• La trama di Camini: storie senza confini da un piccolo paese della Locride

    Nel Comune in provincia di Reggio Calabria c’è dal 2019 #Ama-La, un laboratorio tessile eco-solidale aperto grazie ai fondi 8xmille dell’Unione Buddhista Italiana che accompagna le donne rifugiate e vittime di violenza verso l’integrazione e l’autonomia. In questi anni il paese è rinato

    Si chiama filoxenia lo spirito di Camini, piccolo paese della Locride, in provincia di Reggio Calabria. È l’esatto contrario di xenofobia, la paura dello straniero. Proprio qui nel 2019 -grazie ai fondi 8xmille dell’Unione buddhista italiana- nell’ambito di un progetto del Sistema accoglienza integrazione (Rete Sai, già Siproimi e Sprar) è nato Ama-La, un laboratorio tessile eco-solidale le cui trame trascendono il telaio.

    Lo racconta Rosario Zurzolo, presidente della cooperativa sociale Eurocoop Servizi “Jungi mundu” (che in dialetto locale significa “unisci il mondo”). “Ama-La accoglie e accompagna da quattro anni donne rifugiate da diversi Paesi, vittime di violenza di genere e altre persone migranti con storie differenti, in un processo di formazione e di crescita dell’autostima, con l’obiettivo di appropriarsi del proprio potenziale creativo, imparare un mestiere e raggiungere l’autonomia”.

    Giuliano Ienco è uno dei maestri artigiani del laboratorio: “Donne e ragazze provengono da Paesi di culture diverse, nei primi anni soprattutto da Eritrea, Senegal, Yemen e oggi da Siria, Nigeria, Afghanistan, Libia, Marocco. Nei sei mesi di corso spieghiamo le tecniche di base della tessitura e tramandiamo i saperi tradizionali calabresi, come la tecnica della pezzara, ottenuta da stoffe di riciclo e recupero, ma ogni anno affrontiamo anche un ʻfilo’ diverso, ad esempio la ginestra, il baco da seta o la coltivazione a lino”.

    Al mattino Giuliano insegna alle donne a usare il telaio e spiega i vari sistemi di tessitura, mentre il pomeriggio Caterina gestisce la parte dedicata all’eco printing (la pittura con tecniche naturali, ad esempio con le foglie). Dai telai, a seconda del talento, della cultura e della capacità espressiva delle partecipanti escono poi borse, abiti e cinture, coprispalle, borsellini, cappelli, collane ma anche tappeti e tovagliette, che si possono acquistare in loco od ordinare sulla pagina Facebook. “L’obiettivo principale del laboratorio -spiega Giuliano- non è però il profitto, ma il benessere delle persone e il riconoscimento delle loro stesse capacità: essere apprezzate è importante per tutti ed è il primo passo per ritrovare autostima e fiducia”. Una ragazza siriana e una donna afghana hanno trovato proprio qui uno sbocco lavorativo, mentre tante altre hanno proseguito il loro progetto migratorio.

    Ma il maggiore valore aggiunto è che la comunità di Camini, circa 750 abitanti, il centro storico in collina a otto chilometri dalla località costiera, grazie al progetto di ospitalità Sai e alle sue attività sta vivendo una rinascita, fondata proprio sull’accoglienza. “Il paese oggi è vivo -spiega Zurzolo-, lo spopolamento, endemico nel territorio, si è interrotto, nonostante manchino ancora le strade e molti altri servizi essenziali; i giovani stanno rientrando, alcuni migranti si sono fermati, riaprono negozi e attività”. Un piccolo miracolo, in un contesto tanto bello quanto complicato.

    “I servizi nascono solo dove c’è gente -chiarisce Rosario- e il turismo di un mese all’anno per un borgo dell’entroterra non era sufficiente a creare un circolo virtuoso. La chiave per il cambiamento è stato un atto di coraggio, ovvero dare la massima disponibilità possibile per il progetto Sai -118 persone migranti da accogliere-. Questa apertura all’’altro’ è stata possibile perché non ci è stato imposta dall’alto ma è stata condivisa con piena consapevolezza dalla comunità”.

    Rosario è stato così testimone di un piccolo miracolo. Numeri piccoli, ma importanti, perché hanno validato un modello che negli ultimi tempi era stato messo -a torto o a ragione- in discussione: nel centro storico interno vivono oggi circa 300 persone, molte delle quali hanno a che fare con il progetto Sai, ma anche cittadini residenti, italiani e stranieri. I primi, terminato il percorso di accoglienza, hanno deciso di rimanere sul territorio, i secondi hanno scelto di tornare e di investire sul borgo. “Nel 2011, come era successo in diversi centri della Locride, la scuola materna era stata chiusa e restava solo una pluriclasse di otto bambini, con due insegnanti. A dodici anni di distanza con la nascita di nuovi bambini, ci sono due sezioni della materna, quattro classi di elementari e una ventina di persone assunte, tra insegnanti e personale non docente. Ma soprattutto i bambini possono rimanere a fare scuola qui”.

    “Ho visto un paese scomparire e poi risorgere dalle ceneri, grazie alla forza delle persone -continua Rosario-. Più di uno è salito verso Camini per lavorare o per fare l’imprenditore. Oltre a me erano rimasti alcuni ex-compagni di scuola della mia generazione, poi un paio di ragazzi che erano in Inghilterra sono tornati per lavorare con la cooperativa. Abbiamo potuto creare diversi laboratori artigianali per mantenere vive le nostre tradizioni, ceramica, falegnameria, liuteria, e corsi di cucina locale e siriana che hanno luogo all’interno del bar-ristorante Jungi Mundu”.

    Le storie personali si sono incrociate con le scelte dell’amministrazione comunale e hanno fatto la differenza. “Abbiamo puntato sull’autonomia abitativa: le case lasciate vuote dagli italiani e dalle italiane, infatti, ora sono occupate dalle persone rifugiate. E si è invertita la tendenza. Così quest’anno un ventitreenne del luogo ha deciso di tornare e ha aperto un salone di parrucchiere, aperto tre giorni alla settimana, dove vengono a tagliarsi i capelli anche dai Comuni limitrofi. Cose mai viste”. I turisti di passaggio nel borgo storico, finalmente, si possono fermare a dormire qui, da giugno a settembre, grazie a un progetto di turismo solidale e trovano il bar e ristorante, le botteghe di prodotti locali e i servizi essenziali, come la Posta e il suo bancomat. Il paese è vitale, a luglio il Kaminion fest l’ha fatto risuonare di musiche e discorsi.

    Rosario ha un’idea molto chiara: “La cosa positiva è che abbiamo creato almeno l’opportunità di scegliere se restare”. Le storie sono tante. Filmon è un ragazzo eritreo che ha comprato casa con la famiglia e l’ha ristrutturata grazie a una quota dei fondi 8xmille di Unione buddhista italiana e ora fa il miele. La curatrice, Chiara Scolastica Mosciatti, ha aperto qui Duçicontemporanea, una galleria e studio d’arte e, proprio ora, a ottobre 2023 un gruppo tedesco ha inaugurato la stalla recuperata per residenze teatrali con uno spettacolo di teatro all’aperto.

    “In sintesi, pur non avendo niente, siamo diventati un’attrazione, un paese aperto a differenze culturali e religiose dove si respira l’atmosfera di felice convivenza -dice Zurzolo- quasi di fratellanza. Il Laboratorio Ama-La, espressione di derivazione tibetana che significa ʻdonna e madre’, resta il simbolo di questo percorso, perché le storie delle donne che lo frequentano sono le nostre storie e non hanno confini. Questo non è solo un posto di lavoro, è anche luogo di conforto e di cura, dove le donne possono bere un tè e condividere i propri percorsi, tra di loro o con l’assistenza di psicologa, educatrice, assistente sociale. Una terapia ʻdello stare insieme’ e del ʻparlare insieme’, aperto a tutti, anche a persone del luogo”.

    https://altreconomia.it/la-trama-di-camini-storie-senza-confini-da-un-piccolo-paese-della-locri
    #textile #accueil #réfugiés #asile #migrations #Italie #Calabre #femmes_migrantes #Jungi_mundu #Giuliano_Ienco #miracle #dépeuplement #repeuplement #artisanat

  • Fewer boat crossings, visit to Frontex : EU and Tunisia implement migration pact

    Despite an alleged repayment of funds for migration defence, Tunisia is cooperating with the EU. Fewer refugees are also arriving across the Mediterranean – a decrease by a factor of seven.

    In June, the EU Commission signed an agreement on joint migration control with Tunisia. According to the agreement, the government in Tunis will receive €105 million to monitor its borders and “combat people smuggling”. Another €150 million should flow from the Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument (NDICI) in the coming years for the purposes of border management and countering the “smuggling” of migrants.

    Tunisia received a first transfer under the agreement of €67 million in September. The money was to finance a coast guard vessel, spare parts and marine fuel for other vessels as well as vehicles for the Tunisian coast guard and navy, and training to operate the equipment. Around €25 million of this tranche was earmarked for “voluntary return” programmes, which are implemented by the United Nations Refugee Agency and the International Organisation for Migration.

    However, a few weeks after the transfer from Brussels, the government in Tunis allegedly repaid almost the entire sum. Tunisia “does not accept anything resembling favours or alms”, President Kais Saied is quoted as saying. Earlier, the government had also cancelled a working visit by the Commission to implement the agreement.

    Successes at the working level

    Despite the supposed U-turn, cooperation on migration prevention between the EU and Tunisia has got off the ground and is even showing initial successes at the working level. Under the agreement, the EU has supplied spare parts for the Tunisian coast guard, for example, which will keep “six ships operational”. This is what Commission President Ursula von der Leyen wrote last week to MEPs who had asked about the implementation of the deal. Another six coast guard vessels are to be repaired by the end of the year.

    In an undated letter to the EU member states, von der Leyen specifies the equipment aid. According to the letter, IT equipment for operations rooms, mobile radar systems and thermal imaging cameras, navigation radars and sonars have been given to Tunisia so far. An “additional capacity building” is to take place within the framework of existing “border management programmes” implemented by Italy and the Netherlands, among others. One of these is the EU4BorderSecurity programme, which among other things provides skills in sea rescue and has been extended for Tunisia until April 2025.

    The Tunisian Garde Nationale Maritime, which is part of the Ministry of the Interior, and the Maritime Rescue Coordination Centre benefit from these measures. This MRCC has already received an EU-funded vessel tracking system and is to be connected to the “Seahorse Mediterranean” network. Through this, the EU states exchange information about incidents off their coasts. This year Tunisia has also sent members of its coast guards to Italy as liaison officers – apparently a first step towards the EU’s goal of “linking” MRCC’s in Libya and Tunisia with their “counterparts” in Italy and Malta.

    Departures from Tunisia decrease by a factor of seven

    Since the signing of the migration agreement, the departures of boats with refugees from Tunisia have decreased by a factor of 7, according to information from Migazin in October. The reason for this is probably the increased frequency of patrols by the Tunisian coast guard. In August, 1,351 people were reportedly apprehended at sea. More and more often, the boats are also destroyed after being intercepted by Tunisian officials. The prices that refugees have to pay to smugglers are presumably also responsible for fewer crossings; these are said to have risen significantly in Tunisia.

    State repression, especially in the port city of Sfax, has also contributed to the decline in numbers, where the authorities have expelled thousands of people from sub-Saharan countries from the centre and driven them by bus to the Libyan and Algerian borders. There, officials force them to cross the border. These measures have also led to more refugees in Tunisia seeking EU-funded IOM programmes for “voluntary return” to their countries of origin.

    Now the EU wants to put pressure on Tunisia to introduce visa requirements for individual West African states. This is to affect, among others, Côte d’Ivoire, where most of the people arriving in the EU via Tunisia come from and almost all of whom arrive in Italy. Guinea and Tunisia come second and third among these nationalities.

    Reception from the Frontex Director

    In September, three months after the signing of the migration agreement, a delegation from Tunisia visited Frontex headquarters in Warsaw, with the participation of the Ministries of Interior, Foreign Affairs and Defence. The visit from Tunis was personally received by Frontex Director Hans Leijtens. EU officials then gave presentations on the capabilities and capacities of the border agency, including the training department or the deportation centre set up in 2021, which relies on good cooperation with destination states of deportation flights.

    Briefings were also held on the cross-border surveillance system EUROSUR and the “Situation Centre”, where all threads from surveillance with ships, aircraft, drones and satellites come together. The armed “permanent reserve” that Frontex has been building up since 2021 was also presented to the Tunisian ministries. These will also be deployed in third countries, but so far only in Europe in the Western Balkans.

    However, Tunisia still does not want to negotiate such a deployment of Frontex personnel to its territory, so a status agreement necessary for this is a long way off. The government in Tunis is also not currently seeking a working agreement to facilitate the exchange of information with Frontex. Finally, the Tunisian coast guard also turned down an offer to participate in an exercise of European coast guards in Greece.

    Model for migration defence with Egypt

    Aiding and abetting “smuggling” is an offence that the police are responsible for prosecuting in EU states. If these offences affect two or more EU states, Europol can coordinate the investigations. This, too, is now to get underway with Tunisia: In April, EU Commissioner Ylva Johansson had already visited Tunis and agreed on an “operational partnership to combat people smuggling” (ASOP), for which additional funds will be made available. Italy, Spain and Austria are responsible for implementing this police cooperation.

    Finally, Tunisia is also one of the countries being discussed in Brussels in the “Mechanism of Operational Coordination for the External Dimension of Migration” (MOCADEM). This working group was newly created by the EU states last year and serves to politically bundle measures towards third countries of particular interest. In one of the most recent meetings, the migration agreement was also a topic. Following Tunisia’s example, the EU could also conclude such a deal with Egypt. The EU heads of government are now to take a decision on this.

    https://digit.site36.net/2023/11/01/fewer-boat-crossings-visit-to-frontex-eu-and-tunisia-implement-migrati

    #Europe #Union_européenne #EU #externalisation #asile #migrations #réfugiés #accord #gestion_des_frontières #aide_financière #protocole_d'accord #politique_migratoire #externalisation #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Tunisie #coopération #Frontex #aide_financière #Neighbourhood_Development_and_International_Cooperation_Instrument (#NDICI) #gardes-côtes_tunisiens #militarisation_des_frontières #retours_volontaires #IOM #OIM #UNHCR #EU4BorderSecurity_programme #Seahorse_Mediterranean #officiers_de_liaison #arrivées #départs #chiffres #statistiques #prix #Frontex #operational_partnership_to_combat_people_smuggling (#ASOP) #Mechanism_of_Operational_Coordination_for_the_External_Dimension_of_Migration (#MOCADEM)

    –—
    ajouté à la métaliste sur le Mémorandum of Understanding entre l’UE et la Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

  • «Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri»
    https://www.meltingpot.org/2023/11/trattenuti-una-radiografia-del-sistema-detentivo-per-stranieri

    Un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50% delle persone in ingresso in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) e quasi il 70% dei rimpatri. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18% degli arrivi via mare nel 2018-2023. Quasi il 70% dei rimpatri dai CPR è di soli cittadini tunisini. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dei CPR raccolti nel report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per (...)

  • LINA25, une “boussole” pour les professionnels du livre numérique
    https://actualitte.com/article/114099/acteurs-numeriques/lina25-une-boussole-pour-les-professionnels-du-livre-numerique

    Un portail pour les pros

    Afin d’accompagner les professionnels du livre numérique (des auteurs et éditeurs aux services de production et autres prestataires), le comité de pilotage interministériel qui travaille sur le développement de l’offre de livres accessibles a commandé à l’EDRLab une plateforme d’information qui leur est dédiée.

    LINA25, pour « Livre Numérique Accessible 2025 », est « une boussole destinée aux professionnels du livre numérique. Elle leur offre les liens les plus utiles à une adoption aisée des bonnes pratiques d’accessibilité des livres numériques, en français quand c’est possible », nous précise Laurent Le Meur, le directeur et directeur technique d’EDRLab. Rappelons que ce dernier (European Digital Reading Lab) mène des opérations de recherche et de développement pour le déploiement européen de technologies de publication et de lecture numériques ouvertes, interopérables et accessibles.

    Cette plateforme est donc destinée aux professionnels, quand un portail de l’édition accessible, cette fois confié à la Bibliothèque nationale de France et l’Institut national des jeunes aveugles, s’orientera vers les lecteurs et lectrices empêchés, en leur proposant un grand catalogue des titres adaptés.

    Le site : https://www.lina25.fr/index.html

    Le site est très complet et utile.

    (C’est étrange, mais je ne peux pas aller directement sur Seenthis via ce site par le bookmarklet, ce qui me semble une contradiction avec l’accessibilité. mais je ne sais pas pourquoi... @arno* ?)

    #Accessibilité #Livre_numérique

  • Face à l’intensification du travail, les jeunes plongent dans un malaise profond : « Je m’enfonçais dans le travail, je n’avais plus de distance »


    PAUL BOUTEILLER

    Tâches absurdes, rythme intense, précarité de l’emploi, absence de seniors pour les guider… les transformations du monde professionnel génèrent de la souffrance chez les jeunes salariés. Le nombre d’arrêts-maladie explose chez les moins de 30 ans.

    Lorsque Robin (certains prénoms ont été modifiés) se rend chez son médecin, courant 2022, il ne pense pas en ressortir avec un #arrêt_de_travail. A seulement 27 ans, cette option ne semble même pas pouvoir traverser l’esprit de ce chef de projet dans une agence de création de sites Web. « J’avais poussé la porte de son cabinet pour avoir des somnifères, dans l’espoir de retrouver le sommeil et de continuer à fonctionner au boulot. » Mais le fait est qu’il ne peut plus continuer, l’alerte alors le professionnel de #santé. Robin a été essoré par le surcroît de travail dans la start-up où il est salarié, qui connaît alors une croissance fulgurante, au point d’avoir vu ses effectifs tripler en quelques mois et son portefeuille clients s’étoffer plus encore.

    Face à la pression mise sur son équipe, très jeune comme lui et peu accompagnée par des seniors, il a développé des symptômes d’anxiété professionnelle de plus en plus invalidants. Sans « les outils adéquats » et surtout « sans le temps nécessaire » pour répondre aux demandes grandissantes de #clients au profil nouveau, il passe ses nuits à se repasser les difficultés éprouvées dans la journée, et se rend le matin au travail la boule au ventre. Avant son arrêt, il se surprend à fondre en larmes à plusieurs reprises après des rendez-vous clients. « Dans le bureau du médecin, j’ai mesuré que la situation avait vraiment dérapé », souffle Robin, qui a dû être arrêté durant un mois.

    Etre contraints de se mettre sur pause dès le début de leur vie professionnelle : de nombreux jeunes diplômés y sont désormais confrontés. La santé au travail se dégrade ces dernières années, et en particulier pour les plus jeunes. Alors que le nombre d’arrêts-maladie atteignait un niveau record en 2022, comme le constataient deux études parues cet été, la progression la plus frappante concerne en effet les moins de 30 ans. Selon l’une d’elles, publiée par le cabinet de conseil WTW en août à propos du secteur privé, le taux d’absentéisme – un indicateur RH qui prend (notamment) en compte les #arrêts-maladie, les #accidents_de_travail, les #absences_injustifiées – dans cette tranche d’âge a augmenté de 32 % en quatre ans, avec un bond important chez les cadres.

    Si aucune de ces études ne détaille les motifs de ces absences, la Sécurité sociale note que les premières causes des arrêts longs prescrits en 2022 relevaient de troubles psychologiques, comme l’anxiété, la dépression ou l’épuisement. Et, en la matière, d’autres enquêtes concordent : les jeunes sont bien touchés de plein fouet par une dégradation. Chez les 18-34 ans, les arrêts liés à la souffrance au travail ont ainsi bondi de 9 %, en 2016, à 19 %, en 2022, selon un baromètre du groupe mutualiste Malakoff Humanis. La consommation de somnifères, d’anxiolytiques ou d’antidépresseurs par les salariés de moins de 30 ans a également doublé entre 2019 et 2022, précise cette étude.

    https://www.lemonde.fr/campus/article/2023/10/30/face-a-l-intensification-du-travail-les-jeunes-plongent-dans-un-malaise-prof
    https://archive.ph/yNJPw

    #précaires #présentéisme #management #intensification_du_travail #sous-effectifs #télétravail #concurrence #isolement #travail #précarité_de_l’emploi #emploi #santé_au_travail #violence_économique

    • En ce lundi, l’#armée_israélienne affirme avoir frappé, via les airs et au sol, plus de 600 cibles dans #Gaza ces vingt-quatre dernières heures. Dans le détail : « des dépôts d’armes, positions de lancement de missiles antichar, caches du #Hamas » et « des dizaines » de chefs du mouvement islamiste tués. Des chars israéliens sont postés à la lisière de #Gaza_City et le principal axe routier nord-sud est coupé. C’est vendredi en fin de journée que l’État hébreu a lancé son opération d’envergure, annoncée depuis près de deux semaines déjà. Mêlant #incursions_terrestres localisées – surtout dans le nord de l’enclave palestinienne – et #bombardements intensifiés. Samedi, le Premier ministre israélien Benyamin Netanyahou a prévenu : la #guerre sera « longue et difficile ».

      Vendredi, 17 h 30. La #bande_de_Gaza plonge dans le noir. Plus d’électricité, plus de réseau téléphonique, ni de connexion internet. Le #black-out total. Trente-six heures de cauchemar absolu débutent pour les Gazaouis. Coupés du monde, soumis au feu. L’armée israélienne pilonne le territoire : plus de 450 bombardements frappent, aveugles. La population meurt à huis clos, impuissante. Après avoir quitté Gaza City au début de la riposte israélienne (lire l’épisode 1, « D’Israël à Gaza, la mort aux trousses »), Abou Mounir vit désormais dans le centre de la bande de Gaza, avec ses six enfants. Ce vendredi, il est resté cloîtré chez lui. Lorsqu’il retrouve du réseau, le lendemain matin, il est horrifié par ce qu’il découvre. « Mon quartier a été visé par des tirs d’artillerie. L’école à côté de chez moi, où sont réfugiées des familles, a été touchée. Devant ma porte, j’ai vu tous ces blessés agonisants, sans que personne ne puisse les aider. C’est de la pure #folie. Ils nous assiègent et nous massacrent. Cette façon de faire la guerre… On se croirait au Moyen-Âge », souffle le père de famille, qui dénonce « une campagne de #vengeance_aveugle ». L’homme de 49 ans implore Israël et la communauté internationale d’agir urgemment. « La seule et unique solution possible pour nous tous, c’est la #solution_politique. On l’a répété un million de fois : seule une solution politique juste nous apportera la paix. »

      Toujours à Gaza City avec sa famille, la professeure de français Assya décrit ce jour et demi d’#angoisse : « On se répétait : “Mais que se passe-t-il, que va-t-il nous arriver ?” On entendait les bombardements, boum, boum, boum… Ça n’arrêtait pas ! Ma petite-fille de 1 an, la fille de mon fils, quand il y avait de grosses explosions, elle pleurait. Alors nous, on faisait les clowns pour lui faire croire que c’était pour rire. Et elle se calmait… Chaque matin, c’est un miracle qu’on soit encore là… » Chaque jour aussi, Assya demande si nous, journalistes, en savons plus sur un cessez-le-feu.

      Plus de 8 000 Gazaouis ont péri, mais leurs suppliques résonnent dans le vide jusqu’à présent. Elles sont pourtant de plus en plus pressantes, face à la #situation_humanitaire qui se dégrade dramatiquement. Ce samedi, des entrepôts des Nations unies ont été pillés. « C’est le signe inquiétant que l’ordre civil est en train de s’effondrer après trois semaines de guerre et de #siège de Gaza. Les gens sont effrayés, frustrés et désespérés », a averti Thomas White, directeur des opérations de l’UNRWA, l’agence onusienne pour les réfugiés palestiniens. Assya confirme : l’un de ses cousins est revenu avec des sacs de sucre, de farine, des pois chiches et de l’huile. Quand elle lui a demandé d’où ça venait, il lui a raconté, le chaos à Deir Al-Balah, dans le sud de l’enclave. « Les gens ont cassé les portes des réserves de l’UNRWA, ils sont entrés et ont pris la farine pour se faire du pain eux-mêmes, car ils n’ont plus rien. La population est tellement en #colère qu’ils ont tout pris. » Depuis le 21 octobre, seuls 117 camions d’#aide_humanitaire (lire l’épisode 2, « “C’est pas la faim qui nous tuera mais un bombardement” ») ont pu entrer dans la bande de Gaza dont 33 ce dimanche), via le point de passage de Rafah au sud, à la frontière égyptienne. L’ONU en réclame 100 par jour, pour couvrir les besoins essentiels des Gazaouis. Le procureur de la Cour pénale internationale Karim Khan a averti : « Empêcher l’acheminement de l’aide peut constituer un #crime. […] Israël doit s’assurer sans délai que les #civils reçoivent de la #nourriture, des #médicaments. »

      Les corps des 1 400 victimes des attaques du 7 octobre sont dans une #morgue de fortune. Beaucoup ont subi des sévices, ont été brûlés. L’#horreur à l’état pur

      En écho à cette situation de plus en plus dramatique, Israël a intensifié sa guerre de la #communication. Pas question pour l’État hébreu de laisser le Hamas ni les Palestiniens gagner la bataille de l’émotion au sein des opinions. Depuis une dizaine de jours, les autorités israéliennes estiment que les médias internationaux ont le regard trop tourné vers les Gazaouis, et plus assez sur le drame du 7 octobre. Alors Israël fait ce qu’il maîtrise parfaitement : il remet en marche sa machine de la « #hasbara ». Littéralement en hébreu, « l’explication », euphémisme pour qualifier ce qui relève d’une véritable politique de #propagande. Mais cela n’a rien d’un gros mot pour les Israéliens, bien au contraire. Entre 1974 et 1975, il y a même eu un éphémère ministère de la Hasbara. Avant cela, et depuis, cette tâche de communication et de promotion autour des actions de l’État hébreu, est déléguée au ministère des Affaires étrangères et à l’armée.

      Un enjeu d’autant plus important face à cette guerre d’une ampleur inédite. C’est pourquoi, chaque jour de cette troisième semaine du conflit, l’armée israélienne a organisé des événements à destination de la #presse étrangère. Visites organisées des kibboutzim où les #massacres de civils ont été perpétrés : dimanche dans celui de Beeri, mercredi et vendredi à Kfar Aza, jeudi dans celui de Holit. Autre lieu ouvert pour les journalistes internationaux : la base de Shura, à Ramla, dans la banlieue de Tel Aviv. Elle a été transformée en morgue de fortune et accueille les 1 400 victimes des attaques du 7 octobre, afin de procéder aux identifications. Dans des tentes blanches, des dizaines de conteneurs. À l’intérieur, les corps. Beaucoup ont subi des sévices, ont été brûlés. L’horreur à l’état pur.

      Mais l’apogée de cette semaine de communication israélienne, c’est la convocation générale de la presse étrangère, lundi dernier, afin de visionner les images brutes des massacres. Quarante-trois minutes et quarante-quatre secondes d’une compilation d’images des GoPro embarquées des combattants du Hamas, des caméras de vidéosurveillance des kibboutzim, mais aussi des photos prises par les victimes avec leurs téléphones, ou par les secouristes. Le tout mis bout à bout, sans montage. Des images d’une violence inouïe. Une projection vidéo suivie d’une conférence de presse tenue par le porte-parole de l’armée israélienne, le général Daniel Hagari. Il le dit sans détour : l’objectif est de remettre en tête l’ignominie de ce qui s’est passé le 7 octobre dernier. Mais également de dire aux journalistes de mieux faire leur travail.

      Il les tance, vertement : « Vous ! Parfois, je prends trente minutes pour regarder les infos. Et j’ai été choqué de voir que certains médias essayent de COMPARER ce qu’Israël fait et ce que ces vils terroristes ont fait. Je ne peux pas comprendre qu’on essaye même de faire cette #comparaison, entre ce que nous venons de vous montrer et ce que l’armée fait. Et je veux dire à certains #médias qu’ils sont irresponsables ! C’est pour ça qu’on vous montre ces vidéos, pour qu’aucun d’entre vous ne puisse se dire que ce qu’ils font et ce que nous faisons est comparable. Vous voyez comment ils se sont comportés ! » Puis il enfonce le clou : « Nous, on combat surtout à Gaza, on bombarde, on demande aux civils d’évacuer… On ne cherche pas des enfants pour les tuer, ni des personnes âgées, des survivants de l’holocauste, pour les kidnapper, on ne cherche pas des familles pour demander à un enfant de toquer chez ses voisins pour les faire sortir et ensuite tuer sa famille et ses voisins devant lui. Ce n’est pas la même guerre, nous n’avons pas les mêmes objectifs. »

      Ce vendredi, pour finir de prouver le cynisme du Hamas, l’armée israélienne présente des « révélations » : le mouvement islamiste abriterait, selon elle, son QG sous l’hôpital Al-Shifa de Gaza City. À l’appui, une série de tweets montrant une vidéo de reconstitution en 3D des dédales et bureaux qui seraient sous l’établissement. Absolument faux, a immédiatement rétorqué le Hamas, qui accuse Israël de diffuser « ces mensonges » comme « prélude à la perpétration d’un nouveau massacre contre le peuple [palestinien] ».

      Au milieu de ce conflit armé et médiatique, le Président français a fait mardi dernier une visite en Israël et dans les territoires palestiniens. Commençant par un passage à Jérusalem, #Emmanuel_Macron a réaffirmé « le droit d’Israël à se défendre », appelant à une coalition pour lutter contre le Hamas dans « la même logique » que celle choisie pour lutter contre le groupe État islamique. Il s’est ensuite rendu à Ramallah, en Cisjordanie occupée, au siège de l’Autorité palestinienne. « Rien ne saurait justifier les souffrances » des civils de Gaza, a déclaré Emmanuel #Macron. Qui a lancé un appel « à la reprise d’un processus politique » pour mettre fin à la guerre entre Israël et le Hamas. Tenant un discours d’équilibriste, rappelant que paix et sécurité vont de pair, le Président a exigé la mise en œuvre de la solution à deux États, comme seul moyen de parvenir à une paix durable. Une visite largement commentée en France, mais qui a bien peu intéressé les Palestiniens.

      Car si les projecteurs sont braqués sur Israël et Gaza depuis le début de la guerre, les Palestiniens de #Cisjordanie occupée vivent également un drame. En à peine trois semaines, plus de 120 d’entre eux ont été tués, selon le ministère de la Santé de l’Autorité palestinienne. Soit par des colons juifs, soit lors d’affrontements avec les forces d’occupation israéliennes. Bien sûr, la montée de la #violence dans ce territoire avait commencé bien avant la guerre. Mais les arrestations contre les membres du Hamas, les raids réguliers menés par l’armée et les attaques de colons prennent désormais une autre ampleur. Ce lundi matin encore, l’armée israélienne a mené un raid sur le camp de Jénine, au nord de la Cisjordanie, faisant quatre morts. Selon l’agence de presse palestinienne Wafa, plus de 100 véhicules militaires et deux bulldozers sont entrés dans le camp. Déjà, mercredi dernier, deux missiles tirés depuis les airs en direction d’un groupe de personnes avait fait trois morts à #Jénine.

      À chaque mort de plus, la colère monte derrière les murs qui encerclent les Territoires. À Gaza, mais aussi en Cisjordanie

      À chaque mort de plus, la colère monte derrière le mur qui encercle les territoires palestiniens. Du sud, à Hébron, au nord, à Naplouse, en passant par Jénine et Ramallah, les #manifestations ont émaillé ces trois dernières semaines, s’intensifiant au fil du temps. À chaque fois, les Palestiniens y réclament la fin de l’#occupation, la mise en œuvre d’une solution politique pour un #accord_de_paix et surtout l’arrêt immédiat des bombardements à Gaza. Ce vendredi, quelques milliers de personnes s’étaient rassemblés à Ramallah. Drapeaux palestiniens à la main, « Que Dieu protège Gaza » pour slogan, et la rage au ventre. Yara était l’une d’entre eux. « Depuis le début de la guerre, le #traitement_médiatique en Europe et aux États-Unis est révoltant ! L’indignation sélective et le deux poids deux mesures sont inacceptables », s’énerve la femme de 38 ans. Son message est sans ambiguïté : « Il faut mettre un terme à cette agression israélienne soutenue par l’Occident. » Un sentiment d’injustice largement partagé par la population palestinienne, et qui nourrit sa colère.

      Manal Shqair est une ancienne militante de l’organisation palestinienne Stop The Wall. Ce qui se passe n’a rien de surprenant pour elle. La jeune femme, qui vit à Ramallah, analyse la situation. Pour elle, le soulèvement des Palestiniens de Cisjordanie n’est pas près de s’arrêter. « Aujourd’hui, la majorité des Palestiniens soutient le Hamas. Les opérations militaires du 7 octobre ont eu lieu dans une période très difficile traversée par les Palestiniens, particulièrement depuis un an et demi. La colonisation rampante, la violence des colons, les tentatives de prendre le contrôle de la mosquée Al-Aqsa à Jérusalem et enfin le siège continu de la bande de Gaza par Israël ont plongé les Palestiniens dans le #désespoir, douchant toute perspective d’un avenir meilleur. » La militante ajoute : « Et ce sentiment s’est renforcé avec les #accords_de_normalisation entre Israël et plusieurs pays arabes [les #accords_d’Abraham avec les Émirats arabes unis, Bahreïn, le Maroc et le Soudan, ndlr]. Et aussi le sentiment que l’#Autorité_palestinienne fait partie de tout le système de #colonialisme et d’occupation qui nous asservit. Alors cette opération militaire [du 7 octobre] a redonné espoir aux Palestiniens. Désormais, ils considèrent le Hamas comme un mouvement anticolonial, qui leur a prouvé que l’image d’un Israël invincible est une illusion. Ce changement aura un impact à long terme et constitue un mouvement de fond pour mobiliser davantage de Palestiniens à rejoindre la #lutte_anticoloniale. »

      #7_octobre_2023 #à_lire

    • Ma petite-fille de 1 an, la fille de mon fils, quand il y avait de grosses explosions, elle pleurait. Alors nous, on faisait les clowns pour lui faire croire que c’était pour rire.

      C’est exactement ce qu’on faisait ma femme et moi à notre fils de 4 ans en 2006 au Liban.

  • Oslo 30. L’illusione della pace

    Il 13 settembre 1993, sul prato della Casa Bianca, a Washington, viene scattata una storica fotografia: i due nemici, #Ytzhak_Rabin, primo ministro israeliano, e #Yasser_Arafat, leader dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, si stringono la mano, dopo aver firmato i cosiddetti Accordi di Oslo. Trent’anni dopo, che cosa resta del processo di pace che avrebbe dovuto cambiare il Medio Oriente e non solo? Come sarebbe dovuta andare e soprattutto come è andata a finire, invece, tra Israele e Palestina?

    https://altreconomia.it/oslo30
    #accord_d'Oslo #illusion #paix #Palestine #Israël #podcast #audio #Rabin #Arafat #accords_d'Oslo

  • Comment Benyamin Nétanyahou est devenu le leader autoproclamé du « monde civilisé »

    .... Nétanyahou propose « une alliance antiterroriste de toutes les démocraties occidentales ». De telles thèses sont reprises par Ronald Reagan et son administration, de 1981 à 1989, au nom d’une « nouvelle guerre froide » contre « l’empire du mal » de l’URSS, auquel serait affiliée, dans une telle vision binaire, l’Organisation de libération de la Palestine (OLP) de Yasser Arafat.

    .... Quatre ans plus tard [en 1993, 11 ans après l’invasion israélienne du Liban et l’évacuation de l’OLP], Arafat signe avec Yitzhak Rabin, le premier ministre israélien, les accords de paix d’Oslo, que Nétanyahou, devenu le chef de l’opposition, condamne comme une intolérable concession à la « terreur ». Peu importe que l’URSS ait disparu, il stigmatise l’OLP comme la tête d’une hydre terroriste, à combattre sans relâche. Nétanyahou s’affiche dans des meetings où sont scandés les slogans « Rabin, chien d’Arafat », voire « mort à Rabin ».

    Lorsque Rabin est assassiné, en 1995, certes par un terroriste, mais juif et Israélien, Nétanyahou croit sa carrière politique compromise. Mais il se remet vite à marteler le mantra de la « terreur », forcément arabe et anti-occidentale, parvenant à être élu de justesse en 1996 à la tête du gouvernement. Il s’attache, durant ses trois premières années au pouvoir, à méthodiquement vider de leur substance les #accords_d’Oslo.

    Redevenu simple député, il voit la rhétorique de l’Institut Jonathan triompher avec les attentats du 11 septembre #2001 et la « guerre globale contre la terreur » de George W. Bush. Nétanyahou se mobilise à Washington en 2002 pour assimiler l’OLP à Al-Qaida, tout en contribuant à la campagne de désinformation sur les armes de destruction massive en Irak. Jacques Chirac dénonce alors l’aveuglement d’une offensive de renversement de Saddam Hussein qui ne préparerait pas « le jour d’après ». La France évite ainsi que la désastreuse invasion de l’Irak ne débouche sur une confrontation mondialisée entre l’islam et l’Occident [hum, ndc]. Quant à Nétanyahou, il préfère, en 2006, célébrer, à l’hôtel King David de Jérusalem, le soixantième anniversaire de l’attentat de l’Irgoun, qui y fit 91 morts, dont 41 Arabes, 28 Britanniques et 17 Juifs. La plaque apposée à cette occasion est sans doute la seule au monde à honorer les auteurs d’un attentat plutôt que leurs victimes.

    https://www.lemonde.fr/un-si-proche-orient/article/2023/10/29/comment-benyamin-netanyahou-est-devenu-le-leader-du-monde-civilise_6197141_6

    https://archive.ph/Pi2Mj

    Bon, c’est Jean-Pierre Filiu hein.

    #Israël #Benyamin_Nétanyahou #biographie #Irgoun #Likoud

  • « Non, l’aide médicale d’Etat n’est pas un scandaleux appât pour migrants ! »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/25/non-l-aide-medicale-d-etat-n-est-pas-un-scandaleux-appat-pour-migrants_61964

    « Non, l’aide médicale d’Etat n’est pas un scandaleux appât pour migrants ! »
    Tribune Nicolas Clément
    L’aide médicale d’Etat (AME) fait-elle de la France, comme le pense la droite, une sorte d’« open bar » sanitaire pour migrants ? D’abord un chiffre : l’AME représenterait près de 1,2 milliard d’euros, selon un rapport, publié en mai, de la commission des finances, de l’économie générale et du contrôle budgétaire de l’Assemblee nationale sur « l’évaluation du coût des soins dispensés aux étrangers en situation irrégulière ».
    Très élevé en apparence, ce chiffre est à comparer au total de l’Assurance-maladie qui s’élevait à 236 milliards en 2022, montrent les données officielles de la direction de la recherche, des études, de l’évaluation et des statistiques (Drees) ; ainsi, cette aide ne compte que pour 0,5 % du total des dépenses de santé. En 2022, 411 364 personnes en ont bénéficié, soit, sur 67 millions de Français, un taux de 0,6 %.Contrairement à ce qui est bien souvent affirmé, le poids des bénéficiaires de l’AME dans le total des dépenses de santé est inférieur à leur poids démographique et leur « consommation sanitaire » est d’environ 16 % en dessous de la moyenne française. Par ailleurs, une étude de l’Institut de recherche et de documentation en économie de la santé (Irdes) de l’université de Bordeaux estimait en novembre 2019 que seul un sans-papiers éligible sur deux en bénéficiait.Mais au fait, pourquoi avoir créé, en 1999, cette aide, régulièrement discutée ? Ses concepteurs avaient deux buts ; l’un humanitaire, pour assurer la couverture santé de personnes en situation difficile ; l’autre de santé publique, pour éviter les maladies contagieuses et ainsi nous protéger. Et c’est la somme de ces deux buts qui justifie ce dispositif. Or, souvent, seul le motif humanitaire est retenu dans les débats – soit pour le brandir en avant, soit pour le rejeter vigoureusement –, le motif sanitaire étant, lui, la plupart du temps, oublié.
    Pourtant, si on l’intégrait, le premier questionnement ne porterait pas sur le coût de l’AME mais sur la nécessité de tout faire pour limiter les non-recours. Paradoxe : pendant les deux ans de la crise sanitaire du Covid, on n’a cessé de nous alerter sur les risques de contamination alors que certains veulent soudain supprimer ce dispositif qui, en soignant les malades, limite les risques contagieux ! Du côté des bénéficiaires, la théorie de « l’appel d’air » est très loin d’être vérifiée, comme le montre le faible taux de recours déjà évoqué. L’expérience de terrain dans l’accompagnement vers la couverture médicale de très nombreux Roms roumains corrobore ces analyses de l’Irdes : la constitution du dossier de demande d’AME n’est pas simple et les personnes concernées ne s’y attellent que lorsqu’elles ont des soucis de santé, ce qui est loin d’être le plus courant.
    Il faut le répéter : même s’il y a des exceptions, la très grande majorité des étrangers qui viennent en France veulent avant tout un travail et des revenus et ne sont pas motivés par les protections sociales. Non, l’aide médicale d’Etat n’est pas un scandaleux appât pour migrants ! Et heureusement, car les conditions d’accès sont de plus en plus rudes. Un exemple ?
    Toute première demande d’AME doit être apportée en mains propres au service concerné ; on ne peut plus se contenter d’un envoi postal. Mais on perd ainsi un temps considérable de trajet et de file d’attente au guichet, et il faut désormais être accompagné d’un travailleur social pour pouvoir expliquer ce qu’on a répondu sur les divers documents exigés pour la demande. Trop lourde, cette étape pousse souvent à l’abandon.Cette mesure (ainsi que d’autres rendant l’accès plus difficile à l’AME) a été préconisée par un rapport conjoint de l’inspection générale des finances et de l’inspection générale de l’action sociale. Selon ses auteurs, 20 à 30 % des bénéficiaires d’une carte AME retireraient celle-ci dans un délai de plus de deux mois après notification. Cela s’expliquerait « dans certains cas par le fait que la personne réside dans son pays d’origine et ne prévoit un retour en France et un retrait de la carte AME qu’en cas de besoin de soins ».
    D’abord quelle est l’ampleur du « certains cas » qui, s’il n’est mesuré, n’a pas beaucoup de sens ? Surtout, c’est méconnaître la façon dont ces personnes reçoivent une information par courrier : un très grand nombre n’ont pas d’adresse physique, mais seulement une adresse postale gérée par une association domiciliatrice, dont les horaires ne sont pas toujours compatibles avec ceux des bénéficiaires, surtout s’ils travaillent ou si leur lieu de vie (au gré d’expulsions) s’est beaucoup éloigné du lieu de la domiciliation. Dès lors, le temps entre l’arrivée d’un courrier et sa récupération par l’intéressé est souvent fort long.
    Autre exemple de méconnaissance : on ne pouvait, au moment de la publication du rapport, demander l’AME qu’après trois mois de résidence en France, ce qui se vérifie en regardant le passeport et les derniers visas qui y figurent. Mais les auteurs ajoutaient qu’il « est probable que les personnes arrivées depuis moins de trois mois, aient renouvelé leur passeport auprès du consulat de leur pays » pour faire disparaître leur visa. On comprend mal la logique.
    Lire aussi : Article réservé à nos abonnés « La réforme de l’aide médicale d’Etat est une triple faute morale, économique et sanitaire »Mais, à la suite de la publication de ce rapport, le délai a changé : il est désormais de trois mois… après les trois premiers mois passés en France comme « touriste ». Il faut donc désormais avoir passé au moins six mois en France avant de pouvoir lancer une demande d’AME.
    Face à cette aide médicale, deux politiques sont actuellement à l’œuvre : l’une, directe et brutale, souhaitée notamment par Gérald Darmanin, ministre de l’intérieur, vise à la supprimer et la remplacer par un dispositif beaucoup plus limité ; l’autre, plus discrète mais très pernicieuse, consiste à accroître les obstacles et réduire de facto la proportion de bénéficiaires parmi ceux qui y seraient éligibles. A l’inverse de ces deux options, il importe de défendre l’AME, aussi bien par humanité que pour préserver notre population.
    Et cessons de pourrir la vie de ceux qui arrivent en France : dans De l’humiliation : le nouveau poison de notre société (Les liens qui libèrent, 2022) Olivier Abel montre bien les effets terribles à long terme des humiliations subies…
    Nicolas Clément est auteur de « La Précarité pour tout bagage. Un autre regard sur les Roms » (éditions de l’Atelier, 2022) et de « Une Soirée et une nuit (presque) ordinaires avec les sans-abri » (éditions du Cerf, 2015).

    #Covid-19#migrant#migration#france#AME#politiquemigratoire#accueil#asile#sante#mortalite

  • #Dispak_Dispac’h

    Quelles vies valent d’être pleurées  ? Comment s’ouvrir et comment résister  ? Installons-nous dans l’#agora de Dispak Dispac’h avec les protagonistes et écoutons le magistral #acte_d’accusation émis en 2018 par le Groupe d’information et de soutien des immigrés (GISTI) lors du #Tribunal_permanent_des_peuples qui met l’Europe face aux violations des droits des personnes migrantes et réfugiées que notre continent laisse commettre. Les interprètes et membres de la société civile vont tour à tour prendre la parole, s’écouter, se regarder, danser et créer avec nous un espace propre à éveiller nos envies d’agir. C’est le dispositif imaginé par #Patricia_Allio, autrice, metteuse en scène et réalisatrice bretonne, dont le regard et la pratique bouleversent nos sensibilités et visent notre Europe et ses abdications

    https://festival-avignon.com/fr/edition-2023/programmation/dispak-dispac-h-332016
    #théâtre #migrations #réfugiés #droits_fondamentaux #art_et_politique #justice_transformatrice #politiques_migratoires #accusation

  • La fonte des barrières de #glace de l’#Antarctique occidental est désormais inévitable et irréversible

    La fonte qui glace. Ce processus ne peut pas être inversé et contribuera à la hausse du niveau de l’océan, même en limitant le réchauffement climatique, alerte une nouvelle étude.

    Les plateformes (ou barrières) de glace jouent un rôle stabilisateur essentiel et ralentissent la #fonte_des_glaciers dans l’#océan. Leur fonte dans l’#Antarctique_occidental va se poursuivre de manière inévitable, et ce dans tous les #scénarios de réduction des émissions de gaz à effet de serre. Autrement dit, limiter le réchauffement à +1,5°C à la fin du siècle par rapport à l’ère préindustrielle, comme le prévoit l’#Accord_de_Paris, ne suffira pas à inverser la tendance. C’est à cette glaçante conclusion que sont parvenu·es les chercheur·ses du British antarctic survey (l’opérateur britannique de recherche en Antarctique) dans cette étude parue dans Nature climate change ce lundi : https://www.nature.com/articles/s41558-023-01818-x.

    « Nous constatons qu’un réchauffement rapide des #océans, environ trois fois plus rapide que le taux historique, est susceptible de se produire au cours du XXIème siècle », écrivent les scientifiques, qui ont modélisé la #mer_d’Amundsen, à l’ouest de l’Antarctique, pour mener l’analyse la plus complète du réchauffement dans la région à ce jour.

    La poursuite de la fonte des #barrières_de_glace dans l’Antarctique ouest pourrait entraîner la débâcle irréversible des #glaciers, de quoi élever le niveau de l’océan de cinq mètres, un processus aux conséquences potentiellement désastreuses pour la planète. « Notre étude n’est pas une bonne nouvelle : nous avons peut-être perdu le contrôle de la fonte de la #plateforme_glaciaire de l’Antarctique occidental au cours du XXIe siècle », a déclaré au Guardian Kaitlin Naughten, qui a dirigé les travaux.

    « Il s’agit d’un des effets du changement climatique auquel nous devrons probablement nous adapter, ce qui signifie très probablement que certaines communautés côtières devront soit construire [des défenses], soit être abandonnées », poursuit la chercheuse du British antarctic survey.

    Aujourd’hui, environ deux tiers de la population mondiale vit à moins de cent kilomètres d’une côte. De nombreuses mégalopoles mondiales, comme New York, Shanghai, Tokyo ou Bombay, sont situées sur le littoral et particulièrement vulnérables à la montée du niveau de la mer.

    https://vert.eco/articles/la-fonte-de-lantarctique-est-desormais-inevitable-et-irreversible
    #irréversibilité #inévitabilité #climat #changement_climatique

    • Unavoidable future increase in West Antarctic ice-shelf melting over the twenty-first century

      Ocean-driven melting of floating ice-shelves in the Amundsen Sea is currently the main process controlling Antarctica’s contribution to sea-level rise. Using a regional ocean model, we present a comprehensive suite of future projections of ice-shelf melting in the Amundsen Sea. We find that rapid ocean warming, at approximately triple the historical rate, is likely committed over the twenty-first century, with widespread increases in ice-shelf melting, including in regions crucial for ice-sheet stability. When internal climate variability is considered, there is no significant difference between mid-range emissions scenarios and the most ambitious targets of the Paris Agreement. These results suggest that mitigation of greenhouse gases now has limited power to prevent ocean warming that could lead to the collapse of the West Antarctic Ice Sheet.

      https://www.nature.com/articles/s41558-023-01818-x

    • il dit lui même « synthèse » et « truc que je ne connais pas », et il le prouve, par exemple en laissant entendre que le sionisme est un mouvement fondamentaliste religieux, alors que c’était en bonne partie un mouvement de juifs sécularisés et laïcs, qui a émergé non seulement en raison des persécutions en Europe mais danse le cadre du développement des nationalismes européens du XIXeme, repris ensuite encore ailleurs et par d’autres.
      idem, si on n’évoque pas la spécificité de l’antisémitisme (il n’y qu’aux juifs que sont attribué des pouvoirs occultes, ce qui permet le « socialisme des imbéciles » et le complotisme antisémite) ou celles du racisme anti-arabe (à la fois « judéo- chrétien », depuis les monothéisme antérieurs à l’islam, et colonial, effectivement). si on veut faire des machins à l’oral plutôt que de tabler sur la lecture d’ouvrages approfondis et contradictoires, ça me semble plus intéressant de livrer des témoignages, des récits, ou des confrontations entre énonciateurs qui travaillent pour de bon sur ces questions que de prétendre tout embrasser sous l’angle d’une grille de lecture préétablie (décoloniale or whatever).

    • oui, @rastapopoulos, il tâche d’être précautionneux sur l’antisémitisme et il dit vrai dans le passage que tu cites (guerre de religion). mais il loupe ce point historiquement décisif de la (re)confessionalisation progressive des deux mouvements nationalistes, sioniste et palestinien. des deux cotés, la religion n’était en rien essentiele, bien que de part et d’autre cela ai aussi joué initialement un rôle, minoritaire (cf. l’histoire du sionisme et celle de l’OLP). voilà qui est altéré par ce qu’il dit du sionisme originel (où il se plante), dont les coordonnées se définissaient dans un espace résolument mécréant, dans un rapport conflictuel avec le Bund, avec le socialisme révolutionnaire européen.
      pour ce que je comprends d’Israël, on peut dire grossièrement que le religieux se divise en deux, un fondamentalisme messianique et guerrier qui caractérise nombre de colons (dans l’acception israélienne du terme) et l’État israélien, et de l’autre une religiosité qui refuse la sécularisation dans l’État guerrier (exemptions du service militaire pour des orthodoxes d’une part, qui fait scandale, dissidence pacifiste au nom de la Thora d’autre part).

      j’avais vu ce bobino avant qu’il soit cité par Mona et repris par toi et ne l’avait pas aimé. la vulgarisation historique est un exercice à haut risque (simplifications impossibles, déperditions, erreurs), le gars d’Histoires crépues en est d’ailleurs conscient.
      un récit au présent qui sait tirer des fils historiques et politiques nécessaires à ce qu’il énonce (comme l’a si bien réussi Mona avec son dernier papier) ne se donne pas pour objectif une synthèse historique. celle-ci émerge par surcroit depuis le présent (une critique, une représentation du présent).

      edit @sandburg, les persécutions des juifs et l’éclosion des nationalismes en Europe sont déterminantes dans cette « histoire du XXeme ». le sionisme nait, lui aussi, au XIXeme...

      #histoire #politique #présent

  • Migrationskrise ? Eine Gemeinde zeigt, wie es geht

    Die Migrationsdebatte läuft seit Wochen auf Hochtouren. Und immer wieder heißt es: Die Kommunen sind überfordert.

    Alle Kommunen? Keineswegs: Eine kleine Gemeinde bei München beherbergt viel mehr Geflüchtete, als sie eigentlich müsste. Und gibt sich keineswegs überfordert. Eine Reportage aus einem Ort, von dem Deutschland viel lernen kann.

    #Video via Link

    https://www1.wdr.de/daserste/monitor/videos/migrationskrise-eine-gemeinde-zeigt-wie-es-geht-104.html

    #Hebertshausen #Oberbayern #Richard_Reichel

    ping @cdb_77 -> petit Riace

  • #Chartreuse : un #marquis privatise la #montagne, les randonneurs s’insurgent

    Des centaines de personnes ont manifesté dans le massif de la Chartreuse contre un marquis qui interdit de traverser ses terres. Elles réclament un véritable #droit_d’accès à la nature.

    « Entends nos voix, #marquis_de_Quinsonas… » Malgré la fraîcheur de cette matinée de dimanche, ils étaient plusieurs centaines, jeunes et vieux, à être venus pousser la chansonnette au #col_de_Marcieu (#Isère), aux pieds des falaises du massif de la Chartreuse. L’objet de leur chanson et de leur colère ? #Bruno_de_Quinsonas-Oudinot, marquis et propriétaire d’une zone de 750 hectares au cœur de la #Réserve_naturelle_des_Hauts_de_Chartreuse, et sa décision, il y a quelques semaines, d’en fermer l’accès aux randonneurs.

    C’est fort d’une loi du 2 février 2023, qui sanctionne le fait de pénétrer sans autorisation dans une « propriété privée rurale et forestière » [1] que le marquis a fait poser pendant l’été des panneaux « #Propriété_privée » aux abords de son terrain. Et si ces panneaux changent la donne, c’est parce qu’ils sont désormais suffisants pour verbaliser le randonneur qui voudrait entrer ici, chamboulant ainsi des siècles de culture de partage des montagnes.

    Immédiatement après la découverte de ces panneaux, une #pétition rédigée par le #collectif_Chartreuse a été publiée en ligne, réclamant « la liberté d’accès à tout-e-s à la Réserve naturelle des Hauts de Chartreuse » et récoltant plus de 35 000 signatures en quelques semaines (https://www.change.org/p/pour-la-libert%C3%A9-d-acc%C3%A8s-%C3%A0-tout-e-s-%C3%A0-la-r%C3%A9serve-nat). Ciblant le « cas » de la Chartreuse, elle s’oppose « plus globalement à l’accaparement du milieu naturel par quelques personnes pour des objectifs financiers, au détriment du reste de la population », souligne le collectif.

    Car c’est aussi ce qui cristallise la grogne des manifestants en Chartreuse. Tout en fermant l’#accès de son terrain aux #randonneurs et autres usagers de la montagne, le marquis de Quinsonas y autorise des parties de #chasse_privée au chamois, autorisées par le règlement de la #réserve_naturelle, que paient de fortunés clients étrangers.

    « C’est complètement hypocrite »

    « C’est complètement hypocrite », disent Stan et Chloé, deux grenoblois âgés d’une trentaine d’années, alors que le marquis avait justifié sa décision par la nécessité de protéger la faune et la flore de son terrain des dommages causés par le passage des randonneurs.

    « On n’a rien contre les chasseurs, et les #conflits_d’usage ont toujours existé. Mais on dénonce le fait qu’il y a deux poids, deux mesures », explique Adrien Vassard, président du comité Isère de la Fédération française des clubs alpins et de montagne (FFCAM), venu « déguisé » en marquis pour mieux moquer le propriétaire des lieux.

    Beaucoup de manifestants craignent que l’initiative du marquis ne fasse des émules parmi les propriétaires privés d’espaces naturels, alors que 75 % de la forêt française est privée. « On n’est pas là pour remettre en cause la propriété privée, mais un propriétaire ne peut s’octroyer le droit d’accès à toute une montagne, il faut laisser un #droit_de_circulation », martèle Denis Simonin, habitant du massif et bénévole du collectif Chartreuse.

    Propriété privée contre liberté d’accéder à la nature, faudra-t-il choisir ? Les députés Les Écologistes de l’Isère Jérémie Iordanoff et de la Vienne Lisa Belluco ont en tout cas annoncé leur volonté de déposer un projet de loi pour abroger la contravention instaurée par la loi de février 2023, pour ensuite engager « un travail commun vers un vrai droit d’accès à la nature ». Rejoignant les revendications des manifestants, toujours en chanson : « Sache que les gueux ne s’arrêt’ront pas là, notre droit d’accès, oui on l’obtiendra ! »

    https://reporterre.net/Chartreuse-un-marquis-privatise-la-montagne-les-randonneurs-protestent
    #privatisation #résistance

    • Dans le massif de la Chartreuse, #mobilisation contre la « privatisation » de la montagne

      Fort d’une nouvelle législation, le propriétaire d’une zone de 750 hectares dans une réserve naturelle de la Chartreuse a décidé d’en restreindre l’accès aux randonneurs. Partisans d’un libre accès à la nature et défenseurs de la propriété privée s’affrontent.

      « Chemin privé – Passage interdit. » Tous les 500 mètres, le rouge vif des petits panneaux tranche sur le vert des arbres ou le gris de la roche. Les indications parsèment le chemin qui mène jusqu’à la tour Percée, une immense arche rocheuse émergeant à environ 1 800 mètres d’altitude, au cœur de la réserve naturelle des Hauts de Chartreuse, à quelques kilomètres de Grenoble (Isère). Ces panneaux, tout récemment posés, cristallisent depuis quelques semaines un conflit entre les différents usagers de la montagne… et ses propriétaires.

      (#paywall)
      https://www.lemonde.fr/planete/article/2023/10/15/dans-le-massif-de-la-chartreuse-mobilisation-contre-la-privatisation-de-la-m

    • .... « Chemin privé – Passage interdit. » Tous les 500 mètres, le rouge vif des petits panneaux tranche sur le vert des arbres ou le gris de la roche. Les indications parsèment le chemin qui mène jusqu’à la tour Percée, une immense arche rocheuse émergeant à environ 1 800 mètres d’altitude, au cœur de la réserve naturelle des Hauts de Chartreuse, à quelques kilomètres de Grenoble (Isère).
      ... Théoriquement, un randonneur qui se rendrait à la tour Percée pourrait donc désormais recevoir une amende allant jusqu’à 750 euros.
      ... le conflit en Chartreuse est devenu « le cas d’école d’une situation qui va se développer sur tout le territoire ». « L’intention affichée du texte, de limiter l’engrillagement pour permettre la circulation de la faune sauvage, était bonne », souligne Jérémie Iordanoff. Mais, quand 75 % de la forêt est privée, ce n’est pas acceptable de dire aux gens qu’ils ne peuvent se promener que sur 25 % du territoire. »
      ... Dans les faits, l’application de la loi du 2 février et de la contravention qu’elle instaure s’avère complexe. Selon les textes, seuls les gendarmes et les gardes privés, agréés par la préfecture puis assermentés par le tribunal judiciaire, peuvent verbaliser les randonneurs au titre de la violation de la propriété privée rurale et forestière. Un sujet qui a pu faire naître des tensions autour de la tour Percée, des chasseurs ayant reçu la mission – informelle – de surveiller la propriété. Selon les informations du Monde, à l’heure actuelle, aucun garde privé n’a été dûment habilité pour contrôler le terrain du marquis.

      La tour Percée est une double arche de 30 mètres de haut, située sur la parcelle du marquis de Quinsonas-Oudinot, à 1 800 mètres d’altitude. Le 8 octobre 2023. SOPHIE RODRIGUEZ POUR « LE MONDE »

      avec une série de photos

      https://archive.ph/yCAI1

      #forêts #propriété_foncière

  • Proposition de loi visant à interdire l’usage de l’#écriture_inclusive
    Rapport n° 67 (2023-2024), déposé le 25 octobre 2023

    AVANT-PROPOS

    I. ÉCRITURE « INCLUSIVE » OU NOVLANGUE EXCLUANTE ?
    A. DES PRATIQUES QUI SE DÉVELOPPENT RAPIDEMENT
    1. Qu’est-ce que l’écriture dite « inclusive » ?
    2. Un phénomène loin d’être marginal
    B. UNE DÉMARCHE QUI SOULÈVE DE NOMBREUSES DIFFICULTÉS
    1. Une écriture non neutre
    2. Une contrainte importante sur une langue déjà menacée
    3. Une menace pour l’intelligibilité et l’accessibilité des textes
    II. UNE PROPOSITION DE LOI NÉCESSAIRE POUR DISSIPER DES INCERTITUDES JURIDIQUES
    A. DES INCERTITUDES JURIDIQUES
    1. Quelques grands principes et deux circulaires
    2. Une jurisprudence hésitante
    B. UNE PROPOSITION DE LOI POUR CLARIFIER LE DROIT
    C. LA POSITION DE LA COMMISSION

    EXAMEN DES ARTICLES

    Article 1er

    Interdiction de l’usage de l’écriture dite inclusive dès lors que le droit exige l’utilisation du français
    Article 2

    Conditions d’application et d’entrée en vigueur de la loi
    Intitulé de la proposition de loi

    EXAMEN EN COMMISSION
    LISTE DES PERSONNES ENTENDUES
    RÈGLES RELATIVES À L’APPLICATION DE L’ARTICLE 45
    DE LA CONSTITUTION ET DE L’ARTICLE 44 BIS
    DU RÈGLEMENT DU SÉNAT (« CAVALIERS »)
    LA LOI EN CONSTRUCTION
    https://www.senat.fr/rap

    /l23-067/l23-067.html
    #France #interdiction #loi #novlangue #langue #menace #intelligibilité #accessibilité #incertitudes_juridiques #jurisprudence #circulaires #proposition_de_loi

    • 中性语言 - 维基百科,自由的百科全书
      https://zh.m.wikipedia.org/wiki/%E4%B8%AD%E6%80%A7%E8%AF%AD%E8%A8%80

      Trop compliqué:e pour moi. Désormais je contournerai le problème en ne m"exprimant plus qu’en chinois, qui ne connait pas le problème de no lamgues.

      Le chinois est une langue super simple qui ne connais ni genre, ni temps ni conjugaison ou déclinaison. Il n’y a mėme pas de singulier ou pluriel. Tu dis simplemen « il y en a plusieurs » avec un seul « mot » (们) qui établit son contexte par sa position. Si tu veux dire expressément qu’il n’y a qu’un seul spécimen de quelque chose ( 一个 x ) tu le dis simplement. S’il est important de savoir s’il s’agit de quelque chose de féminin (女)ou masculin (男), tu fais pareil. Tu ne mentionne expressément que les qualités exceptionnelles, tout le reste est contexte.

      Les juristes ont raison sur un point : il est très difficile voire impossible de formuler des textes de droit en chinois qui ne comportent pas ambiguité. On est confronté en chinois à un nombre d’éléments de grammaire très réduit au profit de la syntaxe. Chaque idéogramme correspond à un nombre élevé de significations différents et parfois contradictoires. Cette particularité fait que le chinois ancient dépasse en complexité le grec antique.

      On peut sans doute affirmer que nos grammaires ont une grande influence sur notre logique, notre manière de penser. Nos batailles liguistiques n’existeraient pas, si nous avions appris à parler et penser d’une manière plus libre, peut-être plus chinoise ;-)

      Voici ce que dit wikipedia en chinois à propos de l’écriture inclusive.

      Un langage neutre signifie éviter l’utilisation d’un langage qui est préjugé contre un sexe ou un genre particulier. En anglais, certaines personnes préconisent d’utiliser des noms non sexistes pour désigner des personnes ou des professions [1] et d’arrêter d’utiliser des mots à connotation masculine. Par exemple, le mot hôtesse de l’air est un titre de poste spécifique au sexe, et le mot neutre correspondant devrait être agent de bord. En chinois , certains caractères chinois à connotation positive et négative auront le mot « 女 » comme radical .Un langage neutre signifie éviter l’utilisation d’un langage qui est préjugé contre un sexe ou un genre particulier. En anglais, certaines personnes préconisent d’utiliser des noms non sexistes pour désigner des personnes ou des professions et d’arrêter d’utiliser des mots à connotation masculine. Par exemple, le mot hôtesse de l’air est un titre de poste spécifique au sexe, et le mot neutre correspondant devrait être agent de bord . En chinois , certains caractères chinois à connotation positive et négative auront le mot « 女 » comme radical .

      Attention, traduction Google

    • Suggérer l’utilisation du kotava comme langue de communication dans l’administration :

      Les substantifs et les pronoms sont invariables ; il n’existe aucun système de déclinaison. Il n’y a pas non plus de genre. Si l’on souhaite insister sur le sexe d’une personne ou d’un animal il est possible d’utiliser les suffixes dérivationnels -ye (pour les êtres vivants de sexe masculin) et -ya (pour les êtres vivant de sexe féminin).

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Kotava

    • Guerre d’usure contre l’écriture inclusive… et l’#égaconditionnalité

      Les #conservateurs, en mal de notoriété, épuisent les féministes avec un énième texte contre l’écriture inclusive. Ce texte veut interdire cette écriture à celles et ceux qui reçoivent des fonds publics. #Anti-égaconditionnalité !

      Quelques jours après l’échec du Rassemblement National (RN), Les Républicains (LR) réussissent à imposer un #débat_parlementaire pour interdire l’écriture inclusive ! Le 12 octobre dernier, le RN avait inscrit un texte dans sa « niche » parlementaire à l’#Assemblée_nationale. Mais il avait fini par le retirer avant de se voir opposer un rejet. Des députés LR qui s’étaient alliés à lui, puis rétractés, réservaient sans doute leurs forces pour soutenir leurs collègues du Sénat.
      Car mercredi 25 octobre, les sénateur.trice.s de la Commission de la culture, de l’éducation et de la communication du Sénat ont adopté une proposition de loi voulant « protéger la langue française  » de ses « #dérives  ». Une proposition qui sera examinée le 30 octobre.

      Le bruit des conservateurs, la fatigue des féministes

      Une #grosse_fatigue a alors gagné le mouvement féministe sur les réseaux sociaux. Impossible de compter le nombre de proposition de lois, de circulaires, de textes outragés, de déclarations solennelles s’attaquant à l’#égalité dans le #langage. Vouloir restaurer la #domination_masculine dans la #langue_française permet aux conservateurs de se faire mousser à bon compte auprès de leur électorat. Et pendant qu’ils occupent le devant de la scène sous les ors de la République, les féministes s’épuisent à démontrer la #justesse de leur combat avec beaucoup moins de moyens pour se faire entendre.

      Le #rouleau_compresseur est en marche. La proposition de la commission sénatoriale, qui avait été déposée par « Le sénateur » -c’est ainsi qu’elle se présente- LR #Pascale_Gruny en janvier 2022, a peu de chance d’aboutir dans sa totalité à une loi tant elle est excessive. Mais elle permet une nouvelle fois de sédimenter le discours conservateur dans l’opinion. Un discours attaché à ce que « le masculin l’emporte ».

      Pascale Gruny a eu les honneurs de l’émission « Les grandes gueules » sur RMC . Elle a pu nier le poids du #symbole : « Que le masculin l’emporte sur le féminin, c’est simplement une règle de grammaire, cela ne veut pas dire que les hommes sont supérieurs aux femmes, c’est ridicule » a-t-elle asséné. « Le but c’est de l’interdire dans les contrats, les publications de la vie privée pour que cela ne s’utilise plus. Et je veux aussi que cela disparaisse de l’#université comme à Sciences-po où c’est obligatoire je crois. »

      Le texte proposé veut très largement bannir l’écriture inclusive « dans tous les cas où le législateur exige un document en français », comme les modes d’emploi, les contrats de travail ou autres règlements intérieurs d’entreprises, mais aussi les actes juridiques. « Tous ces documents seraient alors considérés comme irrecevables ou nuls » s’ils utilisent l’écriture inclusive, dite aussi #écriture_épicène.
      Ces conservateurs ne se sont toujours pas remis de l’approbation, par le Tribunal de Paris en mars dernier, d’inscrire l’écriture inclusive dans le marbre de plaques commémoratives (lire ici).

      Pas de #subvention si le masculin ne l’emporte pas

      Le texte de Pascale Gruny fait même de l’anti-égaconditionnalité en interdisant l’écriture inclusive aux « publications, revues et communications diffusées en France et qui émanent d’une personne morale de droit public, d’une personne privée exerçant une mission de service public ou d’une personne privée bénéficiant d’une subvention publique ». Les journaux qui reçoivent des subventions publiques devraient être concernés ?…

      Rappelons que l’égaconditionnalité des finances publiques revendiquée par les féministes consiste à s’assurer que les #fonds_publics distribués ne servent pas à financer des activités qui creusent les inégalités entre femmes et hommes… Ici on parlerait de patriarcatconditionnalité…

      C’est aussi un combat qui épuise les féministes.

      https://www.lesnouvellesnews.fr/guerre-dusure-contre-lecriture-inclusive-et-legaconditionnalite

      #épuisement #féminisme

    • Pour une fois je me permets d’avoir une opinion alors que d’habitude j’essaie de me tenir aux choses que je sais et de me taire ou de poser de questions par rapports aux autres sujets.

      Ne perdons pas trop de temps avec des discussions inutiles. Si le langage et l’écriture appelés inclusifs deviennent assez populaires parce qu’ils correspondent à une pratique partagée par assez de monde, si cette relative nouveauté est plus qu’un dada des intellectuels, si le peuple adopte ces formes d’expression, aucun décret n’arrêtera leur avancée.

      Je suis content d’avoir été en mesure d’apprendre un français approximatif, assez bon pour me faire comprendre et je ne verrai plus le jour du triomphe ou de la défaite de telle ou telle forme de français. Ces processus durent longtemps.

      Alors je préfère investir un peu de mon temps pour améliorer mes compétences en chinois. Cette langue me promet la même chose qui m’a fait prendre la décision d’apprendre le français. Avec l’apprentissage d’une nouvelle langue on découvre le monde sous d’autres angles, on adopte de nouvelles façons de raisonner et d’agir, on développe une personnalité supplémentaire, on n’est plus jamais seul. Parfois je me demande, ce que ferait mon caractère chinois à ma place quand ma personnalité allemande, française ou états-unienne me fait prendre une décision.

      Ma pratique des langues que je maîtrise changera au rythme auquel je les utiliserai. Je continuerai alors de le mentionner quand le sexe d’une personne a une importance et une signification, si c’est nécessaire pour dire ce que j’ai à dire. Pour le reste je me tiens aux règles qu’on m’a enseignées et aux habitudes que j’ai prises.

      Je comprends la peur de l’invisibilité et le besoin de la combattre parce que je passe une grande partie de ma vie à donner une voix aux personnes qui sont comme moi rendus invisibles par le pouvoir en place, par les mécanismes inscrits dans nos sociétés et par la méchanceté et le dédain des imbéciles. Chaque langue connaît des manières de s’attaquer à ce défi.

      Je suis curieux comment l’écriture et le langage inclusif cohabiteront ou pas avec cette multitude de formes d’expression chères à celles et ceux qui en sont maîtresses et maîtres et les considèrent comme les leurs.

      #écriture_inclusive #français #chinois #dialectes #patois #allemand

    • #mecsplications sur l’inclusivité et détournement de ce qui est préoccupant dans ce post.

      Les langues sont vivantes et tout gouvernement/état qui cherche à imposer aux populations de contrôler leurs expressions du langage tend au totalitarisme. #police_du_langage

      A contrario, l’écriture inclusive est un signe qui déplait aux conservateurs et aux fascistes parce qu’elle est manifestation politique du vivre ensemble, du soin à marquer que les inégalités de genre ne sont plus acceptables et de la résistance vivante à une langue moribonde, celle du patriarcat. Une petite révolution à la barbe des tenants du pouvoir et tout cela uniquement par le langage cela appelle des lois et de la répression.

      Quelle mauvais blague.

      Les rétrogrades de Toulouse ne s’y sont pas trompés, ils ont carrément interdit l’usage de l’écriture inclusive. 23/06/2021
      https://www.ladepeche.fr/2021/06/22/toulouse-pas-decriture-inclusive-au-capitole-9624088.php

      #féminisme #écriture_inclusive

    • #militantisme #langues_vivantes #langue_écrite #langue_parlée

      Et justement : les passions tristes des forces réactionnaires :

      «  Il existe d’autres moyens d’inclure le féminin dans la langue française  », expose la conseillère municipale d’opposition qui juge «  intéressant de réfléchir à ces questions sans passion.  »

      Qu’iels aillent bien tou·tes se faire cuire le cul, ces administrateurs·rices du cheptel humain :-))

    • Mais la française est vraiment horrible, il faut absolument la interdire avant qu’elle ne se diffuse partout, elle va nous falloir rapidement accepter l’écriture inclusive ou toute la morale patriarcale de notre chère Jeanne Jack Rousselle va se retrouver à la ruisselle. Pensez donc à cette genre de traduction

      « Toute l’éducation des hommes doit être relative à les femmes. Leur plaire, leur être utiles, se faire aimer et honorer d’elles, les élever jeunes, les soigner grandes, les conseiller, les consoler, leur rendre la vie agréable et douce : voilà les devoirs des hommes dans toutes les temps, et ce qu’on doit leur apprendre dès l’enfance. »

    • La Monde ne sait pas ce qu’est la pointe médiane, et utilise des pointes de ponctuation (et en les doublant) pour dénoncer la usage qu’elle méconnait. C’est quand même savoureuse.

      sénateur.rice.s

      c’est pourtant simple la pointe médiane c’est à la milieu, comme ça

      sénatrice·s

      la texte législative de ces andouilles qui n’ont rien à asticoter dans leur cervelle a donc été adoptée par la sénate cette nuit

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/10/31/ecriture-inclusive-le-senat-adopte-un-texte-interdisant-la-pratique-dans-tou

      #les_crétins_du_palais_du_luxembourg

    • C’est difficile de suivre cette débat avec la novlangue employée par les député·es ; par exemple j’ai cherché la terme de wokisme dans la dictionnaire et je n’ai rien trouvée. Et sinon pour pointer une contradiction, elle me semble qu’il y a déjà une loi AllGood qui vise à défendre l’immutabilité éternelle de la française — mais que la startup nachioune n’en a pas grand chose à faire.

    • la enjeu est de montrer que la culture française est sage et docile ( Au-delà de Versailles et de St Cloud c’est la jungle ) et que grâce à macron et toutes celleux accrocs à ses jolies mollettes de roitelet la langue française constitue une socle immuable. (ici j’adore l’aspect sable mouvant de la langue, tu crois que tu la maitrises qu’elle t’appartient enfermé dans les dogmes coloniaux des institutions et hop, nique ta novlangue)

      Iels ont donc si peur que la langue française soit vivante et évolue, je trouve ça juste extraordinaire d’en arriver à légiférer pour un point médian. Enchainez ce point médian tout de suite et jetez le au cachot ! Oui maitre·sse.

    • Le « François » dans tous ses états ...
      #château-Macron (du gros qui fait tache)
      https://seenthis.net/messages/1023508#message1023947

      #tataouinage (?) #québecois
      https://fr.wiktionary.org/wiki/tataouiner
      (Et donc rien à voir avec Tataouine, ville de Tunisie passée dans le langage populaire pour évoquer un endroit perdu au bout du monde)
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Tataouine
      En arabe,
      تطاوين
      se prononce un peu comme Tatooine qui est une planète-désert de l’univers de fiction Star Wars.
      Il n’y a pas de hasard, enfin, si, peut-être, un peu quand même ...

  • The EU-Tunisia Memorandum of Understanding : A Blueprint for Cooperation on Migration ?

    On July 16, 2023, a memorandum of understanding, known as the “migrant deal”, was signed between the EU and Tunisia, at a time when the EU is trying to find ways to limit the arrival of irregular migrants into its territory. The memorandum, however, raises some concerns regarding its content, form, and human rights implications.

    This past year, Tunisia became the primary country of departure for migrants attempting to reach the European Union via Italy through the Central Mediterranean route. With a sharp increase of arrivals in the first few months of 2023, which further accelerated during the summer, cooperation with Tunisia has turned into a key priority in the EU’s efforts to limit migration inflows.

    On July 16, 2023, after complicated negotiations, Olivér Várhelyi, the EU Commissioner for Neighborhood and Enlargement, and Mounir Ben Rjiba, Secretary of State to the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad, signed a memorandum of understanding (MoU) on “a strategic and global partnership between the European Union and Tunisia,” published in the form of a press release on the European Commission’s website. President Ursula von der Leyen labeled the deal as a “blueprint” for future arrangements, reiterating the commission’s intention to work on similar agreements with other countries. The MoU, however, in terms of its content, form, and the human rights concerns it raises, falls squarely within current trends characterizing EU cooperation on migration with third countries.
    The content of the agreement

    Known as the “migrant deal,” the MoU covers five areas of cooperation: macro-economic stability, economy and trade, green energy transition, people-to-people contacts, and migration and mobility. The EU agreed to provide €105 million to enhance Tunisia’s border control capabilities while facilitating entry to highly-skilled Tunisians, and €150 million in direct budgetary support to reduce the country’s soaring inflation. It further foresees an extra €900 million in macro-economic support conditioned on Tunisia agreeing to sign an International Monetary Fund bailout. In exchange, Tunisia committed to cooperate on the fight against the smuggling and trafficking of migrants, to carry out search and rescue operations within its maritime borders, and to readmit its own nationals irregularly present in the EU—an obligation already existent under customary international law. Much to Italy’s disappointment, and unlike what happened in the case of Turkey in 2016, Tunisia refused to accept the return of non-Tunisian migrants who transited through the country to reach the EU, in line with the position it has occupied since the onset of the negotiations.

    What was agreed on seems to be all but new, seemingly reiterating past commitments

    Overall, what was agreed on seems to be all but new, seemingly reiterating past commitments. As for funding, the EU had been providing support to Tunisia to strengthen its border management capabilities since 2015. More broadly, and despite its flaws, the MoU embeds the current carrot-and-stick approach to EU cooperation with third countries, systematically using other external policies of interest to these nations, such as development assistance, trade and investments, and energy—coupled with promises of (limited) opportunities for legal mobility—to induce third countries to cooperate on containing migration flows.
    The legal nature of the agreement

    The MoU embeds the broader trend of de-constitutionalization and informalization of EU cooperation with third countries, which first appeared in the 2005 “Global Approach to Migration” and the 2011 “Global Approach to Migration and Mobility”, and substantially grew in the aftermath of the 2015 refugee crisis, with the EU-Turkey Statement and the “Joint Way Forward on migration with Afghanistan” being the most prominent examples, in addition to several Mobility Partnerships. The common denominator among these informal arrangements consisted of the use of instruments outside the constitutional framework established for concluding international agreements, notably Article 218 on the Treaty of the Functioning of the European Union (TFEU), to agree on bilateral commitments that usually consist in the mobilization of different EU policy areas to deliver on migration containment goals.

    Recourse to informal arrangements can have its advantages, as they are capable of adapting quickly to new realities and allow for immediate implementation without requiring parliamentary ratification or authorization procedures, as highlighted by the EU Court of Auditors. However, they might fall short of constitutional guarantees, as they do not follow standard EU treaty-making rules. EU treaties are silent as to how non-binding agreements should be negotiated and concluded, and thus often lack democratic oversight, transparency, and legal certainty. They might also pose issues in terms of judicial review by the Court of Justice of the EU (CJEU), in accordance with Article 263 of the TFEU.

    In the much-debated judgment “NF”, the General Court—the jurisdiction of first instance of the CJEU—refused to assess the legality of the 2016 EU-Turkey Statement, which was published as a press release on the website of the European Council. Indeed, the Court concluded at the time that the deal was one of member states acting in their capacity as heads of state and government, and not as part of the European Council as an EU institution, rendering the deal unattributable to the EU. The Court did not specifically refer to the legal nature of the agreement, despite all EU institutions stressing that the document was “not intended to produce legally binding effects nor constitute an agreement or a treaty” (para. 27), it being “merely ‘a political arrangement’” (para. 29).

    Overall, it is apparent that the lack of clarity regarding the procedure to be followed and the actors to be involved when it comes to the conclusion of non-binding agreements by the EU is problematic from a rule of law perspective

    The EU-Tunisia MoU, on the other hand, was signed by the European Commission alone, making it fully attributable to the EU. This means that it could be potentially challenged before the CJEU, if there is reason to believe that the content of the agreement renders it a legally-binding one, infringing on the procedure foreseen by the EU treaties, or if the competencies of the Council and the Parliament, the two other EU institutions usually involved in the conclusion of international agreements, were otherwise breached. In another case, the CJEU indeed found that, while the treaties do not regulate the matter and thus Article 218 on the TFEU does not apply, the Commission should nonetheless seek prior approval of the Council before signing an MoU in the exercise of its competencies, pursuant to Article 17 (1) of the Treaty on the European Union (TEU), due to the Council’s “policy-making” powers provided by Article 16 of the TEU. The Court, however, did not clarify whether the Commission should have likewise involved the European Parliament in light of its power to exercise “political control,” provided by Article 14 TEU. With regard to the MoU with Tunisia, however, neither of the two institutions seemed to have been involved. Overall, it is apparent that the lack of clarity regarding the procedure to be followed and the actors to be involved when it comes to the conclusion of non-binding agreements by the EU is problematic from a rule of law perspective.
    Concerns over protection of fundamental rights

    The EU-Tunisia MoU has been harshly criticized by both civil society organizations and different members of the European Parliament (MEPs) in light of the Tunisian authorities’ documented abuses and hostilities against migrants, amidst a political climate of broader democratic crisis. While vaguely referring to “respect for human rights,” the MoU does not specify how the Commission intends to ensure compliance with fundamental rights. Concerns over the agreement led the European Ombudsman—a body of the EU that investigates instances of maladministration by EU institutions—to ask the EU’s executive arm whether it had conducted a human rights impact assessment before its conclusion, as well as if it intended to monitor its implementation, and if it envisaged the suspension of funding if human rights were not respected. This adds to the growing discontent over the EU’s prioritization of securing its borders over ensuring the protection of fundamental rights of migrants, through the externalization of border controls to third countries with poor human rights records and authoritarian governments, such as Libya, Turkey, Morocco, Egypt, and Sudan, among others.

    These episodes exemplify the paradox of externalization, with the EU trying to shield itself from the risk of instrumentalization of migration by third countries on one hand, and making itself dependent upon these actors’ willingness to contain migratory flows, and thus vulnerable to forms of repercussion and bad faith tactics, on the other

    In an unprecedented move, Tunisia denied entry to a group of MEPs who were due to visit the country on official duty on September 14. While no official explanation was given, the move was seen as a reaction for speaking out against the agreement. Despite this, and the fact that there is still a lack of clarity as to how compliance with fundamental rights will be guaranteed, the Commission announced that the first tranche of EU funding would be released by the end of September. However, Tunisia declared to have rejected the money precisely over the EU’s excessive focus on migration containment, although Várhelyi stated that the refusal related to budget support is unrelated to the MoU. These episodes exemplify the paradox of externalization, with the EU trying to shield itself from the risk of instrumentalization of migration by third countries on one hand, and making itself dependent upon these actors’ willingness to contain migratory flows, and thus vulnerable to forms of repercussion and bad faith tactics, on the other. Similar deals, posing similar risks, are currently envisaged with Egypt and Morocco. Moving forward, the EU should instead make efforts to create partnerships with third countries based on genuine mutually-shared interests, restoring credibility in its international relations which should be based on support for its founding values: democracy, human rights, and the rule of law.

    https://timep.org/2023/10/19/the-eu-tunisia-memorandum-of-understanding-a-blueprint-for-cooperation-on-mig
    #Tunisie #EU #Europe #Union_européenne #EU #externalisation #asile #migrations #réfugiés #accord #gestion_des_frontières #aide_financière #protocole_d'accord #politique_migratoire #externalisation #memorandum_of_understanding #MoU

    –—
    ajouté à la métaliste sur le Mémorandum of Understanding entre l’UE et la Tunisie :
    https://seenthis.net/messages/1020591

  • Immigration : « Une fraction du patronat utilise une forte proportion d’immigrés pour faire pression à la baisse sur les salaires »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/10/24/immigration-une-fraction-du-patronat-utilise-une-forte-proportion-d-immigres

    Immigration : « Une fraction du patronat utilise une forte proportion d’immigrés pour faire pression à la baisse sur les salaires »Didier Leschi, Historien et haut-fonctionnaire
    L’inquiétude qui se fait jour dans nombre de pays d’Europe devant les arrivées régulières de naufragés dans les ports d’Italie doit-elle être considérée comme illégitime, ou bien être prise en considération ? Voilà l’équation d’un débat qui apparaît d’autant plus confus qu’il est souvent piégé par ce trait bien résumé par la formule d’Oscar Wilde : « La souffrance attire plus aisément la sympathie que la réflexion. »
    A notre tour donc d’essayer de donner quelques repères en faisant en sorte que la nécessaire empathie envers notre commune humanité et la souffrance aide à l’analyse des faits plutôt qu’au déni. Tout d’abord, un constat : l’Europe n’est pas une forteresse fermée. Ses évolutions démographiques l’attestent. En Europe comme en France, il n’y a jamais eu autant d’immigrés. Bien plus, en pourcentage, qu’il n’y en a en Afrique, en Asie, ou encore en Amérique latine. Pour ne prendre que deux exemples, depuis le début du XXIᵉ siècle, nous sommes passés, en France, de 7 % à plus de 10 % d’immigrés, progression il est vrai moindre que celle qu’a connue la Suède, de 10 % à 20 %. Mais – et on peut difficilement affirmer que cela soit sans rapport – l’extrême droite vient d’accéder au gouvernement dans ce pays.
    En France, cette progression est alimentée par la venue d’une forte immigration africaine ; aujourd’hui, un immigré sur deux est originaire de ce continent. Il s’agit bien de changements significatifs par rapport aux périodes antérieures, qui suscitent des craintes sur le devenir de nos équilibres sociaux et sociétaux. Ce n’est pas un hasard si celles-ci traversent particulièrement des pays historiques de la social-démocratie, comme le Danemark ou encore la Suède, où les difficultés d’intégration, même minoritaires, bouleversent l’ensemble de la société.
    Nos modèles sociaux reposent sur l’acceptation par chaque salarié cotisant ou citoyen contribuable d’une participation à un pot commun sur lequel s’appuient les mécanismes de sécurité sociale et l’accès à des services publics gratuits comme l’hôpital ou l’école. Ils sont une construction sociale consolidée de longue lutte par ce qu’on appelait jadis le mouvement ouvrier. Il faut entendre les craintes qui étreignent nos concitoyens les plus démunis, qui ont le sentiment que ceux qu’ils considèrent comme des nantis leur font, en permanence, injonction d’accueillir plus démunis qu’eux, au risque de faire imploser les systèmes sociaux et remettre en cause les acquis sociétaux du fait d’écarts culturels portés aux extrêmes avec une partie des immigrants.
    Parmi le carburant de ces inquiétudes, les données sociales. Une forte proportion d’immigrés, peu ou pas formée, a du mal à s’insérer sur le marché du travail, si ce n’est pour y occuper des emplois précaires et constituer, malgré elle, un sous-prolétariat utilisé par une fraction du patronat pour faire pression à la baisse sur les salaires. Une partie des « métiers en tension » en relèvent. Cela explique pour beaucoup que près de 40 % des immigrés nés en Afrique aient un niveau de vie inférieur au taux de pauvreté monétaire, et que 43 % soient en situation de privation matérielle et sociale, malgré les prestations sociales et les aides diverses.
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    Parmi ces aides, l’accès au logement social n’est pas la moindre, dans un contexte de pénurie. Près d’une personne sur deux d’origine algérienne, marocaine ou tunisienne est locataire d’un logement social, plus d’un immigré d’Afrique subsaharienne sur deux ; 35 % des immigrés sont locataires du logement social, contre 11 % pour les non-immigrés. Ces données permettent de mesurer les efforts accomplis en particulier en faveur des 30 000 à 50 000 personnes obtenant le statut de réfugié depuis la crise migratoire de 2015.
    De même, notre système de santé assume, pas uniquement à travers l’aide médicale de l’Etat, la prise en charge gratuite de non-cotisants pour des soins lourds et coûteux de malades qui font prévaloir que les soins dont ils ont besoin, s’ils existent dans leur pays, ne leur sont pas accessibles. On peut ajouter les milliards d’euros consacrés à l’hébergement inconditionnel, gratuit et anonyme de dizaines de milliers de personnes qui n’ont plus de droit au séjour. Un acquis sans équivalent en Europe.
    Imprévoyances
    Mais, nous dit-on, la France ne prendrait pas sa part d’asile. Il serait plus juste d’indiquer que les Syriens comme les Ukrainiens ont préféré d’abord rejoindre des pays où existaient préalablement à leur venue de fortes communautés. Ce constat, qui est indiscutable, c’est que frappent à nos portes, sous prétexte d’asile, des personnes qui fuient plus les désordres économiques de leur pays que des persécutions. Ils viennent de l’Ouest africain et du Maghreb, qui constituent, actuellement, la majorité de ceux qui se risquent en Méditerranée. Ou encore des ressortissants des Balkans qui rentrent sans visa. Faudrait-il donner l’asile à tous ceux qui n’en relèvent pas sous prétexte que ceux qui indéniablement en relèvent le demandent moins en France que dans d’autres pays ?
    En répondant sans hésitation par l’affirmative, ceux qui veulent abolir des frontières ont l’avantage de la cohérence. Mais la mise en œuvre d’un tel principe aboutirait à vouloir étendre les frontières de l’Europe sociale à toutes les victimes du chaos du monde. Et n’est-ce pas mépriser la misère du monde que ne pas concevoir que si demain la France et les autres pays européens ouvraient totalement leurs frontières, avec promesses de pleins droits sociaux et pourquoi pas le transport gratuit afin d’éviter les odieux trafics, ce seraient des millions de personnes qui se porteraient immédiatement candidates à l’exil ? Et n’est-ce pas un peu postcolonial que de ne pas se préoccuper des effets des pillages des élites du tiers-monde pour pallier nos imprévoyances ou notre incapacité à former et à orienter des jeunes dans des spécialités professionnelles qui manquent à nos économies ?
    C’est ce que craignent les plus démunis socialement, car ils considèrent supporter déjà l’essentiel de l’effort d’accueil et les difficultés d’intégration sociales et culturelles. Plutôt que de vouloir, dans ce débat, prendre « la mesure du monde tel qu’il est », selon la formule du sociologue François Héran, ayons en tête une des prophéties du philosophe Friedrich Engels [1820-1895], qui, en évoquant la situation de la classe laborieuse dans l’Angleterre de 1845, constatait qu’un des moyens des puissants du monde d’affaiblir les résistances populaires est de créer les conditions d’une « humanité nomade ».
    Didier Leschi est directeur général de l’Office français de l’immigration et de l’intégration. Il a écrit « Ce grand dérangement. L’immigration en face » (Gallimard, nouvelle édition, 64 pages, 4,90 euros).

    #Covid-19#migration#migrant#france#immigration#integration#accueil#economie#politiquemigratoire

  • Les départements alertent sur la question des mineurs isolés étrangers
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/10/18/les-departements-alertent-sur-la-question-des-mineurs-isoles-etrangers_61952

    Les départements alertent sur la question des mineurs isolés étrangers
    L’Etat doit participer à la prise en charge des mineurs non accompagnés, réclame l’Assemblée des départements de France, qui a voté une résolution en ce sens. Le gouvernement se dit prêt à envisager une « renationalisation » de la protection de l’enfance.
    Par Lyssia Gingins
    Publié le 18 octobre 2023 à 17h59
    Après une baisse liée à la crise sanitaire, les arrivées de mineurs isolés étrangers ont repris de plus belle sur le territoire. Dans les Alpes-Maritimes, ils ont été 5 600 à passer la frontière depuis le début de l’année, contre 3 400 à la même date en 2022, des chiffres avancés par la collectivité locale. De quoi pousser les départements, chargés de leur accueil au titre de l’aide sociale à l’enfance (ASE), à alerter face à la saturation de leurs capacités d’accueil. Dans une résolution adoptée à l’unanimité, mercredi 11 octobre, l’Assemblée des départements de France (ADF) demande au gouvernement plusieurs évolutions réglementaires, notamment en matière d’immigration. « On appelle l’Etat à assumer ses responsabilités. Les départements appellent à l’aide depuis des mois », souligne François Sauvadet (UDI), président de l’ADF.
    Les mineurs isolés étrangers, en tant qu’enfants privés de protection familiale, sont pris en charge par les départements. A leur arrivée en France, ils sont soumis à une évaluation de minorité. Entre-temps, le département est responsable de leur mise à l’abri. Le nombre de mineurs isolés pris en charge dans le pays – près de 44 000 d’ici à la fin d’année, avancent les départements, alors que le nombre de mineurs – dépasse désormais le pic de 2018. « Mais, à l’époque, on n’avait pas tous les indicateurs au rouge », alerte le président de l’ADF. Hausse des coûts liée à l’inflation, augmentation continue des placements d’enfants et généralisation de l’accompagnement des 18-21 ans depuis la loi Taquet de 2022 : l’année 2023 s’avère critique pour l’ASE, qui suit plus de 370 000 enfants en France.« La crise actuelle due aux mineurs non accompagnés est venue emboliser un système déjà en tension extrême, conduisant parfois des présidents [de départements] à ne pas pouvoir exécuter des décisions de placements dont ils sont comptables pénalement », alerte l’ADF dans une lettre adressée à la première ministre.
    « Quand les assistantes sociales sont mobilisées à la frontière, elles manquent dans le reste des services, estime Charles-Ange Ginésy (Les Républicains, LR), président des Alpes-Maritimes. Les moyens humains et financiers ne sont pas extensibles, d’autant que le département manque de leviers fiscaux. » Martine Vassal (LR), présidente des Bouches-du-Rhône, espère que le sujet sera abordé à l’occasion du projet de loi immigration, qui permet à la droite de faire monter les enchères sur ces questions et doit être examiné au Sénat à partir du 6 novembre. « On nous demande de gérer le flux migratoire, alors que ce n’est pas notre compétence », regrette-t-elle.
    L’arrivée importante de mineurs isolés étrangers n’est qu’un des aspects des difficultés que traverse l’ASE, selon Stéphane Troussel (Parti socialiste), président de la Seine-Saint-Denis. « Mais ça paraît légitime que l’Etat accompagne sur les compétences qui lui reviennent, et qu’il participe aux dépenses engendrées par sa politique, acquiesce le président du département qui effectue une part importante des évaluations de minorité du pays. Si l’Etat prenait en charge la mise à l’abri avant l’évaluation de minorité, ça arrangerait déjà beaucoup de choses. »
    La mesure figure tout en haut de la liste de demandes de l’Assemblée des départements de France. « La prise en charge de l’immigration ne peut pas reposer uniquement sur la solidarité départementale. La solidarité nationale doit jouer », estime François Sauvadet.Pour autant, l’ADF reconnaît que « la crise que traverse l’ASE dépasse de beaucoup la seule crise migratoire ». Les mineurs isolés ne constituent que 15 % à 20 % des enfants suivis par l’aide sociale à l’enfance, dont le nombre est en hausse continue. Pour faire face à l’augmentation des placements, le budget consacré par les départements a doublé en vingt ans, pour atteindre 10 milliards aujourd’hui.
    Tous les départements connaissent, de longue date, de graves problèmes de recrutement. « Il y a une crise d’attractivité des métiers du lien social, qui doit devenir un chantier prioritaire », estime Stéphane Troussel. Le département a d’ores et déjà mené un « grand plan » de revalorisation salariale et de conditions de travail, selon son président, « mais sans mobilisation nationale, l’échelon local ne suffira pas ».Pour François Sauvadet, les conditions de ces métiers difficiles sont aggravées par les carences dans certains domaines qui relèvent de la compétence nationale, comme la pédopsychiatrie, la prise en charge du handicap ou encore la protection judiciaire de la jeunesse : « Un jeune en détresse psychiatrique qui casse des meubles, qu’est-ce qu’on peut faire pour lui ? C’est une situation qui relève du soin. »
    Pour les mineurs étrangers, l’accès à la régularisation à la majorité vient également entraver des parcours d’insertion. « On a des situations où un employeur qui voulait accueillir un jeune doit renoncer, parce que son titre de séjour prend des mois à arriver, déplore Stéphane Troussel. L’Etat doit prendre ses responsabilités dans les compétences qui lui reviennent. »
    Face à la bronca des départements, le gouvernement se dit prêt à envisager une « renationalisation » de la protection de l’enfance, même si cette option n’est pas sa « logique première », a indiqué, mercredi 11 octobre, la secrétaire d’Etat à l’enfance, Charlotte Caubel.« Faut-il que l’Etat se charge de l’évaluation de la minorité de ces jeunes, de leur mise à l’abri – auxquelles il contribue déjà – ou plus largement de leur prise en charge ? La discussion est ouverte avec les départements », a indiqué Charlotte Caubel à l’Agence France-Presse. L’idée d’une renationalisation ne séduit pas les présidents de départements. « Laisser croire que l’Etat ferait mieux que nous dans le travail de proximité est scandaleux pour nos agents. Qui veut le retour des DDASS d’antan [supprimées en 2010 et qui relevaient de la compétence de l’Etat] ? » s’agace François Sauvadet.

    #Covid-19#migrant#migration#sante#france#mineurisole#politiquemigratoire#accueil#minorite#regularisation#protectionenfance#parcoursmigratoire#insertion

  • Les organismes de #foncier solidaire face aux contraintes du marché
    https://metropolitiques.eu/Les-organismes-de-foncier-solidaire-face-aux-contraintes-du-marche.h

    Créés en 2014 par la loi ALUR pour pérenniser les aides à l’accession abordable, les organismes de foncier solidaire (OFS) se sont multipliés en France. Hélène Morel montre qu’ils répondent en partie aux tensions du marché du #logement, mais ne résolvent pas la compétition entre opérateurs pour l’accès au foncier. En novembre 2018, à Lille, lors des premières rencontres du Réseau des organismes de foncier solidaire (OFS), Julien Denormandie, ministre chargé de la Ville et du Logement, affirme qu’à ses yeux « #Essais

    / foncier, #habitat, logement, accession à la propriété

    #accession_à_la_propriété
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_morel.pdf

  • #Etienne_Balibar : #Palestine à la #mort

    L’instinct de mort ravage la terre de Palestine et #massacre ses habitants. Nous sommes dans un cercle d’#impuissance et de calcul dont on ne sortira pas. La #catastrophe ira donc à son terme, et nous en subirons les conséquences.

    Les commandos du #Hamas, enfermés avec deux millions de réfugiés dans ce qu’on a pu appeler une « prison à ciel ouvert », se sont enterrés et longuement préparés, recevant le soutien d’autres puissances régionales et bénéficiant d’une certaine complaisance de la part d’Israël, qui voyait en eux son « ennemi préféré ».

    Ils ont réussi une sortie offensive qui a surpris Tsahal occupée à prêter main forte aux colons juifs de Cisjordanie, ce qui, de façon compréhensible, a engendré l’enthousiasme de la jeunesse palestinienne et de l’opinion dans le monde arabe.

    À ceci près qu’elle s’est accompagnée de #crimes particulièrement odieux contre la population israélienne : assassinats d’adultes et d’enfants, tortures, viols, enlèvements. De tels crimes ne sont jamais excusables par la #légitimité de la cause dont ils se réclament.

    Malgré le flou de l’expression, ils justifient qu’on parle de #terrorisme, non seulement à propos des actions, mais à propos de l’organisation de #résistance_armée qui les planifie. Il y a plus : il est difficile de croire que l’objectif (en tout cas le risque assumé) n’était pas de provoquer une #riposte d’une violence telle que la #guerre entrerait dans une phase nouvelle, proprement « exterministe », oblitérant à jamais les possibilités de #cohabitation des deux peuples. Et c’est ce qui est en train de se passer.

    Mais cela se passe parce que l’État d’Israël, officiellement redéfini en 2018 comme « État-nation du peuple juif », n’a jamais eu d’autre projet politique que l’#anéantissement ou l’#asservissement du peuple palestinien par différents moyens : #déportation, #expropriation, #persécution, #assassinats, #incarcérations. #Terrorisme_d'Etat.

    Il n’y a qu’à regarder la carte des implantations successives depuis 1967 pour que le processus devienne absolument clair. Après l’assassinat de Rabin, les gouvernements qui avaient signé les #accords_d’Oslo n’en ont pas conclu qu’il fallait faire vivre la solution « à deux États », ils ont préféré domestiquer l’#Autorité_Palestinienne et quadriller la #Cisjordanie de #checkpoints. Et depuis qu’une #droite_raciste a pris les commandes, c’est purement et simplement de #nettoyage_ethnique qu’il s’agit.

    Avec la « #vengeance » contre le Hamas et les Gazaouis, qui commence maintenant par des massacres, un #blocus_alimentaire et sanitaire, et des #déplacements_de_population qu’on ne peut qualifier autrement que de génocidaires, c’est l’irréparable qui se commet. Les citoyens israéliens qui dénonçaient l’instrumentalisation de la Shoah et se battaient contre l’#apartheid ne sont presque plus audibles. La fureur colonialiste et nationaliste étouffe tout.

    Il n’y a en vérité qu’une issue possible : c’est l’intervention de ladite communauté internationale et des autorités dont elle est théoriquement dotée, exigeant un #cessez-le-feu immédiat, la libération des #otages, le jugement des #crimes_de_guerre commis de part et d’autre, et la mise en œuvre des innombrables résolutions de l’ONU qui sont restées lettre morte.

    Mais cela n’a aucune chance de se produire : ces institutions sont neutralisées par les grandes ou moyennes puissances impérialistes, et le conflit judéo-arabe est redevenu un enjeu des manœuvres auxquelles elles se livrent pour dessiner les sphères d’influence et les réseaux d’alliances, dans un contexte de guerres froides et chaudes. Les stratégies « géopolitiques » et leurs projections régionales oblitèrent toute légalité internationale effective.

    Nous sommes dans un cercle d’impuissance et de calcul dont on ne sortira pas. La catastrophe ira donc à son terme, et nous en subirons les conséquences.

    https://blogs.mediapart.fr/etienne-balibar/blog/211023/palestine-la-mort

    #7_octobre_2023 #génocide #colonialisme #nationalisme

  • À #Volvic, #Danone accusée d’assécher les ruisseaux pour produire 7 millions de bouteilles plastiques d’eau par jour | La Relève et La Peste
    https://lareleveetlapeste.fr/a-volvic-danone-accusee-dassecher-les-ruisseaux-pour-produire-7-mi

    “Dans ce contexte précis, l’argument du changement climatique est inadapté”, avance le chercheur, chiffres à l’appui : “Entre 1971 et 1999, la pluviométrie moyenne était de 755 millimètre par an. Entre 1999 et 2018, elle était était de 751 millimètre par an. Elle était donc quasi-identique, alors même que le débit des sources a été divisé par 8 et que les prélèvements de la #SEV ont, eux, été multipliés par dix en 40 ans. Et avec tout ça, on voudrait nous faire croire que les prélèvements d’eau par Danone n’y sont pour rien ?”

    Face à cette situation, les demandes de l’association Preva sont claires : en premier lieu, baisser drastiquement les prélèvements de la SEV.

    “Ces prélèvements sont actuellement bien supérieurs à la capacité de renouvellement de la ressource, détaille Sylvie De Larouzière. Ça ne peut plus durer, sachant que le fait même d’embouteiller dans des bouteilles en plastique, qui sont en plus ensuite vendues majoritairement à l’étranger, c’est vraiment un système de l’ancien monde…”

    #eau

  • Lettre ouverte au président de la République française - L’Orient-Le Jour
    https://www.lorientlejour.com/article/1354010/lettre-ouverte-au-president-de-la-republique-francaise.html

    Lettre ouverte au président de la République française
    OLJ / Par Dominique EDDÉ, le 20 octobre 2023 à 10h30

    Monsieur le Président,

    C’est d’un lieu ruiné, abusé, manipulé de toutes parts, que je vous adresse cette lettre. Il se pourrait qu’à l’heure actuelle, notre expérience de l’impuissance et de la défaite ne soit pas inutile à ceux qui, comme vous, affrontent des équations explosives et les limites de leur toute puissance.

    Je vous écris parce que la France est membre du Conseil de sécurité de l’ONU et que la sécurité du monde est en danger. Je vous écris au nom de la paix.

    L’horreur qu’endurent en ce moment les Gazaouis, avec l’aval d’une grande partie du monde, est une abomination. Elle résume la défaite sans nom de notre histoire moderne. La vôtre et la nôtre. Le Liban, l’Irak, la Syrie sont sous terre. La Palestine est déchirée, trouée, déchiquetée selon un plan parfaitement clair : son annexion. Il suffit pour s’en convaincre de regarder les cartes.

    Le massacre par le Hamas de centaines de civils israéliens, le 7 octobre dernier, n’est pas un acte de guerre. C’est une ignominie. Il n’est pas de mots pour en dire l’étendue. Si les arabes ou les musulmans tardent, pour nombre d’entre eux, à en dénoncer la barbarie, c’est que leur histoire récente est jonchée de carnages, toutes confessions confondues, et que leur trop plein d’humiliation et d’impotence a fini par épuiser leur réserve d’indignation ; par les enfermer dans le ressentiment. Leur mémoire est hantée par les massacres, longtemps ignorés, commis par des Israéliens sur des civils palestiniens pour s’emparer de leurs terres. Je pense à Deir Yassin en 1948, à Kfar Qassem en 1956. Ils ont par ailleurs la conviction – je la partage – que l’implantation d’Israël dans la région et la brutalité des moyens employés pour assurer sa domination et sa sécurité ont très largement contribué au démembrement, à l’effondrement général. Le colonialisme, la politique de répression violente et le régime d’apartheid de ce pays sont des faits indéniables. S’entêter dans le déni, c’est entretenir le feu dans les cerveaux des uns et le leurre dans les cerveaux des autres. Nous savons tous par ailleurs que l’islamisme incendiaire s’est largement nourri de cette plaie ouverte qui ne s’appelle pas pour rien « la Terre sainte ». Je vous rappelle au passage que le Hezbollah est né au Liban au lendemain de l’occupation israélienne, en 1982, et que les désastreuses guerres du Golfe ont donné un coup d’accélérateur fatal au fanatisme religieux dans la région.

    Qu’une bonne partie des Israéliens reste traumatisée par l’abomination de la Shoah et qu’il faille en tenir compte, cela va de soi. Que vous soyez occupé à prévenir les actes antisémites en France, cela aussi est une évidence. Mais que vous en arriviez au point de ne plus rien entendre de ce qui se vit ailleurs et autrement, de nier une souffrance au prétexte d’en soigner une autre, cela ne contribue pas à pacifier. Cela revient à censurer, diviser, boucher l’horizon. Combien de temps encore allez-vous, ainsi que les autorités allemandes, continuer à puiser dans la peur du peuple juif un remède à votre culpabilité ? Elle n’est plus tolérable cette logique qui consiste à s’acquitter d’un passé odieux en en faisant porter le poids à ceux qui n’y sont pour rien. Écoutez plutôt les dissidents israéliens qui, eux, entretiennent l’honneur. Ils sont nombreux à vous alerter, depuis Israël et les États-Unis.

    Commencez, vous les Européens, par exiger l’arrêt immédiat des bombardements de Gaza. Vous n’affaiblirez pas le Hamas ni ne protégerez les Israéliens en laissant la guerre se poursuivre. Usez de votre voix non pas seulement pour un aménagement de corridors humanitaires dans le sillage de la politique américaine, mais pour un appel à la paix ! La souffrance endurée, une décennie après l’autre, par les Palestiniens n’est plus soutenable. Cessez d’accorder votre blanc-seing à la politique israélienne qui emmène tout le monde dans le mur, ses citoyens inclus. La reconnaissance, par les États-Unis, en 2018, de Jérusalem capitale d’Israël ne vous a pas fait broncher. Ce n’était pas qu’une insulte à l’histoire, c’était une bombe. Votre mission était de défendre le bon sens que prônait Germaine Tillion « Une Jérusalem internationale, ouverte aux trois monothéismes. » Vous avez avalisé, cette même année, l’adoption par la Knesset de la loi fondamentale définissant Israël comme « l’État-Nation du peuple juif ». Avez-vous songé un instant, en vous taisant, aux vingt et un pour cent d’Israéliens non juifs ? L’année suivante, vous avez pour votre part, Monsieur le Président, annoncé que « l’antisionisme est une des formes modernes de l’antisémitisme. » La boucle était bouclée. D’une formule, vous avez mis une croix sur toutes les nuances. Vous avez feint d’ignorer que, d’Isaac Breuer à Martin Buber, un grand nombre de penseurs juifs étaient antisionistes. Vous avez nié tous ceux d’entre nous qui se battent pour faire reculer l’antisémitisme sans laisser tomber les Palestiniens. Vous passez outre le long chemin que nous avons fait, du côté dit « antisioniste », pour changer de vocabulaire, pour reconnaître Israël, pour vouloir un avenir qui reprenne en compte les belles heures d’un passé partagé. Les flots de haine qui circulent sur les réseaux sociaux, à l’égard des uns comme des autres, n’exigent-ils pas du responsable que vous êtes un surcroît de vigilance dans l’emploi des mots, la construction des phrases ? À propos de paix, Monsieur le Président, l’absence de ce mot dans votre bouche, au lendemain du 7 octobre, nous a sidérés. Que cherchons-nous d’autre qu’elle au moment où la planète flirte avec le vide ?

    Les accords d’Abraham ont porté le mépris, l’arrogance capitaliste et la mauvaise foi politique à leur comble. Est-il acceptable de réduire la culture arabe et islamique à des contrats juteux assortis – avec le concours passif de la France – d’accords de paix gérés comme des affaires immobilières ? Le projet sioniste est dans une impasse. Aider les Israéliens à en sortir demande un immense effort d’imagination et d’empathie qui est le contraire de la complaisance aveuglée. Assurer la sécurité du peuple israélien c’est l’aider à penser l’avenir, à l’anticiper, et non pas le fixer une fois pour toutes à l’endroit de votre bonne conscience, l’œil collé au rétroviseur. Ici, au Liban, nous avons échoué à faire en sorte que vivre et vivre ensemble ne soient qu’une et même chose. Par notre faute ? En partie, oui. Mais pas seulement. Loin de là. Ce projet était l’inverse du projet israélien qui n’a cessé de manœuvrer pour le rendre impossible, pour prouver la faillite de la coexistence, pour encourager la fragmentation communautaire, les ghettos. À présent que toute cette partie du monde est au fond du trou, n’est-il pas temps de décider de tout faire autrement ? Seule une réinvention radicale de son histoire peut rétablir de l’horizon.

    En attendant, la situation dégénère de jour en jour : il n’y a plus de place pour les postures indignées et les déclarations humanitaires. Nous voulons des actes. Revenez aux règles élémentaires du droit international. Demandez l’application, pour commencer, des résolutions de l’ONU. La mise en demeure des islamistes passe par celle des autorités israéliennes. Cessez de soutenir le nationalisme religieux d’un côté et de le fustiger de l’autre. Combattez les deux. Rompez cette atmosphère malsaine qui donne aux Français de religion musulmane le sentiment d’être en trop s’ils ne sont pas muets.

    Écoutez Nelson Mandela, admiré de tous à bon compte : « Nous savons parfaitement que notre liberté est incomplète sans celle des Palestiniens, » disait-il sans détour. Il savait, lui, qu’on ne fabrique que de la haine sur les bases de l’humiliation. On traitait d’animaux les noirs d’Afrique du Sud. Les juifs aussi étaient traités d’animaux par les nazis. Est-il pensable que personne, parmi vous, n’ait publiquement dénoncé l’emploi de ce mot par un ministre israélien au sujet du peuple palestinien ? N’est-il pas temps d’aider les mémoires à communiquer, de les entendre, de chercher à comprendre là où ça coince, là où ça fait mal, plutôt que de céder aux affects primaires et de renforcer les verrous ? Et si la douleur immense qu’éprouve chaque habitant de cette région pouvait être le déclic d’un début de volonté commune de tout faire autrement ? Et si l’on comprenait soudain, à force d’épuisement, qu’il suffit d’un rien pour faire la paix, tout comme il suffit d’un rien pour déclencher la guerre ? Ce « rien » nécessaire à la paix, êtes-vous sûrs d’en avoir fait le tour ? Je connais beaucoup d’Israéliens qui rêvent, comme moi, d’un mouvement de reconnaissance, d’un retour à la raison, d’une vie commune. Nous ne sommes qu’une minorité ? Quelle était la proportion des résistants français lors de l’occupation ? N’enterrez pas ce mouvement. Encouragez-le. Ne cédez pas à la fusion morbide de la phobie et de la peur. Ce n’est plus seulement de la liberté de tous qu’il s’agit désormais. C’est d’un minimum d’équilibre et de clarté politique en dehors desquels c’est la sécurité mondiale qui risque d’être dynamitée.

    Par Dominique EDDÉ. Écrivaine.

  • La « malédiction de l’or » : une tragédie préméditée - Centre tricontinental
    https://www.cetri.be/La-malediction-de-l-or-une

    Riches en ressources minérales, les terres indigènes au Brésil attisent les convoitises, à l’exemple du Territoire Yanomami dans l’État amazonien du Roraima. Sous la présidence de Jair Bolsonaro, les orpailleurs clandestins y ont multiplié les incursions, les abus contre les communautés et les atteintes à l’environnement. Si le retour au pouvoir de Lula marque un répit pour les communautés indigènes, les évolutions politiques internes et la demande croissante en métaux dits « critiques », nécessaires à notre transition énergétique, risquent de relancer de plus belle la course prédatrice à la ressource dans leur territoire.

    #Or #métaux_rares #Amazonie #Accaparement

  • #Suisse : Renvois par #vols_spéciaux : #déficiences et #conflits_d’intérêt révélés par les médias suisses

    Après deux années de procédure, ESH Médias (ArcInfo, Le Nouvelliste et La Côte), La Liberté et Le Temps ont eu gain de cause devant le Tribunal administratif fédéral au nom de la Loi sur la transparence. Le Secrétariat d’État aux Migrations (SEM) a dû leur transmettre quatre rapports de surveillance, traitant de l’#accompagnement_médical des personnes renvoyées par vols spéciaux, qu’il ne souhaitait pas rendre publics. Ces rapports de JDMT Medical Services dénoncent des déficiences systématiques dans l’accompagnement médical des retours par vols spéciaux de 2019 à 2022, ainsi que les conflits d’intérêts d’Oseara, société mandatée par le SEM chargée à la fois d’évaluer l’aptitude au vol des personnes et d’assurer l’accompagnement médical lors de ces vols spéciaux.

    Nous saluons la démarche et la ténacité d’ESH Médias, La Liberté et Le Temps, et vous invitons à lire les articles de leurs journalistes Bayron Schwyn, Philippe Boeglin et Xavier Lambiel :

    > Bayron Schwyn dans ArcInfo, Renvois forcés de migrants en Suisse : dix ans d’opacité et de lacunes autour de l’accompagnement médical (17.10.23 : https://www.arcinfo.ch/suisse/renvois-forces-de-migrants-en-suisse-dix-ans-dopacite-et-de-lacunes-autour-d), Le Nouvelliste, Renvois forcés de migrants en Suisse : dix ans d’opacité et de lacunes autour de l’accompagnement médical, (17.10.23 : https://www.lenouvelliste.ch/suisse/renvois-forces-de-migrants-en-suisse-dix-ans-dopacite-et-de-lacunes-au), et La Côte, Renvois forcés de migrants en Suisse : dix ans d’#opacité et de #lacunes autour de l’accompagnement médical (17.10.23 : https://www.lacote.ch/suisse/renvois-forces-de-migrants-en-suisse-dix-ans-dopacite-et-de-lacunes-autour-de)

    > Philippe Boeglin dans Le Temps, Renvois de migrants par avion : la Suisse vertement critiquée, (17.10.23 : https://www.letemps.ch/suisse/renvois-de-migrants-par-avion-le-secretariat-d-etat-aux-migrations-et-la-soc) et Commentaire dans Le Temps, Oui aux renvois, mais pas comme cela (17.10.23 : https://www.letemps.ch/opinions/oui-aux-renvois-mais-pas-comme-cela)

    > Xavier Lambiel dans La Liberté, Vols spéciaux : les pratiques douteuses de la société chargée du suivi médical des requérants déboutés (17.10.23 : https://www.laliberte.ch/news/suisse/vols-speciaux-les-pratiques-douteuses-de-la-societe-chargee-du-suivi-medic), Le Courrier, L’autre face sombre des renvois (17.10.23 : https://lecourrier.ch/2023/10/17/lautre-face-sombre-des-renvois), et Le Quotidien Jurassien, Renvois forcés des migrants : dix ans d’opacité et de lacunes (16.10.23 : https://www.lqj.ch/articles/renvois-forces-des-migrants-dix-ans-dopacite-et-de-lacunes-62781)

    https://asile.ch/2023/10/17/renvois-par-vols-speciaux-deficiences-et-conflits-dinteret-reveles-au-grand-jo
    #vol_spécial #migrations #réfugiés #sans-papiers #renvois #expulsions #renvois_forcés