• Il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di garantire più protezione alle vittime di tratta

    Nel rapporto del Gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) si chiede alle autorità di aumentare le indagini e le condanne, assicurare strumenti efficaci di risarcimento per le vittime e concentrarsi maggiormente sullo sfruttamento lavorativo. Oltre allo stop del memorandum Italia-Libia. Su cui il governo tira dritto.

    Più attenzione alla tratta per sfruttamento lavorativo, maggiori risarcimenti e indennizzi per le vittime e la necessità di aumentare il numero di trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia. Ma anche lo stop del memorandum Italia-Libia e la fine della criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”.

    Sono queste le principali criticità su cui il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani (Greta) a fine febbraio ha chiesto al governo italiano di intervenire per assicurare l’applicazione delle normative europee e una tutela efficace per le vittime di tratta degli esseri umani. “Ogni anno in Italia ne vengono individuate tra le 2.100 e le 3.800 -si legge nel report finale pubblicato il 23 febbraio-. Queste cifre non riflettono la reale portata del fenomeno a causa dei persistenti limiti nelle procedure per identificare le vittime, nonché di un basso tasso di autodenuncia da parte delle stesse che temono di essere punite o deportate verso i Paesi di origine”. Una scarsa individuazione dei casi di tratta che riguarderebbe soprattutto alcuni settori “ad alto rischio” come “l’agricoltura, il tessile, i servizi domestici, l’edilizia, il settore alberghiero e la ristorazione”.

    L’oggetto del terzo monitoraggio di attuazione obblighi degli Stati stabiliti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani era proprio l’accesso alla giustizia per le vittime. Dal 13 al 17 febbraio 2023, il gruppo di esperti si è recato in Italia incontrando decine di rappresentanti istituzionali e di organizzazioni della società civile. La prima bozza del report adottata nel giugno 2023 è stata poi condivisa con il governo italiano che a ottobre ha inviato le sue risposte prima della pubblicazione finale del rapporto. Quello in cui il Greta, pur sottolineando “alcuni sviluppi positivi” dall’ultima valutazione svolta in Italia nel 2019, esprime “preoccupazione su diverse questioni”.

    Il risarcimento per le vittime della tratta è una di queste. Spesso “reso impossibile dalla mancanza di beni o proprietà degli autori del reato in Italia” ma anche perché “i meccanismi di cooperazione internazionale sono raramente utilizzati per identificare e sequestrare i beni degli stessi all’estero”. Non solo. Il sistema di indennizzo per le vittime -nel caso in cui, appunto, chi ha commesso il reato non abbia disponibilità economica- non funziona. “Serve renderlo effettivamente accessibile e aumentare il suo importo massimo di 1.500 euro”. Come ricostruito anche da Altreconomia, da quando è stato istituito questo strumento solo in un caso la vittima ha avuto accesso al fondo.

    Il Greta rileva poi una “diminuzione del numero di indagini, azioni penali e di condanne” osservando in generale una applicazione ristretta di tratta di esseri umani collegandola “all’esistenza di un elemento transnazionale, al coinvolgimento di un’organizzazione criminale e all’assenza del consenso della vittima”. Tutti elementi non previsti dalla normativa europea e italiana. Così come “desta preoccupazione l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, in particolare della fase investigativa”.

    Il gruppo di esperti sottolinea poi la persistenza di segnalazioni di presunte vittime di tratta “perseguite e condannate per attività illecite commesse durante la tratta, come il traffico di droga, il possesso di un documento d’identità falso o l’ingresso irregolare”. Un problema che spesso porta la persona in carcere e non nei progetti di accoglienza specializzati. Che in Italia aumentano. Il Greta accoglie infatti con favore “l’aumento dei fondi messi a disposizione per l’assistenza alle vittime e la disponibilità di un maggior numero di posti per le vittime di tratta, anche per uomini e transgender” sottolineando però la necessità di prevedere un “finanziamento più sostenibile”. In questo momento i bandi per i progetti pubblicati dal Dipartimento per le pari opportunità, hanno una durata tra i 17 e i 18 mesi.

    C’è poi la difficoltà nell’accesso all’assistenza legale gratuita che dovrebbe essere garantita alle vittime che invece, spesso, si trovano obbligate a dimostrare di non avere beni di proprietà non solo in Italia ma anche nei loro Paesi d’origine per poter accedere alle forme di consulenza legale gratuita. Problematico è anche l’accesso all’assistenza sanitaria. “I professionisti del Sistema sanitario nazionale -scrive il Greta- non sono formati per assistere le vittime di tratta con gravi traumi e mancano mediatori culturali formati per partecipare alla fornitura di assistenza psicologica”.

    Come detto, il focus degli esperti riguarda la tratta per sfruttamento lavorativo. Su cui l’Italia ha adottato diverse misure di protezione per le vittime ma che però restano insufficienti. “Lo sfruttamento del lavoro continua a essere profondamente radicato in alcuni settori che dipendono fortemente dalla manodopera migrante” ed è necessario “garantire risorse che risorse sufficienti siano messe a disposizione degli ispettori del lavoro, rafforzando il monitoraggio dei settori a rischio e garantendo che le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori migranti soddisfare i requisiti previsti dalla normativa al fine di prevenire abusi”.

    Infine il Greta bacchetta il governo italiano su diversi aspetti relativi alla nuova normativa sui richiedenti asilo. “Temiamo che le misure restrittive adottate dall’Italia favoriscano un clima di criminalizzazione dei migranti, con il risultato che molte potenziali vittime della tratta non denunciano i loro casi per paura di detenzione e deportazione”, scrivono gli esperti. Sottolineando la preoccupazione rispetto al “rischio di aumento del numero di richiedenti asilo nei centri di detenzione amministrativa” previsto dagli ultimi provvedimenti normativi che aumenterebbe la possibilità anche per le vittime di tratta non ancora identificate di essere recluse. Un rischio riscontrato anche per il Protocollo sottoscritto con l’Albania per gli impatti che avrà “sull’individuazione e la protezione delle persone vulnerabili salvate in mare”.

    Sul punto, nelle risposte inviate al Greta l’8 febbraio 2024, il governo italiano sottolinea che il protocollo siglato con la controparte albanese “non si applicherà alle persone vulnerabili, incluse le vittime di tratta”. Resta il punto della difficoltà di identificazione fatta subito dopo il soccorso, spesso in condizioni precarie dopo una lunga e faticosa traversata.

    Ma nelle dieci pagine di osservazioni inviate da parte dell’Italia, salta all’occhio la puntualizzazione rispetto alla richiesta del Greta di sospendere il memorandum d’intesa tra Italia e Libia che fa sì che “un numero crescente di migranti salvati o intercettati nel Mediterraneo vengano rimpatriati in Libia dove rischiano -scrivono gli esperti- di subire gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la schiavitù, il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale”. Nella risposta, infatti, il governo sottolinea che ha scelto di cooperare con le autorità libiche “con l’obiettivo di ridurre i morti in mare, nel pieno rispetto dei diritti umani” e che la collaborazione “permette di combattere più efficacemente le reti di trafficanti di esseri umani e di coloro che contrabbandano i migranti”. Con il rispetto dei diritti umani, del diritti umanitario e internazionale che è “sempre stata una priorità”. Evidentemente non rispettata. Ma c’è un dettaglio in più.

    Quel contrasto al traffico di migranti alla base anche del memorandum con la Libia, sbandierato a più riprese dall’esecutivo italiano (“Andremo a cercare gli ‘scafisti’ lungo tutto il globo terracqueo”, disse la premier Giorgia Meloni a inizio marzo 2023) viene messo in discussione nel rapporto. Dopo aver sottolineato la diminuzione delle indagini sui trafficanti di esseri umani, il Greta scrive che i “capitani” delle navi che arrivano in Italia “potrebbero essere stati costretti tramite minacce, violenza fisica e abuso di una posizione di vulnerabilità nel partecipare all’attività criminali”. Indicatori che li farebbero ricadere nella “categoria” delle vittime di tratta. “Nessuno, però, è stato considerato come tale”, osservano gli esperti. Si scioglie come neve al sole la retorica sulla “guerra” ai trafficanti. I pezzi grossi restano, nel frattempo, impuniti.

    https://altreconomia.it/il-consiglio-deuropa-chiede-allitalia-di-garantire-piu-protezione-alle-

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  • Unheard, unseen and untreated: Health inequalities in Europe today

    The 2021 “Observatory Report” on health inequalities in Europe by Doctors of the World international network. Data from our projects in seven European countries have been analysed in collaboration with the University College London (UCL). The report shed light on how far we still are from the goal of universal access to health care (Universal Health Coverage), even at the European level, and what measures are needed to improve the situation.

    https://www.aerztederwelt.org/presse-und-publikationen/publikationen/2021/12/13/unheard-unseen-and-untreated-health-inequalities-europe-today

    #rapport #Europe #santé #médecins_du_monde #2021 #santé_mentale #statut_administratif #migrations #accès_à_la_santé

    ping @karine4 @isskein

  • ’Vulnerable migrants and wellbeing study’ highlights barriers to healthcare for migrants.

    A pilot study by the University of Birmingham has identified major barriers to healthcare access for migrants, including denial of entitlements, administrative issues, lack of understanding, language barriers and fears of being arrested.

    https://www.birmingham.ac.uk/news/latest/2019/02/vulnerable-migrants-and-wellbeing-study-highlights-barriers-to-healthc
    #accès_à_la_santé #accès_aux_droits #santé #réfugiés #asile #migrations #UK #Angleterre #langue #barrières_linguistiques #vulnérabilité

  • Io non ho sogni - L’accesso alla sanità per i rifugiati siriani in Turchia

    “Credo seriamente, che il problema della cattiva gestione dell’intervento sanitario sulla popolazione in fuga dalla Siria sia dovuto non solo a una mancanza di mezzi e risorse, quanto piuttosto alla totale assenza di un programma chiaro da parte del governo. C’è una forte pressione, in termini di numeri e di richiesta di assistenza sul personale medico, in quanto il flusso di feriti in entrata nel paese è sempre in aumento e nettamente al di sopra delle capacità di gestione della crisi da parte del governo. E’ per queste ragioni che è nata questa clinica, per aiutare i feriti che, entrando in Turchia, non ricevono le cure adeguate”. Aynan sottolinea più volte questo concetto mentre l’infermiere cambia la fasciatura a Riyadh, un ragazzo di poco più di venticinque anni a cui una raffica di proiettili hanno spezzato le ossa del braccio e maciullato il fascio di nervi e muscoli che l’avvolgevano .


    http://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-L-accesso-alla-sanita-per-i-rifugiati.html?var_mode=calc
    #accès_à_la_santé #santé #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_syriens #Turquie

    • Il lavoro sommerso e lo sfruttamento dei rifugiati in Turchia

      Qualche ragazzino trascina a fatica una carriola piena di detriti da costruzione, altri bambini fanno su e giù da un’altalena cigolante.
      Le canne e gli arbusti si piegano sferzati dalle raffiche che alternano i nostri silenzi, imposti da istintivi gesti con cui proteggiamo con le mani il viso dalla sabbia, al rumore sordo e violento dei colpi di martello che sulle travi vibrano in lontananza.
      Adesso che il sole nato in Siria fugge oltre la Turchia, i corpi dei lavoratori siriani sui tetti delle case in costruzione sono solo sagome nere nel pallore rossastro dell’orizzonte.

      “Non ho che questo lavoro e la speranza di mantenerlo per sopravvivere e far sopravvivere la mia famiglia.
      Ero ricco, sai. Avevo un’impresa, con diciannove dipendenti. Avevo una villa grande, due macchine e un’altra casa dove passavo le vacanze”. Mosa mi mostra l’immagine dei suoi cinque figli piccoli “nessuno di noi immaginava sarebbe mai successo. Che Allah ci protegga tutti e ci illumini la via”.
      Ha le mani sporche di grasso e cemento rappreso che continua a cercare di pulire strofinandole contro i pantaloni.
      Non supera i quarant’anni pur dimostrandone almeno dieci in più. Mi racconta di essersi sposato molto giovane.
      Scorre velocemente sul display le foto dei suoi figli ungendo lo smartphone, “certo che lo so che mi stanno sfruttando, so benissimo quanto prende un turco qui. Ma è casa loro, e io non ho scelta”.

      Senza nessuna ragione apparente mi assalgono i ricordi del liceo, delle ore di grammatica in cui la professoressa era solita sezionare i termini sino alla loro radice al fine di farci comprenderne in modo scientifico e puntuale l’esatto significato che hanno le parole.
      Si accaniscono e si scontrano pensieri ed emozioni.
      “Sfruttamento” dal latino privare del frutto. Gli architetti del linguaggio intesero collegare l’azione spregevole alla defraudazione di un oggetto il cui utilizzo non si ferma al mero presente. Il frutto non dà solo sostentamento nell’immediato, ma contiene al suo interno il tesoro dei semi necessari alla continuazione della specie stessa. Lo sfruttamento al contrario priva il contadino non solo di ciò di cui sarebbe stato in possesso oggi e che lo avrebbe dovuto nutrire, bensì anche dei frutti che avrebbe ottenuto piantando i semi che gli sono stati vigliaccamente sottratti. In Turchia il frutto dell’uomo, il suo lavoro, è ridotto a merce. L’uomo stesso ad una pianta da cui esigere più fioriture possibili prima di essere estirpata e sostituita.

      Ciò che il conflitto in Siria - e il successivo blocco dei rifugiati in Turchia imposto dai Paesi dell’Unione Europea - ha creato, è un enorme imbuto di disperazione che sta obbligando tre milioni di uomini e donne ad una permanenza forzata sul territorio del sultano.
      La conseguenza della politica di esternalizzazione delle frontiere intrapresa da Bruxelles è un sistema in cui il tormento della sopravvivenza sta spingendo moderni schiavi di ogni età e sesso a consentire di essere sfruttati nelle catene di montaggio, nelle fabbriche tessili, nei cantieri edili o nei campi pur di riuscire a sopravvivere.
      Ogni volta che ne parlo con Valentina la scopro stringere i pugni nascosti sotto le maniche troppo lunghe del giaccone. Poi la rabbia è solo l’input per riscoprirsi a perdersi ancora e di nuovo dietro nozioni di macroeconomia da manuale ed esempi pratici di fenomenologia della sopravvivenza.
      Mi racconta di Aaamir e di Baasima che non hanno neanche il latte per il loro ultimo nato. Io, le mostro la foto di Aida che a Rejanli è costretta a 65 anni a lavorare come badante in una casa turca per massimo tre dollari l’ora.
      Io metabolizzo il senso di tutti questi nostri discorsi e prendo coscienza di due cose.
      La prima è che ritornare in questa terra dopo così tanto tempo, dopo gli spari delle milizie macedoni al confine greco e i morsi dei cani aizzati dalla polizia bulgara contro i ragazzi siriani, non fa altro che amplificare ed esasperare ogni emozione.
      I ricordi fulgidi dei sorrisi e delle lacrime lasciati lungo la balkan route, miscelati a questi giorni di terra e sole non scoloriranno mai. Non finiranno come tessuti sintetici dopo un lavaggio a 90°.

      La seconda, è che l’effetto dell’accordo stipulato con Ankara sta producendo effetti normali e prevedibili più di una partita a scacchi giocata con un’intelligenza artificiale che utilizza sempre il medesimo algoritmo.
      Rientrando in stanza stasera, senza luce ed elettricità e fissando dalla finestra il fumo della sigaretta che allunga le luci del bazar ancora aperto, giungo alla stessa conclusione cui arrivai quel pomeriggio mentre aspettavo l’aereo a Kos: non avremo mai scusanti per tutti i compromessi stretti con i rappresentanti di quei paesi, in cui la vita umana la si può quasi vincere con una mano fortunata al gioco delle carte.


      http://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-Il-lavoro-sommerso-e-lo-sfruttamento-dei.html
      #travail #exploitation #industrie_textile #agriculture

    • L’infanzia negata. Inchiesta in merito agli effetti prodotti dall’accordo UE - Turchia: il lavoro minorile

      Ad oggi, si ritiene che dei circa tre milioni di migranti siriani presenti in Turchia [2], almeno la metà abbia un’età inferiore ai 18 anni. I dati ufficiali delle Nazioni Unite riferiscono, su poco più di due milioni e ottocentomila unità registrate ufficialmente, di circa un milione e duecentomila under 18 e quasi 400.000 under 5. [3]

      Durante l’anno scolastico 2015-2016 il Ministro dell’istruzione aveva dichiarato che erano circa 650.000 i migranti bambini che non avevano avuto accesso all’istruzione. [4] I dati forniti dal governo riferivano infatti di non più di 320.000 siriani iscritti nelle scuole. [5]
      In merito al nuovo anno scolastico 2016-2017, l’UNICEF - riprendendo fedelmente nel suo rapporto di fine anno (dicembre 2016) [6] i dati pubblicati dal governo turco - parla invece di “sole” 380.000 unità a cui neanche quest’anno è stato ancora possibile garantire il diritto allo studio.
      La medesima organizzazione afferma quindi che, con 490.000 iscritti durante l’anno scolastico in corso, per la prima volta dall’inizio della crisi è maggiore il numero dei bambini dentro le scuole di quelli fuori.
      Anche a voler ritenere attendibili tali dati snocciolati dal ministero turco, che pur mostrando un miglioramento rispetto al trend del 2015 restano comunque aberranti, sono inevitabili tre considerazioni.
      In primis, salta agli occhi di chiunque l’incredibile lentezza con cui il governo si è mosso e continua ad agire per assicurare un’istruzione ai migranti minorenni nel contesto di una crisi che si protrae dal 2011.
      La prima delle cause della mancata scolarizzazione è da individuare infatti nelle misure inadeguate prese da Ankara sin dall’inizio del conflitto siriano che, ancora oggi, dopo sei anni, permettono a meno del 10% delle famiglie siriane l’accesso ai campi, abbandonando il restante 90% a enormi difficoltà economiche e di accesso ai servizi di base, tra cui la scuola.
      I dati al novembre 2015 elaborati da Human Rights Watch [7] stimavano che all’incirca il 90% dei bambini che vivevano nei campi frequentavano regolarmente una scuola; rappresentando tuttavia quest’ultimi solo il 13% dei rifugiati siriani in età scolastica. Considerando la bassa percentuale di residenti nei campi, nel 2014-2015 si stimava che in totale fossero non più del 25% i siriani che in Turchia avevano accesso all’istruzione. [8]
      Sempre nel 2015, AFAD [9] snocciolava percentuali di scolarizzazione che per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 11, che vivevano fuori da campi, non superava il 15% [10] e sottolineava come tale differenza “undermines the United Nations’ “no lost generation” strategy”.

      In secondo luogo, ogni volta che vengono forniti dati ufficiali provenienti dalle Nazioni Unite (salvo eccezioni) è opportuno ricordare che si riferiscono a migranti registrati. Si stima siano almeno 300.000 coloro che al momento vivono sul suolo turco senza essere mai stati censiti. La maggior parte di questi sono bambini. In tal senso è inevitabile che le cifre relative alla dispersione scolastica siano destinate a salire in modo vertiginoso.

      In ultimo, la gravità dei dati di cui sopra, deve essere contestualizzata rispetto l’attenzione che il popolo siriano prestava alla cultura prima di essere lacerato dalla guerra: un tasso di iscrizione del 99% per l’istruzione primaria e dell’82% per la scuola secondaria inferiore. [11]

      La domanda immediatamente consequenziale da porsi a questo punto è: cosa succede ad un esercito, in parte fantasma, di generazioni a cui non è stata consentito di fatto l’accesso all’istruzione?
      Cosa accade se gli stessi sfortunati protagonisti sono costretti a vivere nella miseria più totale, abbandonati dalla comunità internazionale e dal paese che li dovrebbe proteggere?
      Lavoro minorile, accattonaggio, reclutamento da parte di forze armate di matrice terrorista, sfruttamento sessuale: sono queste le principali cause in Turchia, per i giovani migranti, della fine dell’infanzia e di un’entrata scomposta e traumatica nell’età adulta.


      http://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-L-infanzia-negata.html
      #enfants #enfance #travail_des_enfants #néo-esclavage #esclavage

    • La merce siamo noi

      Un documentario che corre lungo le linee disegnate dai campi profughi nel sud est della Turchia, un labirinto di muri e misure restrittive, manipolazioni politiche ed esodi senza precedenti


      https://www.youtube.com/watch?v=ktwIvfnE2mM

      http://www.meltingpot.org/La-merce-siamo-noi-22685.html
      #film #documentaire

  • South African court allows landmark silicosis suit against gold firms | World news | The Guardian

    http://www.theguardian.com/world/2016/may/13/south-african-court-allows-landmark-silicosis-suit-against-gold-firms?C

    South Africa’s High Court gave the green light on Friday for class action suits seeking damages from gold firms on behalf of up to half a million miners who contracted fatal lung diseases while working underground.

    The decision by Judge Phineas Mojapelo sets the stage for protracted proceedings in South Africa’s largest class action suit, which analysts have said could cost the gold industry hundreds of millions of dollars.

    #afrique_du_sud #santé #accès_à_la_santé