• Le doublement de la franchise sur les boîtes de médicaments entre en vigueur
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/03/31/le-doublement-de-la-franchise-sur-les-boites-de-medicaments-entre-en-vigueur

    Dès dimanche donc, la franchise sur les médicaments et les actes paramédicaux passe de 50 centimes à 1 euro. (...)
    En cas de cumul d’actes dans une même journée, le montant ne peut toutefois pas excéder 4 euros de reste à charge par jour sur les actes médicaux (contre 2 euros jusqu’alors) et 8 euros sur les transports sanitaires (contre 4 euros précédemment).
    La « participation forfaitaire » – qui fonctionne selon le même principe pour les consultations et actes médicaux, à l’exception de ceux réalisés lors d’une hospitalisation, mais aussi les examens de biologie médicale et de radiologie – passera, elle, bientôt à 2 euros, contre 1 euro aujourd’hui. La date de cette augmentation, actée par un décret paru à la mi-février, n’est pas encore connue.
    Afin que les personnes ayant le plus fort recours aux soins ne soient pas pénalisées, les deux plafonds annuels – l’un pour les franchises, l’autre pour les participations forfaitaires – sont maintenus à 50 euros chacun.
    Les franchises et remboursements forfaitaires ne sont pas applicables aux mineurs, aux femmes en congé maternité et aux bénéficiaires de la complémentaire santé solidaire (C2S) – ces derniers ayant des revenus particulièrement modestes. [inférieurs à 1093e/mois pour une personne seule en 2024, ndc]

    Pour « 800 millions d’euros d’économie par an » à la Sécu.

    #santé #pauvres #accès_aux_soins

  • Prise en charge des affections longue durée : ce qui se passe depuis Sarkozy est gravissime – Libération
    https://www.liberation.fr/societe/sante/prise-en-charge-des-affections-longue-duree-ce-qui-se-passe-depuis-sarkoz
    https://www.liberation.fr/resizer/4fQQZ9rz3r0YowjSgNoBgjb3AD0=/1200x630/filters:format(jpg):quality(70):focal(2371x1106:2381x1116)/cloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com/liberation/IZ7SLVPTYNA2XKRFYHLV6N4EKM.jpg

    « La protection sociale est plus un coût dans la compétitivité internationale qu’un avantage », expliquait l’économiste Eric Le Boucher dans le Figaro en 2006, alors que Nicolas Sarkozy entamait sa longue marche vers la présidentielle, avec son slogan fétiche « Travailler plus pour gagner plus », et parmi les mesures phares de son projet néolibéral la mise en place de franchises sur les soins, au nom de la responsabilisation… des cancéreux, des accidentés du travail, des diabétiques et des insuffisants rénaux. « Y a-t-il une assurance sans franchise ? » demandait-il, goguenard, devant un public conquis. Dix-huit ans plus tard, le travail de sape a bien avancé. Les franchises sur les soins ont été adoptées en 2007, malgré une forte mobilisation et la grève des soins entamée par Bruno-Pascal Chevalier, militant du sida aujourd’hui décédé. Le périmètre des affections de longue durée (ALD) bénéficiant d’une prise en charge à 100 % a été redéfini, à la baisse, avec la sortie de l’hypertension artérielle (HTA) sévère, ce qui a touché des millions de personnes, au motif que la HTA n’était pas une maladie, mais un facteur de risque. Qu’importe la cohérence financière, car évidemment traiter les maladies chroniques dès le départ pour éviter leur aggravation abaisse le coût final pour la collectivité. Qu’importe l’écart d’espérance de

  • Un rapporto sulla frontiera tra Lettonia, Russia e Bielorussia

    Il monitoraggio della ONG “I want to help refugees”

    A ottobre 2023 la ONG lettone Gribu palīdzēt bēgļiem (Voglio aiutare i rifugiati) 2, ha pubblicato un report sulla monitoraggio delle frontiere curato da Anna E. Griķe e Ieva Raubiško 3.

    Questa pubblicazione segue il report sulla visita effettuata in Lettonia dal 10 al 20 maggio del 2022 dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), un dossier a cui il governo lettone ha replicato in modo ambiguo e fuorviante. L’ONG lettone ha così deciso di redigere un proprio report che contesta le affermazione governative.

    Il Rapporto del Comitato europeo, infatti, forniva 21 raccomandazioni in merito alla situazione di detenzione nei confronti delle persone migranti, mentre la risposta del governo lettone considerava 18 di queste come risolte e/o ingiustificate, per cui non dovrebbero essere prese ulteriori misure, e 3 raccomandazioni presentate insieme a una potenziale azione.

    Tra le raccomandazioni, il CPT ha indicato alle autorità lettoni di garantire che le persone migranti che arrivano nella zona di frontiera o che sono presenti nel Paese non siano rimpatriate con la forza in Bielorussia. E’, invece, doveroso effettuare uno screening individuale al fine di identificare le persone bisognose di protezione, valutare tali necessità e prendere le misure appropriate. Inoltre, è essenziale che i cittadini stranieri abbiano accesso a una procedura di asilo, o altra procedura di soggiorno, che preveda una valutazione del rischio di maltrattamento in caso di espulsione della persona interessata verso il Paese di origine o un Paese terzo, sulla base di un’analisi obiettiva e indipendente della situazione dei diritti umani in quegli Stati.

    Per le autorità lettoni, attualmente, la situazione nei territori amministrativi al confine tra Lettonia e Bielorussia è considerata come un’emergenza e «non consente il flusso incontrollato di persone che attraversano il confine di Stato in luoghi non previsti», e allo stesso tempo non limita il diritto delle persone ad accedere alla procedura di asilo, poiché «il diritto di presentare una domanda al valico di frontiera previsto dalla legge sull’asilo non è limitato».

    Tuttavia, le testimonianze delle persone respinte con la forza dal confine lettone verso la Bielorussia indicano che al confine non viene effettuato un esame adeguato (ad esempio, non vengono verificati i documenti d’identità: nazionalità, età e altri dati identificativi sono sconosciuti), in violazione del divieto di espulsione collettiva dei rifugiati sancito dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla CEDU (principio di non-refoulement). Ci sono stati casi in cui non solo le famiglie con bambini, ma anche i minori non accompagnati sono stati respinti. Inoltre, perfino il principio dell’unità familiare non sempre è rispettato.

    Altre testimonianze di persone che sono riuscite ad entrare in Lettonia e hanno presentato domanda di asilo per motivi umanitari, mostrano che né le autorità bielorusse né quelle lettoni permettono ai migranti di spostarsi verso i valichi di frontiera ufficiali, respingendo invece in Lettonia o in Bielorussia, nonostante la legislazione vigente preveda che le persone possano presentare domanda di asilo ai valichi di frontiera ufficiali (ce ne sono due a Pāternieki e Silene) e al Centro di detenzione per stranieri di Daugavpils.

    Per dissuadere le persone dall’attraversare la frontiera, le guardie ricorrono all’uso della forza fisica e mezzi speciali, nonché all’uso di cani da guardia. Il 29 agosto 2023, il governo ha ratificato gli emendamenti al “Regolamento sui tipi di mezzi speciali e sulla procedura per il loro utilizzo“, prevedendo oltre ai mezzi speciali già in uso – tra cui manganelli, taser, spray di gas cs, candelotti e granate fumogene, granate a gas, luminose e sonore – anche dispositivi sonori con effetti stordenti.

    L’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine è illegale e per questo il CPT ha raccomandato che le forze dell’ordine vengano informate a riguardo e ricevano una formazione pratica sull’uso proporzionato della forza per l’arresto di cittadini stranieri alla frontiera.

    Le autorità lettoni ribattono di non aver fatto ricorso alla forza fisica e a mezzi speciali contro le persone migranti in quanto non si sono verificati casi in cui queste non hanno obbedito agli ordini considerati legittimi delle guardie di frontiera: le persone, infatti, vengono informate che l’attraversamento del confine di Stato è illegale e che è prevista una responsabilità penale per il suo attraversamento e vengono invitate a non attraversare il confine di Stato o, di conseguenza, a tornare in Bielorussia. Nonostante sia consentito l’uso dei taser ai funzionari, attualmente non sono utilizzati per la sorveglianza delle frontiere a causa della loro carenza numerica, del loro breve periodo di autonomia e della necessità di utilizzarli per le esigenze di altri servizi dell’SBG 4.

    Tuttavia, la risposta del governo è in contraddizione con diverse testimonianze di persone migranti raccolte da “Voglio aiutare i rifugiati” nel 2022-2023, che hanno subito violenze emotive e fisiche, tra cui insulti e minacce, percosse e folgorazioni, sia durante i respingimenti che durante la permanenza nelle tende/basi dell’SBG in territorio lettone.

    Secondo queste testimonianze, gli abusi sono stati commessi il più delle volte da membri di unità speciali non identificate che indossavano maschere. Nel report si legge che «almeno quattro denunce sull’uso eccessivo della violenza sono state presentate all’Ufficio per la sicurezza interna e uno dei denuncianti si è rivolto alla Corte europea dei diritti umani».

    Per quanto riguarda l’accoglienza dei minori non accompagnati, il Comitato vorrebbe fosse adibita una struttura specifica, mentre il governo lettone afferma che sarebbe impossibile in quanto il numero dei minori è esiguo. Per l’associazione questa risposta è fuorviante: nonostante il basso numero solo alcuni minori non accompagnati vengono accolti in modo adeguato. Nel maggio 2023 Anna E. Griķe ha incontrato una ragazza di 13 anni dell’isola di Comore ospitata nel “centro di accoglienza” per richiedenti asilo “Mucenieki“, che offriva le stesse condizioni di alloggio degli adulti e che quindi non può essere considerato un istituto di assistenza all’infanzia. Tra il 4 e il 7 luglio la minore è scomparsa.

    Oltre a strutture specifiche adeguate per l’età dei richiedenti asilo, il CPT vorrebbe assicurare ai richiedenti asilo trattenuti nei centri di Daugavpils e Mucenieki attività come lezioni di lingua, di computer, percorsi formativi ecc. Il massimo sforzo dovrebbe essere dedicato soprattutto per garantire ai bambini in età scolastica attività educative adeguate.

    Il governo lettone ha risposto che all’SBG non compete la pianificazione delle attività del tempo libero, tuttavia collabora con le ONG lettoni, come l’associazione “Voglio aiutare i rifugiati” e la Croce Rossa che, per quanto possibile, assicurano l’organizzazione di varie attività ricreative, di socializzazione e integrazione, misure di sostegno psicologico e di istruzione.

    Nonostante ciò, il report afferma che da quanto osservato nel 2023 l’unica attività garantita dalla CR è stata fornire indumenti scadenti a entrambi i centri di detenzione e che solo nell’estate del 2023 l’associazione ha organizzato attività settimanali in entrambi i centri di detenzione per bambini e famiglie e a volte per adulti: un’iniziativa basata sulla buona volontà, non una soluzione sistemica.

    In ultima istanza, il report si occupa delle problematiche relative alle cure psichiatriche e all’assistenza psicologica nei centri di detenzione. Il CPT insiste che siano presi provvedimenti a riguardo insieme a un necessario servizio di interpretariato professionale. Le autorità lettoni dichiarano che in base alla proposta avanzata dall’Ong “Medici senza frontiere“, nel periodo compreso tra luglio e il 31 dicembre 2022, i loro rappresentanti hanno visitato regolarmente l’IDC (centro di detenzione per immigrati) di Daugavpils e di Mucenieki, fornendo assistenza psicologica agli stranieri detenuti e ai richiedenti asilo ospitati nell’IDC dell’SBG.

    Da quando Medici Senza Frontiere ha cessato la sua attività in Lettonia, nel dicembre 2022 5, non è più disponibile alcun supporto psicologico per le persone detenute. Inoltre nel 2013, l’SBG e la Croce Rossa Lettone hanno firmato un accordo di cooperazione, in base al quale quest’ultima si è impegnata a fornire per le persone accolte misure di sostegno psicologico ed educativo. Secondo “Voglio aiutare i rifugiati” la Croce Rossa non ha offerto assistenza psicologica presso gli IDC anche a causa della difficoltà di organizzare gli interpreti. Sebbene le ONG possano offrire un valido supporto psicologico ai richiedenti asilo e agli stranieri detenuti nei centri di detenzione, i loro servizi non possono essere considerati una sostituzione del supporto psicologico che lo Stato dovrebbe fornire.

    “Voglio aiutare i rifugiati” ha ripreso lo slogan “Nessuno è illegale” (Neviena persona nav nelegāla!) per cercare di sensibilizzare sulla situazione al confine: «Il termine “migrante irregolare” non solo è indesiderabile (ad esempio, si veda il Glossario sulle migrazioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni), ma denigra anche i diritti umani di qualsiasi migrante e non è in linea con i principi delle buone pratiche».

    La maggior parte delle persone giunte in Lettonia dalla Bielorussia sono richiedenti asilo: fino a quando non verrà presa una decisione sul loro status, da un punto di vista giuridico dovrebbero essere chiamati richiedenti asilo, nonostante abbiano attraversato il confine “illegalmente“. Da un punto di vista legale ed etico, un processo o un atto può essere etichettato come irregolare, ma non lo può essere una persona.
    Nessuna persona, infatti, è illegale!

    https://www.meltingpot.org/2024/03/un-rapporto-sulla-frontiera-tra-lettonia-russia-e-bielorussia

    #rapport #frontières #migrations #réfugiés #Gribu_palīdzēt_bēgļiem #Gribu_palidzet_begliem #Lettonie #Russie #Biélorussie #accès_aux_droits #droit_d'asile #expulsions_collectives #refoulements #push-backs #violence #violences #dispositifs_sonores #insultes #menaces #violences_psychologiques

    • BORDER MONITORING REPORT, LATVIA

      Background

      On 11 July 2023 both the “Report to the Latvian Government on the periodic visit to Latvia carried out by the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) from 10 to 20 May 2022” (here and after – Report) and the “Response of the Latvian Government to the report of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (CPT) on its periodic visit to Latvia from 10 to 20 May 2022” (here and after – Response) were published. The Report provides 21 recommendations in terms of Immigration detention; Response considers 18 recommendations as in progress and/or unjustified where no additional steps should be taken, and 3
      recommendations are presented along with a potential action plan.
      Ieva Raubiško has closely followed the situation of irregular migrants at the Latvian-Belarussian border since August 2021. In October 2022, she joined the NGO “I Want to Help Refugees” as an advocacy officer. In February 2023 Anna E. Griķe began to fulfil her duties as both border monitoring expert and coordinator of
      humanitarian aid for asylum seekers. Based on prior reports, observations, and individual cases, the following border monitoring report aims to highlight misleading information within the Response. It does not cover all recommendations/responses because of the insufficient data available regarding issues such as access to
      legal aid or to health care, but it is more focused on the everyday life in detention, especially, in regard to minors. The reference to both documents includes paragraphs and page numbers.

      Key Findings

      [1] Accommodation of unaccompanied minors

      Report, par. 30, p. 17: “The Committee recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that unaccompanied minors are accommodated in an open (or semi-open) specialised establishment for juveniles (for example, a social welfare/educational institution) where they can be provided with appropriate care and activities suitable for their age; the relevant legal provisions should be amended accordingly.”

      Response, p. 12: “There is no open (or semi-open) specialised establishment in Latvia intended specifically for a minor foreigner to be extradited or unaccompanied asylum seeker and it is not planned to create such an establishment, because the number of unaccompanied minors is small and it would not be feasible to open such an establishment. An unaccompanied minor, who is not detained, is accommodated in a child care institution based on the decision of the Orphan’s and Custody Court.”

      Indeed, the number of asylum seekers – unaccompanied minors is low, and there is no specialised establishment for their accommodation. However, the Response is misleading since only some unaccompanied minors are properly taken care of. In May 2023, Anna E. Griķe came across two of them, a 13-years old girl from Comoros island and a 14-years old boy from DRC. They both were accommodated in the Accommodation centre for asylum seekers “Mucenieki” provided the same accommodation conditions as adults (free of charge accommodation and allowance of 3 euros per day). It could be considered a childcare institution in any way, as it requires individuals to have complete autonomy in taking care of themselves on a daily basis. After the girl’s disappearance of between July 4 and 7 and ‘with serious concerns about the lack of action, relevant institutions as Ombudsman or State Police were informed about the situation.

      [2] Access to education and/or leisure activities for minors in IDCs [immigration detention center]

      Response, p. 12: “Minors accompanied by their parents are accommodated in the IDC, based on the parents’ application for accommodating children together with parents, and after evaluating the best interests of a child. Thus, children are not detained, but accommodated together with their parents, who are detained. In turn, detained unaccompanied minors are accommodated in the premises of the IDC premises, in which there is personnel and equipment to take the needs of their age into account. Minors accommodated in the premises of the IDC are provided with opportunities for acquiring education, engaging in leisure time activities, including games and recreational events corresponding to their age.” Even though there is a theoretical possibility for children from IDC to access education, it does not take place due to multiple factors. For instance, it takes one month to get the response from the Ministry of Education to be assigned to an educational institution, and as the detainees do not know the length of their detention and live in hope that it will not be lasting long, there is low interest to submit an application. Apart from a room with a limited number of toys, there are no specific opportunities considered for children/youth who experience the same limited access of movement within the detention centre as adults. For instance, outdoor space is not openly available. In the premises of the IDC, there is no opportunity for acquiring education; also, online learning is not possible due to the limited access to electronic devices which is restricted to just one hour per day. None of IDC’s personnel has the task to meet the education and or/leisure activity needs.

      [3] About access to purposeful activities for detainees

      Report, par. 35, p. 19: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to ensure that foreign nationals held at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres are offered a range of purposeful activities (for example, language classes, computer courses, crafts, etc.). The longer the period for which foreign nationals are detained, the more developed should be the activities which are offered to them. Further, every effort should be made to provide children of school age with suitable educational activities.”

      Response, p. 14-15: “The SBG ensures the security guarding of persons accommodated in the IDC, but does not get involved in planning their free time activities. Nevertheless, the SBG actively cooperates with Latvian NGOs, such as the association “I want to help refugees”, which, as far as possible, ensures the organisation of various leisure activities in the IDC of the SBG for both children and adults. […] In 2013, the SBG and the association “Latvian Red Cross” (hereinafter – LRC) signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions, as well as to provide the services of social work experts and other measures promoting socialisation and integration, including, if necessary, to organise Latvian language classes. Recommendations regarding the provision of purposeful activities (including the Latvian language classes) for foreigners in accommodation centres for asylum seekers, as well as regarding measures to reduce the language barrier between health care personnel and admitted foreign nationals, by providing translation/interpreting services, are to be supported.”

      In summer 2023, “I Want to Help Refugees” organized weekly activities in both detention centres for children and families, and – when possible, for adults, both men and women. It was based on good will, and in no terms could be perceived as a systemic solution. However, these activities created an opportunity to get a better insight of the everyday life in detention and was an attempt to meet individual or collective needs. These included provision of underwear, socks, basic footwear, additional clothing, spices for food, books, toys, and games.
      Prior to summer 2023 no regular activities were provided by any institution, NGOs or Latvian Red Cross (besides two unsuccessful episodes in December 2022 and April 2023 when a team of LRC did not manage establish contact with detainees to provide leisure time activities). From what has been observed during 2023, the sole outcome of the cooperation agreement with LRC is the provision of donated clothes to both IDCs. These are of very poor quality and do not include such basic items as underwear or socks. No psychological support, educational measures or other initiatives that would improve living conditions are being implemented in any of IDCs. Services of social work experts and other measures promoting socialization and integration, including Latvian language classes, are not provided either.

      [4] About access to outdoor exercise at the IDCs

      Report. par. 36, p. 20: “The CPT recommends that the Latvian authorities take steps to increase significantly the daily outdoor exercise period for foreign nationals held at Daugavpils Immigration Detention Centre. In the Committee’s view, detained foreign nationals should, as a rule, have ready access to an outdoor area throughout the day.

      Response, p. 15: “According to Clause 21 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017, the daily schedule of the accommodation premises shall include daily walk time in fresh air (outdoor exercise) – for at least two hours. In turn, Clause 18 of Cabinet of Ministers Regulation No. 254 of 16 May 2017 provides that if a detained person refuses to exercise any rights (for example, outdoor exercise), an official of the accommodation premises may request to confirm it with a written submission. Given the structure of Daugavpils IDC and Mucenieki IDC, it is not possible to ensure free access of the detained persons to the outdoor area throughout the day.” “I Want to Help Refugees” has received complaints from a number detainees at both Daugavpils and Mucenieki Detention Centres about their restricted access to outdoor areas. While no clear-cut reasons for such restriction have been provided, these complaints also indicate a lack of clear procedure as to how the access to open-air areas should be requested by the detainees and why and how the time limit outdoor activities is determined (for example, why only one hour is granted for outdoor activities, not the two-hour minimum as prescribed in the Cabinet of Ministers Regulation No. 254, Internal Rules of Procedure of Accommodation Premises for Detained Foreigners and Asylum Seekers.) As a result, inhabitants of IDCs lose the possibility to be in fresh air for sufficient time each day or, on some days, are not able to spend time outdoors at all.

      [5] About the alleged ill-treatment of detained foreign nationals (irregular migrants) by Latvian special police forces between August 2021 and March 2022 in the border area.

      Report, par. 33, p. 18: “The CPT recommends that all law enforcement agencies concerned are given a clear and firm message on a regular basis that any use of excessive force is illegal and will be punished accordingly. Further, they should be provided with further practical training relating to the proportionate use of force, including control and restraint techniques, in the context of apprehending foreign nationals at the border. As regards more specifically the use of electrical discharge weapons, reference is made to the principles listed in paragraphs 65 to 84 of the 20th General Report on the CPT’s activities.23“

      Response, p. 13: “It has not been necessary to use physical force and special means against persons, because there have been no cases when they did not obey the lawful orders of the border guards. In order to prevent crossing or attempted crossing of the state border outside official border crossing points and procedures established for legal entry, persons are informed that crossing the state border is illegal and there is criminal liability prescribed for crossing it and are invited not to cross the state border or correspondingly invited to return to Belarus. Furthermore, at that moment persons also visually see armed border guards and national guards, and their preparedness for active response in preventing the possibilities of illegal crossing of the state border. Following such actions and the provision of information, persons, as a rule, do not risk approaching Latvia or, if they have already crossed the border, they return to Belarus. The enumeration of special means of the SBG contains electric shock devices, which the officials, based on Cabinet of Ministers Regulation No.55 of 18 January 2011, are entitled to use for fulfilment of the functions assigned to them. There are no electric shock devices of any kind (including TASER) currently used for border surveillance due to the numerical shortage thereof, expiry of their useful life and the necessity to use them for the needs of other SBG services (immigration control, border inspections).”

      The government’s response contradicts several testimonies of irregular border-crossers recorded by “I Want to Help Refugees” in 2022–2023 on having experienced emotional and physical violence, including cursing and threats, beatings, and electrocution both during the pushbacks and while in tents/ SBG bases in the Latvian territory. According to these testimonies, abuse was most often committed by members of unidentified special units wearing masks. At least four complaints on the excessive use of violence have been submitted to the Internal Security Bureau, and one of the complainants has turned to the European Court of Human Rights.

      [6] About the lack of psychological assistance to the detainees at the IDCs.

      Report, par. 44, p. 57: “The CPT recommends that steps be taken at Daugavpils and Mucenieki Immigration Detention Centres to ensure adequate access to psychiatric care and psychological assistance for foreign nationals, combined with the provision of professional interpretation.”

      Response, p. 18-19: “Based on the proposal made by the international non-governmental organisation “Doctors without Borders”, during the period from July to 31 December 2022, the representatives of the international non-governmental organisation “Doctors without Borders” have been regularly visiting Daugavpils IDC and Mucenieki IDC and providing psychological support to the detained foreigners and asylum seekers accommodated in the IDC of the SBG.

      By means of the funds raised via the project from the Asylum, Migration and Integration Fund, in order to reduce the everyday psychological sufferings or struggles of the target group, it is planned to attract psychologists and cover expenses for psychologist services for the foreigners accommodated in the centres.

      Additionally, as already mentioned herein above, in 2013, the SBG and the LRC signed an agreement on cooperation, based on which the LRC, among other things, undertook to organise, as far as possible, for persons accommodated in the IDC of the SBG, psychological support and educational measures or other measures that would improve living conditions of the referred to persons…”

      While NGOs might offer valuable psychological support to asylum seekers and detained foreigners at the IDCs, their services cannot be considered a viable alternative and substitution of state-provided in-house psychological support. Since December 2022 when “Doctors without Borders” ceased its operation in Latvia, no psychological support has been available to the detainees. LRC has not been able to offer any psychological assistance at the IDCs, citing the difficulty of arranging interpreters as one of the main challenges.

      [7] About the forcible return of irregular migrants from Latvia to Belarus

      Report, par. 48, p. 57: “… the CPT recommends that the Latvian authorities take the necessary measures to ensure that irregular migrants arriving at the border or present in the territory of Latvia are not forcibly returned to Belarus prior to an individualised screening with a view to identifying persons in need of protection, assessing those needs and taking appropriate action. Further, it is essential that foreign nationals have effective access to an asylum procedure (or other residence procedure) which involves an individual assessment of the risk of ill-treatment in case of expulsion of the person concerned to the country of origin or a third country, on the basis of an objective and independent analysis of the human rights situation in the countries concerned.38 The CPT considers that the relevant provisions of the Cabinet of Ministers’ Decree No. 518 on the Declaration of a State of Emergency should be revised accordingly.”

      Response, p. 19: “Currently, the emergency situation in the administrative territories at the Latvia- Belarus border does not allow the uncontrolled flow of people across the state border in places not intended for this, and at the same time does not limit the right of persons to access the asylum procedure, because the right to lodge an application at the border crossing point provided for by the Asylum Law is not restricted. The referred to regulation was based on the internationally recognised right of countries to control the border of their country and to prevent the illegal crossing thereof (see the judgment of the ECHR of 13 February 2020 in the case of ND and NT v. Spain and the judgment of the ECHR of 5 April 2022 in the case A.A. and others v. North Macedonia).”

      Testimonies of irregular migrants forcibly returned from Latvia/ Latvian border to the territory of Belarus indicate that no proper screening of persons is performed at the border. There have been cases when not only families with children, but also unaccompanied minors have been pushed back.
      Testimonies of irregular migrants allowed to enter Latvia on humanitarian grounds and submit their claims for asylum, show that neither the Belarussian nor the Latvian authorities allow the migrants to move to the official border crossing points, instead pushing them back to either Belarus or Latvia.

      Recommendations and Action Points

      Clarify the statements in the Response with authorities in question.
      Create an action plan that identifies the gaps in the treatment of detainees in detention centres and explores for possible solutions.
      Establish an obligation and a clear procedure for a prompt investigation of all claims of violence voiced by irregular migrants and detained asylum seekers.
      Ensure presence of a psychologist/psychotherapist at both IDCs to provide psychological help to the detained when necessary (also, ensure that the regular medical staff is present).
      Ensure the possibility for detainees to spend sufficient time outdoors each day.
      Ensure transparent evaluation of migrants’ individual circumstances upon their arrival at the border; share the assessment guidelines with independent monitoring bodies and NGOs.

      https://gribupalidzetbegliem.lv/en/2023/10/01/border-monitoring-report-latvia

    • Quand tu fais partie des 10 premières puissances mondiales et que seuls les riches peuvent se soigner correctement !!!

    • #sans-dent : la #macronisation était déjà « en marche » ...

      « Je suis à leur service, les plus humbles, les plus fragiles, les plus pauvres, c’est ma raison d’être. »
      « la fonction présidentielle doit être respectée. (...) Pas pour protéger la personne mais pour protéger nos institutions. »

      (François Hollande en réaction à la sortie de « Merci pour ce moment », livre de son ex-compagne Valérie Trierweiler)

      Je me souviens d’un soir, au sortir d’un repas de Noël passé chez ma mère, à Angers, avec tous mes frères et sœurs, les conjoints, neveux et nièces, vingt-cinq personnes en tout. François se tourne vers moi, avec un petit rire de mépris et me jette :

      – Elle n’est quand même pas jojo, la famille Massonneau…

      Cette phrase est une gifle. Des mois plus tard, elle me brûle encore. Comment François peut-il dire cela de ma propre famille ? « Pas jojo, la famille Massonneau » ? Elle est pourtant tellement typique de ses électeurs.

      J’ai longtemps hésité avant de raconter cette anecdote si révélatrice de ce qu’il est, qui va blesser les miens, eux qui étaient si heureux de le connaître et si fiers de le recevoir. Mais je veux me laver de tant de mensonges, sortir de ce livre sans le poids des non-dits.

      Je vous demande pardon, à vous ma famille, d’avoir aimé un homme capable de ricaner sur les « Massonneau pas jojo ». Je suis fière de vous. Pas un de mes frères et sœurs n’a dévié. Certains ont réussi, d’autres moins, mais nous savons tous tendre les bras et exprimer notre amour, les mots « famille » et « solidarité » ont un sens concret, alors que pour François, ce ne sont que des abstractions. Pas une seule fois il n’a invité son père à l’Élysée, ni son frère. Il se veut un destin hors norme, un Président orgueilleusement seul.

      Mais où faut-il donc être né pour être jojo ? C’est vrai, dans ma famille, personne n’a fait l’ENA ni HEC. Aucun d’entre nous n’a possédé de clinique, ni fait des affaires dans l’immobilier comme son père. Nul n’a de propriété à Mougins sur la Côte d’Azur comme lui. Personne n’est haut fonctionnaire ou célèbre comme les gens qu’il fréquente depuis la promotion Voltaire de l’ENA. Les Massonneau sont une famille de Français modestes. Modestes mais fiers de ce que nous sommes.
      Son expression tellement dédaigneuse me hante maintenant que le charme est rompu, que je suis désenvoûtée de son regard. Il s’est présenté comme l’homme qui n’aime pas les riches. En réalité, le Président n’aime pas les pauvres. Lui, l’homme de gauche, dit en privé « les sans-dents », très fier de son trait d’humour.

      (extrait du témoignage de Valérie Trierweiler née Massoneau)

  • #Université, service public ou secteur productif ?

    L’#annonce d’une “vraie #révolution de l’Enseignement Supérieur et la Recherche” traduit le passage, organisé par un bloc hégémonique, d’un service public reposant sur des #carrières, des #programmes et des diplômes à l’imposition autoritaire d’un #modèle_productif, au détriment de la #profession.

    L’annonce d’une « #vraie_révolution » de l’Enseignement Supérieur et la Recherche (ESR) par Emmanuel Macron le 7 décembre, a pour objet, annonce-t-il, d’« ouvrir l’acte 2 de l’#autonomie et d’aller vers la #vraie_autonomie avec des vrais contrats pluriannuels où on a une #gouvernance qui est réformée » sans recours à la loi, avec un agenda sur dix-huit mois et sans modifications de la trajectoire budgétaire. Le président sera accompagné par un #Conseil_présidentiel_de_la_science, composé de scientifiques ayant tous les gages de reconnaissance, mais sans avoir de lien aux instances professionnelles élues des personnels concernés. Ce Conseil pilotera la mise en œuvre de cette « révolution », à savoir transformer les universités, en s’appuyant sur celles composant un bloc d’#excellence, et réduire le #CNRS en une #agence_de_moyen. Les composantes de cette grande transformation déjà engagée sont connues. Elle se fera sans, voire contre, la profession qui était auparavant centrale. Notre objet ici n’est ni de la commenter, ni d’en reprendre l’historique (Voir Charle 2021).

    Nous en proposons un éclairage mésoéconomique que ne perçoit ni la perspective macroéconomique qui pense à partir des agrégats, des valeurs d’ensemble ni l’analyse microéconomique qui part de l’agent et de son action individuelle. Penser en termes de mésoéconomie permet de qualifier d’autres logiques, d’autres organisations, et notamment de voir comment les dynamiques d’ensemble affectent sans déterminisme ce qui s’organise à l’échelle méso, et comment les actions d’acteurs structurent, elles aussi, les dynamiques méso.

    La transformation de la régulation administrée du #système_éducatif, dont nombre de règles perdurent, et l’émergence d’une #régulation_néolibérale de l’ESR, qui érode ces règles, procède par trois canaux : transformation du #travail et des modalités de construction des #carrières ; mise en #concurrence des établissements ; projection dans l’avenir du bloc hégémonique (i.e. les nouveaux managers). L’action de ces trois canaux forment une configuration nouvelle pour l’ESR qui devient un secteur de production, remodelant le système éducatif hier porté par l’État social. Il s’agissait de reproduire la population qualifiée sous l’égide de l’État. Aujourd’hui, nous sommes dans une nouvelle phase du #capitalisme, et cette reproduction est arrimée à l’accumulation du capital dans la perspective de #rentabilisation des #connaissances et de contrôle des professionnels qui l’assurent.

    Le couplage de l’évolution du système d’ESR avec la dynamique de l’#accumulation, constitue une nouvelle articulation avec le régime macro. Cela engendre toutefois des #contradictions majeures qui forment les conditions d’une #dégradation rapide de l’ESR.

    Co-construction historique du système éducatif français par les enseignants et l’État

    Depuis la Révolution française, le système éducatif français s’est déployé sur la base d’une régulation administrée, endogène, co-construite par le corps enseignant et l’État ; la profession en assumant de fait la charge déléguée par l’État (Musselin, 2022). Historiquement, elle a permis la croissance des niveaux d’éducation successifs par de la dépense publique (Michel, 2002). L’allongement historique de la scolarité (fig.1) a permis de façonner la force de travail, facteur décisif des gains de productivité au cœur de la croissance industrielle passée. L’éducation, et progressivement l’ESR, jouent un rôle structurant dans la reproduction de la force de travail et plus largement de la reproduction de la société - stratifications sociales incluses.

    À la fin des années 1960, l’expansion du secondaire se poursuit dans un contexte où la détention de diplômes devient un avantage pour s’insérer dans l’emploi. D’abord pour la bourgeoisie. La massification du supérieur intervient après les années 1980. C’est un phénomène décisif, visible dès les années 1970. Rapidement cela va télescoper une période d’austérité budgétaire. Au cours des années 2000, le pilotage de l’université, basé jusque-là sur l’ensemble du système éducatif et piloté par la profession (pour une version détaillée), s’est effacé au profit d’un pilotage pour et par la recherche, en lien étroit avec le régime d’accumulation financiarisé dans les pays de l’OCDE. Dans ce cadre, l’activité économique est orientée par l’extraction de la valeur financière, c’est à dire principalement par les marchés de capitaux et non par l’activité productive (Voir notamment Clévenot 2008).
    L’ESR : formation d’un secteur productif orienté par la recherche

    La #massification du supérieur rencontre rapidement plusieurs obstacles. Les effectifs étudiants progressent plus vite que ceux des encadrants (Piketty met à jour un graphique révélateur), ce qui entrave la qualité de la formation. La baisse du #taux_d’encadrement déclenche une phase de diminution de la dépense moyenne, car dans l’ESR le travail est un quasi-coût fixe ; avant que ce ne soit pour cette raison les statuts et donc la rémunération du travail qui soient visés. Ceci alors que pourtant il y a une corrélation étroite entre taux d’encadrement et #qualité_de_l’emploi. L’INSEE montre ainsi que le diplôme est un facteur d’amélioration de la productivité, alors que la productivité plonge en France (voir Aussilloux et al. (2020) et Guadalupe et al. 2022).

    Par ailleurs, la massification entraine une demande de différenciation de la part les classes dominantes qui perçoivent le #diplôme comme un des instruments de la reproduction stratifiée de la population. C’est ainsi qu’elles se détournent largement des filières et des établissements massifiés, qui n’assurent plus la fonction de « distinction » (voir le cas exemplaire des effectifs des #écoles_de_commerce et #grandes_écoles).

    Dans le même temps la dynamique de l’accumulation suppose une population formée par l’ESR (i.e. un niveau de diplomation croissant). Cela se traduit par l’insistance des entreprises à définir elles-mêmes les formations supérieures (i.e. à demander des salariés immédiatement aptes à une activité productive, spécialisés). En effet la connaissance, incorporée par les travailleurs, est devenue un actif stratégique majeur pour les entreprises.

    C’est là qu’apparaît une rupture dans l’ESR. Cette rupture est celle de la remise en cause d’un #service_public dont l’organisation est administrée, et dont le pouvoir sur les carrières des personnels, sur la définition des programmes et des diplômes, sur la direction des établissements etc. s’estompe, au profit d’une organisation qui revêt des formes d’un #secteur_productif.

    Depuis la #LRU (2007) puis la #LPR (2020) et la vague qui s’annonce, on peut identifier plusieurs lignes de #transformation, la #mise_en_concurrence conduisant à une adaptation des personnels et des établissements. Au premier titre se trouvent les instruments de #pilotage par la #performance et l’#évaluation. À cela s’ajoute la concurrence entre établissements pour l’#accès_aux_financements (type #Idex, #PIA etc.), aux meilleures candidatures étudiantes, aux #labels et la concurrence entre les personnels, pour l’accès aux #dotations (cf. agences de programmes, type #ANR, #ERC) et l’accès aux des postes de titulaires. Enfin le pouvoir accru des hiérarchies, s’exerce aux dépens de la #collégialité.

    La généralisation de l’évaluation et de la #sélection permanente s’opère au moyen d’#indicateurs permettant de classer. Gingras évoque une #Fièvre_de_l’évaluation, qui devient une référence définissant des #standards_de_qualité, utilisés pour distribuer des ressources réduites. Il y a là un instrument de #discipline agissant sur les #conduites_individuelles (voir Clémentine Gozlan). L’important mouvement de #fusion des universités est ainsi lié à la recherche d’un registre de performance déconnecté de l’activité courante de formation (être université de rang mondial ou d’université de recherche), cela condensé sous la menace du #classement_de_Shanghai, pourtant créé dans un tout autre but.

    La remise en question du caractère national des diplômes, revenant sur les compromis forgés dans le temps long entre les professions et l’État (Kouamé et al. 2023), quant à elle, assoit la mise en concurrence des établissements qui dépossède en retour la profession au profit des directions d’établissement.

    La dynamique de #mise_en_concurrence par les instruments transforme les carrières et la relation d’#emploi, qui reposaient sur une norme commune, administrée par des instances élues, non sans conflit. Cela fonctionne par des instruments, au sens de Lascoumes et Legalès, mais aussi parce que les acteurs les utilisent. Le discours du 7 décembre est éloquent à propos de la transformation des #statuts pour assurer le #pilotage_stratégique non par la profession mais par des directions d’établissements :

    "Et moi, je souhaite que les universités qui y sont prêtes et qui le veulent fassent des propositions les plus audacieuses et permettent de gérer la #ressource_humaine (…) la ministre m’a interdit de prononcer le mot statut. (…) Donc je n’ai pas dit qu’on allait réformer les statuts (…) moi, je vous invite très sincèrement, vous êtes beaucoup plus intelligents que moi, tous dans cette salle, à les changer vous-mêmes."

    La démarche est caractéristique du #new_management_public : une norme centrale formulée sur le registre non discutable d’une prétérition qui renvoie aux personnes concernées, celles-là même qui la refuse, l’injonction de s’amputer (Bechtold-Rognon & Lamarche, 2011).

    Une des clés est le transfert de gestion des personnels aux établissements alors autonomes : les carrières, mais aussi la #gouvernance, échappent progressivement aux instances professionnelles élues. Il y a un processus de mise aux normes du travail de recherche, chercheurs/chercheuses constituant une main d’œuvre qui est atypique en termes de formation, de types de production fortement marqués par l’incertitude, de difficulté à en évaluer la productivité en particulier à court terme. Ce processus est un marqueur de la transformation qui opère, à savoir, un processus de transformation en un secteur. La #pénurie de moyen public est un puissant levier pour que les directions d’établissement acceptent les #règles_dérogatoires (cf. nouveaux contrats de non titulaires ainsi que les rapports qui ont proposé de spécialiser voire de moduler des services).

    On a pu observer depuis la LRU et de façon active depuis la LPR, à la #destruction régulière du #compromis_social noué entre l’État social et le monde enseignant. La perte spectaculaire de #pouvoir_d’achat des universitaires, qui remonte plus loin historiquement, en est l’un des signaux de fond. Il sera progressivement articulé avec l’éclatement de la relation d’emploi (diminution de la part de l’emploi sous statut, #dévalorisation_du_travail etc.).

    Arrimer l’ESR au #régime_d’accumulation, une visée utilitariste

    L’État est un acteur essentiel dans l’émergence de la production de connaissance, hier comme commun, désormais comme résultat, ou produit, d’un secteur productif. En dérégulant l’ESR, le principal appareil de cette production, l’État délaisse la priorité accordée à la montée de la qualification de la population active, au profit d’un #pilotage_par_la_recherche. Ce faisant, il radicalise des dualités anciennes entre système éducatif pour l’élite et pour la masse, entre recherche utile à l’industrie et recherche vue comme activité intellectuelle (cf. la place des SHS), etc.

    La croissance des effectifs étudiants sur une période assez longue, s’est faite à moyens constants avec des effectifs titulaires qui ne permettent pas de maintenir la qualité du travail de formation (cf. figure 2). L’existence de gisements de productivité supposés, à savoir d’une partie de temps de travail des enseignants-chercheurs inutilisé, a conduit à une pénurie de poste et à une recomposition de l’emploi : alourdissement des tâches des personnels statutaires pour un #temps_de_travail identique et développement de l’#emploi_hors_statut. Carpentier & Picard ont récemment montré, qu’en France comme ailleurs, le recours au #précariat s’est généralisé, participant par ce fait même à l’effritement du #corps_professionnel qui n’a plus été à même d’assurer ni sa reproduction ni ses missions de formation.

    C’est le résultat de l’évolution longue. L’#enseignement est la part délaissée, et les étudiants et étudiantes ne sont plus au cœur des #politiques_universitaires : ni par la #dotation accordée par étudiant, ni pour ce qui structure la carrière des universitaires (rythmée par des enjeux de recherche), et encore moins pour les dotations complémentaires (associées à une excellence en recherche). Ce mouvement se met toutefois en œuvre en dehors de la formation des élites qui passent en France majoritairement par les grandes écoles (Charle et Soulié, 2015). Dès lors que les étudiants cessaient d’être le principe organisateur de l’ESR dans les universités, la #recherche pouvait s’y substituer. Cela intervient avec une nouvelle convention de qualité de la recherche. La mise en œuvre de ce principe concurrentiel, initialement limité au financement sur projets, a été élargie à la régulation des carrières.

    La connaissance, et de façon concrète le niveau de diplôme des salariés, est devenu une clé de la compétitivité, voire, pour les gouvernements, de la perspective de croissance. Alors que le travail de recherche tend à devenir une compétence générale du travail qualifié, son rôle croissant dans le régime d’accumulation pousse à la transformation du rapport social de travail de l’ESR.

    C’est à partir du système d’#innovation, en ce que la recherche permet de produire des actifs de production, que l’appariement entre recherche et profit participe d’une dynamique nouvelle du régime d’accumulation.

    Cette dynamique est pilotée par l’évolution jointe du #capitalisme_financiarisé (primauté du profit actionnarial sur le profit industriel) et du capitalisme intensif en connaissance. Les profits futurs des entreprises, incertains, sont liés d’une part aux investissements présents, dont le coût élevé repose sur la financiarisation tout en l’accélérant, et d’autre part au travail de recherche, dont le contrôle échappe au régime historique de croissance de la productivité. La diffusion des compétences du travail de recherche, avec la montée des qualifications des travailleurs, et l’accumulation de connaissances sur lequel il repose, deviennent primordiaux, faisant surgir la transformation du contenu du travail par l’élévation de sa qualité dans une division du travail qui vise pourtant à l’économiser. Cela engendre une forte tension sur la production des savoirs et les systèmes de transmission du savoir qui les traduisent en connaissances et compétences.

    Le travail de recherche devenant une compétence stratégique du travail dans tous les secteurs d’activité, les questions posées au secteur de recherche en termes de mesure de l’#efficacité deviennent des questions générales. L’enjeu en est l’adoption d’une norme d’évaluation que les marchés soient capables de faire circuler parmi les secteurs et les activités consommatrices de connaissances.

    Un régime face à ses contradictions

    Cette transformation de la recherche en un secteur, arrimé au régime d’accumulation, suppose un nouveau compromis institutionnalisé. Mais, menée par une politique néolibérale, elle se heurte à plusieurs contradictions majeures qui détruisent les conditions de sa stabilisation sans que les principes d’une régulation propre ne parviennent à émerger.

    Quand la normalisation du travail de recherche dévalorise l’activité et les personnels

    Durant la longue période de régulation administrée, le travail de recherche a associé le principe de #liberté_académique à l’emploi à statut. L’accomplissement de ce travail a été considéré comme incompatible avec une prise en charge par le marché, ce dernier n’étant pas estimé en capacité de former un signal prix sur les services attachés à ce type de travail. Ainsi, la production de connaissance est un travail entre pairs, rattachés à des collectifs productifs. Son caractère incertain, la possibilité de l’erreur sont inscrits dans le statut ainsi que la définition de la mission (produire des connaissances pour la société, même si son accaparement privé par la bourgeoisie est structurel). La qualité de l’emploi, notamment via les statuts, a été la clé de la #régulation_professionnelle. Avec la #mise_en_concurrence_généralisée (entre établissements, entre laboratoires, entre Universités et grandes écoles, entre les personnels), le compromis productif entre les individus et les collectifs de travail est rompu, car la concurrence fait émerger la figure du #chercheur_entrepreneur, concerné par la #rentabilisation des résultats de sa recherche, via la #valorisation sous forme de #propriété_intellectuelle, voire la création de #start-up devenu objectifs de nombre d’université et du CNRS.

    La réponse publique à la #dévalorisation_salariale évoquée plus haut, passe par une construction différenciée de la #rémunération, qui rompt le compromis incarné par les emplois à statut. Le gel des rémunérations s’accompagne d’une individualisation croissante des salaires, l’accès aux ressources étant largement subordonné à l’adhésion aux dispositifs de mise en concurrence. La grille des rémunérations statutaires perd ainsi progressivement tout pouvoir organisationnel du travail. Le rétrécissement de la possibilité de travailler hors financements sur projet est indissociable du recours à du #travail_précaire. La profession a été dépossédée de sa capacité à défendre son statut et l’évolution des rémunérations, elle est inopérante à faire face à son dépècement par le bloc minoritaire.

    La contradiction intervient avec les dispositifs de concurrence qui tirent les instruments de la régulation professionnelle vers une mise aux normes marchandes pour une partie de la communauté par une autre. Ce mouvement est rendu possible par le décrochage de la rémunération du travail : le niveau de rémunération d’entrée dans la carrière pour les maîtres de conférences est ainsi passé de 2,4 SMIC dans les années 1980 à 1,24 aujourd’hui.

    Là où le statut exprimait l’impossibilité d’attacher une valeur au travail de recherche hors reconnaissance collective, il tend à devenir un travail individualisable dont le prix sélectionne les usages et les contenus. Cette transformation du travail affecte durablement ce que produit l’université.

    Produire de l’innovation et non de la connaissance comme communs

    Durant la période administrée, c’est sous l’égide de la profession que la recherche était conduite. Définissant la valeur de la connaissance, l’action collective des personnels, ratifiée par l’action publique, pose le caractère non rival de l’activité. La possibilité pour un résultat de recherche d’être utilisé par d’autres sans coût de production supplémentaire était un gage d’efficacité. Les passerelles entre recherche et innovation étaient nombreuses, accordant des droits d’exploitation, notamment à l’industrie. Dans ce cadre, le lien recherche-profit ou recherche-utilité économique, sans être ignoré, ne primait pas. Ainsi, la communauté professionnelle et les conditions de sa mise au travail correspondait à la nature de ce qui était alors produit, à savoir les connaissances comme commun. Le financement public de la recherche concordait alors avec la nature non rivale et l’incertitude radicale de (l’utilité de) ce qui est produit.

    La connaissance étant devenue un actif stratégique, sa valorisation par le marché s’est imposée comme instrument d’orientation de la recherche. Finalement dans un régime d’apparence libérale, la conduite politique est forte, c’est d’ailleurs propre d’un régime néolibéral tel que décrit notamment par Amable & Palombarini (2018). Les #appels_à_projet sélectionnent les recherches susceptibles de #valorisation_économique. Là où la #publication fait circuler les connaissances et valide le caractère non rival du produit, les classements des publications ont pour objet de trier les résultats. La priorité donnée à la protection du résultat par la propriété intellectuelle achève le processus de signalement de la bonne recherche, rompant son caractère non rival. La #rivalité exacerbe l’effectivité de l’exclusion par les prix, dont le niveau est en rapport avec les profits anticipés.

    Dans ce contexte, le positionnement des entreprises au plus près des chercheurs publics conduit à une adaptation de l’appareil de production de l’ESR, en créant des lieux (#incubateurs) qui établissent et affinent l’appariement recherche / entreprise et la #transférabilité à la #valorisation_marchande. La hiérarchisation des domaines de recherche, des communautés entre elles et en leur sein est alors inévitable. Dans ce processus, le #financement_public, qui continue d’endosser les coûts irrécouvrables de l’incertitude, opère comme un instrument de sélection et d’orientation qui autorise la mise sous contrôle de la sphère publique. L’ESR est ainsi mobilisée par l’accumulation, en voyant son autonomie (sa capacité à se réguler, à orienter les recherches) se réduire. L’incitation à la propriété intellectuelle sur les résultats de la recherche à des fins de mise en marché est un dispositif qui assure cet arrimage à l’accumulation.

    Le caractère appropriable de la recherche, devenant essentiel pour la légitimation de l’activité, internalise une forme de consentement de la communauté à la perte du contrôle des connaissances scientifiques, forme de garantie de sa circulation. Cette rupture de la non-rivalité constitue un coût collectif pour la société que les communautés scientifiques ne parviennent pas à rendre visible. De la même manière, le partage des connaissances comme principe d’efficacité par les externalités positives qu’il génère n’est pas perçu comme un principe alternatif d’efficacité. Chemin faisant, une recherche à caractère universel, régulée par des communautés, disparait au profit d’un appareil sous doté, orienté vers une utilité de court terme, relayé par la puissance publique elle-même.

    Un bloc hégémonique réduit, contre la collégialité universitaire

    En tant que mode de gouvernance, la collégialité universitaire a garanti la participation, et de fait la mobilisation des personnels, car ce n’est pas la stimulation des rémunérations qui a produit l’#engagement. Les collectifs de travail s’étaient dotés d’objectifs communs et s’étaient accordés sur la #transmission_des_savoirs et les critères de la #validation_scientifique. La #collégialité_universitaire en lien à la définition des savoirs légitimes a été la clé de la gouvernance publique. Il est indispensable de rappeler la continuité régulatrice entre liberté académique et organisation professionnelle qui rend possible le travail de recherche et en même temps le contrôle des usages de ses produits.

    Alors que l’université doit faire face à une masse d’étudiants, elle est évaluée et ses dotations sont accordées sur la base d’une activité de recherche, ce qui produit une contradiction majeure qui affecte les universités, mais pas toutes. Il s’effectue un processus de #différenciation_territoriale, avec une masse d’établissements en souffrance et un petit nombre qui a été retenu pour former l’élite. Les travaux de géographes sur les #inégalités_territoriales montrent la très forte concentration sur quelques pôles laissant des déserts en matière de recherche. Ainsi se renforce une dualité entre des universités portées vers des stratégies d’#élite et d’autres conduites à accepter une #secondarisation_du_supérieur. Une forme de hiatus entre les besoins technologiques et scientifiques massifs et le #décrochage_éducatif commence à être diagnostiquée.

    La sectorisation de l’ESR, et le pouvoir pris par un bloc hégémonique réduit auquel participent certaines universités dans l’espoir de ne pas être reléguées, ont procédé par l’appropriation de prérogatives de plus en plus larges sur les carrières, sur la valorisation de la recherche et la propriété intellectuelle, de ce qui était un commun de la recherche. En cela, les dispositifs d’excellence ont joué un rôle marquant d’affectation de moyens par une partie étroite de la profession. De cette manière, ce bloc capte des prébendes, assoit son pouvoir par la formation des normes concurrentielles qu’il contrôle et développe un rôle asymétrique sur les carrières par son rôle dominant dans l’affectation de reconnaissance professionnelle individualisée, en contournant les instances professionnelles. Il y a là création de nouveaux périmètres par la norme, et la profession dans son ensemble n’a plus grande prise, elle est mise à distance des critères qui servent à son nouveau fonctionnement et à la mesure de la performance.

    Les dispositifs mis en place au nom de l’#excellence_scientifique sont des instruments pour ceux qui peuvent s’en emparer et définissant les critères de sélection selon leur représentation, exercent une domination concurrentielle en sélectionnant les élites futures. Il est alors essentiel d’intégrer les Clubs qui en seront issus. Il y a là une #sociologie_des_élites à préciser sur la construction d’#UDICE, club des 10 universités dites d’excellence. L’évaluation de la performance détermine gagnants et perdants, via des labels, qui couronnent des processus de sélection, et assoit le pouvoir oligopolistique et les élites qui l’ont porté, souvent contre la masse de la profession (Musselin, 2017).

    Le jeu des acteurs dominants, en lien étroit avec le pouvoir politique qui les reconnait et les renforce dans cette position, au moyen d’instruments de #rationalisation de l’allocation de moyens pénuriques permet de définir un nouvel espace pour ceux-ci, ségrégué du reste de l’ESR, démarche qui est justifié par son arrimage au régime d’accumulation. Ce processus s’achève avec une forme de séparatisme du nouveau bloc hégémonique composé par ces managers de l’ESR, composante minoritaire qui correspond d’une certaine mesure au bloc bourgeois. Celles- et ceux-là même qui applaudissent le discours présidentiel annonçant la révolution dont un petit fragment tirera du feu peu de marrons, mais qui seront sans doute pour eux très lucratifs. Toutefois le scénario ainsi décrit dans sa tendance contradictoire pour ne pas dire délétère ne doit pas faire oublier que les communautés scientifiques perdurent, même si elles souffrent. La trajectoire choisie de sectorisation déstabilise l’ESR sans ouvrir d’espace pour un compromis ni avec les personnels ni pour la formation. En l’état, les conditions d’émergence d’un nouveau régime pour l’ESR, reliant son fonctionnement et sa visée pour la société ne sont pas réunies, en particulier parce que la #rupture se fait contre la profession et que c’est pourtant elle qui reste au cœur de la production.

    https://laviedesidees.fr/Universite-service-public-ou-secteur-productif
    #ESR #facs #souffrance

  • De l’état des droits à l’Etat de droit

    Menacé par la non constitutionnalité de lois votées au Parlement, l’Etat de droit subit aussi une menace plus concrète et quotidienne : les difficultés posées dans l’#accès_aux_droits : droit au logement, droits sociaux... Ces registres sont-ils comparables ?

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/sous-les-radars/de-l-etat-des-droits-a-l-etat-de-droit-3499438

    #Etat_de_droit #France #audio #podcast

  • « Faire du brevet l’examen de l’entrée en seconde, c’est la fin programmée du collège unique », Claude Lelièvre

    Invité à préciser ce qu’il entendait par « libéralisme avancé », le président de la République Valéry Giscard d’Estaing (« VGE ») déclarait, sur RTL, le 20 mai 1975 : « Il y a dans la pensée de gauche des éléments positifs importants dont je compte bien m’inspirer ; ce qui fait que, dans l’action libérale avancée, il y a beaucoup d’idées de gauche qui doivent être mises en œuvre. »

    Quelques-unes d’entre elles ont alors défrayé la chronique : création d’un secrétariat à la condition féminine, loi Veil sur l’IVG, abaissement de l’âge de la majorité à 18 ans, regroupement familial pour les immigrés, collège unique.

    On aurait pu penser qu’avec son antienne du « en même temps », la présidence d’Emmanuel Macron s’inscrirait dans cette filiation. On voit clairement qu’il n’en est rien. La loi Veil sur l’IVG a été adoptée avec l’appui de l’ensemble des députés de gauche le 20 décembre 1974 et une minorité de parlementaires de droite.

    A contrario, la récente loi sur l’immigration a été adoptée avec l’appui de l’ensemble des députés du Rassemblement national. Par ailleurs, Michelle Perrot, la grande spécialiste de l’histoire des femmes, a pu se dire « scandalisée » par les propos d’Emmanuel Macron concernant l’affaire Depardieu.

    Rupture avec la « tradition républicaine »

    La conception du « collège unique » est une version française de l’« école de base » suédoise (sociale-démocrate), de la « comprehensive school » (travailliste), de la « Gesamtschule » (sociale-démocrate). Dans le cadre du « libéralisme avancé », le collège unique a été voulu et porté personnellement par Valéry Giscard d’Estaing, mais a rencontré de nombreuses oppositions, en particulier dans son propre camp politique. Encore en octobre 1991, Alain Juppé (alors secrétaire général du RPR) proclamait qu’il fallait « casser le collège unique ». Mais, dans son livre paru en vue de la campagne présidentielle de 2017, il ne prônait plus que quelques aménagements.

    Marine Le Pen, elle, a proposé dans son programme pour l’élection présidentielle de 2022 une arme de « destruction massive » afin d’en finir avec le collège unique : « Le diplôme national du brevet deviendra un examen d’orientation post-troisième. » L’ex-ministre de l’éducation nationale, Gabriel Attal, a repris pour l’essentiel cette prescription en annonçant que le brevet serait désormais une condition nécessaire pour entrer en seconde (générale et/ou technologique ?), ce qu’il n’a jamais été jusque-là. Faire du brevet l’examen de l’entrée en seconde, c’est choisir sans appel que le collège doit être une propédeutique au lycée, et non pas la deuxième phase d’une instruction obligatoire (pour tous).

    C’est la fin programmée du collège unique et de son sens originel initié dans le cadre du libéralisme « avancé ». « VGE » avait été très net, en 2001 : « Le débat doit se concentrer sur cette question : quels savoirs donner à cet ensemble de jeunes qui constituent un acquis culturel commun ? On n’a guère avancé depuis vingt-cinq ans. Au lieu d’avoir rabattu tout l’enseignement des collèges vers l’enseignement général, les rapprochant des classes de la 6e à la 3e des lycées d’autrefois, en un peu dégradé, il aurait mieux valu en faire une nouvelle étape de la construction du cycle scolaire. »

    Le renoncement aux ambitions portées par le libéralisme « avancé » dans certains domaines peut parfois aller plus loin et rompre non seulement avec le « libéralisme avancé » mais même avec la simple « tradition républicaine ». On peut en prendre pour exemple significatif la volonté réitérée constamment ces derniers mois par l’ex-ministre de l’éducation nationale d’aller vers une forte « labellisation » ministérielle des manuels scolaires.

    Le choix des manuels scolaires, question vive

    La question du choix des manuels scolaires a été une question vive lors de l’instauration de l’école républicaine et laïque, sous la IIIe République. Le 6 novembre 1879, le directeur de l’enseignement primaire, Ferdinand Buisson, dans une note adressée à Jules Ferry, indique qu’« il y aurait de graves inconvénients à imposer aux maîtres leurs instruments d’enseignement » et qu’« il n’y en a aucun à leur laisser librement indiquer ce qu’ils préfèrent ».

    En conséquence, Jules Ferry signe, le 16 juin 1880, un arrêté qui fait largement appel au concours des maîtres et il souligne que « cet examen en commun deviendra un des moyens les plus efficaces pour accoutumer les enseignants à prendre eux-mêmes l’initiative, la responsabilité et la direction des réformes dont leur enseignement est susceptible ». Le 13 octobre 1881, une circulaire établit, pour les professeurs de collèges et lycées, des réunions mensuelles en leur confiant le choix des livres de classe.

    L’école républicaine instituée sous la IIIe République s’est ainsi distinguée nettement de ce qui l’a précédée et de ce qui l’a suivie dans ce domaine. Par exemple, François Guizot, ministre de l’instruction publique en 1833, a fait paraître des manuels scolaires officiels dans les cinq matières principales de l’école primaire. Et, dès l’arrivée de Philippe Pétain au pouvoir, un décret du 21 août 1940 a mis un terme à l’attitude libérale qui avait prévalu : ce décret ne traite plus de la liste « des livres propres à être mis en usage » mais de celle « des livres dont l’usage est exclusivement autorisé ».

    A la Libération, le 9 août 1944, une ordonnance annule « tous les actes relatifs à l’interdiction de livres scolaires ou instituant des commissions à l’effet d’interdire certains livres ».

    En miroir, on peut rappeler la réponse du ministre de l’éducation nationale Alain Savary à une question écrite de parlementaires en avril 1984 à propos d’un manuel incriminé : « Le ministre ne dispose pas du pouvoir d’injonction lui permettant de faire retirer ni même de faire amender un ouvrage. Il n’exerce aucun contrôle a priori sur le contenu des manuels scolaires et il n’a pas l’intention de modifier la politique traditionnellement suivie à cet égard. Il n’existe pas de manuels officiels, pas plus qu’il n’existe de manuels recommandés ou agréés par le ministère de l’éducation nationale. Il y a eu dans le passé des tentatives allant dans ce sens, avec risques de censure. »

    Oui, dans bien des domaines, on est désormais loin de l’horizon d’un certain libéralisme « avancé » qui se voulait « moderniste » : ce qui se profile, c’est presque sans fard un libéralisme « d’attardés » plus ou moins assumé.

    Claude Lelièvre est l’auteur de L’Ecole d’aujourd’hui à la lumière de l’histoire (Odile Jacob, 2021).

    https://www.lemonde.fr/education/article/2024/01/16/faire-du-brevet-l-examen-de-l-entree-en-seconde-c-est-la-fin-programmee-du-c

    #école #BEPC #collège

    • « Si le récit égalitaire perdure, l’Etat organise une forme d’optimisation scolaire », Laurent Frajerman
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/16/si-le-recit-egalitaire-perdure-l-etat-organise-une-forme-d-optimisation-scol

      L’ancien ministre Gabriel Attal avait annoncé, en novembre 2023, avant sa nomination comme premier ministre le 9 janvier, un important train de mesures pour réformer l’éducation nationale, incluant d’aborder la « question du tabou du #redoublement » et de créer des #groupes_de_niveau au collège. Au regard des enquêtes internationales, personne ne conteste plus la baisse du niveau des #élèves français, même de ceux qui figurent parmi les meilleurs.

      L’ex-ministre en avait conclu que l’#enseignement doit se montrer plus exigeant, ce qui correspond à un sentiment très majoritaire. Outre les menaces qu’elles font peser sur la liberté pédagogique, on peut douter que les mesures soient à la hauteur de l’enjeu. Toutefois, ces critiques ne peuvent dissimuler que cela fait plus de dix ans que la dynamique positive qui a démocratisé l’école française a disparu. La panne du modèle actuel, miné par la #ségrégation_sociale et des cures d’#austérité à répétition, impose des changements. Tout l’enjeu étant de savoir si c’est pour revenir aux années 1950 ou pour relancer sa démocratisation.

      Les politiques éducatives menées depuis le général de Gaulle œuvraient pour la scolarisation de tous les élèves du même âge dans une structure identique, dans l’objectif de leur délivrer le même enseignement. En conséquence, les classes ont été marquées par une hétérogénéité croissante, avec son corollaire : une baisse d’exigence, afin de faciliter l’accès de tous les élèves aux anciennes filières élitistes.

      Avec succès, puisque l’#accès_aux_études a été considérablement élargi. Cela s’accompagne du passage presque automatique en classe supérieure. A la fin des années 1960, le redoublement constituait la règle : un tiers des élèves redoublait la classe de CP, contre 1,3 % aujourd’hui. En 2021, seulement 12 % des élèves arrivaient en seconde avec du retard. Devenu résiduel, le redoublement a changé de nature, ne concernant plus que des élèves en forte difficulté, qu’elle soit structurelle ou conjoncturelle.

      Classes moyennes supérieures

      Les enseignants affichent leur scepticisme. Ils ne considèrent pas le redoublement comme une recette miracle, car il peut générer ennui et découragement. Toutefois, ils se trouvent démunis devant l’écart grandissant entre les meilleurs élèves, qu’il faut stimuler, et ceux qui cumulent les difficultés de compréhension. Ils constatent que plus les années de scolarité passent, plus l’échec s’enkyste, moins la notion de travail scolaire ne revêt de sens, générant quelquefois une attitude perturbatrice.

      Gabriel Attal en a tiré d’ailleurs argument pour dénoncer l’absurdité de cette situation et la souffrance qu’elle génère pour les élèves. Nombre d’enseignants vivent une situation d’autant plus ingérable que, paradoxalement, si l’affichage est homogène, le rêve de l’école commune s’éloigne.

      Jusque-là, la sociologie de l’éducation dénonçait les limites de cette politique de massification. Les inégalités sociales étant structurelles, le système est d’abord soumis aux effets de la #ségrégation-spatiale. Quoi de commun entre un collège en éducation prioritaire et un autre situé en centre-ville d’une métropole ?

      Quatre types d’école cohabitent, donc : l’#école_publique normale, celle en #éducation_prioritaire, l’école publique élitiste, et l’#école_privée. Aujourd’hui, avec le développement d’un #marché_scolaire, nous vivons une nouvelle phase. L’Etat aggrave la fracture existante en créant des établissements dérogatoires et de nouvelles #filières_élitistes sélectionnant par les langues, critère socialement discriminant. Pire, il subventionne massivement sa propre concurrence, l’enseignement privé.

      Le privé accueille de plus en plus d’élèves des milieux favorisés, au détriment de la mixité sociale. Les difficultés se concentrent alors dans l’école publique « normale ». Seule à supporter réellement les contraintes de la démocratisation, celle-ci n’en est que plus répulsive pour les classes moyennes et supérieures, générant un terrible cercle vicieux. Si le récit égalitaire perdure, l’Etat organise en réalité une forme d’#optimisation_scolaire au détriment de ceux qui n’ont pas d’échappatoire.

      Depuis une quinzaine d’années, les enquêtes internationales nous alertent sur l’aggravation du poids des #inégalités_sociales dans les résultats scolaires. Ce constat est dissimulé par l’invisibilisation de la #compétition. D’un côté, les notes ont été remplacées par les compétences, de l’autre, elles connaissent une inflation qui, malheureusement, ne reflète pas une hausse du niveau réel. En 2022, 59 % des bacheliers ont obtenu une mention. Ils étaient moins de 25 % en 1997… Le flou qui en résulte bénéficie aux familles les plus informées sur la règle du jeu, ou capables de payer coachs et cours particuliers.

      Politique éducative « discount »

      Le second vice de fabrication de la démocratisation scolaire est son caractère « discount ». Par exemple, l’argent économisé par la quasi-suppression du redoublement n’a guère été réinvesti dans des dispositifs permettant d’épauler les élèves en difficulté. Autrefois, les enseignants encadraient les élèves dans leurs exercices et l’apprentissage du cours en dehors des heures de classe. Aujourd’hui, ce type de travail est généralement confié à des étudiants bénévoles ou à des animateurs ou surveillants peu qualifiés. Même dans le dispositif « Devoirs faits » en collège, la présence d’enseignants est optionnelle.

      De nombreux choix proviennent de la #rationalisation_budgétaire : chasse aux options, suppression progressive des dédoublements de classe. Par exemple, en 2010, un élève de 1re L avait obligatoirement six heures de cours en demi-groupe (en français, langues, éducation civique, mathématiques et sciences). Aujourd’hui, les établissements ont toujours la latitude de créer de tels groupes, mais en prenant dans une enveloppe globale qui se réduit d’année en année et sans qu’un nombre maximum d’élèves ne soit prévu.
      Le pouvoir d’achat des #enseignants a baissé d’environ 20 %, source d’économie massive sur les salaires. Les effets commencent seulement à en être perçus : crise du recrutement, hausse exponentielle des démissions et professeurs en place démotivés par le déclassement de leur métier. Les promoteurs de cette politique leur préfèrent des enseignants précaires et sous-qualifiés, sommés de suivre les injonctions pédagogiques du moment. Remarquons que ces #contractuels sont nettement plus nombreux dans les établissements difficiles de l’enseignement public…

      Depuis 2002, les gouvernements de droite et de centre droit suppriment des postes d’enseignant. Malgré le redressement opéré sous François Hollande, le solde reste négatif, avec moins 36 500 postes. Le second degré a été particulièrement affecté, avec un solde de moins 54 700 postes, au nom de la priorité au primaire. Un maillon essentiel de la chaîne éducative a donc été fragilisé, alors que c’est le lieu de maturation des contradictions du système. Quel sens cela a-t-il d’habituer un élève de REP + à des classes de quinze élèves pour, devenu adolescent, le mettre dans une classe de vingt-cinq au collège ? Ces politiques de ciblage, censées produire des résultats visibles à un moindre coût, créent souvent inégalités et incohérences.

      Aujourd’hui, la France dépense 1 point de moins du PIB pour l’éducation qu’en 1995. Si on appliquait aujourd’hui les ratios en usage à l’époque, le budget consacré à l’avenir du pays augmenterait de 24 milliards d’euros, dont 15,5 milliards d’euros dépensés par l’Etat. Ce sous-investissement chronique se paie par la crise de notre #système_scolaire. Un débat sans arguments d’autorité s’impose donc, sous peine que les idéaux généreux et les politiques cyniques aboutissent définitivement à une école à plusieurs vitesses, dans laquelle les #classes_populaires seront assignées à un enseignement public dégradé.

      Laurent Fajermann est professeur agrégé d’histoire au lycée Lamartine, sociologue, chercheur associé au Centre de recherches sur les liens sociaux, du CNRS

    • Philippe Mangeot (philippe.duke ) sur Instagram :

      Lecture effarée du rapport de l’enquête administrative de l’Inspection générale sur le collège Stanislas, que publie dans son intégralité @mediapart. Toutes les informations qui circulaient sur les pratiques de cet établissement privé sous contrat sont corroborées et objectivées : contournement de la loi et de Parcoursup, pédagogie brutale et assumée comme telle, programmes non respectés, enseignement sexiste et homophobe..

      À ce stade, le scandale n’est pas seulement que la ministre de l’Éducation nationale ait choisi d’y inscrire ses enfants, contournant l’enseignement public au profit d’une école privée où se cultive l’entre-soi. Il est que le ministère dirigé à l’époque par Gabriel Attal a mis ce rapport sous le boisseau depuis qu’il lui a été rendu en juillet dernier, refusant de le rendre public.

      Mais il est également que cette institution privée, qui viole en toute impunité le contrat qui la lie à l’État, est mieux dotée, sur fonds publics, que la quasi-totalité des établissements scolaires publics de Paris, comme l’a révélé en janvier dernier une enquête de @lemondefr. L’argent public favorise Stanislas, c’est-à-dire les familles les plus fortunées : les « trois petits garçons » de Madame Oudéa-Castéra ont coûté plus cher à l’État.que les élèves du public.

      L’anagramme de Stanislas dit une vérité : la complaïisäncé : des pouvoirs publics à l’égard d’un établissement qui devrait n’avoir aucune place dans « l’École de la République », comme dit la ministre, nous salit tous et toutes.

  • Hôpital public : « Quand la situation est dégradée au point de mettre les patients en danger, c’est un devoir moral de dénoncer l’inacceptable »

    Alors que le 13 janvier, au CHU de Dijon, Gabriel Attal a promis de mettre l’hôpital en haut de la pile des problèmes à résoudre, un collectif rassemblant plus de 230 médecins, soignants et personnels hospitaliers dénonce, dans une tribune au « Monde », la répression qui s’abat sur celles et ceux qui alertent sur les dysfonctionnements.

    Irène Frachon a permis la condamnation du laboratoire Servier en appel le 20 décembre 2023. C’est la victoire de la « fille de Brest » – et celle de milliers de victimes – qui a réussi à montrer qu’elle avait raison de s’être attaquée au si puissant lobby pharmaceutique. Elle restera un exemple pour ces femmes et ces hommes, souvent anonymes, témoignant de la situation catastrophique de l’#hôpital public.
    Ces lanceurs d’alerte, impliqués au quotidien auprès des #patients, ne voulant rien d’autre que d’être entendus, ont pourtant été punis de leur bonne foi. Sébastien Harscoat à Strasbourg, ou Caroline Brémaud à Laval le savent : alerter, pour le bien de la communauté, est dangereux. Les lanceurs d’alerte, pour le sociologue Francis Chateauraynaud, auteur de Alertes et lanceurs d’alerte (« Que sais-je ? », PUF, 2020), ne sont pas les dénonciateurs de fautes, de fraudes ou de mauvais traitements, mais des personnes ou des groupes qui, rompant le silence, signalent l’imminence, ou la simple possibilité, d’un enchaînement catastrophique.

    C’est exactement ce qui se passe à l’hôpital public. Depuis quelques années, aides-soignantes, infirmières, secrétaires médicales, psychologues, assistantes sociales, cadres de santé, patients, médecins, chefs de service… témoignent de la dégradation de l’#accès_aux_soins et de l’hôpital public. Ils alertent les pouvoirs publics, les élus et les patients présents, ou futurs, par la presse et les réseaux sociaux, sur la situation de notre système de #santé, espérant arrêter la spirale infernale. Pénuries de personnel, accueils inadéquats des patients, pertes de chance, voire morts inattendues ou évitables, sont désormais médiatisés.

    En 2022 une #surmortalité de 50 000 décès a été constatée par l’Insee. Aujourd’hui, plus personne, même le gouvernement, ne nie la dégradation de l’hôpital public et de l’accès aux soins pour tous. Brigitte Bourguignon, éphémère ministre de la santé, avait qualifié les collectifs d’hospitaliers et d’usagers d’ « oiseaux de mauvais augure », mais les collectifs de défense de l’hôpital public ne sont pas des prophètes de malheur : ils sont des optimistes voulant sauver notre système public.

    7 000 lits ont été fermés en 2022
    Ils dénoncent la communication mensongère sur des milliards providentiels qui ne sont que l’addition de fonds alloués au privé et au public sur la prochaine décennie, et rappellent les faits : on ne compte plus le nombre de services d’urgences « régulés » pour ne pas dire fermés (163 sur 389 à l’été 2023), les files d’attente de brancards sur les parkings des hôpitaux – à Strasbourg, le parking a vu pour Noël se monter une tente pour accueillir les patients –, l’attente prolongée des patients les plus âgés entraînant une surmortalité de 4 %.

    Et pourtant, près de 7 000 lits ont encore été fermés en 2022, et 3 milliards d’économies sont prévues en 2024. Les établissements hospitaliers doivent administrer sur des objectifs comptables, les #soignants continuent à fuir (50 % de départ des infirmières à dix ans de carrière) et près du tiers des postes de médecins hospitaliers sont vacants.

    Les lanceurs d’alerte qui s’exposent pour défendre l’institution, au lieu d’être écoutés, sont maintenant punis, sous prétexte d’un #devoir_de_réserve évoqué à chaque fois qu’une alerte est lancée. Ils sont parfois mis à l’écart ou démis de leurs chefferies de service (comme Caroline Brémaud à Laval), subissent sans « réserve » entretiens de recadrage (comme Sébastien Harscoat), audits internes à charge, blocages de mutation de service.

    Une situation indigne d’une démocratie sanitaire
    Les exemples se multiplient, pas toujours médiatisés par peur des #sanctions, obligeant certains à quitter leur service, leur hôpital voire l’hôpital public pour lequel ils s’étaient pleinement investis. Pourtant, la loi les protège. La loi du 21 mars 2022 précise : « Un lanceur d’alerte est une personne physique qui signale ou divulgue, sans contrepartie financière directe et de bonne foi, des informations portant sur un crime, un délit, une menace ou un préjudice pour l’intérêt général (…). » C’est de cela qu’il s’agit, quand certains de nos « héros d’un jour » risquent leur carrière hospitalière pour défendre la santé, comprise comme bien commun.

    Quand la situation est dégradée au point de mettre les patients en danger, c’est un devoir moral de dénoncer l’inacceptable. A l’inverse, le silence est coupable et doit être questionné, y compris pour les directions hospitalières soumises directement à des injonctions insoutenables. Mettre la poussière sous le tapis, cacher les brancards derrière des paravents et faire taire les lanceurs d’alerte est indigne d’une démocratie sanitaire, de ce qu’on doit à la population. Interdire de mettre des mots sur les maux n’est pas un remède ; c’est une faute, comme étouffer la réalité avec le sophisme du pire.

    Les collectifs de défense de l’hôpital public et de notre système de santé universel demandent que ces actions d’intimidations voire de représailles cessent et que tous ensemble nous puissions travailler sereinement pour la sauvegarde de ce qui était jadis, selon l’Organisation mondiale de la santé (OMS), le meilleur système de santé du monde. Alerter est la première étape de la reconstruction et non, comme certains dirigeants veulent nous faire croire, la dernière étape de l’effondrement.

    Les premiers signataires : Philippe Bizouarn, anesthésiste-réanimateur, CHU Nantes, Collectif inter-hôpitaux ; Caroline Brémaud, urgentiste, CH Laval ; Sophie Crozier, neurologue, CHU de la Pitié-Salpétrière, Collectif inter-hôpitaux ; Sebastien Harscoat, urgentiste, CHU Strasbourg, Collectif inter-hôpitaux ; Véronique Hentgen, pédiatre, CH Versailles, Collectif inter-hôpitaux ; Corinne Jacques, aide-soignante, Collectif inter-urgences ; Cécile Neffati, psychologue, CH Draguignan, Collectif inter-hôpitaux ; Sylvie Pécard, IDE, CHU Saint-Louis, Collectif inter-hôpitaux ; Vincent Poindron, médecine interne, CHU Strasbourg, Collectif inter-hôpitaux ; Pierre Schwob, IDE Collectif inter-urgences.
    Liste complète des signataires : https://vigneaucm.wordpress.com/2024/01/15/signataires-tribune-le-monde-lanceurs-dalerte

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/01/15/hopital-public-quand-la-situation-est-degradee-au-point-de-mettre-les-patien

    • @CollectInterHop
      https://twitter.com/CollectInterHop/status/1746981442524000465

      En attendant des mesures concrètes pour l’hôpital, aux #urgences

      6 heures d’attente et 50 brancards dans les couloirs : les urgences du CHU de Dijon saturées
      https://france3-regions.francetvinfo.fr/bourgogne-franche-comte/cote-d-or/dijon/6-heures-d-attente-50-brancards-dans-les-couloirs-les-u

      Selon la Fédération hospitalière de France (FHF), la situation dans les services d’urgences s’est dégradée de 41 % cette année par rapport à 2022. Quant à l’accès aux lits d’hospitalisation, la situation s’est détériorée de 52 % en un an d’après la FHF.

      #lits #brancards

    • Santé : Gabriel Attal critiqué pour sa « communication trompeuse » sur les 32 milliards d’euros supplémentaires annoncés
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/15/sante-gabriel-attal-critique-pour-sa-communication-trompeuse-sur-les-32-mill

      En visite samedi au CHU de Dijon, le premier ministre a chiffré à « 32 milliards d’euros supplémentaires » sur les « cinq ans à venir (…) l’investissement » prévu dans le système de soins. Une non-annonce qui a suscité de sévères réactions des professionnels du secteur.

      S’il s’agissait d’envoyer un signal positif au secteur de la santé, ça n’a pas marché. Quarante-huit heures après le premier déplacement, samedi 13 janvier, du nouveau chef du gouvernement, Gabriel Attal, dans un hôpital, le scepticisme n’a fait que croître chez les acteurs du soin. En cause : un « coup de communication » peu apprécié par une communauté professionnelle sous tension.

      En visite au centre hospitalier universitaire de Dijon, M. Attal a chiffré, devant la presse, à « 32 milliards d’euros supplémentaires » sur les « cinq ans à venir (…) l’investissement » prévu dans le système de soins. « Je le dis, notre hôpital et nos soignants, c’est un trésor national », a-t-il affirmé, aux côtés de la nouvelle ministre chargée de la santé, Catherine Vautrin.

      L’annonce a, de prime abord, semblé conséquente. Etait-ce là une nouvelle « enveloppe » fortement attendue dans un secteur en crise depuis des mois ? La question a résonné dans les médias. Avant que l’entourage du premier ministre n’apporte une réponse, en forme de rétropédalage : ces 32 milliards d’euros correspondent à la « hausse du budget de la branche maladie qui a été adoptée dans la dernière loi de financement de la Sécurité sociale », concernant l’hôpital et la médecine de ville, a fait savoir Matignon.
      Un montant pas tout à fait « nouveau », en somme. Rien que pour l’hôpital, cela représente 3 milliards d’euros supplémentaires en 2024 par rapport à 2023, a-t-on aussi précisé dans l’entourage de M. Attal. Selon les documents budgétaires, les dépenses de la branche maladie passeront de 242,2 milliards d’euros en 2022 à 273,9 milliards d’euros en 2027.

      « Pensée magique »
      « Communication trompeuse », « effet d’annonce », « pensée magique »… Les réactions ont été sévères. « On ne peut pas présenter un budget déjà voté pour les prochaines années comme des “milliards supplémentaires” », a fait valoir, dès dimanche par la voie d’un communiqué, le Collectif inter-hôpitaux, appelant de ses vœux un « cap politique clair pour les prochaines années et des mesures fortes aptes à faire revenir les soignants partis de l’hôpital ».

      Annoncer en fanfare comme des nouveautés des budgets déjà attribués, c’est une entourloupe classique. D’habitude ça ne se chiffre pas en milliards et le procédé vise des secteurs de la société qui n’ont pas droit de cité (les chômeurs et précaires, par exemple).
      On est en train de demander au petit socle électoral du macronisme de faire l’impasse sur la manière dont, pour la plupart, ils ne sont pas et ne seront pas soignés un tant soit peu correctement.

      #budget

      #communication_gouvernementale #gouvernement_kamikaze

    • Système de soins en crise : « C’est terriblement dangereux, pour les soignants comme pour les patients »
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/01/24/systeme-de-soins-en-crise-c-est-terriblement-dangereux-pour-les-soignants-co

      Par Mattea Battaglia et Camille Stromboni

      DÉCRYPTAGE Plongée dans un système de soins où la crise s’éternise, en ville comme à l’hôpital, de Lille à Strasbourg, en passant par la Mayenne.

      Brigitte Bourguignon, François Braun, Aurélien Rousseau, Agnès Firmin Le Bodo et, depuis le dernier remaniement, le 11 janvier, Catherine Vautrin… Un ministre de la santé chasse l’autre, à un poste qui a rarement semblé aussi instable que sous ce second quinquennat d’Emmanuel Macron. Et le système de soins, lui, s’enfonce dans la crise. C’est en tout cas le sentiment d’une large frange de soignants : les services hospitaliers sont saturés, les cabinets des médecins libéraux ne désemplissent pas. « Le système craque », répète-t-on sur le terrain. Mais avec le sentiment de ne plus être entendu.

      La crise sanitaire avait marqué une rupture et polarisé l’attention sur la situation des hôpitaux et des soignants. C’était encore le cas il y a un an, avec le déferlement d’une « triple épidémie » mêlant grippe, Covid-19 et bronchiolite sur les services hospitaliers, des pénuries de médicaments constatées un peu partout, un mouvement de grève des médecins libéraux…

      Et après ? « Rien ne change, mais plus personne n’ose rien dire, lâche Marc Noizet, à la tête du syndicat SAMU-Urgences de France. Tout doucement, on en arrive à une résignation complète. C’est terriblement dangereux, pour les soignants comme pour les patients. » « On est dans une course permanente pour garder la tête hors de l’eau, témoigne Luc Duquesnel, patron des généralistes de la Confédération des syndicats médicaux français. Pour beaucoup de collègues, la question n’est plus de savoir quand ça va s’améliorer, mais jusqu’où ils vont pouvoir tenir… »

      « Délestages » à la maternité de Lille

      De Lille à Strasbourg, de Créteil à la Mayenne, les symptômes d’une « maladie » qui ronge le système de soins continuent d’apparaître, toujours les mêmes – des bras qui manquent, des services qui ferment ou fonctionnent de manière dégradée, des déserts médicaux qui s’étendent, des patients qui ne trouvent pas de rendez-vous… Sans que la réponse politique paraisse à même d’inverser la tendance.

      A la maternité Jeanne-de-Flandre, au CHU de Lille – l’une des plus grandes de France –, la décision fait grand bruit : face au manque de pédiatres néonatologues, des transferts de patientes sont organisés, depuis décembre 2023, vers d’autres hôpitaux de la région, et jusqu’en Belgique. « La maternité continue de fonctionner normalement, seules certaines prises en charge en lien avec la réanimation néonatale sont orientées vers d’autres établissements partenaires », précise-t-on à la direction du CHU, tout en soulignant que des transferts de ce type ne sont pas inédits. Reste que ce « délestage » organisé devrait durer jusqu’en mai, le temps de reconstituer l’effectif médical.

      « Tant que c’étaient seulement les petites maternités qui fermaient, comme cela s’est encore produit tout l’été, le sujet restait sous les radars », pointe Bertrand de Rochambeau, président du Syndicat des gynécologues et obstétriciens de France. « Mais, là, on est dans une autre dimension », alerte-t-il, relevant qu’il s’agit d’un service de niveau 3 (en charge des grossesses les plus à risque), dans une grande métropole.

      Manque de lits d’aval

      Devant les urgences du Nouvel Hôpital civil de Strasbourg, ce qui devait être une « solution provisoire » pour réduire les délais d’attente est toujours d’actualité : l’unité sanitaire mobile, permettant d’accueillir jusqu’à huit personnes et de libérer plus rapidement les transporteurs (ambulances et véhicules de pompiers), sera installée là aussi longtemps que nécessaire, explique-t-on à l’hôpital. Déployé quelques jours avant Noël, le préfabriqué devait être démonté le 2 janvier. Depuis deux semaines, des ambulanciers ont pris le relais des sapeurs-pompiers initialement postés : un accueil « insuffisamment sécurisé », s’inquiète Christian Prud’homme, infirmier anesthésiste et secrétaire du syndicat FO aux hôpitaux universitaires de Strasbourg. Ce que l’hôpital dément.

      Aux urgences de Nantes, le décès, le 2 janvier, d’une patiente âgée qui était dans la « file d’attente » depuis près de quatre heures, a provoqué un vif émoi chez les soignants. « Cette dame serait décédée très probablement, mais cela aurait été plus acceptable pour tout le monde [si c’était arrivé] dans des conditions moins indignes », estime Eric Batard, chef de service. Elle avait été vue, à son arrivée, par l’infirmier d’accueil, qui n’avait pas constaté de signe de risque vital, et attendait d’être examinée par un médecin.

      Dernier épisode en date : ce mardi 23 janvier, l’hôpital Nord Franche-Comté a fait savoir qu’il devait recourir à la « #réserve_sanitaire » face à des tensions majeures aux urgences et en médecine. Le renfort de trois médecins, de dix infirmiers et de dix aides-soignants est prévu du 24 au 30 janvier.

      Les difficultés actuelles vont « bien au-delà des urgences ou des maternités », relève David Piney, le numéro deux de la Conférence des présidents de commissions médicales d’établissement de centres hospitaliers. « Les équipes sont à flux tendu, des services de médecine polyvalente comme d’autres spécialités sont aussi saturés… Dès qu’il y a un imprévu, c’est toute l’organisation qui se bloque. »

      Dans ce tableau sombre, quelques signaux d’amélioration sont pointés ici ou là. A la fin de l’année 2023, le patron de l’Assistance publique-Hôpitaux de Paris, Nicolas Revel, a ainsi relevé un « frémissement » dans les recrutements, plus favorables, chez les infirmiers – le point noir qui oblige de nombreux hôpitaux à garder des lits fermés. « On ressent un léger mieux, mais ça reste compliqué », reconnaît le professeur Rémi Salomon, président de la commission médicale d’établissement.

      Médecine de ville : la chute se poursuit

      Si la photographie des difficultés hospitalières se dessine, par petites touches, dans la presse ou sur les réseaux sociaux, qui relaient au quotidien les alertes et mobilisations de soignants comme de patients, les tensions qui pèsent sur la #médecine_de_ville, cette « deuxième jambe » du système de soins, se perçoivent – et se racontent – différemment. Un récit à bas bruit, conséquence d’une démographie médicale déclinante face à une population toujours plus âgée et une demande de soins toujours plus forte.

      Année après année, la chute se poursuit. Chez les généralistes, la densité – soit le nombre de médecins libéraux pour 100 000 habitants – est passée, entre 2013 et 2023, de 96,3 à 83,6, selon la direction de la recherche, des études, de l’évaluation et des statistiques. L’accès aux spécialistes – pédiatres, gynécologues, psychiatres… – est, lui aussi, de plus en plus difficile.

      Cela fait longtemps que les « #déserts_médicaux » ne se réduisent plus aux zones rurales. Symbolique, parce que réputée attractive, la région francilienne connaît également une détérioration de l’accès aux soins. « On a des médecins formés, il faut leur donner l’envie de s’installer », plaide Bernard Elghozi, généraliste installé dans le quartier du Mont-Mesly, à Créteil, depuis quarante-cinq ans. Cela fait dix ans que ce médecin a atteint l’âge de la retraite, cinq ans qu’il « songe vraiment à [s’]arrêter », confie-t-il, mais ne pas trouver de remplaçant pour « reprendre le flambeau » auprès de ses patients est, pour lui, un « crève-cœur ». « Régulièrement, je leur explique que j’arrêterai à la fin de l’année, et puis je reporte, je tiens… Ils sont peinés, anxieux de ne pas savoir qui va s’occuper d’eux. »

      En cinq ans, en dépit d’un réseau professionnel qu’il s’est aussi forgé comme militant associatif et praticien hospitalier à mi-temps, le docteur Elghozi n’a rencontré que deux libéraux, des pédiatres, possiblement intéressés par la reprise de son cabinet. Mais aucun généraliste.

      A quelque 300 kilomètres de là, en Mayenne, un territoire rural parmi les plus en difficulté, le docteur Luc Duquesnel, patron de la Confédération des syndicats médicaux français, a lui aussi l’attention focalisée sur les « départs ». Sur les dix-neuf #médecins de la maison de santé où il exerce, sept sont partis en retraite, un ailleurs dans le département, un autre en Bretagne… « On est de moins en moins nombreux pour faire des gardes toujours plus lourdes. On n’a pas le choix, on tient, même si on a le sentiment de se prendre un tsunami sur la tête. »

  • #Loi_immigration : l’accueil des étrangers n’est pas un fardeau mais une nécessité économique

    Contrairement aux discours répétés ad nauseam, le #coût des aides accordées aux immigrés, dont la jeunesse permet de compenser le vieillissement des Français, est extrêmement faible. Le #poids_financier de l’#immigration n’est qu’un #faux_problème brandi pour flatter les plus bas instincts.

    Quand les paroles ne sont plus audibles, écrasées par trop de contre-vérités et de mauvaise foi, il est bon parfois de se référer aux #chiffres. Alors que le débat sur la loi immigration va rebondir dans les semaines à venir, l’idée d’entendre à nouveau les sempiternels discours sur l’étranger qui coûte cher et prend nos emplois nous monte déjà au cerveau. Si l’on regarde concrètement ce qu’il en est, le coût de l’immigration en France, que certains présentent comme bien trop élevé, serait en réalité extrêmement faible selon les économistes. Pour l’OCDE, il est contenu entre -0,5% et +0,5% du PIB selon les pays d’Europe, soit un montant parfaitement supportable. Certes, les immigrés reçoivent davantage d’#aides que les autres (et encore, beaucoup d’entre elles ne sont pas réclamées) car ils sont pour la plupart dans une situation précaire, mais leur #jeunesse permet de compenser le vieillissement de la population française, et donc de booster l’économie.

    Eh oui, il est bien loin ce temps de l’après-guerre où les naissances explosaient : les bébés de cette période ont tous pris leur retraite ou sont en passe de le faire et, bientôt, il n’y aura plus assez de jeunes pour abonder les caisses de #retraite et d’#assurance_sociale. Sans compter que, vu l’allongement de la durée de vie, la question de la dépendance va requérir énormément de main-d’œuvre et, pour le coup, devenir un véritable poids financier. L’immigration, loin d’être un fardeau, est bien une #nécessité si l’on ne veut pas voir imploser notre modèle de société. Les Allemands, eux, l’assument haut et fort : ils ont besoin d’immigrés pour faire tourner le pays, comme l’a clamé le chancelier Olaf Scholz au dernier sommet économique de Davos. Le poids financier de l’immigration est donc un faux problème brandi par des politiques qui ne pensent qu’à flatter les plus bas instincts d’une population qui craint que l’avenir soit pire encore que le présent. On peut la comprendre, mais elle se trompe d’ennemi.

    https://www.liberation.fr/idees-et-debats/editorial/loi-immigration-laccueil-des-etrangers-nest-pas-un-fardeau-mais-une-neces
    #économie #démographie #France #migrations

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    voir aussi cette métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

    ping @karine4

    • Sur les #prestations_sociales aux étrangers, la #contradiction d’#Emmanuel_Macron

      Le pouvoir exécutif vante une loi « immigration » qui concourt à une meilleure intégration des « travailleurs » et soutient « ceux qui travaillent ». Mais la restriction des droits sociaux pour les non-Européens fragilise le système de #protection_sociale.

      Depuis son adoption au Parlement, la loi relative à l’immigration est présentée par Emmanuel Macron et par le gouvernement comme fidèle à la doctrine du « #en_même_temps ». D’un côté, le texte prétend lutter « contre les #passeurs » et l’entrée illicite d’étrangers dans l’Hexagone. De l’autre, il viserait à « mieux intégrer ceux qui ont vocation à demeurer sur notre sol » : les « réfugiés, étudiants, chercheurs, travailleurs ». En s’exprimant ainsi dans ses vœux à la nation, le 31 décembre 2023, le président de la République a cherché à montrer que la #réforme, fruit d’un compromis avec les élus Les Républicains, et inspirée par endroits du logiciel du Rassemblement national, conciliait #fermeté et #humanisme.

      Mais cette volonté d’#équilibre est contredite par les mesures concernant les prestations sociales. En réalité, le texte pose de nouvelles règles qui durcissent les conditions d’accès à plusieurs droits pour les étrangers non ressortissants de l’Union européenne, en situation régulière, ce qui risque de plonger ces personnes dans le dénuement.

      Un premier régime est créé, qui prévoit que l’étranger devra soit avoir résidé en France depuis au moins cinq ans, soit « justifier d’une durée d’affiliation d’au moins trente mois au titre d’une activité professionnelle » – sachant que cela peut aussi inclure des périodes non travaillées (chômage, arrêt-maladie). Ce « #délai_de_carence » est une nouveauté pour les aides visées : #allocations_familiales, prestation d’accueil du jeune enfant, allocation de rentrée scolaire, complément familial, allocation personnalisée d’autonomie, etc.

      « #Régression considérable »

      Un deuxième régime est mis en place pour les #aides_personnelles_au_logement (#APL) : pour les toucher, l’étranger devra soit être titulaire d’un visa étudiant, soit être établi sur le territoire depuis au moins cinq ans, soit justifier d’une « durée d’affiliation d’au moins trois mois au titre d’une activité professionnelle ». Là aussi, il s’agit d’une innovation. Ces critères plus stricts, précise la loi, ne jouent cependant pas pour ceux qui ont obtenu le statut de réfugié ou détiennent la carte de résident.

      Le 19 décembre 2023, Olivier Dussopt, le ministre du travail, a réfuté la logique d’une #discrimination entre nationaux et étrangers, et fait valoir que le texte établissait une « #différence » entre ceux qui travaillent et ceux qui ne travaillent pas, « qu’on soit français ou qu’on soit étranger ». « Nous voulons que celles et ceux qui travaillent soient mieux accompagnés », a-t-il ajouté, en faisant allusion au délai de carence moins long pour les étrangers en emploi que pour les autres. Une présentation qui omet que le nouveau régime ne s’applique qu’aux résidents non européens, et laisse penser que certains étrangers mériteraient plus que d’autres d’être couverts par notre #Etat-providence.

      Alors que la loi est censée faciliter – sous certaines conditions – l’#intégration de ressortissants d’autres pays, des spécialistes de la protection sociale considèrent que les mesures sur les prestations tournent le dos à cet objectif. « Les délais de carence vont totalement à l’encontre de l’intégration que l’on prétend viser », estime Michel Borgetto, professeur émérite de l’université Paris Panthéon-Assas. Ils risquent, d’une part, de « précipiter dans la #précarité des personnes confrontées déjà à des #conditions_de_vie difficiles, ce qui aura pour effet d’accroître le nombre de #travailleurs_pauvres et de #mal-logés, voire de #sans-abri, relève-t-il. Ils sont, d’autre part, susceptibles de se révéler largement contre-productifs et terriblement néfastes, poursuit le spécialiste du droit de la #sécurité_sociale, dans la mesure où les étrangers en situation régulière se voient privés des aides et accompagnements nécessaires à leur insertion durable dans la société, dans les premiers mois ou années de leur vie en France. C’est-à-dire, en fait, au moment même où ils en ont précisément le plus besoin… »

      Maîtresse de conférences en droit social à l’université Lyon-II, Laure Camaji tient à rappeler que les prestations visées constituent des « #droits_universels, attribués depuis des décennies en raison de la résidence sur le territoire ». « Cela fait bien longtemps – depuis une loi de 1975 – que le droit aux #prestations_familiales n’est plus lié à l’exercice d’une #activité_professionnelle, souligne-t-elle. C’est un principe fondamental de notre système de sécurité sociale, un #acquis majeur qui forme le socle de notre #pacte_social, tout comme l’est l’#universalité de la #couverture_maladie, de la prise en charge du #handicap et de la #dépendance, du droit au logement et à l’#hébergement_d’urgence. »

      A ses yeux, le texte entraîne une « régression considérable » en instaurant une « #dualité de régimes entre les Français et les Européens d’un côté, les personnes non ressortissantes de l’Union de l’autre ». L’intégralité du système de protection sociale est fragilisée, « pour tous, quelle que soit la nationalité, l’origine, la situation familiale, puisque l’universalité n’est plus le principe », analyse-t-elle.

      Motivation « idéologique »

      Francis Kessler, maître de conférences à l’université Paris-I Panthéon-Sorbonne, ne comprend pas « la logique à l’œuvre dans cette loi, sauf à considérer qu’il est illégitime de verser certaines prestations à une catégorie de la population, au motif qu’elle n’a pas la nationalité française, ou que les étrangers viennent en France pour toucher des aides – ce qu’aucune étude n’a démontré ». En réalité, complète-t-il, la seule motivation de cette loi est « idéologique » : « Elle repose très clairement sur une idée de “#préférence_nationale” et place notre pays sur une pente extrêmement dangereuse. »

      Toute la question, maintenant, est de savoir si les dispositions en cause seront validées par le #Conseil_constitutionnel. L’institution de la rue de Montpensier a été saisie par la présidente de l’Assemblée nationale, Yaël Braun-Pivet, ainsi que par des députés et sénateurs de gauche, notamment sur les restrictions des #aides_financières aux étrangers. Les parlementaires d’opposition ont mis en avant le fait que les délais de carence violaient – entre autres – le #principe_d’égalité. Plusieurs membres du gouvernement, dont la première ministre, Elisabeth Borne, ont reconnu que des articles du texte, comme celui sur les APL, pouvaient être jugés contraires à la Loi fondamentale. Le Conseil constitutionnel rendra sa décision avant la fin du mois de janvier.

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/01/05/sur-les-prestations-sociales-aux-etrangers-la-contradiction-d-emmanuel-macro
      #Macron #loi_immigration #accès_aux_droits

  • CARTOGRAPHIE DES VIOLATIONS SUBIES PAR LES PERSONNES EN DEPLACEMENT EN TUNISIE

    L’#OMCT publie aujourd’hui un rapport, « Les routes de la torture : Cartographie des violations subies par les personnes en déplacement en Tunisie » qui met en lumière l’ampleur et la nature des violations des #droits_humains commises en Tunisie entre juillet et octobre 2023 à l’encontre de migrant-e-s, réfugié-e-s et demandeurs d’asile.

    Depuis octobre 2022, la Tunisie a connu une intensification progressive des violations à l’encontre des personnes en déplacement essentiellement d’origine subsaharienne, sur fond de #discrimination_raciale. Le discours présidentiel du 21 février 2023 les a rendues encore plus vulnérables, et le mois de juillet 2023 a représenté un tournant dans l’échelle et le type des violations des #droits_humains commises, avec une recrudescence des #arrestations et des #détentions_arbitraires, des #déplacements_arbitraire et forcés, ayant donné lieu à des #mauvais_traitement, des #tortures, des #disparitions et, dans plusieurs cas, des #décès. Ce cycle d’#abus commence avec une situation d’irrégularité qui accroît leur #vulnérabilité et qui les expose au risque de violations supplémentaires.

    Cependant, malgré l’ampleur des violations infligées, celles-ci ont été très largement passées sous silence, invisibilisant encore davantage une population déjà marginalisée. A traves les voix de victimes directes de violations ayant voulu partager leurs souffrances avec l’OMCT, ce rapport veut contribuer à contrer cette dynamique d’#invisibilisation des migrant-e-s, refugié-e-s et demandeurs d’asile résidant en Tunisie, qui favorise la perpétuation des violations et un climat d’#impunité.

    Le rapport s’appuie notamment sur plus de 30 entretiens avec des représentant-e-s d’organisations partenaires et activistes travaillant sur tout le territoire tunisien et une vingtaine de témoignages directes de victimes de violence documentés par l’OMCT et ses partenaires. Il dresse une cartographie des violations infligées aux migrants, parmi lesquelles les expulsions forcées des logements, les #violences physiques et psychologiques exercées aussi bien par des citoyens que par des agents sécuritaires, le déni d’#accès_aux_soins, les arrestations et détentions arbitraires, les déplacements arbitraires et forcés sur le territoire tunisien, notamment vers les zones frontalières et les #déportations vers l’Algérie et la Libye. Les interactions avec les forces de l’ordre sont généralement assorties de torture et mauvais traitements tandis que les victimes sont privées, dans les faits, du droit d’exercer un recours contre ce qu’elles subissent.

    Cette #violence institutionnelle touche indistinctement les personnes en déplacement, indépendamment de leur statut, qu’elles soient en situation régulière ou non, y compris les réfugié-e-s et demandeurs d’asile. Les victimes, hommes, femmes, enfants, se comptent aujourd’hui par milliers. A la date de publication de ce rapport, les violations se poursuivent avec une intensité et une gravité croissante, sous couvert de lutte contre l’immigration clandestine et les réseaux criminels de trafic d’êtres humains. La Tunisie, en conséquence, ne peut être considérée comme un pays sûr pour les personnes en déplacement.

    Ce rapport souhaite informer les politiques migratoires des décideurs tunisiens, européens et africains vers une prise en compte décisive de l’impact humain dramatique et contre-productif des politiques actuelles.

    https://omct-tunisie.org/2023/12/18/les-routes-de-la-torture

    #migrations #asile #réfugiés #Tunisie #rapport

    ping @_kg_

  • Covid-19 : les séquelles du virus commenceraient à apparaître dans la mortalité française – Libération
    https://www.liberation.fr/societe/sante/covid-19-les-sequelles-du-virus-commenceraient-a-apparaitre-dans-la-morta

    Troisième cause de mortalité en 2021, le coronavirus pourrait aussi être responsable de la hausse de la mortalité des maladies vasculaires, selon une étude publiée par la Drees ce mardi 19 décembre.

    Mais à 20h, ils t’ont dit que la population française vivait de plus en plus vieux, et que ça justifiait toutes les atteintes aux retraites et aux assurances chômage !

    • BigGrizzly, tu racontes n’importe quoi. Les statisticiens de l’OFCE te parlaient de leur prévision à 2050, et il se peut tout à fait qu’ils aient pris en compte les baisses conjoncturelles, qui à n’en pas douter ne sont que conjoncturelles, et pas du tout appelées à suivre la tendance de court terme observée.

      C’est comme le climat. On fait les prévisions de températures en prolongeant les courbes de tendance, puis on conclut qu’on n’a pas besoin de faire quoi que ce soit, parce que tout ira bien en 2050.
      Pour l’espérance de vie, on prolonge sur la base des 50 dernières années, et on dit que ça va continuer, même si la tendance semble être modifiée depuis 5 ans.
      En fait, les stats, tu en fais ce que tu veux, quand tu parles au 20h.

    • Quatre ans après son apparition, les dégâts causés par le Covid sur le corps humain restent incertains. Les chiffres commencent toutefois à parler à travers l’étude des #causes_de_mortalité en France, publiés par Santé publique France (#SPF) ce mardi 19 décembre, au moment où une énième vague de Covid déferle à l’approche de Noël. En 2021, le pays a enregistré la mort de 660 168 personnes – environ 7 000 de moins que l’année précédente –, dont 60 895 dues au Covid-19, ce qui en fait la troisième cause de mortalité derrière les tumeurs et les maladies cardiovasculaires, note la Direction de la recherche, des études, de l’évaluation et des statistiques (Drees) dans une étude parue ce mardi 19 décembre.

      Mais les effets du coronavirus ne se résumeraient ni aux décès directs ni aux affections de longue durée appelées Covid long. _« Les décès dus aux maladies cardio-neurovasculaires, aux maladies de l’appareil digestif et aux #maladies_endocriniennes, nutritionnelles et métaboliques augmentent en 2021 », note la Drees. Avant la survenue de la #pandémie, la tendance était plutôt à la baisse du nombre de décès pour ces pathologies, de 2015 à 2019. Quel est donc le rôle du Sars-Cov-2 dans ces hausses ? Plusieurs résultats pointent les conséquences à terme du Covid sur le #diabète ou encore les vaisseaux sanguins.

      « Le virus continue à avoir une atteinte vasculaire »

      Les indices sont particulièrement probants pour ces derniers. Dès 2021, le suivi des vétérans américains mettait à jour le #risque_cardiovasculaire un mois après l’infection. « On fait semblant que la crise du #Covid est résolue. Mais ce n’est pas le cas. Même si les infections n’ont plus de conséquences directes massives sur les hospitalisations, le virus continue à avoir une #atteinte_vasculaire. Sur le long terme, quand on a un patient qui développe une #maladie_cardiovasculaire, les lésions engendrées par le Covid participent probablement à cette aggravation », avance auprès de Libération David Smadja, professeur d’hématologie à l’université Paris-Cité et à l’hôpital Georges-Pompidou. Le scientifique connaît bien le sujet, pour avoir déjà mis en évidence que les patients aux vaisseaux sanguins les plus touchés par le virus étaient ceux ayant le plus de risque de décéder à l’hôpital.

      Piste similaire dans le bulletin épidémiologique hebdomadaire de SPF publié ce mardi 19 décembre. La hausse des décès due aux pathologies circulatoire, digestive ou endocrine « pourrait être liée à des effets indirects de l’épidémie de Covid-19 (retard de prise en charge, isolement social plus important jouant sur les comportements, hausse de la consommation nocive d’alcool, difficultés d’#accès_aux_soins, séquelle pour ceux dont la Covid-19 est en cause associée, etc.) », pointe l’institution.

      Cette interprétation est renforcée par les premières analyses des morts de 2022 qui confirment ces tendances. Avec 675 000 décès, l’Institut national de la statistique et des études économiques anticipe une #surmortalité de 54 000 décès par rapport aux chiffres estimés en l’absence d’épidémie de Covid-19 ou d’autres événements inhabituels. Les morts dus aux maladies circulatoires et endocriniennes seraient toujours en hausse.

      Port du masque tombé en désuétude

      Une tendance de fond est-elle en train de s’installer ? « La question se pose. Ce #surrisque qu’on observe est-il constant au cours du temps, auquel cas on va avoir une accumulation, ou bien est-ce que cet effet va s’estomper au fur et à mesure ? » s’interroge à haute voix l’épidémiologiste Mircea Sofonea.

      Pourtant, l’idée que le Covid favorisait l’apparition d’autres pathologies, y compris plusieurs mois après l’infection, est une hypothèse qui n’a jamais suffi pour engendrer une #politique publique de réduction de la circulation virale à long terme. Le gouvernement n’a pas pris de mesures pour assainir l’#air intérieur des lieux collectifs. Le port du #masque est tombé en désuétude, y compris en cas de symptômes. Le suivi de l’épidémie a été abandonné avec la politique de #tests massifs. Les chercheurs ont les pires difficultés pour financer leurs études sur le virus. Début décembre, Emmanuel Macron a prononcé un discours « pour présenter sa vision pour l’avenir de la recherche française », où il a surtout été question d’« enjeux de gouvernance », de « modèle économique » et de « contrats d’objectifs ».

      Olivier Monod

      Existe-t-il en matière de covid des calculs sur les coûts comparés de différentes politiques de santé ? À vue d’oeil, on sait que des tests et un suivi épidémiologique, des purificateurs d’air, des masques, des soignants, des arrêts de travail pour s’isoler en cas d’infection, c’est trop cher. Mais structurer tranquillement la politique pour faire mourir moins vieux et faire mourir plus vite (ce qu’on commence à expérimenter en grand avec la déglingue est-il possible sans trop d’arrêts maladie, de prise en charge de handicaps, de pathologies ? Sans trop de conséquences financières ? Un processus dans lequel tous les paramètres sont variables, ça se calculerait comment ?

      #mortalité #économie #recherche #santé #médecine #covid_long #RDR #post-covid

    • Une amie coiffeuse à domicile, même âge que nous, qui nous raconte son début d’automne, avec une perte de parole et de vue d’un oeil, pendant 20 minutes, en pleine nuit. Après passage aux urgences (sans se presser, elle n’était pas au courant qu’un AVC, c’est urgence sans tarder...). Plutôt qu’AVC, ils ont requalifié ça en AIT. Dans le même temps, un lupus (maladie autoimmune) qui se déclare, grosse fatigue et tout et tout... elle trouve un traitement qui lui permet de remonter la pente. Ouf. Elle n’a obtenu le traitement que parce qu’elle a insisté... le médecin voulait lui demander de revenir au printemps pour cela... apparemment, on peut vivre 6 mois sans traitement de ce bidule.

      Aucun rapport avec le Covid, évidemment. Et ça ne sert à rien d’en parler, les gens te disent qu’il faut arrêter de tout expliquer par le Covid. Ils n’ont pas tort. Hier, quand la moitié de l’équipe m’annonçait avoir manger qq chose d’avarié la veille, du fait de leurs indispositions de ventre, on m’a dit la même chose, la grippe, la gastro, le rhume, le VRS... Même quand tu leurs expliques que dans les labos, malgré les tests capables de tout détecter en un test, ils ne trouvent que du Covid (normal, c’est le plus contagieux, les autres maladies n’ont pas la possibilité de se diffuser).

      Et comme en plus, plus personne ne peut aller voir un médecin... Personne ne sait jamais de quoi il est tombé malade. Et quand ils vont voir un médecin, il ne dit rien.

      Ceci dit, il semble que les derniers variants fonctionnent mieux avec les derniers tests. Parce que malgré tout, je vois quelques personnes qui disent qu’ils sont positifs, et qu’ils le disent parce qu’ils se sont testés.

  • Improving the humanitarian situation of refugees, migrants and asylum seekers in #Calais and #Dunkirk areas

    The report presented by #Stephanie_Krisper (Austria, ALDE) to the Migration Committee, meeting in Paris, highlighted that the basic needs of a high number of refugees, migrants and asylum seekers in the areas of Calais and Dunkirk (France), were not met. It mentions in particular insufficient places of accommodation situated in remote places that are difficult to access, problematic access to food and water with insufficient and overcrowded distribution points, deficient access to non-food items such as blankets or tents, and limited access to healthcare.

    This report follows a fact-finding visit carried out on 25 and 26 October 2023 by a parliamentary delegation chaired by Ms Krisper, whose objective was to examine the situation of asylum seekers and migrants as well as their defenders in the city of Calais and its surroundings.

    It underlines that these people are stuck in Calais and Dunkirk areas mainly because they have nowhere to go and generally cannot return to their country of origin, a situation exacerbated by the inadequacy of the formal reception system, the lack of information about asylum seekers’ rights as well as cumbersome and long procedures.

    Faced with “this appalling situation, especially since winter is here”, the parliamentarians recommend urgently increasing humanitarian and health assistance through additional volunteers and resources for the associations acting on spot, especially the non-mandated structures. The dignity and fundamental rights of these people must be preserved, and violations and harassments committed by police forces must end, they added.

    The report also warns of the danger these people face by risking their lives when crossing the Channel to the United Kingdom, at the mercy of criminal smuggling networks.

    Finally, the parliamentarians call for a shared responsibility between all European countries, “in order not to leave the burden to countries on the external border of the EU, where congestions points are observed”.

    In addition to its President, Ms Krisper, the delegation was composed of Jeremy Corbyn (United Kingdom, SOC), Emmanuel Fernandes (France, GUE), Pierre-Alain Fridez (Switzerland, SOC) and Sandra Zampa (Italy, SOC).

    Pour télécharger le rapport:
    https://rm.coe.int/report-of-the-ad-hoc-sub-committee-to-carry-out-a-fact-finding-visit-t/1680adaf30

    https://pace.coe.int/en/news/9317/improving-the-humanitarian-situation-of-refugees-migrants-and-asylum-seeke
    #France #Manche #La_Manche #asile #migrations #réfugiés #rapport #visite_parlementaire #Dunkerque #frontières #hébergement #accès_à_l'eau #besoins_fondamentaux #nourriture #accès_à_la_nourriture #accès_aux_soins #santé #droits_fondamentaux #dignité #violences_policières #harcèlement_policier #harcèlement #traversée #passeurs #trafiquants_d'êtres_humains #conseil_de_l'Europe

  • Fermes, coopératives... « En #Palestine, une nouvelle forme de #résistance »

    Jardins communautaires, coopératives... En Cisjordanie et à Gaza, les Palestiniens ont développé une « #écologie_de_la_subsistance qui n’est pas séparée de la résistance », raconte l’historienne #Stéphanie_Latte_Abdallah.

    Alors qu’une trêve vient de commencer au Proche-Orient entre Israël et le Hamas, la chercheuse Stéphanie Latte Abdallah souligne les enjeux écologiques qui se profilent derrière le #conflit_armé. Elle rappelle le lien entre #colonisation et #destruction de l’#environnement, et « la relation symbiotique » qu’entretiennent les Palestiniens avec leur #terre et les êtres qui la peuplent. Ils partagent un même destin, une même #lutte contre l’#effacement et la #disparition.

    Stéphanie Latte Abdallah est historienne et anthropologue du politique, directrice de recherche au CNRS (CéSor-EHESS). Elle a récemment publié La toile carcérale, une histoire de l’enfermement en Palestine (Bayard, 2021).

    Reporterre — Comment analysez-vous à la situation à #Gaza et en #Cisjordanie ?

    Stéphanie Latte Abdallah — L’attaque du #Hamas et ses répercussions prolongent des dynamiques déjà à l’œuvre mais c’est une rupture historique dans le déchaînement de #violence que cela a provoqué. Depuis le 7 octobre, le processus d’#encerclement de la population palestinienne s’est intensifié. #Israël les prive de tout #moyens_de_subsistance, à court terme comme à moyen terme, avec une offensive massive sur leurs conditions matérielles d’existence. À Gaza, il n’y a plus d’accès à l’#eau, à l’#électricité ou à la #nourriture. Des boulangeries et des marchés sont bombardés. Les pêcheurs ne peuvent plus accéder à la mer. Les infrastructures agricoles, les lieux de stockage, les élevages de volailles sont méthodiquement démolis.

    En Cisjordanie, les Palestiniens subissent — depuis quelques années déjà mais de manière accrue maintenant — une forme d’#assiègement. Des #cultures_vivrières sont détruites, des oliviers abattus, des terres volées. Les #raids de colons ont été multipliés par deux, de manière totalement décomplexée, pour pousser la population à partir, notamment la population bédouine qui vit dans des zones plus isolées. On assiste à un approfondissement du phénomène colonial. Certains parlent de nouvelle #Nakba [littéralement « catastrophe » en Arabe. Cette expression fait référence à l’exode forcé de la population palestinienne en 1948]. On compte plus d’1,7 million de #déplacés à Gaza. Où iront-ils demain ?

    « Israël mène une #guerre_totale à une population civile »

    Gaza a connu six guerres en dix-sept ans mais il y a quelque chose d’inédit aujourd’hui, par l’ampleur des #destructions, le nombre de #morts et l’#effet_de_sidération. À défaut d’arriver à véritablement éliminer le Hamas – ce qui est, selon moi, impossible — Israël mène une guerre totale à une population civile. Il pratique la politique de la #terre_brûlée, rase Gaza ville, pilonne des hôpitaux, humilie et terrorise tout un peuple. Cette stratégie a été théorisée dès 2006 par #Gadi_Eizenkot, aujourd’hui ministre et membre du cabinet de guerre, et baptisée « la #doctrine_Dahiya », en référence à la banlieue sud de Beyrouth. Cette doctrine ne fait pas de distinction entre #cibles_civiles et #cibles_militaires et ignore délibérément le #principe_de_proportionnalité_de_la_force. L’objectif est de détruire toutes les infrastructures, de créer un #choc_psychologique suffisamment fort, et de retourner la population contre le Hamas. Cette situation nous enferme dans un #cycle_de_violence.

    Vos travaux les plus récents portent sur les initiatives écologiques palestiniennes. Face à la fureur des armes, on en entend évidemment peu parler. Vous expliquez pourtant qu’elles sont essentielles. Quelles sont-elles ?

    La Palestine est un vivier d’#innovations politiques et écologiques, un lieu de #créativité_sociale. Ces dernières années, suite au constat d’échec des négociations liées aux accords d’Oslo [1] mais aussi de l’échec de la lutte armée, s’est dessinée une #troisième_voie.

    Depuis le début des années 2000, la #société_civile a repris l’initiative. Dans de nombreux villages, des #marches et des #manifestations hebdomadaires sont organisées contre la prédation des colons ou pour l’#accès_aux_ressources. Plus récemment, s’est développée une #économie_alternative, dite de résistance, avec la création de #fermes, parfois communautaires, et un renouveau des #coopératives.

    L’objectif est de reconstruire une autre société libérée du #néolibéralisme, de l’occupation et de la #dépendance à l’#aide_internationale. Des agronomes, des intellectuels, des agriculteurs, des agricultrices, des associations et des syndicats de gauche se sont retrouvés dans cette nouvelle forme de résistance en dehors de la politique institutionnelle. Une jeune génération a rejoint des pionniers. Plutôt qu’une solution nationale et étatique à la colonisation israélienne — un objectif trop abstrait sur lequel personne n’a aujourd’hui de prise — il s’agit de promouvoir des actions à l’échelle citoyenne et locale. L’idée est de retrouver de l’#autonomie et de parvenir à des formes de #souveraineté par le bas. Des terres ont été remises en culture, des #fermes_agroécologiques ont été installées — dont le nombre a explosé ces cinq dernières années — des #banques_de_semences locales créées, des modes d’#échange directs entre producteurs et consommateurs mis en place. On a parlé d’« #intifada_verte ».

    Une « intifada verte » pour retrouver de l’autonomie

    Tout est né d’une #prise_de_conscience. Les #territoires_palestiniens sont un marché captif pour l’#économie israélienne. Il y a très peu de #production. Entre 1975 et 2014, la part des secteurs de l’agriculture et de l’#industrie dans le PIB a diminué de moitié. 65 % des produits consommés en Cisjordanie viennent d’Israël, et plus encore à Gaza. Depuis les accords d’Oslo en 1995, la #production_agricole est passée de 13 % à 6 % du PIB.

    Ces nouvelles actions s’inscrivent aussi dans l’histoire de la résistance : au cours de la première Intifada (1987-1993), le #boycott des taxes et des produits israéliens, les #grèves massives et la mise en place d’une économie alternative autogérée, notamment autour de l’agriculture, avaient été centraux. À l’époque, des #jardins_communautaires, appelés « les #jardins_de_la_victoire » avait été créés. Ce #soulèvement, d’abord conçu comme une #guerre_économique, entendait alors se réapproprier les #ressources captées par l’occupation totale de la Cisjordanie et de la #bande_de_Gaza.

    Comment définiriez-vous l’#écologie palestinienne ?

    C’est une écologie de la subsistance qui n’est pas séparée de la résistance, et même au-delà, une #écologie_existentielle. Le #retour_à_la_terre participe de la lutte. C’est le seul moyen de la conserver, et donc d’empêcher la disparition totale, de continuer à exister. En Cisjordanie, si les terres ne sont pas cultivées pendant 3 ou 10 ans selon les modes de propriété, elles peuvent tomber dans l’escarcelle de l’État d’Israël, en vertu d’une ancienne loi ottomane réactualisée par les autorités israéliennes en 1976. Donc, il y a une nécessité de maintenir et augmenter les cultures, de redevenir paysans, pour limiter l’expansion de la #colonisation. Il y a aussi une nécessité d’aller vers des modes de production plus écologiques pour des raisons autant climatiques que politiques. Les #engrais et les #produits_chimiques proviennent des #multinationales via Israël, ces produits sont coûteux et rendent les sols peu à peu stériles. Il faut donc inventer autre chose.

    Les Palestiniens renouent avec une forme d’#agriculture_économe, ancrée dans des #savoir-faire_ancestraux, une agriculture locale et paysanne (#baladi) et #baaliya, c’est-à-dire basée sur la pluviométrie, tout en s’appuyant sur des savoirs nouveaux. Le manque d’#eau pousse à développer cette méthode sans #irrigation et avec des #semences anciennes résistantes. L’idée est de revenir à des formes d’#agriculture_vivrière.

    La #révolution_verte productiviste avec ses #monocultures de tabac, de fraises et d’avocats destinée à l’export a fragilisé l’#économie_palestinienne. Elle n’est pas compatible avec l’occupation et le contrôle de toutes les frontières extérieures par les autorités israéliennes qui les ferment quand elles le souhaitent. Par ailleurs, en Cisjordanie, il existe environ 600 formes de check-points internes, eux aussi actionnés en fonction de la situation, qui permettent de créer ce que l’armée a nommé des « #cellules_territoriales ». Le #territoire est morcelé. Il faut donc apprendre à survivre dans des zones encerclées, être prêt à affronter des #blocus et développer l’#autosuffisance dans des espaces restreints. Il n’y a quasiment plus de profondeur de #paysage palestinien.

    « Il faut apprendre à survivre dans des zones encerclées »

    À Gaza, on voit poindre une #économie_circulaire, même si elle n’est pas nommée ainsi. C’est un mélange de #débrouille et d’#inventivité. Il faut, en effet, recycler les matériaux des immeubles détruits pour pouvoir faire de nouvelles constructions, parce qu’il y a très peu de matériaux qui peuvent entrer sur le territoire. Un entrepreneur a mis au point un moyen d’utiliser les ordures comme #matériaux. Les modes de construction anciens, en terre ou en sable, apparaissent aussi mieux adaptés au territoire et au climat. On utilise des modes de production agricole innovants, en #hydroponie ou bien à la #verticale, parce que la terre manque, et les sols sont pollués. De nouvelles pratiques énergétiques ont été mises en place, surtout à Gaza, où, outre les #générateurs qui remplacent le peu d’électricité fournie, des #panneaux_solaires ont été installés en nombre pour permettre de maintenir certaines activités, notamment celles des hôpitaux.

    Est-ce qu’on peut parler d’#écocide en ce moment ?

    Tout à fait. Nombre de Palestiniens emploient maintenant le terme, de même qu’ils mettent en avant la notion d’#inégalités_environnementales avec la captation des #ressources_naturelles par Israël (terre, ressources en eau…). Cela permet de comprendre dans leur ensemble les dégradations faites à l’#environnement, et leur sens politique. Cela permet aussi d’interpeller le mouvement écologiste israélien, peu concerné jusque-là, et de dénoncer le #greenwashing des autorités. À Gaza, des #pesticides sont épandus par avion sur les zones frontalières, des #oliveraies et des #orangeraies ont été arrachées. Partout, les #sols sont pollués par la toxicité de la guerre et la pluie de #bombes, dont certaines au #phosphore. En Cisjordanie, les autorités israéliennes et des acteurs privés externalisent certaines #nuisances_environnementales. À Hébron, une décharge de déchets électroniques a ainsi été créée. Les eaux usées ne sont pas également réparties. À Tulkarem, une usine chimique considérée trop toxique a été également déplacée de l’autre côté du Mur et pollue massivement les habitants, les terres et les fermes palestiniennes alentour.

    « Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement »

    Les habitants des territoires occupés, et leur environnement — les plantes, les arbres, le paysage et les espèces qui le composent — sont attaqués et visés de manière similaire. Ils sont placés dans une même #vulnérabilité. Pour certains, il apparaît clair que leur destin est commun, et qu’ils doivent donc d’une certaine manière résister ensemble. C’est ce que j’appelle des « #résistances_multispécifiques », en écho à la pensée de la [philosophe féministe étasunienne] #Donna_Haraway. [2] Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement. Une même crainte pour l’existence. La même menace d’#effacement. C’est très palpable dans le discours de certaines personnes. Il y a une lutte commune pour la #survie, qui concerne autant les humains que le reste du vivant, une nécessité écologique encore plus aigüe. C’est pour cette raison que je parle d’#écologisme_existentiel en Palestine.

    Aujourd’hui, ces initiatives écologistes ne sont-elles pas cependant menacées ? Cet élan écologiste ne risque-t-il pas d’être brisé par la guerre ?

    Il est évidemment difficile d’exister dans une guerre totale mais on ne sait pas encore comment cela va finir. D’un côté, on assiste à un réarmement des esprits, les attaques de colons s’accélèrent et les populations palestiniennes en Cisjordanie réfléchissent à comment se défendre. De l’autre côté, ces initiatives restent une nécessité pour les Palestiniens. J’ai pu le constater lors de mon dernier voyage en juin, l’engouement est réel, la dynamique importante. Ce sont des #utopies qui tentent de vivre en pleine #dystopie.

    https://reporterre.net/En-Palestine-l-ecologie-n-est-pas-separee-de-la-resistance
    #agriculture #humiliation #pollution #recyclage #réusage #utopie

    • La toile carcérale. Une histoire de l’enfermement en Palestine

      Dans les Territoires palestiniens, depuis l’occupation de 1967, le passage par la prison a marqué les vécus et l’histoire collective. Les arrestations et les incarcérations massives ont installé une toile carcérale, une détention suspendue. Environ 40 % des hommes palestiniens sont passés par les prisons israéliennes depuis 1967. Cet ouvrage remarquable permet de comprendre en quoi et comment le système pénal et pénitentiaire est un mode de contrôle fractal des Territoires palestiniens qui participe de la gestion des frontières. Il raconte l’envahissement carcéral mais aussi la manière dont la politique s’exerce entre Dedans et Dehors, ses effets sur les masculinités et les féminités, les intimités. Stéphanie Latte Abdallah a conduit une longue enquête ethnographique, elle a réalisé plus de 350 entretiens et a travaillé à partir d’archives et de documents institutionnels. Grâce à une narration sensible s’apparentant souvent au documentaire, le lecteur met ses pas dans ceux de l’auteure à la rencontre des protagonistes de cette histoire contemporaine méconnue.

      https://livres.bayard-editions.com/livres/66002-la-toile-carcerale-une-histoire-de-lenfermement-en-pal
      #livre

  • Les paysannes du Sud, premières victimes de la crise climatique

    Lorsque le changement climatique affecte l’agriculture, les femmes en deviennent d’autant plus vulnérables. Une situation particulièrement marquée dans des pays d’Afrique et d’Asie, montrent des chercheurs.

    Le changement climatique affecte l’agriculture et rend les petits paysans plus vulnérables, surtout dans les pays à bas et moyens revenus. Et ces vulnérabilités touchent particulièrement les femmes. Une carte du monde permet dorénavant de s’en rendre compte en un coup d’œil, grâce au travail réalisé par des chercheurs, publié le 16 novembre dans la revue Frontiers in Sustainable Food Systems (Les Frontières dans les systèmes alimentaires durables : https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fsufs.2023.1197809/full#SM1).

    L’équipe internationale de scientifiques s’est employée à collecter de nombreuses données d’études hétérogènes et antérieures traitant de trois facteurs clés :

    - Les dangers climatiques pour les systèmes agroalimentaires (sécheresses, inondations, baisse des rendements agricoles, etc.) ;
    – Le niveau d’exposition des hommes et des femmes à ces dangers ;
    - La vulnérabilité des hommes et des femmes exposés à ces catastrophes climatiques.

    Ils ont ensuite combiné ces facteurs pour bâtir un index et identifier par des cartes les points chauds de ces « inégalités de genre-agriculture-climat ».

    Sur un total de 87 pays à bas et moyens revenus analysés par les chercheurs, en Amérique latine, en Asie et en Afrique, il ressort que les femmes les plus exposées et vulnérables se trouvent dans les régions sud, est et centrale de l’Afrique ainsi que dans l’ouest et le sud de l’Asie.

    De plus en plus documentées par la recherche, les inégalités de genre face au changement climatique, et plus particulièrement dans le cadre des systèmes agroalimentaires, s’expriment de différentes manières. D’une part parce que les femmes et les hommes ne sont pas soumis aux mêmes risques climatiques. D’autre part parce que, même face à un même risque, les femmes se trouvent souvent être plus vulnérables.

    En termes d’exposition aux risques, les chercheurs soulignent notamment que les contextes socioéconomiques et normes culturelles propres à chaque région entraînent une différenciation des rôles agricoles : les femmes travaillent en plus grande proportion que les hommes sur certains types de cultures.
    Un moindre accès aux ressources

    Dans le nord du Bangladesh, par exemple, les femmes ont un rôle majeur dans la culture du riz et de plus en plus dans la gestion des fermes. Notamment à cause de l’émigration croissante des hommes, de plus en plus pratiquée en réponse au changement climatique.

    À cela s’ajoute une plus grande vulnérabilité des femmes, liée à leur moindre accès aux ressources : leur statut social souvent défavorable, le manque d’éducation, leur manque d’accès aux informations pour anticiper les catastrophes et pour travailler à des systèmes plus résilients, leur moindre accès à la possession des terres et des compétences, les empêchent d’affronter les catastrophes dans de bonnes conditions.

    Le manque d’accès des femmes au capital et à la propriété, source de moindres capacités d’adaptation, s’explique aussi par les inégalités dans la rétribution du travail, les femmes n’étant pas ou moins bien payées que les hommes, dans des contextes climatiques aggravant parfois cet état de fait.

    Les cultivatrices de riz du nord du Bangladesh, par exemple, subissent doublement l’émigration climatique des hommes puisqu’elles se retrouvent à la fois seules aux champs et pour le travail domestique. Pour un temps de travail similaire au Bangladesh, les femmes passent 86 % de leur temps de travail affairées à des activités domestiques non rétribuées, contre 25 % du temps pour les hommes.

    Les normes sociales patriarcales finissent de désavantager les femmes lorsqu’il s’agit d’être promptes à s’adapter aux risques. Au Burundi, illustrent les chercheurs, les hommes adaptent plus rapidement que les femmes leurs cultures de bananes aux risques de maladies et mettent en place davantage de techniques innovantes, grâce à leur meilleur accès à l’information ainsi qu’à des groupes de formation des agriculteurs. En Ouganda, au Ghana ou au Bangladesh, ce sont également les normes et pratiques socioculturelles qui restreignent l’accès des femmes aux programmes de formation.

    Indépendamment des conséquences pour les paysannes sur leurs cultures en tant que telles, les inégalités de genre inhérentes au changement climatique pèsent également directement sur le corps des femmes. Après la survenue de catastrophes naturelles, les femmes et les filles sont ainsi plus sujettes à la faim que les hommes, indiquent les auteurs. « En Inde, par exemple, les femmes sont deux fois plus nombreuses que les hommes à moins manger après une sécheresse », écrivent-ils.

    Les femmes ont en outre plus de risques d’être tuées lors de catastrophes naturelles, en partie, selon la littérature scientifique, en raison de leur moindre accès à l’information, aux abris et aux outils leur permettant de prendre les bonnes décisions dans les moments critiques.

    À cette violence sociale s’ajoute une violence plus frontale, les cas de trafic d’êtres humains, d’esclavage sexuel et d’autres violences genrées s’accroissant après des catastrophes naturelles.

    Au sein des régions asiatiques et africaines les plus fortement concernées par ces inégalités, les scientifiques ont appliqué plus en détail leur méthodologie à 4 pays : le Mali, la Zambie, le Bangladesh et le Pakistan, mettant en exergue des différences structurelles dans la manière dont se mettaient en place ces inégalités.

    « Pour les deux pays d’Asie, les forts dangers climatiques et l’exposition des femmes paysannes à ces dangers sont les facteurs principaux, tandis que pour les deux pays africains, les inégalités structurelles jouent un rôle plus important », analyse dans un communiqué l’autrice principale de l’étude, Els Lecoutere, chercheuse au sein du partenariat international CGIAR, à la Gender impact platform au Kenya.
    Investir contre les inégalités structurelles

    La carte confectionnée par les auteurs reste incomplète et souffre de diverses lacunes. Plusieurs pays à faibles revenus, susceptibles d’être hautement concernés par cet indice d’inégalité de genre-agriculture-climat, sont notamment absents de leur travail, faute de données disponibles.

    Pour autant, les chercheurs espèrent avec cet outil inciter les décideurs politiques à prendre à bras-le-corps cette question des inégalités de genre, fondamentale dans l’adaptation au changement climatique. Sur les « points chauds » identifiés sur la carte, l’adaptation des systèmes agroalimentaires vers des modèles justes et durables « ne dépendra pas seulement de la capacité à réduire les inégalités de genre dans les systèmes agroalimentaires mais aussi à éviter qu’ils ne s’aggravent », souligne l’étude.

    « Un autre moment clé pour utiliser les résultats de notre étude sera la COP28 à venir et les négociations en cours autour du fond pour les pertes et dommages, et des autres investissements climatiques », dit encore Els Lecoutere. À bon entendeur.

    https://reporterre.net/Agriculture-une-carte-revele-les-inegalites-femmes-hommes-face-au-climat
    #paysannerie #agriculture #femmes #climat #changement_climatique #genre #inégalités #vulnérabilité #accès_aux_ressources #monde #inégalités_structurelles

  • #Suppression de l’#AME : l’"exemple malheureux" de l’#Espagne

    Alors que, en #France, le Sénat vient de voter la suppression de l’AME dans le cadre du projet de loi « immigration », l’exemple de l’Espagne, qui, après avoir démantelé son dispositif d’aide, l’a remis en place, donne matière à réflexion.

    Adoptée mardi 7 novembre au Sénat, la suppression de l’aide médicale de l’Etat (AME) pour les sans-papiers est décriée jusqu’au sein même du gouvernement. « C’est une profonde #erreur, et il y a des moments où l’erreur confine à la #faute. C’est une faute », a déclaré le soir même le ministre de la Santé, Aurélien Rousseau, invité de l’émission Quotidien. La chambre haute du Parlement s’est par ailleurs attiré les foudres d’une partie du corps médical. C’est « une #hérésie humanitaire, sanitaire et financière », a dénoncé, mercredi 8 novembre, la fédération des hôpitaux publics, le représentant des hôpitaux privés appelant, lui aussi, à « maintenir [ce dispositif] de #santé_publique ».

    « Sur le plan financier, la suppression de l’AME fragiliserait de façon extrêmement forte un #hôpital_public soumis à de fortes tensions budgétaires [en le privant] des financements associés à la prise en charge de personnes malades qui continueraient d’être soignées », a signalé la Fédération hospitalière de France. Un argument également repris par Aurélien Rousseau, qui, lui, cite l’exemple de l’Espagne, qui avait supprimé le dispositif en 2012, pour le rétablir en 2018. « L’Espagne a essayé ce dispositif. Au bout de quelques années, ils se sont aperçus qu’ils avaient 20 % de mortalité en plus dans cette population qui est beaucoup plus sujette aux #maladies_transmissibles… »

    Entre 15 et 20 % de #surmortalité

    En France, dans l’argumentaire de ceux qui s’opposent à la suppression de l’AME, l’"exemple malheureux de l’Espagne" revient systématiquement. « La restriction de l’accès aux soins des étrangers en situation irrégulière, votée en 2012, a entraîné une augmentation de l’incidence des maladies infectieuses ainsi qu’une surmortalité. Cette réforme a finalement été abrogée en 2018 », écrivaient 3 000 soignants dans une tribune publiée dans Le Monde la semaine dernière.

    A l’époque, en 2012, le gouvernement du conservateur Mariano Rajoy avait justifié la mesure par l’idée qu’elle permettrait l’économie de « plus de 500 millions d’euros » et qu’elle éviterait le « tourisme sanitaire ». Or c’est l’effet l’inverse qui s’est produit, engendrant des conséquences dramatiques.

    Une étude menée par l’Institut d’économie de Barcelone et l’université Pompeu Fabra, publiée en 2018 et intitulée « Les effets mortels de la perte de l’assurance-maladie » (https://editorialexpress.com/cgi-bin/conference/download.cgi?db_name=ESPE2018&paper_id=135), a montré une augmentation de la mortalité des #sans-papiers en Espagne de 15 % en moyenne entre 2012 et 2015, soit au cours des trois premières années de la mesure. L’étude soulignait aussi que ces restrictions « avaient pu provoquer une augmentation des passages aux #urgences, puisque c’était devenu la seule forme d’#accès_aux_soins pour beaucoup ».

    « Pas de preuve d’économies »

    En outre, la presse espagnole a largement souligné que la mesure du gouvernement Rajoy n’avait pas permis de réaliser les #économies souhaitées. Le site d’actualités ElDiario (https://www.eldiario.es/desalambre/exclusion-sanitaria-personas-probar-gobierno_1_4680962.html) soulignait ainsi que les économies faites via la suppression de l’AME étaient finalement annulées par des prises en charge trop tardives de pathologies, notamment aux urgences, et donc beaucoup plus coûteuses. Tandis que le journal El País démontrait les effets d’une « réforme exclusive et finalement très coûteuse » (https://elpais.com/sociedad/2014/04/17/actualidad/1397761517_421716.html?event_log=oklogin). Une étude menée en 2015 par l’Agence des droits fondamentaux de l’Union européenne avait par ailleurs montré que les économies allaient de 9 à 69 % lorsqu’une maladie était prise en charge de manière précoce par rapport à des #soins_tardifs (https://fra.europa.eu/en/publication/2015/cost-exclusion-healthcare-case-migrants-irregular-situation-summary).

    En 2018, après six ans de restriction de l’accès aux soins pour les étrangers en situation irrégulière, le gouvernement du socialiste Pedro Sánchez est finalement revenu en arrière pour instaurer à nouveau le dispositif. « La #santé ne connaît pas de frontières, de papiers d’identité, de permis de travail ou de séjour », avait déclaré la ministre de la Santé d’alors, Carmen Montón.

    https://www.lexpress.fr/monde/europe/suppression-de-lame-lexemple-malheureux-de-lespagne-JMBUYCQFYFGYVFUKLXZDZQ3

    #loi_immigration #coût

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    ajouté à ce fil de discussion :
    #AME, #regroupement_familial, #quotas : le Sénat s’acharne contre l’immigration
    https://seenthis.net/messages/1025340

    • Cost of exclusion from healthcare – The case of migrants in an irregular situation – Summary

      The right to health is a basic social right. However, its understanding and application differs across the European Union (EU) Member States, which results in different healthcare services being offered to migrants in an irregular situation. This summary looks into the potential costs of providing migrants in an irregular situation with timely access to health screening and treatment, compared to providing medical treatment only in emergency cases.

      https://fra.europa.eu/en/publication/2015/cost-exclusion-healthcare-case-migrants-irregular-situation-summary

    • La réforme de l’AME « implique que les sans-papiers ne sont dignes d’être soignés que s’ils vont mourir »

      Pour l’économiste #Philippe_Batifoulier, la suppression de l’aide médicale d’Etat pour les sans-papiers est un non-sens. Bien loin des économies promises, cette décision menace l’ensemble de la population et aggrave un peu plus le démantèlement du système de santé publique.

      Mardi 7 novembre, le Sénat a adopté la suppression de l’aide médicale d’Etat (AME), un dispositif instauré en 2000 permettant aux étrangers en situation irrégulière de bénéficier d’un accès régulier aux soins, accordé pour un an sous certaines conditions de résidence et de ressources, et dans la limite des tarifs de la sécurité sociale.

      Le texte prévoit de lui substituer une « aide médicale d’urgence », soit une réduction drastique du panier de soins proposés. Introduit par la droite sénatoriale, l’amendement fait partie du projet de loi immigration et a été adopté à 200 voix contre 136 ; en décembre, l’Assemblée nationale l’examinera à son tour et pourrait choisir de le retoquer. Pour l’économiste Philippe Batifoulier, spécialiste des questions de santé et de protection sociale, l’AME relève de l’humanité la plus élémentaire. La supprimer est selon lui une faute morale, économique et sanitaire.

      Que recouvre l’aide médicale d’Etat et à qui s’adresse-t-elle ?

      Elle permet de dispenser des soins à des personnes sans-papiers aux ressources inférieures à 810 euros par mois, et arrivées en France depuis au moins trois mois – deux situations qu’il faut prouver. Ce panier de soins est inférieur, notamment sur les soins dentaires, à celui proposé par la Complémentaire santé solidaire, accessible aux Français les plus modestes. Les soins médicaux reçus par les migrants à leur arrivée en France ne datent pas de l’AME, mais ce dispositif, qui n’est pas seulement social, permet de recouvrer des créances, et de mieux garantir aux hôpitaux publics le financement de certains soins. Contrairement à ce qu’on entend, ce n’est pas une spécificité française : il y a des dispositifs similaires en Belgique ou en Allemagne, qui ne sont pas restreints aux situations d’urgence.

      Comment analysez-vous cette décision du Sénat ?

      C’est une opportunité politique liée à l’air du temps et à une extrême droite qui a le vent en poupe. Ce débat régulier sur l’AME est un marqueur exemplaire du degré de xénophobie en France. Sa suppression ne repose sur aucun argument scientifique : par contre, ce que cette réforme implique, c’est que les sans-papiers ne sont dignes d’être soignés que s’ils vont mourir. Ce n’est plus la bonne santé qui compte, c’est éviter le pire.

      Quels sont les principaux arguments des détracteurs de cet acquis social ?

      Leur premier objectif est de lutter contre le « tourisme médical », l’idée selon laquelle dès que les migrants posent un pied sur le territoire français, la première chose qu’ils font est de se faire soigner. C’est aussi faux que ridicule. Aujourd’hui, on constate au contraire un non-recours massif : les personnes en situation irrégulière et qui ont besoin de soins ne connaissent pas l’existence de l’AME, et on estime que seuls 50% des concernés entament les démarches nécessaires, ce qui équivaut à environ 380 000 personnes, un nombre relativement faible. Son coût représente environ 1 milliard d’euros par an : soit 0,47% des dépenses de santé ! C’est moins que les dépassements d’honoraires sur un an, qui coûtent bien plus cher à la collectivité. Médecins, chercheurs en santé publique et économistes de toutes obédiences le répètent : cette suppression est un non-sens.

      Si la réforme passe, quelles en seront les conséquences ?

      Il y a fort à parier que les médecins continueront comme ils le pourront à soigner les patients immigrés. Seulement, ils devront composer avec ces bâtons dans les roues, entravant l’exercice de leur profession. Et les créances ne seront pas recouvrées. L’argument de réduction des dépenses est donc battu en brèche, d’autant que soigner les patients en état d’urgence coûte bien plus cher qu’appliquer un traitement en amont !

      Surtout, restreindre les soins à des situations d’urgence pose un vrai problème de santé publique. Si on ne soigne pas les individus qui en ont besoin, les maladies s’aggravent, se développent, dégénèrent en épidémie – la tuberculose par exemple, mais aussi tout simplement l’ensemble des virus de la vie quotidienne, qui se transmettent et qu’il faut soigner. Enfin, du fait de leurs conditions de vie, les migrants concentrent aussi un certain nombre de problèmes de santé mentale, qui peuvent avoir des répercussions sur l’ensemble de la population. Tout le monde a intérêt à ce que son voisin soit en bonne santé.

      Comment expliquer que cette réforme soit adoptée dans le cadre d’un projet de loi immigration ?

      Si on suppose que la santé est une des causes de l’immigration, il faut donc supprimer le besoin de santé pour enrayer l’immigration ! Par ailleurs, certaines personnes très riches viennent en France pour se faire soigner et cela ne pose jamais l’ombre d’un problème. L’AME est une histoire de pauvreté : ce n’est pas l’immigré le problème, c’est l’immigré pauvre. L’objectif est de créer un climat repoussoir. Mais réformer l’AME ne changera rien au nombre d’arrivées, motivées par bien d’autres raisons. De plus, certaines études montrent que ce sont plutôt les personnes en bonne santé qui émigrent, vu les risques que comporte le voyage. C’est quand elles arrivent en France que leur santé se dégrade du fait des conditions d’accueil.

      Quelles pourraient être les conséquences sur le dispositif de santé publique ?

      Cette réforme constitue une attaque à la santé des Français. L’AME a une résonance particulière car elle concerne les migrants, mais finalement ses problèmes ne diffèrent pas de ceux de l’Assurance santé en général, autour de l’idée que « quand les gens sont bien assurés, ils dépensent sans compter ». Selon cette logique, il faudrait donc supprimer les éléments de cette assurance. Cela peut passer par un forfait hospitalier de 20 euros par jour, un ticket modérateur, un forfait aux urgences… Ou par la fin de l’AME pour les étrangers. En France on ne déplore pas le renoncement aux soins : on l’organise, via une politique publique qui met des barrières un peu partout, et crée d’immenses inégalités d’accès aux soins. Mais imaginer que les répercussions concerneront seulement les dépenses futiles et superficielles, c’est profondément illusoire. Les études scientifiques montrent au contraire que quand vous faites payer les gens pour leur santé, ce sont les dépenses utiles que vous fragilisez. Finalement, plus on est pauvre, plus on a des besoins de soin… Et moins on est couvert. Quand vous ne pouvez pas vous permettre d’aller chez le dentiste, vous laissez votre état s’empirer jusqu’à être pris en charge à l’hôpital, ce qui coûte bien plus cher à la collectivité. Ce sont toutes ces absurdités que la réforme de l’AME met tristement en lumière.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/suppression-de-laide-medicale-detat-les-migrants-ne-sont-dignes-detre-soi

    • Projet de loi immigration : deux #plaintes déposées devant l’#Ordre_des_médecins contre des sénateurs LR qui ont voté la suppression de l’AME

      Parmi les élus de droite et du centre qui ont voté la suppression de cette aide aux personnes sans papiers figurent une quinzaine de soignants de profession, médecins, pharmaciens ou infirmière.

      Deux praticiens ont déposé des plaintes devant l’Ordre des médecins, vendredi 10 novembre, pour violation du code de la Santé publique contre deux sénateurs Les Républicains (LR), également médecins de profession, qui ont voté la suppression de l’aide médicale d’État (AME) lors des débats sur le projet de loi immigration.

      L’AME couvre intégralement les frais de santé des étrangers en situation irrégulière présents en France depuis au moins trois mois. Les sénateurs ont voté son remplacement par un dispositif plus restreint. Le texte doit désormais être examiné par l’Assemblée nationale.

      Parmi les sénateurs de droite et du centre qui ont voté la réforme figurent une quinzaine de soignants de profession, médecins, pharmaciens ou infirmière. Les plaintes devant l’Ordre des médecins visent spécifiquement deux d’entre eux, Marie Mercier et Jean-François Rapin. Leur vote « [porte] atteinte, directement, à la santé physique et psychique d’une population connue pour être particulièrement vulnérable », écrivent les docteurs Georges Yoram Federmann, psychiatre installé à Strasbourg, et Jean Doubovetzky, généraliste exerçant à Albi.
      La suppression de l’AME considérée comme une « hérésie »

      Selon les plaignants, les deux sénateurs visés, en votant la fin de l’AME, ont violé cinq articles du Code de la Santé publique, dont l’article R.4127-7, selon lequel « le médecin doit écouter, examiner, conseiller ou soigner avec la même conscience toutes les personnes quels que soient leur origine, leurs moeurs et leur situation de famille, leur appartenance ou leur non-appartenance à une ethnie, une nation ou une religion déterminée, leur handicap ou leur état de santé, leur réputation ou les sentiments qu’il peut éprouver à leur égard. Il doit leur apporter son concours en toutes circonstances ».

      Pour les plaignants, voter la suppression de l’AME est en « contradiction avec le serment prêté par les médecins ». La Fédération des hôpitaux publics avait déjà estimé mercredi que la suppression de l’AME était « une #hérésie ».

      https://www.francetvinfo.fr/societe/immigration/projet-de-loi-immigration-deux-plaintes-ordinales-deposees-contre-des-m

    • Notre enquête Ouest-France/Harmonie Mutuelle confirme la part prépondérante de la #santé, avec des inquiétudes sur l’#accès_aux_soins, considéré comme se dégradant et source de renoncement aux #soins.

      Les #délais de rendez-vous sont de loin la cause la plus fréquemment évoquée lorsqu’une personne renonce aux soins.

      Ouest-France a interrogé des habitantes et habitants de l’Ouest sur leur perception de leur santé et de l’accès à la santé. 3 000 personnes (1 000 par région) de plus de 15 ans ont été interrogées, 52 % sont des femmes.

      Un renoncement aux soins qui interroge

      Plus de la moitié des répondants (58 %) disent avoir déjà renoncé à des soins et près de la moitié (48 %) à des #examens_médicaux. Les délais de rendez-vous sont de loin la cause la plus fréquemment évoquée (74 % pour des soins et 64 % pour des examens médicaux), très loin devant le coût de la consultation, l’éloignement géographique ou une prise en charge défaillante.

      Le coût de la consultation est cependant pointé chez un quart des personnes ayant renoncé aux soins. Cela n’est pas surprenant. Dans un contexte d’inflation, 77 % des répondants disent faire plus attention aux dépenses de santé (dont 27 % de façon plus marquée). Les spécialités les plus concernées sont bien identifiées : soins dentaires, ophtalmologiques, dermatologiques…

      La santé et le pouvoir d’achat : des sujets majeurs

      La santé est bien un sujet majeur de préoccupation. L’on dit rituellement qu’il est le premier sujet (avec l’#argent) ; notre enquête le confirme. Interrogées sur les sujets qu’elles jugent les plus importants, 19 % des personnes citent la santé mais on peut y ajouter les 9 % de personnes considérant l’accès aux soins comme primordial. Le pouvoir d’achat (17 %) arrive logiquement en deuxième position devant la qualité de l’environnement et le changement climatique (11 %). Pour près de la moitié des répondants (45 %), la place de la santé dans les priorités a encore augmenté depuis la pandémie de #Covid-19.

      edit ne vous laissez pas piéger, rien n’a vraiment changé, le titre de Ouest-Rance est « Ce que révèle notre sondage sur la santé : un Français sur deux a déjà renoncé à se soigner »

      #médecine #besoins_sociaux #privatisation #organisation_de_la_rareté

  • Les condamnations de Pôle emploi pour ses positions contradictoires et incompréhensives, ses manquements à son obligation d’information, son manque de vigilance, ses négligences fautives, sa communication tardive de documents, ses informations erronées, ses retenues injustifiées…
    https://www.rocheblave.com/condamnation-pole-emploi

    Sommaire

    Sanction des positions contradictoires et incompréhensives de Pôle emploi
    Sanction du non-respect par Pôle emploi de son obligation d’information
    Sanction du manque de vigilance de Pôle emploi
    Sanction des négligences fautives de Pôle emploi
    Sanction de Pôle emploi qui tarde à satisfaire son obligation de communication de documents
    Sanction de Pôle emploi pour ses informations erronées
    Sanction de Pôle emploi pour ses retenues injustifiées

    Eric ROCHEBLAVE – Avocat Spécialiste en Droit du Travail et Droit de la Sécurité Sociale

    #Pôle_emploi #accès_aux_droits #indus #obligation_d’information

    • Parmi les bénéficiaires de la CMU-C ayant eu recours aux soins en 2010, 74 % n’ont eu aucun reste à charge. 85 % ont eu moins de 10 euros à débourser sur l’ensemble de l’année, et 95 % moins de 65 euros, soit de l’ordre de 5 euros par mois.

    • En fait, on a discuté de cette histoire et clairement, ce n’est pas une généralité : on a rien trouvé, ni décret, ni arrêté passé en loucedé, que dalle à ce sujet, même pas une circulaire.
      Par contre, il y a le fait que la CMU-C n’existe plus et que c’est maintenant la CSS (Complémentaire Santé Solidaire), ce qui s’explique en partie par le fait que la #CMU (dite socle) a disparu pour cause de généralisation de la #Puma (protection universelle maladie) depuis 2016 : « Toute personne qui travaille ou réside en France de manière stable et régulière est couverte par l’Assurance maladie. »

      Le corollaire de tout ça, c’est que les règles d’actualisation ont changé. En gros, il peut y avoir des « ratés » du côté de la CAF qui n’envoie pas tout ou assez des infos nécessaires pour les maléficiaires du RSA… ce qui conduit à ces rattrapage.
      La personne va vérifier son statut auprès de la Sécu.

    • @MMRnmd

      Tu sais @Monolecte, après avoir réglé je me suis plongé dans DDG pendant 1 heure et moi non plus, je n’ai RIEN trouvé.

      Cependant, ma fille m’a dit que c’est la 2nde fois depuis cet été qu’on lui demande de régler ces fameux 5%

      Anyway, je vois mon médecin traitant demain, j’aurai le fin mot de l’histoire.

      https://todon.eu/@MMRnmd/111126606439977065

      @FoucPerotin@mamot.fr

      Je signale juste ce que je vois : la CMU-C semble avoir été remplacée par un nouveau dispositif, ainsi que mentionné ici

      https://www.service-public.fr/particuliers/vosdroits/F10027

      Je pense qu’il peut être utile de vérifier ça.

      Les questions relatives à la complémentaire à la CMU sont parfois délicates (expérience perso avec un SDF turc que nous parrainions, disons, et des problèmes quand il a été hospitalisé sans complémentaire, etc.)

      https://mamot.fr/@FoucPerotin/111126851928035929

      @Docteur_V@piaille.fr

      @MMRnmd Je suis médecin généraliste, responsable syndical MG France et je n’ai entendu parler de rien. Ton pharmacien s’est trompé quelque part.

      https://piaille.fr/@Docteur_V/111127029616044112

    • pour ce que j’ai compris lorsque l’on dépend la CSS payante (par prélèvement mensuel) on a en plus du non remboursé qui serait plafonné à 50 euros par an (un « forfait »), qu’on la paye ou pas. mais moi aussi je me débat avec les effets de cette réforme (où la complémentaire est devenu payante dans beaucoup de cas).

      édit

      https://piaille.fr/@MMRnmd@todon.eu

      Il apparaît donc que la préparatrice en pharmacie a qui m’a fille a eu à faire s’est emmêlé les pinceaux.

      Ce n’est pas 5% qui est ponctionné par la CPAM, depuis 2019 à la demande du gouvernement CASTEX, mais 50cts par boite délivrée jusqu’à hauteur maximum de 50€.

      Et cette somme est censée être recouvrée par la CPAM et non par les pharmaciens.
      Car, ma dit mon pharmacien ce matin, « si c’était à nous d’expliquer ça aux titulaires de la CMU, ça ferait une petite révolution, ils préfèrent le faire en fin d’année, ainsi, très peu de gens comprennent de quoi il sagit... »

      Un peu comme les frai bancaires, qui sont ponctionnes le mois suivant et se perdent dans les lignes des débits.

      Mea culpa donc d’avoir balancé ce chiffre de 5% ; ceci dit, 50€, c’est 5% de 1000€.
      Et c’est bien une mesure décidée et appliquée en 2019 sous sa majesté Macron 1er.

  • Cancer : l’université des patients, redonner du pouvoir aux malades | La série documentaire
    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/l-universite-des-patients-redonner-du-pouvoir-aux-malades-3339211

    Parce qu’ils ont acquis de solides connaissances sur leur maladie et qu’ils ont appris à vivre avec certains patients choisissent de mettre leur expérience au service d’autres malades. Ils sont devenus patients-experts. 1er épisode d’une série de quatre sur les cancers. Durée : 57 min. Source : France Culture

  • Les oubliés du droit d’asile

    Plus de 500 personnes ont participé à l’enquête réalisée sur 5 structures d’accueil parisiennes. L’enquête a permis la production d’un rapport final à partir de l’analyse des données quantitatives et qualitatives recueillies.


    Le rapport « Les oubliés du droit d’asile » dresse un constat alarmant sur les conditions d’existence des #hommes_isolés fréquentant les structures sur lesquelles l’enquête a été menée. Ces résultats amènent les associations à formuler des recommandations qui supposent une adaptation réglementaire et législative, l’augmentation des moyens ou l’ajustement des pratiques. Les associations en sont convaincues, les réponses aux difficultés rencontrées par les hommes isolés visés par l’enquête ne pourront se construire qu’en concertation et collaboration entre les associations, les services et agences de l’Etat et les collectivités.

    https://www.youtube.com/watch?v=ScjteUjbWAA

    https://www.actioncontrelafaim.org/publication/les-oublies-du-droit-dasile
    #rapport #France #Paris #asile #migrations #réfugiés #accueil #recommandations #SDF #sans-abris #sans-abrisme #hébergement #conditions_d'accueil #île_de_France #conditions_matérielles_d'accueil #enquête #dispositif_d'accueil #précarisation #allocation_pour_demandeurs_d'asile (#ADA) #accès_aux_droits #faim #santé_mentale

    ping @karine4

    • 95 entretiens poussés , un peu de sérieux , 85 bénévoles combien ça coute ? transmission des résultats aux services publiques , canal habituel ? l’honorable correspondant ? etc ...

  • Ventimiglia: persone bloccate e respinte alla frontiera franco-italiana

    #Vietato_Passare – La sfida quotidiana delle persone in transito respinte e bloccate alla frontiera franco-italiana” è il titolo del nostro nuovo rapporto pubblicato oggi sulle condizioni di centinaia di persone migranti in transito nella città di Ventimiglia, che cercano ogni giorno di attraversare il confine italo-francese e raggiungere altri paesi europei.

    Adulti e bambini sistematicamente respinti dalla polizia francese – talvolta con violenza, trattamenti inumani e privazione temporanea della libertà personale – e lasciati senza un’adeguata assistenza sul territorio italiano.

    Vietato passare in Francia

    Tra i 320 pazienti visitati tra febbraio e giugno 2023 durante le nostre attività di clinica mobile e le 684 persone in transito che hanno partecipato ad attività di promozione della salute e orientamento ai servizi socio-sanitari, il 79,8% ha dichiarato di aver tentato più di una volta di raggiungere la Francia e di essere stato respinto.

    Persone che dopo aver lasciato il loro paese di origine per sfuggire a violenze, morte, soprusi e povertà e dopo aver affrontato viaggi estremamente pericolosi, si ritrovano nuovamente esposte a violenze, umiliazioni e abusi nel cuore dell’Unione Europea.

    Molte delle persone in transito che abbiamo incontrato e assistito, hanno raccontato di violazioni da parte delle autorità francesi durante le procedure di notifica del refus d’entré (rifiuto d’ingresso), menzionando ad esempio trascrizioni imprecise dei dati personali, la fornitura imparziale o insufficiente di informazioni da parte delle autorità o l’assenza di mediatori interculturali.

    Tra loro ci sono anche persone vulnerabili, come minori non accompagnati, donne incinte o con bambini, anziani e individui con patologie mediche. Più di un terzo dei 48 minori non accompagnati ha riferito di essere stato respinto, mentre diverse persone hanno raccontato di essere state detenute arbitrariamente dalla polizia francese e trattenute in container durante la notte, in condizioni di promiscuità e senza alcuna protezione specifica per donne e minori.

    Secondo quanto riferito al nostro team, nelle notti trascorse nei container non sempre sono stati forniti cibo e acqua, l’assistenza medica è stata spesso negata, i servizi igienici ritenuti inadeguati e le persone sono state costrette a dormire a terra in spazi ridotti e spesso sovraffollati.

    Inoltre, solo nella prima metà dell’anno, abbiamo registrato almeno quattro casi di separazione familiare durante i respingimenti.

    Assistenza inadeguata sul territorio italiano

    Sul territorio di Ventimiglia, d’altro canto, le persone in transito hanno un accesso estremamente limitato ad alloggi adeguati, all’assistenza sanitaria, all’acqua potabile o ai servizi igienici, con conseguenze dirette sulle loro condizioni di salute.

    Tra i 320 pazienti che abbiamo assistito da febbraio a giugno, 215 persone hanno riportato problemi dermatologici, infezioni respiratorie e gastrointestinali, ferite e dolori articolari – condizioni causate o aggravate dalla vita in strada – mentre 14 soffrivano di malattie croniche come diabete e malattie cardiovascolari con necessità di terapia continuativa e a lungo termine.

    Nonostante siano stati recentemente aperti due nuovi PAD (Punto Assistenza Diffusa) dove i migranti più vulnerabili respinti dalla Francia possono trovare riparo per la notte, decine di persone in transito sono ancora costrette a dormire in strada o in accampamenti di fortuna. Due dei quattro PAD promessi dalle autorità locali non sono ancora operativi e i servizi essenziali come alloggi, assistenza sanitaria e legale vengono forniti dalle associazioni locali e dalla società civile.

    https://www.youtube.com/watch?v=QoMbUmD8yuM&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.medicisenzafron

    https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/ventimiglia-assistenza-migranti

    #Vintimille #asile #migrations #réfugiés #frontières #push-backs #refoulements #accès_aux_soins #rapport #MSF #Medici_senza_frontiere #frontière_sud-alpine #Alpes

    • “Vietato passare”: il report di Msf sui soprusi contro i migranti alla frontiera franco-italiana

      Bloccati e respinti dalla polizia francese -con violenza, trattamenti inumani e temporanea privazione della libertà-, centinaia di uomini, donne, bambini, persone vulnerabili si ritrovano a Ventimiglia senza un riparo adeguato e con un accesso limitato all’assistenza sanitaria. Il rapporto di Medici Senza Frontiere

      “Siamo stati fermati ieri a Nizza dalla polizia. Mia moglie è incinta. È stata portata in ospedale perché è svenuta mentre la ammanettavano. Io e mio figlio di due anni siamo stati condotti alla stazione di polizia di frontiera di Mentone. Abbiamo passato la notte al freddo e questa mattina siamo stati respinti e portati in Italia, ma non abbiamo notizie di mia moglie. Mio figlio piange, vuole la sua mamma e io non posso contattarla perché non ha il telefono”.

      La testimonianza di questa famiglia originaria della Costa d’Avorio è solo una delle storie di soprusi che si verificano quotidianamente al confine italo-francese di Ventimiglia (IM) e raccolte da Medici Senza Frontiere (Msf) nel nuovo report intitolato “Vietato passare” e pubblicato a inizio agosto 2023.

      “Vediamo persone estremamente vulnerabili che vengono respinte dalla polizia francese in maniera indiscriminata, senza che le loro specifiche condizioni individuali vengano adeguatamente valutate, per poi ritrovarsi sul territorio italiano senza un’adeguata assistenza da parte delle istituzioni”, spiega Sergio Di Dato, coordinatore del progetto di Msf nella cittadina ligure. “Molte delle persone in transito incontrate e assistite da Msf, hanno raccontato di violazioni da parte delle autorità francesi durante le procedure di notifica del refus d’entré (rifiuto d’ingresso), menzionando ad esempio trascrizioni imprecise dei dati personali, la fornitura imparziale o insufficiente di informazioni da parte delle autorità o l’assenza di mediatori interculturali”.

      Il rapporto si basa sui dati raccolti durante l’attività medica dell’équipe di Msf tra febbraio e giugno 2023 a cui si aggiungono 14 interviste semistrutturate con pazienti e membri del personale sanitario. Proprio all’inizio del 2023 l’organizzazione, già presente sul territorio di confine ligure nel 2016, ha deciso di tornare con il proprio staff in risposta al crescente numero di persone bloccate al confine.

      Delle 320 persone assistite la maggioranza proviene da Costa d’Avorio (28,1%), Guinea (27,5%) e Camerun (4,9%) ed è arrivata a Ventimiglia principalmente da Lampedusa (82,2%) e Trieste (5,3%). L’età media dei pazienti è di 23 anni con il gruppo più numeroso compreso tra i 16 e i 20: il 21% del totale, infatti, si è dichiarato minorenne al momento della visita. Oltre un terzo delle persone incontrate (37%) è donna.

      “Entrambi i miei genitori sono morti -racconta una di queste, originaria della Guinea-. Sono rimasta con mia zia che mi ha detto che era arrivato il momento di sposarmi. Avevo 15 anni. Non conoscevo l’uomo che avrei sposato; fu lei a trovarlo. Non ho scelto di sposarmi. L’uomo che è diventato mio marito ha iniziato a picchiarmi, ogni giorno. Era sempre violento con me. Sono finita in ospedale molte volte. Non avevo nessuno che mi proteggesse da lui. Sono passati quattro anni e ne porto ancora le cicatrici sul corpo […]. Ho deciso di andarmene per allontanarmi da quella vita”. Una storia di violenza non isolata. Quasi una persona su due di quelle visitate era infatti portatrice di “bisogni specifici e di estrema vulnerabilità a causa di caratteristiche o vissuti personali particolarmente complessi, correlati al genere, all’etnia, all’orientamento sessuale, alle convinzioni politiche o religiose e alle violazioni subite nei loro Paesi d’origine”.

      Il 38,8% ha impiegato più di un anno per raggiungere l’Italia, per alcuni il percorso è durato oltre cinque anni. Ma il “sogno europeo” sbatte contro l’ennesima frontiera sigillata.

      Su un campione di un migliaio di persone intercettate da Msf, l’80% ha dichiarato di aver già tentato di attraversare il confine tra Italia e Francia; il 25% riportava di essere stato respinto più di una volta “affrontando innumerevoli difficoltà ed esponendosi a rischi sempre maggiori fino a compromettere, a volte, la propria incolumità”, scrive Msf. E questo vale anche per le donne in gravidanza o che stanno allattando, per le persone anziane o gravemente malate e per i minori non accompagnati. Un terzo di quelli incontrati da Msf era stato respinto al confine, “tra cui due sopravvissuti a violenze e naufragi e una madre di 16 anni con un neonato”.

      Emblematica è la storia di A., 17 anni, originario di un Paese dell’Africa subsahariana. In Libia è stato rinchiuso in un centro di detenzione dove ha subito violenze e maltrattamenti di ogni tipo “che gli hanno lasciato cicatrici ancora visibili sulla schiena e un dolore cronico al ginocchio”. Ha deciso di raggiungere la Tunisia ma dopo i rastrellamenti operati dal presidente Kaïs Saïed ai danni delle persone migranti, ha deciso di partire per l’Europa.

      A 35 chilometri da Lampedusa un’imbarcazione, “probabilmente tunisina”, li ha abbordati pretendendo il loro motore. Li ha affiancati sempre di più, minacciandoli con toni aggressivi e creando forti onde che hanno fatto imbarcare acqua al piccolo natante, che alla fine è affondato. Nonostante le grida, le suppliche e le richieste di soccorso, l’altra nave ha abbandonato i passeggeri della barca di A. al loro destino. Lui, è tra i 22 tratti in salvo. “Da Lampedusa A. è arrivato a Ventimiglia. Vuole raggiungere la Francia perché parla francese e pensa che lì potrebbe avere più possibilità per costruirsi un futuro -si legge nel rapporto-. Tuttavia, è stato respinto due volte dalle autorità francesi, anche se è vittima di naufragio, ha subito innumerevoli violenze, si dichiara minore e non è accompagnato”.

      La condizione sanitaria delle persone incontrate dagli operatori presenti a Ventimiglia è pessima. “Tra le persone assistite, 215 pazienti (67,2%) hanno riportato una condizione acuta, tra cui malattie dermatologiche, patologie respiratorie, disturbi gastrointestinali, problemi muscoloscheletrici o lesioni -si legge nel report-. In totale, sono stati segnalati 31 episodi di traumi accidentali acuti, di cui il 90,3% (28) tra la popolazione di sesso maschile e tre (9,7%) tra i minori. Inoltre, 32 individui (10%) hanno presentato sintomi neurologici, la maggior parte dei quali riconducibili a mal di testa o emicrania (25, 78,1%), e per 14 persone (4,4%) sono state individuate patologie croniche con necessità di terapia continuativa e a lungo termine”.

      Sono stati raccolti dati anche rispetto alle vittime di violenza intenzionale (in totale 12, il 3,8%) e alle persone che presentavano sintomi associati a problemi di salute mentale (15, ovvero il 4,7%). Ma su queste stime gli operatori sottolineano la “difficoltà di stabilire relazioni di fiducia con pazienti transitanti che sono concentrati sul proseguimento del loro viaggio, sulla ricerca di sicurezza o sul soddisfacimento dei bisogni primari”.

      Anche la soddisfazione dei bisogni primari a Ventimiglia è un miraggio. “Con la chiusura del campo Roja nel 2020, che rappresentava l’unico centro ufficiale di accoglienza di emergenza nella zona, e gli sgomberi forzati effettuati nel maggio 2023 dalle autorità italiane presso l’insediamento informale sulle rive del fiume Roja -si legge nel rapporto- le persone in transito si trovano costrette a dormire per strada, in edifici abbandonati o in ripari di fortuna. Questa situazione le espone a marginalizzazione, soprusi, condizioni climatiche avverse, rischi per la salute privandole dell’accesso a servizi igienici, all’acqua pulita o a un riparo adeguato”.

      Molti bisogni restano, così, senza risposta. E lo staff di Msf che fornisce assistenza medica a Ventimiglia “misura quotidianamente” l’impatto della mancanza di alloggi e servizi igienici: “Malattie della pelle (48 persone; il 15,8%), infezioni gastrointestinali (25, il 18,2%), infezioni urinarie e del tratto respiratorio superiore (35, l’11,5%) sono solo alcuni dei disturbi che spesso derivano direttamente dalle pessime condizioni di vita e di marginalizzazione sociale in cui è costretta a vivere la popolazione in transito”.

      E di cui soffrono soprattutto donne e minori, i più vulnerabili. L’accesso alle cure per chi dichiara di avere meno di 18 anni è complesso: per richiedere la tessera sanitaria è necessario coinvolgere chi esercita la potestà genitoriale o il responsabile della struttura di accoglienza in cui sono ospitati i minori. Struttura da cui però, nella maggior parte dei casi, è scappato chi arriva a Ventimiglia desideroso di raggiungere altri Paesi europei. Anche per le donne e ragazze, “che presentano bisogni e rischi sanitari specifiche” l’accesso alle cure mediche ginecologiche è difficoltoso. “Sia perché sono riluttanti a interrompere il loro percorso migratorio, sia perché hanno sfiducia nei confronti del sistema sanitario”, spiegano i curatori del report. “Tutto questo si traduce in un’interruzione della continuità delle cure mediche e in un aumento dei rischi di complicazioni e morbilità durante la gravidanza”.

      Salute calpestata, diritti negati. Chi è respinto al confine è spesso vittima di violenza e detenzione arbitraria nei container in cui le persone, una volta intercettate, aspettano di essere riportate sul territorio italiano. Secondo i dati raccolti da Msf dalla prefettura di Nizza, più di 13.395 persone tra il primo gennaio e il 15 giugno 2023 sono state soggette a “respingimenti o trattenimenti al confine italo-francese, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente”. Una media di 80 persone al giorno costrette a tornare indietro, tra cui sempre più minori.

      Le raccomandazioni di Msf che chiudono il report sono così rivolte ai tre principali protagonisti di questa paradossale situazione: alle autorità di Ventimiglia e al governo italiano di garantire l’accesso ai servizi di base e un’accoglienza dignitosa per le persone che transitano dal confine; alle autorità francesi di assicurare il rispetto delle garanzie procedurali durante i controlli di frontiera al confine italo-francese, proteggere i minori e porre fine alla detenzione arbitraria dei migranti. Infine, all’Unione europea, di “impedire i respingimenti alle frontiere interne” e “impedire le espulsioni collettive dagli Stati membri e stabilire meccanismi per valutare le situazioni individuali delle persone in transito”. Per provare a salvare quel che resta di quello spazio Schengen dove, a oggi, le merci attraversano più facilmente i confini di (alcune) persone.

      https://altreconomia.it/vietato-passare-il-report-di-msf-sui-soprusi-contro-i-migranti-alla-fro

  • Services publics injoignables
    https://www.senat.fr/questions/base/2023/qSEQ230205233.html

    Question de M. GUÉRINI Jean-Noël (Bouches-du-Rhône - RDSE) publiée le 16/02/2023

    M. Jean-Noël Guérini appelle l’attention de M. le ministre de la transformation et de la fonction publiques sur la difficulté à obtenir des renseignements téléphoniques pertinents auprès des agents des services publics.

    Six ans après une première enquête, la défenseure des droits et l’institut national de la consommation ont mené une étude sur l’évaluation de la disponibilité et de la qualité des réponses apportées aux usagers par les plateformes téléphoniques de quatre services publics : la caisse d’allocations familiales (CAF), #Pôle_emploi, l’assurance maladie et la caisse d’assurance retraite et de la santé au travail (CARSAT).
    Selon les résultats publiés le 26 janvier 2023, sur les 1 500 appels passés, 40 % n’ont pas abouti. La durée moyenne d’attente pour obtenir un interlocuteur s’est avérée supérieure à neuf minutes. Ensuite, la réponse s’est trop souvent limitée à renvoyer les usagers vers le site internet de l’organisme. Sachant que 13 millions de personnes éprouvent de sérieuses difficultés avec le numérique, cela crée une rupture d’égalité dommageable. De surcroît, les taux de réponses satisfaisantes n’ont jamais dépassé 60 % .
    En conséquence, il lui demande ce qu’il compte mettre en oeuvre pour que l’accès à l’information cesse d’être un parcours du combattant pour les usagers qui ne maîtrisent pas l’utilisation d’internet.

    Publiée dans le JO Sénat du 16/02/2023 - page 1111

    Réponse du Ministère de la transformation et de la fonction publiques publiée le 06/07/2023

    Réponse apportée en séance publique le 05/07/2023

    Les Français plébiscitent le téléphone pour joindre les services publics : c’est le premier canal pour entrer en contact avec un agent. En effet, en 2021, il y a eu plus de 200 millions d’interactions avec un agent public : 85% de ces interactions sont réalisées à distance [au Maroc ou aux Philippines ?] , dont 43% au téléphone. Ce canal génère toutefois de nombreuses insatisfactions : difficultés à joindre les services et problèmes de qualité des réponses apportées avec, notamment, des réponses non personnalisées lorsque l’agent au téléphone n’est pas en mesure d’accéder au dossier de l’usager . Le Gouvernement a donc décidé à l’occasion du comité interministériel de la transformation publique (CITP) de déployer un plan plus exigeant d’amélioration de l’#accueil_téléphonique dans les services publics. Des objectifs précis ont ainsi été fixés : Le taux de décroché devra être supérieur à 85 % dans les 18 mois, en ne tenant compte que des appels pris en charge lorsque l’usager demande à entrer en contact avec un agent Une mesure de la satisfaction des usagers du canal téléphonique sera mise en place avant fin 2023 [on veut un N° vert !] Le numéro de téléphone doit être facilement identifiable sur les sites internet des administrations La possibilité de prendre rendez-vous ou d’être rappelé sera développée [ça alors !] pour éviter le temps d’attente au téléphone lorsqu’aucun agent n’est disponible L’ensemble des réseaux de services publics sera chargé de décliner ce plan dans son réseau, en prenant en compte les orientations fixées par le Gouvernement. Pour opérationnaliser e fonds pour la transformation de l’action publique (FTAP) sera mobilisé pour les administrations qui mettent en oeuvre une stratégie omnicanale afin qu’elles puissent développer des outils avancés de gestion de la relation #usagers permettant de maintenir une relation personnalisée, continue et efficace avec les usagers. La direction interministérielle de la transformation publique (DITP) est chargée de suivre la mise en oeuvre de ce plan d’action et d’organiser le partage de bonnes pratiques en matière d’accueil téléphonique. Ce plan d’action est l’illustration de l’engagement déterminé du Gouvernement pour que nos services publics soient au rendez-vous des attentes des Français, quel que soit le canal d’accès que choisissent les citoyens.

    Publiée dans le JO Sénat du 06/07/2023 - page 4246

    #CAF #Cnam #accueil #dématérialisation #opacité #accès_aux_droits

  • Communiqué de la FNCS : L’AME n’est pas un instrument de politique migratoire

    https://syndicat-smg.fr/communique-de-la-fncs-l-ame-n-est-pas-un-instrument-de-politique-migrat

    Publié le mardi 4 juillet 2023, par Fédération nationale des centres de santé FNCS

    Le SMG s’associe complètement aux propos de la FNCS tenus dans ce communiqué de presse. L’accès aux soins doit être garanti pour chacun·e, quelle que soit sa situation personnelle, administrative ou économique.

    Fédération Nationale des Centres de Santé : L’AME n’est pas un instrument de politique migratoire

    Restreindre l’AME : un non-sens en termes de santé publique et économique

    Un projet de loi sur l’immigration est actuellement discuté. Il pourrait faire disparaitre l’AME (Aide médicale d’état) au profit uniquement d’une prise en charge des « soins urgents ». Cela permettrait, soi-disant, une économie de 350 millions d’euros.

    L’accès aux soins et à la prévention sont des droits pour toutes et tous quel que soit son statut.
    Soumis à des polémiques récurrentes, l’aide médicale d’Etat répond à cet objectif public et sanitaire comme l’indique le rapport Igas [1]. Elle assure aux étrangers en situation irrégulière le droit fondamental d’être soignés et de rester en bonne santé. Elle permet aussi de protéger toute la population contre les maladies transmissibles non repérées à temps. (…)

    #AME #soins

  • CNAM - dématérialisation et bunkérisation (déshumanisation) des administrations (reçu par mel)

    Ce mail fait écho avec deux anecdotes de la semaine dernière : une patiente hospitalisée pour laquelle a été sollicitée à la CNAV une demande d’aide au retour à domicile après hospitalisation, dont la réponse est censée être rapide...
    Comme ça fait un mois qu’on a envoyé le cerfa et que rien ne se passe, j’appelle le 3960, j’entre le NIR, appuie sur la touche 5 : « informations sur des aides concernant le maintien à domicile » et après 3 secondes de musique : « l’assurance retraite vous remercie de votre appel. Au revoir et à bientôt » et ça raccroche.
    Pensant que c’était un bug j’ai renouvelé l’opération : en vain, ça raccroche.

    Pour aune autre personne, j’appelle cette fois le la CPAM au 3646 : mais tous les conseillers sont occupés, je suis invitée à aller sur le site améli. Ca tombe bien Madame a un compte et elle connaît même son mot de passe. On voudrait un RDV parce que je ne connais pas le cas de figure que Madame me présente et il me semble qu’elle sera mieux guidée par un conseiller de la sécu. Sur améli, je peux choisir dans quelle antenne je veux être reçue (il y en a une dizaine et Madame a le choix, top !). On choisit Bobigny avec 3 jours de plage pour la semaine suivante « indisponibles », on clique sur la suivante : les 3 autres plages sont aussi indisponibles, on clique et on clique et on clique jusqu’à ne plus pouvoir cliquer. Toutes les plages sont occupées...
    J’essaie de passer par le robot qui vous propose d’écrire votre question et je trouve le chemin pour avoir un RDV téléphonique mais je dois choisir dans un menu déroulant le motif de ma demande et on m’avertit que si ma question est sur un autre sujet, le conseiller ne me répondra pas. Sauf que la situation ne Madame ne rentre dans aucune case...
    Il nous reste le bon vieux courrier postal...

    les vigiles qui interdisent d’entrer à la CPAM sans rendez-vous, l’attente téléphonique qui débouche sur un « merci d’avoir appelé », l’item « prendre rdv » bien caché qui n’admet qu’une liste très fermée de motifs, c’est exactement comme ça.

    #CPAM #CNAM #dématérialisation #accès_aux_soins

    • Lorsque mon époux est décédé, il était en arrêt maladie ALD cancer... J’ai eu besoin de papier de la CPAM ! Mais mais lorsque tu décèdes, abracadabra aussi sec ton compte Ameli devient inaccessible ! Pour prendre un rdv j’ai dû mentir et cocher n’importe quoi ! Devant la personne j’ai expliqué le jour du RDV ! Elle ne pouvait pas accéder au compte bloqué !!! C’est sa direction qui a pu le faire . La dame était hyper gentille. Moi, j’étais au bout de ma vie...C’est pas facile...

    • ces dark patterns prolongent une politique de rapine où le courrier postal comme la démarche au guichet débouchent eux-aussi sur des impasses (souvent illégales, mais difficilement contestables). je me débat avec la Cnam qui a prélevé mon compte des mois pour une CSS à laquelle j’avais droit à titre gratuit (la CAF communique automatiquement l’entrée au RSA socle de ses allocataires, situation qui ouvre droit à la CSS sans frais). mes multiples réclamations en ligne ont donné lieu à des réponses dilatoires ("faites une demande de CSS", alors que je l’avais déjà, ce qui rendait la démarche demandé impossible sur le site !) ; au guichet on m’a dit qu’on y pouvait rien sans me répondre sur le fond, écarté de l’échange malgré mon insistance, qu’il fallait écrire. en réponse à un courrier on m’a à nouveau proposé de faire une demande de CSS que j’avais déjà, là aussi sans dire un mot des prélèvements indus (ne pas fabriquer de nouvelles preuves contre l’administration). j’attends donc des nouvelles du « médiateur » de la CPAM (pour un autre litige, celui de la Sncf, s’était contenté d’annuler la majoration d’une amende indue et non l’amende elle-même : on m’avait vendu au guichet un aller/retour avec deux trajets datés du même jour, impossible à effectuer vu les horaires, ce que j’ai découvert lors du contrôle, au retour...). le médiateur va-t-il conclure au tort partagé en proposant de limiter le remboursement à une moitié de la somme en jeu ? Inutile de préciser que chaque démarche, c’est du taf (décrire les faits, fournir toutes les pièces justifiant l’argument). entamer une procédure, permettrait sans doute d’être remboursé juste avant audience. les administrations (préfecture, caf, Policemploi, cnam) ont le chic pour éviter les condamnations.
      pour ne pas s’assoir sur les 200 balles concernées, il faut vraiment en vouloir et ne pas compter ses heures.

    • Je regrette de ne pas avoir de mot en français pour désigner ce sujet d’actualité. A l’époque où on te dit que l’accessibilité n’est pas superflue, constater combien certaines fonctionnalités sont bâties en dépit du bon sens, au point parfois d’en arriver à vouloir sacrifier des bébés phoques (désolé, j’ai parfois de mauvaises pensées...).

      L’autre fois, c’était pour retrouver un identifiant sur un site de je ne sais plus quel fournisseur. Un assureur je crois. Où la procédure se termine par l’envoi d’un SMS non identifié contenant un lien bit.ly. Un lien court bit.ly à l’époque où tu sais qu’une simple URL malveillante peut provoquer des installations non désirées sur ton smartphone...

      Donc, dark patterns, c’est chouette. A la fois pour désigner la mé-conception, mais surtout pour désigner la mauvaise volonté manifeste de rendre le service attendu accessible facilement. Cette mauvaise volonté peut parfois être involontaire, par absence de compétence. Mais d’autres fois, elle peut aussi être le signe d’une volonté retorse de ne pas rendre le service. Parce qu’il y a parfois, chez les concepteurs la croyance que les utilisateurs sont des veaux qu’il faut dompter.

    • Ts, ts, ts  : les dev font ce que le chef de projet « interaction du public » ou autre leur demande. En fonction de ce qu’il sait et de ce qu’on lui demande. Donc de la merde.

      La Sécu est injoignable, c’est un fait et c’est à mon sens délibéré.
      On est au moins 12% à ne plus avoir accès à un médecin traitant, donc au parcours de soin, mais tu vois, ce n’est un item nulle part.
      Comme ça, tu ne peux manifester ton besoin nulle part, donc tu n’es pas enregistré·e dans la machine et donc ton problème n’existe pas parce qu’il n’est pas mesuré.

      Ma banque en ligne permettait la saisie libre de l’objet de la demande, maintenant, plus du tout.
      C’est bien un choix.

      Celui de ne s’occuper que des cas fluides qui cochent toutes les cases et ne font pas perdre de temps.