• Chi si oppone a una nuova grande diga tra Veneto e Trentino per irrigare la pianura

    Il torrente #Vanoi che scorre in #Val_Cortella è minacciato da un progetto di sbarramento alto 116 metri dai costi ambientali ed economici elevatissimi. La Giunta Zaia parla di “difesa idraulica” e “tesaurizzazione idrica” mentre le comunità locali sono state escluse e l’area è segnata da smottamenti e frane. Le alternative esistono.

    L’incontro con Daniele Gubert è nei pressi del lago Schenèr, al confine tra Veneto e Trentino. Gubert fa parte del “Comitato per la difesa del torrente Vanoi e delle acque dolci” nato nel 1998 per scongiurare la costruzione di uno sbarramento del corso d’acqua che scorre in Val Cortella. “Non pensavo di dover tornare a lottare per il Vanoi”, racconta, ricordando le battaglie di vent’anni fa.

    In #Primiero, nel Trentino orientale, il settore idroelettrico ha già alterato profondamente l’assetto idrografico di vari torrenti, tant’è che si possono contare ben quattro bacini artificiali, realizzati da inizio Novecento, nell’arco di poche decine di chilometri quadrati.

    Dal lago ci si sposta a piedi fino al torrente Vanoi per visitare il sito in cui è prevista la costruzione di un’ulteriore diga, ad appena un chilometro in linea d’aria dallo sbarramento già esistente sullo #Schenèr. Nonostante la valle sia difficilmente accessibile, i tentativi per raggiungerla vengono ricompensati dalla bellezza che caratterizza la natura selvaggia dell’intero letto fluviale. “È uno dei pochi posti in Trentino dove la trota marmorata, specie endemica e in via di estinzione, riesce a riprodursi”, spiega Gubert, aggiungendo che per deporre le uova il pesce deve risalire il fiume per diversi chilometri. A confermare la rilevanza ecologica della valle sono due siti Rete natura 2000, di grande importanza per la presenza di boschi di abete bianco, in regressione su tutta la catena alpina, e di specie animali in forte diminuzione.

    Alto 116 metri, lo sbarramento poggerebbe a destra nella parte più settentrionale di Lamon, Comune bellunese, mentre la maggior parte dell’invaso (da 40 milioni di metri cubi di volume), ricadrebbe in Trentino. “Se il progetto venisse realizzato segnerebbe il territorio, e le relative opportunità turistiche, in modo irreparabile -continua Gubert-. La narrativa dominante associa il concetto di rinnovabile al settore idroelettrico, ma dovremmo parlare piuttosto di prassi usa e getta delle valli alpine, poiché i bacini esistenti sono pieni di sedimenti, molti risalenti all’alluvione del 1966, e invece di ripulirli e fare le opportune manutenzioni se ne progettano di nuovi”.

    Considerato e archiviato a più riprese fin dagli anni Venti del secolo scorso, a fine 2020 la Giunta regionale del Veneto guidata da #Luca_Zaia inserisce nel Piano regionale per la ripresa e la resilienza il progetto “Difesa idraulica e tesaurizzazione idrica tramite il nuovo serbatoio del Vanoi nel bacino del fiume Brenta”, motivando l’opera come necessaria per la difesa idraulica nelle province di Vicenza e Padova. Nel 2022 viene concesso un milione di euro, con fondi ministeriali, al Consorzio di bonifica del Brenta per l’esecuzione della progettazione e, poco dopo, il Consiglio regionale approva la realizzazione della diga. A maggio dell’anno successivo, la Provincia autonoma di Trento lamenta il mancato coinvolgimento nelle operazioni che hanno portato all’affidamento dell’opera e ricorda che, secondo la Carta di sintesi della pericolosità di Trento, l’area dove dovrebbe sorgere l’invaso è classificata con il massimo grado di rischio idrogeologico.

    Di quest’ultimo punto è facile rendersene conto: i fianchi della valle mostrano numerosi smottamenti e frane, che hanno reso addirittura impraticabile la strada della Cortella. Alfonso Tollardo, geologo intervenuto in occasione di un incontro pubblico organizzato a Lamon dal Partito democratico “Belluno Dolomiti” a inizio febbraio, e dedicato al progetto della diga sul Vanoi, ha dichiarato che, sebbene non ci siano le stesse condizioni geologiche del disastro del Vajont del 1963, c’è comunque la possibilità che del materiale franoso cada, con conseguente rischio per la diga e le comunità a valle. Il geologo ha descritto, inoltre, il grande impatto che avrà la costruzione dell’opera (per la quale sono previsti 24mila metri cubi di calcestruzzo, ovvero decine di migliaia di camion carichi di materiale che causerebbero non pochi disagi alla viabilità locale basata su un’unica via d’accesso) e il suo cantiere, per il quale si costruiranno ponti, gallerie, strade e terrazzamenti. In poche parole, il versante orografico destro verrebbe devastato.

    “A maggio del 2023 il presidente della Regione Veneto Zaia ha trasmesso l’elenco degli interventi di urgente realizzazione per il contrasto alla scarsità idrica al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Tra questi anche quello della diga sul Vanoi, con una richiesta di finanziamento pari a 150 milioni di euro -ricorda da Belluno Alessandro Del Bianco, segretario provinciale del Partito democratico-. Abbiamo raccolto migliaia di firme e presentato un ordine del giorno ai consigli comunali e a quello provinciale contro l’invaso, oltre che una nuova mozione in consiglio regionale e un’interrogazione in Parlamento per chiedere la sospensione del finanziamento al progetto. Molte amministrazioni comunali si sono pronunciate contro, come anche le Province di Belluno e di Trento”. “Di questa faccenda contestiamo l’assenza di trasparenza”, dice riferendosi al diniego ricevuto dalla Provincia autonoma di Trento di accesso agli atti relativi all’assegnazione della progettazione al Consorzio di bonifica Brenta. “L’Autorità nazionale anticorruzione ha sollevato una serie di perplessità sull’affidamento della progettazione”, avverte il segretario parlando, inoltre, di una strumentalizzazione della questione climatica per giustificare l’urgenza del progetto.

    E a proposito di urgenza, in occasione di Fieragricola 2024, il commissario straordinario per la crisi idrica, Nicola dell’Acqua, ha dichiarato che se un territorio ne ha la necessità, si devono realizzare anche le dighe. “Affermazione perentoria e autoreferenziale quella del commissario, per altro organo tecnico amministrativo privo di legittimazione democratica, che fa intendere, attraverso parametri fattuali di necessità e urgenza, la determinazione di disconoscere e rimuovere buone ragioni di dissenso e unitarie azioni di opposizioni delle comunità territoriali contro alcuni interventi strutturali anacronistici e insostenibili”, commenta Valter Bonan, ex presidente del Parco nazionale dolomiti bellunesi. “Questo approccio anomalo e centralistico è messo in pratica dal Decreto legge n. 39 del 2023, o Decreto siccità, che presenta evidenti torsioni di quasi una decina di articoli costituzionali e un pericoloso utilizzo dei poteri sostitutivi dello Stato rispetto alle competenze istituzionali decentrate e al diritto fondamentale di partecipazione dei cittadini nel governo dei beni comuni”.

    Eppure di alternative alla diga ce ne sarebbero, come le aree forestali di infiltrazione che facilitano la ricarica degli acquiferi tramite sistemi costituiti da apposite scoline e specie vegetali. Questa soluzione è stata suggerita da Arturo Lorenzoni, docente di Economia dell’energia presso l’Università di Padova, sempre in occasione dell’incontro informativo del 4 febbraio, dove ha spiegato come per il cambiamento climatico le precipitazioni siano sempre più concentrate e facciano fatica a penetrare nel suolo, da qua la necessità di aumentarne la permeabilità. Almeno di quel poco che ne rimane, considerato che il Veneto è la seconda Regione in Italia per consumo di suolo.

    “Con la realizzazione della diga sul Vanoi si rischia di scatenare un’inedita guerra, tra ricchi, per l’acqua -conclude Daniele Gubert-. L’acqua è di tutti e, in Trentino come in Veneto, vanno adottate misure per risparmiarla e alternative sostenibili prima di invocare la grande opera”.

    https://altreconomia.it/chi-si-oppone-a-una-nuova-grande-diga-tra-veneto-e-trentino-per-irrigar


    https://www.agenziagiornalisticaopinione.it/lettere-al-direttore/comitato-difesa-torrente-vanoi-opere-la-val-cortella-e-

    #Italie #Alpes #montagne #résistance #barrage_hydro-électrique #eau #barrages

  • La filiera della lana “senza frontiere” dell’arco alpino
    Scienze umane e sociali

    La lana, che in passato era merce preziosa capace di stimolare e alimentare l’economia locale, ha perso negli ultimi decenni il suo valore a causa della concorrenza internazionale. Oltre a non essere utilizzata per produrre filato, la lana deve essere smaltita, secondo le norme europee, come rifiuto speciale. Non solo non produce benessere e ricchezza, ma è diventata nel tempo un enorme problema per i pastori.

    Per contrastare questo fenomeno è partito da pochi mesi, il progetto #Alptextiles, nel tentativo di ricostruire a livello transnazionale la filiera tessile, partendo proprio dalla lana. Promosso dall’archivio di Etnografia e Storia Sociale di Regione Lombardia con diversi partners europei quali scuole, musei e università di Italia, Svizzera, Austria, Germania, Francia e Slovenia, il progetto punta prima di tutto a mettere in relazione le diverse realtà legate alla filiera della lana.

    I fili prodotti in Italia, e in particolare in #Val_Camonica incontreranno quelli dell’Austria del #Montafon, sui telai di tessitura della #Valposchiavo, per creare un nuovo tessuto.

    A #Poschiavo abbiamo incontrato alcuni protagonisti del progetto “senza frontiere: #Cassiano_Luminati, direttore del #Polo_Poschiavo; #Adriana_Zanoli, artigiana e decoratrice e #Tim_Marchesi, allevatore e pastore.

    https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/La-filiera-della-lana-%E2%80%9Csenza-frontiere%E2%80%9D-dell%E2%80%99arco-alpino

    #laine #filière_laine #textile #Alpes

  • Widespread contamination of soils and vegetation with current use pesticide residues along altitudinal gradients in a European Alpine valley

    Pesticides are transferred outside of cropland and can affect animals and plants. Here we investigated the distribution of 97 current use pesticides in soil and vegetation as central exposure matrices of insects. Sampling was conducted on 53 sites along eleven altitudinal transects in the Vinschgau valley (South Tyrol, Italy), in Europe’s largest apple growing area. A total of 27 pesticides (10 insecticides, 11 fungicides and 6 herbicides) were detected, originating mostly from apple orchards. Residue numbers and concentrations decreased with altitude and distance to orchards, but were even detected at the highest sites. Predictive, detection-based mapping indicates that pesticide mixtures can occur anywhere from the valley floor to mountain peaks. This study demonstrates widespread pesticide contamination of Alpine environments, creating contaminated landscapes. As residue mixtures have been detected in remote alpine ecosystems and conservation areas, we call for a reduction of pesticide use to prevent further contamination and loss of biodiversity.


    https://www.nature.com/articles/s43247-024-01220-1
    #montagne #Alpes #Tyrol_du_sud #contamination_du_sol #sols #sol #pollution #agriculture #pollution_du_sol #pommes #pesticides #Sud-Tyrol #Italie #cartographie #visualisation

  • « #Oltre_La_Valle », un #film di #Virginia_Bellizzi

    Il film, che è stato presentato in anteprima al 41° Torino Film Festival il 26 novembre nella sezione Concorso documentari italiani, è ambientato tra Oulx e Claviere, terra da sempre di transito dove le storie dei migranti si intrecciano a quelle dei volontari che operano nei luoghi di accoglienza.

    https://www.meltingpot.org/2023/12/oltre-la-valle-un-film-di-virginia-bellizzi

    #documentaire #film_documentaire #frontière_sud-alpine #Clavière #Briançon #Val_de_Suse #Italie #Alpes #montagne #France #migrations #asile #réfugiés #frontières #Oulx

    • Oltre la valle

      In una valle al confine fra Italia e Francia, da sempre terra di transito, si incrociano le vite dei migranti e quelle degli operatori di un centro di accoglienza.
      I migranti cercano di attraversare il confine e di arrivare in Francia, consapevoli di poter essere respinti alla frontiera. Le stagioni si susseguono, il presente e il passato si sovrappongono, le traiettorie umane si snodano, sospese nell’atto irreversibile di cercare uno spazio migliore in cui esistere.

      Note di regia

      Il mio prozio emigrò in Argentina durante gli anni Quaranta. Non l’ho mai conosciuto, ma le telefonate che arrivavano dall’altro lato del mondo, da parte dei suoi figli e spesso nel periodo delle feste, hanno sempre avuto un suono prezioso.
      Quando loro ne ricordavano la memoria emergeva sempre una componente di lotta, il desiderio di trovare una strada che potesse portare a un futuro sognato, nonostante le loro parole non lo dichiarassero mai apertamente. Avvertivo anche il suono di quella sofferenza ereditata e un po’ nascosta, di chi ha sbattuto molte volte contro un muro prima di poter andare oltre. Di chi si è sentito un po’ bistrattato, solo per il fatto di essersi immaginato altrove, e di averne inseguito l’atto più definitivo, quasi fosse una scelleratezza. È strano come la storia, pur ripetendosi, si dimentichi. Per questo, molti anni dopo quelle telefonate, in tempi in cui le barriere del Mediterraneo e i margini dell’Europa diventano sempre più alti, abbiamo sentito l’esigenza di fermarci, per fotografare un luogo e le storie che lo attraversano. Ma non per cristallizzarlo, al contrario, per coglierne il transito. Il periodo di osservazione si è svolto alla frontiera italo-francese, precisamente nell’Alta Val di Susa fra Oulx e Claviere, cittadina sul versante italiano del Colle del Monginevro fino agli anni Settanta tagliata a metà dal confine. È incredibile come da qui, la Francia sembri vicinissima e lontanissima allo stesso tempo. La sua geografia cambia a seconda del tipo di documento: dista solo pochi minuti per chi ha una macchina e una targa europea, oppure cinque ore di cammino per chi viene dalla rotta balcanica. Ma è stata solo la prima di una serie di dicotomie che continuavano a ripetersi, che condividevano quella terra di confine scandendone il tempo e lo spazio: col passare delle stagioni, ogni anno, le distese di neve lasciano il posto a immensi prati, turisti e attivisti gravitano intorno alle stesse seggiovie e campi da golf, il nostro passato ritorna nel presente di chi attraversa. La frontiera, si muove su un meccanismo ben oliato, una giostra drammatica vissuta dagli stessi migranti come un gioco dell’assurdo, tanta è la loro abitudine a essere respinti e a riattraversare il giorno successivo, rischiando ogni volta la vita. È stato molto difficile ottenere qualsiasi tipo di permesso, e incontro umano dopo incontro umano, anche l’atto di filmare si è inserito negli argini di inevitabili contrappunti: "sono un solidale, sto aiutando e rischiando, il confine fra ciò che si può fare e non si può fare è molto sottile”.
      “Sono un migrante, eppure non posso attraversare il confine. Ma il confine qui... dov’é precisamente?”
      Forse il confine si trova dove c’è il cippo di pietra con le lettere F e I, anche se a volte è nascosto nel bosco, ed è difficile da intravedere. Forse è un po’ prima, là dove cammina il gendarme. Forse non c’è mai stato, oppure non è una linea retta. Rispettare le mille anime di questa Valle, e voler allo stesso tempo raccontare con oggettività ciò che stava accadendo, ha implicato una continua ricerca di equilibri e un’incessante reinterpretazione della realtà. Uno stare in bilico, come su una linea sottile. La pandemia e la guerra in Ucraina, hanno mutato nuovamente gli equilibri, mettendoci davanti altre realtà delicate e irreversibili.
      “Oltre la Valle” è una storia vista con un caleidoscopio, in cui i frammenti, o i pezzi del puzzle, vogliono ritrarre un mondo reale che sembra astratto e inverosimile, dove le montagne sono ancora sovrastate da fortezze, e i confini di un regno sono contesi nella rievocazione di un’antica battaglia. Dove i tunnel possono essere il tramite verso la meta o possono riportare al punto di partenza. Dove esiste un rifugio in cui gli ospiti provengono da un’altra Europa, dall’Africa e dall’Asia, e un operatore sogna di diventare qualcos’altro, perché in fondo, tutto, nella nostra vita, può essere di passaggio.

      https://filmitalia.org/it/film/183118

  • Cinque anni dopo la tempesta Vaia. Quale impronta ha lasciato e che cosa non abbiamo capito

    A fine ottobre 2018 un evento atmosferico estremo di acqua e di vento sconvolgeva le strutture forestali delle Alpi italiane Nord-orientali: 42mila ettari di boschi schiantati, 10 milioni di metri cubi di alberi abbattuti, oltre 16 milioni di piante. Luigi Casanova traccia un bilancio del “recupero” e del dopo. Con le fotografie di Michele Lapini

    A cinque anni dall’evento è bene riflettere su che cosa abbia significato la tempesta Vaia della fine di ottobre del 2018. Acqua e vento hanno stravolto le strutture forestali delle Alpi italiane Nord-orientali. Dapprima le foreste avevano sofferto un lungo periodo siccitoso. Le temperature, anche in quota, erano fuori scala, elevate. A mille metri di primo mattino le temperature superavano ovunque i dieci gradi, nel pomeriggio si superavano i 26, lo zero termico era stabile oltre i 4.000 metri di quota.

    Lo scenario si ruppe improvvisamente e dal 27 ottobre iniziò a piovere, abbondantemente. Nella tarda serata del 29 ottobre 2018 la pioggia cadde accompagnata da folate di vento caldo sempre più intense, venti che arrivarono a superare le velocità di 150 chilometri all’ora, a passo Rolle si sono registrati picchi di 208.

    Dalle nostre finestre (dalle Valle di Fiemme) si sentivano gli schianti degli alberi, schianti continui, sempre più fragorosi, come mai avevamo percepito nel passato. Nelle prime ore del mattino seguente la pioggia calava di intensità, la pausa delle precipitazioni aveva permesso ai proprietari di cani di uscire, ancora al buio li incontravo mentre scioccato arrivavo in prossimità dei boschi che dovevo controllare. Appena fuori dal paese, tra squarci di nebbie e nuvole, si intravvedeva la distruzione. Inimmaginabile: i boschi tanto amati, le foreste che fino alla sera prima ci proteggevano non c’erano più. Desolazione diffusa, tutto era a terra, strade e sentieri interrotti, impossibile proseguire sui percorsi a noi tanto cari. L’impotenza e l’incredulità, a tutti, facevano scendere lacrime. I pochi che erano usciti -stava arrivando la prima luce del giorno- erano sbigottiti, mi chiedevano spiegazioni che al momento non sapevo fornire tanto ero sconvolto.

    Eppure sapevo, era accaduto su tutta Europa, sulle Alpi dell’Ovest e del Nord. Un susseguirsi di tempeste dagli anni 90 in poi avevano devastato versanti interi, centinaia di milioni di metri cubi di schianti, e poi il bostrico, il parassita che non perdona le monocolture di abete rosso, i boschi coetanei. In Italia non doveva accadere? Perché la scienza non aveva allarmato tecnici e politici?

    Ma nei numeri, che cosa è stata Vaia? Dapprima danni causati dalle acque, strade e ponti divelti, una decina i morti, una vera alluvione specie in Veneto, Friuli e Südtirol. Ben 42.000 ettari di boschi schiantati, quasi al 100%. Dieci milioni di metri cubi gli alberi abbattuti, oltre 16 milioni di piante.

    E poi, anche causa l’inefficienza di un sistema impreparato ad affrontare una simile catastrofe forestale, negli anni successivi è arrivato il bostrico (Ips typographus), un insettino parassita dell’abete rosso che attacca le piante sofferenti. Dal 2022 a oggi nell’areale di Vaia possiamo contare con certezza almeno altri 10 milioni di metri cubi di piante morte e altrettante ancora saranno a fine epidemia, prevista per il 2025-2026.

    Perché ci siamo trovati in presenza di un sistema inefficiente? Perché nelle Alpi interessate le squadre boschive erano in sofferenza, pochi uomini, poca specializzazione. Si è dovuto fare affidamento su grandi compagnie austriache e slovene: queste sono intervenute con macchinari non idonei ai nostri ripidi versanti (harvester e forwader) muniti di cingoli che distruggevano la rinnovazione naturale e scavavano nel terreno povero solchi profondi che favorivano la successiva erosione dei suoli. Gran parte di questo legname è stato venduto all’estero, perfino in Cina. Più che venduto, svenduto.

    I servizi forestali delle Regioni e Province autonome non sono andati per il sottile. In funzione antivalanghe e parasassi hanno diffuso ovunque imponenti strutture in ferro a protezione di abitati e viabilità (nella maggioranza dei casi era sufficiente lasciare a terra del legname ormai deperito, in attesa di una veloce ripresa della rinnovazione naturale). Si sono costruite centinaia di nuove strade forestali inutili, a distanza parallela di 70-100 metri di quota una dall’altra, ampie anche fino e oltre i quattro metri. In Trentino come nel bellunese, sul Cansiglio come sull’Altopiano dei sette Comuni, in Alto Adige.

    Queste strade, una volta raccolto il legname, rimangono un costo sulle casse pubbliche per manutenzione anche straordinaria e per di più rimarranno inutilizzate per almeno 60-80 anni, fino a quando non vi sarà nuova foresta da gestire. E hanno ulteriormente frammentato le superfici boschive imponendovi corridoi di penetrazione di venti e provocando comunque danni naturalistici. Si pensi alle arene di canto dei tetraonidi (sottofamiglia di uccelli della famiglia dei Fasianidi, ndr) distrutte, o alle aree di svernamento degli ungulati definitivamente disturbate. Come insegnano i gestori delle foreste del Nord delle Alpi laddove vi erano situazioni di rischio era sufficiente lasciare a terra il legname schiantato (veniva svenduto a 10, 20 euro il metro cubo). Sulle superfici più ampie, utilizzando l’enorme patrimonio viabilistico delle Alpi italiane, era sufficiente utilizzare le teleferiche.

    Nella gestione del dopo Vaia si è intervenuti con politiche di tipo puramente ingegneristico, evitando ogni minima attenzione alla naturalità dei versanti, alla biodiversità e a delicati interventi in aree protette Rete Natura 2000 e parchi.

    Che cosa ci dice il dopo Vaia? Che l’Italia, pur avendo oltre il 30% di suolo coperto da foreste, non è in grado di gestire il suo patrimonio in modo naturalistico. Che abbiamo disperso un patrimonio di conoscenze tecniche manuali nel lavoro del bosco difficilmente recuperabile in tempi brevi. Che il personale ha bisogno di formazione continua: devono essere gli enti pubblici proprietari a dotarsi di personale stagionale ad alta specializzazione coadiuvato dalla vigilanza del corpo dei Carabinieri forestali. Che non disponiamo di una filiera del legno capace di produrre nelle valli valore aggiunto. Quando si va in crisi, il legno lo si brucia negli impianti a biomasse. Una follia in tempi di eccesso di CO2 in atmosfera: il legno la cattura e la trattiene fino a fine vita. Che abbiamo perso un’occasione straordinaria per investire in ricerca scientifica e naturalistica (ad esempio seguire passo dopo passo l’evoluzione delle nuove foreste e della fertilità dei suoli).

    Che è necessario, da subito, imporre alle Regioni delle aggiornate carte dei pericoli che tengano presenti gli effetti sui suoli, sui versanti, dei cambiamenti climatici in atto. E che queste carte, con l’ausilio di scienze multi specifiche, vanno aggiornate periodicamente, e sempre più spesso. Laddove vi è solo un minimo sentore di pericolo non si dovrà costruire nel modo più assoluto.

    Vaia, come avevano sollecitato fin da subito gli ambientalisti, è senza dubbio stata una tempesta devastante. Una politica intelligente, meno propensa all’improvvisazione e alla speculazione, vi avrebbe colto mille opportunità di lavoro da portare sulle montagne, sia intellettuale sia manuale. Quindi avrebbe rilanciato un settore vitale del vivere la montagna: la politica forestale capace di garantire nel lungo periodo sicurezza, naturalità, ricreazione e per ultimo aspetto, produzione.

    https://altreconomia.it/cinque-anni-dopo-la-tempesta-vaia-quale-impronta-ha-lasciato-e-che-cosa

    #forêt #catastrophe #catastrophe_naturelle #Vaia #tempête #Italie #Fiemme #Tempesta_Vaia #Val_di_Fiemme

    voir aussi:
    #Val_di_Fiemme, #Italie. Les #dégâts causés par la #Tempesta_Vaia encore visibles dans le paysage en 2019
    https://seenthis.net/messages/797342

  • Des #pratiques_policières et préfectorales illégales et alarmantes en guise de réponse à la demande de places d’hébergement d’urgence.

    Briançon, le 2 octobre 2023 - La semaine dernière, la préfecture des Hautes-Alpes a annoncé l’arrivée, dès le jeudi 21 septembre, de 84 effectifs supplémentaires dédiés au renforcement des contrôles à la frontière franco-italienne. Depuis, des #interpellations se multiplient autour de la frontière, jusque dans la ville de #Briançon, et même au-delà, où la police traque les personnes exilées pour les chasser de l’espace public. Or, si la préfecture se targue de respecter la loi, il n’en est rien et ces pratiques policières et préfectorales sont illégales et dangereuses.

    Les pratiques en matière de contrôles des personnes exilées dans la ville de Briançon ont changé depuis jeudi dernier : chaque jour, plus d’une dizaine de personnes ont été retenues au poste de police, parfois une nuit entière, suite à des contrôles d’identité dans la ville même, fait plutôt rare jusqu’ici. Les exilé.e.s sont poursuivi.e.s au-delà même de Briançon, dans le train, les bus, et jusqu’à Paris, où vendredi matin (29 septembre) une armada de policiers les attendaient à la descente du train de nuit à la gare d’Austerlitz. La présence policière est également renforcée à Marseille, Gap ou Grenoble.

    Ces contrôles ciblent les personnes racisées, et sont suivies par des retenues au commissariat pouvant aller jusqu’à 24 heures, qui se soldent par des mesures d’éloignement : des OQTF (obligation de quitter le territoire français) sans délai, parfois suivies par des placements en CRA (centre de rétention) dans des villes éloignées, comme Toulouse.

    Dans la ville frontalière de Briançon, ces vagues d’interpellations dissuadent les personnes exilées de circuler, elles ne sont donc en sécurité que dans le seul lieu d’accueil actuellement ouvert, un bâtiment occupé en autogestion. La société publique locale Eau Service de la Haute Durance, dont le président n’est autre que le maire de Briançon, M. MURGIA, a coupé l’approvisionnement en eau courante de ce bâtiment le 17 août 2023. Aggravant la précarité des personnes accueillies, cette décision a de fortes répercussions pour la santé et le respect des droits fondamentaux des personnes. (Le lieu accueillant l’association Refuges solidaires a fermé fin août, ne pouvant assurer seul l’hébergement d’urgence à Briançon.)

    Des ordres ont été donné par le préfet pour augmenter la présence policière dans la ville de Briançon. L’augmentation des contrôles d’identité viserait à prévenir la recrudescence des « incivilités » liées au contexte de pression migratoire. Les forces de l’ordre répètent que les contrôles qu’ils opèrent dans la ville de Briançon sont des contrôles dits « Schengen »[1], possibles dans une bande de 20 km après la frontière, visant à rechercher et prévenir la criminalité transfrontalière.

    Or, le fait de franchir une frontière irrégulièrement, ou de se maintenir sur le territoire français irrégulièrement ne sont pas des infractions permettant de justifier un contrôle d’identité. En aucun cas, la police ne peut déduire que la personne est étrangère à cause d’un critère inhérent à la personne contrôlée (couleur de peau, d’yeux, de cheveux, vêtements, etc..). Ces contrôles sont restreints dans le temps : pas plus de douze heures consécutives. Or, ils sont permanents dans la zone frontalière briançonnaise. Dans les faits, ce sont bien des contrôles au faciès qui sont menés, car ce sont bien les personnes racisées qui sont la cible de ces contrôles, qui ne semblent justifiés par aucun motif précis. A moins que le simple fait de dormir dans la rue soit considéré cyniquement comme une infraction par l’État, ou une « incivilité » alors même que celui-ci se place dans l’illégalité en n’ouvrant pas de places d’hébergement d’urgence dans le département ? Ces contrôles au faciès font plutôt penser à une réelle volonté du préfet de supprimer la présence des personnes exilées de l’espace public.

    Par ailleurs, la CJUE (Cour de justice de l’Union européenne) a bien rappelé dans sa décision[2] du 21 septembre que la France met en place des pratiques illégales en termes de contrôles et d’enfermement aux frontières intérieures, et qu’elle est tenue de se conformer aux textes européens, ce qu’elle ne fait pas.

    Ces pratiques répondent à la même logique que celle dénoncée par nos associations depuis maintenant plusieurs années à la frontière : une volonté politique d’empêcher à tout prix les personnes exilées de circuler, en faisant fi des textes de loi qui encadrent à la fois les contrôles d’identité et les procédures de non-admissions sur le territoire. Aussi, la réponse de l’Etat est une fois de plus de faire croire qu’il est possible « d’étanchéifier » la frontière, en déployant pour cela des moyens dispendieux.

    Or, Médecins du Monde et Tous migrants ont mené une enquête sur une semaine à la fin du mois d’août, et les résultats de nos observations confirment ce que nous documentons depuis plusieurs années : ce dispositif de contrôle de la frontière met en danger les personnes. Il n’empêche absolument pas les personnes exilées d’entrer en France, mais accroît par contre leur vulnérabilité en rendant le passage plus difficile, plus dangereux.

    Les récits des personnes qui traversent la frontière sont édifiants : contrôles par surprise, courses-poursuites par les forces de l’ordre, qui provoquent des chutes, avec des fractures, des entorses ou encore des pertes de connaissance. Marchant en moyenne 10 heures depuis l’Italie pour atteindre Briançon, les personnes font état de leur extrême fatigue, de déshydratation, et du risque de se perdre en montagne. Certain.es ont passé plus de 48 heures en montagne, parfois sans boire ni manger. Cette énième traversée de frontières avec des tentatives de passage souvent multiples s’ajoute à un parcours migratoire extrêmement éprouvant et crée de plus des reviviscences traumatiques susceptibles ensuite de se traduire par des altérations de la santé mentale. Les récits recueillis ces dernières semaines et les observations de Médecins du Monde lors des permanences médicales confirment ces pratiques.

    La plupart des personnes qui traversent la frontière sont originaires des pays d’Afrique sub-saharienne, et plus récemment du Soudan, et relèvent du droit d’asile ou de la protection subsidiaire. Les refouler en Italie de manière systématique et collective ignore le droit d’asile européen. De même, prendre à leur encontre des mesures d’éloignement (OQTF) vers leurs pays d’origine, où elles risquent la mort ou la torture, est contraire au principe de non-refoulement (article 33 de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés).

    [1] Encadrés par le Code de procédure pénale, article 78-2 alinéa 5
    [2] Contrôle des frontières : le gouvernement contraint de sortir de l’illégalité - Alerte presse inter-associative- 21 septembre 2023. http://www.anafe.org/spip.php?article694

    communiqué de presse Tous Migrants (co-signée avec Médecins du Monde), reçu le 3 octobre 2023 via la newsletter de Tous Migrants

    #frontière_sud-alpine #frontières #asile #migrations #contrôles_frontaliers #Hautes-Alpes #traque #espace_public #contrôles_d'identité #ville #Paris #Marseille #Gap #Grenoble #gare #contrôles_au_faciès #OQTF #CRA #détention_administrative #squat #présence_policière #incivilités #zone_frontalière #SDF #hébergement #non-admission #vulnérabilisation #courses-poursuites #France #Italie #dangers #risques #montagne #refoulements #push-backs

    • Ritorno a #Oulx, sulla frontiera alpina. Aumentano i transiti, i respingimenti sono sistematici

      Sono già diecimila i passaggi monitorati quest’anno allo snodo Nord-occidentale, in forte aumento rispetto al 2022 quando furono in tutto 12mila. La stretta sorveglianza del confine da parte francese e il mancato accesso ai diritti sul territorio italiano, se non per iniziative volontarie, colpiscono duramente i migranti. Il reportage

      Per le strade di Briançon, primo Comune francese subito dopo il confine con l’Italia alla frontiera Nord-occidentale, non c’è quasi nessuno. È una notte fonda dei primi d’ottobre quando all’improvviso sbuca un gruppo di ragazzi che si dirige con passo svelto verso la stazione: cercano un luogo dove potersi riposare. Intorno è tutto chiuso e avrebbero bisogno almeno di bere un sorso d’acqua, ma la gioia di essere riusciti ad arrivare in Francia compensa la necessità di dormire e di mangiare.

      “Ce l’abbiamo fatta”, dice sorridendo uno di loro. Sono in cinque, tutti provenienti dal Niger e tra loro c’è anche un minorenne. “Abbiamo camminato per otto ore -racconta- ci siamo fermati solo per nasconderci dalla polizia in mezzo agli alberi. Oppure ci siamo sdraiati per terra quando sentivamo un rumore dal cielo”.

      A far paura in questi giorni non sono solo i gendarmi appostati con i binocoli ma anche i droni che il governo francese sta usando per bloccare quanti più transitanti possibile. Dotati di visori termici, sono in grado di stanare i ragazzi anche di notte ed è per questo che i “cacciati” tendono a salire sempre più in cima, oltre i duemila metri. In questo modo il loro tragitto, di per sé già complicato, diventa ancora più pericoloso, soprattutto con la neve e il ghiaccio. Il gruppo arrivato a Briançon saluta e si nasconde nel buio per trovare un posto dove riposare qualche ora. C’è da aspettare l’alba, quando con un treno o con un autobus si tenterà di proseguire il viaggio verso una delle principali città francesi.

      “C’è mio fratello che mi aspetta”, racconta un sedicenne mentre riempie la bottiglietta alla fontanella del centro di Claviere (TO), l’ultimo Comune italiano prima del confine. È pomeriggio e il sole è decisamente caldo per essere ottobre, ma lui indossa una giacca a vento e una sciarpa pronta a far da cappello se in nottata la temperatura dovesse scendere. Aspetta insieme a un gruppo di giovani che si faccia buio per salire in montagna. “Non ho paura della montagna. Ho paura di essere preso dalla polizia e di essere rimandato indietro -continua-. Ma tanto ci riprovo”. Un secondo ragazzo racconta di essere già stato respinto due volte: “Ma prima o poi ce la faccio. Sono stato picchiato tante volte lungo il viaggio, torturato e minacciato. Il buio e la montagna non potranno mai essere peggio”. Del freddo sì, qualcuno ha paura.

      La maggior parte delle persone che si apprestano ad attraversare le Alpi non ha idea di quanto le temperature possano scendere in montagna. In questi giorni di caldo decisamente anomalo, poi, non credono a chi li avverte che potrebbero soffrire il freddo e battere i denti. E così al rifugio “Fraternità Massi” di Oulx i volontari devono convincerli a prendere la felpa e a indossare i calzettoni prima di infilare gli scarponi da montagna.

      Questo luogo è diventato negli anni un punto di riferimento fondamentale per i migranti che vogliono lasciare l’Italia e raggiungere la Francia. Ma negli ultimi mesi il flusso di persone che ogni giorno arrivano è cresciuto fino a raggiungere livelli insostenibili. “All’anno scorso ne arrivavano tra le cinquanta e le cento al giorno. Ma i momenti di sovraffollamento erano poco frequenti -spiega una delle volontarie-. Arrivavano soprattutto dalla rotta balcanica: erano siriani, afghani, palestinesi, bengalesi. C’era anche qualche persona nordafricana. Oggi, invece, arrivano quasi esclusivamente migranti provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana sbarcati nelle scorse settimane a Lampedusa o in altre località del Sud”.

      In questi giorni al rifugio i volontari sono sotto pressione: arrivano fino a 250 persone a notte ma i posti a disposizione sono solo 80. “È chiaro che dover aiutare così tante persone ha messo a dura prova l’organizzazione -spiega don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno (TO) che gestisce la struttura-. Significa farli dormire per terra, faticare per offrire a tutti un piatto di pasta o per vestirli in maniera adeguata ad affrontare la montagna”. Il rifugio è un luogo sicuro, dove le persone in transito sanno di poter trovare le cure di cui hanno bisogno dal momento che è sempre presente il presidio di due associazioni che offrono assistenza medico-sanitaria: Rainbow for Africa e Medici per i diritti umani (Medu). Ma soprattutto sanno che possono cambiare le scarpe, spesso lacere e inadeguate. “La maggior parte di chi arriva qui lo fa con le infradito ai piedi -racconta Sofia, una delle volontarie- indossando magliette e pantaloncini. Non possono andare in montagna così”.

      Al mattino gli ospiti del rifugio si mettono in fila al guardaroba, una stanza al pian terreno dell’edificio dove si può trovare tutto il necessario per questa nuova tappa del viaggio: scarpe, pantaloni, maglie, giacconi, guanti, calzettoni, cappellini e zaini per uomini, donne e bambini. Tutto viene catalogato per taglia e tipologia.

      “Shoes, chaussures, scarpe. Non vanno bene quelle”, spiegano i volontari. Le persone si lasciano consigliare ma alcune, soprattutto i più giovani, sgranano gli occhi di fronte a felpe colorate e giacche morbide.

      E così, imbacuccati e attrezzati, aspettano l’autobus per Claviere. “Ho 18 anni -dice uno di loro- ma sono partito quando ne avevo 16. Sono due anni che cerco di salvarmi la vita e ora sono nelle mani di Dio”. La maggior parte dei migranti che in questi giorni stanno tentando di attraversare le Alpi è sbarcata nelle scorse settimane a Lampedusa e in poco tempo ha raggiunto il confine: “Non vogliamo rimanere in Italia, abbiamo tutti famiglia o amici che ci aspettano in Francia o in Belgio -spiega Hassan a nome dei suoi compagni di viaggio-. Abbiamo una casa e forse anche un lavoro ad aspettarci”.

      Tra i migranti al rifugio di Oulx ci sono anche molte donne con bambini piccoli. Per loro la traversata in montagna è ancora più difficile, ma non c’è alternativa. Ismael sta imparando a camminare proprio in questi giorni, aggrappandosi alle gambe delle sedie e appoggiandosi alle mani di tanti sconosciuti che gli sorridono. “Non ha paura di niente”, ammette la madre. Insieme a un piccolo gruppo, anche lei tenterà di raggiungere Briançon.

      Intanto è ora di lasciare il rifugio per andare alla stazione e salire sull’autobus. Biglietto alla mano le persone prendono posto e salutano i volontari, sperando davvero di non rivederli più. Se dovessero ripresentarsi a sera tarda o la mattina seguente vorrà dire che la polizia francese li avrà presi e respinti.

      A riportare i migranti al rifugio è un mezzo della Croce Rossa che fa la spola, anche più volte al giorno, tra Monginevro e Oulx. Seguiamo l’autobus per ritornare a Claviere: mentre un gruppo s’inerpica su per la montagna, un furgoncino torna giù con a bordo cinque persone bloccate la sera precedente. È un meccanismo perverso a regolare questo passaggio a Nord-Ovest, l’ennesimo che i migranti subiscono durante il loro viaggio. Mentre sulle montagne va in scena la caccia all’uomo e i bambini sono rimpallati come biglie, i governi europei giocano al braccio di ferro, senza pensare a canali legali che possano garantire sicurezza e rispetto dei diritti umani.

      https://www.youtube.com/watch?v=z_MO67A_-nQ&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      https://altreconomia.it/ritorno-sulla-frontiera-alpina-a-oulx-aumentano-i-transiti-i-respingime

    • La denuncia di MEDU: «Respinti anche se minorenni»

      È quel che sta accadendo al confine italo-francese

      Siamo al confine alpino tra Italia e Francia. Più precisamente a Oulx in Alta Val di Susa, al #Rifugio_Fraternità_Massi. Un edificio di solidarietà, assistenza e cura gestito in maniera coordinata da un pool di professionisti e volontari, in cui ognuno opera con compiti specifici assegnati in base all’esperienza, alle competenze alle finalità dell’organizzazione di appartenenza. Un “luogo sicuro” dove poter riposare per una notte, trovare abiti puliti, un pasto dignitoso e ricevere assistenza medica prima di riprendere il proprio viaggio verso la Francia.

      Qui MEDU (Medici per i diritti umani) da inizio del 2022 fornisce assistenza medica alle migliaia di persone migranti diretti in Francia presso l’ambulatorio allestito dall’associazione Rainbow for Africa (R4A) al Rifugio. L’associazione garantisce la presenza di un medico, di una coordinatrice e di un mediatore linguistico – culturale. In particolare, il medico si occupa sia di fornire assistenza sanitaria ai pazienti che di coordinare le attività sanitarie svolte dalle organizzazioni e dai medici volontari presenti presso il rifugio.

      Nell’ultimo web report pubblicato nel mese di maggio del 2023 le autrici descrivono Oulx come una delle ultime tappe di un lungo viaggio, che può durare dai 2 ai 6 anni e che può costare dai 2 agli 8 mila euro. «Un viaggio che collega l’Afghanistan, la Siria, l’Iran e molti paesi africani con i paesi del nord Europa e dell’Europa centrale, attraverso valichi alpini che superano i 1.800 metri di quota».

      Sono numerosi i minori non accompagnati che ogni giorno raggiungono il Rifugio Fraternità Massi.

      «Negli ultimi mesi, in concomitanza con l’aumento degli arrivi via mare», spiega l’organizzazione umanitaria, «il numero delle presenze è aumentato in modo significativo: a fronte di una capienza di 70 posti, si registrano anche 230 presenze in una sola notte presso il rifugio, tra cui donne e minori».

      Sono tantissime le testimonianze, raccolte da MEDU, di minori non accompagnati che sono stati respinti al controllo di frontiera perché al momento dell’ingresso in Italia sono stati registrati – per loro stessa dichiarazione o per errore – come maggiorenni. Nonostante il loro tentativo di dichiarare la vera età al confine, vengono comunque respinti in Italia, invece di accedere alla procedura di asilo in Francia.

      «Non riconoscere la minore età al confine vuol dire esporre i minori ai rischi derivanti dall’attraversamento della frontiera a piedi, di notte, lungo sentieri di montagna impervi e pericolosi, soprattutto nei mesi invernali. A questi, si aggiunge il rischio di consegnarli alle reti dell’illegalità e dello sfruttamento» denuncia MEDU.

      «Stiamo continuando a garantire ascolto e cure alle persone accolte presso il rifugio e a portare all’attenzione dell’opinione pubblica le loro storie» – conclude l’organizzazione – «che raccontano nella maggior parte dei casi di violazioni e abusi subìti lungo le rotte migratorie».

      https://www.meltingpot.org/2023/10/la-denuncia-di-medu-respinti-anche-se-minorenni
      #mineurs #MNA #val_de_suse

  • Des centaines d’exilées risquent leur vie pour rejoindre la France depuis le Piémont en Italie

    La montagne-frontière 1/2. Le #Briançonnais est une route migratoire de plus en plus empruntée par des exilées qui cherchent à rejoindre la France depuis le Piémont en Italie. Une véritable chasse à l’homme est menée à la frontière, poussant les exilées à emprunter les chemins les plus périlleux. À Oulx, en Italie, un refuge solidaire tente de s’organiser pour réduire les risques.

    Sur le bord de la Nationale 94 qui relie Montgenèvre à Briançon (Hautes-Alpes), huit agents de police et douaniers encerclent deux hommes originaires d’Afrique Subsahariennes. Les deux hommes assis sur le talus qui borde la route ont l’air exténués. Comme eux, chaque jour, plusieurs dizaines de personnes exilées tentent de traverser la frontière Franco-Italienne à pied pour rejoindre Briançon. Entre 15 et 20 kilomètres d’un périple dangereux, à plus de 1 800 mètres d’altitude, dans les hauteurs de la station de ski de Montgenèvre.

    Un chemin semé d’embuches où les personnes exilées croisent la route de randonneurs interloqués. L’entreprise se termine bien souvent par une interpellation par la police française. Et pour cause, la préfecture a déployé un véritable arsenal à la frontière pour traquer celles et ceux qui tentent de la traverser clandestinement. « Début 2022, ce sont ainsi près de 300 policiers et gendarmes qui sont affectés au contrôle de la frontière. Les deux escadrons de gendarmes mobiles étant désormais dotés d’un état-major sous le commandement d’un colonel », détaillait dans un rapport l’association briançonnaise Tous Migrants, fin 2022.

    Une véritable chasse à l’homme s’organise. Un déploiement toujours plus impressionnant de moyens humains et techniques. Les forces de police n’hésitent pas à recourir à des lunettes thermiques ou des drones pour tenter de repérer les contrevenants. Un dispositif qui se chiffre en millions d’euros d’argent public. Tous Migrants, dans son étude menée entre novembre 2021 et novembre 2022, dénonce des interpellations qui se traduisent par « des procédures expéditives menant aux violations systématiques des droits des personnes, notamment du droit fondamental de demander l’asile à la frontière. » Selon de multiples témoignages, une fois interpellés, les exilé.es sont systématiquement ramené.es à la frontière italienne, sans autre forme de procès.

    Les policiers nous ont ramené à la frontière, puis la Croix rouge est venue nous chercher pour nous ramener au refuge

    « La traversée était extrêmement dure, on a cru qu’on n’allait pas y arriver », relate Aziz* arrivé à Briançon la veille avec sa conjointe Catherine* et un couple d’amis. « On a traversé la frontière la journée, on était obligés d’aller plus haut dans la montagne pour éviter la police », explique le jeune homme, parti du Cameroun en 2019 pour fuir l’insécurité sociale d’un pays où sa vie « était en danger ».

    Tous les quatre sont partis d’Oulx en Italie, à une vingtaine de kilomètres de la frontière. En chemin à huit heures du matin, la traversée leur a pris plus de 10 heures et s’est soldée par un passage à l’hôpital pour Catherine tant ses pieds étaient douloureux à son arrivée. Aziz est tout de même soulagé d’avoir enfin réussi, car il n’en était pas à son coup d’essai. « La première fois, on n’a pas réussi parce qu’on est tombés sur la police, dit-il. Ils nous ont ramené à la frontière, puis la Croix rouge est venue nous chercher pour nous ramener au refuge. »
    Fraternità Massi, un refuge qui offre le gîte et le couvert avant la traversée

    Le lieu en question, c’est le refuge Fraternità Massi à Oulx, dans le Val de Suze, qui fait partie de la métropole de Turin. Un grand bâtiment de quatre étages planté près du clocher d’une église. Huit préfabriqués blancs et bleus sont disposés dans la large cour pour augmenter la capacité d’accueil et permettre l’installation de sanitaires et de locaux pour des visites médicales.

    Il fait presque 30 degrés cet après-midi d’août dans la vallée italienne. Quelques personnes, exténuées, font une sieste à même le sol, à l’ombre d’un préfabriqué ou sous une toile tendue entre ces abris de fortune et les murs de l’église. Le refuge a été inauguré en 2018 et est géré par l’ONG Talita, fondée par un prêtre. Pour faire fonctionner le lieu, se côtoient dedans, travailleurs associatifs, bénévoles, médecins.

    Trois travailleurs et bénévoles racontent les va-et-vient des personnes exilées, qui restent rarement plus d’une nuit au refuge. Les hébergé.es commencent à affluer en fin d’après-midi, quasiment toujours en provenance de Turin pour trouver un toit, un repas chaud, quelques soins et surtout des conseils pour entreprendre la traversée de la frontière sans se mettre en danger. « Le plus important, c’est d’établir un dialogue, affirme Anna, médecin au refuge. Il faut comprendre si les gens qui arrivent ont besoin de soin, de soutien psychologique ou d’aide juridique. »
    Une courte halte avant de prendre la direction de la France

    Les solidaires du lieu ont peu de temps pour apporter de l’aide aux personnes avant qu’elles ne reprennent la route. Le matin, des volontaires accompagnent ceux qui souhaitent entreprendre la traversée à un arrêt de navette touristique qui les conduira à Clavière, à quelques encablures de la frontière. Ils entameront alors la quinzaine de kilomètres à pied qui les sépare de Briançon.

    Celles et ceux qui se font attraper par la police française sont ramenés au poste de la Police aux frontières de Montgenèvre, puis remis aux autoritées italiennes. La police italienne contacte ensuite la Croix rouge qui les ramène au refuge… Avant qu’ils ne retentent leur chance le lendemain.

    Une procédure totalement absurde pour les solidaires de la Fraternità Massi. « C’est une partie de ping-pong entre la France et l’Italie qui se renvoient la balle », s’agace Elena, bénévole au refuge. Adam y voit, lui, « un jeu politique entre pays européens. Mais à ce jeu, ce sont toujours les plus précaires qui trinquent », soupire le médiateur culturel.
    Depuis 2018, une dizaine de personnes sont mortes durant la traversée

    Et pour cause, la chasse à l’homme organisée à la frontière rend la traversée d’autant plus périlleuse. « Certains essaient dix fois avant de parvenir à Briançon », affirme Jean, administrateur au refuge les Terrasses Solidaires dans la ville des Hautes-Alpes. « Plus les personnes exilées seront attrapées par la police et reconduites à la frontière, plus elles prendront de risques et emprunteront des itinéraires compliqués pour venir à bout de la montagne frontière », décrit-il.

    La semaine dernière, un gars a terminé la traversée avec une fracture ouverte du genou, c’est inhumain

    Alors bien souvent, hommes, femmes et enfants arrivent à Briançon dans un triste état. « La semaine dernière, un gars a terminé la traversée avec une fracture ouverte du genou, c’est inhumain », s’insurge Marjolaine, également administratrice aux Terrasses Solidaires. L’issue peut être plus tragique encore. Le lundi 7 août, un jeune Guinéen a été retrouvé mort dans les hauteurs de Montgenèvre, il s’appelait Moussa. Une dizaine de corps sans vie ont ainsi été retrouvés depuis 2018.

    La mort de Blessing Matthew, premier décès répertorié sur cette frontière, a marqué les esprits. Et pour cause, un de ses compagnons de route met en cause les gendarmes qui ont tenté de l’interpeller avant qu’elle ne tombe dans la rivière. Blessing Matthew est morte noyée dans la Durance, la plus longue rivière de Provence.
    Des routes d’exil qui varient selon les périodes

    La traversée est rendue aussi plus dangereuse par la méconnaissance du milieu montagnard. Selon les bénévoles et travailleurs de la Fraternità Massi, jusqu’à noël 2022, les réfugiés qui arrivaient venaient principalement d’Iran et d’Afghanistan. Ils avaient donc emprunté la route des Balkans pour rejoindre l’Italie. « Depuis Noël, c’est presque que des ressortissants du Maghreb ou d’Afrique subsaharienne, constate Elena. Ils sont arrivés en Calabre ou à Lampedusa. Ils n’ont jamais vu la montagne. »

    Au refuge, tout est fait pour tenter de limiter les risques lors du périple. « On essaie de leur donner des conseils, et de leur fournir des habits adaptés, surtout des chaussures pour la montagne », explique Anna, médecin au refuge. « Il n’est pas rare qu’ils arrivent en claquettes, ce n’est pas possible de marcher en montagne comme ça », souligne Elena. Une pièce entière est consacrée au stockage d’habits offerts par des donateurs. « Le problème, c’est qu’on est souvent à court de chaussure », indique Anna en désignant des cartons vides.
    Un été 2023 à flux tendu

    Le problème est particulièrement présent en ce mois d’août où le refuge a du mal à faire face à l’afflux des exilés. « Ici, on est habitué à avoir 50 ou 60 personnes », explique Anna, qui précise que le lieu compte 70 lits. « Mais ça fait 20 jours qu’on a dépassé les 100 personnes, on est même monté à 140 il y a quelques jours. »

    Un phénomène qui peut s’expliquer par la situation en Tunisie selon Adam. « Des gens qu’on a accueillis étaient en Tunisie depuis 5 ou 6 ans, mais la situation s’est tendue, c’est très violent. Les femmes sont systématiquement violées en Tunisie, les hommes sont tués par des groupes de personnes racistes, s’insurge-t-il. C’est la chasse au noir là-bas. »

    Pour les personnes exilées qui réussissent la traversée, le refuge des Terrasses Solidaires de Briançon reste un lieu d’accueil de l’autre côté de la frontière. Mais comme à Oulx, ce refuge fait face un afflux inédit de personnes cet été. Ces refuges sont pleins à craquer et traversent une “crise humanitaire” tout en faisant face au déni des pouvoirs publics.

    https://www.bondyblog.fr/societe/des-centaines-dexilees-risquent-leur-vie-pour-rejoindre-la-france-depuis-l

    via @olaf #merci

    #frontière_sud-alpine #Italie #France #asile #migrations #frontières #Hautes-Alpes #chasse_à_l'homme #Montgenèvre #militarisation_des_frontières #Fraternità_Massi #Oulx #Val_de_Suse

    • « Le problème, c’est qu’on est souvent à court de chaussure », indique Anna.

      Y a peut-être un truc simple (?) à mettre en place entre le refuge de Briançon et celui de Oulx : rapporter les chaussures de montagne « prêtées ».

      Les refuges de Oulx et de Briançon organisent le prêt de chaussures de montagne ; Oulx maintient un stock de différentes pointures, les migrants partent avec des « chaussures de traversée » au pieds et emmènent les leurs dans leur sac ; à l’arrivée au refuge de Briançon, ils « rendent » les « outils de traversée sécurisée » ; Briançon retourne les chaussures de prêt à Oulx, ou propose aux touristes qui traversent vers l’Italie de les retourner « pour la bonne cause ». Y a sans doute moyen de faire pareil pour les habits, chaussettes, chapeaux, gants, sacs à dos.

    • @olaf ça existe déjà...
      et ça a été raconté dans un film (qui malheureusement aurait pu être bien mieux à mon goût), mais voici :
      400 paires de bottes

      Quelque part en Italie, dans les montagnes, non loin de la frontière avec la France, une paire de bottes Decathlon premier prix est chaussée par un homme venu d’Afrique de l’Ouest. Ces chaussures aux pieds, il se lancera dans la traversée nocturne de la frontière, à Montgenèvre, la plus ancienne des stations de sports d’hiver de France. Achetées à Turin par des Italiens solidaires de la cause des migrants, ces bottes auront été portées avant lui par des centaines d’autres hommes à la peau noire. Ramenées en Italie par des Français solidaires, elles seront portées après lui par bien d’autres. Passant de mains en mains, de mains en pieds, et de pieds en mains, la trajectoire circulaire des bottes dévoile un territoire de montagne situé aux confins de la France et de l’Italie, où échanges et liens de solidarité se nouent dans les rigueurs de l’hiver.

      https://www.films-de-force-majeure.com/project/400_paires_de_bottes

      https://www.youtube.com/watch?v=aUEyx1Vws88&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.films-de-force-

    • Migranti respinti al confine francese ’anche con droni’. Pieno il rifugio in Val di Susa ’dormono anche in terra

      Respingimenti di migranti dalla gendarmerie francese verso il Piemonte in Valle di Susa. La denuncia arriva da Rainbow4Africa

      Ancora respingimenti di migrati da parte della Gendarmerie francese verso il Piemonte dal confine verso l’Italia, la scorsa notte, in Valle di Susa (Torino).

      A denunciarlo è il presidente della onlus Rainbow4Africa, Paolo Narcisi, che descrive l’affollamento al rifugio di Oulx, in alta Val di Susa.

      «La situazione ci è stata aggiornata dai volontari della Croce Rossa intervenuti in soccorso- spiega Narcisi - Il rifugio è pieno, stimiamo oltre 180 i migranti ospitati - aggiunge Narcisi - abbiamo deciso di mettere gente a dormire in terra». Questa mattina intorno alle 8, sottolineano dalla onlus, altri 40 migranti sarebbero stati respinti, attraverso i boschi. I migranti, nei loro racconti, parlano «di droni utilizzati dalla Gendarmerie per allontanarli».

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/10/01/news/migranti_respinti_al_confine_franceseanche_con_droni_pieno_il_rifu

    • Sulle Alpi è caccia al migrante

      Controlli rafforzati, inseguimenti, respingimenti e fermi. Il giro di vite francese. Intanto una sentenza europea condanna queste pratiche, in un cortocircuito fra Unione Europea e singoli Stati

      La settimana scorsa, la prefettura delle Hautes-Alpes sulle Alpi al confine con l’Italia, ha annunciato l’arrivo, a partire da giovedì 21 settembre, di 84 agenti aggiuntivi destinati a rafforzare i controlli alla frontiera franco-italiana. Da allora gli arresti si sono moltiplicati attorno al confine, fino alla città di Briançon, e anche oltre, a oltre 20 km dal confine, dove la polizia sta rintracciando gli esuli per cacciarli dagli spazi pubblici.

      Le pratiche di controllo sulle persone in transito nella città di Briançon sono cambiate: ogni giorno, più di dieci persone vengono trattenute presso la stazione di polizia, a volte per un’intera notte, a seguito di controlli d’identità nella città stessa, un evento piuttosto raro fino a ora. Le persone vengono inseguiti anche oltre Briançon, in treno, sugli autobus, e fino a Parigi. La presenza della polizia è rafforzata anche a Marsiglia, Gap e Grenoble.

      Nella città di frontiera di Briançon, queste ondate di arresti dissuadono le persone dallo spostarsi, al sicuro solo nell’unica area di accoglienza attualmente aperta, un edificio occupato in autogestione. L’azienda pubblica locale delle acque potabili “Eau Service de la Haute Durance”, il cui presidente altri non è che il sindaco di Briançon, Arnaud Murgia, ha interrotto l’approvvigionamento idrico di questo edificio il 17 agosto. Aggravando la precarietà delle persone ospitate, questa decisione ha forti ricadute sulla salute e sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone. È stato presentato un ricorso contro tale decisione, ma come potete leggere dalla recentissima sentenza del Tribunale amministrativo di Marsiglia (in francese), il ricorso è stato bocciato con giustificazioni burocratiche ( la non effettiva possibilità di accertare chi e come risiede nel centro di accoglienza...)

      Il prefetto ha dato ordine di aumentare la presenza della polizia nella città . L’aumento dei controlli d’identità mirerebbe a prevenire un aumento dell’“inciviltà” legata al contesto di pressione migratoria. La polizia ribadisce che i controlli effettuati nella città alpina sono controlli cosiddetti “Schengen”, possibili in una fascia di 20 km dopo la frontiera, finalizzati alla ricerca e alla prevenzione della criminalità transfrontaliera.

      La Cgue (Corte di giustizia dell’Unione europea) ha ricordato chiaramente nella sua sentenza del 21 settembre (la trovate qui) che la Francia sta attuando pratiche illegali in termini di controlli e confinamento alle frontiere interne e che è tenuta a rispettare i testi europei , cosa che non avviene. La sentenza della Cgue impone la giurisprudenza a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, ma in particolare è rivolta alla Francia, che dal 2015 ha reintrodotto i controlli alle frontiere interne.

      Le associazioni Medici del Mondo e Tous Migrants hanno condotto un sondaggio di una settimana alla fine di agosto e i risultati delle osservazioni confermano ciò che viene documentato da diversi anni: questo sistema di controllo delle frontiere mette in pericolo le persone. Essa non impedisce assolutamente alle persone di entrare in Francia, ma anzi ne aumenta la vulnerabilità rendendo il passaggio più difficile e pericoloso.
      Esemplificative in tal senso le storie di chi attraversa la frontiera: controlli a sorpresa, inseguimenti da parte delle forze dell’ordine, che provocano cadute, con fratture, distorsioni o perdita di coscienza. Camminando in media 10 ore dall’Italia per raggiungere Briançon, le persone segnalano estrema stanchezza, disidratazione e il rischio di perdersi tra le montagne. Alcuni hanno trascorso più di 48 ore in montagna, a volte senza mangiare né bere. Questo ennesimo attraversamento dei confini, con tentativi spesso multipli, si aggiunge a un viaggio migratorio estremamente faticoso: aspetti che possono fare riemergere esperienze traumatiche che potrebbero comportare cambiamenti nella salute mentale. I racconti raccolti nelle ultime settimane e le osservazioni di Medici del Mondo durante gli ambulatori medici confermano queste tendenze.

      La maggior parte delle persone che attraversano il confine provengono da paesi dell’Africa sub-sahariana e, più recentemente, dal Sudan, e hanno diritto all’asilo o alla protezione sussidiaria. Respingerli in Italia in modo sistematico e collettivo ignora i diritti di asilo europei. Allo stesso modo, adottare misure di allontanamento nei loro confronti verso i loro paesi di origine, dove rischiano la morte o la tortura, è contrario al principio di non respingimento (articolo 33 della Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiato).

      La Corte di giustizia europea con la sentenza del 21 settembre (giunta a seguito di un ricorso di varie associazioni francesi fra cui la protestante “La Cimade”) ha stabilito che i Paesi europei non hanno il diritto di rifiutare l’ingresso agli immigrati irregolari, anche se dispongono di controlli alle frontiere.

      Il Paese deve rispettare la «direttiva rimpatri», una legge che stabilisce che a un cittadino extraeuropeo può «essere concesso un certo periodo di tempo per lasciare volontariamente il territorio».

      «Si può decidere di rifiutare l’ingresso ma, quando si chiede l’allontanamento della persona interessata, devono comunque essere rispettate le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva rimpatri», ha dichiarato il tribunale di Lussemburgo.

      Ha inoltre affermato che «l’esclusione dall’ambito di applicazione di questa direttiva dei cittadini stranieri che soggiornano irregolarmente sul territorio» può essere effettuata solo «in via eccezionale».
      Negli ultimi otto anni, tutti i treni che passano per la città costiera francese di Mentone sono stati controllati e la polizia ha monitorato i posti di frontiera e pattugliato le Alpi.

      La decisione del tribunale europeo è arrivata in un momento in cui l’attenzione si è concentrata sul confine italo-francese. In seguito al recente arrivo di un gran numero di persone sull’isola italiana di Lampedusa, il ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, ha annunciato l’invio di 200 agenti di polizia supplementari al confine tra i due Paesi.

      La Francia «non accoglierà i migranti» provenienti dall’isola italiana, ha dichiarato il ministro. Continua il corto circuito fra Unione Europea e singoli Stati.

      Nel frattempo, la direttrice dipartimentale della polizia di frontiera, Emmanuelle Joubert, ha annunciato che più di 3.000 migranti sono stati fermati a Mentone nel giro di due settimane. Questo porta a 32.000 il numero di arresti dall’inizio dell’anno lungo il confine franco-italiano. Di questi, 24.000 sono stati respinti e consegnati alle autorità italiane.

      Joubert ha dichiarato di essere stata informata della sentenza dalla Corte di giustizia europea. «Lo Stato sta effettuando un’analisi, avremo istruzioni più avanti», ha detto, aggiungendo che i migranti arrivati di recente a Lampedusa non dovrebbero arrivare al confine francese prima di «diverse settimane».

      https://riforma.it/it/articolo/2023/10/04/sulle-alpi-e-caccia-al-migrante

  • Alternative au BIP – Pour un projet alternatif à l’Avenue du Parisis
    https://alternative-bip.org

    Si vous habitez Soisy, Montmorency, Deuil, Groslay, Sarcelles, Arnouville ou Garges, votre ville serait traversée par le BIP (renommé “avenue du Parisis”), un projet de route 2×2 voies minimum, dont la construction pourrait démarrer prochainement. Ne laissons pas construire un projet de la taille d’une #autoroute au coeur de nos #villes !
    Les travaux du BIP pourraient démarrer dès 2024
    Vous croyez que le BIP ne se fera jamais ? Détrompez-vous !
    👉 Le projet est bloqué depuis 2016 par un recours juridique porté par les associations du collectif Vivre sans BIP. Après leur victoire en appel en juillet 2022, le conseil départemental s’est pourvu en cassation, preuve qu’ils sont déterminé à réaliser ce projet ! Si le conseil départemental gagne en justice dans les prochains mois, la #construction du tronçon Est (Groslay – Sarcelles – Arnouville – Garges) pourrait démarrer dès 2024 !
    👉 Cet été, à la demande du conseil départemental du #Val_d’Oise, la Région #IDF a inscrit le BIP dans son nouveau schéma (SDRIF-E).
    👉 Le conseil départemental a embauché un chef de projet pour travailler sur le BIP et a voté un budget de 7 millions d’euros en septembre 2022 pour ce projet.
    👉 Le conseil départemental a confirmé en juin 2023 au journal Le Parisien qu’il est en train de consulter les communes concernées pour relancer le BIP.
    👉 Si le tronçon Est est construit, il ne restera que 5 km pour boucler le BIP et relier la A1 à la A15 : ne doutons pas qu’ils passeront en force !
    La construction de cette « autoroute » qui traverserait nos villes serait une catastrophe. Cette 2X2 voies couperait nos villes en deux, détruirait des dizaines d’hectares d’espaces naturels et agricoles et amènerait un fort trafic additionnel de #voitures et surtout de #camions, provoquant une importante pollution atmosphérique et sonore. Avec un grave impact sur la santé de 10 000 enfants dont les écoles, de la crèche au lycée, sont situées le long du tracé, un véritable scandale !

  • PODCAST- FRONTIERA SOLIDALE #MEDU

    Medici per i Diritti Umani presenta Frontiera solidale: un podcast di tre puntate per raccontare, attraverso le voci dei testimoni diretti, il fenomeno epocale delle migrazioni, assumendo come osservatorio una frontiera nel cuore dell’Europa, quella tra l’Italia e la Francia, nell’Alta Val di Susa.

    https://mediciperidirittiumani.org/podcast-frontiera-solidale-medu
    #podcast #audio #Alpes #frontière_sud-alpine #montagne #Italie #migrations #asile #réfugiés #frontières #Val_de_Suse

  • La valle che accoglie

    Viaggio nella più antica chiesa protestante italiana, minoranza un tempo perseguitata, che oggi è in prima linea nell’accoglienza dei migranti e nelle battaglie per i diritti delle donne e delle coppie omosessuali.

    Un corteo composto esce da un edificio giallo e bianco in stile inglese: religiosi e delegati marciano in silenzio. Davanti al gruppo, alcuni indossano delle toghe nere, gli abiti lunghi dei pastori; al collo le facciole, dei fiocchi bianchi, nonostante le temperature proibitive che stanno colpendo le Alpi e le prealpi italiane alla fine di agosto. Il corteo attraversa il giardino, poi la strada, quindi svolta per entrare in un altro edificio che ricorda una chiesa anglicana: il tempio di Torre Pellice, dove si svolgerà il rito che aprirà il sinodo annuale della più antica chiesa protestante italiana, la chiesa valdese, che è anche la più progressista del paese.

    Non è possibile sapere di cosa esattamente discuterà il sinodo prima che cominci, perché perfino l’ordine del giorno è deciso dai 180 delegati che da tutta Italia sono arrivati a Torre Pellice, una cittadina a 55 chilometri da Torino. “Abbiamo una maniera di decidere le cose molto democratica”, spiega la pastora e teologa Daniela Di Carlo, che si definisce “femminista, antispecista, ecologista” e cita più volte la femminista statunitense Donna Haraway e il filosofo spagnolo Paul B. Preciado.

    Un ruolo centrale

    È arrivata nella val Pellice da Milano, la città di cui è la guida spirituale per le chiese protestanti e responsabile dei rapporti con le altre religioni. “Al sinodo dei valdesi non partecipa solo il clero: dei 180 delegati solo novanta sono pastori, gli altri novanta sono fedeli, che sono eletti localmente dalle diverse chiese. Questo significa che l’assemblea può ribaltare i pronostici e non si può mai davvero prevedere quello che succederà durante la riunione. Se non si è d’accordo su qualcosa, si va avanti a discutere a oltranza”, assicura la pastora, seduta nella stanza rossa della Casa valdese, la sede della chiesa valdese e della sala del sinodo, circondata dai quadri che rappresentano i benefattori della chiesa.

    I valdesi hanno consacrato la prima pastora nel 1967 in un paese in cui la chiesa cattolica, che è maggioritaria, non riconosce il sacerdozio femminile. Di Carlo studiava architettura all’università, ma poi ha deciso di dedicare la sua vita alla chiesa negli anni ottanta, dopo un’esperienza di volontariato durante il terremoto in Irpinia. “Mi interessavano più le persone delle case”, scherza. “Nel Vangelo Gesù ha affidato alle donne l’annuncio della sua resurrezione, voleva per le donne un ruolo centrale”, continua.

    “Quando Gesù incontra le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, è molto chiaro. Marta si lamenta perché la sorella Maria si è messa ad ascoltare le sue parole, invece di aiutarla nelle faccende domestiche, ma Gesù le risponde di lasciarla stare, perché Maria si è seduta ‘nella parte buona, che non le sarà tolta’”, continua Di Carlo, secondo cui la possibilità di diventare pastore per le donne era presente già agli albori della chiesa valdese, addirittura prima che questa aderisse alla riforma protestante nel cinquecento, per essere prima abolita, quindi ripristinata nella seconda metà del novecento. Come guida spirituale della sua comunità non si sente discriminata in quanto donna. “Tranne nei casi in cui partecipo alle cerimonie ecumeniche, specialmente nel rito ortodosso ci sono molti limiti che ancora escludono le donne dalla liturgia”, spiega.

    I valdesi sono stati i primi a benedire le unioni tra persone dello stesso sesso e nel sinodo di quest’anno potrebbero discutere della gestazione per altri (gpa), una pratica riproduttiva che divide anche le femministe e per cui il governo italiano guidato da Giorgia Meloni ha proposto addirittura l’istituzione del “reato universale”. “Abbiamo affidato a una commissione l’indagine sul tema e ne dovremmo discutere. Potrebbero esserci delle divisioni, come avvenne al tempo del riconoscimento delle unioni civili, ma si troverà un accordo”, assicura Di Carlo. Nel sinodo di quest’anno si discuterà anche della mancata presa di distanza dal fascismo nel sinodo del 1943, che si svolse dal 6 al 10 settembre durante i giorni dell’armistizio dell’8 settembre. Nel sinodo, ancora oggi, alcuni vorrebbero che si chiedesse perdono per non aver preso una decisione netta in quell’occasione.

    “Noi siamo una chiesa che include: siamo impegnati contro l’omotransfobia, contro il razzismo, contro la violenza sulle donne”, continua. “Per noi Gesù è inclusione, è accoglienza. Crediamo in un Dio che è diventato uomo per amare e accogliere e la nostra missione è provare a essere come lui”, sottolinea. Proprio per questo motivo, racconta, le capita di incontrare nella chiesa di Milano persone che si convertono al protestantesimo, perché non si sentono accolte in altre chiese: “Arrivano da noi perché sono divorziati, oppure sono omosessuali e non si sentono accettati in altri contesti, ma sono religiosi e vogliono trovare un posto in cui possano esserlo insieme con gli altri”, conclude.

    L’Europa dei valdesi

    I valdesi prendono il loro nome da un mercante di tessuti del dodicesimo secolo chiamato Valdo, che viveva a Lione ed era diventato estremamente ricco con l’usura. “La sua storia è simile a quella di Francesco di Assisi”, assicura Davide Rosso, direttore della fondazione Centro culturale valdese, mentre fa strada, camminando su un sentiero nel villaggio di Angrogna, un paese di montagna a pochi chilometri da Torre Pellice, che nel cinquecento era diventato il centro più esteso nelle valli valdesi.

    Ad Angrogna è conservata una grotta, che è possibile visitare, in cui i valdesi delle origini si riunivano per celebrare il rito domenicale o si nascondevano quando erano perseguitati, la Gheisa d’la tana (la chiesta della tana). “Oggi è possibile visitare questi luoghi a piedi, perché sono stati riconosciuti come percorso turistico dal Consiglio europeo, che li considera costitutivi della storia europea”, spiega Rosso. Nel 2015 papa Francesco ha visitato per la prima volta un tempio valdese a Torino e ha chiesto perdono per le persecuzioni contro i valdesi, condotte dai cattolici nel corso dei secoli. In quell’occasione è stata Alessandra Trotta, moderatrice della Tavola valdese originaria di Palermo, a dare la benedizione finale a cui ha partecipato anche Bergoglio.

    All’inizio i valdesi, chiamati i “poveri di Lione”, furono tollerati dalle gerarchie ecclesiastiche romane: nel 1180 Valdo rinunciò a tutte le sue ricchezze, distribuì i beni ai poveri e cominciò a predicare e a mendicare. Quando gli chiedevano perché lo avesse fatto, rispondeva: “Se vi fosse dato di vedere e credere i tormenti futuri che ho visto e in cui credo, forse anche voi vi comportereste in modo simile”. Da subito ebbe dei seguaci che, come lui, abbandonavano le ricchezze e la vita mondana, per farsi poveri. Inizialmente erano appoggiati dal vescovo di Lione, ma poi furono scomunicati nel 1184 dal papa Lucio III, perché avevano la “presunzione” di predicare in pubblico pur non essendo consacrati e furono considerati eretici dalla chiesa di Roma.

    Molti valdesi dovettero fuggire dalle persecuzioni e si rifugiarono nelle valli delle alpi Cozie, tra l’Italia e la Francia. Quel territorio diventò una base del movimento religioso, durante secoli di pericoli. Nel sinodo valdese del 1532 proprio ad Angrogna la chiesa aderì alla riforma protestante. “Questo diede ai valdesi un appoggio importante dal punto di vista internazionale e anche una maggiore solidità dal punto di vista teologico”, spiega Rosso, mentre mostra il monumento di Chanforan, un obelisco eretto nei campi di Angrogna, che ricorda il luogo in cui si svolse quel sinodo.

    “In quel momento si decise di tradurre la Bibbia in francese e la traduzione fu affidata a Olivetano, con un grande sforzo economico da parte dei valdesi”, racconta Rosso. Con l’adesione alla riforma, i valdesi vennero allo scoperto e cominciarono a costruire anche dei templi, ma questo favorì le persecuzioni nei loro confronti da parte dei Savoia, spesso per ragioni meramente economiche e politiche.

    “Il seicento è stato un secolo particolarmente difficile: nel 1655 il duca di Savoia condusse una campagna, che aveva come obiettivo lo sterminio dei valdesi”, spiega Davide Rosso, mentre cammina tra le stradine di montagna in una giornata caldissima di agosto. “Le loro case furono distrutte, le persone massacrate o imprigionate e i loro beni confiscati. Molti furono costretti a fuggire in Svizzera o in Francia”. Della questione si occuparono anche i britannici Oliver Cromwell, lord protettore del Commonwealth, e il ministro degli affari esteri, il poeta John Milton, che inviò una serie di lettere ai sovrani e ai governi europei per chiedere che si interessassero della causa valdese.

    Cromwell scrisse addirittura al re di Francia, Luigi XIV, minacciando di interrompere le trattative di amicizia in corso con il Regno Unito, se il re francese non avesse fatto pressione sui Savoia per far ottenere ai valdesi la libertà di culto. Ma solo nel 1848 il re Carlo Alberto di Savoia concesse i diritti civili e politici al gruppo. “Tuttavia la libertà di culto vera e propria è arrivata solo nel 1984, con la firma delle intese con lo stato italiano, anche se era già prevista in teoria dall’articolo 8 della costituzione”, spiega Rosso. Fu la prima intesa di questo tipo firmata in Italia con una minoranza religiosa.

    Per lo storico valdese è importante comprendere i legami dei valdesi con le altre chiese protestanti e i loro rapporti internazionali che gli hanno permesso di sopravvivere pur essendo una minoranza perseguitata. Non è un caso, dice Rosso, che “Altiero Spinelli abbia pronunciato a Torre Pellice il suo primo discorso europeista, dopo la scrittura del manifesto di Ventotene”. Il teorico del federalismo europeo era sfollato a Torre Pellice, a casa di una famiglia valdese di Milano, e Rosso sostiene che in parte sia stato influenzato dall’atmosfera cosmopolita di queste valli.

    “Per decenni i valdesi non hanno potuto studiare, frequentare le scuole pubbliche, perché non avevano diritti civili, quindi era normale per loro trasferirsi in altri paesi europei per studiare. Parlavano almeno tre lingue. Per sopravvivere hanno dovuto emigrare, spostarsi. Ma questo li ha resi poliglotti e gli ha permesso di sviluppare uno spirito europeo. Poi l’idea della federazione è tipica del protestantesimo: le chiese protestanti sono sorelle”, continua Rosso, che accompagnerà il presidente della repubblica italiana Sergio Mattarella nel suo viaggio a Torre Pellice, il 31 agosto. In quell’occasione sarà commemorato il discorso di Spinelli sull’Europa. “È interessante guardare alle elezioni europee del prossimo anno e a quel che rimane del progetto europeo da queste valli”, conclude Rosso.

    Dall’Afghanistan alla val Pellice

    Parwana Kebrit apre la porta di un appartamento luminoso al primo piano di un palazzo che ha le porte di ferro battuto. C’è molto caldo, ma l’interno della casa di Kebrit è fresco e in ombra. La donna è arrivata nella val Pellice cinque mesi fa dal Pakistan, insieme al marito Jawan, con un corridoio umanitario. Originaria di un piccolo paese dell’Afghanistan si è rifugiata in Pakistan per la prima volta nel 2001, insieme alla sua famiglia di origine.

    “È lì che io e le mie sorelle siamo andate a scuola per la prima volta, in Afghanistan la maggior parte delle ragazze non poteva studiare. E al di là dei taliban, il 90 per cento degli afgani pensa che per le donne non sia giusto studiare”, racconta. Poi con la famiglia è tornata a Kabul, dove ha frequentato l’università ed è diventata un’attivista per i diritti delle donne. Ma con il ritorno dei taliban nella capitale afgana nell’agosto del 2021, Kebrit e il marito sono stati costretti a scappare di nuovo. “Per noi non era sicuro rimanere nel paese”, racconta.

    Dal Pakistan è arrivata in Piemonte, accolta dalla Diaconia valdese, che la sta aiutando a riprendere gli studi e a imparare l’italiano, oltre che a farsi riconoscere i titoli di studio del paese di origine. Ha una grande passione per il disegno e la pittura e mostra orgogliosa i suoi quadri, esposti uno vicino all’altro. Uno di questi, l’unico dipinto con i colori a olio, l’ha portato con sé nel viaggio dal Pakistan. Mostra delle donne afgane con i pugni alzati che marciano tenendo una bandiera e schiacciano degli uomini. “Sono le donne che combattono per i loro diritti”, spiega. In un disegno che ha realizzato in Italia, invece, si vedono sei gabbie con dentro degli uccelli, una delle gabbie è rossa ed è aperta, l’uccello è volato via. Nel quadro successivo l’uccello rosso vola dopo essersi liberato. Parwana Kebrit si sente così, finalmente libera. La sua intenzione ora è quella di continuare a studiare. Il suo inglese è fluente e i suoi occhi brillano di fiducia.

    “Amo l’Italia, sono stati tutti gentili e disponibili con noi. Voglio rimanere qui”, assicura. Dal 2016 i valdesi sono promotori, insieme alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e alla comunità di sant’Egidio dei cosiddetti corridoi umanitari, dei ponti aerei che hanno permesso di portare legalmente in Italia 4.244 rifugiati dall’Afghanistan, dal Libano e dalla Libia, in accordo con lo stato italiano. Nove persone arrivate in Italia con i corridoi umanitari sono al momento ospitati nella val Pellice, grazie alla Diaconia valdese. “Si tratta di due famiglie afgane”, spiega Alice Squillace, responsabile dell’accoglienza per la Diaconia. La famiglia di Kebrit e quella di Abdul Mutaleb Hamed, un medico afgano che lavorava con un’ong italiana, il Cospe. “Lavoriamo molto sulla loro inclusione e il rapporto con la comunità ospitante”, assicura. E negli anni non ci sono mai stati grandi problemi.

    “In questo momento in cui si torna a parlare di emergenza migranti in Italia (sono stati superati i centomila arrivi nel 2023, ndr), ci sembra che tutto sia strumentale. Guardare per esempio all’esperienza dei corridoi umanitari mostra che lavorare in maniera umana con piccoli gruppi di persone non produce mai situazioni difficili o ingestibili”, conclude. “Siamo stati rifugiati come valdesi in Svizzera e in Germania e sappiamo quali siano le sofferenze del viaggio e della cattiva accoglienza”, assicura Francesco Sciotto, pastore della chiesa valdese di Messina e presidente della Diaconia valdese, seduto ai tavolini del bar, allestito dalla chiesa valdese durante il sinodo, nel giardino del quartier generale di Torre Pellice. “Per questo i valdesi sono particolarmente impegnati nell’accoglienza e per questo vogliono evitare che altri subiscano le conseguenze di una cattiva accoglienza”.

    Oggi in Italia vivono circa ventimila valdesi e la maggioranza è concentrata nelle tre valli del Piemonte: la val Chisone, la valle Germanasca e la val Pellice. “Come tutte le chiese, anche i valdesi hanno una crisi di fedeli e di vocazioni. Sono sempre di meno i ragazzi e le ragazze che decidono di diventare pastori”, racconta Michel Charbonnier, pastore di Torre Pellice.

    “È una crisi che in larga parte dipende dalla secolarizzazione e che noi vediamo di più in queste valli che nelle chiese delle città in giro per l’Italia”. Secondo Charbonnier, in val Pellice molte persone di famiglia valdese hanno smesso di frequentare la chiesa, ma è un processo che va avanti da decenni.

    “Ne parleremo anche nel sinodo. Ma per certi versi per i valdesi questo è un problema meno urgente che per altre chiese: per noi infatti tutti possono predicare e siamo abituati a essere in pochi”. La chiesa è molto più impegnata nelle questioni di tipo sociale che nelle questioni meramente religiose. “Fermo restando la separazione netta tra lo stato e la chiesa in cui crediamo”, conclude Charbonnier. “Sappiamo che si può incidere, anche se siamo in pochi”.

    https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/annalisa-camilli/2023/08/24/valdesi-sinodo-torre-pellice

    #vaudois #église_vaudoise #Italie #protestantisme #sinodo #Val_Pellice #religion #accueil #réfugiés #histoire #Angrogna #réforme_protestante #Olivetano #persécution #extermination #Savoie #minorité_religieuse #minorités #corridor_humanitaire #diaconia_valdese #val_Chisone #valle_Germanasca

  • Abirsabir. La sfida al regime delle frontiere

    Nagi Cheikh Ahmed, giornalista mauritano emigrato in Italia dal 2016, e Gustavo Alfredo García Figueroa, sociologo venezuelano emigrato in Italia dal 2018, in quanto soggetti migranti e razzializzati, hanno viaggiato lungo la frontiera alpina tra l’Italia e la Francia per condurre una ricerca collaborativa tra l’Università degli Studi di Padova e Radio Melting Pot chiamata “nuovi immaginari politici e solidarietà antirazzista” (1).

    La ricerca evidenzia sia i processi di razzializzazione delle persone in transito su questo confine, e sia le esperienze di solidarietà che nascono tra i soggetti razzializzati e con le altre persone con background migratorio che operano sulla frontiera. Lo scopo è quello di rendere visibile il loro protagonismo che contrasta la violenza strutturale delle frontiere e delle politiche migratorie dell’UE con pratiche di solidarietà, resistenza e sfida in questo spazio complesso, poroso, senz’altro ostile con le persone del sud globale.

    Un podcast in cui gli autori parlano della politica migratoria dell’Unione europea basata sul razzismo strutturale, l’esternalizzazione dei confini e il loro controllo, ma allo stesso tempo andando oltre a tutto ciò; in cui si raccontano le esperienze di solidarietà e resistenza di giovani nordafricani che provano, anche al prezzo di mettere a rischio la vita, a sfidare l’esistenza dei confini.

    (1) La collaborazione di ricerca nasce all’interno del progetto di interesse nazionale PRIN-MOBS che indaga la produzione di nuovi immaginari politici attraverso le pratiche della solidarietà antirazzista con i migranti. La Responsabile Scientifica dell’unità locale è la prof.ssa Annalisa Frisina, Associata di Sociologia presso il Dip. FISPPA dell’Università di Padova

    https://www.meltingpot.org/2023/06/abirsabir-la-sfida-al-regime-delle-frontiere/#

    #Abirsabir (à partir de la min 2’38) :

    «Parola in arabo che esprime l’idea di una persona che viaggia con l’intenzione di non residere in un luogo fisso ma di attraversare un altro paese transitando in un paese o diversi paesi in cui non ha nessun legame concreto. E per fare questo viaggio praticamente non ha nulla addosso, niente da portare, niente da usare per il suo percorso. Abisabir, il #passante, si caratterizza per essere una persona leggera, con poco carico, veloce, silenzioso, che cammina molto e dorme poco.»

    –-> ajouté à la métaliste sur les #mots de la migration :
    https://seenthis.net/messages/414225
    #vocabulaire #terminologie #passant

    #podcast #audio #frontières #migrations #réfugiés #asile #frontière_sud-alpine #France #Italie #racialisation #solidarité #violence_structurelle #résistance #Hautes-Alpes #Val_de_Suse #obstacles #rêve #parcours_migratoire #itinéraire_migratoire #danger #route_des_Balkans #Balkans #espoir #maraudeurs #maraudes

    • L’informazione di Blackout. La voce di chi passa il confine alpino tra Italia e Francia

      Una ricerca collaborativa tra l’Università degli Studi di Padova e Radio Melting Pot ha portato #Nagi_Cheikh_Ahmed, giornalista mauritano in Italia dal 2016, e Gustavo Alfredo Garcìa Figueroa, sociologo venezuelano emigrato in Italia nel 2018, ad attraversare la frontiera posta sullo spartiaque alpino tra Italia e Francia per raccogliere le testimonianze di chi è costretto a passare illegamente questo confine.

      “La ricerca evidenzia sia i processi di razzializzazione delle persone in transito su questo confine, e sia le esperienze di solidarietà che nascono tra i soggetti razzializzati e con le altre persone con background migratorio che operano sulla frontiera. Lo scopo è quello di rendere visibile il loro protagonismo che contrasta la violenza strutturale delle frontiere e delle politiche migratorie dell’UE con pratiche di solidarietà, resistenza e sfida in questo spazio complesso, poroso, senz’altro ostile con le persone del sud globale.”

      Questa è la descrizione che si può trovare sul sito di Melting Pot Europa, dove è stato pubblicato il primo frutto della ricerca: il podcast Abir Sabir. La sfida al regime delle frontiere.

      Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Nagi Cheikh Ahmed.

      https://radioblackout.org/2023/07/la-voce-di-chi-passa-il-confine-alpino-tra-italia-e-francia

  • #Interview #Oltre_Il_Colle’s Mayor (21.07.2017)

    Une partie de cette interview a été reprise dans cette vidéo (je ne mettrai donc ici que des éléments nouveaux :
    Progetto Zinco Gorno
    https://seenthis.net/messages/1013439

    #Valerio_Carrara, maire de la commune de Oltre il Colle.


    « L’arrivée de cette grosse entreprise australienne nous a amené une grande bouchée d’oxygène. »

    Les potentialités du projet de la réouverture des mines se traduit en la création d’emplois.

    Le maire dit qu’ils ont parlé en ces termes avec Minerals Energy : « Nous vous ouvrons les portes, nous vous les ouvrons en grand, mais vous devez nous garantir que, quand vous ouvrez la mine, vous nous donnez la possibilité d’insérer avant tout les résidents de nos vallées, puis que d’autres viendront d’où ils veulent, car le travail dans les minières est un travail dur ».

    Carrara explique qu’il a mis une condition : vous ne pouvez rien toucher si vous ne garantissez pas que faites tout dans les normes.
    Et il explique que ce qui a été fait jusqu’à présent a été fait en accord avec l’office technique de la commune et la commission du paysage. Et il ajoute : « Ils sont très rigoureux sur la protection de l’environnement et du territoire ».
    Grâce à ce projet il y la possibilité de « retombées sociales et économiques ».
    Il espère que la production commence « dans une année » (2018 donc).
    En rigolant il dit « Je suis déjà en train de regarder les 300 emplois qui seront déjà disponibles à partir de 2017 ».

    https://vimeo.com/209492040


    #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Val_del_Riso #Val_Brembana #histoire #tourisme #plomb
    #vidéo #Energia_Minerals #potentialité #travail

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • #Interview Gorno’s Mayor (21.07.2017)

    Une partie de cette interview a été reprise dans cette vidéo (je ne mettrai donc ici que des éléments nouveaux :
    Progetto Zinco Gorno
    https://seenthis.net/messages/1013439


    Giampiero Calegari, maire de Gorno, explique comment dans la période de plus « grande splendeur » de la région, travaillaient environ 1000 personnes, directement ou indirectement, en lien avec l’activité de la #mine.
    Activité minière presque inexistante ces 20-30 dernières années.

    Les rencontres qu’ils ont eu avec #Energia_Minerals, on leur a expliqué combien de personnes pourraient être employées directement ou indirectement grâce à la réouverture de la mine. Il est convaincu que les personnes habitant le territoires sont « disponibles à ce pari ».
    Il met en avant deux bénéfices possibles :
    – l’installation de la nouvelle industrie
    – le développement touristique

    https://vimeo.com/209336969

    #travail #mines #extractivisme #Italie #Alpes #montagne #Gorno #zinc #Altamin #Giampiero_Calegari #Val_del_riso #histoire #tradition #scommessa #pari #tourisme #Lombardie #opportunité #environnement #Kalgoorlie (#Kalgoorlie-Boulder)
    #vidéo

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • Alla ricerca del cobalto sulle Alpi

    È un elemento importante per la realizzazione delle batterie delle auto elettriche. Il cobalto viene estratto però soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, una realtà travolta dalla corruzione e instabile dal punto di vista militare e politico. Per “aggirare” la possibile penuria della fornitura di un componente essenziale dello sviluppo di una economia realizzata con fonti rinnovabili, le nazioni post-industriali e industrializzate cercano il Cobalto altrove, in territori guidati da governi più stabili e dove è più solida la certezza del diritto.

    Vecchie miniere di cobalto dismesse perché poco remunerative tornano improvvisamente interessanti. Una di queste è situata tra Torino e il confine con la Francia, ancora in territorio piemontese.

    Tra la necessità di tutelare l’ambiente e l’opportunità economica offerta, istituzioni e popolazione si interrogano sul presente e il futuro del territorio interessato dal possibile nuovo sviluppo minerario.

    https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Alla-ricerca-del-cobalto-sulle-Alpi-16169557.html?f=podcast-shows

    #extractivisme #Alpes #cobalt #Piémont #Italie #terres_rares #Balme #Altamin #Barmes #Punta_Corna #Valli_di_Lanzo #mines #exploitation #peur #résistance #Berceto #Sestri_Levante #lithium #souveraineté_extractive #green-washing #green_mining #extraction_verte #transition_énergétique #NIMBY #Usseglio #Ussel

    Le chercheur #Alberto_Valz_Gris (https://www.polito.it/en/staff?p=alberto.valzgris) parle de la stratégie de l’Union européenne pour les #matières_premières_critiques :
    #Matières_premières_critiques : garantir des #chaînes_d'approvisionnement sûres et durables pour l’avenir écologique et numérique de l’UE
    https://seenthis.net/messages/1013265

    –—

    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

    • Caccia al cobalto sulle Alpi piemontesi

      Viaggio in provincia di Torino dove una multinazionale ha nel mirino la creazione di una miniera destinata ad alimentare le nuove batterie per i veicoli elettrici.

      Il boom delle auto elettriche trascina la ricerca mineraria in Europa. Noi siamo stati in Piemonte dove una società australiana spera di aprire una miniera di cobalto, uno dei metalli indispensabili per produrre le più moderne batterie. Il progetto è ancora in una fase preliminare. Non si vede nulla di concreto, per ora. Ma se siamo qui è perché quanto sta accadendo in questa terra alpina apre tutta una serie d’interrogativi su quella che – non senza contraddizioni – è stata definita “transizione ecologica”.

      Balme, alta #Val_d’Ala, Piemonte. Attorno a noi i boschi sono colorati dall’autunno mentre, più in alto, le tonalità del grigio tratteggiano le cime che si estendono fino in Francia. Un luogo magico, non toccato dal turismo di massa, ma apprezzato dagli appassionati di montagna. Tutto potrebbe però cambiare. Nelle viscere di queste rocce si nasconde un tesoro che potrebbe scombussolare questa bellezza: il cobalto. La società australiana Altamin vuole procedere a delle esplorazioni minerarie sui due versanti della Punta Corna. Obiettivo: sondare il sottosuolo in vista di aprire una miniera da cui estrarre questa materia prima sempre più strategica. Il cobalto è infatti un minerale indispensabile per la fabbricazione delle batterie destinate alle auto elettriche o ad immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Tecnologie dette verdi, ma che hanno un lato grigio: l’estrazione mineraria.

      Oggi, circa il 70% del cobalto mondiale proviene dalla Repubblica democratica del Congo (Rdc), dove la corsa a questo metallo, guidata dalla Cina, alimenta la corruzione e genera grossi problemi sociali e ambientali. Di recente, un po’ in tutta Europa, si sta sempre più sondando il terreno in cerca di nuovi filoni che potrebbero ridurre la dipendenza dall’estero di questo ed altri minerali classificati dall’Ue come “critici”. Ecco quindi che queste valli piemontesi sono diventate terreno di caccia di imprese che hanno fiutato il nuovo business. Siamo così partiti anche noi in questa regione. Alla ricerca del cobalto e all’ascolto delle voci da un territorio che – suo malgrado – si trova oggi al centro della nuova corsa mondiale all’accaparramento delle risorse.

      Balme dice no

      «Siamo totalmente contrari. In primis perché non siamo stati coinvolti in nessun tipo di dialogo. Siamo poi convinti che l’estrazione di minerali non sia l’attività adatta per lo sviluppo del nostro territorio». #Gianni_Castagneri è il sindaco di Balme, 110 abitanti, uno dei comuni su cui pende una domanda di ricerca da parte di Altamin. Il primo cittadino ci accoglie nella piccola casa comunale adiacente alla chiesa. È un appassionato di cultura e storia locale e autore di diversi libri. Con dovizia di particolari, ci spiega che anticamente queste erano terre di miniera: «Un po’ tutti i paesi della zona sono sorti grazie allo sfruttamento del ferro. Già nel Settecento, però, veniva estratto del cobalto, il cui pigmento blu era utilizzato per la colorazione di tessuti e ceramiche».

      Dopo quasi un secolo in cui l’attività mineraria è stata abbandonata, qualche anno fa è sbarcata Altamin che ha chiesto e ottenuto i permessi di esplorazione. Secondo le stime della società i giacimenti a ridosso della Punta Corna sarebbero comparabili a quello di Bou Azzer, in Marocco, uno dei più ricchi al mondo di cobalto. «Andando in porto l’intero progetto di Punta Corna si avrà una miniera europea senza precedenti» ha dichiarato un dirigente della società. Affermazione che, qui a Balme, ha suscitato molta preoccupazione.

      Siamo in un piccolo comune alpino, la cui unica attività industriale è l’imbottigliamento d’acqua minerale e un birrificio. Al nostro incontro si aggiungono anche i consiglieri comunali Guido Rocci e Tessiore Umbro. Entrambi sono uomini di montagna, attivi nel turismo. Entrambi sono preoccupati: «Siamo colti alla sprovvista, cerchiamo “cobalto” su Internet ed escono solo cose negative, ma abbiamo come l’impressione che la nostra voce non conti proprio nulla».

      Sul tavolo compare una delibera con cui il Comune ha dichiarato la propria contrarietà «a qualsiasi pratica di ricerca e coltivazione mineraria». Le amministrazioni degli ultimi anni hanno orientato lo sviluppo della valle soprattutto verso un turismo sostenibile, vietando ad esempio le attività di eliski: «Noi pensiamo ad un turismo lento – conclude il sindaco – la montagna che proponiamo è aspra, poco adatta allo sfruttamento sciistico in senso moderno. Questa nostra visione ha contribuito in positivo all’economia del villaggio e alla sua preservazione. Ci sembra anacronistico tornare al Medioevo con lo sfruttamento minerario delle nostre montagne».

      Australiani alla conquista

      «Lo sviluppo della mobilità elettrica ha spinto le richieste di permessi di ricerca in Piemonte» ci spiega al telefono un funzionario del settore Polizia mineraria, Cave e Miniere della regione Piemonte. Si tratta dell’ente che, a livello regionale, rilascia le prime autorizzazioni. L’uomo, che preferisce non essere citato, ci dice che per il momento è troppo presto per «creare allarmismi o entusiasmi», ma conferma che, in Piemonte, sono state richieste altre autorizzazioni: «Oltre a Punta Corna, si fanno ricerche in Valsesia e verso la Val d’Ossola» conclude il funzionario. Proprio in Valsesia un’altra società australiana, del gruppo Alligator Energy, ha comunicato di recente di avere iniziato i lavori per un nuovo sondaggio. La zona è definita dall’azienda «ad alto potenziale».

      L’argomento principale delle società minerarie è uno: la necessità di creare una catena di valore delle batterie in Europa: «Punta Corna è centrale per la strategia di Altamin […] e beneficerà della spinta dell’Ue per garantire fonti pulite e locali di metalli nonché degli investimenti industriali europei negli impianti di produzione di veicoli elettrici e batterie» si legge in un recente documento destinato agli azionisti. Altamin ricorda come, in prospettiva, l’operazione genererebbe una sinergia produttiva col progetto Italvolt dell’imprenditore svedese Lars Calstrom. L’uomo vuole costruire una nuova grande fabbrica di batterie ad alta capacità presso gli ex stabilimenti Olivetti nella vicina Ivrea.

      Altamin, così come altre società attive nel ramo, non è un gigante minerario. Si tratta di una giovane società capitalizzata alla borsa di Sidney che ha puntato sull’Italia per tentare il colpaccio. Ossia trovare un filone minerario potenzialmente sfruttabile e redditizio, considerato anche l’aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto dei metalli da batteria. Oltre al progetto piemontese, l’azienda è attiva in altre zone d’Italia: in Lombardia ha un progetto di estrazione di zinco, mentre ha presentato domande anche in Liguria, Emilia-Romagna e Lazio. Qui, nell’antica caldera vulcanica del Lago di Bracciano, Altamin e un’altra società australiana, #Vulcan_Energy_Resources, hanno ottenuto delle licenze per cercare del litio, un altro metallo strategico. «L’idea che si sta portando avanti è quella di rivedere vecchi siti minerari anche alla luce delle nuove tecnologie e della risalita del prezzo dei metalli» spiegano da Altamin. Il tutto in uno scenario internazionale, in particolar modo europeo, in cui si cerca di ridurre la dipendenza delle importazioni dall’estero. Questo a loro dire avrebbe molti vantaggi: «Estrarre cobalto qui ridurrebbe al minimo i problemi etici e logistici che si riscontrano attualmente con la maggior parte delle forniture provenienti dalla Rdc». Ma non tutti la pensano così.

      Lo sguardo del geografo

      A Torino, il Politecnico ha sede presso il Castello del Valentino, antica residenza sabauda situata sulla riva del Po. Qui incontriamo il geografo e assegnista di ricerca Alberto Valz Gris che di recente ha messo in luce diverse ombre del progetto Punta Corna e, in generale, dell’impatto della corsa ai minerali critici sulle comunità locali. Per la sua tesi di dottorato, Valz Gris ha studiato le conseguenze socio-ambientali causate dall’estrazione del litio nella regione di Atacama tra Argentina e Cile. Rientrato dal Sudamerica, lo studioso è venuto a conoscenza del progetto minerario a Punta Corna, a due passi da casa, nel “giardino dei torinesi”. Il ricercatore ha così deciso di mettere in evidenza alcune contraddizioni di questa tanto decantata transizione ecologica: «Il cobalto o il litio sono associati a una retorica di sostenibilità in quanto indispensabili alle batterie. In realtà, per come è stata organizzata, questa transizione ecologica, continua a implicare un’estrazione massiva di risorse naturali non rinnovabili e, quindi, il moltiplicarsi di siti estrattivi altamente inquinanti. Ciò non mi sembra molto ecologico».

      In questo senso il ritorno dell’estrazione mineraria su grande scala in Europa non è proprio una buona notizia: «L’estrattivismo non ha mai portato sviluppo e la materialità di questa dinamica investirà in particolare le aree di montagna. Per cui ho forti dubbi sulle promesse su cui si fondano tutti i progetti come quello di Punta Corna, e cioè che accettare il danno ecologico e paesaggistico portato dall’estrazione mineraria si traduca in sviluppo sociale ed economico per chi abita quei territori». Per Alberto Valz Gris, però, opporsi alle miniere europee non significa giustificare l’appropriazione di risorse in altri posti del mondo: «Dobbiamo immaginare alternative tecniche ed economiche che siano realmente al servizio dell’emergenza climatica, per esempio investendo nel riciclo delle risorse già in circolo nel sistema industriale in modo da ridurre al minimo la pressione antropica sugli ecosistemi». Il problema ruota attorno al fatto che «estrarre nuove materie prime dalle viscere della Terra è ad oggi molto meno costoso che non impegnarsi effettivamente nel riciclare quelle già in circolo»; questo vantaggio economico che «impedisce lo sviluppo di una vera economia circolare» è falsato poiché «non vengono mai calcolati i costi sociali e ambientali legati all’estrazione delle materie prime».

      Gli “sherpa” di Altamin

      Usseglio, alta Valle di Viù, Piemonte. Siamo di nuovo in quota, questa volta sul versante Sud della Punta Corna. Anche qui il territorio vive perlopiù di turismo e può contare su una centrale idroelettrica che capta l’acqua dal bacino artificiale più alto d’Europa. Su queste montagne, oltre i 2.500 metri, Altamin ha ottenuto di recente la possibilità di estendere i carotaggi in profondità. I lavori dovrebbero iniziare la primavera prossima. Ciò che non sembra preoccupare il sindaco Pier Mario Grosso: «Pare che ci sia una vena molto interessante, ma per capire se si potrà sfruttarla occorrono altri sondaggi».

      Il primo cittadino ci accoglie nel suo ufficio e ci mostra una cartina appesa alle pareti su cui si legge “miniere di cobalto”: «Erano le vecchie miniere poi abbandonate e su cui ora Altamin vuole fare delle ricerche perché il cobalto è il metallo del futuro». A Usseglio, l’approccio del comune è diverso rispetto a Balme. #Pier_Mario_Grosso è un imprenditore che vende tende e verande in piano. Per lui il progetto di Altamin potrebbe creare sviluppo in valle: «Questa attività porterà senz’altro benefici alla popolazione e aiuterà a combattere lo spopolamento. Sono quindi tendenzialmente favorevole al progetto, a patto che crei posti di lavoro e non sia dannoso per l’ambiente».

      Salutiamo il sindaco e saliamo fino alla frazione di #Margone dove abbiamo appuntamento per visitare un piccolo museo dei minerali. Qui incontriamo #Domenico_Bertino e #Claudio_Balagna, due appassionati mineralogisti che gestiscono questa bella realtà museale. Nelle bacheche scopriamo alcune perle delle #Alpi_Graie, come gli epidoti e la #Lavoisierite, un minerale unico al mondo scovato nella zona. Appese ai muri ci sono delle splendide mappe minerarie dell’800 trovate negli archivi di Stato di Torino. E poi c’è lui, il cobalto. Finalmente lo abbiamo trovato: «È in questa pietra che si chiama #Skutterudite e il cobalto sono questi triangolini di colore metallico, anche se in molti pensano che sia blu» ci spiegano i due ricercatori. Eccolo qui, il minerale strategico tanto agognato che oggi vale circa 52.000 dollari la tonnellata.

      Possiamo osservarlo nei minimi dettagli su un grande schermo collegato ad uno stereoscopio. Sul muro a lato un cartello sovrasta la nuova strumentazione: «Donazione da parte di Altamin». Tra il museo e la società vi è infatti un legame. Più volte, Domenico e Claudio hanno accompagnato in quota i geologi di Altamin a cercare gli ingressi delle vecchie miniere. Sherpa locali di una società che altrimenti non saprebbe muoversi tra gli alti valloni di queste montagne poco frequentate. Non c’è timore nell’ammetterlo e i due, uomini di roccia e legati nell’intimo a questo territorio, non sembrano allarmati: «Noi siamo una sorta di guardiani. Abbiamo ricevuto delle rassicurazioni e l’estrazione, se mai ci sarà, avverrà in galleria e sarà sottoposta a dei controlli. In passato abbiamo avuto le dighe che hanno portato lavoro, ma ora qui non c’è più nessuno e la miniera potrebbe essere una speranza di riportare vita in valle».

      Usseglio fuori stagione è affascinante, ma desolatamente vuota. Le poche persone che abbiamo incontrato in giro erano a un funerale. Il terzo nelle ultime settimane, il che ha fatto scendere il numero di abitanti sotto i duecento. Ma siamo sicuri che una miniera risolverà tutti i problemi di questa realtà montana? E se l’estrattivismo industriale farà planare anche qui la “maledizione delle risorse”? Torniamo a casa pieni di interrogativi a cui non riusciamo ancora a dare risposta. Nel 2023, dopo lo scioglimento delle nevi (sempre se nevicherà) Altamin inizierà i carotaggi in quota. Scopriremo allora se l’operazione Punta Corna avrà un seguito o se franerà nell’oblio. La certezza è che in Piemonte, come del resto in Europa e nel mondo, la caccia grossa a questi nuovi metalli critici continuerà.

      https://www.areaonline.ch/Caccia-al-cobalto-sulle-Alpi-piemontesi-2654a100

  • Questo fine settimana sulle Alpi la polizia ha ammazzato una persona, ma per la stampa l’unica vittima è un campo da golf.

    De #Lorenzo_D'Agostino

    🧵20 tweet per ristabilire la realtà dei fatti.

    Venerdì scorso sono andato a Claviere, l’ultimo paese italiano della Val di Susa sul confine francese, per partecipare al campeggio itinerante «Passamontagna». Mi avevano invitato a raccontare le mie inchieste sull’antimafia in una serie di dibattiti sulle politiche di frontiera.

    In questi giorni centinaia di persone stanno attraversando il passo di frontiera del Monginevro, spesso di notte per sentieri pericolosi. L’idea del campeggio era attraversare il confine con una grande marcia tutti insieme, in sicurezza, persone migranti e solidali.

    Sabato dopo pranzo, smantellato l’accampamento, ci siamo messi in marcia. Lentamente senza lasciare nessuno indietro. Nel gruppo c’erano persone stremate da un lungo viaggio, donne con bambini piccoli, qualche anziano. L’atmosfera era allegra. Ma appena passata la frontiera...

    ...ci siamo trovati davanti uno schieramento di gendarmi francesi in antisommossa. Occupando le alture, ci hanno bloccati su un viottolo molto scosceso. Un gesto violento, un lancio di gas, avrebbe provocato una caotica e pericolosissima fuga all’indietro del gruppo.

    Io che non ho esperienza di queste cose pensavo che il blocco si potesse forzare: eravamo dieci volte più numerosi. A 1800 metri d’altezza, lontani da ambulanze e ospedali, la gendarmerie era veramente disposta a rischiare decine di feriti, forse ammazzare qualcuno?
    Chi ha a che fare ogni giorno con la polizia francese però non ha avuto dubbi: con tante persone vulnerabili e inesperte nel gruppo, bisognava evitare lo scontro a ogni costo. I gendarmi hanno annunciato l’uso imminente della forza, e il gruppo si è dato lentamente indietro.
    Rientrando al campo base, abbiamo costeggiato un campo da golf. Un enorme spazio privatizzato a cavallo della frontiera, dove i turisti ricchi si muovono liberamente tra Italia e Francia. Il contrasto con il trattamento riservato a migranti e solidali era lacerante.

    Un piccolo gruppo si è staccato dal corteo, ha divelto le recinzioni e ha danneggiato il campo da golf. Non tutti hanno ritenuto opportuna quest’azione, ma la rabbia che esprimeva è la rabbia che sentivamo tutti.

    Rientrati a Claviere, si è ragionato sul da farsi. L’idea di agevolare il passaggio di frontiera delle persone in transito con una grande marcia è stata archiviata: era chiaro che la gendarmerie non avrebbe lasciato passare nessuno, finché durava il Passamontagna.
    I migranti avrebbero passato la frontiera come hanno sempre fatto: di notte, a piccoli gruppi, per i sentieri più impervi, nascondendosi da droni e visori termici della polizia. Il campeggio forniva, almeno, una base sicura dove dormire e a cui tornare in caso di respingimento.
    Quella sera ragionavo con una compagna: se a qualcuno succedesse qualcosa di brutto passando la frontiera, di chi sarebbe la colpa? A mio avviso, certamente della polizia: bloccando la possibilità di un attraversamento in sicurezza, si è assunta ogni eventuale conseguenza.
    Non è una discussione oziosa: l’ordinamento giuridico contempla la figura del «dolo eventuale». In Italia si usa per accusare di omicidio scafisti veri o inventati. Si dà quando chi agisce accetta il rischio che le proprie azioni causino un evento nefasto non direttamente voluto. Cassazione penale, sez. I, sentenza 15/03/2011 n ° 10411: "Il fondamento del dolo indiretto o eventuale va individuato nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento, che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In altri termini, l’agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento,...

    Malgrado la delusione e la rabbia, il sabato sera è trascorso in festa. Stornelli anarchici intorno al fuoco, e un dj-set di musica africana organizzato dalle persone in transito. Io ho dormito in un tendone con una ventina di persone che si preparavano a passare il confine.

    Domenica, smantellato di nuovo il campeggio, ognuno ha preso la sua strada. Alcuni hanno deciso di sfilare in corteo verso la Francia, per creare qualche piccolo, momentaneo disagio alla circolazione su una frontiera che lascia passare i ricchi e ammazza i poveri. Li ho seguiti.
    La reazione della gendarmerie è stata immediata: dalle alture, alla cieca, una fitta pioggia di gas lacrimogeni è stata sparata sul corteo pacifico e disarmato. Io, del tutto impreparato a uno scenario del genere, sono scappato via. Per me il Passamontagna è finito così.
    Lunedì mattina, al passo del Monginevro, un ciclista ha trovato il corpo esanime di un giovane guineano. Sopravvissuto al Sahara, al Mediterraneo, ucciso tra Italia e Francia. Voglio pensare che le sue ultime ore siano state di festa, circondato dai volti amici del Passamontagna.

    Allo stesso tempo sono partite le veline ai giornali per travisare la realtà. I dibattiti e le conferenze a cui ho partecipato non ci sono stati, assicura la sindaca di Claviere. La grande marcia del sabato, bloccata dalla gendarmerie, mai esistita. L’attacco al campo da golf...

    L’attacco al campo da golf collocato falsamente nella notte tra venerdì e sabato: non più una risposta alla violenza della polizia, ma un atto di vandalismo immotivato. Il lancio di gas della domenica? Inevitabile risposta al lancio di inesistenti «bombe carta» degli anarchici...

    E alla fine l’unica vittima è la turista Raffaella. Che ha sotto il naso un’implacabile strage di stato, ma vede soltanto «una tendopoli abusiva» e 400 scalmanati che «pietre alla mano, in virtù di non so bene quale ideale protestano contro non so quale ingiustizia»

    https://twitter.com/lorenzodago/status/1689600891605716993
    https://threadreaderapp.com/thread/1689600891605716993.html

    #victime #golf #tourisme #passamontagna #manifestation #Hautes-Alpes #Val_de_suse #Italie #frontières #migrations #France #inégalités

    • Sur le campement à travers la frontière « passamontagna » du début août ; un autre mort à la frontière

      La pratique du Passamontagna n’a pas fonctionné. Après des années, plusieurs camps et de nombreuses manifestations qui nous ont amenés à passer la frontière ensemble, sans que personne -le temps d’une journée - ne risque sa vie pour franchir cette ligne imaginaire qu’est la frontière, cette fois-ci, le #passage_collectif a échoué.

      versione italiana in seguito

      english version below

      Samedi 5 août plus de 500 personnes ont quitté le campement installé à Claviere pour rejoindre la prochaine étape, en France. La gendarmerie en tenue anti-émeute, déployée sur tous les chemins, a bloqué notre passage. Des #gaz_lacrymogènes et des #grenades_assourdissantes étaient déjà positionnés en amont du #cortège. Près de trente camions et voitures anti-émeutes du côté français, plus ceux positionnés du côté italien. Il a été décidé de ne pas aller jusqu’à l’affrontement qui aurait été nécessaire pour tenter de passer, afin d’éviter un très probable massacre. La police française a changé ses pratiques au fil des ans, augmentant de temps en temps son niveau de #violence et l’utilisation d’#armes. On s’est pas voulu - dans cette situation - risquer des blessures graves.
      Comme tous les jours, ce week-end a vu passer des centaines de personnes en route pour la France. Le camp a été un bon moment pour partager des réflexions, des discussions, des danses et des bavardages. Bien que le passage collectif ait échoué, les personnes exilées de passage sont néanmoins reparties, comme chaque jour sur cette frontière maudite. Plus de 100 personnes sont arrivées à Briançon dans le week-end.

      Une trentaine de refoulements.

      La rage conséquent au refoulement de masse a provoqué quelques réactions.
      Samedi aprés-midi, un cortège s’est mis en route en direction de la frontière, surprenant certains officiers italiens qui ont dû courir, et bloquant la frontière pendant plus d’une heure.
      Le lendemain, dimanche, un autre cortège s’est formé sur la route de #Claviere à #Montgenèvre, pour tenter d’atteindre la PAF, le quartier général des gardes-frontières. Un important dispositif de gendarmes, avec des camionettes et un canon à eau, a barré la route. Les gardes mobiles ont tiré de nombreux gaz lacrymogènes et quelques grenades assourdissantes et #flashballs. Sur les chemins d’en haut, les gendarmes qui tentaient de se rapprocher ont été tenus à distance pendant un bon moment.
      Pendant plus de deux heures, la frontière est restée fermée. Si personne ne passe, personne ne passe. Les marchandises et les touristes ne passent pas non plus, de sorte que ce point de passage de frontière devient inopérent.

      Si, ces jours-ci, quelqu’un - soit-disant - a "osé" gâcher le #terrain_de_golf en écrivant ou en binant, cela ne nous semble pas être une tragédie, bien au contraire. La privatisation de cette montagne dans l’intérêt de quelques riches et de touristes fortunés conduit également à sa militarisation. Protéger cet imaginaire, le paysage des villages de montagne où l’on peut jouer au golf en toute tranquillité sur le "golf transfrontalier 18 trous" appartenant à #Lavazza et à la commune de Montgenèvre et skier sur les pistes "sans frontières". Ou encore se balader à vélo électrique sur les mêmes sentiers que ceux empruntés par des dizaines d’exilés chaque jour, mais plus souvent la nuit, justement parce qu’ils ne sont pas visibles. Une destination pour touristes fortunés ne peut pas être une zone de transit pour migrants, ça gache trop le décor. Ils construisent également deux "#réservoirs_d’eau", en volant l’eau de l’environnement, pour être sûrs de pouvoir tirer de la neige en hiver sur ces pistes. Privatisation, exploitation et militarisation des montagnes vont de pair.

      Le camp de Passamontagna a également été un moment de rencontre, de discussion et de réflexion sur le monde qui nous entoure et sur les mécanismes d’exploitation et d’exclusion. Des réunions ont été organisées pour parler de l’extractivisme néocolonial qui pousse les gens à migrer, à quitter des territoires massacrés au nom du profit. De l’externalisation des frontières et de la création d’ennemis intérieurs. Des nouveaux mécanismes de répression étatiques et européens à l’égard des exilées et des autres. De luttes contre les CPR/CRA (centres de rétention administrative).
      Parce que dans une société qui nous veut de plus en plus individualistes et séparés, nous devons de plus en plus nous connaître, nous reconnaître, nous confronter, nous unir pour combattre un système de plus en plus totalisant et totalitaire.

      A Briançon, ville de première destination pour tous celleux qui franchissent cette frontière, le centre d’hébergement solidaire Les Terrasse est surchargé. Les arrivées sont trop nombreuses et les places toujours insuffisantes. C’est aussi pour cela qu’un nouveau lieu a été ouvert et rendu public lundi. Une occupation qui se veut aussi un lieu d’accueil et de rencontre pour ceux qui luttent contre cette frontière, chacun à sa manière. Il y a besoin de soutien et de matériel !

      L’adresse est 34A Avenue de la République, hôpital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      Un chaleureux merci à toutes les cuisines solidaires qui ont nourris des centaines des personnes pendant ces trois jours et à toutes les personnes qui y ont participé et rendu possible le camp.

      -- -

      Mais le lendemain on a appris une terrible nouvelle. Le lundi 7 aout, un jeune exilé a été retrouvé mort sur la route militaire reliant Montgenèvre à Briançon. Son nom était Moussa. Il était guinéen. Face contre terre, trouvé par un touriste à vélo. On n’en sait toujours pas plus.
      Un autre mort. Une victime de plus de cette frontière qui est de plus en plus marquée par la présence de la police aux frontières (PAF), déployée sur les chemins jour et nuit.
      Le onzième, le douzième, le vingtième, qui sait. Les chiffres ne sont pas clairs car tous les décès ne sont pas rendus publics. Officiellement, dix corps ont été retrouvés depuis 2018.
      Comme pour les autres décès, c’est clair qui sont les responsables. Il ne s’agit pas d’une mort aléatoire. Ce n’est pas de la malchance. Ce n’est pas un touriste qui meurt. C’est un "migrant" de plus, jeté des bus et des trains à la frontière, obligé de marcher la nuit pour échapper aux contrôles, pourchassé par les flics parce qu’il est catégorisé comme migrant et sans papiers, généralement parce que pauvre. Sur ces chemins, la PAF mène une chasse constante et raciste à tous ceux qui ne sont pas blancs et ne ressemblent pas à des touristes prêts à dépenser leur argent sur des terrains de golf ou des pistes de ski transformées en terrain de jeu pour vélos électriques en été.
      Et c’est à vélo, à pied ou en voiture que la PAF rôde sur les pistes à la recherche de ceux qui n’ont pas les bons papiers pour les traverser. Une nouvelle force militaire vient d’arriver à Montgenèvre avec pour objectif de limiter encore plus les entrées indésirables. Il y a des centaines de flics qui protègent cette frontière. Mais le flux de personnes ne s’arrête pas, car aucun filet, mur ou garde ne pourra jamais bloquer complètement le désir de liberté et la recherche d’une vie meilleure.
      Mais la paix est difficile à trouver aujourd’hui.
      Peut-être que si nous avions pu marcher ensemble, cela ne serait pas arrivé. Peut-être que si le Passamontagna avait fonctionné, ce garçon ne serait pas mort.
      Tous les flics présents sur ces chemins samedi et dimanche ont du sang sur les mains. Tout comme le préfet de Gap, qui avait rendu illégales toutes les manifestations et tous les campements pendant le week-end, et qui a donné l’ordre d’entraver le passage de toutes les manières possibles, a du sang sur les mains.

      Chaque policier est une frontière. Le bras armé d’un Etat qui continue à diviser, sélectionner et tuer au gré de ses intérêts politiques et économiques.
      Que les responsables paient cher, ici, à Montgenèvre, à Briançon, partout en France.

      Un pensée vient obscurcir notre esprit. Nous avons du mal à perdre de vue que le corps a été retrouvé sur la route militaire, qui peut être empruntée à pied mais aussi avec une voiture 4x4, que les gardes utilisent pour effectuer leurs patrouilles. Il est difficile de mourir par accident sur cette route, d’autant plus en été.
      Trop de personnes sont déjà mortes à la frontière, en fuyant la police. Rappelons Blessing Matthew, une jeune Nigériane de 20 ans, morte en 2018 dans la Durance en tentant d’échapper aux gendarmes qui la poursuivaient. Ou encore Fahtallah, retrouvé mort dans le barrage près de Modane, où il s’était aventuré après avoir été refoulé. Ou Aullar, 14 ans, mort écrasé par le train qu’il n’avait pu prendre à Salbertrand, en direction de la frontière. Ou encore tous ceux qui sont morts de froid ou sont tombés après avoir été refoulés à la frontière et s’être aventurés sur les sentiers les plus élevés.
      La militarisation de ces montagnes tue.

      La PAF, les gendarmes, l’Etat français, l’Europe. Ici les responsables de cette mort.

      La frontière est partout, dans chaque frontière à l’intérieur et à l’extérieur de l’Europe, là où elle est peut-être la plus reconnaissable, mais elle est aussi dans chaque rue, place ou gare où la police contrôle les papiers, elle est dans les centres de rétention administrative (CRA), elle est dans chaque bureau Frontex disséminé en Europe, elle est dans chaque usine d’armement ou dispositif de surveillance qui est produit en Europe et remis à la police des frontières.
      D’où une invitation à agir chacun à sa manière, chacun à sa place, contre les frontières.

      CONTRE TOUTES LES FRONTIÈRES, LES ÉTATS QUI LES CRÉENT ET LES UNIFORMES QUI LES PROTÈGENT.
      Quelques participants au camping Passamontagna
      Considerazioni sul campeggio passamontagna 2023. Un altro morto di frontiera.

      La pratica del Passamontagna non ha funzionato. Dopo anni, vari campeggi e numerose manifestazioni che ci hanno portato ad attraversare il confine assieme, senza che nessunx - per un giorno - rischiasse la vita per superare questa linea immaginaria chiamata frontiera, questa volta il passaggio collettivo é fallito.

      Sabato più di 500 persone sono partite dall’accampamento allestito a Claviere per arrivare alla prossima tappa, in Francia. I gendarmi in antisommossa, schierata su tutti i sentieri, hanno bloccato il passaggio. Lacrimogeni e bombe stordenti alla mano, posizionati già a monte rispetto al corteo. Quasi una trentina tra camionette e macchine sul lato francese, più quelle posizionate sul lato italiano. E’ stato scelto di non arrivare allo scontro che sarebbe stato necessario per tentare di passare, per evitare un probabile massacro. La polizia francese ha cambiato pratica in questi anni, aumentando di volta in volta il suo livello di violenza e uso delle armi. Non si è voluto - in quella situazione - rischiare feriti gravi.

      Come ogni giorno, anche in questo week end erano centinaia le persone di passaggio dirette in Francia. Il campeggio é stato un bel momento per condividere riflessioni, discussioni, balli e racconti. Nonostante il passaggio collettivo sia fallito, le persone di passaggio si sono comunque messe in cammino successivamente, come avviene ogni giorno su questa maledetta frontiera. Più di 100 persone sono arrivate a Briaçon nel weekend. Una trentina i push-back.

      La rabbia conseguente al respingimento di massa ha provocato alcune reazioni. Sabato pomeriggio un piccolo corteo é partito in direzione della strada sul confine, cogliendo di sorpresa qualche agente che si é ritrovato a dover correre, e bloccando la frontiera per più di un’ora.
      Domenica un altro corteo é stato fatto sulla strada che da Claviere porta a Monginevro, nel tentativo di arrivare alla caserma della PAF, la sede delle guardie che proteggono il confine. Un dispositivo importante di gendarmi, con camionette e un idrante sbarravano la strada. Le guardie hanno sparato lacrimogeni e qualche bomba stordente e priettili di gomma. Sui sentieri sopra la strada sono stati tenuti a distanza i gendarmi che cercavano di avvicinarsi.
      Per più di due ore la frontiera é rimasta chiusa.
      Se non passano tutti, non passa nessuno. Nemmeno le merci e i turisti, per cui questa frontiera di solito non esiste.

      Se in queste giornate qulcunx - dicono - ha "osato" rovinare i campi da golf con qualche scritta o zappata, non ci sembra una tragedia. La privatizzazione di questa montagna per gli interessi di pochi ricchi e dei turisti benestanti é anche ciò che porta alla sua militarizzazione. È anche per proteggere quest’immaginario, lo scenario dei paesini di montagna dove giocare a golf in tranquillità sulle "18 buche transfontaliere" di proprietà Lavazza e del Comune di Monginevro e sciare sulle piste "senza confine”, che vengono militarizzati i sentieri di queste montagne. Una meta per il turismo ricco non può essere zona di passaggio per migranti. A Monginevro stanno anche costruendo due "bacini idrici", che sottrarranno acqua all’ambiente circostante, per assicurare di avere neve artificiale nei caldi inverni a venire.
      Privatizzazione, sfruttamento e militarizzazione della montagna sono parte dello stesso meccanismo.

      Il campeggio Passamontagna è stato anche un momento di incontro, discussione, ragionamento sul mondo che ci circonda e sui dispositivi di sfuttamento ed esclusione. Ci sono stati incontri dedicati all’estrattivismo neocoloniale che spinge le persone a migrare, ad andarsene da territori massacrati in nome del profitto. Si è discusso di esternalizzazione delle frontiere e della creazione dei nemici interni. Di scafismo e DIA . Dei nuovi meccanismi legilsativi di guerra verso i/le migranti e solidali. Di lotte ai CPR/CRA.
      In una società che ci vuole sempre più individualisti e separati, dobbiamo incontrarci, conoscerci, riconoscerci, confrontarci e unirci per lottare un sistema sempre più totalitario.

      A Briançon, prima città di arrivo per tuttx coloro che attraversano questo confine, il rifugio solidale Les Terrasse é sovraccarico. Troppe le persone che arrivano, e i posti sono insufficienti. Anche per questo un nuovo spazio é stato aperto e reso pubblico lunedì 7 agosto. Un’occupazione che vuole essere anche un luogo di ospitalità e di incontro per chi questa frontiera la combatte, ognuno a suo modo. C’é bisogno di sostegno e materiali !
      L’indirizzo é 34A Avenue de la République, hopital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      Un ringraziamento enorme và a tutte le cucine solidali che hanno nutrito centinaia di persone in questi tre giorni e tutte le persone che hanno partecipato e reso possibile il campeggio.

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      Ma nei giorni successivi viene data una notizia terribile. Lunedì 7 agosto, un giovane "migrante" é stato trovato morto sulla strada militare che da Monginevro arriva a Birançon. Faccia a terra, ritrovato da un turista in bicicletta. Il suo nome era Moussa. Arrivava dalla Guinea.
      Per il momento non si sà molto di più.
      Un’altra morte. Un’altra vittima di questo confine che prende le sembianze dalla polizia di frontiera (PAF) schierata sui sentieri giorno e notte.
      La undicesima, dodicesima, ventesima, chissà. I numeri non sono chiari perché non tutte le morti vengono rese pubbliche. Ufficialmente, dal 2018 ad oggi, son stati ritrovati dieci cadaveri. E non é una morte casuale. Non é la sfortuna.
      A morire è l’ennesimo "migrante", buttato giù dai bus e treni in frontiera, obbligato a camminare di notte per fuggire in controlli, inseguito dalle guardie per il suo essere senza documenti, tendenzialmente perché povero. Come per le altre morti, i responsabili sono chiari. Su questi sentieri la PAF effettua una caccia costante, razzista, verso chi non é bianco e non sembra un turista pronto a spendere i suoi soldi sui campi da golf o sulle piste da sci che diventano parco giochi per bici elettriche d’estate.
      Ed é in bicicletta, a piedi, su quad o in macchina che si apposta la PAF sui sentieri alla ricerca di chi non ha il buon pezzo di carta per attraversarli. Dotata di droni, sensori e visori notturni, una nuova forza militare é arrivata recentemente a Monginevro con lo scopo di limitare ancora di più gli ingressi indesiderati. Centinaia di guardie proteggono questo confine. Ma il flusso di persone non si ferma, perché nessuna rete, muro o guardia riuscirà mai a bloccare il desiderio di libertà e la ricerca di una vita migliore.
      Ma é difficile oggi trovare pace.
      Forse, se il Passamontagna avesse funzionato, quel ragazzo non sarebbe morto.
      Ogni sbirro presente su quei sentieri sabato e domenica ha le mani sporche di sangue. Così come ha le mani sporche di sangue il Prefetto di Gap, che ha reso illegale ogni manifestazione e campeggio nel week end, e che ha dato ordine di impedire con ogni mezzo necessario il passaggio.
      Ogni sbirro é una frontiera. Braccio armato di uno stato che divide, seleziona e uccide a seconda dei propri interessi politici ed economici.
      Che la paghino cara i responsabili, qui, a Monginevro, a Briançon, ovunque.

      Un pensiero ci offusca la mente. Ci rimane difficile non pensare al fatto che il corpo é stato trovato sulla strada militare, percorribile a piedi e anche con una macchina 4x4, che infatti usano le guardie per effettuare i loro pattugliamenti. Difficile morire per caso su quella strada.
      Già troppi i morti in frontiera, in fuga dalla polizia. Ricordiamo Blessing Matthew, giovane ventenne nigeriana morta nel 2018 nel fiume Durance mentre cercava di scappare dai gendarmi che la inseguivano. O Fahtallah, trovato morto nella diga vicino a Modane, dove si era avventurato dopo essere stato respinto. O il 14enne Aullar, morto stritolato dal treno che non poteva prendere a Salbertrand, diretto al confine. O tutti gli altri morti di freddo o caduti dopo esere stati respinti alla frontiera ed essersi inespicati sui sentieri più alti.
      La militarizzazione di quste montagne uccide.
      La PAF, i gendarmi, lo stato francese, l’europa. Qui i responsabili di questa morte.

      La frontiera è ovunque, in ogni confine interno ed esterno all’europa, dove forse è più riconoscibile, ma è anche in ogni strada, piazza o stazione dove la polizia controlla i documenti, è nei centri di detenzione per il rimpatrio, è in ogni ufficio di Frontex sparso sul territorio europeo, è in ogni fabbrica di armi o di dispositivi di sorveglianza che prodotti in europa vengono regalati alle polizie di confine.
      Da qua un invito, di agire ognunx a suo modo, ognunx nel proprio luogo, contro le frontiere.

      CONTRO OGNI FRONTIERA, GLI STATI CHE LE CREANO, E LE DIVISE CHE LE PROTEGGONO
      Alcunx partecipanti al campeggio Passamontagna
      Considerations on the camping against the borders passamontagna. Another border death.

      The Passamontagna’s practice did not work. After years, various camps and numerous demonstrations that led us to cross the border together, without anyone - for one day - risking their life to cross this imaginary line called border, this time the collective crossing failed.

      On Saturday 5th, in fact, more than 500 people left the campsite set up in Claviere to reach the next stop, in France. The gendarmerie in riot gear, deployed on all the paths, blocked our passage. Tear gas and stun grenades were already positioned upstream from the procession. Almost thirty trucks and riot cars on the French side, plus those positioned on the Italian side. It was decided not to go to the clash that would have been necessary to try to pass, to avoid a very likely massacre. The French police have changed their practice over the years, increasing their level of violence and use of weapons from time to time. We did not want - in that situation - to risk serious injuries.
      Like every day, this weekend there were hundreds of people passing through on their way to France. The camp was a good time to share reflections, discussions, dancing and chatting. The people passing through nevertheless left, as happens every day on this cursed border. More than 100 people arrived in Briançon this weekend. Around thirty push-backs.

      The anger at not being able to cross the border to continue camping in France provoked some reactions.
      On the same day, Saturday, a march started in the direction of the road, catching some Italian officers by surprise as they had to run, and blocking the border for more than an hour.
      The next day, Sunday, another march took place on the road from Claviere to Montgenèvre, in an attempt to reach the PAF, the headquarters of the guards protecting the border. An important device of gendarmes, with small trucks and a water cannon barred the road. The guards fired many tear gas and some stun grenades and flashballs. On the paths above, the guards that tried to get closer went keeped far.
      For more than two hours the border remained closed. If no one passes, no one passes. Neither do goods or tourists, so in practice this border does not exist.
      If these days someone - they say - has ’dared’ to spoil the golf course with some writing or hoeing, it does not seem like a tragedy, quite the contrary. The privatisation of this mountain for the interests of the rich few and wealthy tourists is what also leads to its militarisation. To protect this inmaginary, the scenery of the mountain villages where one can play golf in peace on the ’18-hole cross-border golf course’ owned by Lavazza and the Montgenèvre municipality and ski on the ’borderless’ slopes. Or whizzing on electric bicycles on the same trails travelled by dozens of migrants every day but more often at night, precisely because they cannot be seen. A destination for wealthy tourists cannot be a transit area for migrants. They are also building two ’water reservoirs’, stealing water from the surrounding environment, to make sure they can shoot snow in winter on these trails. Privatisation, exploitation and militarisation of the mountains go together.

      The Passamontagna camp was also a time for meeting, discussion, and reasoning about the world around us and the devices of exploitation and exclusion. There were meetings that spoke of neo-colonial extractivism that pushes people to migrate, forced to leave territories massacred in the name of money. Of externalisation of borders and the creation of internal enemies. Of scafism and DIA (anti-mafia investigative directorate). Of new state and European repression mechanisms towards migrants and others. Of confrontation in the CPR/CRA struggles.
      Because in a society that wants us to be increasingly individualistic and separate, we must increasingly know each other, recognise each other, confront each other, unite to fight an increasingly totalising and totalitarian system.

      In Briançon, town of initial destination for all those who cross this border, the solidarity shelter Les Terrasse is overloaded. Too many people arrive, and places are always running out. This is also why a new place was opened and made public on Monday. An occupation that also wants to be a place of hospitality and a meeting place for those who fight this border, each in their own way. Support and materials are needed !
      The address is 34A Avenue de la République, hopital les jeunes pousses SSR, Briançon.

      A huge thank you goes to all the solidarity kitchens that fed hundreds of people over these three days and all the people who participated and made the camp possible.

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      But we learn a terrible news in the next days. Monday 7 agust, a young migrant was found dead on the military road from Montgenèvre to Briançon. Face down on the ground, found by a tourist on a bicycle. We still don’t know anything more.
      Another death. Another victim of this border that takes the shape of the border police (PAF) deployed on the paths day and night.
      The 11th, 12th, 20th, who knows. The numbers are unclear because not all deaths are made public. Officially, ten bodies have been found since 2018.
      As with the other deaths, it’s clear who is responsible. It is not a random death. It is not bad luck. It is not a tourist who dies. It is yet another "migrant", thrown off buses and trains at the border, forced to walk at night to escape through controls, chased by guards for being a migrant and undocumented, tending to be poor. On these paths the PAF carries out a constant, racist hunt towards anyone who is not white and does not look like a tourist ready to spend his money on golf courses or ski slopes turned into playground for electric bikes in summer.
      And it is by bicycle, on foot or by car that the PAF lurks on the trails looking for those who do not have the good papers to cross them. A new military force has recently arrived in Montgenèvre with the aim of limiting unwanted entry even further. Hundreds guards protect this border. But the flow of people does not stop, because no net, wall or guard will ever be able to completely block the desire for freedom and the search for a better life.
      But peace is difficult to find today.
      Perhaps if we had been able to walk together this would not have happened. Perhaps if the Passamontagna had worked that boy would not have died.
      Every cop on those paths on Saturday and Sunday has blood on his hands.
      So too has blood on his hands the Prefect of Gap, who made all demonstrations and camping illegal over the weekend, and who gave orders to prevent the passage in every way.
      Every cop is a border. The armed arm of a state that continues to divide, select and kill according to its political and economic interests.
      Let those responsible pay dearly, here, at Montgenèvre, at Briançon, everywhere in France.

      Another thought clouds our minds. We find it hard not to think about the fact that the body was found on the military road, which can be travelled on foot and also with a 4x4 car, which the guards use to carry out their patrols. It is difficult to die by accident on that road.
      Already too many have died on the border running the police. Recall Blessing Matthew, a young 20-year-old Nigerian woman who died in 2018 in the Durance River while trying to escape from the gendarmes who were chasing her. Or Fahtallah, found dead in the dam near Modane, where he had ventured after being turned back. Or 14-year-old Aullar, who died crushed by the train he could not catch in Salbertrand, bound for the border. Or all the others who froze to death or fell after being turned back at the border and venturing onto the highest paths.

      Militarisation kills on these montains.
      The PAF, the gendarmes, the French state, Europe. Here the responsible for this death.

      The border is everywhere, in every border inside and outside Europe, where perhaps it is most recognisable, but it is also in every street, square or station where the police check documents, it is in the detention centres for repatriation, it is in every Frontex office scattered across Europe, it is in every arms factory or surveillance device that is produced in Europe and given to the border police.
      Hence an invitation, to act each in his own way, each in his own place, against borders.

      AGAINST ALL BORDERS, THE STATES THAT CREATE THEM AND THE UNIFORMS THAT PROTECT THEM
      Some participants of the Passamontagna camp

      https://valleesenlutte.org/spip.php?article606

  • “Ogni giorno ci sono migranti respinti al confine dalla Francia. Spesso famiglie”. Viaggio in Valsusa nel rifugio costretto alle brandine in corridoio

    Il confine alpino tra l’Italia e la Francia passa in mezzo a un campo da golf. Non si vede ma c’è. Una pallina può attraversarlo, ma una bambina di un anno no. Viene fermata dalla polizia francese mentre insieme ai suoi genitori prova a passare la frontiera camminando sui sentieri a oltre 1700 metri d’altitudine. Vorrebbero chiedere asilo in Francia ma la polizia li intercetta nei boschi e li rispedisce indietro. Un destino che riguarda sempre più persone.

    Da qualche settimana il numero dei migranti lungo la rotta alpina che passa da Claviere è aumentato. “Siamo arrivati a contare anche 150 persone in una sola notte” racconta Elena, una delle operatrici del Rifugio Fraternità Massi di Oulx. Un “porto sicuro” nato nel dicembre 2021 grazie a tante realtà come Talitá kun, Rainbow4Africa, la diaconia valdese, On Borders, Medu, Croce Rossa e grazie a 170 volontari che si alternano per garantire un aiuto alle persone in transito. Nel solo mese di luglio più di mille migranti sono stati ospitati qui. Il 10 per cento sono minori stranieri non accompagnati che per il diritto europeo dovrebbero poter passare il confine, ma non gli viene consentito.

    “Rispetto agli anni scorsi, nel 2023 abbiamo visto che la maggior parte delle persone proviene non più dalla rotta balcanica ma direttamente da Lampedusa – spiega l’antropologo Piero Gorza di On Borders – non più afghani e iraniani, ma arrivano per lo più dall’Africa Subsahariana e sono sbarcati in Italia da poche settimane”. Un cambio che comporta delle nuove difficoltà per queste persone. “Non sono abituati a camminare in montagna sui sentieri di notte e per di più continua la ‘caccia all’uomo’ da parte della polizia di frontiera francese”. Il risultato è che la rotta alpina diventa sempre più difficile per i migranti che per evitare i gendarmi si spingono su sentieri sempre più in alto. E i rischi aumentano. “Siamo partiti in sei ma quando abbiamo visto la polizia siamo scappati sparpagliandoci tra i boschi – racconta un ragazzo che ha poco più di vent’anni e che proviene dalla Costa d’Avorio – mi sono perso, ero in mezzo alla neve e presto le mani mi si sono congelate. Non riuscivo più a camminare. Ho avuto paura di morire”. Ma è riuscito a chiamare la Croce Rossa che lo ha salvato riportandolo al rifugio.

    L’elenco di chi non ce l’ha fatta a salvarsi continua però ad allungarsi. Lunedì mattina il corpo di un migrante morto è stato trovato sui sentieri tra Monginevro e Briancon, sul lato francese. L’ennesima vittima che si aggiunge a quelle degli scorsi anni. “Non siamo di fronte ad un fatto tragico ed eccezionale, ma ad una concreta eventualità che si ripropone ogni giorno ad ogni respingimento”, spiega l’associazione On borders che ha contato dieci morti accertati negli ultimi anni. Persone a cui è difficile dare un volto e un nome. Nel 2018 Blessing è morta mentre scappava dalla polizia, nel 2022 Fahtallah è stato trovato morto nella diga vicino a Modane, nello stesso anno il 14enne Aullar è morto stritolato dal treno a Salbeltrand. “Non è la montagna che uccide ma il sistema di frontiera – scrive On Borders – i morti nel Mediterraneo, a Cutro, a Ventimiglia e sulle Alpi sono il risultato di una stessa pianificata politica dell’orrore”.

    Le attività di soccorso e accoglienza su questo confine non si fermano mai, neanche d’estate. E quando c’è bisogno di letti aggiuntivi perché il rifugio di Oulx è pieno, i corridoi del polo logistico Cri di Bussoleno si riempiono di brandine per ospitare le persone in transito. “In Valsusa viviamo il riflesso della situazione che sta vivendo l’Italia – racconta Michele Belmondo del Comitato della Croce Rossa di Susa facendo riferimento ai 2 mila sbarchi del mese di luglio – ma non si può parlare di emergenza perché quello della migrazione è ormai un fenomeno strutturale che va avanti da anni”. Piuttosto sul lato italiano si va “un pochino più in difficoltà quando la frontiera diventa impermeabile per le condizioni meteo avverse o per i maggiori controlli da parte della polizia di frontiera”. E i governi italiani che si sono succeduti continuano “a lavarsene le mani” come spiega Gorza. “I decreti Cutro, la legge 50 e gli accordi con la Tunisia finiranno solo con il rendere più pericoloso il cammino dei migranti – conclude l’antropologo – dunque il risultato sarà la clandestinizzazione di queste persone e l’arricchimento dei trafficanti oltre a un costo umano altissimo perché puoi bloccare un accesso, ma si apriranno nuove rotte più pericolose con più morti. La gente non può né tornare indietro né restare, l’unica possibilità per loro andare avanti”. La migrazione, del resto, come spiega il ragazzo ivoriano “è un fenomeno naturale e non si può fermare. Proprio per questo occorre cambiare le leggi”.

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/09/ogni-giorno-ci-sono-migranti-respinti-al-confine-dalla-francia-spesso-famiglie-viaggio-in-valsusa-nel-rifugio-costretto-alle-brandine-in-corridoio/7254891

    #frontières #frontière_sud-alpine #Val_de_Suse #Italie #France #refoulements #Alpes #montagne #push-backs #migrations #asile #réfugiés #film #reportage #vidéo #Croix-Rouge #urgence #Oulx #rifugio_fraternità_massi #fraternità_massi #chasse_à_l'homme #danger

  • Piemonte, corsa alle nuove miniere : da #Usseglio al Pinerolese si cercano nichel, cobalto, grafite e litio

    Scatta la corsa alle terre rare: la Regione deve vagliare le richieste delle multinazionali su una decina di siti

    Nei prossimi anni il Piemonte potrebbe trasformarsi in una grande miniera per soddisfare le esigenze legate alla costruzione degli apparecchi digitali e all’automotive elettrico. È un futuro fatto di cobalto, titanio, litio, nichel, platino e associati. E non mancano nemmeno oro e argento. Un grande business, infatti oggi si parla di «forti interessi» di aziende estrattive nazionali e straniere. Anche perché la Commissione Europea ha stabilito che «almeno il 10% del consumo di materie prime strategiche fondamentali per la transizione green e per le nuove tecnologie dovrebbe essere estratto nell’Ue, il 15% del consumo annuo di ciascuna materia prima critica dovrebbe provenire dal riciclaggio e almeno il 40% dovrebbe essere raffinato in Europa». In questo contesto il Piemonte è considerato un territorio strategico. Anche perché l’anno scorso il mondo ha estratto 280mila tonnellate di terre rare, circa 32 volte di più rispetto alla metà degli anni 50. E la domanda non farà che aumentare: entro il 2040, stimano gli esperti, avremo bisogno di sette volte più terre rare rispetto a oggi. Quindi potrebbero essere necessarie più di 300 nuove miniere nel prossimo decennio per soddisfare la domanda di veicoli elettrici e batterie di accumulo di energia, secondo lo studio condotto da Benchmark Mineral Intelligence.

    «Al momento abbiamo nove permessi di ricerca in corso, ma si tratta di campionature in superficie o all’interno di galleria già esistenti, come è avvenuto a Punta Corna, sulle montagne di Usseglio – analizza Edoardo Guerrini, il responsabile del settore polizia mineraria, cave e miniere della Regione -. C’è poi in istruttoria di via al ministero dell’Ambiente un permesso per la ricerca di grafite nella zona della Val Chisone». Si tratta di un’area immensa di quasi 6500 ettari si estende sui comuni di Perrero, Pomaretto, San Germano Chisone, Perosa Argentina, Pinasca, Villar Perosa, Pramollo, Roure e Inverso Pinasca che interessa all’australiana Energia Minerals (ramo della multinazionale Altamin). E un’altra società creata da Altamin, la Strategic Minerals Italia, nella primavera prossima, sulle montagne di Usseglio, se non ci saranno intoppi, potrà partire con le operazioni per 32 carotaggi nel Vallone del Servin con una profondità variabile da 150 a 250 metri. Altri 25 sondaggi verranno invece effettuati nel sito di Santa Barbara, ma saranno meno profondi. E, ovviamente, ambientalisti e amanti della montagna, hanno già espresso tutti i loro timori perché temono uno stravolgimento del territorio. «Nelle settimane scorse ho anche ricevuto i rappresentati di una società svedese interessati ad avviare degli studi di valutazione in tutto il Piemonte con l’obiettivo di estrarre minerali – continua Guerrini – anche perché l’Unione Europea spinge per la ricerca di materie prime indispensabili per la conversione ecologica e quindi l’autosufficienza energetica».

    È la storia che ritorna anche perché il Piemonte è stata sempre una terra di estrazione. Basti pensare che, solo nel Torinese, la cavi attive «normali» sono 66. E ora, a parte Usseglio e il Pinerolese, ci sono richieste per cercare nichel in Valle Anzasca, rame, platino e affini nel Verbano Cusio Ossola, dove esiste ancora una concessione non utilizzata per cercare oro a Ceppo Morelli nella Val d’Ossola (anche se il giacimento più sfruttato per l’oro è sempre stato quello del massiccio del Rosa) e la richiesta di poter coltivare il boro nella zona di Ormea. E pensare che, dal 2013 al 2022, le aziende che si occupano di estrazione di minerali da cave e miniere in Piemonte sono scese da 265 a 195. «Il settore estrattivo continua a essere fonte di occupazione – riflette l’assessore regionale Andrea Tronzano -. Con il piano regionale in via di definizione vogliamo dare certezze agli imprenditori e migliorare l’attuale regolamentazione in modo che ci siano certezze ambientali e più facilità nel lavorare. Le miniere su materie prime critiche sono oggetto di grande attenzione e noi vorremmo riattivare le nostre potenzialità come ci chiede la Ue. Ci stiamo lavorando con rispetto per tutti, anche perché qui non siamo nè in Cina nè in Congo. Vedremo le aziende che hanno chiesto di fare i carotaggi che cosa decideranno. Noi le ascolteremo».

    https://www.lastampa.it/torino/2023/08/06/news/piemonte_nuove_miniere_usseglio_nichel_cobalto-12984408

    #extractivisme #Italie #mines #nickel #cobalt #graphite #lithium #Alpes #montagnes #Piémont #Pinerolo #terres_rares #multinationales #transition_énergétique #Punta_Corna #Val_Chisone #Energia_Minerals #Altamin #Strategic_Minerals_Italia #Vallone_del_Servin #Santa_Barbara #Valle_Anzasca #Verbano_Cusio_Ossola #cuivre #platine #Ceppo_Morelli #Val_d'Ossola #or #Ormea

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    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • A #Briançon, l’accueil des migrants de plus en plus compliqué : « Ce n’est plus gérable »

    « Beaucoup marché dans le désert… C’est pas facile… Police tunisienne courir derrière moi… Marcher cinq jours, pas d’eau, pas d’ombre… » Il ne s’arrête plus. Sans qu’on ne lui ait posé la moindre question, Issouf (les personnes citées par leur prénom n’ont pas souhaité donner leur nom), s’est mis à parler du parcours migratoire qu’il a engagé il y a presque six mois depuis le Burkina Faso, aux côtés de son père Abdoul.

    Le garçon de 10 ans montre ses jambes, couvertes de cicatrices. Des cailloux sur lesquels il serait tombé, souvent. « J’ai vu des cadavres, des gens mourir. Le Sahara a tué les gens, demande à papa ! Je dis la vérité » , poursuit-il, agitant ses bras.

    Après avoir traversé le Mali, l’Algérie et la Tunisie, Issouf et son père ont franchi la Méditerranée jusqu’à l’île italienne de Lampedusa. « Ma maman ne voulait pas qu’on traverse, elle avait peur, elle disait : “Retournez-vous”. On a risqué la vie. Tout le monde rit maintenant. Ils sont contents. »

    Fin juillet, Issouf et Abdoul ont passé à pied le col alpin de Montgenèvre, près de la frontière entre l’Italie et la France. Une route privilégiée depuis la fin de l’année 2016 et la recrudescence des contrôles policiers dans les Alpes-Maritimes. Issouf et Abdoul ont été refoulés une première fois par la police française, avant de réussir leur passage et de gagner Briançon (Hautes-Alpes), à une quinzaine de kilomètres.

    On les rencontre aux Terrasses solidaires, un ancien sanatorium de la ville, racheté 1 million d’euros en 2021 par une poignée de fondations et d’associations telles que Refuges solidaires, Médecins du monde ou Tous migrants et au sein duquel sont désormais accueillis les migrants en transit.

    « J’étais dos au mur »

    « Inchallah, on va trouver les documentset on va faire venir maman en France » , nous dit Issouf, volubile. Son père, Abdoul, est dans le dur. Il a laissé sa femme et deux de ses enfants dans un Burkina Faso « invivable », en proie à l’ « insécurité » et à la « crise » économique. Il vivait à Koudougou, la troisième ville du pays, sous la férule de groupes djihadistes. « Tout saute, raconte-t-il, en pleurs. J’aurais pu devenir djihadiste, j’étais dos au mur. Si tu n’es pas fort d’esprit, tu peux faire n’importe quoi pour t’en sortir. »

    De sa route vers la France, il raconte chaque étape, les nuits passées cachés dans des champs d’oliviers à attendre les passeurs, sans bruit, les francs CFA acquittés à chaque étape, les pick-up et les marches harassantes, les nombreux refoulements de la Tunisie vers l’Algérie, les petits boulots comme aide-maçon payés 30 dinars (8,80 euros) la journée, les gens « de bonne foi » qui lui offraient à boire et à manger, ou ceux, effrayants, qui raflaient « les Noirs »et les envoyaient vers le désert.

    Depuis le mois de mai, à Briançon, on constate un afflux de personnes aux Terrasses solidaires, en lien avec l’augmentation des départs depuis la Tunisie, un pays en proie à une crise économique et à une montée des violences envers les migrants subsahariens. La nuit, ils peuvent être soixante-dix à arriver au refuge. Ces derniers jours, le nombre de personnes hébergées sur place est monté à plus de 200, des hommes presque exclusivement, alors que les normes de sécurité limitent la capacité d’accueil du lieu à une soixantaine de personnes.

    Des tentes ont été montées à l’extérieur du bâtiment ; le réfectoire est devenu un vaste dortoir où une quarantaine de lits de camp ont été alignés. Les personnes s’y reposent, un œil sur leur téléphone quand elles ne dorment pas, le visage enfoui sous une couverture.

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent »

    Les bénévoles ont toujours connu les variations saisonnières des arrivées. A l’hiver 2021, tout juste après avoir été inauguré, le lieu avait fermé ses portes plusieurs semaines alors que quelque 230 personnes s’y trouvaient.

    « On est saturé, alerte aujourd’hui encore Luc Marchello, membre du conseil d’administration des Terrasses solidaires. Ce n’est plus gérable, ni par rapport à la dignité de l’accueil ni par rapport aux tensions que cela génère. » « On demande à la préfecture d’ouvrir un centre d’hébergement mais elle nous laisse sans réponse » , se désole Alfred Spira, professeur de médecine à la retraite et également membre du conseil d’administration du refuge.

    Sollicités sur le sujet, les services de l’Etat dans le département assurent dans un mail au Monde que les demandes d’hébergement faites auprès du 115 – le Samusocial – « restent conformes au nombre constaté les années précédentes à la même époque ».

    « Nos stocks de nourriture s’épuisent, les dons arrivent de façon ponctuelle. On a trois veilleurs de nuit salariés, on en voudrait bien quatre » , explique pour sa part Jean Gaboriau, administrateur de l’association Refuges solidaires. Les seuls deniers publics seraient ceux de l’agence régionale de santé, qui consacrerait environ 40 000 euros par an à la prise en charge de la blanchisserie.

    Du reste, une quinzaine de bénévoles s’activent chaque jour sur place. « On est complètement accaparés par la gestion de l’accueil, témoigne Luc Marchello . En général, les personnes restent entre trois et cinq jours mais une partie ne sait pas où aller ou attend un [transfert d’argent] Western Union pour pouvoir acheter un billet de train. »

    Abdoul et Issouf sont de ceux que personne n’attend. « Il nous faut des indices pour nous orienter. On ne connaît personne en France, confie le père, qui souhaite déposer une demande d’asile. On se mettra dans les mains des gens qui sont gentils. » Quelques jours plus tard, il partira vers Strasbourg.

    Mounir, lui, veut aller à Paris pour travailler dans la pâtisserie. Au Maroc, dont il est originaire, le salaire qu’il pouvait espérer n’atteint pas les 300 euros. « Et puis tu n’es pas déclaré et tu te fais dégager du jour au lendemain » , dit-il. Le jeune homme de 25 ans s’inquiète de la possibilité de travailler en France alors qu’il n’a pas de titre de séjour et se renseigne sur les démarches à faire pour être régularisé. Avec ses quelques compagnons de route, originaires des villes de Marrakech, Ouarzazate, Midelt ou Tiznit, il a d’abord pris un avion vers la Turquie avant de remonter la route dite des Balkans. La plupart ont l’Espagne en ligne de mire. Pour y faire de la soudure, de l’électricité, de la coiffure ou de l’agriculture, qu’importe. Là-bas, ont-ils compris, obtenir les papiers ne prendrait « que » deux ans et demi.

    https://www.lemonde.fr/article-offert/effyfhbwvptb-6184494/a-briancon-l-accueil-des-migrants-de-plus-en-plus-complique-ce-n-est-plus-ge

    #asile #migrations #réfugiés #accueil #Briançonnais #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #Alpes #hébergement #mise_à_l'abri #terrasses_solidaires #refuge_solidaire #refuges_solidaires #frontières #Italie #France #Montgenèvre #115

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    Juin 2023 :
    Nouveau cri d’alarme du #Refuge_solidaire
    https://seenthis.net/messages/1004387

    • Migranti, emergenza in Val di Susa: centri di accoglienza al limite per i profughi diretti in Francia

      I controlli alla frontiera sempre più stringenti, in pochi giorni arrivate a #Oulx più di 150 persone.

      Al #Rifugio_Fraternità_Massi di Oulx la parola emergenza è ormai scomparsa dal lessico quotidiano. Il flusso costante di uomini, donne e bambini che ogni giorno cercano di attraversare il confine ha perso da tempo i caratteri dell’eccezionalità, evolvendosi in un fenomeno sempre più sistemico, ma non per questo meno tragico.

      A dimostrarlo sono i numeri registrati dalle associazioni impegnate nel progetto #MigrAlp; un bilancio impietoso che vede il rifugio di don Luigi Chiampo ospitare ogni notte un centinaio di persone, malgrado i posti disponibili all’interno della struttura siano soltanto una settantina.

      Ad inizio agosto in un paio di occasioni si è arrivati addirittura a raggiungere le 150 presenze e da allora la necessità ha finito per trasformare in abitudini consolidate quelle che un tempo erano soluzioni emergenziali. Non fanno più notizia le brandine allestite in sala mensa, né i viaggi intrapresi ogni sera dalla Croce Rossa per trasportare al polo logistico di Bussoleno quanti non trovano posto ad Oulx.

      La situazione, intanto, resta grave anche al confine francese, come testimoniano i quasi 300 migranti accolti lo scorso 13 agosto al centro delle Terrasses Solidaires di Briançon. «La militarizzazione della frontiera non fa che incentivare la clandestinità e mettere a rischio la vita dei più deboli - spiega Piero Gorza, antropologo e referente Medu per il Piemonte – dal 2018 ad oggi sulle nostre montagne sono morte 10 persone, l’ultima soltanto una manciata di giorni fa. L’aumento dei flussi e il mutamento della loro composizione ha visto moltiplicarsi le vulnerabilità di quanti affrontano il cammino». Gli iraniani, afghani e curdi che fino allo scorso ottobre rappresentavano il 70% delle persone in transito ad Oulx sono ora soltanto una minoranza.

      «Quanti provengono dalla rotta balcanica scelgono di passare da Como o dalla Svizzera, dove ottengono un foglio di via che consente loro di arrivare più facilmente in Germania», spiega Paolo Narcisi, presidente dell’associazione Rainbow for Africa. Ad affrontare le montagne dell’alta Val Susa sono ormai perlopiù i migranti dell’Africa subsahariana.

      Sono molte le donne, spesso incinte o con al seguito i bambini talvolta frutto delle violenze subite nei campi di transizione libici. Tanti, troppi, i minori non accompagnati. «Da gennaio ne abbiamo accolti un centinaio al polo logistico di Bussoleno – sottolinea Michele Belmondo, responsabile delle emergenze della Croce Rossa di Susa – un dato allarmante se paragonato ai 90 di cui ci siamo occupati nel corso dell’intero 2022».

      Recano sul corpo i segni delle torture e di un cammino di cui spesso ignorano le insidie, basti pensare ai due ragazzi recuperati l’altro giorno dal Soccorso Alpino sopra Bardonecchia, a 2mila metri di altitudine, con ai piedi un paio di ciabatte.

      Ad accrescere la preoccupazione in vista dell’autunno contribuisce inoltre la carenza di risorse economiche. «Se la situazione rimarrà invariata, entro fine settembre avremo terminato i fondi stanziati per il 2023 dalla Prefettura per la gestione del progetto MigrAlp - precisa Belmondo - 550 mila euro a fronte dei 750 mila richiesti da associazioni e istituzioni. Arriveranno a consuntivo soltanto a fine anno».

      https://www.lastampa.it/torino/2023/08/23/news/migranti_emergenza_alta_val_di_susa-13007663
      #Val_Suse #Suisse #Côme #Chiasso #Tessin

    • "Combien de temps on va tenir ?" : les Terrasses de Briançon dépassées par l’afflux inédit de migrants venant d’Italie

      Pour la première fois depuis son ouverture en 2021, les Terrasses solidaires, lieu associatif de Briançon à la frontière franco-italienne, a accueilli plus de 300 migrants pendant deux jours. « On navigue à vue », raconte un administrateur du lieu, d’une capacité d’accueil maximum de 81 places.

      La situation aux Terrasses solidaires de Briançon empire. Les 13 et 14 août, le lieu associatif a accueilli plus de 300 personnes. « Une première », indique Jean Gaboriau, l’un des administrateurs du lieu, à InfoMigrants. Et depuis, l’accueil ne faiblit que légèrement. Ce mercredi, 220 personnes étaient admises, là où il n’y a qu’environ 80 places.

      D’ordinaire, les associatifs et citoyens solidaires voient plutôt arriver « entre 5 et 30 personnes par jour » à Briançon, décrit Luc Marchello, responsable de la sécurité des Terrasses Solidaires. Mais le week-end dernier par exemple, une centaine d’exilés, pour la quasi-totalité originaire d’Afrique subsaharienne, sont arrivés en une nuit.

      Des matelas sont posés à même le sol où c’est possible, des tentes sont installées sur les terrasses extérieures… « On n’a pas le choix, on pousse les murs », raconte Jean Gaboriau. Et d’ajouter : « Le réfectoire est devenu un dortoir. Les gens dorment par terre ». À l’étage, normalement condamné, un petit espace a été aménagé afin d’accueillir le plus calmement possible les populations vulnérables comme les femmes enceintes ou les enfants.
      Appel à l’aide de l’État

      Ici, le va-et-vient est quotidien. Chaque jour, de nouveaux exilés viennent remplacer ceux qui partent. « Depuis le mois de mai, la situation est très compliquée. On tourne à minimum 150 personnes (soit plus de deux fois la capacité d’accueil, ndlr) », raconte l’administrateur.

      Et les nouveaux arrivants, la plupart du temps, arrivent fortement impactés par la traversée des Alpes entre l’Italie et la France, qui se fait aujourd’hui en grande partie par le Col de Montgenèvre. « Cela varie, mais beaucoup arrivent blessés aux chevilles, genoux… Ou sont en état de déshydratation, complète Jean Gaboriau. Il y a aussi beaucoup de femmes enceintes, dont certaines sont très, très proches du terme. »

      Ce passage peut aussi engendré la mort. Le corps d’un exilé y a été retrouvé le 7 août dernier. Selon des informations d’Infomigrants, il s’agit d’un Guinéen âgé de 19 ans. Une enquête est toujours en cours et l’autopsie n’a pas permis de découvrir les causes de la mort mais elles sont « non suspectes et certainement pas d’origine traumatiques », selon le procureur de la République de Gap, Florent Crouhy.

      Ainsi, les bénévoles du lieu en appellent à l’État et regrettent, dans un communiqué publié mardi, qu’"aucune réponse n’a jamais été apportée par l’État aux situations de crise rencontrées dans ce lieu d’hébergement". Après plusieurs courriers envoyés à la préfecture des Hautes-Alpes, des signalements effectués aux pompiers, ils demandent aux autorités « l’ouverture d’un dialogue » ainsi que « la création d’un centre d’hébergement d’urgence mobile ». « La seule réponse que l’on a obtenue de la préfecture, c’était le 31 juillet, et c’était une lettre qui rappelait la loi et l’interdiction d’aider des personnes en situation irrégulière à rentrer en France », se désole Jean Gaboriau.

      Contactée par Infomigrants, la préfecture indique que « les difficultés de l’association gestionnaires des Terrasses Solidaires ont bien été entendues par la Préfecture, qui leur a répondu ». Mais « cette situation n’a pas vocation à durer ». Et d’ajouter : « La seule solution efficace aux difficultés rencontrées par les associations et, plus largement, les territoires impactées par ce triste phénomène, est le renforcement progressif du dispositif de lutte contre l’immigration illégale. »
      "On navigue à vue"

      Et la situation ne va pas aller en s’arrangeant, s’inquiètent les bénévoles, « au vu de l’importance du nombre de personnes qui arrivent en Italie depuis le début de l’année ». L’Italie enregistre en effet un record d’arrivées par la mer avec 101 386 migrants débarqués depuis le début de l’année, selon les données du ministère de l’Intérieur, contre 48 940 pour la même période de 2022. Et les exilés sont nombreux à prendre la route de la France pour y demander l’asile ou se rendre vers d’autres pays d’Europe.

      La hausse des prix des transports en commun « aggrave aussi la situation », estime Jean Gaboriau car les prix des TGV vers les grandes métropoles françaises descendent rarement sous la barre des 100 euros, surtout en cette période de vacances scolaires. « Donc forcément, les gens restent plus longtemps et attendent que les prix baissent », ajoute-t-il.

      Jusqu’à présent, les Terrasses solidaires s’adaptent en augmentant les stocks de nourriture et grâce aux dons qui se multiplient. « Combien de temps va-t-on tenir ? » s’interroge l’administrateur. « On navigue à vue », admet-il. Et les bénévoles, eux aussi, sont exténués. « Moi, je me suis mis au vert quelques jours pour revenir efficace mais pour ceux qui viennent de loin et qui restent plusieurs semaines, il faut aussi les préserver », raconte-t-il, précisant qu’une « responsable des bénévoles » veille à la situation.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/51145/combien-de-temps-on-va-tenir--les-terrasses-de-briancon-depassees-par-

      signalé aussi ici par @cy_altern :
      https://seenthis.net/messages/1013811

  • #Lyon-Turin : retour sur l’opposition française au projet de nouvelle ligne ferroviaire

    En Savoie, des militants écologistes des Soulèvements de la Terre se sont introduits le 29 mai 2023 sur l’un des chantiers de la nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin. Une banderole « La montagne se soulève » a été déployée pour appeler au week-end de mobilisation franco-italienne contre ce projet, organisé les 17 et 18 juin 2023 en Maurienne.

    Imaginé dans les années 1980, le projet de nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin a connu depuis de nombreux atermoiements, notamment en ce qui concerne le tracé entre l’agglomération lyonnaise et Saint-Jean-de-Maurienne. Dix ans après la déclaration d’utilité publique (DUP) de 2013, les décisions concernant les 140 km de nouvelles voies d’accès français au tunnel transfrontalier de 57,5 km n’ont toujours pas été prises : ni programmation, ni financement, ni acquisition foncière.

    Les premiers travaux préparatoires du tunnel ont pourtant débuté dès 2002 et sa mise en service est prévue pour 2032. Ce dernier est pris en charge par un consortium d’entreprises franco-italiennes nommé Tunnel Euralpin Lyon Turin (TELT), un promoteur public appartenant à 50 % à l’État français et à 50 % aux chemins de fer italiens. D’une longueur totale de 271 km, le coût de cette nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin est désormais estimé à 26 milliards d’euros au lieu des 8,6 initialement prévus.
    Projet clivant et avenir incertain

    Pour ses promoteurs, elle est présentée comme une infrastructure de transport utile à la transition écologique. Selon eux, elle permettrait à terme de désengorger les vallées alpines du trafic des poids lourds en favorisant le report modal de la route vers le rail. À l’inverse, ce projet est exposé par ses opposants comme pharaonique, inutile et destructeur de l’environnement. Ils argumentent que la ligne ferroviaire existante entre Lyon et Turin et actuellement sous-utilisée permettrait, une fois rénovée, de réduire le transport de fret par camion.

    Ils défendent la nécessité de privilégier l’existant et ne pas attendre des années pour le report modal des marchandises vers le rail. Les défenseurs du nouveau projet jugent quant à eux la ligne existante comme obsolète et inadaptée. En toile de fond de ce débat, les prévisions de trafic autour des flux de marchandises transitant par la Savoie : sous-estimés pour les uns, sur-estimés pour les autres.

    Le 24 février dernier, le rapport du Comité d’orientation des infrastructures (COI) a rebattu les cartes. Il propose en effet de repousser la construction de nouvelles voies d’accès au tunnel transfrontalier à 2045 et donner la première place à la modernisation de la ligne existante.

    Le scénario choisi par la Première ministre prévoit alors le calendrier suivant : études pour de nouveaux accès au tunnel au quinquennat 2028-2032, début de réalisation à partir de 2038, et une livraison au plus tôt vers 2045… soit, en cas de respect du calendrier annoncé par TELT, 13 ans après la mise en service du tunnel. Se profile donc la perspective d’un nouveau tunnel sans nouvelles voies d’accès : un scénario qui ne satisfait ni les défenseurs ni les opposants au projet.

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    Le 12 juin, nouveau rebondissement. Le ministre des Transports annonce 3 milliards d’euros de crédits pour les voies d’accès du tunnel transfrontalier dès les projets de loi de finances 2023 et 2024. Le gouvernement valide également le financement de l’avant-projet détaillé qui doit fixer le tracé, soit environ 150 millions d’euros.
    L’affirmation d’une opposition française

    C’est dans ce contexte que va se dérouler la mobilisation des Soulèvements de la Terre, les 17 et 18 juin 2023. Elle a pour objectif de donner un écho national aux revendications portées par les opposants : l’arrêt immédiat du chantier du tunnel transfrontalier et l’abandon du projet de nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin.

    Outre les collectifs d’habitants, cette opposition coalise désormais des syndicats agricoles (Confédération paysanne) et ferroviaires (Sud Rail), des associations locales (Vivre et agir en Maurienne, Grésivaudan nord environnement) et écologistes (Attac, Extinction Rébellion, Les Amis de la Terre, Alternatiba, Cipra), des organisations politiques (La France Insoumise – LFI, Europe Ecologie Les Verts – EELV, Nouveau parti anticaptialiste – NPA) et le collectif No TAV Savoie.

    Cela n’a pas toujours été le cas : le projet est longtemps apparu consensuel en France, malgré une forte opposition en Italie depuis le début des années 1990 via le mouvement No TAV.

    2012 marque une étape importante dans l’opposition française alors disparate et peu médiatisée. Une enquête publique organisée cette année-là dans le cadre de la procédure de DUP permet une résurgence des oppositions, leurs affirmations et leur coalition au sein d’un nouvel agencement organisationnel. Ce dernier gagne rapidement en efficacité, occupe le champ médiatique et se connecte avec d’autres contestations en France en rejoignant le réseau des Grands projets inutiles et imposés (GP2I), dans le sillage de Notre-Dame-des-Landes.
    Basculement des ex-promoteurs du projet

    Cette publicisation nouvelle participe à une reproblématisation et politisation autour de la nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin. Des défenseurs du projet basculent alors dans le camp des opposants, provoquant un élargissement de la mobilisation.

    EELV, pendant 20 ans favorable au projet, est un exemple saillant de cette évolution. Alors qu’il le jugeait incontournable et sans alternative, quand bien même la contestation gagnait en intensité en Italie, la « Convention des écologistes sur les traversées alpines » en 2012 signe son changement de positionnement.

    Ce nouveau positionnement peut se résumer ainsi : la réduction du transport routier ne dépend pas de la création de nouvelles infrastructures ferroviaires mais de la transition vers un modèle de développement moins générateur de flux de marchandises, la rénovation et l’amélioration des infrastructures ferroviaires existantes étant prioritaires pour gérer les flux restants.

    Une position aujourd’hui défendue par les maires de Grenoble et de Lyon, mais aussi par des députés européens et nationaux EEV et LFI. Pour autant, la mobilisation française reste jusqu’à aujourd’hui éloignée des répertoires d’action employés dans la vallée de Suse.
    Effacement de la montagne

    Ce projet de nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin révèle aussi et avant tout une lecture ancienne du territoire européen à travers les enjeux de mobilité. Au même titre que les percements des tunnels ferroviaires, routiers puis autoroutiers depuis la fin du XIXe siècle à travers les Alpes, il contribue à une forme d’aplanissement de la montagne pour en rendre les passages plus aisés et ainsi permettre des flux massifs et rapides.

    Cette norme de circulation des humains et des marchandises est révélatrice d’une vision du monde particulière. L’historienne Anne-Marie Granet-Abisset la résume ainsi :

    « Elle correspond aux modèles édictés par les aménageurs (politiques et techniques) qui travaillent dans les capitales européennes, désirant imposer leur vision aux territoires qu’ils gèrent, en dépit des sommes considérables mobilisées pour ce faire. Toute opposition ne peut être entendue, présentée alors comme de la désinformation ou de la mauvaise foi . »

    Ces enjeux informationnels et communicationnels demeurent omniprésents dans le débat public entre promoteurs et opposants au projet. Ils donnent lieu à de nombreuses passes d’armes, chacun s’accusant mutuellement de désinformation ; sans oublier les journalistes et leur travail d’enquête.
    Ressource en eau

    Depuis l’été 2022, c’est la question de la ressource en eau et des impacts du chantier du tunnel transfrontalier sur celle-ci qui cristallise les tensions. Elle sera d’ailleurs au cœur de la mobilisation des 17 et 18 juin 2023 en Maurienne, permettant ainsi une articulation avec les autres mobilisations impulsées ces derniers mois par les Soulèvements de la Terre. Une controverse sur le tarissement des sources qui existe depuis vingt ans en Maurienne.

    Plus largement, le débat sur l’utilité et la pertinence de la nouvelle ligne ferroviaire Lyon-Turin révèle le paradoxe auquel sont soumises les hautes vallées alpines. Dans un contexte d’injonction à la transition écologique, ce paradoxe fait figure d’une contrainte double et opposée comme le résume l’historienne Anne-Marie Granet-Abisset :

    « Des territoires qui doivent être traversés aisément et rapidement en fonction des critères de l’économie des transports, un lobby puissant à l’échelle européenne ; des territoires qui puissent apparaître comme préservés, inscrits dans une autre conception du temps, celle de la lenteur des cols et des refuges, en même temps qu’ils doivent être facilement accessibles à partir des métropoles . »

    https://theconversation.com/lyon-turin-retour-sur-lopposition-francaise-au-projet-de-nouvelle-l
    #no-tav #no_tav #val_de_Suse #Italie #France #Alpes #transports #transports_ferroviaires #résistance #Soulèvements_de_la_Terre #ligne_ferroviaire #mobilisation #Maurienne #Tunnel_Euralpin_Lyon_Turin (#TELT) #coût #infrastructure_de_transport #poids_lourds #Savoie #Comité_d’orientation_des_infrastructures (#COI) #chantier #Grands_projets_inutiles_et_imposés (#GP2I) #vallée_de_suse #mobilité #eau #transition_écologique

  • Attention : selon les dernières nouvelles reçues oralement par mes contacts à la frontière, personne ne serait décédé. Le corps n’a jamais été trouvé, malgré les recherches. Probablement le migrant qui a signalé le cadavre n’a vu que des habits.

    TRAGEDIA, MIGRANTE MUORE SULLE MONTAGNE TRA LA VALSUSA E LA FRANCIA, ALTRI 9 RECUPERATI DAI SOCCORRITORI

    Tragedia sulle montagne tra la Valsusa e il confine francese. Mercoledì 31 maggio un migrante è morto mentre stava per raggiungere Briançon, appena dopo aver attraversato il confine con la Valsusa: i soccorritori stanno cercando di recuperare la salma, sul posto stanno operando i carabinieri, vigili del fuoco, soccorso alpino della guardia di finanza, croce rossa di Susa, con il supporto dell’elicottero della Gendarmerie francese. Il corpo potrebbe essere proprio al confine o già in territorio francese, le operazioni di recupero sono in corso dal primo pomeriggio. Ma è stata una giornata davvero difficile per quanto riguarda le attività di soccorso. Dalla mattinata sono stati rintracciati e soccorsi 9 migranti che tentavano di attraversare il confine a Cesana e Claviere: 6 persone sono state recuperate dai vigili del fuoco di Oulx e Susa, mentre altre 3 dalla croce rossa di Susa. Ora sono tutti al rifugio Massi di Oulx. Altri 6 migranti invece sono stati respinti dalle forze dell’ordine francesi, mentre stavano arrivando a Monginevro. Infine, un migrante è stato recuperato a Sagnalonga e ricoverato per ipotermia all’ospedale di Susa.

    https://www.valsusaoggi.it/tragedia-migrante-muore-sulle-montagne-tra-la-valsusa-e-la-francia-altri

    #décès #mort #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #Italie #France #Val_de_Suse #Hautes-Alpes

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    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière des Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Alta Valsusa: morto un migrante, soccorsi altri nove. Sul posto Carabinieri, Vigili del Fuoco e Croce Rossa

      Oggi, mercoledì 31 maggio, un migrante è morto mentre stava per raggiungere Briançon dall’Italia. Il gruppo di soccorritori sta recuperando la salma con il supporto dell’elicottero della Gendarmerie francese. Secondo le prime informazioni il corpo sarebbe in territorio francese. La vittima faceva parte di un gruppo numeroso di persone in transito sulle montagne dell’alta Valsusa verso la vicina valle francese. Si sono registrati, solo oggi, sei persone recuperate dai Vigili del Fuoco di Oulx e Susa e altre tre dalla Croce Rossa di Susa. Un altro gruppo è invece stato respinto dalle forze dell’ordine francesi al confine. Tutti i feriti sono ora alloggiati, e curati, nel rifugio per migranti ad Oulx.

      https://www.lagendanews.com/alta-valsusa-morto-un-migrante-soccorsi-altri-nove-sul-posto-carabinier

    • Soccorsi 10 migranti dispersi in alta Val Susa: e uno del gruppo sarebbe stato trovato morto in territorio francese

      Nell’arco di tre settimane è la terza volta che volontari e vigili del fuoco sono mobilitati per operazioni del genere

      Intorno alle 16 dalle squadre di soccorso è rimbalzata la notizia che già in territorio francese, in un canalone che giunge poi al lago dei Sette Colori, sarebbe stato individuato il corpo senza vita di un migrante che probabilmente faceva parte della stessa comitiva dei dieci tratti in salvo oggi sul versante italiano. In queste ore, mentre in Italia era impegnato l’elicottero dei vigili del fuoco, in territorio francese era all’opera un secondo elicottero della gendarmerie, che sta ora cercando di verificare la segnalazione fatta da uno degli uomini tratti in salvo, che ha riferito di aver visto un cadavere nel canalone prima di ripiegare a valle e tornare in Italia dato che in quella direzione era impossibile proseguire per via delle avverse condizioni climatiche. Nel frattempo sul lato italiano del confine le ricerche di altre persone in difficoltà si sono ormai concluse dopo che la Croce rossa ha accompagnato altri sei profughi, trovati alle porte dell’abitato di Claviere, al rifugio Massi di Oulx.
      Le ricerche
      Da stamattina, e ancora per tutto il pomeriggio, squadre di vigili del fuoco effettivi di Susa e volontari di Oulx, Salbertrand e Sauze d’Oulx in collaborazione con le forze dell’ordine e la Croce rossa di Susa sono state impegnate nelle zone di montagna tra Cesana, Claviere e il confine con la Francia per trarre in salvo un gruppo di migranti che nonostante il maltempo ha cercato di valicare le Alpi. Nell’arco di tre settimane è la terza volta che i soccorritori sono mobilitati in seguito ad allarmi lanciati dai migranti in difficoltà, per il maltempo e l’ancora abbondante presenza di neve sui pendii, nel tentare la rotta che dall’Alta Val Susa conduce nel Briançonnais.
      Gli uomini salvati
      Dopo aver trovato in stato di leggera ipotermia un primo disperso in mattinata, recuperato nella neve nella zona di Sagnalonga e portato per accertamenti all’ospedale di Susa dai volontari della Croce rossa, le ricerche sono proseguite a piedi e con l’elicottero per ore. Nel primo pomeriggio altri tre componenti della comitiva sono stati rintracciati, in buone condizioni di salute, mentre scendevano lungo la strada da Claviere a Cesana dopo essere stati respinti dai gendarmi alle porte di Montgenèvre. Altri sei profughi sono stati recuperati poco dopo alle porte dell’abitato di Claviere: avevano probabilmente incontrato le stesse difficoltà del gruppo precedente, e scelto di ripiegare per tentare di riattraversare il confine in un altro momento.
      Numero incerto
      Le ricerche andranno avanti fino al tramonto perché è difficile stabilire il numero esatto di persone che facevano parte del gruppo partito in direzione del confine tra la notte e l’alba di oggi. La scorsa notte al rifugio Massi di Oulx, spesso tappa per uno o due giorni dei migranti che affrontano questi viaggi attraverso l’Italia in direzione del cuore dell’Europa, erano stati accolti 47 tra uomini e donne; ma si sa che altre persone che affrontano questo viaggio dormono in luoghi di fortuna. E’ così impossibile stabilire quanti si siano messi realmente in viaggio da Cesana a Claviere nelle scorse ore. O quanti abbiano preferito fermarsi ancora sul fondovalle in attesa che le condizioni meteo, al momento particolarmente avverse, migliorino.

      https://www.lastampa.it/torino/2023/05/31/news/claviere_soccorso_migranti_confine_francia-12834420

    • Migranti bloccati nella neve al confine, un morto e un uomo assiderato

      La vittima deceduta in un canalone in Francia. Continuano i respingimenti della Gendarmeria transalpina

      Nel pomeriggio di ieri si era diffusa la notizia del ritrovamento del cadavere di un migrante in territorio francese, in un canalone che conduce al #lago_dei_Sette_Colori. Notizia che in serata non era ancora stata confermata dalla Gendarmeria transalpina. La polizia di Frontiera italiana ritiene che la presunta vittima possa far parte del gruppo di dieci migranti che sono stati salvati sul versante italiano.

      Ancora nella serata di ieri le squadre di soccorso stavano verificando la segnalazione di uno dei sopravvissuti, il quale aveva riferito di aver visto con i suoi occhi il cadavere nel canalone prima di tornare in Italia a causa delle avverse condizioni climatiche. Nel frattempo, sul lato italiano del confine, le ricerche di altre persone in difficoltà si sono concluse dopo che sei profughi sono stati accompagnati dalla Croce Rossa al rifugio Massi di Oulx, erano stati individuati alle porte dell’abitato di Claviere. Le operazioni di ricerca sono state condotte da squadre di vigili del fuoco di Susa e volontari di Oulx, Salbertrand e Sauze d’Oulx, in collaborazione con le forze dell’ordine e la Croce Rossa di Susa. Nonostante il cattivo tempo e la presenza di neve sui pendii, i migranti hanno cercato di attraversare le Alpi, e i soccorritori sono stati mobilitati per la terza volta in tre settimane a seguito degli allarmi lanciati dai migranti in difficoltà lungo la rotta che va dall’Alta Val Susa al Briançon. Durante le operazioni di ricerca, un disperso è stato trovato in stato di ipotermia leggera nella zona di Sagnalonga e portato all’ospedale di Susa per accertamenti.

      Successivamente, altre tre persone del gruppo sono state trovate in buone condizioni di salute lungo la strada da Claviere a Cesana, dopo essere state respinte dai gendarmi alle porte di Montgenèvre. Poco dopo, altri sei profughi sono stati recuperati nei pressi di Claviere, probabilmente dopo aver incontrato le stesse difficoltà del gruppo precedente e aver scelto di ritirarsi per tentare di attraversare il confine in un altro momento. È difficile determinare il numero esatto di persone che facevano parte del gruppo che ha cercato di raggiungere il confine tra la notte e l’alba di ieri, quindi le ricerche continueranno anche nella giornata di oggi.

      Al rifugio Massi di Oulx, che spesso ospita migranti in viaggio verso l’Europa centrale, la scorsa notte erano presenti 47 persone, ma si presume che altre, che intraprendono questo viaggio della disperazione o della speranza, dormano in luoghi improvvisati. Pertanto, non è possibile stabilire quanti si siano effettivamente messi in viaggio da Cesana a Claviere nelle ultime ore o quanti abbiano scelto di rimanere in attesa di condizioni meteorologiche migliori nella valle.

      https://torinocronaca.it/news/cronaca/302035/migranti-bloccati-nella-neve-al-confine-un-morto-e-un-uomo-assiderato.

  • L’ultima frontiera

    Dall’inizio del 2022 Medici per i Diritti Umani (MEDU) è presente nella cittadina di Oulx, in alta Val di Susa, con il progetto Frontiera Solidale. Il progetto ha l‘obiettivo di garantire assistenza medica alle migliaia di persone che attraversano la frontiera alpina nord-occidentale per raggiungere la Francia. Il team di Medu, composto da una coordinatrice, un medico, un mediatore culturale e alcuni volontari/e, opera tre giorni a settimana presso l’ambulatorio allestito e messo a disposizione dall’associazione Rainbow for Africa all’interno del rifugio Fraternità Massi.

    Nei nove mesi presi in considerazione dal report (luglio 2022 - marzo 2023), 8.928 persone sono transitate al rifugio Fraternità Massi. Di queste 4.193 persone hanno avuto accesso a un triage presso l’ambulatorio del rifugio – allestito e messo a disposizione dall’associazione Rainbow for Africa e 1.214 sono state visitate in modo approfondito dal team di MEDU.

    Con il presente report MEDU torna a documentare con dati, analisi e testimonianze, il fenomeno migratorio alla frontiera alpina occidentale e a formulare raccomandazioni, chiedendo che venga garantita la tutela dei dritti fondamentali – in particolare il diritto alla salute e l’accesso alla protezione - delle persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e in particolare nelle zone di frontiera, a prescindere dalla loro condizione giuridica.

    https://mediciperidirittiumani.org/report-oulx-2023

    #rapport #MEDU #frontière_sud-alpine #asile #migrations #frontières #chiffres #statistiques #Italie #France #Hautes-Alpes #Val_de_Suse

    • L’ultima frontiera. Un nuovo web-report di MEDU dalla frontiera alpina occidentale

      Il nuovo web-report di Medici per i Diritti Umani (MEDU) si basa su un periodo di osservazione e assistenza di 9 mesi – da luglio 2022 a marzo 2023 – dove sono transitate al rifugio “Fraternità Massi”, a Oulx in Alta Val di Susa, 8.928 persone. Di queste, 633 erano donne, pari al 7% della popolazione transitante, mentre 1.017 erano minori, rappresentando il 12% della popolazione.

      L’organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale da inizio del 2022 fornisce assistenza medica alle migliaia di persone migranti diretti in Francia presso l’ambulatorio allestito dall’associazione Rainbow for Africa (R4A) presso il rifugio.

      Il rapporto a cura di Elda Goci e Federica Tarenghi spiega il contesto della frontiera attraverso testimonianze dirette, analisi e dati, nell’intento di far capire quanto la solidarietà sia un fattore determinante nel sostenere l’ultima parte di viaggio delle persone migranti.

      «Oulx – scrivono le autrici – rappresenta una delle ultime tappe di un lungo viaggio, che può durare dai 2 ai 6 anni e che può costare dai 2 agli 8 mila euro. Un viaggio che collega l’Afghanistan, la Siria, l’Iran e molti paesi africani con i paesi del nord Europa e dell’Europa centrale, attraverso valichi alpini che superano i 1800 metri di quota».
      Alcuni numeri

      Se nel 2022 le principali nazionalità transitate a Oulx sono rappresentate da persone provenienti dalla Rotta balcanica – soprattutto afgani (2.527), marocchini (1.972) e iraniani (1.476) -, nel corso dei primi mesi del 2023 si è assistito ad un significativo aumento dei migranti provenienti dalla rotta del Mediterraneo centro-meridionale con imbarco dalla Tunisia, che sempre più si configura come un Paese sia di emigrazione che di transito, dove violenze e abusi ai danni dei migranti sub-sahariani vengono perpetrati in modo drammaticamente ricorrente. In aumento risulta inoltre il numero di donne provenienti dall’Africa sub-sahariana, soprattutto dalla Costa d’Avorio. Un aumento che, ad una prima osservazione degli indicatori di tratta, fa temere l’esistenza di una rete di sfruttamento capillare e strutturata. Si susseguono inoltre gli arrivi di donne in stato di gravidanza – solitamente rimaste incinte durante il viaggio, senza aver effettuato alcun controllo lungo la rotta – e di donne che hanno abortito o sono accompagnate da neonati e bambini nati in viaggio.

      Per tutti, il viaggio migratorio è foriero di rischi legati sia alla natura che alla condotta dei corpi militari, paramilitari e di polizia addetti al controllo delle frontiere di diversi stati dei Balcani che spesso si rendono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Se attraversare i confini di Bosnia, Croazia, Serbia e Slovenia spesso significa andare incontro ad abusi e violenze di diverso tipo, i rischi non terminano una volta entrati nel territorio dell’Unione Europea. La militarizzazione della frontiera alpina rappresenta infatti un ulteriore fattore di rischio per l’incolumità delle persone, ormai a un passo dalla meta.

      Le difficoltà sono ancora maggiori per alcune categorie di persone vulnerabili, tra cui le persone con problemi di salute e disabilità e i minori. Questi ultimi spesso vengono respinti dalla polizia di frontiera francese, nonostante affermino di aver dichiarato la minore età.
      Il progetto “Frontiera Solidale” e il rifugio “Fraternità Massi”

      Il rapporto illustra l’importanza del rifugio “Fraternità Massi”, un edificio di solidarietà, assistenza e cura gestito in maniera coordinata da un pool di professionisti e volontari, ognuno con compiti specifici assegnati in base all’esperienza, alle competenze alle finalità dell’organizzazione di appartenenza.

      All’interno del rifugio operano la Fondazione Talità Kum, ente gestore dell’immobile, che mette a disposizione due operatori responsabili dell’accoglienza delle persone migranti e del soddisfacimento dei loro bisogni primari. Essi operano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in due turni di lavoro, per un totale di 10 professionisti. L’associazione Rainbow for Africa, che mette a disposizione le infrastrutture e le attrezzature sanitarie, i farmaci, il personale formato da infermieri specializzati (ogni notte e per tutto l’anno) e la presenza di medici volontari. L’associazione MEDU, che fornisce assistenza sanitaria garantendo la presenza di un medico, di una coordinatrice e di un mediatore linguistico – culturale. In particolare, il medico si occupa sia di fornire assistenza sanitaria ai pazienti che di coordinare le attività sanitarie svolte dalle organizzazioni e dai medici volontari presenti presso il rifugio. Diaconia valdese, offre orientamento legale garantendo la presenza di un’operatrice legale. L’organizzazione umanitaria NutriAid, che mette a disposizione la consulenza di pediatri, farmaci e un ambulatorio pediatrico. Inoltre, una rete di volontariato valsusino si occupa di raccogliere abiti, soprattutto invernali, da mettere a disposizione delle persone migranti, nonché di orientare quest’ultime ai servizi locali e fornire un ascolto diretto a coglierne le esigenze e i bisogni singoli e collettivi. Infine, la rete si occupa di sensibilizzare le persone migranti sui rischi legati alla montagna, soprattutto nei mesi invernali. Per ciò che attiene alle strutture accoglienti – spiegano le autrici – oltre alla realtà del rifugio Massi occorre menzionare il rifugio autogestito Yallah, occupato nel giugno 2022 e situato a Cesana, tra Oulx e Claviere.

      Sono state 4.193 le persone che hanno avuto accesso a un triage presso l’ambulatorio del rifugio e 1.214 quelle visitate in modo approfondito dal team medico. Le principali patologie trattate all’interno della clinica di frontiera sono malattie sviluppate durante il viaggio quali infezioni cutanee – in primis scabbia -, micosi, ferite infette, bronchiti, ustioni da congelamento o da carburante, traumi fisici e lesioni ai piedi.

      Nei paesi attraversati – Turchia, Serbia, Bosnia per la rotta balcanica o Libia e Tunisia per quella mediterranea – i migranti non ricevono assistenza, a causa dell’assenza o carenza di personale nei campi profughi informali e istituzionali o dell’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie pubbliche e private.

      Elevata inoltre è la percentuale di persone con sintomi da stress post-traumatico quali insonnia, pensieri disturbanti e intrusivi, incubi, attacchi di panico, inappetenza, astenia, cefalea e difficoltà di concentrazione, esito dei trattamenti inumani e degradanti subiti, nella maggior parte dei casi ad opera del regime talebano, dai gendarmi libici e dalle autorità tunisine.

      Particolare rilievo assume poi il tema delle dipendenze, in particolare da farmaci quali il Pregabalin (Lyrica) e il Clonazepam (Rivotril), spesso sovra-prescritti lungo il viaggio o in luoghi di detenzione quali carceri e CPR per la gestione dell’insonnia, dell’agitazione e dello stress. Meno rilevante numericamente ma degna di particolare rilievo è la presenza di persone con vulnerabilità sanitarie e disabilità, spesso preesistenti nel paese di origine, che si sono messe in viaggio con la speranza di trovare assistenza e cure adeguate.
      Le prassi illegittime in frontiera e non solo

      Nel rapporto un contributo è redatto dall’operatrice della Diaconia Valdese che illustra le diverse prassi illegittime raccontate dalle persone incontrate allo sportello legale al rifugio “Fraternità Massi”. Elevato, ad esempio, è il numero di minori stranieri non accompagnati respinti al confine a causa del precedente fotosegnalamento come maggiorenni allo sbarco. Spesso è proprio questa la motivazione del transito verso la Francia: essere stati inseriti in un CAS per adulti in Italia e il non sentirsi riconosciuti nei propri diritti rappresenta un incentivo a partire.

      Uguali per tutti sono le difficoltà incontrate al confine italo-francese dove i controlli alla frontiera e i pushbacks quotidiani rendono pericoloso e difficile l’attraversamento. Continua a non essere possibile la manifestazione della volontà di chiedere asilo in territorio francese di confine, così come difficile è
      ogni altro tipo di comunicazione con le forze di polizia a causa della barriera linguistica, soprattutto nei casi in cui la persona necessiti di assistenza medica o di spiegare con calma la propria situazione. I respingimenti riguardano infatti non solo richiedenti asilo ma anche cittadini regolarmente soggiornanti che vengono fermati per l’assenza di anche solo uno dei requisiti previsti dalla Francia al fine di accedere al territorio. Per esempio, la prenotazione dell’hotel che giustifica la permanenza turistica in Francia per una persona in possesso di passaporto e permesso di soggiorno rappresenta una clausola di esclusione all’accesso. Ciò fa riflettere se si pensa che la sospensione della libertà di movimento è strumentalmente giustificata e illegittimamente rinnovata ogni sei mesi per ragioni di sicurezza.

      Altrettante difficoltà sono riscontrate per chi intende chiedere protezione internazionale in Italia: presentare domanda di asilo presso la Questura di Torino è una procedura dalle modalità e tempistiche estenuanti: dai 2 ai 6 mesi per poter prendere un appuntamento ed ulteriori 4-5 mesi per formalizzare la domanda di asilo. Mesi nei quali non è possibile accedere ai diritti fondamentali e al sistema nazionale di accoglienza.

      Nella parte finale del web-report, a fronte del quadro descritto dalle autrici, MEDU torna a formulare alcune raccomandazioni, chiedendo con forza che venga garantita la tutela dei diritti fondamentali – in particolare il diritto alla salute e l’accesso alla protezione – delle persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e in particolare nelle zone di frontiera, a prescindere dalla loro condizione giuridica.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/lultima-frontiera