquels les membres de la FED peuvent se battre et dont en principe on ne s’occupe pas, ce sont le climat et le nucléaire , reconnaît Jean-Louis Butré. Mais, évidemment, on m’interroge toujours sur l’atome. » Lui considère que ne pas miser à 100 % sur le nucléaire est « une erreur stratégique monumentale » .

      Avec l’apparition du Cérémé, de l’association de défense du patrimoine nucléaire et du climat ou encore du collectif Energie vérité, un groupe de réflexion lancé en 2019 par une cinquantaine de personnalités pour « démystifier certaines idées reçues » sur l’énergie, le lien entre les combats antiéolien et pronucléaire est clairement affiché. « Les masques sont tombés » , estime Michel Gioria, délégué général de France Energie éolienne.

      Les salons du Cercle de l’Union interalliée, par exemple, ont accueilli, le temps d’une soirée, partisans du nucléaire et opposants aux éoliennes. Fin septembre 2020, plus d’une centaine de convives sont réunis dans le select club parisien, présidé par Denis de Kergorlay, coauteur d’ Eoliennes : chronique d’un naufrage annoncé (Les Peregrines, 2018), et dont Stéphane Bern est membre. Objectif : lancer une opération de financement participatif destinée à la réalisation d’un film promettant de dénoncer une « gigantesque escroquerie politique et écologique » .

      Au total, environ 150 000 euros seront levés en quelques mois – dont quelque 10 000 euros viennent du Cérémé – pour la réalisation du film et l’organisation d’une campagne de publicité. Eoliennes. Du rêve aux réalités donne la parole à d’anciens patrons d’EDF (Henri Proglio) et du pétrolier Elf (Loïk Le Floch-Prigent), à des représentants de la FED ou encore au médiatique ingénieur et président du Shift Project Jean-Marc Jancovici, la caution scientifique du mouvement antiéolien.

      Publié le 1er juin 2021, sur YouTube, le documentaire a depuis été vu plus de 550 000 fois. Derrière cette charge sans nuances, une association baptisée Documentaire et vérité, dont l’objectif affiché est « le financement participatif de documentaires basés sur des faits vérifiables et des experts reconnus » . Son deuxième film, Nucléaire. Une énergie qui dérange , encore plus largement financé par le président du Cérémé, met en scène les défenseurs de l’atome tels les membres de l’association Les Voix du nucléaire, qui s’invitent dans les marches pour le climat.

      Un « documentaire de combat »

      Pour le lancement du premier opus, au Cercle de l’Union interalliée, c’est le journaliste Alexandre Devecchio qui officie. Pour soutenir ce « documentaire de combat » , il a créé une éphémère maison de production, Agorama Studio. Responsable de l’espace débats du Figaro , chroniqueur à la télévision et à la radio, il ouvre largement ses pages au mouvement antiéolien : entre février 2021 et mars 2022, une trentaine de textes sont publiés, dont trois de Patrice Cahart, membre du Cérémé et auteur de La Peste éolienne (Hugo Doc, mai 2021).

      Le jour de la sortie du documentaire, le réalisateur du « film qui déconstruit l’imposture » bénéficie d’un entretien sur LeFigaro.fr. Quelques mois plus tôt, Alexandre Devecchio – qui n’a pas répondu à nos sollicitations – l’avait déjà interviewé à l’occasion, cette fois, de la publication d’un sondage de l’IFOP… commandité par Documentaire et vérité et le Cérémé, qui concluait que 53 % des Français ne souhaitaient pas voir apparaître d’éoliennes près de chez eux.

      Le journaliste accueille également dans Le Figaro , la veille de la sortie du film, une tribune au vitriol de Stéphane Bern. L’animateur, qui salue le documentaire, interpelle la ministre de la transition écologique : « Madame Pompili, les éoliennes sont une négation de l’écologie ! » En pleine campagne des régionales de 2021, le coup de gueule est aussitôt récupéré par la droite et l’extrême droite.

      Six mois plus tard, Stéphane Bern apostrophe de nouveau avec virulence la ministre de la transition écologique sur Twitter : « Quelle folie ! Barbara Pompili portera une lourde responsabilité devant l’histoire… » Un projet de parc éolien dans la Manche menacerait le classement au Patrimoine mondial des tours Vauban. Selon une étude de la plate-forme d’analyse des réseaux sociaux Bloom, ce message a généré sur Twitter « un pic d’opposition »  : les posts et commentaires hostiles à l’éolien augmentent alors de 350 %. « Après janvier, on m’a demandé en haut lieu de me calmer,« Après janvier, on m’a demandé en haut lieu de me calmer, confie Stéphane Bern. Ça devenait trop politique. »
      confie Stéphane Bern. « Après janvier, on m’a demandé en haut lieu de me calmer, confie Stéphane Bern. Ça devenait trop politique. »
      Ça devenait trop politique. »

      La France est alors à quelques mois du scrutin présidentiel. La question des éoliennes polarise largement le débat. Le 11 février, le chef de l’Etat prononce un discours majeur depuis l’usine General Electric de Belfort, dans lequel il précise sa vision de l’avenir énergétique du pays et confirme vouloir construire de nouveaux réacteurs, tout en ralentissant le développement de l’éolien terrestre.

      Don Quichotte aurait-il remporté son combat ? Le discours des opposants à l’éolien et des défenseurs du nucléaire a-t-il influé sur les décisions du chef de l’Etat ? Si certains acteurs du secteur de l’énergie estiment qu’ils ne sont qu’une « nuisance sonore » sans influence réelle, d’autres constatent que leur lobbying « infuse » dans l’opinion et auprès des décideurs, souvent peu armés techniquement sur ces sujets.

      « Stratégie d’influence bien élaborée »

      « Ce n’est pas le Cérémé tout seul qui fait changer Macron de direction, mais toute cette coalition d’acteurs a une stratégie d’influence bien élaborée. Ils investissent plein de canaux d’information et de lieux de décision » , observe un expert du secteur des renouvelables.

      Au-delà des recours, qui freinent significativement le développement de la filière, France Energie éolienne affirme avoir vu un impact très net des tergiversations de l’exécutif sur le sujet. « Quand le président a dit qu’il n’y avait pas de consensus sur l’éolien, sur le terrain les préfets se sont mis à ne plus délivrer les autorisations , assure Michel Gioria. On avait des acteurs dont le projet était bouclé, qui avaient reçu l’autorisation environnementale et l’avis favorable des mairies, mais auxquels le préfet ne donnait pas de permis. »
      Barbara Pompili défend la stratégie énergétique adoptée par le président, qui a résisté à une « intense pression » visant à instaurer un moratoire sur l’éolien, mais reconnaît que le front antirenouvelables « pèse » . « Les lobbyistes du nucléaire sont très présents auprès des parlementaires, constate-t-elle. Bien sûr, il y a aussi du lobbying prorenouvelables, mais, en termes d’influence sur le sommet de l’Etat, ça n’a rien à voir, ils ne jouent pas dans la même catégorie. »

      Les antiéolien se réjouissent de leur côté de ce qu’ils considèrent comme de premières victoires. « Mme Pompili n’est plus là, c’est déjà ça, mais le combat n’est pas fini, il ne fait que commencer » , juge Stéphane Bern, qui considère le nucléaire comme « la seule énergie décarbonée ». « La bataille de l’opinion, on l’a gagnée » , estime son amie et voisine dans le Perche, Brigitte Pistre. La maire du village de Frazé (Eure-et-Loir), décorée de la Légion d’honneur par Emmanuel Macron en 2019, en même temps que Stéphane Bern, pour son engagement en faveur de la défense du patrimoine rural, est à la tête du collectif Vent des maires, très remonté contre l’implantation d’éoliennes. « Quand j’ai commencé on était deux , décrit-elle. Aujourd’hui, on est plus de cinq cents maires et un millier d’élus. »

      « Depuis la rencontre au Cercle de l’Union interalliée et la diffusion du documentaire, il y a eu une modification très importante de l’opinion sur le nucléaire et l’éolien » , veut croire aussi Fabien Bouglé. La galaxie antiéoliennes n’entend pas en rester là. Prochain objectif : peser sur l’élaboration de la prochaine feuille de route énergétique de la France, prévue en 2023.

      #écologie #nucléaire #éolien #énergies_renouvelables

  • La France largement à la traîne sur les énergies renouvelables, malgré les engagements du candidat Macron - Basta !
    https://basta.media/Macron-energies-renouvelables-bilan-du-quinquennat-France-en-retard-objecti

    Emmanuel Macron s’était engagé à développer les #énergies_renouvelables. Cinq ans plus tard, la France est le seul pays européen qui n’a pas atteint ses objectifs. Le président-candidat préfère désormais faire la promotion du #nucléaire.

    • Le président français a dévoilé, jeudi à Belfort, son plan de relance du nucléaire et sa stratégie énergétique pour la France. Il a notamment annoncé la construction d’une série de nouveaux réacteurs nucléaires EPR de deuxième génération.
      Dessin de Sié pour #Urtikan.net
      https://www.urtikan.net/dessin-du-jour/emmanuel-macron-annonce-la-construction-de-nouveaux-reacteurs-nucleaires

    • Colloque pro-nucléaire du palais du Luxembourg : que crève la société nucléaire autoritaire ! - Paris-luttes.info
      https://paris-luttes.info/colloque-pro-nucleaire-du-palais-15705

      Il y a quelques jours s’est déroulé au palais du Luxembourg de Paris, une opération de lobbying orchestrée par de grosses pourritures nucléocrates. Tandis qu’à l’intérieur se déroulait le dégueuli, d’aucunEs se sont adonnéEs, à deux pas de là, à une sympathique activité de tractage auprès des passantEs, afin de discuter du nucléaire et son monde. À l’aune des présidentielles et tandis que la propagande médiatique bat son plein suite aux annonces de poursuite du nucléaire, ces merdes se réunissaient pour parler « enjeux et réussite » et « acceptabilité sociale » du nouveau programme nucléaire.

      https://bureburebure.info/colloque-pro-nucleaire-du-palais-du-luxembourg-que-creve-la-societe-n
      #nucléocrates

    • Il fait rire ce timbre d’ailleurs, car la finalité de Marcoule n’a jamais été la production d’électricité, mais la production de plutonium pour la bombinette, mais bon, c’était ça le truc à l’époque : vendre le nucléaire civil pour faire passer la pilule du nucléaire militaire.

    • Où il est question (amha) d’un abus de langage : quand on nous susurre #taxonomie :

      https://theconversation.com/nucleaire-retour-sur-le-debat-autour-de-la-nouvelle-taxonomie-europ

      Dans le cadre de l’objectif de neutralité carbone fixé aux États membres à l’horizon 2050, Ursula Von der Leyen, la présidente de la Commission européenne, a tenu sa promesse et fourni fin 2021 de nouvelles décisions concernant le volet climatique de la « taxonomie » européenne ; cette taxonomie sert à classifier des activités économiques ayant un impact favorable sur l’environnement.

      Contrairement à un premier texte publié en juin 2021, le nucléaire – au même titre que le gaz naturel – figure désormais dans ce classement.

    • « Mediapart s’est procuré un rapport de l’#Ademe, l’agence publique de la transition écologique, selon lequel il n’y a aucune nécessité de construire de nouveaux réacteurs #EPR. Le gouvernement a repoussé la diffusion de ce rapport car le président de la République allait annoncer des projets contraires. »


      https://www.mediapart.fr/journal/france/110222/nucleaire-le-gouvernement-repousse-la-diffusion-d-un-rapport-officiel-cont

      Selon l’Élysée, la « très, très grande force » du système nucléaire français, c’est « sa transparence, sa capacité à tout dire, tout de suite ». Un petit grain de sable est pourtant en train de gripper cette belle machine de communication.

      #paywall

      Le nucléaire un projet de société pour une partie de la classe politique. Ce projet avec ses zones obscures à masquer est une #arme-politique pour #EmmanuelMacron dans la période électorale.
      Le #rapport-de-l'ademe valide les #alternatives-renouvelables sans ajout de nucléaire.

    • Selon l’Élysée, la « très, très grande force » du système nucléaire français, c’est « sa transparence, sa capacité à tout dire, tout de suite ». Un petit grain de sable est pourtant en train de gripper cette belle machine de communication.

      Il prend la forme d’un rapport de 44 pages intitulé : « Transition(s) 2050 : Mix électrique ». Produit par des expert·es de l’Ademe, une agence publique d’expertise, de conseil et de financement de la transition énergétique, il présente quatre scénarios de production d’électricité pour la France de 2050. Chacun correspond à une vision de la société française dans 30 ans : frugale, forte en « coopération territoriale », dépendante des technologies « vertes », ou faisant le pari « réparateur » de gros besoins en électricité.

      Ce document devait être publié entre mi-janvier et début février, comme l’a indiqué le député (écologiste) Matthieu Orphelin dans un communiqué. Mais sa diffusion a été repoussée par son autorité de tutelle, le ministère de la transition écologique, selon plusieurs sources qui ont alerté Mediapart.

      Sollicitées dans le cadre d’un séminaire de recherche, des personnes ayant contribué au rapport de l’Ademe ont répondu qu’elles n’avaient pas le droit d’en diffuser les résultats. Contactées par Mediapart, elles n’ont pas répondu à nos questions. De son côté, Matthieu Orphelin a écrit dans un communiqué qu’« il semble que la publication des scénarios de mix électrique de l’Ademe aient été à nouveau décalés sur demande du gouvernement ». Interrogée à son tour, l’agence répond que « l’Ademe publiera ses travaux lorsqu’ils seront finalisés ».

      Le cabinet de Barbara Pompili « ne confirme pas du tout » : « des éléments d’analyse complémentaires sont en cours de finalisation entre l’agence et les services du ministère. Ils sortiront quand le travail sera abouti. »

      Le hic, c’est que le rapport en question est bel et bien terminé. Mediapart en a obtenu une copie. Bien qu’estampillé « document de travail », il est manifestement achevé : entièrement rédigé, mis en page, accompagné de graphiques, doté de notes de bas de page et d’une bibliographie. Pourquoi ne reçoit-il pas l’autorisation d’être publié ?

      La réponse est peut-être dans le contenu du document. On peut y lire qu’il n’y a aucune nécessité de construire de nouveaux réacteurs EPR. Alors qu’Emmanuel Macron vient d’annoncer la commande de six EPR, et la mise à l’étude de huit autres, les expert·es de l’Ademe calculent qu’il est tout à fait possible de s’en passer. L’éolien en mer flottant est « une alternative économique crédible à de nouvelles centrales nucléaires », même en cas de forte hausse de la consommation d’électricité – 650 térawattheures (TWh), alors que la demande actuelle se situe à 468 TWh).

      Autre enseignement : alors que le chef de l’État déclare qu’il faudra augmenter de 60 % la consommation d’électricité en 2050 pour sortir des énergies fossiles (pétrole, gaz et charbon), l’Ademe montre que les scénarios les plus sobres sont les moins chers. Son hypothèse « frugale », avec une réduction de la demande d’électricité par rapport à aujourd’hui (408 TWh) coûterait 1 100 milliard d’euros, entre 2020 et 2060.

      L’option un peu plus consommatrice, tout en restant économe en énergie, à 537 TWh (« coopération territoriale »), coûterait 1 026 milliards d’euros. Ce « scénario 2 » permet même d’abaisser le coût complet du système électrique de 12 % par rapport à 2020. Alors que le scénario le plus dispendieux en électricité (839 TWh) occasionnerait une dépense de 1 498 milliard d’euros. Par comparaison, le cap fixé par Emmanuel Macron d’une hausse de 60 % de la demande électrique représente environ 750 TWh.

      Dans tous les scénarios de l’Ademe, les énergies renouvelables représentent plus de 70 % de la production d’électricité en 2050. Selon ses expert·es, « l’intérêt de lancer un nouveau programme nucléaire pourrait être limité en cas d’une demande d’électricité stable, voire en baisse ». Il est vrai que l’évolution des besoins en électricité dans les prochaines décennies est incertaine.

      Ce document est le complément, consacré à l’électricité, d’un gros travail de scénarisation dévoilé par l’Ademe en novembre 2021 sur les choix de mode de vie qu’implique concrètement la réduction des gaz à effet de serre. Il avait reçu une grande attention médiatique, et a été salué par chercheur·es et militant·es pour ses qualités pédagogiques. Il lui manquait juste une déclinaison plus technique, expliquant à combien de réacteurs nucléaires, de parcs éoliens ou de panneaux photovoltaïques correspondait chaque scénario.

      Le rapport se conclut sur le constat que, quel que soit le scénario retenu, la transition énergétique « nécessitera d’abord de pérenniser et d’animer la concertation ». Un éloge du débat public et de la délibération démocratique qui ne pourra exister sans transparence sur les données et les chiffres de l’électricité, et du nucléaire en particulier.

      Jade Lindgaard

      https://www.mediapart.fr/journal/france/110222/nucleaire-le-gouvernement-repousse-la-diffusion-d-un-rapport-officiel-cont

      #nucléaire #ademe #transition #2050

  • Main basse sur les terres agricoles

    Un producteur de #fraises, un sulfureux homme d’affaires marseillais spécialisé dans les #énergies_renouvelables, un fonds d’investissement allemand, l’ancien président du conseil départemental. Tels sont les acteurs de la rocambolesque histoire des #serres_photovoltaïques de #Bourgneuf-en-Mauges. Ou la preuve que lorsque les financiers veulent faire main basse sur l’#agriculture, tout part souvent en déconfiture.

    https://latopette.fr
    #terres #accaparement_des_terres #France

    C’est dans le numéro de septembre, où il y a aussi un article sur les #aires_d'accueil, d’ailleurs...

    ping @odilon

  • La Face cachée des #énergies_vertes

    Voitures électriques, éoliennes, panneaux solaires… La transition énergétique laisse entrevoir la promesse d’un monde plus prospère et pacifique, enfin libéré du pétrole, de la pollution et des pénuries. Mais cette thèse officielle s’avère être un mythe : en nous libérant des combustibles fossiles, nous nous préparons à une nouvelle dépendance à l’égard des métaux rares. De graves problèmes écologiques et économiques pour l’approvisionnement de ces ressources stratégiques ont déjà commencé. Et si le « monde vert » qui nous attend se révélait être un nouveau cauchemar ?

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/61421_1

    #film #film_documentaire #documentaire

    #COP21 #COP_21 #transition_énergétique #technologie #technologies_vertes #voiture_électrique #énergies_propres #extractivisme #mines #green-washing #greenwashing #délocalisation_de_la_pollution #pétrole #métaux_rares #néodyme #cobalt #graphite #lithium #photovoltaïque #énergie_solaire #énergie_éolienne #éolienne #solaire #dépendance #RDC #République_démocratique_du_Congo #Australie #Chili #Bolivie #Indonésie #Chine #industrie_minière #Mongolie #Terres_rares #eaux_usées #radioactivité #réfugiés_des_technologies_vertes #eau #IDPs #déplacés_internes #cuivre #santé #Chuquicamata #cancer #Aliro_Boladas #centrales_à_charbon #modèle_économique_extractiviste #énergies_renouvelables #engie #Norvège #charbon #hypocrisie #green_tech #zéro_émissions #changement_climatique #Jean-Louis_Borloo #ADEME #Renault #bornes_électriques #Rapport_Syrota #Jean_Sirota #BYD #EDF #Photowatt #Péchiney_métallurgie #magnésium #nationalisme_des_ressources #Bolivie #recyclage #déchets #décharges_sauvages #Neocomp #fausse_transition #sobriété #progrès_technologique #décroissance #énergies_renouvelables

    –-

    déjà signalé par @odilon sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/888273

    • « La face positive des énergies vertes »

      Le documentaire « La face cachée des énergies vertes » est passé fin novembre sur Arte. Truffé d’erreurs et d’arguments partisans, allant jusqu’à comparer le problème des pales d’éoliennes, soit disant non recyclables, à celui posé par les déchets nucléaires !

      Autre exemple : ce documentaire assène que les énergies vertes et que les batteries nécessitent obligatoirement l’utilisation de terres rares. Ce n’est pourtant pas du tout l’avis de l’Ademe. D’autre part, le photovoltaïque n’utilise jamais de terres rares. Et pour l’éolien et les voitures électriques, leur utilisation dans les moteurs à aimants permanents permet de gagner en performances, mais cet usage n’est ni systématique, ni indispensable.

      Cet article présente :

      – La quinzaine d’erreurs grossières parmi les très nombreuses qui émaillent ce documentaire.
      – Le cercle vertueux du photovoltaïque et de l’éolien : plus on en installe, plus on réduit les émissions de gaz carbonique.
      – Que nos voitures contiennent davantage de terres rares que les voitures électriques sans moteurs à aimants permanents.
      – Pour qui roule le journaliste Guillaume Pitron, à l’origine de ce documentaire.

      En se fondant sur les avis qui se colportent, principalement sur la production des terres rares utilisées dans les énergies vertes, Guillaume Pitron, qui a enquêté dans une douzaine de pays, nous fait visiter quelques sites d’exploitation qui portent atteinte à l’environnement et à la santé des travailleurs.

      Hélas ce documentaire est gâché autant par sa partialité, que par de très nombreuses erreurs grossières.

      https://www.passerelleco.info/article.php?id_article=2390
      https://seenthis.net/messages/894307

    • Geologic and anthropogenic sources of contamination in settled dust of a historic mining port city in northern Chile: health risk implications

      Chile is the leading producer of copper worldwide and its richest mineral deposits are found in the Antofagasta Region of northern Chile. Mining activities have significantly increased income and employment in the region; however, there has been little assessment of the resulting environmental impacts to residents. The port of Antofagasta, located 1,430 km north of Santiago, the capital of Chile, functioned as mineral stockpile until 1998 and has served as a copper concentrate stockpile since 2014. Samples were collected in 2014 and 2016 that show elevated concentrations of As, Cu, Pb, and Zn in street dust and in residents’ blood (Pb) and urine (As) samples. To interpret and analyze the spatial variability and likely sources of contamination, existent data of basement rocks and soil geochemistry in the city as well as public-domain airborne dust were studied. Additionally, a bioaccessibility assay of airborne dust was conducted and the chemical daily intake and hazard index were calculated to provide a preliminary health risk assessment in the vicinity of the port. The main conclusions indicate that the concentrations of Ba, Co, Cr, Mn, Ni, and V recorded from Antofagasta dust likely originate from intrusive, volcanic, metamorphic rocks, dikes, or soil within the city. However, the elevated concentrations of As, Cd, Cu, Mo, Pb, and Zn do not originate from these geologic outcrops, and are thus considered anthropogenic contaminants. The average concentrations of As, Cu, and Zn are possibly the highest in recorded street dust worldwide at 239, 10,821, and 11,869 mg kg−1, respectively. Furthermore, the contaminants As, Pb, and Cu exhibit the highest bioaccessibilities and preliminary health risk indices show that As and Cu contribute to elevated health risks in exposed children and adults chronically exposed to dust in Antofagasta, whereas Pb is considered harmful at any concentration. Therefore, an increased environmental awareness and greater protective measures are necessary in Antofagasta and possibly other similar mining port cities in developing countries.

      https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5922233

      #santé #mines

    • L’association #Vernunftkraft

      Aufgeklärte und deshalb zu Recht besorgte Bürger dieses Landes (https://www.vernunftkraft.de/bundesinitiative) erkennen hinsichtlich der Rationalität energiepolitischer Entscheidungen nicht hinnehmbare Defizite.

      Die Zerstörung von Wäldern zwecks Ansiedlung von volkswirtschaftlich sinnlosen Windindustrieanlagen ist dabei die Spitze des Eisbergs.

      Zentrale Elemente der gegenwärtigen Energiepolitik sind extrem unvernünftig.

      Daher möchten wir der Vernunft Kraft geben.
      https://www.vernunftkraft.de

    • La guerre des métaux rares. La face cachée de la transition énergétique et numérique

      En nous émancipant des énergies fossiles, nous sombrons en réalité dans une nouvelle dépendance : celle aux métaux rares. Graphite, cobalt, indium, platinoïdes, tungstène, terres rares… ces ressources sont devenues indispensables à notre nouvelle société écologique (voitures électriques, éoliennes, panneaux solaires) et numérique (elles se nichent dans nos smartphones, nos ordinateurs, tablettes et autre objets connectés de notre quotidien). Or les coûts environnementaux, économiques et géopolitiques de cette dépendance pourraient se révéler encore plus dramatiques que ceux qui nous lient au pétrole.

      Dès lors, c’est une contre-histoire de la transition énergétique que ce livre raconte – le récit clandestin d’une odyssée technologique qui a tant promis, et les coulisses d’une quête généreuse, ambitieuse, qui a jusqu’à maintenant charrié des périls aussi colossaux que ceux qu’elle s’était donné pour mission de résoudre.

      http://www.editionslesliensquiliberent.fr/livre-La_guerre_des_m%C3%A9taux_rares-9791020905741-1-1-

      #livre #Guillaume_Pitron

    • Rapport ADEME 2012 :

      Énergie et patrimoine communal : enquête 2012

      L’enquête « Énergie et patrimoine communal » est menée tous les cinq ans depuis 1990. Elle porte sur les consommations d’énergie et les dépenses payées directement par les communes sur trois cibles principales : le patrimoine bâti, l’éclairage public et les carburants des véhicules.

      https://www.ademe.fr/energie-patrimoine-communal-enquete-2012

      –—

      Rapport ADEME 2015 :


      Scénarios 2030-2050 : une vision énergétique volontariste

      Quel mix énergétique pour les années 2030-2050 ? L’ADEME actualise son scénario Énergie Climat et propose des mesures pour contribuer à la déclinaison du plan CLIMAT.

      Les objectifs ambitieux du Plan Climat lancé par Nicolas Hulot, ministre de la Transition écologique et solidaire, confirment la stratégie volontariste de la France pour la transition énergétique. Dans le contexte actuel de mise à jour de la Stratégie nationale bas carbone (SNBC) et de la Programmation pluriannuelle de l’énergie (PPE), l’actualisation du scénario énergie-climat de l’ADEME vient contribuer aux réflexions pour mettre en oeuvre ces objectifs.

      Cette contribution est double : d’une part, l’actualisation des « Visions énergétiques » de l’ADEME, qui souligne l’enjeu que représente l’atteinte des objectifs ambitieux inscrits dans la loi, et d’autre part, l’étude « Propositions de mesures de politiques publiques pour un scénario bas carbone », qui propose une liste de mesures concrètes à mettre en oeuvre.

      https://www.ademe.fr/recherche-innovation/construire-visions-prospectives/scenarios-2030-2050-vision-energetique-volontariste

    • En #Géorgie, la révolte de la “capitale du #manganèse” contre une exploitation hors de contrôle

      Le développement de technologies comme les voitures électriques a fait grimper la demande de manganèse. À #Tchiatoura, où cette ressource est abondante, on en paie les conséquences : excavations à tout-va, paysage saccagé, maisons qui s’effondrent, et main-d’œuvre mal payée.

      La grogne sociale monte depuis 2019 dans le district de Tchiatoura, ancienne “capitale” soviétique de la production de manganèse. Depuis trois mois, 3 500 mineurs sont en #grève pour réclamer la hausse de leurs salaires (qui ne dépassent pas 250 euros) et une meilleure assurance maladie. À la mi-mai, quelques mineurs du village de #Choukrouti, près de Tchiatoura, se sont cousus la bouche et ont entamé une #grève_de_la_faim, rapporte le site géorgien Ambebi.

      Face au silence des autorités locales et nationales, depuis le 31 mai, dix familles font un sit-in devant l’ambassade des États-Unis (la puissance occidentale la plus influente en Géorgie), à Tbilissi, la capitale. “Les gens réclament des compensations pour leur maison et demandent l’aide des diplomates étrangers”, pour rappeler à l’ordre la compagnie privée #Georgian_Manganese, filiale géorgienne de la société britannique #Stemcor, explique le site Ekho Kavkaza.

      Les habitants protestent contre les dégâts écologiques, économiques et culturels causés par une extraction intensive à ciel ouvert du manganèse. Utilisé dans la fabrication de l’acier, la demande pour ce métal est en forte croissance, notamment pour les besoins de l’industrie des véhicules électriques, des piles, des batteries et circuits électroniques.

      #paywall

      https://www.courrierinternational.com/article/degats-en-georgie-la-revolte-de-la-capitale-du-manganese-cont

    • En #Géorgie, la révolte de la “capitale du #manganèse” contre une exploitation hors de contrôle

      Le développement de technologies comme les voitures électriques a fait grimper la demande de manganèse. À #Tchiatoura, où cette ressource est abondante, on en paie les conséquences : excavations à tout-va, paysage saccagé, maisons qui s’effondrent, et main-d’œuvre mal payée.

      La grogne sociale monte depuis 2019 dans le district de Tchiatoura, ancienne “capitale” soviétique de la production de manganèse. Depuis trois mois, 3 500 mineurs sont en #grève pour réclamer la hausse de leurs salaires (qui ne dépassent pas 250 euros) et une meilleure assurance maladie. À la mi-mai, quelques mineurs du village de #Choukrouti, près de Tchiatoura, se sont cousus la bouche et ont entamé une #grève_de_la_faim, rapporte le site géorgien Ambebi.

      Face au silence des autorités locales et nationales, depuis le 31 mai, dix familles font un sit-in devant l’ambassade des États-Unis (la puissance occidentale la plus influente en Géorgie), à Tbilissi, la capitale. “Les gens réclament des compensations pour leur maison et demandent l’aide des diplomates étrangers”, pour rappeler à l’ordre la compagnie privée #Georgian_Manganese, filiale géorgienne de la société britannique #Stemcor, explique le site Ekho Kavkaza.

      Les habitants protestent contre les dégâts écologiques, économiques et culturels causés par une extraction intensive à ciel ouvert du manganèse. Utilisé dans la fabrication de l’acier, la demande pour ce métal est en forte croissance, notamment pour les besoins de l’industrie des véhicules électriques, des piles, des batteries et circuits électroniques.

      #paywall

      https://www.courrierinternational.com/article/degats-en-georgie-la-revolte-de-la-capitale-du-manganese-cont

  • Les #énergies_renouvelables ont fourni plus du quart de la consommation électrique en 2020
    https://www.banquedesterritoires.fr/les-energies-renouvelables-ont-fourni-plus-du-quart-de-la-conso

    « Les énergies renouvelables ont participé à hauteur de 26,9% à la couverture de la consommation d’#électricité de France métropolitaine au cours de l’année 2020 », indique le Syndicat des énergies renouvelables (SER) dans son Panorama de l’électricité renouvelable au 31 décembre 2020 qu’il vient de publier avec d’autres partenaires tels que les réseaux de transport et de distribution d’électricité RTE et Enedis. C’est une progression de près de quatre points par rapport aux chiffres de 2019 (23,1%), qui « s’explique par une production renouvelable historique de 120,7 TWh (hausse de 10,4% par rapport à 2019) et par une baisse de la consommation du fait de la situation sanitaire ». Hors renouvelables (ENr), la France dépend encore très largement du nucléaire pour la production de son électricité, avec une part supérieure à 70% ces dernières années.

  • Exclusif -Le projet fou de Bruxelles pour démanteler EDF
    https://reporterre.net/Exclusif-Le-projet-fou-de-Bruxelles-pour-demanteler-EDF

    La refonte de l’Arenh est considérée par EDF comme un préalable à sa réorganisation et à la mise en œuvre du plan Hercule. Ce plan prévoit la scission du groupe en plusieurs parties : une société baptisée Bleue pour le #nucléaire historique, détenue à 100 % par l’État ; Bleue serait actionnaire à 100 % d’une société Azur, qui récupérerait les barrages hydroélectriques, ce qui permettrait d’échapper à la mise en concurrence des concessions échues ; enfin, une société Verte, détenue à 65 % par l’État, dans laquelle seraient logées les #énergies_renouvelables, la commercialisation, la distribution et les autres activités en concurrence comme Dalkia. Cette réforme risque fort de faire porter le secteur le plus déficitaire — le nucléaire — à l’Etat, donc au contribuable, tandis que les activités plus rentables — renouvelables et distribution — seraient privatisées. Face à l’opposition des syndicats, #EDF et l’État ont promis que ce projet ne remettrait pas en cause l’intégrité du groupe.

    #privatisation

  • La #transition_électrique : les doigts dans l’emprise — #Datagueule_98
    https://peertube.datagueule.tv/videos/watch/38560d1d-1e4a-4fc3-9d83-670e776455c5

    En 2017, 4 md de tonnes de pétrole consommés ainsi que 1,8 milliard de tonnes équivalent pétrole d’électricité contre 0,8 milliard équivalent pétrole d’électricité en 1990.
    En 2017, 38 % de la production électrique mondiale provenait du #charbon et 23 % du #gaz_naturel.
    #Énergies_renouvelables : #métaux_rares, #acides.
    #Chauffage_électrique : 10 % en 1970 des logements, 45 % en 1980.
    #Efficacité_énergétique : #paradoxe_de_Jevons.

    Entretien avec Mme Mathilde Szuba, maître de conférences en sciences politiques à Sciences Po Lille. Elle cite une étude du Crédoc sur l’engagement de façade des #classes supérieures :https://www.credoc.fr/publications/consommation-durable-lengagement-de-facade-des-classes-superieures
    Sa thèse, Gouverner dans un monde fini : des limites globales au #rationnement individuel, sociologie environnementale du projet britannique de politique de #Carte_carbone(1996-2010) : https://tel.archives-ouvertes.fr/tel-01794527/document

    #électricité #énergies #transition_énergétique #coûts_cachés #soutenabilité #seuils_de_normalité #niveaux_de_revenus #taxe_carbone #politique_énergétique #quotas #avion #loterie #sobriété

  • Gaz à effet de serre, élevages industriels, incidents : toutes les controverses sur la méthanisation
    https://www.bastamag.net/gaz-effet-serre-bilan-carbone-elevages-industriels-incidents-explosion-pol

    Énergie totalement renouvelable pour certains, dévoreuse de terres pour d’autres, la méthanisation pose de nombreuses questions. Pour tout comprendre, voici un état des lieux des débats autour de cette technique de production d’énergie. Comment fonctionne la méthanisation ? Combien d’unités de méthanisation en France ? La méthanisation permet-elle de réduire les émissions de gaz à effet de serre ? Y a-t-il des fuites sur les lieux de production ? La méthanisation enrichit-elle ou appauvrit-elle (...) #Décrypter

    / Quelle #Agriculture pour demain ?, Agriculture, #Energies_renouvelables, #Enquêtes, A la (...)

    #Quelle_agriculture_pour_demain_ ?
    https://www.bastamag.net/IMG/pdf/la_methanisation_et_agroecologie_solagro.pdf
    https://www.bastamag.net/IMG/pdf/fiche_csnm_cycle_carbone.pdf
    https://www.bastamag.net/IMG/pdf/guide-methanisation-def-1.pdf

  • Spéculation et accaparement de terres : les dérives de la production du « gaz vert »
    https://www.bastamag.net/derives-methanisation-Allemagne-monocultures-mais-speculation-biogaz

    L’Allemagne a développé le biogaz à grand échelle depuis le début des années 2000. Mais les installations industrielles ont rapidement pris le contrôle du secteur, accaparant de plus en plus de terres agricoles. Il n’y a pas d’agriculteurs à l’horizon, pas de vaches. Mais plusieurs dizaines de dômes verts alignés les uns à côtés des autres. Vu du ciel, l’installation ressemble plus à un village, ou à un parking d’ovnis, qu’à une entreprise agricole. C’est que l’installation de biogaz de Güstrow, dans le nord (...) #Décrypter

    / #Energies_renouvelables, #Europe, Biodiversité, #Agriculture

    #Biodiversité

  • Grâce à la méthanisation, un paysan veut faire vivre « une ferme sans pétrole »
    https://www.bastamag.net/me%CC%81thanisation-paysan-ferme-sans-pe%CC%81trole-Dordogne

    Jules Charmoy, paysan en Dordogne, a créé une unité de méthanisation sur sa ferme, pour ne plus être dépendant du pétrole sur son exploitation. Jules s’installe comme paysan en 1999. Il est alors très impliqué dans les luttes écologiques. Avec des copains paysans, il réfléchit à utiliser diverses sources d’énergie locales et renouvelables, via leur coopérative d’utilisation de matériel agricole (Cuma) : récupération du bois des taillis et des haies, récupération des huiles usagées... (...) #Témoignages

    / Quelle agriculture pour demain ?, #Energies_renouvelables

    #Quelle_agriculture_pour_demain_ ?

  • Méthanisation : rencontre avec ces agriculteurs qui choisissent de produire de l’énergie
    https://www.bastamag.net/methanisation-biogaz-agriculteurs-produire-energie-gaz-vert-revenus-norman

    Pour les agriculteurs, la méthanisation est devenue une nouvelle source de revenus. Mais des cultures sont aussi utilisées pour produire de l’électricité, au détriment de l’alimentation. Reportage en Normandie, dans les coulisses du gaz « vert ». Jérôme enchaîne les allers-retours avec son tractopelle. D’un côté, des tas d’herbes décomposées, de maïs et de déchets. De l’autre un énorme récipient, au bord des cuves circulaires du méthaniseur. 46 000 kg de « déchets » viennent d’être ajoutés, indique l’écran (...) #Décrypter

    / #Energies_renouvelables, #Reportages, Quelle agriculture pour demain ?, A la une

    #Quelle_agriculture_pour_demain_ ?

  • Les forces de l’ordre évacuent des opposants à un méga-transformateur électrique
    https://www.bastamag.net/Amassada-ZAD-Aveyron-evacuation-transformateur-electricite-RTE-EDF

    La gendarmerie a débuté ce matin, vers 6h, une « opération d’expulsion » des occupants des terrains de Saint-Victor-et-Malvieu en Aveyron. Depuis 2015, la commune libre de l’Amassada – « l’assemblée » en occitan, nom donné par les occupants à leur « zone à défendre » locale – s’est élevée sur des prés d’élevage de brebis. Objectif : s’opposer à un transformateur électrique érigé sur une parcelle de cinq hectares, qui ressemblera à celui en photo ci-dessous. RTE, filiale d’EDF, à l’initiative de ce projet, fait (...) En bref

    / #Droit_à_la_terre, #L'enjeu_de_la_transition_énergétique, #Energies_renouvelables, #ZAD

  • Quand l’exploitation minière divise la Grèce

    Dans une vaste plaine au coeur des #montagnes du nord de la Grèce, quatre mines de charbon laissent un paysage dévasté. Alors que cet ensemble d’exploitations à ciel ouvert, principal pourvoyeur d’emplois de la région, s’étend toujours plus, les glissements de terrain se multiplient, ravageant les villages environnants.

    Entre relogements aléatoires, maladies liées à l’extraction du lignite et refus d’indemnisations, le combat des citoyens pour se faire entendre se heurte à un mur.


    https://www.arte.tv/fr/videos/084754-002-A/arte-regards-quand-l-exploitation-miniere-divise-la-grece
    #extractivisme #Grèce #charbon #mines #pollution #énergie #destruction #IDPs #déplacés_internes #travail #exploitation #centrales_thermiques #sanctions #privatisation #DEI #lignite #santé #expropriation #villes-fantôme #agriculture #Allemagne #KFW #Mavropigi #effondrement #indemnisation #justice #migrations #centrales_électriques #documentaire #terres #confiscation #conflits #contamination #pollution_de_l'air

    ping @albertocampiphoto @daphne

    • Athènes face au défi de la fin de la #houille

      La Grèce, longtemps troisième productrice de charbon d’Europe, veut fermer la plupart de ses centrales thermiques en 2023 et mettre fin à sa production d’ici à 2028. En Macédoine-Occidentale, les habitants s’inquiètent des conséquences socio-économiques.

      Kozani (Grèce).– Insatiables, elles ont absorbé en soixante-cinq ans plus de 170 kilomètres carrés, dans la région de Macédoine-Occidentale, dans le nord de la Grèce. Les mines de #lignite ont englouti des villages entiers. Les excavateurs ont méthodiquement déplacé la terre et creusé des cratères noirâtres. Les forêts se sont métamorphosées en d’immenses plaines lacérées de tapis roulants. Tentaculaires, ceux-ci acheminent les blocs noirs de lignite jusqu’aux imposantes #centrales_thermiques, au loin.

      Contraste saisissant avec les îles idylliques qui font la célébrité du pays, ce paysage lunaire est surnommé « le #cœur_énergétique » de la Grèce. Quatre #mines_à_ciel_ouvert s’étirent ainsi aujourd’hui des villes de #Kozani à #Florina.

      « Il fallait trouver toujours plus de lignite pour produire l’#électricité du pays », précise le contremaître Antonis Kyriakidis, attaché à ce territoire sans vie qui lui donne du travail depuis trente ans. La recherche de cet « #or_noir » a créé des milliers d’#emplois, mais a dangereusement pollué l’atmosphère, selon plusieurs études.

      L’ensemble de ce #bassin_minier, le plus important des Balkans, propriété de la compagnie électrique grecque #D.E.I – contrôlée par l’État – va cependant bientôt disparaître. Le gouvernement de droite Nouvelle Démocratie a programmé l’arrêt des dernières centrales thermiques dans deux ans et la fin de la production de lignite en 2028, suivant l’objectif de #neutralité_carbone de l’UE d’ici à 2050.

      La production annuelle d’électricité tirée de la combustion de lignite est passée de 32 GW à 5,7 GW entre 2008 et 2020. Trois centrales sont aujourd’hui en activité sur les six que compte la région. Il y a quinze ans, 80 % de l’électricité grecque provenait du charbon extrait de ces mines, ouvertes en 1955, contre 18 % aujourd’hui.

      Seule la nouvelle unité « #Ptolemaida_V » continuera ses activités de 2022 à 2028. Sa construction a commencé il y a six ans, alors que la #décarbonisation n’était pas officiellement annoncée. La Grèce veut désormais privilégier le #gaz_naturel en provenance de Russie ou de Norvège, grâce à différents #gazoducs. Ou celui tiré de ses propres ressources potentielles en Méditerranée. Elle souhaite aussi développer les #énergies_renouvelables, profitant de son climat ensoleillé et venteux.

      Selon le plan de sortie du lignite, dévoilé en septembre 2020 par le ministère de l’environnement et de l’énergie, la Macédoine-Occidentale deviendra une région « verte » : on y développera l’« agriculture intelligente »*, le photovoltaïque ou le tourisme. Une grande partie des mines de D.E.I seront réhabilitées par l’État, enfouies sous des lacs artificiels. La #transition sera assurée, détaille le plan, à hauteur de 5,05 milliards d’euros, par différents fonds nationaux et européens, dont 2,03 milliards issus du #mécanisme_européen_pour_une_transition_juste (#MJT). Le gouvernement espère aussi attirer les investisseurs étrangers.

      Dubitatif dans son bureau lumineux, Lazaros Maloutas, maire centriste de Kozani, la plus grande ville de cette région qui compte 285 000 habitants, peine à imaginer cette métamorphose dans l’immédiat. « Tout le monde est d’accord ici pour dire que la #transition_énergétique est nécessaire, mais l’agenda est beaucoup trop serré », explique-t-il.

      Il insiste poliment sur le fait que « les autorités doivent échanger davantage avec les acteurs locaux ». Il garde en mémoire cet épisode de septembre 2019, lorsqu’il a appris « avec surprise » le calendrier précis de la décarbonisation « à la télévision ». À des milliers de kilomètres, depuis le sommet Action Climat de l’ONU à New York, le premier ministre, Kyriakos Mitsotakis, annonçait que les mines et centrales thermiques du coin fermeraient d’ici à 2028.

      « Le ministre de l’énergie n’est ensuite venu ici qu’à deux reprises en 2020 », ajoute Lazaros Maloutas, qui a boycotté l’une de ses visites, comme d’autres élus locaux avec lesquels il a formé l’Association des communes énergétiques.

      Cette transition constitue pourtant un « enjeu majeur », martèle de son côté Anastasios Sidiropoulos, le responsable de l’#Agence_régionale_de-développement (#Anko), située à quelques bâtiments de la mairie de Kozani. « Plus qu’une transition écologique, c’est une #transition_économique totale qui se joue ici. »

      En dépit du déclin de la production ces dix dernières années, « les mines et centrales restent fondamentales pour l’#économie_locale ». « La compagnie D.E.I emploie 3 100 salariés, mais le secteur fait aussi vivre au moins 5 000 intermittents et travailleurs indépendants », détaille-t-il. Il s’alarme du contexte régional déjà déprimé dans lequel s’inscrit cette transition : une population vieillissante, un taux de chômage de 26 %, des jeunes qui fuient les communes, etc. « Selon nos études de terrain, il faudrait se donner jusqu’à 2040 pour réussir cette transition », affirme Anastasios Sidiropoulos.

      Il compare avec amertume l’échéance de sortie de lignite de la Grèce, troisième producteur de charbon de l’Union européenne (UE), à celle de l’Allemagne ou de la Pologne. Berlin se donne vingt-neuf ans pour fermer progressivement ses dix mines à ciel ouvert. Varsovie prévoit aussi la fermeture de ses treize mines de lignite d’ici à 2049.

      L’effondrement de la « montagne » D.E.I

      En Grèce, la compagnie d’électricité D.E.I veut toutefois aller vite. La crise de la dette a affaibli l’entreprise qui a privatisé une partie de ses activités depuis 2014. Ses cheminées vieillissantes et ses mines lui coûtent 300 millions d’euros par an, notamment en raison de la #taxe_carbone et du système d’échange de quotas d’émission.

      D.E.I assure qu’elle ne fuit pas ces terres qu’elle a totalement acquises en 1975. « Nous avons une #dette_morale envers les personnes qui ont soutenu D.E.I toutes ces années. Notre engagement est absolu », insiste d’un ton solennel Ioannis Kopanakis, le directeur général adjoint de la compagnie qui assure, dans un courriel, que les 3 100 employés « auront tous une alternative ». Le sort incertain des milliers de #travailleurs_indépendants inquiète toutefois les syndicats.

      D.E.I conservera certains terrains où elle érige déjà avec #RWE, le géant allemand de l’électricité, le plus grand #parc_photovoltaïque du pays, d’une puissance de 2 GW. Avec l’arrivée de nouvelles entreprises, les riverains craignent la chute des #salaires, autrefois fixes chez D.E.I. « Il existe un tel manque de transparence sur les plans des nouveaux investisseurs que les habitants ont l’impression que l’on donne le territoire aux étrangers », relève pour sa part Lefteris Ioannidis.

      L’ancien maire écologiste de Kozani (2014-2019) milite vivement en faveur d’une transition « très rapide, car il y a urgence ». Mais il reconnaît que la mentalité régionale d’« État charbonnier est difficile à changer », avec une relation de quasi-dépendance à un employeur. Les investisseurs étrangers étaient jusqu’ici absents de la #Macédoine-Occidentale, où D.E.I avait tout absorbé. « C’était une montagne ici, elle faisait partie du paysage », précise Lefteris Ioannidis.

      Son ombre plane sur les villages perdus, desservis par des routes vides aux panneaux rouillés et stations-essence abandonnées. À #Agios_Dimitrios, les six cents habitants ont vue sur l’imposante centrale thermique du même nom qui barre l’horizon. L’un d’eux, Lambros, dénonce le rôle de l’État, qui « n’a jamais préparé cette transition pourtant inéluctable. Elle arrive violemment ». Il a davantage de mal à en vouloir à D.E.I qu’il n’ose critiquer publiquement, comme d’autres ici qui entretiennent un sentiment ambivalent à son égard. « D.E.I, c’était Dieu ici. Elle est notre bénédiction comme une malédiction », dit cet homme charpenté, dont la fumée de cigarette s’échappe dans l’air chargé de poussière.

      « Il y avait un problème de #pollution, des #cancers ou #maladies_respiratoires, mais les ouvriers fermaient les yeux car ils mangeaient à leur faim. Ils avaient des tarifs réduits sur l’électricité, se remémore le villageois. C’était une fierté de produire l’électricité de tout le pays et maintenant on va importer du gaz d’Azerbaïdjan [grâce au #gazoduc_transadriatique – ndlr]. J’ai aussi peur qu’on déplace le problème pour des raisons économiques et non environnementales. » Il craint l’importation de lignite depuis les Balkans voisins qui, contrairement à la Grèce, taxent faiblement les émissions de carbone. Il sait que d’autres pays de l’UE l’on fait en 2019, « pourquoi pas la Grèce », interroge-t-il. Lambros redoute la montée des #prix de l’électricité ou du chauffage pour les habitants.

      L’un des défis pour la région est en effet de conserver ces bas #tarifs et l’indépendance énergétique obtenue avec ces centrales polluantes. La ville d’#Amynteo a tenté une initiative en ce sens, en inaugurant il y a six mois une nouvelle centrale #biomasse. Une cheminée fumante se dresse à côté d’une ancienne centrale thermique en friche où errent quelques chiens.

      Les deux fours ingurgitent des tonnes de résidus de tournesols, blé, copeaux de bois venu de Grèce, de Bulgarie et d’Ukraine, permettant de chauffer 8 000 foyers. « Notre but, à terme, est de brûler uniquement de la biomasse locale en provenance des champs alentour », assure le directeur, Kostas Kyriakopoulos. Il rappelle toutefois que si une centrale biomasse peut alimenter quelques milliers de foyers, « elle ne peut pas couvrir les besoins en chauffage à grande échelle ».

      https://www.mediapart.fr/journal/international/050621/athenes-face-au-defi-de-la-fin-de-la-houille
      #DEI

  • 60 cities in 60 days in a solar-powered auto - The Hindu
    https://www.thehindu.com/life-and-style/travel/60-cities-in-60-days-in-a-solar-powered-auto/article28707202.ece

    “Our project is called the Sun Pedal Ride. The idea is to spread awareness about solar energy,” says Sushil. Their auto rickshaw — provided by Volta Automotive, a Bengaluru-based company that manufactures and deals with green energy projects — is a solar-powered electric vehicle, with a solar panel fitted over head. The team believes there is relatively less noise pollution and it is more fuel efficient. “It is 50 paise per kilometre, while in other autos it’s four rupees per kilometre,” he adds. The battery in this auto is charged after every 120 kilometres. It takes four to five hours for it to be fully charged. Sushil and Sudheer both work in the solar sector, while Pallavi is a freelance communication and marketing professional and Rutvick is a software engineer.

    https://www.thehindu.com/life-and-style/travel/mtsp4t/article28707201.ece/ALTERNATES/FREE_960/25MPRRAGU2

    #solaire #énergies_renouvelables

  • #Vidéo : les collapsologues sont-ils dangereux ?

    Lundi 3 décembre 2018, le #Tribunal_pour_les_Générations_Futures d’Usbek & Rica investissait pour la deuxième année consécutive le Théâtre de la Porte Saint-Martin, à Paris. Pour cette nouvelle édition de notre cycle de conférences-procès, était présent sur le banc des accusés Pablo Servigne, ingénieur agronome et docteur en biologie, auteur notamment de Comment tout peut s’effondrer (Seuil, 2015) et porte-parole, le temps d’une soirée, des collapsologues. Bon visionnage !

    https://www.youtube.com/watch?v=QvJfCvvdal8


    https://tgf.usbeketrica.com/video/video-les-collapsologues-sont-ils-dangereux
    #collapsologie #effondrement #procès #théâtre #Pablo_Servigne #société_industrielle #résilience #pétrole #énergies_renouvelables #transition_énergétique #autonomie #Tribunal_pour_les_générations_futures #décroissance #progrès #entraide #pic_pétrolier

    –---

    #définition :

    « La collapsologie c’est l’étude de l’effondrement de la société industrielle et de ce qui pourrait lui succéder. Un effondrement, en anthropologie, c’est ce qui se passe lorsque les structures politiques, sociales et économiques d’une société cessent progressivement de fonctionner et que sa population ne peut plus compter que sur elle-même pour subvenir à ses besoins de base »

    ping @sinehebdo

  • Artificialisation des sols, spéculation foncière : quelles alternatives aux dérives du solaire industriel ?
    https://www.bastamag.net/photovoltaique-artificialisation-sols-speculation-fonciere-alternatives-au

    2000 hectares de terres agricoles et de forêts bientôt recouverts de panneaux solaires en Lot-et-Garonne, 400 hectares de causses dans l’Hérault... Des citoyens alertent sur les dérives de ces méga-centrales, et appellent à recouvrir en priorité les toits et surfaces déjà artificialisées plutôt que de s’en prendre au vivant. L’utilisation de sites déjà bétonnés comme les parkings ou les entrepôts permettrait déjà de multiplier par cinq la puissance solaire actuelle. Sur le terrain, des habitants et des (...)

    #Inventer

    / #L'enjeu_de_la_transition_énergétique, #Multinationales, #Agriculture, Biodiversité, A la une, Energies (...)

    #Biodiversité #Energies_renouvelables
    https://www.bastamag.net/IMG/pdf/conf_herault_190413_cp_projet_solarzac.pdf

  • Derrière la hausse du prix de l’électricité, le service public en danger
    https://www.mediapart.fr/journal/france/310519/derriere-la-hausse-du-prix-de-l-electricite-le-service-public-en-danger

    À partir de samedi 1er juin, les tarifs régulés de l’électricité vont augmenter de 5,9%. Une hausse prévue de longue date mais repoussée, en plein mouvement des « gilets jaunes ». Derrière cette hausse, c’est le démantèlement du service public de l’électricité et d’EDF qui est en jeu.

    #Services_publics #Energies_renouvelables,_commission_de_régulation_de_l’énergie,_nucléaire,_autorité_de_la_concurrence,_pouvoir_d’achat,_tarifs_réglementés,_Service_public,_EDF,_électricité

  • Des salariés d’une centrale à charbon mènent l’une des premières grèves pour la transition écologique et sociale
    https://www.bastamag.net/centrale-charbon-greve-salaries-transition-ecologique-social-energetique-c

    Les travailleurs de la centrale à charbon de Cordemais, en Loire-atlantique, veulent donner une seconde vie à leur outil de travail. En grève depuis dix jours, ils demandent un moratoire sur la sortie du charbon programmée en 2022, pour avoir le temps de préparer la reconversion de leur usine. Le projet qu’ils peaufinent depuis trois ans, prévoit de produire de l’électricité à partir de pellets issus de rebuts de bois, collectés localement en déchèterie ou amenés par bateau depuis des ports proches. (...)

    #Inventer

    / #Luttes_sociales, #Climat, Emploi , #Energies_renouvelables, #Reportages, A la une

    #Emploi_

  • UK renewable energy capacity surpasses fossil fuels for first time
    https://www.theguardian.com/environment/2018/nov/06/uk-renewable-energy-capacity-surpasses-fossil-fuels-for-first-time

    The capacity of renewable energy has overtaken that of fossil fuels in the UK for the first time, in a milestone that experts said would have been unthinkable a few years ago.

    In the past five years, the amount of renewable capacity has tripled while fossil fuels’ has fallen by one-third, as power stations reached the end of their life or became uneconomic.

    The result is that between July and September, the capacity of wind, solar, biomass and hydropower reached 41.9 gigawatts, exceeding the 41.2GW capacity of coal, gas and oil-fired power plants.

    #énergies_renouvelables

    • En creusant un peu, pas tant que ça.
      La source de l’info est là : http://electricinsights.co.uk/#/reports/report-2018-q3/overview?_k=lg3kbc
      Certes...

      Low-carbon sources [nuclear included] reached an all-time record by producing over 60% of Britain’s electricity in September. Over the quarter they averaged 57%, also a new record.

      ... mais le charbon est de retour.

      If coal-fired electricity remains cheaper than gas-fired (as analysts predict), we could see the first year-on-year rise in carbon emissions from Britain’s power sector in six years. This highlights the importance of retaining a strong carbon price if we are to ensure the successful decarbonisation of the power system is not reversed.

  • World’s largest offshore windfarm opens off Cumbrian coast
    https://www.theguardian.com/environment/2018/sep/06/worlds-largest-offshore-windfarm-opens-cumbrian-coast-walney-extension-

    The world’s biggest offshore windfarm has officially opened in the Irish Sea, amid warnings that Brexit could increase costs for future projects.

    Walney Extension, off the Cumbrian coast, spans an area the size of 20,000 football pitches and has a capacity of 659 megawatts, enough to power the equivalent of 590,000 homes.

    The project is a sign of how dramatically wind technology has progressed in the past five years since the previous biggest, the London Array, was finished.

    The new windfarm uses less than half the number of turbines but is more powerful.

    #énergies_renouvelables