• De la #circulation des termes et des images xénophobes...

    Il y a longtemps, j’avais écrit ce texte pour @visionscarto (quand encore le blog était hébergé sur le site du Monde Diplo) :
    En Suisse, pieds nus contre rangers
    https://visionscarto.net/en-suisse-pieds-nus-contre-rangers

    Je montrais notamment comment le #poster de cette campagne emblématique de l’#UDC en #Suisse avait circuler dans les sphères de l’#extrême_droite européenne.

    L’original made in Switzerland :

    La même idée des #moutons reprise par la #Lega_Nord en #Italie :


    Et le #NPD en #Allemagne :

    Cette #campagne avait été conçue par l’#UDC pour soutenir leur #initiative dite « Pour le renvoi des #étrangers_criminels » (débutée en 2010, mais qui a pourri le paysage suisse pendant des années... oui, car ces posters ont été tapissés dans l’espace public suisse pendant bien trop longtemps car il y a eu des rebondissements) :
    – "Initiative populaire « Pour le renvoi des étrangers criminels »" (2008) https://fr.wikipedia.org/wiki/Initiative_populaire_%C2%AB_Pour_le_renvoi_des_%C3%A9trangers_criminel
    Début de la récolte des signatures : 2007 —> https://www.bk.admin.ch/ch/f/pore/vi/vis357.html
    – "Initiative populaire fédérale suisse « Pour le renvoi effectif des étrangers criminels »" (2012) : https://fr.wikipedia.org/wiki/Initiative_populaire_f%C3%A9d%C3%A9rale_suisse_%C2%AB_Pour_le_renvoi_e
    – et d’autres étapes que je ne vais pas détailler ici, car pas le temps de faire la chronologie de cette initiative...

    Cette idée de l’expulsion des criminels étrangers est reprise aujourd’hui par #Darmanin (mais depuis quand cette expression est utilisée en #France ? Quelqu’un·e. a une idée ??) :

    #Gérald_Darmanin se saisit de l’attentat d’Arras pour relancer ses mesures sur l’immigration

    L’attaque au #couteau qui a coûté la vie à un professeur de lycée et fait trois blessés a relancé le débat sur l’immigration, poussant le ministre de l’intérieur à surenchérir sur la question des « #délinquants_étrangers » et de leur expulsion.

    https://mastodon.social/@Mediapart/111244723392752616
    https://www.mediapart.fr/journal/politique/161023/gerald-darmanin-se-saisit-de-l-attentat-d-arras-pour-relancer-ses-mesures-

    Au même temps, en #Italie, et plus précisément dans le #Haut-Adige :

    Un manifesto elettorale della #Süd-Tiroler_Freiheit -partito noto per le proprie posizioni xenofobe- ritrae in primo piano un uomo nero con un coltello in mano. Dietro di lui, una donna bianca cerca riparo in un angolo, coprendosi il volto con le braccia. L’immagine è inequivocabile, così come la scritta a caratteri cubitali posta poco più in basso: “Kriminelle Ausländer abschieben” (cioè espellere gli stranieri criminali).

    https://seenthis.net/messages/1021581
    https://altreconomia.it/in-alto-adige-in-arrivo-un-cpr-a-uso-locale-lultimo-anello-di-una-caten
    Voici le #poster du parti du #Sud-Tyrol :

    Et comme par hasard, voici la nouvelle campagne datée 2023 de l’UDC en Suisse : "#Nouvelle_normalité ?"


    https://www.udc.ch/nouvelle-normalite

    J’ai un vague souvenir que cette image d’une personne (étrangère, of course !) qui attaque un·e innocent·e suisse·sse au couteau n’est pas nouvelle dans l’#iconographie de l’UDC, mais je n’ai pas trouvé de trace sur internet pour l’heure...

    Si ces images et ces slogans sont #made_in_Switzerland comme on pourrait peut-être le déduire, il faudrait du coup l’ajouter à la liste des inventions suisses en termes de politique migratoire dont j’avais écrit, avec Ibrahim Soysüren dans la revue Plein Droit :
    Le couteau suisse des politiques migratoires
    https://www.cairn.info/revue-plein-droit-2019-2-page-3.htm
    #moutons_noirs #moutons_blancs #criminels_étrangers #renvoi #expulsion #migrations #étrangers_délinquants #criminalité #racisme #xénophobie

  • In Alto Adige in arrivo un Cpr a “uso locale”. L’ultimo anello di una catena emergenziale

    Il 22 ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio provinciale e molti partiti cavalcano le paure per guadagnare consensi. Da più parti l’istituzione di un Centro per il rimpatrio a Bolzano è presentata come la soluzione, occultando anni di non gestione degli arrivi. Ma c’è chi si ribella alle narrazioni tossiche. Il nostro reportage

    Un manifesto elettorale della Süd-Tiroler Freiheit -partito noto per le proprie posizioni xenofobe- ritrae in primo piano un uomo nero con un coltello in mano. Dietro di lui, una donna bianca cerca riparo in un angolo, coprendosi il volto con le braccia. L’immagine è inequivocabile, così come la scritta a caratteri cubitali posta poco più in basso: “Kriminelle Ausländer abschieben” (cioè espellere gli stranieri criminali).

    Anche in Alto Adige, dove il 22 ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio provinciale, molti partiti cavalcano le paure per guadagnare consensi. Rientrano in questa strategia il manifesto del movimento di estrema destra di lingua tedesca, ma anche le dichiarazioni di politici solitamente misurati come Arno Kompatscher, eletto tra le fila della Südtiroler Volkspartei (dal 1948 forza di maggioranza del Consiglio provinciale), che ha spiegato di voler istituire un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in provincia poiché “nonostante le statistiche relative ai reati siano in calo, il livello di sicurezza percepito dalla popolazione è decisamente inferiore a quello del passato e ormai le donne hanno paura ad uscire da sole la sera”.

    Secondo quanto affermato dal Landeshauptmann, la struttura avrà una capienza massima di 50 posti e sarà a “uso locale”: verrà utilizzata, cioè, esclusivamente al trattenimento dei cittadini stranieri già presenti sul territorio provinciale. Matteo Salvini, nei giorni scorsi in tour elettorale in Regione, ha definito l’apertura di un Cpr “indispensabile”. Il centro per i rimpatri per l’Alto Adige costituirebbe però l’anello di chiusura dell’approccio emergenziale che da un decennio caratterizza la gestione del fenomeno sul territorio.

    Dal 2013, infatti, i Centri di accoglienza straordinaria costituiscono la norma del sistema di accoglienza altoatesino. Se a fine 2017 le strutture erano 31 e ospitavano 1.642 persone, dal 2018, complice il calo degli arrivi dal Mediterraneo, molti centri sono stati progressivamente chiusi. L’Ufficio anziani della Provincia di Bolzano, competente a livello istituzionale per i richiedenti asilo, ha rifiutato di divulgare il numero delle persone attualmente ospitate nei Cas del territorio, affermando, però, che “non si discosta molto da quello del novembre 2022”, quando i posti a disposizione erano 416.

    Nonostante l’aumento degli arrivi sulle coste italiane -quasi 140mila persone a metà ottobre 2023- la Provincia di Bolzano non è ancora stata toccata dal sistema di redistribuzione regionale. Kompatscher ha spiegato di aver fatto presente al governo di “dover già fare i conti con i flussi che restano fuori dai registri dei ricollocamenti”. Il presidente della Provincia fa riferimento ai “fuori quota”, come vengono etichettati i richiedenti asilo che giungono in Alto Adige seguendo rotte diverse da quella del Mediterraneo. Si tratta di un flusso costante di persone -150-200 presenze sul territorio secondo le stime del Comune di Bolzano-, che una volta varcato il confine del Brennero sono escluse per mesi dall’accoglienza e costrette in un limbo giuridico.

    Alessia Fellin, responsabile dell’area “Migrazione e asilo” della Caritas di Bolzano-Bressanone, conferma in parte quanto dichiarato dal presidente della Provincia, evidenziando al tempo stesso alcune criticità. “Il tema dell’inserimento di chi arriva sul territorio in autonomia è reale e va detto che col tempo si è creata una procedura che, alcune volte l’anno, vede l’immissione in quota e l’accoglienza di queste persone”. Si è però ancora lontani dall’attuazione del decreto legislativo 142/2015, che prevede l’applicazione delle misure di accoglienza a partire dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale. Fellin sottolinea, infatti, che “l’inserimento in quota non sempre avviene in tempi ragionevoli” -a volte alcuni ottengono una protezione trovandosi ancora fuori dall’accoglienza- e che “in seconda battuta ci si scontra con l’insufficienza dei posti nei centri”. Per risolvere questo problema per Fellin sarebbe auspicabile iniziare a considerare la mobilità umana come qualcosa di strutturale da affrontare in maniera sistematica e potenziare i progetti Sai del territorio, “una possibilità preziosa per la prosecuzione del percorso di richiedenti asilo e rifugiati.”

    In Alto Adige la prima partecipazione all’allora progetto Sprar risale al 2017, quando sei Comunità Comprensoriali -Valle Isarco, Val Pusteria, Salto Sciliar, Burgraviato, Val Venosta, Oltradige Bassa Atesina- aderirono al modello di accoglienza diffusa con 223 posti per il triennio 2018-2020. Alla scadenza del bando solo tre Comunità proseguirono l’esperienza. I progetti, in corso fino alla fine del 2023, contano 105 posti e di recente hanno richiesto la proroga per il triennio 2024-2026.

    Markus Frei, coordinatore del progetto della Comunità Comprensoriale Valle Isarco (e consigliere comunale per i Verdi nel Comune di Bressanone), considera il Sai un modello virtuoso, perché “dislocare le persone in piccoli paesi agevola il loro inserimento lavorativo e abitativo”. Al contempo, però, non nasconde che nei territori periferici la piena inclusione resti un miraggio: “La convivenza funziona se i ‘beneficiari’ passano tutto il giorno al lavoro e se non frequentano il bar del paese: così però saranno sempre ospiti e mai concittadini”. Frei intende pertanto potenziare il lavoro di sensibilizzazione nei territori, dove “le narrazioni tossiche, come quella sull’apertura di un Cpr, attecchiscono facilmente”.

    1.677 le persone in accoglienza in Trentino-Alto Adige al 30 settembre 2023. L’1,19% rispetto al totale a livello nazionale (141.107). Fonte: ministero dell’Interno

    A oggi le istituzioni altoatesine mantengono il riserbo sul luogo in cui dovrebbe sorgere il Centro per i rimpatri. Un’ipotesi avanzata è la caserma della Finanza nell’areale dell’aeroporto di Bolzano. Il sindaco del capoluogo Renzo Caramaschi, pur a favore di un Cpr in provincia, ha espresso la propria contrarietà a questa soluzione sostenendo di “non volere delinquenti in città”. Sebbene la retorica di molti schieramenti politici associ i Cpr ai cittadini stranieri autori di reato, vale la pena ricordare che si tratta di luoghi deputati alla detenzione amministrativa, ossia al trattenimento di chi si trova in attesa di esecuzione di un provvedimento di espulsione spesso perché sprovvisto di regolare titolo di soggiorno. Sono molti i lati oscuri e le violenze che si consumano al loro interno denunciate dalle persone trattenute e segnalate da attivisti e inchieste giornalistiche. In questo senso si è pronunciato anche il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Nel “Documento di sintesi sui Cpr” del 2023 descrive le nove strutture a oggi operative in Italia come “patogene per la salute fisica e mentale delle persone trattenute” e permeate da “carenze legislative, vuoti di regolazione, criticità strutturali, opacità sistemiche e inadeguatezze gestionali”.

    I dati del Garante mostrano, inoltre, che i Cpr sono inefficaci allo scopo che si prefiggono: delle 6.383 persone transitate al loro interno nel 2022 ne sono state rimpatriate 3.154, ovvero il 49,41%. E come raccontato da Altreconomia, permane poi il problema degli psicofarmaci distribuiti per sedare e gestire la popolazione ristretta. Sono frequenti, infine, gli atti di autolesionismo e i decessi -otto negli ultimi tre anni- delle persone trattenute, il cui corpo è spesso l’unico strumento per far sentire la propria voce.

    Tra le 16 liste in lizza alle prossime elezioni provinciali altoatesine, solo i Verdi si sono detti contrari ai Centri per il rimpatrio in quanto “strutture non risolutive che violano i diritti umani”. A prendere nettamente posizione è stata invece una parte della società civile. A seguito di un’assemblea pubblica molto partecipata, lo scorso settembre si è costituito il “Coordinamento regionale Trentino Alto Adige Südtirol contro i Cpr”, da subito attivo in una intensa attività di informazione “per smontare la becera propaganda intorno a questo tema” e nell’organizzazione di una manifestazione che sabato 14 ottobre ha visto sfilare per le strade di Bolzano 800 persone. Per il Coordinamento, il corteo è stato il primo di una serie di appuntamenti in cui “ribadiremo forte e chiaro il nostro ‘No ai Cpr in Alto Adige e altrove’”.

    https://altreconomia.it/in-alto-adige-in-arrivo-un-cpr-a-uso-locale-lultimo-anello-di-una-caten

    #CPR #Alto_Adige #Italie #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #rétention #Bolzano #criminels_étrangers #étrangers_criminels #Süd-Tiroler_Freiheit #poster #sécurité #urgence

  • Le #Danemark veut envoyer 300 #détenus_étrangers au #Kosovo
    (... encore le Danemark...)

    La ministre kosovare de la justice a confirmé jeudi l’accord qui prévoit de confier à une prison de son pays des prisonniers étrangers, condamnés au Danemark et susceptibles d’être expulsés après avoir purgé leur peine.

    Le Danemark a franchi, mercredi 15 décembre, une nouvelle étape dans sa gestion des étrangers. Le ministre de la justice, Nick Haekkerup, a annoncé que le pays nordique prévoit de louer 300 places de prison au Kosovo, pour y interner les citoyens étrangers, condamnés au Danemark, et qui doivent être expulsés vers leur pays d’origine après avoir purgé leur peine. Le 3 juin déjà, le gouvernement dirigé par les sociaux-démocrates, avait fait adopter une loi lui permettant de sous-traiter l’accueil des demandeurs d’asile et des réfugiés à un pays tiers.

    L’accord sur les détenus étrangers a été confirmé, jeudi 16 décembre, par la ministre kosovare de la justice, Albulena Haxhiu. Il s’agit d’une première pour ce petit et très pauvre pays des Balkans, dirigé depuis le début de 2021 par le parti de gauche nationaliste Autodétermination !, proche du parti socialiste européen, et qui rêve d’adhésion à l’Union européenne.

    Une lettre d’intention entre les deux gouvernements devrait être signée, lundi 20 décembre, à Pristina. Un traité sera ensuite soumis à l’approbation des deux tiers du Parlement. Mme Haxhiu a révélé que les prisonniers danois seraient enfermés dans le centre de détention de Gjilan, à l’est du pays, et assuré qu’il n’y aurait pas de terroristes, ni de prisonniers à « à haut risque » parmi eux. Selon elle, ce projet d’externalisation « est la reconnaissance du Kosovo et de ses institutions comme un pays sérieux ».
    « Une prison danoise dans un autre pays »

    A Copenhague, le ministre de la justice a fait savoir que les négociations avec Pristina avaient débuté il y a un an. Le dispositif a été présenté dans le cadre d’un accord entre les sociaux-démocrates, les conservateurs, le Parti du peuple danois et le Parti socialiste du peuple, pour réformer le système pénitentiaire. L’objectif est d’augmenter la capacité des prisons danoises pour pouvoir accueillir un millier de détenus supplémentaires.

    Parallèlement à l’ouverture de nouvelles cellules dans les établissements existant, le gouvernement compte donc libérer 300 places en se débarrassant des détenus d’origine étrangère, condamnés à l’expulsion une fois leur peine purgée. Ils étaient 368 en 2020. « Il faut s’imaginer que c’est une prison danoise. Elle se situe juste dans un autre pays », a expliqué M. Haekkerup, précisant que l’équipe dirigeant le centre de Gjilan serait danoise.

    A Pristina, Mme Haxhiu a confirmé : « Les lois en vigueur au Danemark s’appliqueront, la gestion sera danoise, mais les agents pénitentiaires seront de la République du Kosovo. Le bien-être et la sécurité [des détenus] seront sous leur entière responsabilité. »

    Avec ce dispositif, le gouvernement danois veut « envoyer un signal clair que les étrangers condamnés à l’expulsion doivent quitter le Danemark ». Au ministère de la justice, on précise toutefois que si les détenus, une fois leur peine purgée, refusent d’être expulsés dans leur pays d’origine et que Copenhague ne peut les y forcer faute d’accord avec ces pays, alors ils seront renvoyés au Danemark, pour être placés en centre de rétention.

    En échange de ses services, le Kosovo devrait obtenir 210 millions d’euros sur dix ans : « Cette compensation bénéficiera grandement aux institutions judiciaires, ainsi qu’au Service correctionnel du Kosovo, ce qui augmentera la qualité et l’infrastructure globale de ce service », a salué le gouvernement dans un communiqué. Le Danemark, de son côté, a indiqué qu’il allait aussi verser une aide de 6 millions d’euros par an au petit pays, au titre de la transition écologique.
    De nombreux problèmes juridiques

    Comme pour l’externalisation de l’asile, ce projet pose de nombreux problèmes juridiques. Le gouvernement danois a précisé que les détenus ayant une famille seraient les derniers envoyés au Kosovo, car ils doivent pouvoir « avoir des contacts avec leurs enfants ». Une aide financière au transport sera mise en place pour les proches.

    Directrice de l’Institut des droits de l’homme à Copenhague, Louise Holck parle d’une « décision controversée du point de vue des droits de l’homme », car le Danemark, rappelle-t-elle, « ne peut pas exporter ses responsabilités légales » et devra faire en sorte que les droits des prisonniers soient respectés. Professeure de droit à l’université du sud Danemark, Linda Kjær Minke estime qu’il faudra modifier la loi, ne serait-ce que « pour imposer un transfert aux détenus qui refuseraient ».

    Entre 2015 et 2018, la Norvège avait sous-traité l’emprisonnement de prisonniers aux Pays-Bas. Dans un rapport publié en 2016, le médiateur de la justice avait constaté que les autorités norvégiennes « n’avaient pas réussi à garantir une protection adéquate contre la torture et les traitements inhumains ou dégradants ». Jamais aucun pays européen n’a transféré des prisonniers aussi loin (plus de 2 000 km), et le Danemark devrait faire face aux mêmes problèmes que la Norvège, estime Linda Kjær Minke :« Même si la direction est danoise, les employés auront été formés différemment, avec peut-être d’autres façons d’utiliser la force. »

    Ces mises en garde ne semblent pas affecter le gouvernement danois, qui multiplie les décisions très critiquées, comme celle de retirer leur titre de séjour aux réfugiés syriens. Le but est de décourager au maximum les demandeurs d’asile de rejoindre le pays. La gauche et les associations d’aide aux migrants dénoncent une « politique des symboles ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/12/16/le-danemark-veut-envoyer-300-detenus-etrangers-au-kosovo_6106356_3210.html#x

    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #pays-tiers #rétention #détention_administrative #détention #étrangers_criminels #criminels_étrangers #expulsion #renvoi #accord #Gjilan #prison #emprisonnement #compensation_financière #aide_financière #transition_écologique #étrangers

    ping @karine4 @isskein

    • Danimarca-Kosovo: detenuti in cambio di soldi per tutela ambientale

      Da Pristina e Copenhagen arriva una notizia sconcertante. Il ministro della Giustizia del Kosovo Albulena Haxhiu ha annunciato che a breve arriveranno nel paese 300 detenuti, attualmente nelle carceri danesi e cittadini di paesi non UE, per scontare la loro pena in Kosovo. In cambio Pristina otterrà 210 milioni di euro di finanziamenti a favore dell’energia verde.

      L’accordo fa parte di una serie di misure annunciate in settimana dalle autorità danesi per alleviare il sistema carcerario del paese per far fronte ad anni di esodo del personale e al più alto numero di detenuti dagli anni ’50.

      I detenuti dovrebbero scontare le loro pene in un penitenziario di Gjilan. “I detenuti che saranno trasferiti in questo istituto non saranno ad alto rischio", ha chiarito Haxhiu in una dichiarazione.

      L’accordo deve passare ora dall’approvazione del parlamento di Pristina.

      In molti, in Danimarca e all’estero, si sono detti preoccupati per la salvaguardia dei diritti dei detenuti. Un rapporto del 2020 del Dipartimento di Stato americano ha evidenziato i problemi nelle prigioni e nei centri di detenzione del Kosovo, tra cui violenza tra i prigionieri, corruzione, esposizione a opinioni religiose o politiche radicali, mancanza di cure mediche e a volte violenza da parte del personale.

      Perplessità rimandate al mittente dal ministro della Giustizia danese Nick Hekkerup che si è dichiarato convinto che l’invio di detenuti in Kosovo sarà in linea con le norme a salvaguardia dei diritti umani a livello internazionale. «I detenuti deportati potranno ancora ricevere visite, anche se, naturalmente, sarà difficile», ha chiosato.

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Danimarca-Kosovo-detenuti-in-cambio-di-soldi-per-tutela-ambientale

    • Le Kosovo prêt à louer ses prisons au Danemark

      Le Kosovo veut louer 300 cellules de prison pendant dix ans au Danemark, en échange de 210 millions d’euros. Le pays scandinave prévoit d’y « délocaliser » des détenus étrangers avant leur potentielle expulsion définitive dans leur pays d’origine. Un projet qui piétine les libertés fondamentales.

      Le Kosovo s’apprête à signer lundi 20 décembre un accord de principe avec le Danemark pour lui louer 300 cellules de prison. Le Danemark prévoit donc de déporter à plus de 2000 km de ses frontières 300 détenus étrangers qui viendront purger la fin de leur peine au Kosovo avant d’être expulsés vers leur pays d’origine, si les procédures d’extradition le permettent. Mais ce n’est pas encore fait : une fois l’accord signé, il devra encore être ratifié par les parlements respectifs des deux pays, à la majorité des deux tiers.

      Montant de la rente de cette « location » : 210 millions d’euros pour Pristina. L’argent « sera consacré aux investissements, notamment dans les énergies renouvelables », a précisé Albulena Haxhiu, la ministre de la Justice du Kosovo, qui a tenté de déminer le terrain. « Ce ne seront pas des détenus à haut risque ou des condamnés pour terrorisme, ni des cas psychiatriques. Les institutions judiciaires bénéficieront de la compensation financière, cela aidera à améliorer la qualité et les infrastructures du Service correctionnel. »

      « Il faut s’imaginer que cela sera une prison danoise. Elle sera juste dans un autre pays », a expliqué de son côté son homologue danois, Nick Haekkerup. Mais pourquoi l’un des plus riches pays européens aurait-il besoin d’« externaliser » la prise en charge de ses détenus ? Le Danemark dit avoir besoin de 1000 places de prison supplémentaires. Pour cela, il va créer de nouvelles cellules dans les prisons existantes, et en libérer d’autres en se débarrassant de détenus étrangers. Il s’agit surtout d’envoyer un message de fermeté aux réfugiés qui souhaitent rejoindre le pays scandinave.

      Les Danois ont commencé à préparer le terrain en octobre 2020, avec une visite du système carcéral kosovar. Ils ont « évalué positivement le traitement de nos prisonniers et nos capacités », s’était alors félicité le ministère de la Justice du Kosovo. Les 300 détenus resteront soumis aux lois danoises, mais les gardiens de prison seront bien kosovars. Ce projet d’externalisation carcérale est « la reconnaissance du Kosovo comme un pays sérieux », s’est félicitée Albulena Haxhiu.

      “Le Kosovo se transforme en un lieu de détention pour les migrants indésirables. Pour un peu d’argent, notre gouvernement renforce le sentiment anti-réfugiés qui s’accroit en Europe.”

      Mais pour le Conseil de la défense des droits de l’homme (KMLDNJ), qui surveille les conditions de détention dans les prisons kosovares, cet accord « légalise la discrimination des détenus ». « Tout d’abord, vendre sa souveraineté à un autre État pour dix ans et 210 millions d’euros est un acte de violation de cette souveraineté. De plus, les conditions et le traitement de ces détenus qui viendront du Danemark seront incomparablement meilleurs des autres 1600 à 1800 détenus du Kosovo », estime l’ONG. « Les propriétés de l’État ne doivent pas être traitées comme des infrastructures privées à louer », ajoute Besa Kabashi-Ramaj, experte en questions sécuritaires.

      Cet accord a en effet surpris beaucoup d’observateurs locaux et internationaux, et ce d’autant plus que le Kosovo est actuellement gouverné par le parti de gauche souverainiste Vetëvendosje. « Le Kosovo se transforme en un lieu de détention pour les migrants indésirables. Pour un peu d’argent, notre gouvernement renforce le sentiment anti-réfugiés qui s’accroît en Europe », déplore Visar Ymeri, directeur de l’Institut pour les politiques sociales Musine Kokalari. « Aussi, quand la ministre de la Justice affirme que le Kosovo a assez de prisons mais pas assez de prisonniers, elle participe à une politique de remplacement du besoin de justice par un besoin d’emprisonnement. »

      Selon le Rapport mondial des prisons, établi par l’Université de Londres, le Kosovo avait 1642 détenus en 2020, soit un taux d’occupation de 97%. Le ministère de la Justice du Kosovo n’a, semble-t-il, pas la même façon de calculer l’espace carcéral : « Nous avons actuellement 700-800 places libres. Vu qu’au maximum nous aurons 300 détenus du Danemark, il restera encore des places libres », a même fait savoir Alban Muriqi, du ministère de la Justice.

      Le Kosovo a onze centre de détention : cinq centres de détention provisoire, une prison haute sécurité, une prison pour femmes, un centre d’éducation pour les mineurs et trois autres prisons. C’est au centre de détention à #Gjilan / #Gnjilane, dans l’est du Kosovo, que seraient louées les cellules au Danemark.

      https://www.courrierdesbalkans.fr/Kosovo-Prisonniers-Danemark

    • La Danimarca e le prigioni off-shore

      Sono immigrati incarcerati in Danimarca. Dal 2023 rischiano di scontare la propria pena in un peniteniario di Gjilian, in Kosovo. Un approfondimento sullo sconcertante accordo del dicembre scorso tra Copenhagen e Pristina

      Sebbene Danimarca e Kosovo abbiano avuto poco a che fare l’uno con l’altro, alla fine di dicembre si sono ritrovati insieme nei titoli dei giornali di tutto il mondo. Ad attirare l’attenzione della Danimarca sono state le quasi 800 celle vuote del Kosovo. I titoli dei giornali erano di questo tipo: «La Danimarca spedisce i propri prigionieri in Kosovo».

      Ci si riferiva ad un accordo firmato il 21 dicembre 2021 per inviare - in un centro di detenzione nei pressi di Gjilan, 50 chilometri a sud-est di Pristina - 300 persone incarcerate in Danimarca. Le autorità danesi hanno specificato che i 300 detenuti saranno esclusivamente cittadini di paesi terzi destinati ad essere deportati dalla Danimarca alla fine della loro pena.

      In cambio, il Kosovo dovrebbe ricevere 200 milioni di euro, suddivisi su di un periodo di 10 anni. I fondi sono stati vincolati a progetti nel campo dell’energia verde e delle riforme dello stato di diritto. Il ministro della Giustizia del Kosovo Albulena Haxhiu ha definito questi investimenti «fondamentali» e il ministro della Giustizia danese Nick Hækkerup ha affermato che «entrambi i paesi con questo accordo avranno dei vantaggi».

      L’idea di gestire una colonia penale per conto di un paese dell’UE ha messo molti kosovari a disagio, e nonostante la fiducia espressa dal governo danese, l’accordo ha ricevuto pesanti critiche anche in Danimarca. Ma cosa sta succedendo alla Danimarca e al suo sistema carcerario da spingerla a spedire i propri detenuti in uno dei paesi più poveri d’Europa?
      Problemi in paradiso?

      La Danimarca e i suoi vicini nordici sono rinomati per l’alta qualità della vita, gli eccellenti sistemi educativi e le generose disposizioni di assistenza sociale. Di conseguenza, può sorprendere che il sistema carcerario danese abbia qualche cosa che non va.

      Secondo Peter Vedel Kessing, ricercatore dell’Istituto Danese per i Diritti Umani (DIHR), non c’è da stupirsi, il sistema carcerario infatti «non è una priorità in molti stati. Tendono a non dare la priorità alla costruzione di prigioni. Vogliono spendere i soldi per qualcos’altro». E in Danimarca “hanno prigioni molto vecchie".

      Alla fine del 2020 il servizio danese per i penitenziari e la libertà vigilata (Kriminalforsogen) ha riferito che il sistema carcerario aveva la capacità di contenere 4.073 prigionieri. In media, c’erano però 4.085 detenuti ad occupare le celle nel 2020, facendole risultare leggermente sovraffollate.

      Un rapporto del gennaio 2020 dell’Annual Penal Statistics (SPACE) del Consiglio d’Europa sottolinea che la Danimarca aveva 4.140 detenuti mentre possedeva capacità per 4.035. I funzionari penitenziari hanno trovato lo spazio in più riducendo le aree comuni e dedicate ai servizi di base. Secondo un rapporto DIHR del novembre 2021, «diverse prigioni hanno chiuso sale comuni o aule per avere un numero sufficiente di celle». Il rapporto menziona anche la trasformazione di palestre, sale per le visite e uffici in celle di prigione.

      In Danimarca, ogni detenuto dovrebbe avere una cella propria. Ma nelle prigioni come quella di Nykøbing, una città a 130 chilometri a sud di Copenaghen, ci sono ora due detenuti per cella, secondo un rapporto del “Danish Prison and Probation Service”.

      Il rapporto includeva una previsione per il 2022: si aspettano di superare del 7,9% i posti a disposizione. Sia il Kriminalforsogen che l’importante media danese Jyllands Posten hanno stimato una possibile carenza di 1.000 posti entro il 2025, se non si trovano soluzioni strutturali.

      Ora, invece di erodere ulteriormente gli spazi comuni, si pensa di inviare i detenuti a 2000 chilometri di distanza. Tra le molte cose, sono stati tanti i danesi a far notare che l’accordo viola i diritti di visita dei detenuti: diventerà molto più difficile per le famiglie e gli amici dei detenuti presentarsi all’orario di visita nel Kosovo orientale.

      «Se improvvisamente ti trovi a dover andare in Kosovo per trovare tuo padre… non sarà possibile per la stragrande maggioranza delle famiglie dei detenuti. Ad esempio, un bambino di 3 anni, non è che può andare in Kosovo quando vuole e, naturalmente, il detenuto non potrà venire a trovare il bambino», sottolinea Mette Grith Stage, un avvocato che rappresenta molti imputati che si battono contro la deportazione, al quotidiano danese Politiken. «Questo significa di fatto che i deportati perdono il contatto con la loro famiglia».

      Per coprire la spesa prevista di 200 milioni di euro in un decennio, il governo danese ha recentemente annunciato che intende aumentare le tasse sulla tv. L’annuncio ha causato reazioni amare. In un’udienza parlamentare all’inizio di febbraio, il direttore delle comunicazioni dell’organizzazione Danish Media Distributors, Ib Konrad Jensen, ha dichiarato: «È un’ottima idea scrivere in fondo alla bolletta [della televisione]: ’Ecco il vostro pagamento al servizio carcerario del Kosovo’».
      Aiuto!

      Non solo c’è una carenza di spazio nel sistema penale, ma la Danimarca ha anche difficoltà nell’assumere abbastanza guardie carcerarie ed è da questo punto di vista gravemente sotto organico negli ultimi anni.

      Un rapporto del 2020 del Consiglio d’Europa mostra che l’Albania ha una proporzione di guardie carcerarie per prigionieri più alta della Danimarca. Il confronto è stato portato alla luce dai media danesi per cercare di enfatizzare la scarsa qualità delle prigioni danesi: guarda come siamo messi male, anche l’Albania sta facendo meglio di noi.

      I funzionari penitenziari si sono opposti a questo tipo di parallelismo. «L’Albania è certamente un paese eccellente», ha dichiarato Bo Yde Sørensen, presidente della Federazione delle prigioni danesi, in un articolo del quotidiano Berlingske, «ma di solito non è uno con il quale paragoniamo le nostre istituzioni sociali vitali».

      Anche altri media danesi hanno fatto paragoni denigratori con i paesi balcanici per evidenziare i problemi del proprio sistema carcerario. Nel penitenziario di Nyborg, situato sull’isola di Funen, la testata danese V2 ha riferito che la qualità del lavoro è più scadente di quella della Bulgaria, affermando che «in media, un agente penitenziario nella prigione di Nyborg gestisce 2,8 detenuti», mentre «in confronto, la media è 2,4 in una prigione media in Bulgaria».

      La diffusa scarsa opinione tra i media danesi delle condizioni dei penitenziari nei Balcani mette chiaramente in discussione le assicurazioni che il governo danese ha dato nel garantire che i propri prigionieri a Gjilan troveranno le condizioni a cui hanno diritto per la legge danese.

      Ma come è chiaro, anche in Danimarca il sistema penitenziario ha problemi a rispettare queste stesse condizioni. Nel penitenziario di Vestre, a Copenhagen, i detenuti sono chiusi nelle loro celle durante la notte perché non ci sono abbastanza guardie per sorvegliarli durante la guardia notturna. I detenuti in Danimarca avrebbero diritto al contrario di avere un alto grado di libertà di movimento all’interno della struttura carceraria, anche durante la notte.

      «Non è un segreto che il servizio penitenziario e di libertà vigilata danese si trova in una situazione molto difficile. Ci sono più detenuti e meno guardie carcerarie che mai, e questo crea sfide e mette molta pressione», afferma Sørensen in una intervista per Berlingske.

      Un comunicato stampa emesso dal Fængselsforbundet - servizio penitenziario danese - mostra i bisogno in termini chiari: «Prendiamo il 2015 come esempio. A quel tempo c’erano 2.500 agenti per 3.400 prigionieri. Cioè 1,4 detenuti per agente. Ora il rapporto è di due a uno. Duemila agenti per 4.200 detenuti».

      In risposta ai problemi di personale, le prigioni danesi sono ricorse al chiudere a chiave le celle. «Il modo per evitare la violenza e per avere una migliore atmosfera nei penitenziari», commenta Kessing, ricercatore del DIHR, è quello di «creare relazioni tra l’istituzione penitenziaria, i detenuti e il personale della prigione». «Ma a causa della diminuzione del numero di guardie, non si ha più il tempo di sviluppare relazioni», chiosa.
      La risposta? Il Kosovo

      Per superare queste sfide, la Danimarca sembra aver preso esempio dalla vicina Norvegia, che ha affrontato problemi simili nel 2015. Quell’anno la Norvegia ha inviato 242 detenuti nei Paesi Bassi per risolvere i problemi di sovraccarico dei penitenziari. Ma nel 2018 il governo norvegese ha deciso di non rinnovare l’accordo di fronte a lamentele relative a riabilitazione e giurisdizione.

      Ora la Danimarca ha gettato gli occhi - come recinto per i propri detenuti - non sui Paesi Bassi ma su uno dei paesi più poveri d’Europa.

      «Il loro futuro non è in Danimarca, e quindi non dovrebbero nemmeno scontare la loro pena qui», ha dichiarato il ministro della Giustizia Nick Hækkerup, dando conferma di una crescente retorica anti-immigrazione in Danimarca.

      Quando i detenuti cominceranno ad arrivare a Gjilan nel 2023, la prigione sarà gestita dalle autorità danesi, causando una potenziale confusione su quale giurisdizione applicare: problema simile era sorto tra Norvegia e Paesi Bassi.

      Mette Grith Stage, come anche altri avvocati danesi, hanno espresso preoccupazione per questo accordo e si sono detti scettici sul fatto che le leggi penali danesi saranno applicate appieno nel sistema carcerario del Kosovo.

      In un’intervista con DR, l’emittente pubblica danese, il ministro della Giustizia Hækkerup ha però ribattuto: «Il penitenziario sarà gestito da una direzione danese che deve formare i dipendenti locali, per questo sono certo che le prigioni saranno all’altezza delle leggi e degli standard danesi. Deve essere visto come un pezzo del sistema carcerario danese che si sposta in Kosovo».

      Le dichiarazioni delle autorità danesi durante tutta la vicenda hanno spesso citato la loro «presenza significativa» in Kosovo. Tuttavia la Danimarca è l’unico paese scandinavo a non avere un’ambasciata a Pristina. L’ambasciata danese a Vienna, che supervisiona gli affari nei Balcani, ha esternalizzato il lavoro a uno studio legale nella capitale del Kosovo.

      A seguito degli obblighi NATO della Danimarca, un totale di 10.000 componenti delle proprie truppe hanno servito nella KFOR dal 1999 ad oggi. Attualmente sono 30 i militari danesi in Kosovo. Nel 2008 la Danimarca fu uno dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza del Kosovo.

      Anche se le autorità danesi affermano di considerare il Kosovo alla pari, il semplice fatto che la Danimarca stia assumendo la gestione di una delle prigioni del Kosovo potrebbe legittimamente essere visto come una minaccia alla sovranità di quest’ultimo. Quando i prigionieri norvegesi vennero mandati nei Paesi Bassi, il penitenziario continuò ad essere sotto autorità olandese.

      Ma al di là delle preoccupazioni sulla giurisdizione, gli standard delle prigioni, i diritti di visita e i costi, ci sono questioni morali più grandi. Il popolo danese vuole veramente che a proprio nome vengano gestite strutture carcerarie offshore per i suoi immigrati incarcerati? E il popolo del Kosovo vuole essere una colonia penale dei paesi più ricchi? I governi della Danimarca e del Kosovo dicono di sì, ma cosa dice la gente?

      https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/La-Danimarca-e-le-prigioni-off-shore-215757