• I dati sull’accoglienza in Italia, tra programmazione mancata e un “sistema unico” mai nato

    Ad agosto in Italia sono “accolte” quasi 133mila persone, per la maggioranza nei centri prefettizi. Il sistema diffuso, e sulla carta ordinario, pesa ancora poco. Un confronto con gli anni scorsi smonta l’emergenza e mostra i nodi veri: dalla non programmazione al definanziamento, fino allo squilibrio provinciale tra #Cas e #Sai.

    Al 15 agosto di quest’anno le persone in accoglienza in Italia sono 132.796: 95.436 nei Centri di accoglienza straordinaria che fanno capo alle prefetture, 34.761 nei centri diffusi del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e 2.599 negli hotspot. Tanti? Pochi? Spia di un’emergenza imprevedibile? Un confronto con gli anni scorsi può aiutare a orientarsi, tenendo sempre la stessa fonte, cioè il ministero dell’Interno, lo stesso che per conto del governo lamenta una situazione “scoppiata” tra le mani, impossibile da programmare e quindi non gestibile per le vie ordinarie, tanto da dichiarare lo stato di emergenza.

    Facciamo un salto indietro alla fine del 2016, quando gli sbarchi furono oltre 180mila. Le persone in accoglienza in Italia allora erano 176.257, il 32,7% in più di oggi. La stragrande maggioranza, proprio come oggi, era nelle strutture temporanee emergenziali (137mila), seguita a distanza dall’accoglienza diffusa e teoricamente strutturale dell’allora Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) con 23mila posti, dai centri di prima accoglienza (15mila circa) e dagli hotspot (un migliaio). A fine agosto 2017, anno in cui gli sbarchi alla fine sfiorarono quota 120mila, erano 173.783, di cui nei soli Cas 158.207. Un terzo in più di oggi.

    Un anno dopo, il 31 agosto 2018, erano scesi a 155.619. Attenzione: quell’anno, anche a seguito degli accordi del 2017 tra Italia e Libia e delle forniture garantite a Tripoli per intercettare e respingere i naufraghi con missioni bilaterali di supporto (farina Minniti-Gentiloni), gli sbarchi crolleranno a 23.370.
    Ed è proprio in quell’anno che per decreto (il cosiddetto “Decreto Salvini”, 113/2018) il Governo Conte I smonta il già gracile e incompiuto sistema di accoglienza, pubblicando schemi di capitolato dei Cas che premiano le strutture di grandi dimensioni, riducendo gli standard di accoglienza e mortificando l’operato del Terzo settore. Per non parlare del forte impulso, già in atto da qualche tempo, alla prassi “svuota centri” rappresentata dalle revoche delle misure di accoglienza da parte delle prefetture. È bene infatti ricordare che tra 2016 e 2019, come ricostruito da un’inchiesta di Altreconomia, almeno 100mila tra richiedenti asilo e beneficiari di protezione si sono visti cancellare le condizioni materiali di accoglienza, finendo espulsi dai centri, a discrezione delle singole prefetture e senza che venisse tenuto in minima considerazione alcun principio di gradualità.

    L’anno che ha fatto registrare il dato più basso di sbarchi dell’ultima decade è il 2019: 11.471. A metà agosto di quattro anni fa le persone in accoglienza erano 102.402, di cui 77.128 nei Cas e 25.132 nell’ormai ex Sprar, svuotato della sua natura originaria e rinominato in Siproimi. “Perché immaginare di costruire un sistema di accoglienza per soggetti ritenuti non graditi dalle istituzioni?”, è il ragionamento non detto.

    Ecco perché al 15 agosto 2020, anno di leggera ripresa degli sbarchi (34.200 circa), le persone nei Cas, nel Siproimi e negli hotspot non superano quota 85mila. La metà rispetto al 2016. Crollano i posti nei centri prefettizi (da 77mila del 2019 a 60mila del 2020) così come quelli nel Siproimi (da 25mila a 23mila).

    Ma si è riusciti a far di peggio, riducendo il sistema al lumicino dei 76.902 “immigrati in accoglienza sul territorio”, come li indica il Viminale, del 15 agosto 2021 (anno che registrerà 67.477 sbarchi). Nei centri prefettizi vengono infatti dichiarate 51.128 persone presenti, quasi un terzo di quante erano accolte nel dicembre 2017. Nel circuito del Siproimi c’è una flebile ripresa che però non oltrepassa quota 25mila posti.

    È una sorta di “età di mezzo” (siamo a cavallo dei Governi Conte II e Draghi). Nonostante il positivo intervento della legge 173/2020 che ripristina la logica dello Sprar, denominandolo Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), i due esecutivi che precedono l’attuale non riescono a (o non vogliono) frenare la diminuzione dei posti. Si fa finta di non vedere che il sistema di accoglienza è nei fatti sottostimato e che da un momento all’altro può dunque implodere rispetto alle necessità. I capitolati dei Cas vengono di poco corretti ma non in maniera adeguata, e continua a non essere elaborato e tanto meno attuato alcun piano di progressivo assorbimento e riconversione dei Cas (emergenza) nel Sai (ordinario). Il Sistema di accoglienza e integrazione torna debolmente a crescere ma in modo modesto. Perché non è lì che si punta: a occupare l’agenda sono ancora gli accordi con la Libia, che vengono infatti rinnovati, e la direzione politica non cambia rispetto a quella precedente, è solo meno “urlata”.

    È in questo quadro che arriviamo all’anno scorso, quello dei 105mila sbarchi, con le persone in accoglienza che a metà agosto 2022 sono 95.893, di cui 64.117 nei Cas e 31mila circa nei centri Sai.

    Pian piano quella quota è cresciuta fino ai citati 132.796 “accolti” del 15 agosto 2023. Non si tratta, come visto, di un inedito picco ma di un già vissuto trascinarsi di difetti strutturali. Uno su tutti: il Sai, la fase di accoglienza concepita come ordinaria, non riesce ad andare oltre il 30% del numero complessivo dei posti disponibili.

    “Se immaginiamo che tra il 20 e il 30% della popolazione presente nei centri rapidamente li abbandona e lascia l’Italia per andare in altri Paesi dell’Unione europea, l’impatto generale degli arrivi e delle presenze è quanto mai modesto -osserva Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e tra i più esperti conoscitori del sistema di accoglienza del nostro Paese. Nulla giustifica l’ordinario e diffuso allarmismo”. “La popolazione italiana nel solo 2022 è diminuita di 179mila unità, un numero pari a più di tre anni di arrivi (2022, 2021, 2020) -fa notare ancora Schiavone-. Ma di che cosa stiamo parlando?”.

    A questa lettura se ne aggiunge un’altra che riguarda la disomogeneità territoriale dell’accoglienza su scala provinciale. Il ministero dell’Interno rende infatti pubblici ogni 15 giorni i dati aggiornati sulle “presenze di migranti in accoglienza” distinguendoli però solo su base regionale. Così gli squilibri del sistema non emergono nel dettaglio.

    Altreconomia ha ottenuto dal Viminale i dati suddivisi per Provincia al 30 giugno 2023, appena prima che scoppiasse l’ultima “emergenza accoglienza”, quando le persone in accoglienza erano 118.883 di cui 3.682 negli hotspot (Lampedusa su tutti), 80.126 nei Cas e 35.075 nei centri Sai. Il carattere che emerge è la sproporzione. Vale tanto per la distribuzione dei posti del Sai quanto per il “collegamento” tra il sistema emergenziale Cas e l’accoglienza diffusa.

    Schiavone fa qualche esempio pratico. “In alcune Regioni e province le presenze nel Sai sono bassissime, specie se rapportate alla popolazione residente. Veneto, Toscana, la stessa Lombardia. Il divario Nord-Sud è critico. La peggiore si conferma in ogni caso il Friuli-Venezia Giulia, dove peraltro il ministero segnala 63 posti in provincia di Udine senza tenere conto che il progetto Sai che fa capo al Comune di Udine ha chiuso a fine dicembre del 2022. È palese la carenza forte di posti al Nord dove ci sarebbero le maggiori possibilità di integrazione socio-lavorativa”.

    Di fronte a questi dati sorge un interrogativo che il presidente dell’Ics di Trieste riassume così: “A che cosa serve un Sistema di accoglienza integrazione, che ora con la legge 50/2023 è destinato ai soli beneficiari di protezione, così squilibrato, sia per aree geografiche sia in relazione al sistema dei Cas? Trasferiamo i richiedenti asilo appena diventano rifugiati da Nord a Sud per trovare lavoro? Appare evidente che il sistema come è oggi configurato, se si intende mantenere l’irrazionale scelta di avervi sottratto l’accoglienza dei richiedenti asilo, non ha alcun senso e andrebbe interamente riconfigurato con drastiche chiusure di progetti Sai nelle aree interne, specie al Sud, che erano importantissimi in una logica normativa che prevede l’accoglienza diffusa dei richiedenti asilo ma che perdono senso in un nuovo sistema che attribuisce al Sai la sola funzione di sostenere l’integrazione socio-economica dei rifugiati”.

    A riprova del fatto che la vera emergenza in Italia non sono i numeri quanto la non programmazione ministeriale sull’accoglienza, c’è anche la risposta che il capo della Direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo (Francesco Zito) diede al nostro Luca Rondi a inizio gennaio 2023. Alla richiesta di aver copia del “Piano nazionale di accoglienza elaborato dal Ministero dell’Interno”, il Viminale glissò sostenendo che “i trasferimenti dei migranti avvengono in base a quote di volta in volta stabilite tra le diverse province, anche in base ai posti che si rendono disponibili sul territorio”. Come dire: il piano è non avere un piano.

    Chiude il cerchio la cesura netta che c’è tra i posti emergenziali nei Cas e il Sai. “Facciamo l’esempio di Piacenza -riflette Schiavone-. A fine giugno c’erano 505 posti Cas e 34 posti Sai. Se ad esempio ogni anno devo trasferire 200 ex richiedenti asilo divenuti beneficiari di protezione dai Cas di Piacenza al Sai di quella provincia, come si fa? È evidente che le persone verranno trasferite da una delle province a maggior dinamicità economica magari ad Avellino o Cosenza dove ci sono rispettivamente 900 e 1.100 posti SAI. Questo non-sistema produce nello stesso tempo sradicamento delle persone dai percorsi di primo inserimento sociale e totale sperpero di denaro pubblico. A guardare fino in fondo il non-sistema non produce neppure alcuna integrazione sociale, magari con grande lentezza e spreco di energie”.

    La progressiva riduzione dei Cas a parcheggi dove non verrà insegnato neppure l’italiano -come prevede la legge 50/2023 che ha eliminato anche l’orientamento legale e il supporto psicologico- farà il resto. “Il processo è in atto da tempo ma tende ad accelerare sempre di più -dice Schiavone allargando le braccia-. In questo modo anche i sei mesi di accoglienza Sai rischiano di rivelarsi pressoché inutili se non sono un completamento di un percorso di integrazione già avviato. Ma in questo non-sistema il beneficiario di protezione che accede al Sai parte da quasi zero”. Verso una nuova, prevedibile, “emergenza”.

    https://altreconomia.it/i-dati-sullaccoglienza-in-italia-tra-programmazione-mancata-e-un-sistem
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  • Atlante Covid-19. Geografie del contagio in Italia

    L’Atlante, mediante l’impiego additivo testo-carta, prospetta il quadro epidemico della prima ondata di Covid-19 in Italia (febbraio-giugno 2020). Questo periodo, interessato dalle rigide restrizioni del lockdown, permette di esplorare la nascita dei focolai, la diffusione del contagio, la virulenza del morbo in certe parti dell’Italia in relazione agli aspetti fisico-ambientali e socio-territoriali di ogni Regione. La pandemia, infatti, ha evidenziato che i territori del contagio sono anisotropi e reagiscono all’infezione in modo differente. L’obiettivo dell’Atlante è dettagliare e problematizzare questa articolazione. La cartografia, incrociando i dati socio-territoriali con i dati inerenti il contagio, delinea situazioni ambientali molto diverse: emerge una suddivisione tripartita della Penisola, che, in questa prima ondata, si mantiene inalterata nel tempo. Si identifica così tre differenti «Italie»: quella settentrionale, in cui l’intensità del contagio è massima; quella centrale dove l’intensità è medio-alta; la meridionale infine, comprende il resto della penisola italiana, colpita in modo più lieve. Ciò suggerisce che fattori fisici e sociali intervengono nella diffusione del morbo confermando l’impostazione metodologica della ricerca.


    https://www.ageiweb.it/eventi-e-info-per-newsletter/pubblicazioni/atlante-covid-19

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    https://www.ageiweb.it/wp-content/uploads/2022/08/Atlante_Covid-19-online.pdf
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  • Al confine di Ventimiglia, dove i controlli rendono i passeur l’ultima speranza dei migranti

    Nel 2021 i respingimenti al confine italo-francese sono stati oltre 24mila, in aumento rispetto al 2020. La militarizzazione della frontiera rende sempre più complesso il passaggio per le persone in transito e alimenta il mercato illecito. Il nostro reportage

    A pochi metri dal confine di ponte San Luigi, a Ventimiglia, Mosaab si affaccia dal parapetto guardando il porticciolo di Mentone, prima cittadina in territorio francese. “Dopo essere sopravvissuto alla Libia -spiega- non avrei mai immaginato che passare questo confine sarebbe stato così difficile”. Per l’ottava volta il giovane diciottenne originario del Sudan del Sud è stato identificato e riaccompagnato sul territorio italiano dalla polizia d’Oltralpe. È il numero 39 -dice il foglio che ne sancisce il divieto di ingresso- di una giornata quasi primaverile di fine gennaio. Mosaab è solo uno degli oltre 24mila respingimenti registrati al confine italo-francese nel 2021: secondo i dati ottenuti da Altreconomia provenienti dal ministero dell’Interno il 13% in più rispetto al 2020 e pari al 46% in più del 2019. “Da quando la collaborazione tra le polizie è più intensa è sempre più difficile passare e il ruolo dei passeur è sempre più rilevante”, spiega Enzo Barnabà, scrittore e storico che abita a poche centinaia di metri dal confine italo-francese.

    Alla stazione italiana di Ventimiglia la polizia controlla a intermittenza gli accessi ai treni: nel primo mattino un dispiegamento di sette agenti rende pressoché impossibile a tutti coloro che hanno determinate caratteristiche somatiche salire sul treno in mancanza di documenti: due poliziotti presidiano l’uscita dalle scale che dal tunnel portano sulla piattaforma. Ma all’ora di pranzo, nel cambio turno, sulle piattaforme dei binari si perdono le tracce degli agenti almeno per un paio di ore. Allo stesso modo i francesi non riescono a garantire un controllo costante. “Il venerdì pomeriggio, quando c’è il mercato di Ventimiglia, meta da parte dei cittadini francesi, in treno praticamente non controllano nessuno” spiega Alessandra Garibaldi, operatrice legale di Diaconia Valdese (diaconiavaldese.org). “Così come quando gioca il Nizza: il prefetto concentra i controlli allo stadio e il passaggio è più facile” aggiunge Barnabà. Non sono “falle del sistema” ma la consapevolezza che non è possibile bloccare migliaia di persone in una cittadina al confine tra due Stati membri dell’Unione europea. Un confine sempre più militarizzato con “infinite” possibilità di passarlo: a piedi, in treno o in camion percorrendo le strade statali lungo l’autostrada. Tanto che da Bordighera, la città prima di Ventimiglia viaggiando in direzione Nizza, le piazzole di sosta sono chiuse e nell’ultimo autogrill italiano non è possibile la sosta per i tir con un peso maggiore di 3,5 tonnellate.

    Bashir, diciottenne originario del Ciad, racconta che è la seconda volta che prova ad attraversare e viene respinto. “Ieri abbiamo pagato 50 euro per sapere dove fosse l’imbocco del sentiero -spiega-. Per passare in macchina ne servivano 300 ma io non ho tutti quei soldi”. Bashir è arrivato in Italia da appena 30 giorni ed è la seconda volta che prova ad attraversare a piedi: la polizia francese l’ha intercettato nella tarda serata del giorno prima e poi trattenuto tutta la notte. Da Grimaldi, un Paese di meno di 300 abitanti a otto chilometri da Ventimiglia parte il sentiero che è stato ribattezzato “Passo della morte”. Diversi oggetti segnano la strada: valigie, ombrelli, spazzolini, documenti “stracciati”. Chi transita si alleggerisce passo dopo passo di tutto ciò che è superfluo. Superata l’autostrada, il sentiero prosegue verso l’interno della vallata per poi risalire dritto verso il crinale della montagna. Un “buco” nella rete metallica permette l’ingresso in Francia, da quel punto in poi è più difficile seguire le tracce della strada. Di notte, le persone sono attratte dalle luci di Mentone sotto di loro. Puntano verso il basso rischiando di scivolare nel precipizio. “È un sentiero che hanno utilizzato gli ebrei che scappavano in Francia, gli ustascia che scappavano dall’ex Jugoslavia negli anni 50. Oggi lo percorrono i migranti correndo gli stessi rischi di sempre” spiega Barnabà che su quel sentiero e sui “ricorsi” storici ha pubblicato un libro dal titolo “Il Passo della Morte” pubblicato per Infinito edizioni. Un confine, quello tra Italia e Francia, che resta mortale.

    Il primo febbraio è stato trovato il corpo carbonizzato di un migrante sopra il pantografo di un treno diretto da Ventimiglia a Mentone. Una notizia arrivata poche ore dopo quella dell’identificazione di Ullah Rezwan Sheyzad, un giovane afghano di 15 anni trovato morto lungo i binari della linea ferroviaria di Salbertrand, in alta Valle di Susa, lo scorso 26 gennaio mentre tentava di raggiungere la Francia attraverso la rotta alpina.

    Aboubakar è stato respinto insieme a Bashir nonostante i suoi sedici anni: sul foglio di respingimento la polizia ha indicato la maggiore età. Le persone rintracciate vengono prima accompagnate nella sede della polizia francese, prima del confine del ponte San Luigi e successivamente riconsegnate, un centinaio di metri più in su percorrendo la strada in direzione Ventimiglia, alle autorità italiane di fronte alla sede della polizia di frontiera. “Teoricamente la procedura di rifiuto di ingresso implicherebbe un esame individuale delle persone e la garanzia del rispetto di certi diritti per le persone fermate -spiega Emilie Pesselier, coordinatrice del progetto sulle frontiere interne francesi dell’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (anafè.org)-. Ma alla frontiera franco-italiana questo non succede: non c’è nessuna informazione legale sulla procedura e sui diritti, nessuna possibilità di contattare un avvocato o un parente, e nessuna possibilità di chiedere l’ingresso nel territorio in regime di asilo. Inoltre, le persone arrestate possono essere private della loro libertà in locali adiacenti alla stazione della polizia di frontiera francese senza alcun quadro giuridico o diritto e in condizioni di reclusione poco dignitose: ci sono solo panche di metallo attaccate alle pareti degli edifici modulari. E le persone restano rinchiuse in queste condizioni a volte per tutta la notte. Anche le persone vulnerabili”.

    Nel 2021 secondo i dati ottenuti da Altreconomia su un totale di 24.589 respingimenti la maggioranza dei respinti dalla Francia verso l’Italia proviene dalla Tunisia (3.815), seguiti dal Sudan (1.822) e dall’Afghanistan (1.769). Un aumento, nel totale, rispetto al 2019 (16.808) e al 2020 (21.654). Ormai da quasi sette anni -giugno 2015- la Francia mantiene i controlli ai confini interni per dichiarate “ragioni di sicurezza” nonostante il periodo massimo previsto dal codice Schengen sia di 24 mesi. L’eccezionalità diventa normalità con la “benedizione” delle istituzioni europee. “La Commissione non ha mai fermato queste procedure -spiega l’avvocata Anna Brambilla dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (asgi.it)- si è sempre limitata a ricordare agli Stati il rischio di progressivo svuotamento dello spazio di libera circolazione a causa del prolungato ripristino dei controlli alle frontiere interne e a suggerire misure alternative come i controlli di polizia. Oggi la Commissione torna a proporre di rafforzare la strategia degli accordi bilaterali di riammissione e di cooperazione di polizia”. È il “cambiamento di paradigma” nella cooperazione con i Paesi terzi (e non) previsto dal Patto sulla migrazione e l’asilo presentato nel settembre 2020 al Parlamento europeo: procedure di riammissione più semplici e senza garanzie in termini di rispetto dei diritti. “Da un rischio di svuotamento di significato di alcune disposizioni si passa al consolidamento di prassi illegittime al punto che si modifica il testo normativo per farle diventare legittime”.

    Questi “accordi” hanno così effetti devastanti sulle persone, costrette a tentare più e più volte di attraversare ma anche su Ventimiglia. “È una città che non si è mai adattata a quello che è il transito delle persone affrontando la migrazione sempre come fenomeno emergenziale -continua Garibaldi, dal 2017 operatrice legale al confine-. Si pensa che l’unico modo di gestire la situazione sia aumentare le forze dell’ordine ma i risultati sono evidenti”. Le persone vivono per strada. Adulti, giovani, donne e bambini. La Caritas prova a sistemare le famiglie in transito negli appartamenti ma non sempre ci riesce. “La notte è il momento più complesso -spiega Christian Papini, il direttore della Caritas Intermelia-. Devi fare attenzione perché ti possono rubare la tenda, picchiare. Questa ‘paura’ si ripete ogni giorno. Non avere una rete che ti protegge, nessuna nicchia sicura porta a complicanze, spesso vulnerabilità psichiatrica. Le persone cominciano ad abusare di sostanze psicotrope e alcol e la tensione in città non può che aumentare”. La difficoltà nell’attraversare la frontiera rende tutto più complesso. “Chi non riesce a passare e resta ‘bloccato’ in un imbuto, che è Ventimiglia, inizia a vivere per strada e facilmente inizia a delinquere e magari a fare il passeur. Perché non ha alternative” conclude Garibaldi.

    In questo modo, spesso le tensioni si realizzano tra i passeur che hanno promesso “false” soluzioni alle persone che vengono respinte. La Caritas nel mese di agosto 2021 ha registrato 180 interventi di ambulatorio medico legati a ferite da taglio o contusione. Piccoli “regolamenti di conti” in un contesto paradossale in cui i controlli portano ad aumentare le attività illecite. Se si considera che nel 2021 i respinti dalla Francia all’Italia sono stati 25mila e la “tassa” per conoscere anche solo il sentiero da percorrere è di 50 euro mentre il passaggio in macchina, come detto, arriva a costare fino a 300 euro a persona si capisce l’entità di un’economia sommersa ma visibile a tutti in una città militarizzata. “Le istituzioni non ci sono. Ora si parla di aprire un centro, lontano dalla città e su un’area che è a rischio dissesto idrogeologico. È tutto detto e la situazione è sempre più difficile nonostante i numeri dei transiti siano in calo” racconta Papini che lavora a Ventimiglia dal 2001. Si è passato da circa 800 persone al giorno nel 2016, alle 200 di oggi. “Ma chi arrivava all’inizio, sette anni fa, aveva speranza di passare. Oggi non è più così. Le persone sanno che dovranno tentare tante volte e sono esauste. Giusto ieri è arrivata una famiglia con due figli in carrozzina. Tutto questo è disumano”.

    https://altreconomia.it/al-confine-di-ventimiglia-dove-i-controlli-rendono-i-passeur-lultima-sp

    #renvois #push-backs #refoulements #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #frontières #statistiques #chiffres #2021 #Italie #France #Vintimille #2019 #2020

  • L’#espérance_de_vie à 48 ans des personnes à la rue, « la conséquence de l’errance »

    Le Collectif des morts de la rue a dénombré, en 2020, la mort de 670 personnes « sans chez-soi » ou anciennement SDF. Pour empêcher ces drames, il demande aux autorités de permettre aux sans-abri d’accéder à des offres de logements pérennes.

    https://www.liberation.fr/societe/lesperance-de-vie-a-48-ans-des-personnes-a-la-rue-la-consequence-de-lerra
    #sans-abris #errance #sans-abrisme #SDF #logement #France
    #statistiques #chiffres #2020

  • RAPPORT NATIONAL 2020 SUR LES CENTRES ET LOCAUX DE RÉTENTION : LA RÉTENTION EN PÉRIODE DE COVID-19

    Dans le rapport 2020, les associations Forum réfugiés-Cosi, France Terre d’Asile, Groupe SOS Solidarités – Assfam, La Cimade, et Solidarité Mayotte mettent en avant les problématiques habituelles rencontrées en rétention et exacerbées par la crise sanitaire. Publié le 6 juillet 2021, le rapport, qui embrasse la situation dans les CRA et LRA de métropole et d’outre-mer, offre deux angles d’approche : national et local.

    Malgré la crise sanitaire et les confinements, les centres de rétention administrative n’ont pas cessé de fonctionner en 2020, témoignant de la volonté de l’État de poursuivre la politique d’éloignement en privilégiant le recours à la rétention, y compris en contexte épidémique et en l’absence d’éloignement possible.

    Dès le 19 mars 2020, dans une lettre ouverte adressée au ministre de l’Intérieur, nos associations, constatant l’absence puis l’insuffisance des protocoles sanitaires, ont demandé la fermeture temporaire des centres et locaux de rétention administrative, la suspension des décisions de placement en rétention et la libération des personnes retenues. Par la suite, les juridictions ont été saisies en ce sens.

    Ces demandes n’ont pas été entendues, si bien que des personnes retenues se sont retrouvées exposées au virus, les foyers de contamination se multipliant dans ces lieux de privation de liberté. De plus, des personnes atteintes de pathologies graves, physiques et psychiques, ont continué d’être enfermées, malgré le risque de développer une forme grave de la Covid-19.

    Des placements sans perspective d’éloignement

    En 2019, avec l’allongement de la durée maximale de rétention à 90 jours, les associations faisaient le constat d’un allongement de la durée moyenne d’enfermement, pourtant peu efficace et disproportionné au regard du but poursuivi. En 2020, cette durée moyenne s’est encore allongée, alors même que la fermeture des frontières limitait fortement, voire rendait impossible pour certaines destinations, l’éloignement des personnes enfermées.

    Sanctionnant ces privations de liberté illégales, uniquement lors du premier confinement, les juges ont massivement libéré les personnes placées en CRA. Ces décisions n’ont néanmoins pas infléchi la politique du gouvernement, qui a enfermé plus de 27 000 personnes en rétention malgré le contexte sanitaire.

    Un quart des placements en rétention en 2020 concernaient des personnes sortant de prison à l’issue de leur peine, ce qui revêt un caractère abusif dès lors que l’éloignement à bref délai n’est pas possible. En plus de l’absence de perspectives d’éloignement et d’une incertitude encore plus prononcée que les années précédentes quant à l’issue de la rétention, le contexte sanitaire a engendré des atteintes et des restrictions de droits de la part de l’administration, telles que la limitation ou l’interdiction des visites aux personnes enfermées, ou le recours systématique au mode dégradé d’accès à la justice que constituent les visioaudiences.

    Les conséquences parfois graves sur la santé physique et mentale des personnes enfermées se sont trouvées amplifiées en 2020 avec des angoisses et un sentiment d’incompréhension provoqués par ce contexte sanitaire et juridique particulier. Par suite, on a constaté davantage de mouvements de contestation tels que les grèves de la faim, ou de gestes désespérés comme les tentatives de suicide ou les actes d’automutilation.

    https://vimeo.com/571526227

    https://www.lacimade.org/rapport-national-2020-sur-les-centres-et-locaux-de-retention-la-retention-

    Pour télécharger le rapport :
    https://www.lacimade.org/wp-content/uploads/2021/07/RA_CRA_2020_web.pdf
    #France #rétention #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #CRA #2020
    #rapport #La_Cimade

  • La #CNPT publie son rapport sur l’accompagnement des #rapatriements_sous_contrainte par la #voie_aérienne

    Dans son rapport publié aujourd’hui, la #Commission_nationale_de_prévention_de_la_torture (CNPT) présente les recommandations relatives aux 37 transferts par la #police et aux 23 rapatriements sous contrainte par la voie aérienne qu’elle a accompagnés entre avril 2020 et mars 2021, une période qui a été marquée par le COVID-19. La Commission estime inadéquates certaines #pratiques_policières qui persistent. Finalement, la Commission dresse le bilan du contrôle des 25 renvois sur des vols de ligne, respectivement des renvois du niveau d’exécution 2 et 3, qu’elle a accompagnés entre novembre 2019 et mars 2021.

    Pratiques policières jugées inadéquates

    De manière générale, les observatrices et observateurs de la CNPT continuent d’être témoins de l’hétérogénéité des pratiques cantonales en vigueur s’agissant de la prise en charge et du transfert à l’#aéroport des personnes à rapatrier, notamment en matière de recours aux #entraves. La Commission estime que des mesures urgentes doivent être prises afin d’harmoniser les pratiques policières dans le cadre des renvois.

    Même si des améliorations ont été constatées, la Commission regrette que le recours aux #entraves_partielles reste fréquent tant au niveau des transferts que de l’organisation au sol. Dans son rapport, la Commission appelle instamment aux autorités de renoncer par principe à toute forme de #contrainte, et de limiter une application aux seuls cas qui présentent un danger imminent pour leur propre sécurité ou celle d’autrui. Par ailleurs, elle rappelle que les #enfants ne devraient en aucun cas faire l’objet de #mesures_de_contrainte. Elle conclut également qu’un diagnostic psychiatrique ne peut en aucun cas à lui seul signifier le recours à des entraves.

    En outre, la Commission juge inadéquates plusieurs pratiques policières qui persistent dans le cadre des renvois, même si elle les observe de manière isolée : notamment l’entrée par surprise dans une cellule, l’utilisation de #menottes_métalliques aux chevilles, le recours au #casque_d'entraînement, l’utilisation d’une #chaise_roulante pour transporter une personne entravée et la #surveillance par plusieurs #agents_d'escorte d’une personne à rapatrier entravée et placée sur une chaise. La Commission rappelle également avec force dans son rapport que les personnes à rapatrier doivent être informées de manière transparente et dans une langue qu’elles comprennent sur le déroulement du renvoi.

    Contrôle des renvois du niveau d’exécution 2 et 3

    Dans son rapport, la Commission relève avec préoccupation que les renvois du niveau d’exécution 3 sont exécutés mais sans être clairement distingués des renvois du niveau d’exécution 2. Il existe néanmoins une différence significative entre les deux niveaux de renvoi en termes de mesures de contrainte autorisées. La Commission s’interroge sur la pertinence de ces niveaux d’exécution 2 et 3 et estime qu’une réflexion approfondie doit être menée en la matière. Par ailleurs, le recours aux mesures de contrainte doit être limité aux seuls cas qui présentent un danger imminent pour leur propre sécurité ou celle d’autrui, et ceci pour la durée la plus courte possible. Enfin, compte tenu des mesures de contrainte autorisées dans le cadre des renvois du niveau d’exécution 3, un contrôle indépendant, en particulier des transferts et de l’organisation au sol, devrait être garanti.

    https://www.nkvf.admin.ch/nkvf/fr/home/publikationen/mm.msg-id-84376.html
    #rapport #Suisse #renvois_forcés #expulsions #renvois #2020 #asile #migrations #réfugiés #avions

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    Pour télécharger le rapport :
    https://www.nkvf.admin.ch/dam/nkvf/de/data/Medienmitteilungen/2021-07-08/bericht-ejpd-kkjpd-f.pdf

    • CNPT | Pratiques policières inadéquates

      La Commission nationale de prévention de la torture (CNPT) appelle la Suisse à “renoncer par principe à toute forme de contrainte” sauf en cas de “danger imminent” pour soi-même ou pour autrui”. Mandatée pour l’observation des vols spéciaux, la CNPT a présenté ses recommandations relatives aux 37 transferts par la police et aux 23 rapatriements sous contrainte par voie aérienne qu’elle a accompagnés entre avril 2020 et mars 2021, soit en plein COVID. La Commission estime inadéquates certaines pratiques policières qui persistent et appelle à des mesures urgentes pour harmoniser les usages entre les cantons.

      https://seenthis.net/messages/921600

  • MIGRANTI : “AUMENTANO DI NUOVO I FONDI ITALIANI ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA”

    Crescono di mezzo milione di euro i finanziamenti destinati al blocco dei flussi migratori: passati da 10 milioni nel 2020 a 10,5 nel 2021. In totale 32,6 milioni destinati alla Guardia Costiera libica dal 2017.
    Impennata delle risorse destinate alle missioni navali che non prevedono il salvataggio dei migranti in mare. Dall’inizio dell’anno, oltre 720 vittime lungo la rotta del Mediterraneo centrale, almeno 7.135 dalla firma dell’accordo tra Italia e Libia. Oltre 13 mila i migranti riportati in Libia.

    Continuano ad aumentare gli stanziamenti italiani alla Guardia Costiera libica. Il Governo ha infatti deciso di destinare 500 mila euro in più nel 2021 per sostenerne le attività, per un totale di 32,6 milioni di euro spesi dal 2017, anno dell’accordo Italia-Libia. Sale anche a 960 milioni il costo sostenuto dai contribuenti italiani per le missioni navali nel Mediterraneo, (nessuna delle quali ha compiti di ricerca e soccorso in mare) e nel paese nord africano, con un aumento di 17 milioni rispetto al 2020 per la missione Mare Sicuro e 15 milioni per Irini.

    Tutto ciò, nonostante si continui a morire lungo la rotta del Mediterraneo centrale – con oltre 720 vittime dall’inizio dell’anno – e siano oramai ben note le modalità di intervento della cosiddetta Guardia Costiera libica, come testimoniato dal video diffuso in questi giorni da Sea-Watch.

    È l’allarme lanciato da Oxfam, alla vigilia del dibattito parlamentare sul rinnovo delle missioni militari italiane. In un anno che vede il record di persone intercettate e riportate in Libia: più di 13.000. Dato che non ha suggerito evidentemente al Governo, né una profonda riflessione sul destino dei migranti, tra cui donne e bambini, che una volta rientrati nel paese nord-africano sono destinati ad essere vittime di abusi e torture sistematiche dalle quali stavano scappando, finendo nei centri di detenzione ufficiali e in altri luoghi di prigionia clandestini. Né tantomeno si è attuata una revisione dello stesso accordo con le autorità libiche, nonostante numerose inchieste e testimonianze abbiano confermato il coinvolgimento della Guardia Costiera libica nel traffico di esseri umani.

    “Mentre lungo la rotta del Mediterraneo centrale si continua a morire, come dimostrano i continui naufragi di queste settimane, con l’ennesima tragedia avvenuta a Lampedusa pochi giorni fa, – sottolinea Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – il Governo Draghi sta agendo in perfetta continuità con gli esecutivi precedenti sulle politiche migratorie, come dimostrano anche le recenti richieste al Consiglio europeo per un maggior coinvolgimento dell’Unione nel rafforzamento degli accordi con le autorità libiche. In sostanza si va avanti nella stessa direzione, in un paese dove “l’industria del contrabbando e tratta” è stata in parte convertita in “industria della detenzione” con abusi e violenze oramai note a tutti, anche grazie a questo considerevole flusso di denaro”.

    L’appello all’Italia

    “A pochi giorni dalla discussione parlamentare sul rinnovo delle missioni militari italiane all’estero, – conclude Pezzati – chiediamo perciò ai partiti di maggioranza di interrompere immediatamente gli stanziamenti per il 2021 diretti alla Guardia Costiera libica, che solo quest’anno ha intercettato e riportato in un paese non sicuro il triplo dei migranti, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Assieme è necessaria una revisione delle missioni che contengono iniziative legate alla sua formazione e al suo supporto. Quello che serve è un cambio deciso di approccio, una gestione diretta dei flussi e non la mera chiusura delle frontiere delegata a paesi come la Libia o la Turchia”.

    https://www.oxfamitalia.org/aumentano-i-fondi-italiani-alla-guardia-costiera-libica

    #gardes-côtes_libyens #Libye #Italie #financement #complexe_militaro-industriel #business #externalisation #asile #migrations #réfugiés #frontières #budget #2021 #2020

  • Le travail des enfants en recrudescence pour la première fois en vingt ans
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2021/06/10/le-travail-des-enfants-en-recrudescence-pour-la-premiere-fois-en-vingt-ans_6

    Un rapport conjoint de l’Organisation internationale du travail (OIT) et de l’Unicef, l’agence onusienne en charge du bien-être des enfants, estime qu’au début 2020, 160 millions d’enfants étaient forcés de travailler, soit 8,4 millions de plus en quatre ans.

  • Il fallimento della sanatoria #2020 confermato da dati inediti sul settore domestico

    Il 64% degli stranieri che ha fatto domanda di regolarizzazione nel settore domestico in forza del provvedimento varato lo scorso anno sono uomini. Una quota altissima se si considera che, nel 2019, l’89% degli impiegati domestici in Italia erano donne. È il mercato dei contratti falsi. “Una sanatoria nata male e gestita peggio”, spiega l’avvocato Marco Paggi (Asgi)

    Quasi due stranieri su tre che hanno richiesto di essere regolarizzati nel settore domestico tramite la #sanatoria promossa nel 2020 sono uomini. Una quota altissima se si considera che, nel 2019, l’89% degli impiegati domestici in Italia erano donne (stime Istat). I dati inediti del ministero dell’Interno ottenuti da Altreconomia confermano i limiti di un provvedimento nato zoppo, in aggiunta alla lentezza con cui sta avanzando l’esame delle 207mila richieste di regolarizzazione.
    “Questo dimostra il grande limite di una sanatoria settoriale che ha costretto migliaia di persone a cercare un impiego differente dal proprio, per potersi regolarizzare aumentando, tra l’altro, anche il ‘mercato’ di contratti falsi”, spiega Marco Paggi, avvocato e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

    Grazie ai documenti ottenuti tramite accesso civico è possibile conoscere con precisione il numero delle richieste disaggregate per genere del richiedente. “Un dato mai pubblicato fino ad ora -osserva Paggi- per evitare una buona dose di imbarazzo al ministero”. Infatti, dagli elementi ottenuti, si evidenzia che su circa 177mila domande nel settore domestico, oltre 113mila, il 64%, sono state presentate da uomini. Come detto, l’incidenza maschile, secondo l’Istat supera di poco l’11% su un totale stimato, tra regolari e non, di due milioni di lavoratori. Percentuali stravolte che, in parte, non stupiscono.

    Puntualmente, ad ogni sanatoria, la storia si ripete. L’incidenza degli uomini impiegati nel settore domestico, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2019, è diminuita del 50%. “Ciò è riconducibile -come si legge nel Rapporto annuale sul settore domestico 2020 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa (https://www.osservatoriolavorodomestico.it/documenti/Rapporto-2020-lavoro-domestico-osservatorio-domina.pdf) - a un ampio ricorso alla regolarizzazione del 2012 da parte di lavoratori domestici che poi, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, hanno cambiato settore”. Motivo per cui, nell’aprile 2020, Asgi aveva richiesto al governo di promuovere una regolarizzazione non limitata a determinati settori produttivi ma che prevedesse la possibilità di regolarizzarsi attraverso un “permesso di soggiorno per ricerca occupazione -si legge nella proposta che aveva raccolto centinaia di adesioni- svincolando da possibili ricatti o dal mercato dei contratti che hanno contraddistinto tutte le pregresse regolarizzazioni”.

    “È evidente che il difetto sta nel manico -sottolinea Paggi, esperto di diritto del lavoro e dell’immigrazione- non si può scaricare la colpa sugli stranieri: la scelta sciagurata è stata fatta a monte, in un paradosso per cui con l’obiettivo di diminuire il lavoro nero lo aumenti. Chi è in attesa di essere regolarizzato come domestico, infatti, nel frattempo continua a portare avanti il suo ‘vero’ lavoro senza contratto”.

    Una problematica amplificata dalla lungaggine nella procedura di esame delle richieste. Secondo i dati ottenuti dal ilfattoquotidiano.it, alla data del 10 maggio 2021, gli sportelli unici delle prefetture hanno esaminato il 12,7% delle pratiche, delle quali circa l’11% sono state definite positivamente. Un’evidente lentezza già segnalata, a inizio marzo 2021, dai promotori della campagna Ero straniero che, pubblicando un report dettagliato sullo stato di avanzamento dell’esame delle domande, avevano descritto “un quadro preoccupante in tutti i territori con ritardi gravissimi e stime dei tempi di finalizzazione delle domande improbabili, di anni se non decenni”.

    Con riferimento alle diverse attività per cui si è chiesta la regolarizzazione, sempre nel settore domestico, più di 122mila domande sono state presentate per attività di “collaboratore familiare” (colf). Proprio sotto questa voce, il 69% del totale, registra la differenza più marcata tra richieste di uomini e donne, rispettivamente 89mila e 32mila. Peccato che, sempre l’Istat, segnali una minor incidenza dei colf uomini (7,8%) rispetto ai badanti (14,5%) sul totale degli impiegati. L’esatto opposto di quanto evidenziano i numeri della sanatoria.

    Infine, meno di un terzo sono le richieste per l’attività di “assistenza a persona non autosufficiente”, ovvero badanti in senso stretto. “Molte persone che in realtà ricoprono questo ruolo -continua Paggi- sono state assunte come collaboratori domestici perché un richiedono un diverso inquadramento in termini contrattuali, quindi una minor retribuzione annua. Non solo, dal mio osservatorio anche diversi lavoratori impiegati in agricoltura sono stati trasformati in collaboratori domestici”. Il motivo è squisitamente economico: nel caso di regolarizzazione di un rapporto di lavoro già esistente, il datore di lavoro avrebbe dovuto versare per ogni mese di impiego in nero un contributo di 300 euro al mese per gli agricoli, solamente 156 per i domestici. Un’ulteriore dimostrazione del fallimento della regolarizzazione nel settore agricolo: questo, nonostante l’ex ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, tra le principali promotrici della sanatoria, avesse promosso il provvedimento con un occhio di riguardo verso i braccianti “invisibili”. Peccato che le domande riguardanti l’agricoltura siano state solamente il 15% delle 207mila totali.

    Delle 180mila persone in attesa, coloro che hanno dovuto cambiare impiego per ottenere un permesso di soggiorno restano, così, nell’impossibilità di svolgere regolarmente il proprio lavoro. “Per quanto verranno bloccati i lavoratori? -si domanda Paggi-. Per quanto tempo resteranno nel ‘nero’? Quanto guadagneranno le nostre casse esattoriali per questo periodo di stallo? Una sanatoria nata male e gestita peggio”.

    https://altreconomia.it/il-fallimento-della-sanatoria-2020-confermato-da-dati-inediti-sul-setto
    #Italie #régularisation #sans-papiers #migrations #chiffres #statistiques #secteur_domestique #femmes #permis_de_séjour

    • La sanatoria-miraggio: solo il 5% dei lavoratori è stato regolarizzato. A Roma neanche uno

      Ad un anno dall’apertura della finestra di emersione su 220mila domande esaminate solo 11mila. Niente assistenza sanitaria né vaccino. La campagna «Ero straniero» denuncia il fenomeno delle badanti «segregate» in casa per paura del contagio

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/06/01/news/la_sanatoria-miraggio_un_anno_dopo_a_roma_su_16_000_domande_neanche_un_permesso_di_soggiorno-303661422/?ref=RHTP-BH-I0-P1-S1-T1&__vfz=medium%3Dsharebar

    • Regolarizzazioni: a Roma 2 pratiche esaminate su 16mila domande

      In Italia delle 220.000 persone che hanno fatto richiesta, solo 11.000 (il 5%) hanno in mano un permesso di soggiorno per lavoro. Molto critica, in particolare, la situazione nelle grandi città. A un anno dall’apertura della finestra, il dossier di Ero Straniero

      «Tre mesi fa - dichiarano i promotori della campagna Ero straniero - abbiamo denunciato il grave ritardo accumulato nell’esame delle domande di emersione e regolarizzazione avviata nel 2020 con il decreto “rilancio”. Torniamo oggi, 1 giugno 2021, a un anno dall’apertura della finestra per presentare le domande, con un nuovo dossier di aggiornamento della situazione nei diversi territori, sulla base dei dati raccolti dal ministero dell’interno e da prefetture e questure attraverso una serie di accessi civici. Il quadro, seppur in lieve miglioramento, appare ancora grave in tutta Italia: delle 220.000 persone che hanno fatto richiesta, solo 11.000 (il 5%) hanno in mano un permesso di soggiorno per lavoro, mentre circa 20.000 sono in via di rilascio. Molto critica, in particolare, la situazione nelle grandi città: a Roma, al 20 maggio, su un totale di circa 16.000 domande ricevute, solo 2 pratiche sono arrivate alla fase conclusiva e non è stato ancora rilasciato alcun permesso di soggiorno. A Milano, su oltre 26.000 istanze ricevute in totale, poco più di 400 sono i permessi di soggiorno rilasciati».

      Nel dossier, oltre all’analisi dei dati relativi allo stato delle pratiche - riportati in formato aperto sul sito della campagna - sono state raccolte alcune testimonianze di chi sta aspettando di sapere se avrà o meno i documenti e potrà uscire dall’invisibilità. Ma anche di tanti datori di lavoro sconcertati per i tempi lunghissimi, come ha dichiarato un datore di lavoro a Bologna: “Io sono furioso. Sono nove mesi che non sappiamo niente. Ma si possono lasciare le famiglie appese così?”.

      Sono pesanti le conseguenze di tale ritardo sulla vita di queste persone e riguardano nuovi insormontabili ostacoli burocratici, a partire dalla difficoltà di accesso al sistema sanitario nazionale e alle vaccinazioni, con un impatto inevitabile anche a livello di salute pubblica nel contesto di emergenza che stiamo vivendo. Questa la testimonianza di un’assistente familiare in emersione a Milano: “Ti rimandano indietro. Dicono che con permesso provvisorio l’iscrizione al Servizio Sanitario non si può fare. Ma non è vero! Io ho diritto al medico di base! Quando sarò vaccinata? Ho 55 anni, le persone della mia età a Milano possono già prenotare su internet. E se io mi ammalo, chi sta con la mia signora, che ha 89 anni? Mi mandano via!”.

      Infine, il dossier prova a spiegare come mai, nonostante fosse stato previsto già nel decreto che ha dato il via alla “sanatoria”, il personale aggiuntivo destinato alle prefetture proprio per l’esame delle pratiche di regolarizzazione sia entrato effettivamente in servizio - e neanche dappertutto - solo i primi di maggio scorso, contribuendo significativamente al prolungarsi dei tempi per le decine di migliaia di pratiche negli uffici competenti in tutt’Italia.

      «Alla luce di quanto emerso dal monitoraggio di questi mesi - concludono i promotori - la campagna Ero straniero ribadisce la richiesta al ministero dell’interno di intervenire immediatamente per superare gli ostacoli burocratici e velocizzare l’iter delle domande, in modo che le quasi 200.000 persone ancora in attesa di risposta possano al più presto perfezionare l’assunzione. Nello stesso tempo, sappiamo chè non sarà sufficiente questa misura a risolvere il problema della creazione costante di nuova irregolarità, come dimostra quanto accaduto con le sanatorie negli ultimi vent’anni. Anche perché una gran parte di persone senza documenti ne è stata esclusa, vista la limitazione a pochi settori lavorativi. Continuiamo per questo a chiedere a governo e Parlamento un intervento a lungo termine che permetta di ampliare le maglie della regolarizzazione e favorire legalità e integrazione, a partire da uno strumento di emersione sempre accessibile, senza bisogno di sanatorie, che dia la possibilità a chi è già in Italia e rimane senza documenti, di regolarizzare la propria posizione se ha la disponibilità di un lavoro o è radicato nel territorio. E, più a monte, nuovi meccanismi di ingresso per lavoro o ricerca lavoro. Soluzioni, queste, previste nella proposta di legge di iniziativa popolare della campagna Ero straniero, ferma in Commissione affari costituzionali della Camera, la cui approvazione non può più aspettare».

      http://www.vita.it/it/article/2021/06/01/regolarizzazioni-a-roma-2-pratiche-esaminate-su-16mila-domande/159542

    • Pesanti i ritardi sulle regolarizzazioni: pratiche ferme al 25%

      “Dati sconfortanti” secondo la campagna Ero straniero quelli forniti dalla ministra Lamorgese che ha riposto oggi pomeriggio a un’interrogazione in Senato. Su oltre 200mila domande di emersione presentate nel 2020 quelle lavorate dalle prefetture sono poco più di 51mila. Critiche le situazione nelle grandi città come Roma e Milano

      I dati che la ministra dell’interno Lamorgese ha fornito oggi in Senato rispondendo alle 15, nel corso del question time, a un’interrogazione delle senatrici Bonino e De Petris, nata a partire dal monitoraggio che la campagna Ero straniero sta svolgendo ormai da un anno in merito all’avanzamento delle pratiche relative alla regolarizzazione straordinaria del 2020, sono definite in una nota «ancora sconfortanti».

      Da quanto riferito dalla ministra dell’Interno, su 207.870 domande di emersione presentate, 45.173 sono in via di conclusione con esito favorevole e la gran parte, circa 40.000, riguardano il settore domestico e di cura. Considerando anche rigetti e rinunce, sono 51.394 le pratiche lavorate dalle Prefetture (il 24,7%) sul totale di quelle presentate a quasi un anno dalla chiusura della finestra utile per mettersi in regola (15 agosto 2020). A queste si aggiungono 9.918 permessi di soggiorno per attesa occupazione rilasciati dalle questure che riguardano la seconda procedura prevista dalla sanatoria lo scorso anno nel decreto «rilancio».

      Giusto per avere un’idea dei tempi lunghissimi - sottolinea una nota della campagna -, si ricorda che dai risultati della ricognizione svolta sulla base dai dati forniti dal ministero dell’interno, a maggio scorso, delle oltre 200mila domande presentate in tutt’Italia, erano stati rilasciati per il primo canale di accesso all’emersione, meno di 30mila permessi di soggiorno per lavoro, con situazioni molto critiche nelle grandi città: a Roma, al 20 maggio, su un totale di circa 16mila domande ricevute, solo 2 pratiche erano arrivate alla fase conclusiva e non era stato ancora rilasciato alcun permesso di soggiorno. A Milano, su oltre 26mila istanze ricevute, poco più di 400 erano i permessi di soggiorno rilasciati.

      La nota prosegue: “Nonostante i piccoli passi in avanti, come campagna Ero straniero non possiamo che esprimere nuovamente la nostra preoccupazione per il grave ritardo in cui versa l’esame delle domande. Tale ritardo, nella realtà, significa precarietà e incertezza per decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici presenti nel nostro Paese, da un punto di vista sociale e sanitario. Ancora una volta, dunque, ribadiamo la richiesta al governo di intervenire immediatamente per velocizzare l’esame delle domande e portarle a conclusione; al Parlamento continuiamo a chiedere, invece, un intervento a lungo termine che favorisca legalità e integrazione, senza bisogno di sanatorie, come previsto nella proposta di legge di iniziativa popolare della campagna Ero straniero, ferma in Commissione affari costituzionali della Camera da oltre un anno”.

      Ero straniero è promossa da: Radicali Italiani, A Buon Diritto, Oxfam Italia, ActionAid Italia, ASGI,CNCA, Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, ARCI, Centro Astalli, Fcei - Federazione Chiese Evangeliche in Italia, CILD, ACLI, Legambiente Onlus, ASCS - Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo, AOI, con il sostegno di numerosi sindaci e decine di organizzazioni.

      http://www.vita.it/it/article/2021/07/22/pesanti-i-ritardi-sulle-regolarizzazioni-pratiche-ferme-al-25/160103

  • Home Office’s rush to deport asylum seekers before Brexit was ‘inhumane’, watchdog finds

    ‘Unprecedented levels of self-harm and suicidal thoughts’ were recorded at the #Brook_House_Immigration_Removal_Centre in late 2020

    https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/brexit-asylum-seekers-home-office-b1850796.html
    #suicides #santé_mentale #UK #Angleterre #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #rétention #statistiques #chiffres #2020

    #paywall

  • Annual Torture Report 2020

    Torture and pushbacks – an in depth analysis of practices in Greece and Croatia, and states participating in violent chain-pushbacks

    This special report analyses data from 286 first hand testimonies of violent pushbacks carried out by authorities in the Balkans, looking at the way practices of torture have become an established part of contemporary border policing. The report examines six typologies of violence and torture that have been identified during pushbacks from Croatia and Greece, and also during chain-pushbacks initiated by North Macedonia, Slovenia and Italy. Across the report, 30 victim testimonies of torture and inhuman treatment are presented which is further supplemented by a comprehensive legal analysis and overview of the States response to these allegations.

    The violations profiled include:

    - Excessive and disproportionate force
    - Electric discharge weapons
    - Forced undressing
    - Threats or violence with a firearm
    - Inhuman treatment inside a police vehicle
    - Inhuman treatment inside a detention facility

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    Key Findings from Croatia:

    – In 2020, BVMN collected 124 pushback testimonies from Croatia, exposing the treatment of 1827 people
    - 87% of pushbacks carried out by Croatia authorities contained one or more forms of violence and abuse that we assert amounts to torture or inhuman treatment
    - Violent attacks by police officers against people-on-the-move lasting up to six hours
    - Unmuzzled police dogs being encouraged by officers to attack people who have been detained.
    - Food being rubbed into the open wounds of pushback victims
    - Forcing people naked, setting fire to their clothes and then pushing them back across borders in a complete state of undress

    Key Findings from Greece:

    – 89% of pushbacks carried out by Greek authorities contained one or more forms of violence and abuse that we assert amounts to torture or inhuman treatment
    - 52% of pushback groups subjected to torture or inhuman treatment by Greek authorities contained children and minors
    - Groups of up to 80 men, women and children all being forcibly stripped naked and detained within one room
    - People being detained and transported in freezer trucks
    - Brutal attacks by groups of Greek officers including incidents where they pin down and cut open the hands of people on the move or tied them to the bars of their detention cells and beat them.
    - Multiple cases where Greek officers beat and then threw people into the Evros with many incidents leading to people going missing, presumingly having drowned and died.

    https://www.borderviolence.eu/annual-torture-report-2020
    #rapport #2020 #Border_Violence_Monitoring-Network #BVMN
    #asile #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #frontières #push-backs #refoulements #traitements_inhumains_et_dégradants #détention #centres_de_détention #armes #déshabillage_forcé #armes_à_feu #Croatie #Grèce #Evros #refoulements_en_chaîne #taser

    ping @isskein

  • Rapport 2020 sur les incidents racistes : la #discrimination_raciale en temps de #pandémie

    En 2020, le Réseau de centres de conseil pour les victimes du racisme a documenté et évalué 572 cas de discrimination raciale. Les victimes ont fait état de discrimination raciale majoritairement sur le lieu de #travail et dans le #voisinage. En période de pandémie, la vie sociale s’est principalement déroulée dans ces lieux.

    Le rapport annuel sur les incidents racistes de humanrights.ch et de la Commission fédérale contre le racisme évalue tous les cas de discrimination raciale documentés par les centres de consultation du Réseau de centres de conseil pour les victimes du racisme durant l’année 2020. Voici un aperçu des conclusions du rapport de notre experte Gina Vega, responsable de l’antenne discrimination et racisme de humanrights.ch et coordinatrice du Réseau de centres de conseil pour les victimes du racisme :

    https://www.youtube.com/watch?v=mhJkpF6Hbhs&feature=emb_logo

    La thématique du racisme structurel, institutionnel et quotidien n’a jamais été abordée autant qu’en cette année 2020, en Suisse et dans le monde. Malheureusement, les débats n’ont que trop souvent tourné autour de la question de l’existence du racisme en Suisse et du caractère sérieux de la problématique.

    Les résultats du rapport démontrent clairement que de nombreuses personnes font l’expérience du racisme ou de la discrimination raciale au quotidien dans leur vie de quartier, au travail, sur Internet et dans les espaces publics en Suisse. Le racisme persiste même en temps de pandémie ! Les restrictions de la vie publique liées à la pandémie ont déplacé les incidents racistes dans la sphère privée, en particulier dans le cadre de la vie de quartier. L’expérience du racisme dans l’environnement de vie, l’endroit où l’on devrait se sentir le plus à l’aise et en sécurité, est particulièrement difficile à vivre pour les personnes concernées. Les gérances immobilières, les propriétaires et le voisinage doivent être sensibilisé·e·s et tenu·e·s responsables des agressions et de l’absence de possibilités d’action pour protéger les locataires.

    Le lieu de travail reste le domaine le plus touché par le racisme. Les stéréotypes et les préjugés sont largement responsables des inégalités de traitement. Les entreprises et les institutions publiques doivent enfin prendre leurs responsabilités en adoptant une position ferme, intransigeante et cohérente contre toutes les formes de racisme et de discrimination et en menant une politique interne de tolérance zéro à l’égard de la discrimination raciale au sein du personnel. À cette fin, la formation continue des employé·e·s et des cadres est essentielle et doit être encouragée.

    Bien que davantage de personnes en quête de conseils se sont adressées aux centres de consultation du Réseau, le rapport ne reflète qu’une partie de la réalité du racisme en Suisse. Le nombre de cas non signalés reste élevé. Cependant, grâce à la documentation, les expériences de racisme décrites deviennent visibles et tangibles. Il apparaît clairement que ces expériences ne constituent pas des cas particuliers individuels et que le racisme représente un problème structurel qui touche la société dans son ensemble.

    Le racisme nous concerne tou·te·s. Nous devons faire des efforts encore plus importants pour intervenir contre le racisme et le condamner. Ce n’est qu’avec des efforts conjoints que nous pourrons créer une société inclusive et antiraciste.

    https://www.humanrights.ch/fr/antennes/discrimination/rapport-racisme-2020

    pour télécharger le rapport :


    network-racism.ch/cms/upload/pdf/2020_humanrights_Rassismusbericht_franz.pdf

    #racisme #rapport #Suisse #2020

    ping @cede

  • Pandemic Prompts Rise in Poverty to Levels Unprecedented in Recent Decades and Sharply Affects Inequality and Employment

    In a new annual report, #ECLAC estimates that the total number of poor people rose to 209 million by the end of 2020, which is 22 million more people than in the previous year. In addition, it calls for creating a new welfare state.

    Poverty and extreme poverty in Latin America reached levels in #2020 that had not been seen in the last 12 and 20 years, respectively, while the indices of inequality in the region worsened along with employment and labor participation rates, among women above all, due to the COVID-19 pandemic and despite the emergency social protection measures that countries have adopted to halt this phenomenon, the #Economic_Commission_for_Latin_America_and_the_Caribbean (ECLAC) reported today.

    The Executive Secretary of the United Nations regional commission, Alicia Bárcena, presented a new edition of the flagship annual report Social Panorama of Latin America 2020, which indicates that the pandemic burst forth in a complex economic, social and political scenario of low growth, rising poverty and growing social tensions. In addition, it exposes the structural inequalities that characterize Latin American societies and the high levels of informality and lack of social protection, as well as the unfair sexual division of labor and social organization of care, which undermines women’s full exercise of rights and autonomy.

    According to ECLAC’s new projections – as a result of the steep economic recession in the region, which will notch a -7.7% drop in GDP – it is estimated that in 2020 the extreme poverty rate was 12.5% while the poverty rate affected 33.7% of the population. This means that the total number of poor people rose to 209 million by the end of 2020, affecting 22 million more people than in the previous year. Of that total, 78 million people found themselves living in extreme poverty, or 8 million more than in 2019.

    The document indicates that gaps remain between population groups: poverty is greater in rural areas, among children and adolescents; indigenous and Afro-descendent persons; and in the population with lower educational levels. It adds that the increase in poverty and extreme poverty levels would be even greater in the absence of the measures implemented by governments to transfer emergency income to households. Governments in the region implemented 263 emergency social protection measures in 2020, reaching 49.4% of the population, which is approximately 84 million households or 326 million people. Without these measures, the incidence of extreme poverty would have surged to 15.8% and that of poverty, to 37.2% of the population.

    “The pandemic has exposed and exacerbated the region’s major structural gaps and currently, we are living in a time of heightened uncertainty in which neither the way out of the crisis nor the speed of that process is yet known. There is no doubt that the costs of inequality have become unsustainable and that it is necessary to build back with equality and sustainability, aiming to create a true welfare state, a task long postponed in the region,” Alicia Bárcena affirmed.

    That is why ECLAC calls for guaranteeing universal social protection as a central pillar of the welfare state. It specifies that in the short term, it is necessary to implement or maintain the emergency transfers proposed by the Commission: the emergency basic income (EBI) and the anti-hunger grant and EBI for women. In the medium and long term, countries must move towards a universal basic income, prioritizing families with children and adolescents, and get behind universal, comprehensive and sustainable social protection systems, increasing their coverage, as a central component of a new welfare state.

    The Commission also urges for moving towards new social and fiscal compacts for equality in times of pandemic, and for ensuring health, education and digital inclusion, so that no one lags behind.

    “ECLAC’s call for a new social compact is more relevant than ever: the pandemic is a critical juncture that is redefining what is possible, and it opens a window of opportunity to leave the culture of privilege behind,” the high-level United Nations official emphasized.

    The report indicates that the pandemic’s adverse impact on people’s income mainly affects lower and lower-middle income strata. It is estimated that in 2020, some 491 million Latin Americans were living with income of up to three times the poverty line. And around 59 million people who belonged to the middle strata in 2019 experienced a process of downward economic mobility.

    According to the document, inequality in total income per person is expected to have grown in 2020, leading to the average Gini index being 2.9% higher than what was recorded in 2019. Without the transfers made by governments to attenuate the loss of wage income (the distribution of which tends to be concentrated in low and middle income groups), the increase in the average Gini index for the region would have been 5.6%.

    The report also underscores the major labor market impacts of the COVID-19 crisis. The regional unemployment rate ended 2020 at 10.7%, which represents an increase of 2.6 percentage points versus the figure recorded in 2019 (8.1%). It adds that the overall drop in employment and withdrawal from the workforce have had an intensified impact on women, informal workers, young people and migrants.

    The report includes a special chapter on the care economy as a strategic sector for a recovery with equality. It emphasizes that the pandemic has revealed the enormous cost the region’s countries have borne because they do not have an integrated, defeminized and quality care system with broad coverage. In light of this, it warns that “it is urgently necessary to invest in this sector to tackle the crisis, guarantee the right to give care and receive care, as well as to reactivate the economy from a perspective of equality and sustainable development.”

    To this end, ECLAC urges for moving towards a care society that would allow for guaranteeing an egalitarian and sustainable recovery in Latin America and the Caribbean.

    https://www.cepal.org/en/pressreleases/pandemic-prompts-rise-poverty-levels-unprecedented-recent-decades-and-sharply
    #pauvreté #pandémie #inégalités #travail #rapport #Amérique_latine #Caraïbes #statistiques #chiffres

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    https://twitter.com/adam_wola/status/1368274469979033603

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  • Comment réduire la mortalité routière
    http://carfree.fr/index.php/2021/03/05/comment-reduire-la-mortalite-routiere

    Nous avons enfin trouvé la solution pour mettre fin à l’effroyable mortalité routière qui tue chaque année depuis des décennies des milliers de gens sur les routes. La crise sanitaire Lire la suite...

    #Insécurité_routière #Pollution_automobile #2020 #accident #covid-19 #mortalité #sécurité_routière #Solutions

  • #France : l’épidémie de #Covid-19 a fait plonger les demandes d’asile

    Selon des chiffres publiés ce jeudi par le ministère français de l’Intérieur, l’épidémie de Covid-19 a eu un impact tant sur les demandes d’asile que sur les expulsions.

    Après des années de hausse depuis la crise migratoire de 2015, le nombre de demandes d’asile en France a marqué une rupture nette en 2020 avec une #chute de 41%. « Une telle #baisse s’explique par la #crise_sanitaire de la Covid-19 et plus précisément par l’impact des confinements sur l’activité des #Guda (#Guichets_uniques_pour_demandeurs_d'asile) et sur la circulation des étrangers », a commenté le ministère de l’Intérieur en publiant ces chiffres provisoires.

    Ainsi, 81 669 premières demandes d’asile ont été formulées dans ces guichets en 2020, contre 138 420 (-41%) l’année précédente. Toutes situations confondues (réexamens, procédures Dublin etc.), 115 888 demandes ont été prises en compte l’an dernier, contre 177 822 en 2019.

    Cette baisse en France s’inscrit dans une tendance européenne, après plusieurs mois de fermeture des frontières extérieures de l’Union européenne : en Allemagne, le nombre de demandes d’asile a également chuté de 30%.

    Baisse des #expulsions

    La pandémie a eu des « conséquences importantes à la fois sur les flux (migratoires) entrant et sortant », a également observé la place Beauvau. Entre 2019 et 2020, les expulsions des personnes en situation irrégulière ont en effet baissé de moitié (-51,8%).

    Les statistiques de cette année où « tout a été déstabilisé par la Covid-19 » mettent également en évidence un effondrement de 80% du nombre de #visas délivrés : 712 311 contre 3,53 millions en 2019. Ce recul, poussé par l’effondrement des #visas_touristiques, s’explique essentiellement par la chute du nombre des visiteurs chinois. Ils étaient de loin les premiers détenteurs de visas pour la France en 2019 avec 757 500 documents, et sont passés en quatrième position avec seulement 71 451 visas délivrés en 2020.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/29804/france-l-epidemie-de-covid-19-a-fait-plonger-les-demandes-d-asile?prev

    #asile #migrations #réfugiés #chiffres #statistiques #2020 #demandes_d'asile #coronavirus #confinement #fermeture_des_frontières

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  • Un océano de tumbas anónimas

    Casi 600 jóvenes africanos, a veces menores, incluso niños, han perdido la vida este año intentando llegar a Canarias en patera; solo en 164 casos se han recuperado cadáveres

    Cuesta creer que la bebé Sahe Sephora, ahogada el 16 de mayo de 2019, fuera la primera víctima del drama de las pateras en Canarias a la que se entierra con su nombre después de 21 años de tragedias, pero es así y los cementerios de las islas han seguido recibiendo difuntos anónimos en 2020, cuyas familias se ven arrastradas a un duelo imposible.

    Casi 600 jóvenes africanos, a veces menores, incluso niños, han perdido la vida este año intentando llegar a Canarias en patera, de los que solo en 164 casos se recuperó su cadáver. Son las víctimas documentadas por el programa Missing Migrants de Naciones Unidas, que reconoce que se trata de una «estimación mínima», porque sus responsables son conscientes de que a varias embarcaciones se las ha tragado el Atlántico con todos sus ocupantes sin dejar rastro.

    De hecho, la Cruz Roja sostiene que la Ruta Canaria mata ,entre el 5 y el 8% de quienes se aventuran a ella, lo que se traduce en una horquilla de 1.000 a 1.700 vidas perdidas, si se tiene en cuenta que este año han llegado al Archipiélago 21.500 personas en patera.

    En toda Canarias, hay decenas de inmigrantes enterrados sin identificación de las tres grandes etapas que ha vivido este fenómeno: las llegadas de finales de los años noventa y primeros años del siglo XXI, centradas en Fuerteventura, donde se produjo el primer naufragio mortal (el 26 de julio de 1999); la crisis de los cayucos de 2006-2007, que abarcó todas las islas, con epicentro en Tenerife; y la oleada actual, focalizada en Gran Canaria.

    Son la punta del iceberg, detrás hay muchos más muertos en el mar de los que se sabe poco o nada, pues este es un movimiento clandestino de seres humanos, en el que no existen manifiestos de embarque. Como mucho, hay listas de llegadas, las que recopilan la Policía y la Cruz Roja, no siempre accesibles a los familiares que vuelven estos meses a peregrinar de ventanilla en ventanilla por Gran Canaria preguntando por un hijo o un hermano desaparecido.
    Sin informar a las familias

    «Si eres padre o madre y sabes que tu hijo ha salido, pero no has vuelto a tener noticias de él, aceptar que vas a dejar de buscarlo es un trámite doloroso, que requiere hacer el máximo esfuerzo por decirte a ti mismo que no ha llegado y que has hecho todo lo posible por encontrarlo. Vienen a España confiando en que somos un país moderno que les dirá si existe alguna noticia de esa persona, pero no se la dan», asegura el abogado #Daniel_Arencibia.

    Este letrado colabora con el Secretariado de Migraciones de la Diócesis de Canarias y sabe bien de lo que habla: aunque la mayoría de las familias son musulmanas, muchos de los que viajan en busca de un pariente del que no saben más que cogió un cayuco hace semanas o meses acaban llamando a la puerta de una iglesia.

    Arencibia atendió hace días a una mujer que había venido desde Italia empeñándose para pagarse el vuelo, la pensión y la PCR tras la pista de su cuñado, porque la madre, de Marruecos, no puede desplazarse a España. «Lloraba en la parroquia porque nadie la atendía. Lo único que quiero, decía, es que me digan que no ha llegado, sé que seguramente está muerto», relata el letrado. Pero la mujer no quería contar eso a su suegra sin una mínima confirmación.

    No es fácil averiguar quién ha perecido en el Atlántico, pero las autoridades sí conocen quién ha llegado, subraya este abogado, que cree que muchas familias les bastaría con que les dijeran que su pariente no está entre los rescatados. Defiende, además, que este es un caso claro en el que debería activarse el protocolo de accidentes con víctimas múltiples, uno de cuyos puntos principales es la instauración de una oficina de información a las familias.

    La juez Pilar Barrado, que hasta principios de año estuvo al cargo de uno de los juzgados de San Bartolomé de Tirajana, los de la costa de las pateras, comparte su opinión. «¿Si nos llegara un barco con 30 suecos que han visto morir a tres de sus compañeros tras quedarse a la deriva, los trataríamos así?», se pregunta. «Claro que no», se contesta, «identificaríamos a los fallecidos y a los supervivientes les ofreceríamos la ayuda de psicólogos».
    Los primos Sokhona

    Pero no siempre es posible, ni siquiera preguntando a los supervivientes, porque a veces los ocupantes de la patera se vieron por primera vez la noche del embarque. Y, con frecuencia, los traficantes de personas que fletan las pateras juegan a la desinformación con las familias. Los muertos no convienen al negocio y menos aún las pateras que desaparecen en el océano.

    Puede que sea el caso que está viviendo Omar Sokhona, un mauritano que llegó en patera a Fuerteventura en 2006. Desde hace años reside en Francia y ahora busca a su hermano Saliya y a su primo Fodie, dos veinteañeros de los que solo sabe que se subieron a un cayuco en Nuadibú con 52 personas más el siete de septiembre. Lleva semanas telefoneando al pasador que los embarcó y siempre obtiene la misma respuesta: un cayuco con 54 personas llegó a Gran Canaria el 10 de septiembre, será el de su hermano.

    A Omar le consta que un cayuco no tarda tres días desde Nuadibú a Gran Canaria, sino bastantes más. «Son otros motores», se excusó el traficante. «¿Y por qué no ha llamado nadie?», insistió. «Estarán detenidos, con la COVID ahora pasan muchos días en los campamentos», se defendió. Ahora, ya ni responde a sus mensajes.

    No ignora Omar que nadie está tres meses detenido en España sin llamar a casa. Ni tampoco que es poco probable que ni una sola de 54 personas contacte con su familia. Se barrunta lo que le ha pasado a su hermano, pero le duele asumirlo e, incluso, tiene engañada a su madre en Mauritania. «Sufre por dentro», reconoce. Y, de momento, alienta sus esperanzas con el cuento de la cuarentena sin fin.

    Como decía el abogado Arencibia, no se atreve a dar por muerto a su hermano sin que al menos alguien le confirme en España que no está entre los 21.500 que han llegado a Canarias. Su familia en Valencia sí ha optado por denunciar la desaparición ante la Policía.

    En esa ciudad vive otro de los primos Sokhoma, Alí. «Yo pienso que están muertos, que se han perdido o que su barca se hundió», admite Alí, que hizo la travesía en cayuco a Canarias dos veces (2006 y 2007). «Mi familia está fatal, si no ven los cuerpos, no van a descansar».

    Los Sokhoma se enteraron de que Saliya y Fodie habían intentado «el viaje» a posteriori, porque ninguno contó nada. Es común, aclara Teodoro Bondjale, secretario de la Federación de Asociaciones Africanas de Canarias (FAAC): la mayoría de los jóvenes que ahora se suben al cayuco no comparten sus planes con su familia, porque saben que se lo impedirían o intentarían disuadirlos.

    Bondjale está asustado con las dimensiones que está cobrando el problema. Lo nota por el volumen de llamadas que reciben en la FAAC preguntando por chicos desaparecidos, la mayoría hechas por familiares en África, pero también por parientes en Europa o Estados Unidos. En una de las últimas que atendió, no se atrevió a decir a una mujer senegalesa residente en Massachussets que buscaba a su hermano lo evidente, «que muchas pateras se hunden, desaparecen en el Atlántico». «No quise desesperarla más», se excusa.
    15 saquitos de huesos

    En el cementerio de Agüimes, una pequeña oración enmarcada, un rosario y unas flores que los parroquianos van renovando de cuando en cuando ofrecen algo de dignidad a los nichos 3.325 a 3.339, tapiados solo con ladrillos y cal, sin ningún signo ni sigla que identifique a sus ocupantes, de los que poco se sabe.

    Solo que allí yacen quince jóvenes subsaharianos a los que encontraron en un cayuco a la deriva a 160 kilómetros de las islas el 19 de agosto, cuando llevaban más de una semana muertos y estaban reducidos a poco más que piel y huesos. Posiblemente, eran los últimos de una lista de ocupantes aún mayor, nunca se aclarará.

    Los enterraron casi en solitario el 26 de septiembre, solo estaban con ellos Teodoro Bondjale, el diputado Luc André Diouf (expresidente de la FAAC), el sepulturero y el párroco del pueblo, Miguel Lantigua, que rezó por sus almas, consciente de que lo más seguro era que no compartieran su fe y en unos momentos muy dolorosos para él, porque no se le iban de la cabeza las familias.

    «Tiene que ser muy duro. Han puesto todas sus esperanzas en esa persona que vino por el futuro económico de la familia y ni siquiera tienen noticia de lo que ha pasado. Es muy duro pensar en las familias, en ellos y en cómo murieron», reconoce el cura.

    La directora del Instituto de Medicina Legal de Las Palmas, la forense María José Meilán, sí sabe cómo fallecieron: de hambre y sed tras muchos días perdidos en el océano. Estuvo en las autopsias y no se le olvidan. «Fue terrible. Eran un manojo de huesos».

    «Impresionaba ver cadáveres que pesaban 30 o 40 kilos. Eso da una idea del tiempo que pasaron sin comer ni beber, a la deriva, y de los días que llevaban fallecidos. Hablamos de chicos fuertes, que por su estatura y complexión pesarían 70-80 kilos, mínimo», apunta.
    Cápsulas de ADN

    El Instituto de Medicina Legal de Las Palmas conserva muestras de ADN de un centenar de inmigrantes muertos en esta zona de Canarias desde 2008 que están pendientes de identificar, 34 solo de este año.

    Desde enero, lo hace siguiendo un protocolo que comparte con Cruz Roja Internacional: cada muestra de ADN tiene asociadas además datos físicos del difunto, el lugar donde fue hallado, los detalles de su patera, fotos de su rostro y de cualquier detalle del cuerpo que pueda ser identificativo (como un tatuaje) y hasta una ficha dental.

    La idea, explica Meilán, es que Cruz Roja recoja peticiones en África de familias que tengan la sospecha de que un pariente suyo puede estar enterrado en Canarias, para hacer una comparación genética. El sistema solo está empezando y necesita rodaje, dice la forense, pero ya hay dos expedientes abiertos con familias que creen que el último rastro de sus hijos o hermanos están ese banco de ADN.

    La Universidad John Moore de Liverpool trabaja en un proyecto complementario: la reconstrucción forense de los rostros de los inmigrantes a partir de fotos de sus cadáveres o incluso del escaneo de su cráneo. Lo impulsa una investigadora de Fuerteventura, María Castañeyra, integrante del equipo de Caroline Wilkinson, que consiguió ponerle cara a personajes como Ramses II o Ricardo III.

    Quizás esa técnica podría devolver un atisbo de identidad a los 39 inmigrantes que Valentín Afonso enterró en Mogán entre 2006 y 2009 sin más identificación que un número. Hoy descansan en cajitas individuales numeradas en la fosa común, con la esperanza aún abierta de que alguien algún día los reclame, aunque hasta la fecha solo haya pasado por allí una mujer con ese afán, en 2007.

    «Era una señora de Senegal, sabía que su hijo había muerto, pero no sabía más. Vino aquí a rezar en la tumba de los inmigrantes», recuerda este sepulturero, ya jubilado, que acabó tan implicado en aquella experiencia que acogió como a un hijo a un chico maliense con una experiencia terrible en el cayuco, Mamadú. Hoy Valentín tiene dos nietas de piel morena que alborotan su jubilación.

    https://www.eldiario.es/canariasahora/sociedad/oceano-tumbas-anonimas_1_6561824.html
    #mourir_en_mer #asile #migrations #réfugiés #Canaries #îles_Canaries #Espagne #frontières #décès #morts #2020 #statistiques #chiffres #cimetière #Agüimes #mourir_aux_frontières #María_José_Meilán #Valentín_Afonso #route_Atlantique #Océan_atlantique #Teodoro_Bondjale

  • Revealed: shocking death toll of asylum seekers in Home Office accommodation

    FoI response shows 29 people died – five times as many as lost their lives in perilous Channel crossings.

    Twenty-nine asylum seekers have died in #Home_Office accommodation so far this year – five times as many as those who have lost their lives on perilous Channel small boat crossings over the same period.

    The Guardian obtained the figure in a freedom of information response from the Home Office, which does not publish deaths data. The identities of the majority of those who died have not been made public and the circumstances of their deaths are unclear.

    Many asylum seekers are in the 20-40 age group and are fit and healthy when they embark on what are often physically and emotionally gruelling journeys to the UK.

    One of the most recent deaths was that of Mohamed Camera, 27, from Ivory Coast. He was found dead in his room in Home Office accommodation in a north London hotel on 9 November.

    Camera had been complaining of back pain shortly before he died and had travelled through Libya en route to the UK. He had recently arrived from Calais on a small boat.

    One of his friends who travelled from Calais with him told the Guardian: “He was a nice, sociable person. He was smiling when we reached the UK because he believed that now he was going to have another life.”

    A Home Office spokesperson confirmed the death and officials said they were “saddened” by it.

    Another man, 41-year-old Abdullah Ahmed Abdullah Alhabib, who fled war-torn Yemen, was found dead in a Manchester hotel room on 6 August.

    Alhabib travelled on a small boat with 15 other people from Yemen, Syria and Iran. After they were picked up by Border Force, Home Office officials detained a group at Yarl’s Wood immigration removal centre in Bedfordshire for three days before moving them to the hotel in Manchester.

    One of the asylum seekers who was in the boat with Alhabib told the Guardian at the time: “All of us on these journeys, we have lost our country, lost our family, lost our future. When we got into the boat in Calais we felt the sea was the only place left for us to go.”

    An inquest jury found on 30 November that the death of Oscar Okwurime, a Nigerian man, as a result of a subarachnoid haemorrhage was considered “unnatural” and that neglect contributed to his death.

    The Scottish Refugee Council has called for all 29 deaths to be fully and independently investigated. In September, a group of Glasgow MPs also called for a fatal accident inquiry into three deaths that occurred in the city.

    The people who died were Mercy Baguma, from Uganda, who was found dead with her toddler by her side, Adnan Olbeh, from Syria, and Badreddin Abadlla Adam, who was shot dead by police, after he stabbed six people including a police officer.

    Meanwhile, those who lost their lives in the Channel included Abdulfatah Hamdallah, a young Sudanese refugee, as well as a family of five – Rasul Iran Nezhad, Shiva Mohammad Panahi and their children Anita, nine, Armin, six, and 15-month-old Artin, who drowned trying to cross to the UK in October 2020.

    Clare Moseley, the founder of the Care4Calais charity, said: “It’s shameful that more refugees die here in the UK, in Home Office accommodation, than do so in Calais or trying to cross the Channel. Refugees are the world’s most resilient people. Many have crossed the Sahara desert and made it through the hell of Libya, facing unimaginable hardship to get this far. But the way we treat them in this country is cruel.

    “Our government doesn’t give them the basics of life like adequate food and clothing. It locks them up in military barracks and keeps them isolated and depressed in hotels. It keeps them under constant threat of deportation, instead of processing their asylum applications promptly.”

    Graham O’Neill, the policy manager for the Scottish Refugee Council, said: “After the recent tragedies in Glasgow we are not shocked many have died in the UK asylum support system.”

    He added that there was no Home Office public policy on deaths or support for funeral costs or repatriation of the body, nor any discernible learning process to prevent sudden or unexplained deaths. “The Home Office must rectify this and home affairs select committee and the chief inspector ensure they do,” he said.

    A Home Office spokesperson said: “We are always saddened to hear of the death of any individual in asylum accommodation. This can be for a number of reasons, including natural causes or as the result of a terminal illness.

    “The health and wellbeing of asylum seekers has and always will be our priority. We will continue to work closely with a range of organisations to provide support to those that need it and where necessary we will always cooperate fully in any investigation into the cause of an individual death.”

    The revelation comes as a high court judge ruled on Monday that the Home Office was in breach of its duties to protect the human rights of asylum seekers against homelessness.

    Judge Robin Knowles also found the Home Office was responsible for wholesale failure to monitor and implement a £4bn contract awarded to several private companies over a 10-year period leading to unlawful delays in provision of accommodation.

    Freedom of information responses from the Home Office obtained by the Scottish Refugee Council found that, between January and March 2020, 83% of Home Office properties to accommodate asylum seekers had defects and 40% of the defects were so serious that they made the properties uninhabitable.

    The defects were identified by the Home Office’s own inspectors.

    https://amp.theguardian.com/uk-news/2020/dec/15/revealed-shocking-death-toll-of-asylum-seekers-in-home-office-accom
    #décès #morts #UK #logement #hébergement #Angleterre #asile #migrations #réfugiés #2020 #statistiques #chiffres

  • EU: Frontex report on removal operations in the first half of 2020 and fundamental rights observations

    Statewatch is publishing Frontex’s report on its forced removal operations in the first half of 2020, along with the observations of the agency’s fundamental rights officer (FRO). The FRO report highlights a number of problems: a failure to correctly brief escorts on fundamental rights; not enough monitors available to cover all flights and not enough monitors on each flight; a failure to protect dignity and privacy during strip searches; wrongful disclosure of medical data to escorts; improper treatment of vulnerable groups; and problematic use of force and coercive measures. On this latter point, the FRO’s report notes that: “A few monitors found that unauthorized coercive measures were used (steel shoes, helmets).”

    https://www.statewatch.org/news/2020/december/eu-frontex-report-on-removal-operations-in-the-first-half-of-2020-and-fu

    Pour télécharger le rapport:
    https://www.statewatch.org/media/1593/eu-frontex-deportations-report-first-half-2020-13638-20.pdf

    #rapport #Frontex #asile #migrations #réfugiés #renvois #expulsions #2020 #droits_fondamentaux #dignité #données_médicales #vulnérabilité #mesures_coercitives #frontières #droits_humains

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