• Accords en toile d’araignée sur les migrations
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    Titre : Accords en toile d’araignée sur les migrations — 2010 Mots-clés : #frontières #UE #Europe #asile #politique_de_voisinage #marges #France #migrations #politique_migratoire #accord_de_réadmission Auteur : Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz Date : Juin 2010 Accords en toile d’araignée sur les migrations Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz, juin 2010. #Collection_cartographique

  • La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Bosnia ed Erzegovina: il Paese-trappola dove i rifugiati non trovano protezione

    Il Paese balcanico continua a essere sprovvisto di un vero sistema d’asilo, ma con l’avvio dell’accordo di riammissione con il Pakistan cerca di non essere più nemmeno luogo di transito. Esponendo i richiedenti asilo alla violazione sistematica dei loro diritti. Il commento di Gianfranco Schiavone

    Colpisce vedere avviato, nell’agosto 2022, seppure con numeri simbolici, l’accordo di riammissione tra Bosnia ed Erzegovina e Pakistan del luglio 2021, dal momento che nel Paese balcanico il numero di migranti e richiedenti asilo continua a essere irrilevante. Come evidenziato dai dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), a giugno 2022 sono arrivati poco più di duemila migranti. Nonostante il 95% abbia espresso intenzione di chiedere asilo e il secondo gruppo più numeroso sia costituito da cittadini afghani (la cui necessità di protezione è evidente) tale intenzione non si concretizza per quasi nessuno di loro tanto che sono pendenti 141 domande di protezione, tra cui dieci relative a cittadini pakistani. Il diritto d’asilo in Bosnia ed Erzegovina, a metà 2022, continua dunque a essere all’anno zero, ovvero allo stesso punto in cui si trovava al momento della pubblicazione, a luglio 2021 del rapporto di Rivolti ai Balcani “ Bosnia Erzegovina. La mancata accoglienza”.

    A un anno di distanza ritengo importante riprendere le parole contenute in quel rapporto laddove si ricordava come esiste “un quadro ben più complesso della facile spiegazione che riconduce l’assenza dei rifugiati nei Balcani alla sola ragione legata alla loro scelta di andare altrove. Tale spinta, che senza alcun dubbio esiste, è prodotta anche dal fatto che provare a rimanere è impossibile: le condizioni di assoluto e inaccettabile degrado nei campi di ‘accoglienza’, la mancanza di ogni forma di accoglienza ordinaria alternativa alla logica dei campi, la radicale assenza di qualsiasi percorso di integrazione sociale, anche per i pochi titolari di protezione internazionale, l’applicazione di criteri rigidi e i tempi d’attesa lunghissimi per l’esame delle domande (prossimi a due anni, nonostante i pochissimi richiedenti), la mancanza, nei diversi ordinamenti, di una forma di protezione aggiuntiva a quella internazionale, compongono un paradigma espulsivo durissimo”.

    Inseguendo una strategia alquanto ardita, la Bosnia ed Erzegovina, con il supporto dell’Unione europea, non solo vuole rimanere uno Stato senza un vero sistema di asilo ma, con l’avvio dell’accordo di riammissione con il Pakistan, cerca di non essere più nemmeno un Paese di transito. Sembra bensì aspirare a divenire un Paese-trappola dove i rifugiati non possono godere di alcuna protezione e nello stesso tempo sono esposti al rischio di respingimento verso lo Stato d’origine. Come fa ben notare la ricercatrice Gorana Mlinarevic la natura giuridicamente ambigua dei campi di confinamento sorti in Bosnia negli ultimi anni e del Temporary reception centre di Lipa in particolare (oggetto del rapporto di RiVolti ai Balcani “Lipa. Il campo dove fallisce l’Europa”) si presta benissimo a trasformare tali luoghi in centri di detenzione, anche de facto, da cui effettuare le espulsioni. Uno scenario che è stato ipotizzato anche in occasione del convegno internazionale “I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo”, organizzato da Rivolti ai Balcani e dal Centro Balducci nel maggio 2022.

    La strategia criminosa del Paese-trappola è uno scenario concreto. Favorito, come di nuovo fa ben notare la Mlinarevic, dall’assenza, in Bosnia ed Erzegovina, di una rete di organizzazioni indipendenti che abbiano la capacità di monitorare il rispetto della legalità nei campi di confinamento e sul territorio. Si tratta però anche di una strategia molto difficile da realizzare, persino in Paese come la Bosnia dal momento che, pur nel quadro di sostanziale disprezzo per i diritti dei migranti -trattati come non-persone- non potrà essere impedito l’esercizio del diritto d’asilo, ai cittadini pakistani come ad afghani, iraniani e a cittadini di altre nazionalità. Un diritto che fino ad ora non veniva esercitato da chi ne aveva titolo, per usufruire di una sorta di informale “diritto di transito”. Scenario che potrebbe cambiare bruscamente trasformando questo piccolo Paese in una destinazione, almeno temporanea, di rifugiati.

    Rimangono quindi inalterate nella loro validità le raccomandazioni di RiVolti ai Balcani contenute nel rapporto “Rotta balcanica. Migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” dove si sottolineava la assoluta necessità di “supportare la Bosnia ed Erzegovina e gli altri Paesi non-Ue dell’area balcanica nella progressiva costruzione di sistemi di asilo realmente sostenibili alle loro possibilità e condizioni evitando in ogni caso la realizzazione di campi di confinamento” e, in parallelo, si chiedeva l’istituzione di “un sistema di relocation europeo dai Paesi non appartenenti all’Unione dell’area balcanica”.

    https://altreconomia.it/bosnia-ed-erzegovina-il-paese-trappola-dove-i-rifugiati-non-trovano-pro

    #Bosnie-Herzégovine #asile #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #Bosnie #Pakistan #réfugiés_pakistanais #renvois #accord_de_réadmission #accord_bilatéral

  • #Maroc. À #Nador, les morts sont africains, l’argent européen

    Le 24 juin 2022, au moins 23 migrants sont morts à la frontière entre le Maroc et l’Espagne, et il y a eu plus d’une centaine de blessés des deux côtés. L’ONU et l’Union africaine exigent une enquête indépendante. La coopération migratoire entre le Maroc et l’#Espagne est de nouveau pointée du doigt. Reportage à Nador.

    Il est 14 h à Nador, nous sommes le samedi 25 juin 2022, le lendemain des tragiques incidents sur la frontière entre le Maroc et #Melilla, enclave sous occupation espagnole. Un silence de mort règne dans cette ville rifaine. Chez les officiels locaux, l’omerta règne. Les portes sont closes. « Revenez lundi », nous dit-on sur place. Aucune information ne filtre sur le nombre exact des morts, des blessés et des personnes refoulées vers d’autres villes marocaines. Un homme s’active pour informer le monde sur ce qui se passe ; il s’appelle Omar Naji.

    L’odeur de la mort

    Ce militant de l’Association marocaine des droits de l’homme (AMDH) à Nador alerte l’opinion publique et les autorités sur ce drame écrit d’avance depuis une décennie. « Les acteurs de ce drame sont les politiques européennes d’#externalisation des frontières, le Maroc qui agit en tant qu’exécutant et des organisations internationales faiblement impliquées pour protéger les migrants et les réfugiés », accuse-t-il, sans détour. Faute d’une enquête judiciaire, Omar Naji tente dès les premières heures de la tragédie de récolter quelques pièces à conviction.

    Nous rencontrons Omar à la sortie de la morgue de Nador où se trouvent les corps des migrants morts sur la frontière. Ce militant sent l’odeur de la mort. « Les scènes que je viens de voir sont insoutenables. Des corps jonchent le sol depuis 24 heures. Les dépouilles baignent dans leur sang. Les installations de la morgue sont débordées », lâche-t-il, encore sous le coup de l’émotion.

    Deuxième étape dans cette quête d’indices pour reconstituer le puzzle de drame du 24 juin. À la permanence, les policiers ont passé une nuit blanche à réaliser les procès-verbaux des 68 migrants qui allaient être présentés le lundi 27 juin au parquet. La police a rassemblé les bâtons et les quelques objets tranchants utilisés par les migrants lors de la tentative de franchissement de la barrière. Pour la police judiciaire, ce sont les « pièces à conviction » qui ont permis au procureur de demander des poursuites judiciaires contre les migrants aujourd’hui en détention provisoire.

    Troisième étape dans cette contre-enquête de Omar Naji, la récolte de témoignages de personnes en migration. Nous nous rendons sur le mont Gourougou, où les migrants sont dans des campements de fortune. La voiture du militant démarre, nous sommes pris en filature par des membres de services de sécurité. Sur la route de la rocade méditerranéenne, nous passons devant les murs de Nador-Melilla. Ce dispositif est composé de 3 clôtures de 6 mètres de haut et 12 kilomètres de long. Les lames tranchantes, responsables de graves blessures parmi les migrants durant des années, ont été remplacées par des obstacles anti-grimpe et une haute technologie de surveillance, le tout financé par l’Union européenne (UE). « Le Maroc creuse une deuxième tranchée pour compliquer le passage des migrants. Le pays joue son rôle de gendarme, surtout depuis la reprise de la coopération sécuritaire et migratoire avec l’Espagne en mars 2022 », estime Naji. Une semaine avant les incidents, les ministères de l’intérieur des deux pays se sont engagés à « poursuivre leur #coopération_sécuritaire ». Le 6 mai dernier, le groupe migratoire mixte permanent maroco-espagnol avait fixé l’agenda sécuritaire de coopération entre les deux pays.

    Chasse aux migrants ou lutte contre « les réseaux » ?

    À #Barrio_Chino, point frontalier où s’est déroulée une partie des événements, des vêtements de migrants sont encore accrochés aux grillages. Canon à eau et forces d’intervention sont stationnés sur place pour faire face à de nouveaux assauts. Nous continuons notre chemin à la recherche de campements de migrants. Tout au long de l’année, les forces de l’ordre marocaines mènent des opérations pour chasser les migrants sous l’argument du « démantèlement de réseaux de trafic des êtres humains ». Pour Ali Zoubeidi, chercheur spécialiste en migrations, « il y a des réseaux de trafic présents dans d’autres endroits du Maroc, mais pas vers Melilla », observe-t-il, dans une déclaration à Infomigrants. La #Boza par Melilla est gratuite, c’est la route empruntée par les migrants sans moyens. Dans les faits, les #ratissages visent à disperser les migrants le plus loin possible de la frontière avec Melilla.

    Dans un communiqué, 102 organisations africaines et européennes dénoncent les violations systématiques des #droits_humains à Nador : « Depuis plus d’un an et demi, les personnes en migration sont privées d’accès aux médicaments, aux soins, voient leurs campements brûlés et leurs biens spoliés ».

    En 2021, l’AMDH Nador avait recensé 37 opérations de ratissage. Un chiffre en nette baisse en raison du Covid-19 et du confinement. En 2019, les opérations avaient atteint le chiffre record de 134 interventions. « Cette route a été réalisée spécialement pour permettre aux engins des forces de l’ordre d’accéder à la forêt », rappelle Naji, dont le téléphone ne cesse de recevoir des appels de journalistes d’un peu partout dans le monde. En pleine forêt, nous passons devant un campement des #Forces_auxiliaires, corps de sécurité géré directement par le ministère de l’intérieur. Ce camp, avec ses bâtisses en dur et plusieurs tentes, a été construit spécialement pour permettre des interventions rapides dans les #campements.

    Après une heure de route, Naji arrive à la conclusion suivante : « Les opérations menées par les forces de l’ordre ont poussé les migrants à fuir la forêt et toute la ville de Nador ». Nous quittons la forêt et nous croisons sur notre chemin les hauts responsables sécuritaires de la région, venus à bord de deux véhicules militaires, des #Humvee, pour inspecter les lieux. Les seuls migrants présents dans cette ville sont soit morts, soit à l’hôpital, soit emprisonnés. Les migrants ont été dispersés vers plusieurs villes du centre du Maroc (Béni Mellal et Kelaat Sraghna). Cette situation dramatique, au retentissement international, est la conséquence d’une #coopération_sécuritaire entre le Maroc et l’Espagne, avec un financement européen.

    L’UE, cynique bailleur de fonds

    Depuis 2007, l’UE a versé au Maroc 270 millions d’euros pour financer les différents volets sécuritaires de la politique migratoire marocaine. Ce financement se fait directement ou via des instances européennes et espagnoles (Fondation internationale et ibéro-américaine pour l’administration et les politiques publiques, International, Center for Migration Policy Development, etc.). Des montants que le Maroc considère « insuffisants au regard des efforts déployés par le pays pour la gestion des frontières ».

    Depuis 2013, cette coopération s’inscrit dans le cadre du #Partenariat_pour_la_mobilité. Le financement européen en matière d’immigration aussi passe par le #Fonds_fiduciaire_d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique ou des agences souvent espagnoles chargées d’acquérir des équipements sécuritaires pour le royaume chérifien (drones, radars, quads, bus, véhicules tout-terrain…). La Commission européenne (CE) présente ce financement avec des éléments de langage connus : « développer le système marocain de gestion des frontières, et de lutter de manière plus efficace contre le trafic d’êtres humains ». L’UE soutient aussi la #Stratégie_nationale_pour_l’immigration_et_l’asile adoptée par le Maroc en 2014. Cette politique est désormais en stand-by, avec un retour en force d’une vision sécuritaire.

    Dans ses négociations avec la CE, le Maroc compte un allié de taille, l’Espagne. Le royaume fait valoir de son côté « une reprise de la pression migratoire sur le Maroc », comme aime le rappeler #Khalid_Zerouali, directeur de l’immigration et de la surveillance des frontières au ministère de l’intérieur marocain, dans ses sorties médiatiques adressées à ses partenaires européens. Le Maroc se positionne comme partenaire fiable de l’UE et invite son partenaire européen à « la #responsabilité_partagée ». Les routes migratoires marocaines sont les premières portes d’entrée vers l’Europe depuis 2019. L’Intérieur brandit ses chiffres de 2021 : 63 121 migrants arrêtés, 256 réseaux criminels démantelés et 14 000 migrants secourus en mer, en majorité des Marocains.

    Chantages et pressions

    Dans ce contexte, un #chantage est exercé de part et d’autre. L’UE veut amener le Maroc à héberger des centres de débarquement de migrants (#hotspots) et signer avec le royaume un #accord_de_réadmission globale Maroc-UE. Sur ces deux sujets, Rabat continue d’afficher une fin de non-recevoir à ces demandes. Sur le plan bilatéral, la France fait un chantage aux #visas pour pousser le Maroc à rapatrier ses immigrants irréguliers. De son côté, le Maroc a fait de la gestion de l’immigration irrégulière une carte diplomatique, comme l’ont montré les évènements de Ceuta en mai 2021.

    La migration devient ainsi un moyen de pression pour obtenir des gains sur le dossier du Sahara. Un sujet sensible qui a été le cœur d’un gel diplomatique entre le Maroc et l’Espagne durant plus d’un an. La reprise des relations entre les deux pays en mars 2022 a réactivé la coopération sécuritaire entre les deux pays voisins. Pour les 102 organisations des deux continents, ce retour de la coopération est à la source du drame de Nador. « La mort de ces jeunes Africains sur les frontières alerte sur la nature mortifère de la coopération sécuritaire en matière d’immigration entre le Maroc et l’Espagne », peut-on lire dans ce document.

    Mehdi Alioua, sociologue et professeur à l’Université internationale de Rabat, accuse en premier l’UE et sa politique migratoire : « Ces frontières sont celles de la honte parce qu’elles sont totalement absurdes et hypocrites. Ces frontières sont incohérentes, elles sont là pour mettre en scène la “#frontiérisation”. […] La #responsabilité des Européens est directe. La responsabilité du Maroc de ce point de vue est indirecte », déclare-t-il dans une interview pour Medias24
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    Des migrants criminalisés et des corps à la morgue

    Nador, avec ses deux frontières maritime et terrestre avec l’Europe, est pris au piège de ces frontières. Les migrants payent le prix fort. L’an dernier 81 personnes sont mortes à Nador, noyées ou sur les grillages. Face au tollé mondial suscité par ces événements, le gouvernement marocain est sur la défensive. L’exécutif tente de présenter sa version des faits. Signe des temps, cette stratégie de damage control a été sous-traitée par des universitaires, des ONG ou des médias proches de l’État. Ils accusent tous… l’Algérie. Le chef du gouvernement espagnol accuse les “mafias” qui seraient responsables de ce drame tout en “saluant le Maroc pour son professionnalisme”.

    Loin de cette bataille des récits, les militants sur le terrain continuent à panser les blessures des migrants, rechercher les noms des disparus et leurs nationalités, tenter de mobiliser les avocats pour la défense des migrants poursuivis à Nador. Ce procès, qui a démarré le 27 juin, s’annonce comme le plus grand procès des personnes en migration au Maroc. Vingt-huit migrants sont poursuivis avec de lourdes charges pénales. Un deuxième groupe de 37 migrants, dont un mineur, est poursuivi pour des délits. Pendant ce temps, les corps des migrants morts sont toujours à la morgue, sans autopsie ni enquête judiciaire pour établir les circonstances de leurs décès.

    https://orientxxi.info/magazine/maroc-a-nador-les-morts-sont-africains-l-argent-europeen,5734
    #décès #morts #migrations #asile #réfugiés #mourir_en_Europe #frontières #mourir_aux_frontières

  • Status agreement with Senegal : #Frontex might operate in Africa for the first time

    The border agency in Warsaw could deploy drones, vessels and personnel. It would be the first mission in a country that does not directly border the EU. Mauretania might be next.

    As a „priority third state“ in West Africa, Senegal has long been a partner for migration-related security cooperation with the EU. The government in Dakar is one of the addressees of the „#North_Africa_Operational_Partnership“; it also receives technical equipment and advice for border police upgrading from EU development aid funds. Now Brussels is pushing for a Frontex mission in Senegal. To this end, Commission President Ursula von der Leyen travelled personally to the capital Dakar last week. She was accompanied by the Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, who said that a contract with Senegal might be finalised until summer. For the matter, Johansson met with Senegal’s armed-forces minister and foreign minister.

    For operations outside the EU, Frontex needs a so-called status agreement with the country concerned. It regulates, for example, the use of coercive police measures, the deployment of weapons or immunity from criminal and civil prosecution. The Commission will be entrusted with the negotiations for such an agreement with Senegal after the Council has given the mandate. The basis would be a „model status agreement“ drafted by the Commission on the basis of Frontex missions in the Western Balkans. Frontex launched its first mission in a third country in 2019 in Albania, followed by Montenegro in 2020 and Serbia in 2021.

    New EU Steering Group on migration issues

    The deployment to Senegal would be the first time the Border Agency would be stationed outside Europe with operational competences. Johansson also offered „#surveillance equipment such as #drones and vessels“. This would take the already established cooperation to a new level.

    Frontex is already active in the country, but without uniformed and armed police personnel. Of the only four liaison officers Frontex has seconded to third countries, one is based at the premises of the EU delegation in #Dakar. His tasks include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states. Since 2019, Senegal has been a member of Frontex’s so-called AFIC network. In this „Risk Analysis Cell“, the agency joins forces with African police forces and secret services for exchanges on imminent migration movements. For this purpose, Frontex has negotiated a working agreement with the Senegalese police and the Ministry of Foreign Affairs.

    The new talks with Senegal are coordinated in the recently created „Operational Coordination Mechanism for the External Dimension of Migration“ (MOCADEM). It is an initiative of EU member states to better manage their politics in countries of particular interest. These include Niger or Iraq, whose government recently organised return flights for its own nationals from Minsk after Belarus‘ „instrumentalisation of refugees“ at the EU’s insistence. If the countries continue to help with EU migration control, they will receive concessions for visa issuance or for labour migration.

    Senegal also demands something in return for allowing a Frontex mission. The government wants financial support for the weakened economy after the COVID pandemic. Possibilities for legal migration to the EU were also on the agenda at the meetings with the Commission. Negotiations are also likely to take place on a deportation agreement; the Senegalese authorities are to „take back“ not only their own nationals but also those of other countries if they can prove that they have travelled through the country to the EU and have received an exit order there.

    Deployment in territorial waters

    Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometres of external border; like the neighbouring countries of Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Only at the border with Mauritania, which left ECOWAS in 2001, are border security measures being stepped up.

    It is therefore possible that a Frontex operation in Senegal will not focus on securing the land borders as in the Western Balkans, but on monitoring the maritime border. After the „Canary Islands crisis“ in 2006 with an increase in the number of refugee crossings, Frontex coordinated the Joint Operation „Hera“ off the islands in the Atlantic; it was the first border surveillance mission after Frontex was founded. Departures towards the Canary Islands are mostly from the coast north of Senegal’s capital Dakar, and many of the people in the boats come from neighbouring countries.

    The host country of „Hera“ has always been Spain, which itself has bilateral migration control agreements with Senegal. Authorities there participate in the communication network „Seahorse Atlantic“, with which the Spanish gendarmerie wants to improve surveillance in the Atlantic. Within the framework of „Seahorse“, the Guardia Civil is also allowed to conduct joint patrols in the territorial waters of Senegal, Mauritania and Cape Verde. The units in „Hera“ were also the only Frontex mission allowed to navigate the countries‘ twelve-mile zone with their vessels. Within the framework of „Hera“, however, it was not possible for Frontex ships to dock on the coasts of Senegal or to disembark intercepted refugees there.

    Spain wants to lead Frontex mission

    Two years ago, the government in Madrid terminated the joint maritime mission in the Atlantic. According to the daily newspaper „El Pais“, relations between Spain and Frontex were at a low point after the border agency demanded more control over the resources deployed in „Hera“. Spain was also said to be unhappy with Frontex’s role in the Canary Islands. The agency had seconded two dozen officers to the Canary Islands to fingerprint and check identity documents after a sharp increase in crossings from Senegal and Mauritania in 2020. According to the International Organization for Migration, at least 1,200 people died or went missing when the crossing in 2021. The news agency AFP quotes the Spanish NGO Caminando Fronteras which puts this number at over 4,400 people. Also the Commissioner Johansson said that 1,200 were likely underestimated.

    The new situation on the Canary Islands is said to have prompted Frontex and the government in Madrid to advocate the envisaged launch of the joint operation in Senegal. With a status agreement, Frontex would be able to hand over refugees taken on board to Senegalese authorities or bring them back to the country itself by ship. The Guardia Civil wants to take over the leadership of such an operation, writes El Pais with reference to Spanish government circles. The government in Dakar is also said to have already informed the EU of its readiness for such an effort.

    The idea for an operational Frontex deployment in Senegal is at least three years old. Every year, Frontex Director Fabrice Leggeri assesses in a report on the implementation of the EU’s External Maritime Borders Regulation whether refugees rescued in its missions could disembark in the respective eligible third countries. In the annual report for 2018, Leggeri attested to the government in Senegal’s compliance with basic fundamental and human rights. While Frontex did not even consider disembarking refugees in Libya, Tunisia or Morocco, the director believes this would be possible with Senegal – as well as Turkey.

    Currently, the EU and its agencies have no concrete plans to conclude status agreements with other African countries, but Mauritania is also under discussion. Frontex is furthermore planning working (not status) arrangements with other governments in North and East Africa. Libya is of particular interest; after such a contract, Frontex could also complete Libya’s long-planned connection to the surveillance network EUROSUR. With a working agreement, the border agency would be able to regularly pass on information from its aerial reconnaissance in the Mediterranean to the Libyan coast guard, even outside of measures to counter distress situations at sea.

    https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t

    #Sénégal #asile #migrations #réfugiés #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #Afrique #Mauritanie #Afrique_de_l'Ouest #renvois #expulsions #AFIC #Risk_Analysis_Cell #services_secrets #police #coopération #accord #MOCADEM #Operational_Coordination_Mechanism_for_the_External_Dimension_of_Migration #accords_de_réadmission #accord_de_réadmission #frontières_maritimes #Atlantique #Seahorse_Atlantic #Hera

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    ajouté à la métaliste sur l’externalisation des contrôles frontaliers :
    https://seenthis.net/messages/731749
    et plus précisément ici :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765327

    ping @isskein @reka @karine4

    • L’Union européenne veut déployer Frontex au large des côtes sénégalaises

      À l’occasion de la visite au Sénégal de cinq commissaires européennes, l’UE propose au gouvernement le déploiement de Frontex, l’agence européenne de garde-côtes et de gardes-frontières. La Commission européenne envisagerait un déploiement d’ici à l’été en cas d’accord avec les autorités sénégalaises.

      C’est pour l’instant une proposition faite par Ylva Johansson. La commissaire chargée des Affaires intérieures a évoqué la question avec les ministres des Affaires étrangères, des forces armées et de l’Intérieur ce vendredi à Dakar.

      Pour l’Union européenne, l’intérêt immédiat est de contrôler le trafic d’êtres humains avec les embarcations qui partent des côtes sénégalaises vers l’archipel espagnol des Canaries. Mais le principe serait aussi de surveiller les mouvements migratoires vers l’Europe via la Mauritanie ou bien la route plus longue via l’Algérie et la Libye.

      L’idée est une collaboration opérationnelle des garde-côtes et gardes-frontières de l’agence Frontex avec la gendarmerie nationale sénégalaise et sous sa direction. L’UE envisage le déploiement de navires, de personnel et de matériel. La commissaire européenne aux Affaires intérieures a évoqué par exemple des drones.

      L’agence Frontex de surveillance des frontières extérieures de l’Union est en train de monter en puissance : son effectif devrait s’élever à 10 000 gardes-côtes et gardes-frontières dans quatre ans, soit dix fois plus qu’en 2018. Elle n’a jamais été déployée hors d’Europe et cette proposition faite au Sénégal illustre à l’avance la priorité que va mettre l’Europe sur les questions migratoires lors du sommet avec l’Union africaine dans une semaine.

      https://www.rfi.fr/fr/afrique/20220211-l-union-europ%C3%A9enne-veut-d%C3%A9ployer-frontex-au-large-des-c%C3%B4

    • EU seeks to deploy border agency to Senegal

      European Commissioner Ylva Johansson on Friday offered to deploy the EU’s border agency to Senegal to help combat migrant smuggling, following a surge in perilous crossings to Spain’s Canary Islands.

      At a news conference in the Senegalese capital Dakar, Johansson said the arrangement would mark the first time that the EU border agency Frontex would operate outside Europe.

      Should the Senegalese government agree, the commissioner added, the EU could send surveillance equipment such as drones and vessels, as well as Frontex personnel.

      Deployed alongside local forces, the agents would “work together to fight the smugglers,” she said.

      “This is my offer and I hope that Senegal’s government is interested in this unique opportunity,” said Johansson, the EU’s home affairs commissioner.

      The announcement comes amid a sharp jump in attempts to reach the Canary Islands — a gateway to the EU — as authorities have clamped down on crossings to Europe from Libya.

      The Spanish archipelago lies just over 100 kilometres (60 miles) from the coast of Africa at its closest point.

      But the conditions in the open Atlantic are often dangerous, and would-be migrants often brave the trip in rickety wooden canoes known as pirogues.

      About 1,200 people died or went missing attempting the crossing in 2021, according to the UN’s International Organization for Migration (IOM).

      Spanish NGO Caminando Fronteras last month put the figure at over 4,400 people.

      Johansson also said on Friday that the 1,200-person figure was likely an underestimate.

      She added that she had discussed her Frontex proposal with Senegal’s armed-forces minister and foreign minister, and was due to continue talks with the interior minister on Friday.

      An agreement that would see Frontex agents deployed in Senegal could be finalised by the summer, she said.

      EU Competition Commissioner Margrethe Vestager, who was also at the news conference, said a Frontex mission in Senegal could also help tackle illegal fishing.

      Several top European Commission officials, including President Ursula von der Leyen, arrived in Senegal this week to prepare for a summit between the EU and the African Union on February 17-18.

      https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal

    • EU: Tracking the Pact: Plan for Frontex to deploy “vessels, surveillance equipment, and carry out operational tasks” in Senegal and Mauritania

      The EU’s border agency is also due to open a “risk analysis cell” in Nouakchott, Mauritania, in autumn this year, according to documents obtained by Statewatch and published here. The two “action files” put heavy emphasis on the “prevention of irregular departures” towards the Canary Islands and increased cooperation on border management and anti-smuggling activities. Earlier this month, the Council authorised the opening of negotiations on status agreements that would allow Frontex to operate in both countries.

      Senegal: Fiche Action - Sénégal - Renforcement de la coopération avec l’agence Frontex (WK 7990/2022 INIT, LIMITE, 7 June 2022, pdf)

      Action 1: Jointly pursue contacts with the Senegalese authorities - and in particular the Ministry of the Interior, as well as other relevant authorities - at political and diplomatic level to achieve progress on the commitments made during the visit of President von der Leyen and Commissioners on 9-11 February 2022, in particular with regard to the fight against irregular immigration, and Frontex cooperation, as part of a comprehensive EU-Senegal partnership on migration and mobility. Take stock of Senegal’s political context (i.a. Casamance) and suggestions in order to agree on next steps and a calendar.

      Action 2: Taking up the elements of the previous negotiations with the relevant Senegalese authorities, and in the framework of the new working arrangement model, propose a working arrangement with Frontex in the short term, depending on the will and the interest of the Senegalese authorities to conclude such an arrangement.

      Action 3: Depending on the response from the Senegalese authorities, initiate steps towards the negotiation and, in the medium term, the conclusion of a status agreement allowing direct operational support from Frontex to Senegal, particularly in terms of prevention of crime and irregular migration, including in the fight against migrant smuggling and trafficking in human beings.

      Action 4 Give substance to the messages expressed by the Senegalese authorities in the framework of policy exchanges and work on joint programming (Joint Strategy Paper - JSP). Identify support and cooperation measures of major interest to the Senegalese authorities (e.g. explore with Senegal the interest in concluding a Talent Partnership with voluntary Member States, if progress is made in other aspects of migration cooperation; propose an anti-smuggling operational partnership and explore possibilities to strengthen cooperation and exchange of information with Europol). Make use of the Team Europe Initiative (TEI) on the Western Mediterranean and Atlantic route to frame cooperation projects on migration issues. Promote cooperation with Frontex on border management also in the broader framework of cooperation and exchanges with the Senegalese authorities.

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      Mauretania: Fiche Action - Mauritanie - Renforcement de la coopération avec l’agence Frontex (WK 7989/2022 INIT, LIMITE, 7 June 2022, pdf):

      Action 1: On the basis of the exchanges initiated and the cooperation undertaken with the Mauritanian authorities, identify the main priorities of the migration relationship. Determine the support and cooperation measures of major interest (e.g. support for the implementation of the National Migration Management Strategy, continuation of maritime strategy actions, protection of refugees and asylum seekers, support for reintegration, fight against smuggling networks, deployment of an additional surveillance and intervention unit of the “GAR-SI” type, creation of jobs for young people, involvement of the diaspora in the development of the country, etc.). Use the Team Europe Initiative (TEI) on the Western Mediterranean and Atlantic route to coordinate cooperation projects on migration issues, including on root causes.

      Action 2: Propose to the Mauritanian authorities the holding of an informal migration dialogue between the EU and Mauritania, focusing notably on the fight against migrant smuggling and border management, in order to best determine their needs in this area and identify the possibilities for Frontex support.

      Action 3: On the basis of the exchanges that took place between Frontex and the Mauritanian authorities in the first semester of 2022, finalise the exchanges on a working arrangement with Frontex, depending on their interest to conclude it.

      Action 4: Depending on the interest shown by the Mauritanian authorities, initiate diplomatic steps to propose the negotiation and conclusion of a status agreement allowing direct operational support from Frontex at Mauritania’s borders, in particular in the area of prevention of irregular departures, but also in the fight against migrant smuggling and other areas of interest to Mauritania, in the framework of the Frontex mandate.

      https://www.statewatch.org/news/2022/july/eu-tracking-the-pact-plan-for-frontex-to-deploy-vessels-surveillance-equ
      #Mauritanie #surveillance

  • À #Briançon, les exilé.es risquent leur vie à la frontière

    La ville des Hautes-Alpes est depuis 2015 un théâtre du parcours migratoire de milliers d’hommes et de femmes. Leur route se croise avec celles de citoyen·nes solidaires, mais aussi avec celles de la police et de l’État français, qui font tout pour rendre dangereux leur voyage. Reportage depuis la frontière.

    Ciel gris sur la ville de Briançon, ce matin du samedi 13 novembre. Alors qu’il est presque 13h, le soleil est barricadé derrière les nuages et il est difficile de saisir le temps qui passe dans les changements de lumière. Nous descendons en voiture la route principale qui mène à la vieille ville, perchée sur son gros rocher et protégée par deux anciens forts, derniers remparts avant d’engager la voie du col de #Montgenèvre. Dans le sens inverse, soudainement six camions de gendarmes (de quoi faire penser à une grande manif parisienne) remontent la route. On ne peut pas s’empêcher de sentir des frissons : derrière nous, une autre bagnole, conduite par deux solidaires, transporte deux migrants qui viennent d’être retrouvés à l’entrée de la vieille ville, du côté Français de la frontière. En cas de contrôle, ils auraient des ennuis.

    15 heures plus tôt, dans la soirée du vendredi, le #campement de fortune mis en place par les associations du Briançonnais s’apprête pour le sommeil. Un groupe d’exilés vient de partir avec le bus de 20h pour Paris, et ceux qui le peuvent sont allés chez leurs hébergeur.ses pour passer une nuit un peu plus confortable. Les autres se préparent à dormir dans deux grandes #tentes, chauffées avec un grand poêle à pétrole, qui peuvent accueillir environ 50 personnes. Ce soir là, une vingtaine d’exilés sont présents, tous hommes, presque tous jeunes, tous provenant du Maghreb, d’Iran ou d’Afghanistan. Maxime1, un bénévole dans l’association « Terrasses Solidaires » qui passe souvent ses nuits au campement pour accueillir les nouveaux.elles arrivé.es, explique que : « C’est très aléatoire, des soirs nous avons beaucoup d’arrivées, d’autres très peu. Il y a dix jours, on a eu plus de trente personnes en une seule nuit. Maintenant c’est plus calme, mais la particularité de cette période est que nous n’avons jamais aucune arrivée ». Les Terrasses Solidaires, le seul lieu qui garantissait un hébergement d’urgence pour les exilé·es à Briançon, a été fermé (lire nos articles sur la fermeture du refuge et sur la mobilisation des solidaires ici : https://www.lamuledupape.com/2021/11/05/personne-ne-doit-rester-dehors-les-solidaires-de-briancon-en-detresse et ici : https://www.lamuledupape.com/2021/11/16/a-briancon-les-solidaires-sunissent-face-a-lurgence) le 24 octobre en raison de problèmes d’insécurité liés à un trop grand afflux de personnes. Le lieu accueillait 250 migrant·es, alors que la jauge maximale était de 80 personnes. Depuis la fermeture, les conditions d’accueil ont empiré, dans une situation qui était déjà très compliquée.

    Parier sa vie : un chemin obligé ?

    La nuit de vendredi s’annonce calme : vers minuit, encore aucune arrivée. Maxime est confiant, d’autant plus qu’un « maraudeur » vient nous voire pour faire un salut et, pendant la conversation, nous communique un « rien à signaler » sur les sentiers qui mènent à Briançon. Ces solidaires, guides de montagne ou simples habitant·es de la ville, prennent pendant la nuit les routes et les sentiers le plus souvent parcouru·es par les migrant·es, pour secourir celles et ceux qui ont besoin d’aide. De plus en plus souvent, ils et elles repèrent des signes préoccupants aux alentours de la frontière : « La semaine dernière, on a trouvé deux poussettes en montagne. La neige commence à tomber, les températures tombent en dessous de 0oC la nuit. C’est pas possible de laisser les gens en montagne dans ces conditions » explique Maxime.

    À une heure du matin, alors que tout le monde sauf Maxime est plongé dans le sommeil, trois personnes arrivent à pied au camp. Le salarié des Terrasses les accueille dans une petite salle, leur offre de quoi manger et un thé chaud, se préoccupe de leur état de santé et de leurs pieds, leur donne des vêtements et des chaussettes. Les trois, en effet, sont arrivés avec les pieds enveloppés dans des baskets légères, rien d’autre. Le matin suivant, nous allons trouver trois bottes d’hiver sur le chemin sortant de la ville. Les exilé·es changent souvent d’habits pour rentrer en ville, histoire d’être un peu moins reconnaissables par policier·es et délateur·ices. À 5h, la même scène se répète. Cette fois, c’est cinq personnes, toutes d’origine afghane, qui arrivent au camp. Leurs conditions sont pires que celles de leurs camarades de voyage : deux d’entre eux ont les pieds congelés, un a mal au dos, un autre aux genoux. Maxime s’empresse de répondre à ces besoins, tout en parlant avec eux par le biais d’un traducteur improvisé. Ceux et celles qui arrivent du col peuvent, en effet, alerter sur d’autres personnes égarées sur les chemins de montagne.

    Les cinq Afghans nous disent qu’en Italie, c’était un groupe de 50 qui s’est approché de la frontière avec eux. Kamran, un d’entre eux, se préoccupe de l’état de deux amis, qui ont pris un chemin plus haut qu’eux pour éviter la police. Le jour suivant, nous apprendrons d’un maraudeur qu’au moins une vingtaine de personnes ont été retenues par la PAF (Police Aux Frontières) et refoulées en Italie. Une dizaine sont restées au pied du col et tenteront la traversée le lendemain, nous disent ceux qui viennent d’arriver. Mais Maxime se préoccupe du reste : une dizaine de personnes dont nous n’avons aucune nouvelle. Il ne reste qu’à attendre, sans savoir si dix personnes sont vraiment égarées sur les cols enneigés, ou pas.

    Les contrôles à la frontière, renforcés après l’arrivée d’un nouvel escadron (110 effectifs) de #Gendarmerie_mobile (GM) dans la ville après la fermeture des Terrasses Solidaires, forcent la main aux exilé·es, qui empruntent des chemins de plus en plus dangereux. La « #route_briançonnaise » elle-même n’existerait pas si le passage de la frontière entre Ventimille et Menton n’était pas devenu si difficile en 2015, annus horribilis des politiques migratoires européennes. La fermeture temporaire (qui commence à s’éterniser) des frontières internes à l’espace Schengen permet aux policier·es français·es des #refoulements de groupe illégaux, sur la base de l’#accord_de_réadmission franco-italien, entré en vigueur en 2000. L’accord prévoit que toute personne trouvée en situation irrégulière à l’entrée en France puisse être renvoyée en Italie. Il ne prévoit pas, pourtant, la suspension du droit d’asile. Or, les exilé·es arrêté·es par la #PAF et la GM n’ont pas la chance de demander l’asile en France, iels sont refoulé·es tout de suite.

    Cette #surenchère_sécuritaire a ainsi conduit les migrant·es à marcher d’abord à travers le col de l’Échelle, ensuite sur le Montgenèvre, maintenant encore plus haut, sur des chemins peu traqués et très dangereux. Le manque pérenne d’informations peut induire à penser que les morts exigés par la montagne soient plus que ce qu’on croit. Un migrant solitaire, un faux pas, le précipice : personne pourrait savoir, le corps pourrait ne plus jamais être retrouvé.

    La #solidarité est un sport de combat

    À 7h du matin, Kamran reçoit un appel de ses amis égarés la nuit d’avant : un d’entre eux est tombé sur le chemin, il a frappé sa tête contre un rocher. Ils ont besoin d’aide, ils demandent un secours médical. Maxime a passé une nuit d’insomnie, et il aurait terminé son tour de garde, mais il reste au camp et se donne de la peine pour arriver à les localiser. Personne n’arrive à les retrouver, et Maxime décide d’appeler les #pompiers, en leur donnant la dernière localisation connue des deux exilés, qu’ils ont signalé à Kamran. Un maraudeur se dirige également dans cette direction. Une fois sur place, il fait immédiatement demi-tour : au lieu des pompiers, c’est que des policiers qu’il trouve sur place. Le #18 a joué un mauvais tour aux solidaires, et la « sécurité » a primé sur le #secours aux personnes en danger. Maxime s’approche aussi des lieux, et subit un contrôle d’identité.

    Les solidaires de Briançon ne sont pas en bons termes avec la #police : le cas, très médiatisé, des « sept de Briançon » en est un exemple éclatant. Mais au-delà des affaires judiciaires, c’est un #harcèlement_policier quotidien qui rend difficile, parfois impossible, l’#aide apportée par les maraudeur·ses. Le matin du samedi, Bernard nous raconte que la nuit d’avant il a été contrôlé par la police : « C’était pour le feu de la plaque d’immatriculation. Ils m’ont collé une amende. Le policier m’a dit, textuel : ‘normalement on laisse courir ce genre de choses, mais comme c’est vous on applique la loi jusqu’aux virgules’ ». Sam, du collectif TousMigrants, est résigné : « On ne peut rien faire contre cela, nous devons être parfaitement irrépréhensibles. Ce que nous faisons n’est pas illégal et les policiers le savent, donc ils utilisent tous les moyens qu’ils ont pour nous en empêcher ».

    La police et la #gendarmerie ont commencé, récemment, à contrôler les papiers des migrant·es même en centre-ville, ce qui était peu courant auparavant. Briançon est en effet une ville de transit, où les gens ne s’arrêtent que quelques jours tout au plus pour ensuite continuer leur voyage. La politique de la #préfecture impose désormais des #contrôles_au_faciès partout en ville, ce qui force les solidaires à accompagner, en groupe, les exilé·es jusqu’au train ou au bus pour éviter les contrôles, illégaux, des papiers. Les départs sont encore plus compliqués par la nécessité d’avoir un #pass_sanitaire : la préfecture ayant fermé la permanence de la Croix-Rouge qui garantissait des tests gratuits aux migrant·es, ces dernier·es doivent désormais se faire tester par Médecins du Monde. Mais cette association a moins de moyens que la Croix-Rouge, les tests manquent et les opérations avancent au ralenti. Tout cela force les exilé·es à une attente de plusieurs jours dans Briançon, alors qu’aucun ne souhaite y rester.

    Les contrôles en ville préoccupent Maxime, qui veut retrouver les deux personnes dispersées avant qu’elles arrivent au centre-ville en plein jour. Il est pourtant impossible de savoir s’ils ont été arrêtés ou pas, ni où ils se trouvent actuellement. La méfiance est normale et se rajoute aux difficultés du chemin, conduisant les exilé.es à éviter tout contact, ne serait-ce que avec des simples randonneur.ses. Compréhensible, pour des personnes qui ont fait des milliers de kilomètres, s’exposant aux délations, aux tabassages et aux injures. Mehdi est arrivé à Briançon il y a deux jours, il vient du Kurdistan iranien. Pour lui « tous les Balkans c’est l’enfer, sauf la Bosnie. Partout ailleurs les gens font semblant de vouloir t’aider, puis ils appellent la police. Sinon ils te poursuivent et ils te frappent eux-mêmes. » Des expériences qui n’aident pas les solidaires briançonnais à obtenir la confiance des personnes en transit.

    Maxime n’a plus d’autre choix que d’attendre. Nous le suivons, à midi, sur un chemin qui mène en ville, et nous restons en attente, à l’entrée de la forêt. Le choix se base sur la probabilité, mais reste aléatoire : les deux voyageurs auraient pu prendre d’autres routes ou être déjà au poste de police. Nous restons a l’entrée de la ville plus d’une heure, toujours essayant d’entrer en contact avec les migrants. Au final, on renonce, et on reprend le chemin à inverse. On vient de repartir, quand en se retournant encore une fois, on voit deux jeunes hommes arriver vers nous, lourdement habillés, l’un d’eux blessé à la tête. Maxime court les rencontrer, heureusement la blessure n’est pas grave. Ils seront accompagnés au camp par les solidaires. L’aventure se termine bien, mais expose toutes les difficultés du boulot des solidaires, accompagné·es constamment par l’incertitude et harcelé·es par la police.

    Une frontière c’est pour toujours

    Les deux personnes qu’on a retrouvées viennent d’Iran. L’un des deux, Hasan, a 40 ans. Il est parti pour rejoindre sa famille en Allemagne. Les histoires racontées par les exilé·es sont toutes différentes, mais elles composent une seule, grande fresque. Leurs vies font des vagues qui se cassent parfois sur les barrages policiers et sécuritaires de la frontière, mais le plus souvent arrivent à passer. Dans l’acte, pourtant, elles restent marquées. Les exilé·es porteront la frontière avec elleux pour toujours, qu’iels parviennent à régulariser leur statut ou pas. La frontière marque, d’abord physiquement.

    Leurs difficultés ne commencent pas sur la frontière franco-italienne : ceux qui y arrivent ont déjà traversé soit la Méditerranée, soit la mer de barbelés, police et fascistes que sont devenus les Balkans. « On a eu récemment un mec qui s’était cassé la cheville en Bosnie il y a un an. Il ne s’est jamais soigné depuis, et il a continué son voyage. Elle était dans un état indescriptible », nous dit Maxime. Kamran, l’ami afghan de Hasan et de son compagnon de voyage, était patron d’une salle de musculation à Kaboul. Il était aussi body-builder, et pesait 130 kilos quand il est parti. « J’ai perdu 40 kilos. C’est pas bien pour le corps d’arrêter le body-building d’un jour à l’autre, c’est un choc. Maintenant j’espère travailler un peu à Paris et ensuite ouvrir ma salle de muscu là-bas ». Voici l’autre endroit où la frontière marque la vie des exilé·es : nous écoutons Kamran, mais nous savons que probablement il ne va jamais arriver à ouvrir sa salle. Si il pourra obtenir l’asile, il demeurera discriminé, pauvre, isolé dans un pays étranger et qui lui a signifié sans laisser de doutes qu’il ne veut pas de lui, de son histoire et de ses rêves. Le message de la frontière est clair, et il accompagnera Kamran et ses camarades de voyage pour toujours, malgré le travail des solidaires. Leur assistance, qui reste vitale, doit s’accompagner d’un changement radical du #régime_des_frontières, voire de son abolition. Autrement, elles continueront à nous diviser, à nous blesser, à nous tuer.

    https://www.lamuledupape.com/2021/12/08/la-frontiere-a-briancon-espoir-et-danger
    #frontières #asile #migrations #réfugiés

    –-> citation :

    « Les exilé·es porteront la frontière avec elleux pour toujours, qu’iels parviennent à régulariser leur statut ou pas. La frontière marque, d’abord physiquement. »

    –-

    Ajouté à la métaliste sur Briançon :
    https://seenthis.net/messages/733721
    Et plus précisément ici :
    https://seenthis.net/messages/733721#message930101

  • Francia devolvió a España casi 16.000 migrantes en solo cinco meses

    Los números se han disparado coincidiendo con una mayor presión migratoria desde Canarias y con el blindaje que los franceses mantienen en los pasos compartidos.

    Los controles que ha impuesto Francia en sus puestos fronterizos con España como respuesta a la amenaza terrorista y a la covid están teniendo consecuencias en materia migratoria. Entre noviembre y marzo, las autoridades galas devolvieron a España 15.757 inmigrantes en situación irregular, más de 3.000 al mes, según datos de la policía francesa de fronteras divulgados por el diario francés Le Figaro (https://www.lefigaro.fr/actualite-france/clandestins-les-frontieres-ont-ete-verrouillees-avec-l-italie-et-l-espagne-) y confirmados a El PAÍS. Los números se han disparado respecto al mismo periodo del año anterior coincidiendo con una mayor presión migratoria desde Canarias, pero también con el blindaje que los franceses mantienen unilateralmente en los pasos compartidos.

    La inmensa mayoría de los inmigrantes, 12.288 personas, fueron devueltos cuando intentaban entrar en territorio francés. La cifra triplica la registrada entre noviembre de 2019 y marzo de 2020. Las restantes 3.469 personas fueron interceptadas en departamentos vecinos, en particular de los Pirineos Orientales, que hacen frontera con Cataluña. En este caso se trata de un aumento del 25%. En esos controles las autoridades francesas han detenido a 108 personas por facilitar el cruce de los migrantes por la frontera. “Pueden ser camioneros o compatriotas, no son necesariamente parte de una organización estructurada”, declaró a Le Figaro el portavoz adjunto de la policía francesa, Christian Lajarrige.

    España y Francia forman parte del espacio Schengen y, en teoría, no hay frontera entre los dos países. Pero, desde los ataques terroristas de 2015, París ha establecido controles fronterizos amparándose en un artículo del tratado europeo que le permite realizarlos por razones de “seguridad nacional”. El pasado mes de noviembre, tras los últimos atentados en Francia, su presidente, Emmanuel Macron, dobló el número de efectivos en las fronteras (https://elpais.com/internacional/2020-11-05/macron-refuerza-los-controles-en-la-frontera-con-espana-e-italia-ante-el-ter) y desplegó 4.800 policías, gendarmes y militares para establecer controles 24 horas al día. Macron, que teme el ascenso de la extrema derecha de Marine Le Pen en las elecciones presidenciales del año que viene, cerró además 19 puestos fronterizos con España.

    El refuerzo de los controles también ha repercutido en la frontera alpina entre Francia e Italia. Entre noviembre y marzo, Francia impidió la entrada a 23.537 personas, el doble que en el mismo periodo un año antes, según las cifras citadas. A ellos se añaden, 2.502 migrantes detenidos en territorio francés, un aumento del 39%.

    Para expulsar a los inmigrantes que entran irregularmente a su territorio, Francia y España se valen de un acuerdo bilateral de 2002 (https://elpais.com/politica/2018/11/02/actualidad/1541179682_837419.html) que les permite la devolución en las cuatro horas siguientes al paso de la frontera. El acuerdo contempla una serie de garantías, como que los inmigrantes sean entregados a la policía española o que se formalice por escrito su devolución. Los datos de la policía francesa no especifican cuántos inmigrantes han sido devueltos sobre la base de este acuerdo bilateral, pero fuentes policiales y los propios inmigrantes han señalado que la mayor parte se realiza sin que medie un solo trámite.

    Las abultadas cifras no significan, en cualquier caso, que todas las personas devueltas se queden en España. Los gendarmes controlan con celo puentes, estaciones, autobuses, coches y trenes, pero la mayoría de los migrantes lo vuelve a intentar tres, cuatro y hasta cinco veces hasta que finalmente consiguen cruzar. Entre marzo y abril EL PAÍS ha estado en contacto con 14 migrantes, la mayoría malienses, que tenían como objetivo llegar a París y a otras ciudades francesas. Todos, antes o después y tras varios intentos, lo lograron.

    Buena parte de los migrantes que estos meses se han dirigido a la frontera francesa proceden de Canarias. Tras meses bloqueados en las islas han conseguido llegar a la Península por sus propios medios o, en el caso de los más vulnerables, ha sido la Secretaría de Estado de Migraciones la que los ha derivado a centros de acogida en otras provincias. No se conoce cuántos de ellos deciden quedarse en España, pero siempre hay un porcentaje importante que se marcha a Francia y a otros países europeos para encontrarse con parientes y amigos.

    Estos flujos migratorios, los llamados movimientos secundarios, son una obsesión para París y Berlín que presionan a Madrid para que evite que los migrantes se muevan por el continente. Francia, de hecho, ya ha puesto sobre la mesa una reforma del tratado Schengen para revisar las normas que rigen el espacio de libre circulación en Europa y reforzar el control de fronteras interiores.

    https://elpais.com/espana/2021-04-24/francia-devolvio-a-espana-casi-16000-migrantes-en-solo-cinco-meses.html?ssm=

    #France #Espagne #renvois #expulsions #frontières #asile #migrations #réfugiés #chiffres #statistiques
    #accord_bilatéral #accord_de_réadmission #accords_de_réadmission

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    voir la liste des accords de réadmissions signés par des pays européens et utilisés pour renvoyer (directement sans leur donner la possibilité de déposer une demande d’asile) des personnes à la recherche d’un refuge :
    https://seenthis.net/messages/736091

  • Rapport thématique – Durcissements à l’encontre des Érythréen·ne·s : actualisation 2020

    Deux ans après une première publication sur la question (https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-durcissements-a-lencontre-des-erythreen%c2%b7ne%c2%b7), l’ODAE romand sort un second rapport. Celui-ci offre une synthèse des constats présentés en 2018, accompagnée d’une actualisation de la situation.

    Depuis 2018, l’ODAE romand suit de près la situation des requérant·e·s d’asile érythréen∙ne∙s en Suisse. Beaucoup de ces personnes se retrouvent avec une décision de renvoi, après que le #Tribunal_administratif_fédéral (#TAF) a confirmé la pratique du #Secrétariat_d’État_aux_Migrations (#SEM) amorcée en 2016, et que les autorités ont annoncé, en 2018, le réexamen des #admissions_provisoires de quelque 3’200 personnes.

    En 2020, le SEM et le TAF continuent à appliquer un #durcissement, alors que la situation des droits humains en #Érythrée ne s’est pas améliorée. Depuis près de quatre ans, les décisions de renvoi tombent. De 2016 à à la fin octobre 2020, 3’355 Érythréen·ne·s avaient reçu une décision de renvoi suite à leur demande d’asile.

    Un grand nombre de requérant·e·s d’asile se retrouvent ainsi débouté·e·s.

    Beaucoup des personnes concernées, souvent jeunes, restent durablement en Suisse, parce que très peu retournent en Érythrée sur une base volontaire, de peur d’y être persécutées, et qu’il n’y a pas d’accord de réadmission avec l’Érythrée. Au moment de la décision fatidique, elles perdent leur droit d’exercer leur métier ou de se former et se retrouvent à l’#aide_d’urgence. C’est donc à la constitution d’un groupe toujours plus important de jeunes personnes, exclues mais non renvoyables, que l’on assiste.

    C’est surtout en cédant aux pressions politiques appelant à durcir la pratique – des pressions renforcées par un gonflement des statistiques du nombre de demandes d’asile – que la Suisse a appréhendé toujours plus strictement la situation juridique des requérant∙e∙s d’asile provenant d’Érythrée. Sur le terrain, l’ODAE romand constate que ces durcissements se traduisent également par une appréciation extrêmement restrictive des motifs d’asile invoqués par les personnes. D’autres obstacles limitent aussi l’accès à un examen de fond sur les motifs d’asile. Au-delà de la question érythréenne, l’ODAE romand s’inquiète pour le droit d’asile au sens large. L’exemple de ce groupe montre en effet que l’application de ce droit est extrêmement perméable aux incitations venues du monde politique et peut être remaniée sans raison manifeste.

    https://odae-romand.ch/rapport/rapport-thematique-durcissements-a-lencontre-des-erythreen%c2%b7ne%c2%b7

    Pour télécharger le rapport :
    https://odae-romand.ch/wp/wp-content/uploads/2020/12/RT_erythree_2020-web.pdf

    #rapport #ODAE_romand #Erythrée #Suisse #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_érythréens #droit_d'asile #protection #déboutés #permis_F #COI #crimes_contre_l'humanité #service_militaire #travail_forcé #torture #viol #détention_arbitraire #violences_sexuelles #accord_de_réadmission #réadmission #déboutés #jurisprudence #désertion #Lex_Eritrea #sortie_illégale #TAF #justice #audition #vraisemblance #interprètes #stress_post-traumatique #traumatisme #trauma #suspicion #méfiance #procédure_d'asile #arbitraire #preuve #fardeau_de_la_preuve #admission_provisoire #permis_F #réexamen #santé_mentale #aide_d'urgence #sans-papiers #clandestinisation #violence_généralisée

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  • La ministra de Exteriores cierra en Senegal un acuerdo para reactivar las repatriaciones

    González Laya anuncia el envío de una patrullera y un avión de la Guardia Civil para sumarse al dispositivo de vigilancia en el país africano

    La ministra de Asuntos Exteriores, #Arancha_González_Laya, ha acordado con las autoridades de Senegal el comienzo “en breve plazo” de los vuelos de repatriación de los ciudadanos de este país que lleguen por vía irregular a Canarias. “Los equipos de ambos países ya están trabajando en ello. Esta medida va a contribuir de manera decisiva a frenar las salidas, como ya ocurrió en 2006”, aseguró la ministra durante su visita a Dakar este domingo y tras reunirse con el presidente, Macky Sall. “Ambos gobiernos estamos de acuerdo en que no habrá rutas para las actividades criminales”, dijo, en referencia a quienes organizan estos viajes. “El presidente Sall nos ha trasladado su intención de colaborar en estas repatriaciones”, añadió.

    Pese a la existencia de un acuerdo bilateral entre ambos países, los vuelos de repatriación de ciudadanos senegaleses que llegan a España por vía clandestina se encuentran paralizados a causa de la covid-19, que provocó un cierre de fronteras. El viaje realizado este domingo por González Laya a Dakar, en el que también se entrevistó con la ministra de Asuntos Exteriores senegalesa, Aissata Tall, tenía entre sus objetivos volver a activarlos. “Sabemos que es un tema muy sensible y nosotros también lo seremos”, añadió la ministra española. “Lo haremos en coordinación con Senegal, con toda discreción y respetando la dignidad de las personas”.

    González Laya explicó que, además de los equipos de ambos países, ya están trabajando con la Organización Internacional de las Migraciones (OIM) y con la Agencia de Naciones Unidas para los Refugiados (Acnur) en el proceso de identificación de los emigrantes. “Vamos a mandar un mensaje muy claro a las redes criminales de tráfico de personas y es el de no tolerar que hagan grandes beneficios a espaldas de la ley”, añadió. La ministra de Exteriores aclaró que, por ahora, no está previsto retomar estos vuelos de repatriación con Malí -dado que la mayor parte de los malienses transitan por Mauritania para llegar a Canarias y ya pueden ser expulsados a través de este país-, ni con Gambia, pues los ciudadanos de esta nacionalidad que llegan al archipiélago son una minoría.

    Además del acuerdo en materia de vuelos de repatriación, González Laya aclaró que había negociado con las autoridades senegalesas el refuerzo de los medios de vigilancia españoles frente a la emigración clandestina. Desde el año 2006, coincidiendo con la anterior crisis de los cayucos, hay dos patrulleras de la Guardia Civil y un helicóptero de la Policía Nacional operando en este país y se prevé que, también a la mayor brevedad, se trasladen a Senegal una patrullera más y un avión. “Trabajamos mano a mano con las autoridades de este país y compartimos la preocupación por la existencia de redes de tráfico de personas que enriquecen a unos pocos y ponen en riesgo a muchos”, manifestó.

    González Laya defendió la actuación del Gobierno español en la crisis migratoria en Canarias, a donde han llegado este año unas 18.000 personas por vía irregular, miles de ellos senegaleses que zarpan desde la costa de este país en cayucos. “La covid-19 ha destrozado las economías africanas y sabíamos que una consecuencia iba a ser una mayor emigración. Ha llegado una cantidad muy grande de personas en un corto periodo de tiempo. Pero España estaba preparada, llevamos meses trabajando en este asunto, tanto en la acogida, como en la colaboración de los países de origen y tránsito para impedir los mecanismos de entrada irregular dentro del marco reglamentario europeo”, explicó.

    Otro acuerdo alcanzado este domingo entre Senegal y España ha sido el de favorecer la emigración regular y ordenada. “El presidente Macky Sall tiene la voluntad de mejorar las condiciones socioeconómicas de sus ciudadanos y dar mayores oportunidades a los emprendedores, pero al mismo tiempo abrir canales para la emigración legal. Estamos de acuerdo. Vamos a trabajar para abrir una ventana para que quienes quieran ir a España puedan hacerlo de manera ordenada”, dijo González Laya, quien anunció la potenciación de mecanismos de migración circular entre ambos países. En 2019 se puso en marcha una experiencia piloto en este sentido por la que medio centenar de jóvenes pudieron ir a España a trabajar mediante contratación en origen y de manera temporal.

    Por último, la ministra de Exteriores anunció la firma de un acuerdo que permitirá a los ciudadanos senegaleses que residen legalmente en España mantener sus derechos adquiridos con la Seguridad Social y sus pensiones si deciden regresar a su país, lo que definió como “portabilidad de derechos”. En la actualidad hay unos 70.000 senegaleses residentes en España. El acuerdo también funciona a la inversa, es decir, con los españoles que viven en este país africano.

    La visita de González Laya a Senegal incluyó una visita al Puerto de Dakar para conocer de primera mano los medios con los que cuentan tanto la Guardia Civil española como la Marina senegalesa en la vigilancia de la emigración clandestina, así como un encuentro con los militares españoles de la Operación Marfil, que prestan apoyo logístico a la Operación Barkhane del Ejército francés contra el yihadismo en el Sahel, y con los empresarios españoles representados en la Cámara de Comercio de España en Senegal.

    https://elpais.com/espana/2020-11-22/la-ministra-de-exteriores-cierra-en-senegal-un-acuerdo-para-reactivar-las-re

    #Espagne #Sénégal #accord_de_réadmission #asile #migrations #réfugiés #expulsion #renvois #Méditerranée_Occidentale #militarisation_des_frontières #frontières #Canaries #îles_Canaries #vols

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  • Migration : la #France et l’#Italie déploieront des #navires et des #avions pour alerter la Tunisie sur le départ des migrants

    Le ministre français de l’Intérieur, #Gérald_Darmanin, est attendu, ce weekend, en visite en Tunisie pour de décisives discussions dans la foulée de l’attentat contre la basilique de Nice commis par un migrant illégal tunisien, qui a fait trois morts. Une visite qui intervient aussi dans un climat de plus en plus tendu en France dont le gouvernement et le président de la République, Emmanuel Macron, s’emploient à restreindre au maximum les flux migratoires à travers la Méditerranée.

    A la veille de cette visite, le ministre français de l’Intérieur, qui se trouve ce vendredi à Rome , envisage avec son homologue italienne, #Luciana_Lamorgese, de déployer des navires ou des avions pour alerter la Tunisie du départ de #bateaux clandestins transportant des migrants vers les côtes italiennes, comme le jeune Tunisien qui est le principal suspect d’une attaque à l’arme blanche dans une église française la semaine dernière, a déclaré vendredi la ministre italienne.

    A l’issue d’une entrevue entre les deux ministres, Gerald Darmanin s’est gardé de critiquer l’Italie pour sa gestion du suspect tunisien, qui a débarqué sur l’île italienne de Lampedusa en septembre, a été mis en quarantaine en vertu du protocole sanitaire relatif à la pandémie et reçu des papiers d’expulsion des autorités italiennes avant de gagner la France en octobre.

    « A aucun moment, je n’ai pensé qu’il y avait quelque chose de défectueux » dans la façon dont l’Italie a géré l’affaire, a déclaré Darmanin, en réponse à une question posée lors d’une conférence de presse avec Lamorgese après leurs entretiens. Il a plutôt remercié Lamorgese et les services de renseignement italiens pour l’échange d’informations dans les jours qui ont suivi l’#attentat de #Nice.

    Les Tunisiens qui fuient une économie dévastée par les effets du virus, constituent le plus grand contingent de migrants débarqués en Italie cette année, et ils arrivent directement de Tunisie dans des bateaux assez solides pour ne pas avoir besoin de secours, souligne le Washington Post, rappelant que, ces dernières années, la majorité des migrants qui ont atteint les côtes méridionales de l’Italie venaient d’Afrique subsaharienne et traversaient la Méditerranée dans des embarcations de fortune , donc en mauvais état pour la plupart, et opérées par des trafiquants en Libye.

    Lamorgese a déclaré qu’elle avait discuté avec Darmarin d’un #plan prévoyant le déploiement de « moyens navals ou aériens qui pourraient alerter les autorités tunisiennes d’éventuels départs » et les aider à intercepter les bateaux, « dans le respect de leurs souveraineté et autonomie que nous ne voulons pas violer ».

    Selon ce plan, il n’y aurait « qu’une #alerte que nous donnerions aux autorités tunisiennes pour faciliter le #traçage des navires qui partent de leur territoire pour rejoindre les côtes italiennes », a déclaré la ministre italienne. « Il est évident que cela suppose la #collaboration des autorités tunisiennes ».

    La France aurait-elle son « #Patriot_Act ?

    Après sa réunion du matin à Rome, Darmarin a déclaré qu’il se rend en Tunisie, en Algérie et à Malte, pour discuter des questions de migration et de #terrorisme.

    « La France et l’Italie doivent définir une position commune pour la lutte contre l’immigration clandestine au niveau européen », a-t-il déclaré.

    Il a été demandé à Darmarin si, à la suite des récents attentats terroristes en France, le gouvernement français devrait adopter une loi comme le « USA Patriot Act » promulgué après les attentats du 11 septembre 2001 pour intensifier les efforts de détection et de prévention du terrorisme.

    « Plus qu’un Patriot Act, ce qu’il faut, c’est un #acte_européen », a répondu Darmarin. « La France ne peut pas lutter seule contre la politique islamiste ».

    La Tunisie est l’un des rares pays à avoir conclu un accord de rapatriement avec l’Italie. Mais avec des milliers de Tunisiens arrivés par mer récemment et moins de 100 migrants expulsés et renvoyés dans le pays par voie aérienne chaque semaine, la priorité est donnée aux personnes considérées comme dangereuses, indique le Washington Post. Selon Lamorgese, rien n’indique que l’agresseur de Nice, Ibrahim Issaoui, 21 ans, constituait une menace.

    Les deux ministres se sont rencontrés un jour après que le président français Emmanuel Macron ait déclaré que son pays renforcera ses contrôles aux frontières après les multiples attaques de cet automne.

    L’Italie et la France lancent, sur une base expérimentale de six mois, des #brigades_mixtes de forces de sécurité italiennes et françaises à leurs frontières communes pour renforcer les contrôles, a déclaré Lamorgese aux journalistes.

    #externalisation #asile #réfugiés #migrations #frontières #surveillance_frontalière #Tunisie #militarisation_des_frontières #Darmanin #accord_de_réadmission

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    • Union européenne – Tunisie : l’illusion d’une coopération équilibrée

      Dans la nuit de vendredi 12 au samedi 13 février, 48 personnes de différentes nationalités africaines sont parties de Sidi Mansour, dans la province de Sfax en Tunisie, direction les côtes italiennes. La marine tunisienne est intervenue à une centaine de kilomètres au nord-ouest de Lampedusa lorsque les passagers naviguaient dans une mer agitée. Tandis que 25 personnes ont pu être secourues, une personne est décédée et 22 autres sont déclarées « disparues », comme des milliers d’autres avant elles [1]. Cet énième naufrage témoigne des traversées plus importantes au cours des derniers mois depuis la Tunisie, qui sont rendues plus dangereuses alors que l’Union européenne (UE) renforce ses politiques sécuritaires en Méditerranée en collaboration avec les États d’Afrique du Nord, dont la Tunisie.

      Au cours de 2020, plus de 13 400 personnes migrantes parties de Tunisie ont été interceptées par les garde-côtes tunisiens et plus de 13 200 autres sont parvenues à rejoindre les côtes européennes [2]. Jamais les chiffres n’ont été aussi élevés et depuis l’été 2020, jamais la Tunisie n’a été autant au centre de l’attention des dirigeant·e·s européen·ne·s. A l’occasion d’une rencontre dans ce pays le 17 août 2020, l’Italie et la Tunisie ont ainsi conclu un accord accompagné d’une enveloppe de 11 millions d’euros pour le renforcement des contrôles aux frontières tunisiennes et en particulier la surveillance maritime [3]. Le 6 novembre 2020, à l’issue d’une réunion à Rome, la ministre italienne de l’Intérieur et son homologue français ont également décidé de déployer au large des côtes tunisiennes des « moyens navals ou aériens qui pourraient alerter les autorités tunisiennes d’éventuels départs » [4].

      Cette attention a été redoublée au lendemain de l’attentat de Nice, le 29 octobre 2020. Lors d’une visite à Tunis, le ministre français, jouant de l’amalgame entre terrorisme et migration, faisait du contrôle migratoire le fer de lance de la lutte contre le terrorisme et appelait à une coopération à l’échelle européenne avec les pays d’Afrique du Nord pour verrouiller leurs frontières. Suivant l’exemple de l’Italie qui coopère déjà de manière étroite avec la Tunisie pour renvoyer de force ses ressortissant·e·s [5], la France a demandé aux autorités tunisiennes la délivrance automatique de laissez-passer pour faciliter les expulsions et augmenter leurs cadences.

      Cette coopération déséquilibrée qui met la Tunisie face à l’UE et ses États membres, inlassablement dénoncée des deux côtés de la Méditerranée par les associations de défense des droits, n’est pas nouvelle et s’accélère.

      Alors qu’a augmenté, au cours de l’année 2020, le nombre d’exilé·e·s en provenance d’Afrique subsaharienne et quittant les côtes tunisiennes en direction de l’Italie [6], les dirigeant·e·s européen·ne·s craignent que la Tunisie ne se transforme en pays de départ non seulement pour les ressortissant·e·s tunisien·ne·s mais également pour des exilé·e·s venu·e·s de tout le continent. Après être parvenue à réduire les départs depuis les côtes libyennes, mais surtout à augmenter le nombre de refoulements grâce à l’intervention des pseudo garde-côtes libyens en Méditerranée centrale (10 000 rien qu’en 2020) [7], l’UE et ses États membres se tournent de plus en plus vers la Tunisie, devenue l’une des principales cibles de leur politique d’externalisation en vue de tarir les passages sur cette route. Dès 2018, la Commission européenne avait d’ailleurs identifié la Tunisie comme candidate privilégiée pour l’installation sur son sol de « plateformes de débarquement » [8], autrement dit des camps de tri externalisés au service de l’UE, destinés aux exilé·e·s secouru·e·s ou intercepté·e·s en mer. Le plan prévoyait également le renforcement des capacités d’interception des dits garde-côtes tunisiens.

      Si à l’époque la Tunisie avait clamé son refus de devenir le hotspot africain et le garde-frontière de l’Europe [9], Tunis, sous la pression européenne, semble accepter peu à peu d’être partie prenante de cette approche [10]. Le soutien que la Tunisie reçoit de l’UE pour surveiller ses frontières maritimes ne cesse de s’intensifier. Depuis 2015, Bruxelles multiplie en effet les programmes destinés à la formation et au renforcement des capacités des garde-côtes tunisiens, notamment en matière de collecte de données personnelles. Dans le cadre du programme « Gestion des frontières au Maghreb » [11] lancé en juillet 2018, l’UE a prévu d’allouer 24,5 millions d’euros qui bénéficieront principalement à la Garde nationale maritime tunisienne [12]. Sans oublier l’agence européenne Frontex qui contrôle les eaux tunisiennes au moyen d’images satellite, de radars et de drones [13] et récolte des données qui depuis quelques mois sont partagées avec les garde-côtes tunisiens [14], comme cela se fait déjà avec les (soi-disant) garde-côtes libyens [15]. Le but est simple : détecter les embarcations au plus tôt pour alerter les autorités tunisiennes afin qu’elles se chargent elles-mêmes des interceptions maritimes. Les moyens de surveillance navals et aériens que l’Italie et la France veulent déployer pour surveiller les départs de Tunisie viennent compléter cet édifice.

      Les gouvernements européens se félicitent volontiers des résultats de leur stratégie des « #refoulements_par_procuration » [16] en Libye. Cette stratégie occulte cependant les conséquences d’un partenariat avec des « garde-côtes » liés à des milices et des réseaux de trafiquants d’êtres humains [17], à savoir le renvoi des personnes migrantes dans un pays non-sûr, qu’elles tentent désespérément de fuir, ainsi qu’une hécatombe en mer Méditerranée. A mesure que les autorités européennes se défaussent de leurs responsabilités en matière de recherche et de secours sur les garde-côtes des pays d’Afrique du Nord, les cas de non-assistance et les naufrages se multiplient [18]. Alors que la route de la Méditerranée centrale est l’une des mieux surveillées au monde, c’est aussi l’une des plus mortelles du fait de cette politique du laisser-mourir en mer. Au cours de l’année 2020, près de 1 000 décès y ont été comptabilisés [19], sans compter les nombreux naufrages invisibles [20].

      Nous refusons que cette coopération euro-libyenne, dont on connaît déjà les conséquences, soit dupliquée en Tunisie. Si ce pays en paix et doté d’institutions démocratiques peut à première vue offrir une image plus « accueillante » que la Libye, il ne saurait être considéré comme un pays « sûr », ni pour les migrant·e·s, ni pour ses propres ressortissant·e·s, de plus en plus nombreux·ses à fuir la situation socio-économique dégradée, et aggravée par la crise sanitaire [21]. Les pressions exercées par l’UE et ses États membres pour obliger la Tunisie à devenir le réceptacle de tou·te·s les migrant·e·s « indésirables » sous couvert de lutte contre le terrorisme sont inacceptables. La complaisance des autorités tunisiennes et le manque de transparence des négociations avec l’UE et ses États membres le sont tout autant. En aucun cas le combat contre le terrorisme ne saurait justifier que soient sacrifiées les valeurs de la démocratie et du respect des droits fondamentaux, tels que la liberté d’aller et venir et le droit de trouver une véritable protection.

      De part et d’autre de la Méditerranée, nos organisations affirment leur solidarité avec les personnes exilées de Tunisie et d’ailleurs. Nous condamnons ces politiques sécuritaires externalisées qui génèrent d’innombrables violations des droits et ne font que propager l’intolérance et la haine.

      –—

      Notes :

      [1] « En Tunisie, 22 migrants sont portés disparus après le naufrage d’un bateau », La Presse.ca, 13 février 2021

      [2] Rapport du mois de décembre 2020 des mouvements sociaux, suicides, violences, et migrations, n°87, Observatoire social tunisien, FTDES

      [3] Quel est le contenu du récent accord entre la Tunisie et l’Italie ? Réponses aux demandes d’accès introduit par ASGI, FTDES et ASF, Projet Sciabaca & Oruka, 7 décembre 2020

      [4] « Migration : la France et l’Italie déploieront des navires et des avions pour alerter la Tunisie sur le départ des migrants », African Manager, 6 décembre 2020

      [5] Chaque semaine, deux charters partent de Sicile pour renvoyer une centaine de migrant·e·s tunisien·ne·s. En 2019, selon les chiffres du FTDES, 1 739 ressortissant·e·s tunisien·ne·s ont été expulsé·e·s d’Italie via ces vols. En 2020, ceux-ci étaient encore affrétés malgré la crise sanitaire.

      [6] Rapport du mois d’octobre 2020 des mouvements sociaux, suicides, violences, et migrations, n°85, Observatoire social tunisien, FTDES

      [7] Le nombre de migrant·e·s ayant été intercepté·e·s par les pseudo garde-côtes libyens en 2019 est estimé à 9 000 selon Alarmphone (voir : Central Mediterranean Regional Analysis 1 October 2019-31 December 2019, 5 janvier 2020).

      [8] Migration : Regional disembarkation arrangements - Follow-up to the European Council Conlusions of 28 June 2018

      [9] « Tri, confinement, expulsion : l’approche hotspot au service de l’UE », Migreurop, 25 juin 2019

      [10] « Comment l’Europe contrôle ses frontières en Tunisie ? », Inkyfada, 20 mars 2020

      [11] Programme du Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique, mis en œuvre par l’ICMPD et le Ministère italien de l’intérieur - Document d’action pour la mise en œuvre du programme Afrique du Nord, Commission européenne (non daté)

      [12] Réponse de la Commission européenne à une question parlementaire sur les programmes de gestion des frontières financés par le Fonds fiduciaire d’urgence, 26 octobre 2020

      [13] « EU pays for surveillance in Gulf of Tunis », Matthias Monroy, 28 juin 2020

      [14] Réponse question parlementaire donnée par la Haute représentante/Vice-présidente Borrell au nom de la Commission européenne sur le projet Seahorse Mediterraneo 2.0, 7 mai 2020

      [15] « A Struggle for Every Single Boat- Central Mediterranean Analysis, July - December 2020 », Alarm Phone, 14 janvier 2021

      [16] « MARE CLAUSUM - Italy and the EU’s undeclared operation to stem migration across the Mediterranea » ; Forensic Oceanography, Forensic Architecture agency, Goldsmiths, Université de Londres, Mai 2018

      [17] « Migrants detained in Libya for profit, leaked EU report reveals », The Guardian, 20 novembre 2019

      [18] « Carnage in the Mediterranean is the direct result of European state policies », MSF 13 novembre 2020

      [19] Selon les chiffres de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) en Méditerranée : https://missingmigrants.iom.int/region/mediterranean?migrant_route%5B%5D=1376

      [20] « November Shipwrecks - Hundreds of Visible and Invisible Deaths in the Central Med », Alarmphone, 26 novembre 2020

      [21] « Politiques du non-accueil en Tunisie : des acteurs humanitaires au service des politiques sécuritaires européennes », Migreurop, FTDES juin 2020

      https://www.migreurop.org/article3028.html

    • La Tunisia come frontiera esterna d’Europa: a farne le spese sono sempre i diritti umani

      Migreurop, FTDES e EuroMed Rights lanciano un appello congiunto contro la riproposizione del “modello libico” in Tunisia.

      La Tunisia è divenuta negli ultimi anni uno degli interlocutori principali per le politiche securitarie europee basate sull’esternalizzazione delle frontiere. Il governo tunisino si presta, in modo sempre più evidente, a soddisfare le richieste dell’Unione europea e dei suoi paesi membri, Italia e Francia in particolare, che mirano a bloccare nel paese i flussi migratori, ancor prima che possano raggiungere il territorio europeo.

      Ma la situazione non può essere sostenibile sul lungo termine: una grande quantità di denaro viene investita nel finanziamento e supporto alla Guardia costiera tunisina e alle forze di polizia, che controllano i confini marittimi e riportano indietro le persone intercettate in mare, in quelli che sono stati definiti “respingimenti per procura” di cui le autorità europee non vogliono farsi carico, per non dover rispondere degli obblighi internazionali in materia di protezione e asilo.

      Intanto, nel paese imperversa una crisi socio-economica molto grave, che sta smorzando l’entusiasmo nei confronti della giovane democrazia tunisina, unico esperimento politico post-2011 ad aver resistito finora alle spinte autocratiche. Al malessere della popolazione, che nelle ultime settimane ha manifestato nelle strade di diverse città, lo Stato sembra saper rispondere solo con la forza e la repressione.
      La precarietà della situazione economica e sociale non farà che alimentare le partenze dalla Tunisia, che avevano registrato numeri consistenti durante il 2020.

      La guardia costiera, seppure ben equipaggiata e addestrata, non può rappresentare un vero deterrente per chi non ha nulla da perdere: e infatti negli ultimi giorni sono sbarcate a Lampedusa complessivamente più di 230 persone provenienti dall’area di Sfax, attualmente isolati nell’hotspot dell’isola. Altri arrivano invece a Pantelleria, situata a pochi chilometri dalle coste della capitale [1].

      Ma nel Mediterraneo si continua anche a morire: l’ultimo episodio noto che ha coinvolto la Tunisia è avvenuto tra il 12 e il 13 febbraio, quando un’imbarcazione in difficoltà è stata soccorsa dalla marina tunisina al largo di Lampedusa. Secondo le informazioni disponibili, la barca era partita da Sidi Mansour, nella provincia di Sfax, e le 48 persone a bordo erano di varie nazionalità africane. Il maltempo aveva spinto la marina tunisina a interrompere le operazioni di soccorso: delle 48 persone a bordo, 25 sono state tratte in salvo e ricondotte in Tunisia, una è morta e le altre 22 sono state dichiarate “disperse” [2].

      Sono numerose, ma ancora ampiamente inascoltate, le voci che contestano l’approccio del governo tunisino in tema di emigrazione nei rapporti con i paesi a nord del Mediterraneo. Un comunicato congiunto pubblicato il 17 febbraio da Migreurop, del Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali e di EuroMed Rights, dal titolo “Unione europea - Tunisia: l’illusione di una cooperazione equilibrata” [3], denuncia la complicità delle autorità tunisine nell’assecondare le politiche securitarie europee, che rende sempre più preoccupante la situazione per chi tenta di raggiungere l’Europa dalla Tunisia. Lo Stato tunisino non è in grado di difendere i diritti dei propri cittadini o di chi, in generale, parte dalle proprie coste, di fronte alle pressioni europee che perseguono imperterrite delle politiche emergenziali insostenibili sul lungo periodo.

      Il comunicato esprime la propria contrarietà alla riproposizione in Tunisia del tristemente noto modello libico, basato sulla delegazione alle forze locali dei controlli frontalieri europei, sui respingimenti collettivi e sulla criminalizzazione delle persone migranti. Il 2020 è stato un anno cruciale per l’inasprimento dei controlli alle frontiere nel paese: l’aumento delle partenze dalle coste tunisine a causa della crisi economica, e l’attacco di Nizza ad opera di un cittadino tunisino hanno comportato una maggiore attenzione dei governi europei al paese nordafricano, con conseguente aumento dei finanziamenti destinati al controllo frontaliero. A farne le spese, nel caso tunisino come in quello libico, saranno ancora una volta le persone che vedranno violati i loro diritti:

      “Con le autorità europee che si sottraggono alle loro responsabilità in materia di ricerca e di soccorso in mare, affidandole alle guardie costiere dei paesi nordafricani, i casi di mancata assistenza sono in aumento e i naufragi proliferano. Benché la rotta del Mediterraneo centrale sia una delle più controllate al mondo, è anche una delle più mortali, a causa di questa politica di lasciar morire la gente in mare. Durante il 2020, sono stati registrati quasi 1.000 morti, senza contare i casi di naufragi invisibili.

      Ci rifiutiamo di lasciare che il modello di cooperazione euro-libica venga riproposto in Tunisia, con le conseguenze che già conosciamo. Se questo paese, in pace e con istituzioni democratiche, può a prima vista offrire un’immagine più «accogliente» della Libia, non può però essere considerato un paese «sicuro», né per le persone migranti né per i suoi stessi cittadini, che fuggono dal deterioramento della situazione socio-economica, aggravata dalla crisi sanitaria.

      La pressione esercitata dall’Ue e dai suoi Stati membri per costringere la Tunisia a diventare un rifugio per tutti/e i/le migranti «indesiderabili» con il pretesto della lotta al terrorismo è inaccettabile. La connivenza delle autorità tunisine e la mancanza di trasparenza nei negoziati con l’Ue e i suoi Stati membri sono altrettanto inaccettabili. In nessun caso la lotta contro il terrorismo può giustificare il sacrificio dei valori della democrazia e del rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di movimento e il diritto a una vera protezione.”

      https://www.meltingpot.org/La-Tunisia-come-frontiera-esterna-d-Europa-a-farne-le-spese.html?var_mod

      #Tunisie #asile #migrations #réfugiés #frontières #modèle_libyen #externalisation

    • Unmanned surveillance for Fortress Europe

      The agencies #EMSA and Frontex have spent more than €300 million on drone services since 2016. The Mediterranean in particular is becoming a testing track for further projects.

      According to the study „Eurodrones Inc.“ presented by Ben Hayes, Chris Jones and Eric Töpfer for Statewatch seven years ago, the European Commission had already spent over €315 million at that time to investigate the use of drones for border surveillance. These efforts focused on capabilities of member states and their national contact centres for #EUROSUR. The border surveillance system, managed by Frontex in Warsaw, became operational in 2014 – initially only in some EU Member States.

      The Statewatch study also documented in detail the investments made by the Defence Agency (EDA) in European drone research up to 2014. More than €190 million in funding for drones on land, at sea and in the air has flowed since the EU military agency was founded. 39 projects researched technologies or standards to make the unmanned systems usable for civilian and military purposes.

      Military research on drone technologies should also benefit border police applications. This was already laid down in the conclusions of the “ First European High Level Conference on Unmanned Aerial Systems“, to which the Commission and the EDA invited military and aviation security authorities, the defence industry and other „representatives of the European aviation community“ to Brussels in 2010. According to this, once „the existing barriers to growth are removed, the civil market could be potentially much larger than the military market“.

      Merging „maritime surveillance“ initiatives

      Because unmanned flights over land have to be set up with cumbersome authorisation procedures, Europe’s unregulated seas have become a popular testing ground for both civilian and military drone projects. It is therefore not surprising that in 2014, in the action plan of its „Maritime Security Strategy“, the Commission also called for a „cross-sectoral approach“ by civilian and military authorities to bring together the various „maritime surveillance initiatives“ and support them with unmanned systems.

      In addition to the military EDA, this primarily meant those EU agencies that take on tasks to monitor seas and coastlines: The Maritime Safety Agency (EMSA) in Lisbon, founded in 2002, the Border and Coast Guard Agency (Frontex) in Warsaw since 2004, and the Fisheries Control Agency (EFCA) in Vigo, Spain, which followed a year later.

      Since 2009, the three agencies have been cooperating within the framework of bi- and trilateral agreements in certain areas, this mainly concerned satellite surveillance. With „CleanSeaNet“, EMSA has had a monitoring system for detecting oil spills in European waters since 2007. From 2013, the data collected there was continuously transmitted to the Frontex Situation Centre. There, they flow into the EUROSUR border surveillance system, which is also based on satellites. Finally, EFCA also operates „Integrated Maritime Services“ (IMS) for vessel detection and tracking using satellites to monitor, control and enforce the common EU fisheries policy.

      After the so-called „migration crisis“ in 2015, the Commission proposed the modification of the mandates of the three agencies in a „set of measures to manage the EU’s external borders and protect our Schengen area without internal borders“. They should cooperate more closely in the five areas of information exchange, surveillance and communication services, risk analysis, capacity building and exchange. To this end, the communication calls for the „jointly operating Remotely Piloted Aircraft Systems (drones) in the Mediterranean Sea“.

      Starting in 2016, Frontex, EMSA and EFCA set out the closer cooperation in several cooperation agreements and initially carried out a research project on the use of satellites, drones and manned surveillance aircraft. EMSA covered the costs of €310,000, and the fixed-wing aircraft „AR 5 Evo“ from the Portuguese company Tekever and a „Scan Eagle“ from the Boeing offshoot Insitu were flown.

      EMSA took the lead

      Since then, EMSA has taken the lead regarding unmanned maritime surveillance services. The development of such a drone fleet was included in the proposal for a new EMSA regulation presented by the Commission at the end of 2015. Drones were to become a „complementary tool in the overall surveillance chain“. The Commission expected this to provide „early detection of migrant departures“, another purpose was to „support of law enforcement activities“.

      EMSA initially received €67 million for the new leased drone services, with further money earmarked for the necessary expansion of satellite communications. In a call for tenders, medium-sized fixed-wing aircraft with a long range as well as vertical take-off aircraft were sought; as basic equipment, they were to carry optical and infrared cameras, an optical scanner and an AIS receiver. For pollution tracking or emission monitoring, manufacturers should fit additional sensors.

      From 2018, EMSA awarded further contracts totalling €38 million for systems launching either on land or from ships. Also in 2018, the agency paid €2.86 million for quadrocopters that can be launched from ships. In the same year, EMSA signed a framework contract worth €59 million for flights with the long-range drone „Hermes 900“ from Israeli company Elbit Systems. In 2020, for €20 million, the agency was again looking for unmanned vertical take-off aircraft that can be launched either on land or from ships and can stay in the air for up to four hours.

      In addition to the „Hermes 900“, the EMSA drone fleet includes three fixed-wing aircraft, the „AR5 Evo“ from Tekever (Portugal), the „Ouranos“ from ALTUS (Greece) and the „Ogassa“ from UAVision (Portugal). The larger helicopter drones are the „Skeldar V-200“ from UMS (Sweden) and the „Camcopter S-100“ from Schiebel GmbH (Austria), as well as the „Indago“ quadrocopter from Lockheed Martin (USA).

      EMSA handles flights with different destinations for numerous EU member states, as well as for Iceland as the only Schengen state. Due to increasing demand, capacities are now being expanded. In a tender worth €20 million, „RPAS Services for Maritime Surveillance with Extended Coastal Range“ with vertically launched, larger drones are being sought. Another large contract for „RPAS Services for Multipurpose Maritime Surveillance“ is expected to cost €50 million. Finally, EMSA is looking for several dozen small drones under 25 kilograms for €7 million.

      Airbus flies for Frontex

      As early as 2009, the EU border agency hosted relevant workshops and seminars on the use of drones and invited manufacturers to give demonstrations. The events were intended to present marketable systems „for land and sea border surveillance“ to border police from member states. In its 2012 Work Programme, Frontex announced its intention to pursue „developments regarding identification and removing of the existing gaps in border surveillance with special focus on Unmanned Aircraft Systems“.

      After a failed award in 2015, Frontex initially tendered a „Trial of Remotely Piloted Aircraft System (RPAS) for long endurance Maritime Aerial Surveillance“ in Crete and Sicily in 2018. The contract was awarded to Airbus (€4.75 million) for flights with a „Heron 1“ from Israel Aeronautics Industries (IAI) and Leonardo (€1.7 million) with its „Falco Evo“. The focus was not only on testing surveillance technology, but also on the use of drones within civilian airspace.

      After the pilot projects, Frontex then started to procure its own drones of the high-flying MALE class. The tender was for a company that would carry out missions in all weather conditions and at day and night time off Malta, Italy or Greece for €50 million. The contract was again awarded to the defence company Airbus for flights with a „Heron 1“. The aircraft are to operate in a radius of up to 250 nautical miles, which means they could also reconnoitre off the coasts of Tunisia, Libya and Egypt. They carry electro-optical cameras, thermal imaging cameras and so-called „daylight spotters“ to track moving targets. Other equipment includes mobile and satellite phone tracking systems.

      It is not yet clear when the Frontex drones will begin operations, nor does the agency say where they will be stationed in the central Mediterranean. However, it has announced that it will launch two tenders per year for a total of up to 3.000 contracted hours to operate large drones.

      Drone offensive for „pull backs“

      So since 2016, EMSA and Frontex have spent more than €300 million on drone services. On top of that, the Commission has spent at least €38 million funding migration-related drone research such as UPAC S-100, SARA, ROBORDER, CAMELOT, COMPASS2020, FOLDOUT, BorderUAS. This does not include the numerous research projects in the Horizon2020 framework programme, which, like unmanned passenger transport, are not related to border surveillance. Similar research was also carried out during the same period on behalf of the Defence Agency, which spent well over €100 million on it.

      The new unmanned capabilities significantly expand maritime surveillance in particular and enable a new concept of joint command and control structures between Frontex, EMSA and EFCA. Long-range drones, such as those used by EMSA with the „Hermes 900“ and Frontex with the „Heron 1“ in the Mediterranean, can stay in the air for a whole day, covering large sea areas.

      It is expected that the missions will generate significantly more situational information about boats of refugees. The drone offensive will then ensure even more „pull backs“ in violation of international law, after the surveillance information is passed on to the coast guards in countries such as Libya as before, in order to intercept refugees as quickly as possible after they set sail from the coasts there.

      https://digit.site36.net/2021/04/30/unmanned-surveillance-for-fortress-europe
      #drones

  • Bosnia Signs Deal with Pakistan to Send Back Migrants

    Bosnia and Herzegovina signed an agreement with Pakistan that opens up the possibility of repatriating some illegal Pakistani migrants who are currently in the Balkan country.

    Pakistani Interior Minister Ijaz Ahmed Shah and Bosnian Security Minister Selmo Cikotic signed an agreement and an accompanying protocol in Islamabad on Wednesday which should allow migrants to be returned to their home country.

    With the agreement, Pakistan committed itself to accept the return of its citizens who are currently living illegally in Bosnia and vice versa.

    According to the agreement, the competent authorities for receiving, submitting and processing readmission requests, as well as those for transit, will be the Bosnian Security Ministry and the Ministry of Interior for Pakistan.

    Readmission and reception of citizens of the two countries and the transit of foreigners will take place through the international airports in Sarajevo and Islamabad.

    The issue of Pakistani migrants in Bosnia has been the source of problems between the two countries that escalated when Fahrudin Radoncic, the former Bosnian security minister, accused Islamabad in April this year of not wanting to work with Sarajevo on the illegal migration issue.

    The dispute started when Radoncic ordered Bosnia’s Service for Foreigners’ Affairs, the SFA, to compile a list of an estimated 9,000 to 10,000 illegal migrants to be deported, excluding refugees from war-torn Syria.

    He claimed that there are around 3,000 illegal migrants from Pakistan among them and that that Pakistani embassy didn’t want to co-operate on identifying them.

    Radoncic went so far as to demand that the Pakistani ambassador to Sarajevo be declared persona non grata.

    However, Radoncic did not receive the support of either state presidency chairman Sefik Dzaferovic or Bisera Turkovic, the Bosnian foreign minister, which is why he resigned in early June.

    According to estimates by the International Organisation for Migration, Bosnian authorities and NGOs, there are currently about 10,000 illegal migrants in Bosnia, of whom a significant number are citizens of Pakistan.

    Slobodan Ujic, director of Bosnia’s Service for Foreigner’s Affairs, SFA, told BIRN earlier that establishing the identity of migrants had been a problem for years because the embassies of countries where migrants come from do not want to cooperate.

    https://balkaninsight.com/2020/11/04/bosnia-signs-deal-with-pakistan-to-send-back-migrants
    #Bosnie #accord_de_réadmission #asile #migrations #réfugiés #déboutés #renvois #expulsions #accord #Bosnie-Herzégovine

  • Back to Mauritania: Frontex repatriates migrants arriving on Canary Islands

    On Monday, a Frontex operated repatriation flight took off from Spain’s Canary Islands for Mauritania. 51 African migrants were on board. This is the third such flight this year, says the Spanish Ombudsman. The repatriations are a result of a 2003 agreement signed between Spain and Mauritania.

    As the Spanish civil guard was still looking for three boats reported missing off the Canary Islands, other reports were coming through of a Frontex repatriation flight. The flight took off on Monday according to the news agency AFP and the Spanish Ombudsman. It was carrying 51 people aboard.

    “This is the third such flight this year,” the Spanish Ombudsman told Al Jazeera English. The flights are the result of a 2003 agreement signed between Spain and Mauritania. The agreement is part of the EU policy to tighten its borders.

    Officers working with the Spanish Ombudsman (Defensor del Pueblo) and the National Mechanism for the Prevention of Torture (MNP) have inspected each Frontex flight this year and produced reports about them. According to the reports, seen by InfoMigrants, one flight took off from Gran Canaria’s airport on January 20, another on January 27 and the third on February 17, both from Tenerife North airport. All had a destination of Noadhibou in Mauritania.

    February 17 flight

    On February 17, of the 51 people on board, not one held Mauritanian nationality. 36 were from Mali, 13 from Senegal, one person from Gabon and one from Ivory Coast. MNP personnel said they carried out three interviews during the flight but the results of those interviews have not been made public. In response to a question from InfoMigrants, regarding the 51 people’s arrival date on the Canary Islands, and whether or not they had been given the opportunity to reply for asylum, we were told that this was the only information publically available.

    Although there weren’t many details regarding the flight on February 17, for the flight on January 27, MNP officers noted several irregularities. Having pointed them out, they say they received “no response” from the deportation authorities. On this flight, they found that some of the officers conducting the flight failed to wear the requisite identification numbers on their vests.

    Irregularities

    Secondly, they pointed out that medical personnel who accompany the flights did not have the full clinical histories of the persons on board. Thirdly, they found that each of the 42 people on board the January 27 flight had an identical “fit to travel” document which had been filled out by doctors in the internment centers (CIE) prior to deportation and seemed to suggest that they had no medical problem which could impede their flight.

    In this case, states the MNP report, the 42 people on board arrived on the Canary Islands on December 23, 2019. One of those aboard had Mauritanian nationality, 38 people came from Mali and three from Senegal. The report notes that four of the people intended for repatriation to Mali came from regions deemed unsafe by the United Nations Refugee Agency (UNHCR), because of their security and humanitarian situation.

    Of these four, the report notes, two of them had applied for asylum inside the internment center for foreigners (CIE). Those two didn’t fly with the others and stayed with the group at the CIE which had applied for asylum. The report also says that all those deported were notified of the deportation the same day and no interpreter was identified.

    January 20 flight

    On January 20, 46 people were deported from Gran Canaria to Mauritania. On that flight, seven people held Mauritanian citizenship, 34 were from Mali, 4 were from Senegal and one came from Ivory Coast.

    On this flight the two officers from MNP noted inaccuracies in the documentation relative to the repatriation. Again, they noted that some of the repatriation officers from Frontex did not wear vests with visible identification numbers. In this case, they also noted “a strong police presence” which accompanied, in convoy, the group of those being deported, parking near the ladder into the plane with “obvious intimidating effect.”
    A police van standing in front of the Foreigner Internment Centre CIE in Madrid Spain Photo EPAPACO CAMPOS

    Several returnees also claimed to be minors and said that they had not been tested to ascertain their ages. There were also no interpreters present who could speak all the dialects of those being deported. Some of the deportees claimed that they had not been informed of the possibility of applying for asylum and they hadn’t been told in advance that the deportation was to take place.

    EU migration policy

    All of these flights took place in the framework of a 2003 agreement signed between Spain and Mauritania. According to an Amnesty International report from 2008, the EU’s policy on migration flows hinges around two main axes: “the clauses of readmission and the joint operations of the Frontex Agency.” These so-called “readmission agreements and readmission clauses” are inserted into co-operation and association agreements or development aid deals that various EU countries have made with various countries around its borders, which are designated ’safe’ countries. Amnesty calls this one of the EU’s “preferred weapons against illegal migration.”

    It essentially allows EU countries like Spain to send back nationals to Mauritania as well as “nationals of a third country who have entered the territory of one of the two parties irregularly.” The agreements, states Amnesty are “not illegal in themselves.” Amnesty questions however whether such agreements are “fully compliant with the human rights obligations with the states party to the agreement.”

    The rights that migrants should enjoy within these agreements are the “right to liberty and freedom from arbitrary detention; protection against torture or other ill-treatment; their rights to access a fair and satisfactory asylum procedure and protection from return to a country or territory where he or she would be at risk of serious human rights violations.”

    Frontex operations in West Africa

    According to Amnesty, Frontex’s operations added another layer to these agreements when it was set up in 2004. In 2006, Frontex put in place an operation to control irregular migration from West Africa to the Canary Islands. This includes supporting Spain with experts to interview migrants arriving on the Canary Islands in order to establish their country of origin, and to which country they can be sent back; as well as conducting joint sea patrols “close to the West African coast in order to stop unseaworthy boats from continuing their dangerous journey.” Germany, France, Italy, Luxembourg and Portugal have participated in these operations alongside Spain in the past.

    In 2015, the Spanish newspaper El País looked into the arrivals of migrants from Mauritania to the Canary Islands. It said that in 2008 the Spanish police “sent a team of five police officers to train their Mauritanian counterparts. A further 25 civil guards then joined them, working with six more local officers.” They have been operating as a single unit ever since, writes El País.

    Back in 2015, the unit had a civil guard helicopter for patrolling the Mauritanian coastline, alongside two 30-meter patrol boats and two 15-meter vessels. As well as patrols the team gathers intelligence. Mauritania has introduced harsher prison sentences for anyone caught human trafficking.

    El País notes that in return for this close collaboration, between 2007 and 2011, “Spain invested around €150 million in Mauritania.”

    ‘Hard to reconcile with a respect for fundamental rights’

    In 2011, the European Greens and the Migreurop group carried out a detailed report asking whether Frontex was providing guarantees for human rights. In it they noted that sending officers to gather intelligence and effectively try and prevent people from leaving a departure country to reach Europe “was hard to reconcile with a respect for […] fundamental rights.” The report continued: “Intervening upstream to stop the departure of an individual in order to prevent illegal immigration constitutes a violation of the right of every person to leave any country.” They note that this right is “enshrined in various binding international texts.”

    Additionally, “intervening to interrupt the journey of a migrant entitled to claim international protection is also a breach of the right to asylum and the principle of non-refoulement.”

    They described agreements like that between Spain and Mauritania as “part of a move to outsource migration controls, something that is often incompatible with respect for migrants’ rights.” Specifically, they wrote, “the bilateral agreements between Italy and Libya and between Spain and Mauritania have been and continue to be the framework for regular and unpunished violations of migrants’ fundamental rights.”
    Around 42 migrants are rescued off the south coast of Gran Canaria Canary Islands Spain 8 February 2016 Photo EPASpanish Maritime Rescue Service

    A report published on the French academic portal HAL in October 2019 also confirmed the earlier reports assessment that Mauritania was playing a key role in EU migration policy. The report written by Philippe Poutignat and Jocelyne Streiff-Fénart described Mauritania as “a testing ground for European policies of migration.” It also found that “successive Mauritanian governments since […] 2005 […] have tended to found their quest for international recognition on the willingness of Mauritania to respond to EU injunctions on the control of migration flows.”

    InfoMigrants requested information from Frontex regarding flights from Spain to Mauritania. A Frontex spokesperson said that Frontex provides some funding for these flights but they rely on the national authorities to conduct the flight itself. In 2019, they operated six flights from the Canary Islands to Mauritania, repatriating a total of 146 people.

    https://www.infomigrants.net/en/post/22908/back-to-mauritania-frontex-repatriates-migrants-arriving-on-canary-isl

    –- > publié en février 2020, je mets ici pour archivage

    #Mauritanie #Canaries #Frontex #renvois #vols #vols_frontex #asile #migrations #réfugiés #déboutés #réfugiés_mauritaniens #îles_Canaries #Espagne #accord #accord_de_réadmission #accords_de_réadmission

    • Los vuelos de deportación para migrantes: entre la opacidad, los malos tratos y el abandono

      El mecanismo para la prevención de la tortura ha documentado varias irregularidades en las repatriaciones de migrantes. Los colectivos denuncian opacidad y abandono de los migrantes en países de los que ni siquiera proceden, dejándoles desamparados y sin ningún tipo de ayuda.

      Una identificación de la Policía por perfil étnico es la primera parada en el largo recorrido que un migrante sufre hasta que es devuelto a su país de origen. A partir de ahí, comienza un periplo de duración indeterminada que terminará con la expulsión de España del migrante, que quizá ni siquiera será retornado a su territorio original debido a acuerdos bilaterales entre diversos Estados africanos. Hace unos días se llevó a cabo el primer vuelo de repatriación de migrantes, con destino Mauritania, tras la reapertura de los centros de internamiento para extranjeros (CIE) después de su cierre durante los peores momentos de la pandemia. Pero, ¿cómo es ese trayecto? ¿Encierran a todos ellos en los CIE hasta que son deportados? ¿Qué pasa una vez que llegan a sus países?

      Adrián Vives es el portavoz de CIEs No Valencia, y así explica el inicio de la travesía que un migrante experimenta hasta que es repatriado: «Cuando les para la Policía y ven que no pueden identificarse, les trasladan a comisaría y allí, en extranjería, les incoan un procedimiento sancionador administrativo por estancia irregular, y se propone la expulsión. Esa persona se va a la calle pero el proceso continúa, hasta que la Subdelegación del Gobierno del territorio resuelva la expulsión del territorio nacional». No será hasta una segunda parada, también por perfil étnico, según remarca Vives, cuando la Policía pida el internamiento del migrante, sobre el que ya consta una orden de expulsión, en un CIE.

      Pero en estos centros también hay personas que no están en situación irregular, sino que han entrado a España por un puesto fronterizo no habilitado. Es lo que sucede con las pateras. «En ese caso, se les hace una orden de devolución, que es igual que la de expulsión pero con la diferencia de que no tiene aparejada una prohibición de entrada a España posterior. La devolución también se da cuando un migrante, que ha sido expulsado de España y tiene prohibida la entrada, consigue entrar de nuevo en territorio nacional», explica el activista. Es en ese momento en el que, poco a poco, los CIE se van llenando de migrantes que no han cometido ningún delito pero a los que se les priva de libertad.

      Macrodevoluciones, vuelos comerciales y Frontex

      «A veces nos hemos encontrado que el Gobierno fletaba un avión de devolución a Senegal, por ejemplo, con 100 plazas, pero en toda la península tan solo tenían retenidos a 70 de ellos, así que buscarán otras 30 personas con supuestos rasgos senegaleses para llenar el vuelo. Por eso, desde la cuenta Stop Deportación de Twitter damos avisos para que los migrantes tengan más cuidado del habitual, porque las redadas se dan a lo largo y ancho de España», continúa explicando Vives. Estos casos suelen ser frecuentes en los macrovuelos o barcos, todos ellos pagados con dinero público a empresas privadas por contratos con el Ministerio del Interior, que se dirigen hacia el África subsahariana ya que el mayor número de internos en los CIE proceden de Marruecos y Argelia.


      https://twitter.com/Stopdeportacion/status/1324311996469301248

      Frontex, la Agencia Europea de la Guardia de Fronteras y Costas, también dispone de vuelos para las devoluciones. «En ellos suelen intervenir varios países, y hacen escala. Por ejemplo, uno que parte de Francia, para en España, y de España va al país de destino. En estos casos, trabajan conjuntamente la Agencia Europea y las policías de los diferentes países», desarrolla el valenciano. Él mismo afirma que la regulación recoge que por cada persona deportada tienen que acompañarle dos agentes de Policía, así que en el vuelo hay más policías que migrantes.

      Muchos de ellos también son devueltos en vuelos comerciales. De hecho, la protesta contra las deportaciones de extranjeros que intentan llevar a cabo desde la cuenta de Twitter mencionada está orientada a estos vuelos, «para que el resto de pasajeros sepa lo que está sucediendo y vea la barbaridad que es», en términos del portavoz, quien agrega que «si los CIE son una cosa opaca, las deportaciones son otro nivel». En lo que concierne a Argelia y Marruecos, las devoluciones se suelen llevar a cabo mediante barcos y en las mismas condiciones que en los vuelos.

      Irene Carrión, miembro de la Plataforma estatal por el cierre de los CIE y el fin de las deportaciones, indica que tienen varias formas de conocer si próximamente se realizará una devolución. «Si a una persona que conoces y que ya pesa sobre ella una orden de expulsión y le llaman de comisaría para firmar algo, sabemos que lo más probable es que será mentira y solo quieren que vaya para que la detengan, y que en esas 72 horas como máximo que puede estar en los calabozos sea deportada. Por eso es tan importante el trabajo en red que tenemos a nivel estatal, porque lo que sucede en un sitio puede también suceder en otro», comenta al respecto.
      Desamparo en el país de destino

      Más allá de que ciertos periodistas avisan al colectivo de los vuelos de repatriación, los activistas de la Plataforma están pendientes de las actuaciones por parte de Grande-Marlaska, ministro de Interior. «Hay veces que no sabemos la fecha pero sí que van a suceder. Hace unas semanas el ministro hizo una visita a Mauritania y en la agenda estaba la cooperación, y al final ha salido un vuelo con ese destino, así que cuando pasan estas cosas nos empezamos a preocupar y estar más atentas», agrega la activista. Ella misma remarca que no solo se deportan migrantes a países de África, sino que también se han dado casos de vuelos con destino Rumanía y América Latina, fundamentalmente Colombia y Ecuador, y Centroamérica.

      Para los migrantes expulsados, el no llegar a su país de origen es otro de los grandes problemas a los que se tienen que enfrentar. Carrión lo ejemplifica: «España tiene un acuerdo bilateral con Mauritania para estas deportaciones en el que el país africano acepta cualquier persona que, en teoría, haya pasado por su territorio durante su periplo migratorio, por lo que se dan situaciones en las que un extranjero es devuelto a un país que no conoce ni tiene ningún tipo de red creada». Vives añade que «cuando llegan, la Policía española se los entrega a las autoridades de ese país, como un traspaso».

      Una de las denuncias principales de estos colectivos es lo que está sucediendo con las personas de Mali que son devueltas a Mauritania. «Como España, al ratificar la Convención Europea de Ginebra, no puede devolver a los malienses a su país al ser una zona en conflicto, lo que hace es dárselos a Mauritania sin importarles si, a su vez, Mauritania les dejará tirados en Mali, que es lo que están haciendo», aclara Vives. Algo parecido sucede con Marruecos, quien también recibe migrantes que no son de origen marroquí: «Aquí lo que hacen es llevarlos a la frontera del desierto y los abandonan», aclara Carrión.

      La política de externalización de fronteras permite que países como Mauritania, Marruecos y Senegal hayan establecido un acuerdo mediante el que aceptan migrantes que no son nacionales propios pero que sí han transitado por esas regiones en el trayecto migratorio. Carrión puntualiza que «a veces no existen pruebas fehacientes de que haya sido así, pero el Gobierno español se aprovecha de ello. Son acuerdos bilaterales ligados al acceso de ayudas al desarrollo para los países receptores, por eso aceptan estos convenios que no les interesan».

      Sobre el trato que reciben los afectados a la llegada del país, la integrante de la Plataforma explica que, al fin y al cabo, ellos no han cometido ningún delito, pero «en Argelia sí que pasan dos o tres días en comisaría y por eso ellos siempre tienen mucho más miedo a la devolución que otros extranjeros». Por otra parte, si tienen la fortuna de no ser castigados a su vuelta, se les presenta un nuevo problema: han podido ser retornados a una ciudad desconocida, lejana de su región de origen, sin dinero y sin pertenencias. «Te detienen por la calle en España y en menos de tres días estás metido en un vuelo sin saber a qué zona del país de destino te van a llevar y sin haber podido coger ninguna de tus pertenencias. Imagínate cómo se siente esa persona», se explaya Carrión.
      Salvaguarda de sus derechos

      Pero, ¿quién vigila que se respeten los derechos humanos de los migrantes? De esto se encarga el mecanismo para la prevención de la tortura adscrito al Defensor del Pueblo, quienes a veces de manera sorpresiva o avisando acompañan a los migrantes en los traslados. Sus resoluciones no dejan lugar a dudas: «Siempre detectan irregularidades, como que no están cumplimentados los partes médicos necesarios para emprender el viaje, que no se les ha explicado toda la información necesaria en un idioma que los afectados entiendan o que se les ha hecho esperar en una sala durante horas. Eso es lo poco que podemos saber», determina el activista de CIEs No Valencia.

      «Se trata de recomendaciones. El Defensor del Pueblo insiste mucho en la sujeción mecánica, las esposas que les ponen a los migrantes, pues ha habido casos de que se han visto esposados con las manos atrás durante largos recorridos, sobre todo cuando los trasladan en un furgón policial desde el CIE en el que se encuentran a la ciudad de la que partirá el vuelo o el barco de deportación», agrega Carrión. Por otra parte, también se han dado situaciones en las que al migrante no le han permitido ir al servicio durante todo ese trayecto, que suele ser de horas. La integrante de la Plataforma apunta algunas pautas establecidas en un protocolo para evitar el maltrato más allá del físico, como que al afectado le tengan que avisar con unas horas pautadas antes del vuelo para que puedan enviar su ropa o avisar a algún contacto que tengan en la región a la que llegarán. «Los casos más extremos son las muertes, que también las hemos documentado, como la asfixia que se produjo por una venda con el que una persona estaba amordazada», incide Vives.

      Sobre el presente más inmediato de las devoluciones de migrantes en situación irregular, la pandemia no permite conocer muchas certezas. «El Gobierno español ha priorizado estas deportaciones, pese a que existen muchos cierres de fronteras internacionales, porque considera que son una solución a lo que piensa que es un problema. Que encierren a los argelinos sin saber si los podrán deportar es, cuanto menos, deprimente», concluye la propia Carrión.

      https://www.publico.es/politica/vuelos-deportacion-migrantes-opacidad-malos-tratos-abandono.html

  • Pubblicato il dossier di RiVolti ai Balcani

    L’obiettivo: rompere il silenzio sulla rotta balcanica, denunciando quanto sta avvenendo in quei luoghi e lanciando chiaro il messaggio che i soggetti vulnerabili del #game” non sono più soli.

    Il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” della neonata rete “RiVolti ai Balcani” è composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali.

    Il report è la prima selezione e analisi ragionata delle principali fonti internazionali sulle violenze nei Balcani che viene pubblicata in Italia. Un capitolo esamina la gravissima situazione dei respingimenti alla frontiera italo-slovena.

    http://www.icsufficiorifugiati.org/la-rotta-balcanica-i-migranti-senza-diritti-nel-cuore-delleurop

    #rapport #rivolti_ai_balcani #ICS #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #Balkans #route_des_balkans #the_game

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    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

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    ajouté à la métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans :
    https://seenthis.net/messages/1009117

    • Riammissioni tra Italia e Slovenia : 32 migranti rimandati di nuovo sulla Rotta

      „Tante sono le persone che il Dipartimento di polizia di #Capodistria ha ricevuto da parte delle autorità italiane. Nel giro di qualche settimana tenteranno nuovamente di passare“

      Continua il fenomeno delle riammissioni di migranti che le autorità italiane riconsegnano alla polizia slovena in base agli accordi firmati tra Roma e Lubiana nel 1996. Nelle ultime 24 ore sono 32 le persone rimandate nel territorio della vicina repubblica. Nel dettaglio, sono 31 cittadini di origine pakistana e una persona proveniente invece dal Marocco. La Rotta balcanica alle spalle di Trieste ha ripreso vigore nelle ultime settimane, con la conferma che arriva dai dati diffusi dal Dipartimento di polizia di Capodistria negli ultimi 10 giorni e dal corposo rintraccio avvenuto due giorni fa nella zona della #val_Rosandra, in comune di #San_Dorligo_della_Valle/Dolina.

      I dati dell’ultimo periodo

      Ai circa 150 migranti rintriaccati dalle autorità slovene negli ultimi giorni, vanno agigunti altri 13 cittadini afghani e quattro nepalesi. Dai campi profughi della Bosnia è iniziata la fase che vede i migranti tentare di passare i confini prima dell’arrivo delle rigide temperature che caratterizzano l’inverno sulla frontiera con la Croazia. Riuscire a farcela prima che cominicino le forti nevicate signfiica non dover aspettare fino a primavera. Nel frattempo, gli addetti ai lavori sono convinti che non passeranno troppe settimane prima che gli stessi migranti riammessi in Slovenia vengano nuovamente rintracciati in territorio italiano.

      https://www.triesteprima.it/cronaca/rotta-balcanica-migranti-slovenia-italia-riammissioni.html

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission

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      ajouté à cette liste sur les accords de réadmission entre pays européens :
      https://seenthis.net/messages/736091

    • "Le riammissioni dei migranti in Slovenia sono illegali", il Tribunale di Roma condanna il Viminale

      Per la prima volta un giudice si pronuncia sulla prassi di riportare indietro i richiedenti asilo in base a un vecchio accordo bilaterale. «Stanno violando la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali». L’ordinanza nasce dal ricorso di un 27 enne pakistano

      «La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia è illlegittima sotto molteplici profili». Non sono le parole di un’associazione che tutela i diritti dei migranti o di una delle tante ong che denuncia da mesi violenze e soprusi sulla rotta balcanica. Questa volta a dirlo, o meglio, a scriverlo in un’ordinanza a suo modo storica e che farà giurisprudenza, è una giudice della Repubblica. E’ il primo pronunciamento di questo tipo. Un durissimo atto d’accusa che porta l’intestazione del «Tribunale ordinario di Roma - Sezione diritti della persona e immigrazione» e la data del 18 gennaio 2021. Con le riammissioni informali sul confine italo-sloveno, che si tramutano - come documentato di recente anche da Repubblica - in un respingimento a catena fino alla Bosnia, il governo italiano sta violando contemporaneamente la legge italiana, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e persino lo stesso accordo bilaterale.

      La storia di Mahmood

      L’ordinanza emessa dalla giudice Silvia Albano è l’esito di un procedimento cautelare d’urgenza. Il pakistano Mahmood contro il ministero dell’Interno. Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si chiedeva al Tribunale «di accertare il diritto del signor Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia». La storia di questo 27 enne non è diversa da quella di migliaia di migranti che partecipano al Game, come nei campi profughi della Bosnia è stata beffardamente ribattezzata la pericolosa traversata dei boschi croati e sloveni. A metà del luglio scorso Mahmood raggiunge la frontiera di Trieste dopo il viaggio lungo rotta balcanica durante il quale ha subito violenze e trattamenti inumani, provati da una serie di fotografie che ha messo a disposizione del magistrato. E’ fuggito dal Pakistan «per le persecuzioni a causa del mio orientamento sessuale». Giunto in Italia insieme a un gruppo di connazionali, è rintracciato dagli agenti di frontiera e portato in una stazione di polizia italiana.

      «Minacciato coi bastoni dalla polizia italiana»

      Nel suo ricorso Mahmood sostiene di aver chiesto esplicitamente ai poliziotti l’intenzione di presentare la domanda di protezione internazionale. Richiesta del tutto ignorata. La sua testimonianza, evidentemente ritenuta attendibile dalla giudice Albano, prosegue col racconto di quanto accaduto all’interno e nelle vicinanze della stazione di frontiera. Si legge nell’ordinanza: «Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone». Da lì in poi il suo destino del pakistano è segnato: riportato nell’affollato campo bosniaco di Lipa, ha dormito alcune notti in campagna, infine ha trovato rifugio in un rudere a Sarajevo.

      Il Viminale non poteva non sapere

      Secondo il Tribunale di Roma ci sono tre solide ragioni per ritenere illegali le riammissioni in Slovenia. La prima. Avvengono senza che sia rilasciato alcun pezzo di carta legalmente valido. «Il riaccompagnamento forzato - scrive Albano - incide sulla sfera giuridica degli interessati quindi deve essere disposto con un provvedimento amministrativo motivato impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria». La seconda attiene al rispetto della Carta dei diritti fondamentali, che impone la necessità di esame individuale delle singole posizioni e vieta espulsioni collettive. E’ uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza. «Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali. Il ministero era in condizioni di sapere, alla luce dei report delle Ong, delle risoluzioni dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazioanale, che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani».

      Infine la terza ragione, che sbriciola la posizione ufficiale del Viminale, rappresentata al Parlamento dal sottosegretario Achille Variati durante un question time in cui è stato affermato che le riammissioni si applicano a tutti, anche a chi vuol presentare domanda di asilo. Scrive invece la giudice: «Non si può mai applicare nei confronti di un richiedente asilo senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale e lo stesso contenuto dell’Accordo bilaterale con la Slovenia».

      La condanna

      Per queste tre ragioni, il Viminale è condannato a prendere in esame la domanda di asilo di Mahmood, consentendogli l’immediato ingresso nel territorio italiano, e a pagare le spese legali. E’ la vittoria di Gianfranco Schiavone, componente del direttivo Asgi e presidente del Consorzio italiano di Solidarietà, che da mesi denuncia quanto sta accadendo sul confine italo-sloveno. Nel 2020 le riammissioni informali sono state circa 1.300. E’ la vittoria soprattutto delle due legali che hanno presentato il ricorso e sostenuto la causa, Anna Brambilla e Caterina Bove. «Siamo molto soddisfatte della pronuncia», commenta Brambilla. «Alla luce di questa ordinanza si devono interrompere subito le riammissioni informali in Slovenia perché sia garantito l’accesso al diritto di asilo».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/21/news/viminale_condannato_riammissioni_illegali_respingimenti_slovenia_migranti

      #condamnation #justice

    • I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

      Per il Tribunale di Roma le “riammissioni” del Viminale a danno dei migranti hanno esposto consapevolmente le persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. Il caso di un cittadino pachistano respinto a catena in Bosnia. L’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso, ricostruisce la vicenda e spiega perché l’ordinanza è importantissima

      I respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano e praticati con sempre maggior intensità dalla primavera 2020 al confine con la Slovenia sono “illegittimi”, violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale, e hanno esposto consapevolmente i migranti in transito lungo la “rotta balcanica”, inclusi i richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” oltreché a “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.

      A cristallizzarlo, demolendo la prassi governativa delle “riammissioni informali” alla frontiera orientale, è il Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione) con un’ordinanza datata 18 gennaio 2021 e giunta a seguito di un ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla (foro di Trieste e Milano, socie Asgi) nell’interesse di un richiedente asilo originario del Pakistan respinto dall’Italia nell’estate 2020 una volta giunto a Trieste e ritrovatosi a Sarajevo a vivere di stenti.

      Le 13 pagine firmate dalla giudice designata Silvia Albano tolgono ogni alibi al Viminale, che nemmeno si era costituito in giudizio, e riconoscono in capo alle “riammissioni informali” attuate in forza di un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 1996 la palese violazione, tra le altre fonti, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E non solo quando colpiscono i richiedenti asilo ma tutte le persone giunte al confine italiano.

      Abbiamo chiesto all’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso insieme a Brambilla, di spiegarci perché questa ordinanza segna un punto di svolta.

      Avvocata, facciamo un passo indietro e torniamo al luglio 2020. Che cosa è successo a Trieste?
      CB Dopo aver attraversato la “rotta balcanica” con grande sofferenza e aver tentato almeno dieci volte di oltrepassare il confine croato, il nostro assistito, originario del Pakistan, Paese dal quale era fuggito a seguito delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo, ha raggiunto Trieste nell’estate 2020. Lì, è stato intercettato dalla polizia italiana che lo ha accompagnato in un luogo gestito dalle autorità di frontiera.

      E poi?
      CB Presso quella che noi ipotizziamo si trattasse di una caserma (probabilmente la Fernetti, ndr) il ricorrente ha espresso più volte la volontà di accedere alla procedura di asilo. Invece di indirizzarlo presso le autorità competenti a ricevere la domanda di asilo, è stato fotosegnalato, trattenuto insieme ad altri in maniera informale e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli hanno fatto solo firmare dei documenti scritti in italiano e sequestrato il telefono. Dopodiché lo hanno ammanettato, caricato bruscamente su una camionetta e poi rilasciato su una zona collinare al confine con la Slovenia.

      In Slovenia, scrivete nel ricorso, hanno trascorso una notte senza possibilità di avere accesso ai servizi igienici, cibo o acqua. Quando chiedevano di usare il bagno “gli agenti ridevano e li ignoravano”.
      CB Confermo. Veniamo ora al respingimento a catena in Croazia. Il ricorrente e i suoi compagni vengono scaricati dalla polizia al confine e “accolti” da agenti croati che indossavano magliette blu scuro con pantaloni e stivali neri. I profughi vengono fatti sdraiare a terra e ammanettati dietro la schiena con delle fascette. Vengono presi a calci sulla schiena, colpiti con manganelli avvolti con filo spinato, spruzzati con spray al peperoncino, fatti rincorrere dai cani dopo un conto alla rovescia cadenzato da spari in aria.

      Queste circostanze sono ritenute provate dal Tribunale. In meno di 48 ore dalla riammissione a Trieste il vostro assistito si ritrova in Bosnia.
      CB Il ricorrente ha raggiunto il campo di Lipa, a pochi chilometri da Bihać, che però era saturo. Così ha raggiunto Sarajevo, dove vive attualmente spostandosi tra edifici abbandonati della città. La polizia bosniaca lo sgombera di continuo.

      Come avete fatto a entrare in contatto con lui?
      CB La sua testimonianza è stata prima raccolta dal Border Violence Monitoring Network e poi dal giornalista danese Martin Gottzske per il periodico Informatiòn.

      “La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia e anche in danno dell’odierno ricorrente è illegittima sotto molteplici profili”, si legge nell’ordinanza. Possiamo esaminarne alcuni?
      CB Il punto di partenza del giudice è che l’accordo bilaterale firmato nel settembre 1996 non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano e ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

      “Sono invece numerose le norme di legge che vengono violate dall’autorità italiana con la prassi dei cosiddetti ‘respingimenti informali in Slovenia’”, continua il Tribunale.
      CB Infatti. La riammissione avviene senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo. Le persone respinte non vengono informate di cosa sta avvenendo nei loro confronti, non ricevono alcun provvedimento amministrativo scritto e motivato e dunque non hanno possibilità di contestare le ragioni della procedura che subiscono, tantomeno di provarla direttamente. Questo viola il loro diritto di difesa e a un ricorso effettivo, diritti tutelati dall’articolo 24 della Costituzione, dall’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Dunque è una violazione che non dipende dalla condizione di richiedente asilo.
      CB Esatto, anche qui sta l’importanza del provvedimento e la sua ampia portata. Poi c’è la questione della libertà personale: la persona sottoposta a riammissione si vede ristretta la propria libertà personale senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.

      Arriviamo al cuore della decisione. La giudice scrive che “Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero ricevuto [in Croazia, ndr] in ordine al rispetto dei loro diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti e quello di proporre domanda di protezione internazionale”. E aggiunge che il ministero “era in condizioni di sapere” delle “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
      CB È accolta la nostra tesi, fondata su numerosi report, inchieste giornalistiche, denunce circostanziate di autorevoli organizzazioni per i diritti umani.
      La riammissione, anche a prescindere dalla richiesta di asilo, viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che reca il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento in caso lo straniero possa correre il rischio di subire tali trattamenti. Ogni Stato è cioè responsabile anche se non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è stata allontanata.
      In questo senso è un passaggio molto importante perché allarga la portata della decisione a tutte le persone che arrivano in Italia e che vengono rimandate indietro secondo la procedura descritta.
      È noto il meccanismo di riammissione a catena ed è nota la situazione in Croazia.

      La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il 13 gennaio 2021, ha ribadito però che Slovenia e Croazia sarebbero “Paesi sicuri”.
      CB Il Tribunale descrive una situazione diversa e ribadisce che la riammissione non può mai essere applicata nei confronti dei richiedenti asilo e di coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

      Che cosa succede ora?
      CB Considerato il comportamento illecito delle autorità italiane, il Tribunale fa diretta applicazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione consentendo l’ingresso sul territorio nazionale al ricorrente al fine di presentare la domanda di protezione internazionale, possibilità negatagli al suo arrivo. Non c’è un diritto di accedere al territorio italiano per chiedere asilo “da fuori” però, in base a questa norma come declinata dalla Corte di Cassazione, esiste tale diritto di ingresso se il diritto d’asilo sul territorio è stato negato per un comportamento illecito dell’autorità.
      Quindi il ricorrente dovrà poter fare ingresso il prima possibile per fare domanda di asilo. Spero che possa essergli rilasciato al più presto un visto d’ingresso.

      E per chi è stato respinto in questi mesi? Penso anche ai richiedenti asilo respinti, pratica confermata dal Viminale nell’estate 2020 e recentemente, a parole, “rivista”.
      CB Purtroppo per il passato non sarà facilissimo tutelare le persone respinte attraverso simili ricorsi perché le persone subiscono lungo la rotta la sistematica distruzione dei loro documenti di identità, dei telefonini e delle foto e, anche tenuto conto di come vivono poi in Bosnia, diventa per loro difficile provare quanto subito ma anche provare la propria identità. Per il futuro questa decisione chiarisce l’illegalità delle procedure di riammissione sia nei confronti dei richiedenti asilo sia dei non richiedenti protezione. Deve essere assicurato l’esame individuale delle singole posizioni.

      https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min

    • Tratto dal rapporto “#Doors_Wide_Shut – Quarterly report on push-backs on the Western Balkan Route” (Juin 2021):

      Pushbacks from Italy to Slovenia have been virtually suspended, following the visibility and advocacy pursued by national civil society actors on chain pushbacks and potentially reinforced by the January Court of Rome ruling. However, at least two reports on chain pushbacks from Italy through Slovenia and Croatia to BiH have been recorded in May 2021, by the Border Violence Monitoring Network (BVMN). As irregular movements continue, the question remains whether Italy will ensure access to individual formal procedures for those entering its territory from Slovenia and seeking asylum.

      https://helsinki.hu/en/doors-wide-shut-quarterly-report-on-push-backs-on-the-western-balkan-route
      https://seenthis.net/messages/927293

    • Italian Court Ruling on Chain Pushback

      A new ruling from the Court of Rome has been released, finding in favour of an applicant who was subject to an illegal chain pushback from Italy, via Slovenia and Croatia, to Bosnia-Herzegovina. This important development was brought to the court by Italian legal association ASGI, and supported by the Border Violence Monitoring Network (BVMN), who provided a first hand testimony from the applicant. The court found unequivocal evidence of violations of international law, and acknowledged the applicant’s right to enter Italy immediately, and to full and proper access to the asylum system.

      The pushback, which was recorded by BVMN member Fresh Response in Sarajevo, involved violations from all three EU member states who combined to eject the transit group into Bosnia-Herzegovina. In particular, the court found Italian authorities, who initiated the pushback, to have breached:

      - Access to asylum
      - Obligations on Non-refoulement
      - Application of detention
      - Right to effective remedies

      You can read more about the ruling in the press release below:
      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/Decisione-del-Tribunale.pdf

      https://www.borderviolence.eu/italian-court-ruling-on-chain-pushback

  • Chronique Monde | #Mauritanie. Un partenariat européen au goût amer

    La Mauritanie fait figure d’exception au Sahel pour sa relative stabilité. Contrairement à d’autres États de la région, ce pays grand comme presque deux fois la France, à cheval entre le Maghreb et l’Afrique subsaharienne, n’a pas connu d’attentat terroriste depuis 2011. Dans ce contexte, Nouakchott est devenu un partenaire de choix dans le cadre de la lutte internationale contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Face à de tels impératifs, le respect des droits humains sur place passe largement au second plan.

    Tour d’horizon des droits humains

    Depuis le 1er août 2019, la Mauritanie est dirigée par Mohamed Ould El-Ghazaouani. Même si son élection au premier tour est contestée par l’opposition, elle marque la première transition présidentielle pacifique de l’histoire politique mauritanienne. Lors de son investiture, Amnesty International a qualifié de « déplorable » le bilan en matière de droits humains laissé par son prédécesseur, Mohamed Ould Abdel Aziz, citant notamment l’esclavage, les discriminations raciales ainsi que les atteintes à la liberté d’expression, d’association et de réunion.

    Même si l’esclavage a été officiellement aboli en 1981, criminalisé en 2007 et élevé au rang de crime contre l’humanité en 2012, sa pratique touchait environ 43000 personnes en 2016. Dans le même temps, Haratines et Afro- Mauritanien-ne-s restent largement exclu·e·s des postes de responsabilité et donc moins susceptibles de faire valoir leurs droits économiques et sociaux. Depuis l’indépendance, la quasi-totalité des pouvoirs politiques, militaires et économiques est détenue par les Beydanes, une communauté elle-même extrêmement hiérarchisée.

    Celles et ceux qui s’attaquent à ces questions sensibles s’exposent aux représailles de la part de l’État. L’exemple le plus parlant est celui du blogueur Mohamed Ould Mkhaïtir, condamné à mort en 2014 pour « apostasie » après avoir dénoncé l’usage de la religion pour légitimer les pratiques discriminatoires dont est victime la communauté dite des forgerons. Sa peine a depuis été réduite à deux années de prison et il vit actuellement en exil après avoir été libéré en juillet 2019.

    Une tradition d’hospitalité remise en cause

    La Mauritanie est à la fois un pays de transit pour les réfugié-e-s et les migrant-e-s qui se rendent en Afrique du Nord et en Europe et un pays de destination pour celles et ceux à la recherche d’emplois saisonniers dans les secteurs de la pêche et de l’industrie minière ou d’une protection internationale. Signataire de la Convention relative au statut des réfugiés, la Mauritanie a ouvert ses portes en 2012 à plus de 55000 réfugié-e-s malien-ne-s installé-e-s dans le camp de Mbera situé non loin de la frontière malienne.

    Cette politique d’accueil doit néanmoins être nuancée à la lumière de l’externalisation des frontières européennes. L’#Union_européenne (UE) a fait pression sur la Mauritanie pour qu’elle signe en 2003 un #accord_de_réadmission avec l’Espagne qui l’oblige à reprendre sur son territoire non seulement ses nationaux, mais également les ressortissant-e-s de pays tiers dont il est « vérifié » ou « présumé » qu’ils ou elles auraient transité par le territoire mauritanien. Un #centre_de_rétention avait été mis sur pied à #Nouadhibou avec l’aide de l’#Espagne. Il est aujourd’hui fermé (voir VE 135 / décembre 2011 : https://asile.ch/chronique/mauritanie-nouvelle-frontiere-de-leurope).

    Parallèlement, la Mauritanie a reçu entre 2007 et 2013 huit millions d’euros dans le cadre du #Fonds_européen_de_développement afin d’« appuyer et de renforcer les capacités de gestion, de suivi et de planification des flux migratoires » à travers notamment la révision du dispositif pénal relatif aux migrations.

    Résultat : la politique migratoire s’est durcie durant la présidence Aziz. Les autorités ont multiplié les contrôles aux frontières, placé en détention et renvoyé de force des milliers de personnes et soumis certaines d’entre elles à des tortures et mauvais traitements.

    L’ensemble de ces mesures a contribué à déplacer les routes migratoires vers le désert du #Sahara et la #Méditerranée_centrale. Le nombre d’arrivées dans l’archipel espagnol des #Canaries en provenance des côtes mauritaniennes a chuté de 30 000 à moins d’un millier entre 2006 et 2015.

    Cette dynamique est néanmoins en train de s’inverser à mesure que la #Libye apparaît comme une zone de plus en plus inhospitalière. Cette reconfiguration préfigure une recrudescence des naufrages dans l’#Atlantique faute de voies migratoires sûres. Le 4 décembre 2019, une embarcation de fortune partie de #Gambie a sombré au large de #Nouadhibou provoquant la mort d’une soixantaine de personnes.

    https://asile.ch/2020/04/17/chronique-monde-mauritanie-un-partenariat-europeen-au-gout-amer
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #UE #EU #aide_au_développement #développement #coopération_au_développement #contrôles_frontaliers #routes_migratoires
    via @vivre
    ping @rhoumour @isskein @karine4 @_kg_

    –—

    Ajouté à la métaliste « externalisation » :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765327

    Et la métaliste aide au développement et conditionnalité de l’aide :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

  • Visa Facilitation and Readmission : the European Union and Belarus sign agreements

    Today, the European Union and Belarus signed a visa facilitation agreement and a readmission agreement. The agreements represent an important step in EU-Belarus relations and pave the way for improved mobility of citizens, contributing to closer links between the EU and its Eastern Partnership neighbours. At today’s signing ceremony, Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, together with Deputy Prime Minister and Minister of Interior of Croatia as Council Presidency, Davor Božinović, signed for the EU, while Belarus was represented by the Minister of Foreign Affairs, Vladimir Makei.

    Commissioner Johansson said: "These agreements between the European Union and Belarus are a significant step forward in our cooperation. They will improve the mobility of our citizens in a well-managed and secure environment and help build closer links between the European Union and Belarus. From the European side, we will now move ahead rapidly with ratification procedures, so citizens can feel the benefits as soon as possible.”

    The visa facilitation agreement will make it easier for Belarusian citizens to acquire short-term visas to come to the European Union. Once the visa facilitation agreement enters into force, the visa fee will be reduced to €35. In addition, the service fee will be limited and the deadline for consulates to take a decision on a visa application will be shortened. Several categories of travellers, including journalists, students and members of official delegations, will be able to receive multiple-entry visas with increasingly longer validity, while having to submit less supporting documents to prove their purpose of travel. Belarus has unilaterally introduced measures to facilitate short-term visa-free travel for EU citizens arriving in Minsk.

    The main objective of the EU-Belarus readmission agreement is to establish, on the basis of reciprocity, procedures for the safe and orderly return of persons who reside irregularly in the EU or Belarus, in full respect of their rights under international law.

    Next steps

    Following today’s signature, the agreements will be submitted to the European Parliament for consent. The Council will then be able to formally conclude the ratification of both agreements. A ratification procedure is also required on the Belarusian side, through approval from Belarus National Assembly. The agreements could enter into force in June 2020 (on the first day of the second month following conclusion). Both agreements will enter into force on the same day.

    Background

    Negotiation of the EU-Belarus Visa Facilitation Agreement formally started in 2014. In February 2015, the Council amended its negotiating directives by including the possibility to negotiate a reciprocal visa waiver for the holders of diplomatic passports. At the sixth round of talks held on 26 March 2019, the parties reached final agreement on both texts, which were initialled on 17 June 2019.

    Over the past years, there has been progress in EU-Belarus relations. Belarus has been participating actively in the multilateral formats of the Eastern Partnership. The EU-Belarus Coordination Group meets twice a year to steer cooperation and oversee further development of relations. The bilateral relationship will be strengthened through the EU-Belarus Partnership Priorities, which are currently being negotiated. This will set the strategic framework for cooperation in the coming years. Tangible steps taken by Belarus to respect universal freedoms, the rule of law and human rights will remain fundamental for shaping EU’s policy towards Belarus.

    Since 2006, the EU has concluded visa facilitation agreements with Albania, Armenia, Azerbaijan, Bosnia and Herzegovina, Cape Verde, North Macedonia, Georgia, Moldova, Montenegro, Serbia, Russia and Ukraine.

    Formal readmission agreements or practical arrangements on return and readmission are in place with 24 countries.

    https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_6
    #visa #accord_de_réadmission #UE #EU #Biélorussie #Union_européenne #renvois #expulsions

  • Neuer Ausschaffungsdeal der Schweiz mit Bangladesch

    Le Bangladesh est le 62e pays avec lequel les autorités suisses ont conclu un accord de déportation. Selon l’accord, les dirigeants du Bangladesh s’engagent à aider la Suisse en matière de contrôle d’identité et à reprendre les personnes expulsées de force contre leur gré. Dans son communiqué de presse sur l’accord, le Secrétariat d’Etat aux migrations salue également sa brutalité remarquable en matière de refoulements : „Avec un taux de renvoi de près de 60 %, la Suisse est l’un des pays d’Europe les plus efficaces en matière d’exécution des renvois. De plus, le nombre de cas en suspens a été ramené de 7293 unités à l’automne 2013 à 3949 à la fin de l’année 2018.“

    https://migrant-solidarity-network.ch/fr/2019/04/18/neuer-ausschaffungsdeal-der-schweiz-mit-bangladesch
    l’ #efficacité prime, au pays de Heidi, évidemment
    #Bangladesh #accord_de_réadmission #asile #migrations #réfugiés #renvois #Suisse

    • La Suisse et le Bangladesh formalisent leur collaboration dans le domaine du retour

      La Suisse et le Bangladesh ont posé les bases juridiques de leur collaboration dans le domaine du retour des personnes qui se trouvent en situation irrégulière sur le territoire helvétique. À ce jour, la Suisse a ainsi conclu des accords en matière de retour avec 62 pays.

      Notamment lors de la crise migratoire de 2015-2016, de nombreux migrants ont quitté le Bangladesh pour gagner illégalement l’Europe en passant par la Méditerranée centrale. Le renvoi de requérants d’asile déboutés a été pour tous les pays européens source de difficultés dans la collaboration avec le Bangladesh.

      Au terme de rencontres bilatérales, la Suisse est parvenue à donner une base juridique à sa collaboration opérationnelle avec le Bangladesh dans le domaine du retour. Le Bangladesh s’est en effet engagé à épauler la Suisse dans les procédures d’identification des migrants et à reprendre ses ressortissants tenus de quitter la Suisse. Cette collaboration opérationnelle repose sur une convention que le Bangladesh a conclue avec l’Union européenne en 2017. Par ailleurs, des experts des autorités compétentes se rencontreront régulièrement afin de garantir une application correcte de l’accord conclu.
      Autres améliorations dans le domaine du retour

      Avec un taux de renvoi de près de 60 %, la Suisse est l’un des pays d’Europe les plus efficaces en matière d’exécution des renvois. De plus, le nombre de cas en suspens a été ramené de 7293 unités à l’automne 2013 à 3949 à la fin de l’année 2018. Au total, la Suisse a conclu des #accords_de_réadmission, des accords migratoires ou des partenariats migratoires avec 62 pays.

      https://www.admin.ch/gov/fr/accueil/documentation/communiques.msg-id-74615.html
      #expulsions
      ping @i_s_

  • Absurde précarisation. Conditions d’asile durcies pour les Érythréen-ne-s
    https://asile.ch/2019/04/08/absurde-precarisation-conditions-dasile-durcies-pour-les-erythreen-ne-s

    Dans son rapport publié en novembre 2018, l’Observatoire romand du droit d’asile et des étrangers (ODAE romand) pointe les durcissements du droit d’asile qui visent actuellement les Érythréen-ne-s, le groupe le plus représenté dans le domaine de l’asile en Suisse et de ce fait, en proie à des attaques politiques depuis plusieurs années. Un nombre […]

    • 3 articles (en anglais et en espagnol) sur le projet en cours de négociation entre les USA et le Mexique visant à faire en sorte que les demandeurs d’asile restent au Mexique durant leur demande d’asile, à moins qu’ils ne démontrent des risques qu’ils encourent à rester sur le territoire mexicain. Cela s’inscrit dans la droit ligne du projet d’accord dit de « pays tiers sûr » dont les négociations n’ont pas abouti avant la fin du mandat du président sortant. On ignore pour l’instant ce qui est proposé en échange

      Trump plan would force asylum seekers to wait in Mexico as cases are processed, a major break with current policy

      Migrants line up to cross into the United States from Tijuana, Mexico, at the San Ysidro port of entry Monday. (Gregory Bull/AP)

      Central Americans who arrive at U.S. border crossings seeking asylum in the United States will have to wait in Mexico while their claims are processed under sweeping new measures the Trump administration is preparing to implement, according to internal planning documents and three Department of Homeland Security officials familiar with the initiative.

      According to DHS memos obtained by The Washington Post on Wednesday, Central American asylum seekers who cannot establish a “reasonable fear” of persecution in Mexico will not be allowed to enter the United States and would be turned around at the border.

      The plan, called “Remain in Mexico,” amounts to a major break with current screening procedures, which generally allow those who establish a fear of return to their home countries to avoid immediate deportation and remain in the United States until they can get a hearing with an immigration judge. Trump despises this system, which he calls “catch and release,” and has vowed to end it.

      Among the thousands of Central American migrants traveling by caravan across Mexico, many hope to apply for asylum due to threats of gang violence or other persecution in their home countries. They had expected to be able to stay in the United States while their claims move through immigration court. The new rules would disrupt those plans, and the hopes of other Central Americans who seek asylum in the United States each year.

      [Trump lashes out at judge after order to allow illegal border crossers to seek asylum]
      Trump remains furious about the caravan and the legal setbacks his administration has suffered in federal court, demanding hard-line policy ideas from aides. Senior adviser Stephen Miller has pushed to implement the Remain in Mexico plan immediately, though other senior officials have expressed concern about implementing it amid sensitive negotiations with the Mexican government, according to two DHS officials and a White House adviser with knowledge of the plan, which was discussed at the White House on Tuesday, people familiar with the matter said.
      The White House did not immediately respond to a request for comment.

      According to the administration’s new plan, if a migrant does not specifically fear persecution in Mexico, that is where they will stay. U.S. Citizenship and Immigration Services is sending teams of asylum officers from field offices in San Francisco, Washington, and Los Angeles to the ports of entry in the San Diego area to implement the new screening procedures, according to a USCIS official.

      To cross into the United States, asylum seekers would have to meet a relatively higher bar in the screening procedure to establish that their fears of being in Mexico are enough to require immediate admission, the documents say.

      “If you are determined to have a reasonable fear of remaining in Mexico, you will be permitted to remain in the United States while you await your hearing before an immigration judge,” the asylum officers will now tell those who arrive seeking humanitarian refuge, according to the DHS memos. “If you are not determined to have a reasonable fear of remaining in Mexico, you will remain in Mexico.”

      Mexican border cities are among the most violent in the country, as drug cartels battle over access to smuggling routes into the United States. In the state of Baja California, which includes Tijuana, the State Department warns that “criminal activity and violence, including homicide, remain a primary concern throughout the state.”

      The new rules will take effect as soon as Friday, according to two DHS officials familiar with the plans.

      Katie Waldman, a spokeswoman for DHS, issued a statement late Wednesday saying there are no immediate plans to implement these new measures.

      “The President has made clear — every single legal option is on the table to secure our nation and to deal with the flood of illegal immigrants at our borders,” the statement says. “DHS is not implementing such a new enforcement program this week. Reporting on policies that do not exist creates uncertainty and confusion along our borders and has a negative real world impact. We will ensure — as always — that any new program or policy will comply with humanitarian obligations, uphold our national security and sovereignty, and is implemented with notice to the public and well coordinated with partners.”

      A Mexican official, speaking on the condition of anonymity, said that current Mexican immigration law does not allow those seeking asylum in another country to stay in Mexico.

      On Dec. 1, a new Mexican president, Andrés Manuel López Obrador, will be sworn in, and it’s also unclear whether his transition team was consulted on the new asylum screening procedures.

      The possibility that thousands of U.S.-bound asylum seekers would have to wait in Mexico for months, even years, could produce a significant financial burden for the government there, especially if the migrants remain in camps and shelters on a long-term basis.

      [At the U.S. border, migrant caravan will slow to a crawl]
      There are currently 6,000 migrants in the Tijuana area, many of them camped at a baseball field along the border, seeking to enter the United States. Several thousand more are en route to the city as part of caravan groups, according to Homeland Security estimates.

      U.S. border officials have allowed about 60 to 100 asylum seekers to approach the San Ysidro port of entry each day for processing.
      Last week, BuzzFeed News reported that U.S. and Mexican officials were discussing such a plan.

      Mexico also appears to be taking a less-permissive attitude toward the new migrant caravans now entering the country.

      Authorities detained more than 200 people, or nearly all of the latest caravan, who recently crossed Mexico’s southern border on their way to the United States. This is at least the fourth large group of migrants to cross into Mexico and attempt to walk to the U.S. border. They were picked up not long after crossing. The vast majority of the migrants were from El Salvador, according to Mexico’s National Immigration Institute.

      After the first caravan this fall entered Mexico, President Enrique Peña Nieto’s administration offered migrants the chance to live and work in Mexico as long as they stayed in the southern states of Chiapas and Oaxaca. Most chose not to accept this deal, because they wanted to travel to the United States.

      https://www.washingtonpost.com/world/national-security/trump-plan-would-force-asylum-seekers-to-wait-in-mexico-as-cases-are-processed-a-major-break-with-current-policy/2018/11/21/5ad47e82-ede8-11e8-9236-bb94154151d2_story.html
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      Plan “#Quédate_en_México” sería aceptado por López Obrador

      WASHINGTON (apro) – El gobierno del próximo presidente mexicano, Andrés Manuel López Obrador, estaría aceptando el plan “Quédate en México”, diseñado por el mandatario estadunidense Donald Trump, para que los centroamericanos solicitantes de asilo en Estados Unidos se queden en territorio mexicano mientras está en procedimiento su caso, reveló a Apro una fuente gubernamental.
      “Va a pasar… el gobierno de Trump lo está negociando con el equipo del presidente electo”, indicó el funcionario que habló con el reportero sobre el plan Quédate en México, dado a conocer este jueves por el diario estadunidense The Washington Post.
      De acuerdo con la fuente que dio a conocer detalles del asunto y de las negociaciones bajo la estricta condición de que se mantuviera en reserva su nombre y puesto en el gobierno mexicano, las negociaciones del plan “Quédate en México” están siendo directamente revisadas y orquestadas por Mike Pompeo, secretario de Estado en el gobierno de Trump, y por Marcelo Ebrard, próximo secretario de Relaciones Exteriores en el de López Obrador.
      “Lo que está por definirse son los parámetros del plan, los tiempos (de estancia en México de los centroamericanos), los costos y financiamiento de su deportación en caso de que no se acepte su solicitud en los Estados Unidos y otros aspectos en ese sentido”, apuntó el funcionario en entrevista telefónica.
      De acuerdo con la información obtenida por Apro, Ebrard y Pompeo se reunieron la semana pasada en Houston, Texas, para darle seguimiento a las negociaciones del plan “Quédate en México”.
      La nueva medida migratoria de Trump tiene como objetivo evitar que los miles de migrantes centroamericanos integrantes de la caravana que está en Tijuana, y las otras que están en tránsito hacia el norte por el territorio mexicano, no puedan ingresar a Estados Unidos.
      También te recomendamos
      Trump quiere que solicitantes de asilo se queden en México durante el trámite: TWP
      “Quédate en México” es un plan alternativo del gobierno de Trump al cumplimiento de las leyes de asilo de los Estados Unidos.
      Por medio del mecanismo que estaría aceptando el próximo presidente de México, los centroamericanos a quienes las autoridades migratorias estadunidenses les acepte analizar su caso de petición de asilo, deberían quedarse en el territorio mexicano hasta que las cortes de inmigración de Estados Unidos emitan un fallo.
      Con la adopción del plan por parte del gobierno de López Obrador, los centroamericanos solicitantes de asilo a quienes el gobierno de Estados Unidos les reciba su caso, podrían permanecer en México meses o hasta años; es decir el tiempo que tome a un juez migratorio estadunidense determinar si es válida o inválida la petición.
      El pasado 8 de noviembre, Trump firmó una proclama con la cual cambio las leyes de asilo en su país. La decisión de Trump establecía que, se aceptarían peticiones de asilo de centroamericanos, sólo si estos entraban por los puestos de inmigración en la frontera con México y tuvieran una causa probable en su petición.
      La media definía que contrario a lo que dictan las leyes de asilo, no se aceptarían peticiones de extranjeros que ingresaran como inmigrantes indocumentados a los Estados Unidos.
      Otro aspecto de la proclama de Trump es que a los peticionarios que entraran “legalmente” a pedir asilo, no se les liberaría en Estados Unidos como dictan las leyes; sino que se les enviaría a un albergue temporal donde estarían encerrados el tiempo que durase el procedimiento en las cortes de su caso. Este martes, la Corte Federal de Apelaciones del Noveno Distrito en San Francisco, California, emitió la orden de anular la implementación de la proclama firmada por Trump.

      https://www.proceso.com.mx/560664/plan-quedate-en-mexico-seria-aceptado-por-lopez-obrador
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      Trump quiere que solicitantes de asilo se queden en México durante el trámite: TWP

      WASHINGTON (apro) – El presidente Donald Trump, pretende implementar un plan al que llamarán “Quédate en México”, bajo el cual los migrantes centroamericanos que soliciten asilo en Estados Unidos deberían permanecer en territorio mexicano y no en el estadunidense, mientras se procesa su caso y se determina la validez de su petición.
      De acuerdo con el periódico estadunidense The Washington Post, que reveló el nuevo proyecto de Trump para contener al flujo de migrantes centroamericanos que llegaron a Tijuana como parte de las caravanas que viajan por el territorio mexicano, el nuevo plan de la Casa Blanca podría iniciar a implementarse este viernes 23.
      “De acuerdo con memorandos del Departamento de Seguridad Interior”, que obtuvo el Washington Post, “los centroamericanos que no puedan demostrar una causa razonable de miedo o persecución en México no se les permitirá entrar a los Estados Unidos y se serán regresados a la frontera”, destaca el despacho del diario capitalino y uno de los más importantes e influyentes de Estados Unidos.
      El nuevo proyecto de Trump, es otra de las estrategias que pretende implementar su gobierno luego del revés que sufrió tras la orden de la Corte Federal de Apelaciones del Noveno Circuito en San Francisco, California, que anuló la instrumentación de la proclama que firmó el mandatario el pasado 8 de noviembre y que congelaba la aceptación de peticiones de asilo de parte de los migrantes centroamericanos.
      “El plan llamado ‘Quédate en México’ representa un quiebre mayor con los actuales procedimientos de escrutinio que, generalmente permiten a todos aquellos que establecen una causa creíble de miedo para regresar a sus países de origen; eviten la deportación inmediata y permanecer en los Estados Unidos”, matiza el Washington Post.
      Desde que Trump ha magnificado la situación y realidad da la peregrinación de caravanas centroamericanas que viajan a la frontera sur de Estados Unidos por México, el mandatario ha buscado métodos de contención y disuasión a través de acciones anticonstitucionales y militares, como la proclama con la que buscaba anular los procesos de solicitudes de asilo y el despliegue de unos cinco mil 800 elementos del Pentágono en la zona limítrofe.
      El Washington Post, que además consiguió documentos internos del Departamento de Seguridad Interior sobre el plan “Quédate en México” y habló con funcionarios familiarizados con el tema, apuntó que no se sabe si la Casa Blanca ha consultado con el próximo presidente mexicano, Andrés Manuel López Obrador, o su equipo, la intención de mantener en el territorio mexicano a los peticionarios de asilo.
      Bajo las leyes estadunidenses de asilo, todo peticionario tendría que quedarse en Estados Unidos mientras su analiza y determina su caso.
      La proclama que firmó Trump el pasado 8 de noviembre definía que, sólo aceptarían solicitudes de asilo de peticionarios que ingresaran “legalmente” a los Estados Unidos por los puertos de ingreso migratorios en la frontera con México y que estos se quedarían en centros de detención y no serían liberados todo el tiempo que tomará el procedimiento de su caso ante las cortes de inmigración.
      La proclama determinaba que serían deportados a México todos los solicitantes de asilo que ingresaran como inmigrantes indocumentados a Estados Unidos, sin embargo, la intervención de la Corte Federal de San Francisco congeló la orden ejecutiva de Trump.
      El rotativo capitalino apunta en su despacho publicado en la primera plana de su edición impresa de este jueves que es Stephen Miller, el principal asesor de Trump, el patrocinador del plan “Quédate en México”.
      La nota de primera plana acota que hay cierto desasosiego en la Casa Blanca, debido a la problemática para implementar el proyecto por la sensibilidad de las negociaciones con el gobierno mexicano.
      El gobierno de Trump no ha cesado en insistir en concretar con México un acuerdo para delegar en las autoridades mexicanas el proceso de peticionarios centroamericanos de asilo en Estados Unidos y su deportación.
      En un principio Trump quería concretar con el gobierno saliente de Enrique Peña Nieto, el acuerdo de convertir a México en un Tercer País Seguro.
      Bajo este compromiso, rechazado por la intervención directa de Marcelo Ebrard, próximo canciller mexicano en el gobierno de López Obrador, Trump pretendía que todos los centroamericanos o ciudadanos de otros países que pidieran asilo e Estados Unidos, primero lo hicieran en México y que, bajo la determinación tomada en ese país de su caso, posteriormente se canalizara a Estados Unidos.
      Sobre la deportación de los migrantes centroamericanos a quienes se les rechazará la aceptación de su petición o el asilo, el gobierno de Trump asignó 20 millones de dólares a la llamada Iniciativa Mérida, para que el gobierno mexicano cubriera con ello el costo del regreso a sus países de origen de las personas rechazadas por el sistema de inmigración de los Estados Unidos, sin embargo, nuevamente por la intervención de López Obrador y su equipo, se rechazó la medida unilateral.
      Katie Waldman, la vocera del Departamento de Seguridad Interior, y luego de que se diera a conocer el despacho del Washington Post, emitió la noche del miércoles un comunicado de prensa para indicar que no hay planes inmediatos para instrumentar el proyecto “Quédate en México”.
      “El Departamento de Seguridad Interior no implementará esta semana dicho programa”, indica el comunicado de prensa de Waldman.

      https://www.proceso.com.mx/560666/trump-quiere-que-solicitantes-de-asilo-se-queden-en-mexico-durante-el-tr

  • Liste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...

    Mini liste sur la question des accords de réadmission signés entre différents pays européens afin de pouvoir expulser les migrants...

    #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission #frontière_sud-alpine #push-backs #refoulements #accords_bilatéraux #réadmission #Alpes #montagne
    ping @isskein

    • Entre la #France et l’#Italie :
      https://seenthis.net/messages/730361

      Il s’agit de l’#accord_de_Chambéry. Décret n° 2000-923 du 18 septembre 2000 portant publication de l’accord entre le Gouvernement de la République française et le Gouvernement de la République italienne relatif à la #coopération_transfrontalière en matière policière et douanière, signé à Chambéry le 3 octobre #1997
      https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000766303

      voir aussi le rapport ASGI :
      https://medea.asgi.it/wp-content/uploads/2020/12/all-4-scheda-DM-5-agosto_def.pdf
      signalé ici :
      https://seenthis.net/messages/892443

    • Entre l’#Espagne et la #France:
      –-> #accord_de_Malaga signé le 26 novembre 2002 entre la France et l’Espagne.

      https://seenthis.net/messages/901308

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      Un accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13368/france-19-migrants-interpelles-dans-un-bus-en-provenance-de-bayonne-et

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      Concernant l’accord entre l’Espagne et la France, voici un complément, reçu via la mailing-list Migreurop:

      C’est un accord de réadmission bilatéral signé entre la France et l’Espagne (comme tas d’autres) qui prévoit la réadmission des nationaux ou de ressortissants de pays tiers ayant transité par le territoire de l’un de ces pays.

      L’article 7 de cet accord prévoit :
      Les autorités responsables des contrôles aux frontières des deux Parties contractantes réadmettent immédiatement sur leur territoire les étrangers, ressortissants d’Etats tiers, qui sont présentés par les autorités des frontières de l’autre Partie, dans les quatre heures suivant le passage illégal de la frontière commune.

      Il a été signé le 26 novembre 2002, et concernant la France, publié par le décret n° 2004-226 du 9 mars 2004.

      Vous trouverez sur le site de Migreurop, d’autres accords signés par la France (et aussi par d’autres pays de l’UE),

      http://www.migreurop.org/article1931.html

      –---

      Francia devolvió a España casi 16.000 migrantes en solo cinco meses (2021)

      Para expulsar a los inmigrantes que entran irregularmente a su territorio, Francia y España se valen de un acuerdo bilateral de 2002 (https://elpais.com/politica/2018/11/02/actualidad/1541179682_837419.html) que les permite la devolución en las cuatro horas siguientes al paso de la frontera. El acuerdo contempla una serie de garantías, como que los inmigrantes sean entregados a la policía española o que se formalice por escrito su devolución. Los datos de la policía francesa no especifican cuántos inmigrantes han sido devueltos sobre la base de este acuerdo bilateral, pero fuentes policiales y los propios inmigrantes han señalado que la mayor parte se realiza sin que medie un solo trámite.

      https://seenthis.net/messages/912645

    • Press Release: Court find Slovenian state guilty of chain pushback to Bosnia-Herzegovina

      Civil initiative Info Kolpa, a key member of the Border Violence Monitoring Network, are sharing here the landmark judgement issued on 16th July 2020 by the Slovenian Administrative Court. The findings prove that the national police force carried out an illegal collective expulsion of a member of a persecuted English-speaking minority from Cameroon who wanted to apply for asylum in Slovenia.

      The court heard the experience of the applicant, J.D., who was held in a Slovenian police station for two days and denied access to asylum, despite making three verbal requests. After this procedural gatekeeping, the applicant was readmitted to Croatia – under an agreement described by the Slovenian Ombudswoman as “against the European legal order”. From Croatia, J.D. was chain refouled to Bosnia-Herzegovina, a pattern analysed in a feature length report by InfoKolpa published in May 2019.

      The Administrative Court found that the Republic of Slovenia violated the applicant’s right to asylum (Article 18 of the EU Charter of Fundamental Rights), the prohibition of collective expulsions (Article 19 § 1) and the principle of non-refoulement (Article 19 § 2):

      “that no one shall be removed, expelled or extradited to a State in which he or she is in serious danger of being subjected to the death penalty, torture or other inhuman or degrading treatment or punishment”.

      The court ruled that the police had not informed J.D. of his asylum rights, as mandated to do so, in clear breach of domestic and EU law. The pushback also breached the prohibition of collective expulsion because the applicant was not issued a removal order, nor given translation and legal aid prior to his readmission to Croatia. In regards to the chain refoulement, the judgement found “sufficiently reliable reports on possible risks from the point of view of Article 3 of the ECHR” in both Croatia where the applicant was initially removed, and also in Bosnia-Herzegovina where he was subsequently pushed back. This is inline with evidence provided by BVMN in 2019 showing that 80% of recorded pushback cases from Croatia breached law on torture or inhumane and degrading treatment.

      In a groundbreaking step, once the judgment becomes final, it will oblige the Republic of Slovenia to allow the applicant to enter the country and file an application for international protection without delay, as well as provide €5,000 in compensation. Commenting on the outcome, the applicant stated:

      “I know and believe that the judgement will help those that come after me. It may not have a direct solution for me, but I know that we are creating awareness and you give more trust to the law of the country.” — J. D., Bosnia, 17th July 2020

      While the Ministry of Internal Affairs have stated they will appeal the judgement, the lawyer representing J.D. stated the case is a landmark because it not only proves the human rights violations suffered by the applicant, but establishes that chain pushbacks to Bosnia-Herzegovina are “systematic and routine”.

      https://www.borderviolence.eu/press-release-court-find-slovenian-state-guilty-of-chain-pushback-to-

      #Slovénie #Bosnie

    • Court confirms systematic human rights violations by Austrian police

      Regional Administrative Court of Styria confirmed the practice of chain puchbacks and found the Austrian police guilty of violating the right to human dignity and the right of documentation

      On 28th of September 2020 eight people were pushed back after being chased and humiliated by Austrian police. Their repeated verbal demand for asylum had been ignored, and no interpreter was involved, as our friends from the initiative „Push Back Alarm Austria“ documented, as we reported earlier on, and later pressed charges in the one case of Ayoub N.

      Now, the court confirmed the methodical practice of chain pushbacks and for the first time the existence of a chain pushback route from Austria or Italy crossing Slovenia and Croatia to Bosnia, including the collaboration of the police in different countries.

      The actions of the police officers who intervened were purposefully aimed at the rejection of the complainant and there is no room for any other interpretation

      In synopsis of the entire official act, the court concludes that there was an obvious bias of the officers against the complainant, since the physical search was disproportionate, no food was provided, and the involvement of an interpreter was omitted despite obvious language difficulties and the use of the word “asylum”, the verdict states (asyl.at/de/info/presseaussendungen/push-back-routevonoesterreichbisbosnien/?s=pushbacks).

      The joint press release of Push-Alarm Austria & Asylkoordination notes that, despite a court finding that his rights were disregarded, due to a legal loophole, the complainant Ayoub N. will not be allowed to enter the country. “I was confident that we would win the case. After returning to Bosnia, I felt like shattered glass. At the moment, I am trying to sort out my life and move forward,” he said.

      “We are talking about systematic human rights violations, inhumane treatment and ignoring the principles of the rule of law by police in Austria. It is completely unimaginable that this is happening without the knowledge and against the expressed will of the Minister of the Interior and his officials. If someone questions the Geneva Refugee Convention, one of the greatest lessons of the Shoah, and at the same time does not take consistent action against systematic human rights violations by the police, the only thing left to do is to resign!”

      Lawyer Clemens Lahner sees the finding as a clear warning to the Ministry of the Interior to put an end to the systematic disregard for the rule of law as soon as possible: “Not everyone who applies for asylum in Austria automatically will receive a substantive asylum procedure or be granted protection. But these questions are to be examined and decided by the competent authorities or courts,” the lawyer clarifies. “If the police presume to decide who will get an asylum procedure at all, this is clearly illegal. The Ministry of the Interior has now been put on written notice, in the name of the Republic.”

      Klaudia Wieser of Push-Back Alarm Austria said. “This case shows the necessity of our initiative to prevent systematic breaches of the law at Austrian borders. Austrian push-backs frequently constitute the first step of chain push-backs beyond the EU’s external borders. Sebastian Kurz is the spiritus rector of systematic human rights violations along the push-back route to Bosnia.”

      The finding from Graz also puts the Slovenian government which has just taken over the EU Presidency under considerable pressure. For the first time, it is possible to prove in a court case what human rights organisations such as ours and particularly everyone within the Border Violence Monitoring Network have been documenting since 2016: a continuous pushback route via Austria or Italy via Slovenia and Croatia to Bosnia.

      “If someone questions the Geneva Refugee Convention, one of the greatest lessons of the Shoah, and at the same time does not take consistent action against systematic human rights violations by the police, the only thing left to do is to resign!” — University Professor Dr. Benedek of the Institute of International Law and International Relations from the University of Graz said.

      However, as in other such cases in countries along the so called Balkan Route, no higher responsibility has so far been established by a court or other instance deemed valid by the states, so we expect to see more tacit acceptance of the anti-people and anti-human rights commands by those on the top.

      https://medium.com/are-you-syrious/ays-daily-digest-5-7-21-court-confirmed-the-systemic-chain-pushbacks-b8e0749

      #Autriche

  • Pays basque, la nouvelle route de l’exil

    De plus en plus de migrants entrent en Europe par l’Espagne et franchissent la frontière dans le Sud-Ouest. Reportage.

    Le car est à peine garé le long du trottoir que, déjà, ils se pressent à ses portes. Ils regardent avec anxiété la batterie de leur téléphone, elle est presque à plat, il faut qu’elle tienne quelques minutes encore, le temps de présenter le billet. Quatre jeunes filles s’inquiètent, leur ticket affiche un prénom masculin, le chauffeur les laissera-t-il passer ? Ou vont-elles perdre les 100, 200 ou 300 euros qu’elles ont déboursés à des « frères » peu scrupuleux - la valeur officielle est de 35 euros - pour acquérir ce précieux sésame vers Paris ? Chaque soir depuis quelques semaines, le même scénario se répète au terminus des « bus Macron » sur la place des Basques, à #Bayonne. Une centaine de jeunes, pour la plupart originaires d’Afrique francophone, plus rarement du Maghreb, monte par petits groupes dans les cars en partance pour Bordeaux ou Paris, dernière étape d’un périple entamé depuis des mois. Ils ont débarqué la veille d’Irun, en Espagne, à 40 kilomètres plus au sud, après un bref passage par la ville frontalière d’Hendaye.

    De #Gibraltar, ils remontent vers le nord de l’Espagne

    Les arrivées ont commencé au compte-gouttes au printemps, elles se sont accélérées au cours de l’été. Depuis que l’Italie se montre intraitable, l’Espagne est devenue le principal point d’entrée en Europe, avec 48 000 nouveaux exilés depuis le début de l’année. Croisés à Irun ou à Hendaye, qu’ils viennent de Guinée-Conakry, de Côte d’Ivoire ou du Mali, ils racontent la même histoire. Thierno est guinéen, il a 18 ans. Il a tenté la traversée par la Libye, sans succès, il a poursuivi par l’Algérie et le Maroc, puis fini par franchir le détroit de Gibraltar en bateau après deux échecs. Tous évoquent la difficulté à travailler et à se faire payer au Maroc, les violences, parfois, aussi. Puis ils parlent de l’Espagne, d’Algesiras, Cadix ou Malaga, en experts de la géographie andalouse. Parfois, la Croix-Rouge espagnole, débordée au Sud, les a envoyés en bus vers ses centres de Madrid ou Bilbao, leur assurant une partie de leur voyage. Aboubacar, 26 ans, est, lui, remonté en voiture, avec des « frères ».

    Personne n’en parle, les réseaux sont pourtant bien là, à prospérer sur ces flux si lucratifs. On estime à 1500 euros le prix de la traversée à Gibraltar, 100 ou 200 euros le passage de la frontière française depuis #Irun. Tous n’ont qu’un objectif, rejoindre la #France, comme cette femme, sénégalaise, qui demande qu’on l’emmène en voiture et suggère, si on se fait contrôler, de dire qu’elle est notre bonne. La quasi-totalité veut quitter l’Espagne. Parce qu’ils n’en parlent pas la langue et qu’ils ont souvent en France sinon de la famille, au moins des connaissances. Parce qu’il est plus difficile de travailler dans la péninsule ibérique, où le taux de chômage reste de 15 %. Parce qu’enfin ceux qui envisagent de demander l’asile ont intérêt à effectuer les démarches en France, où 40 575 protections ont été accordées en 2017, plutôt qu’en Espagne (4 700 statuts délivrés).

    Alors, ils essaient, une fois, deux fois, trois fois, dans un absurde jeu du chat et de la souris avec les policiers français. Les 150 agents de la #police_aux_frontières (#PAF) en poste à #Hendaye tentent, avec l’aide d’une compagnie de #CRS, de contrôler tant bien que mal les cinq points de passage. Depuis le début de 2018, 5600 réadmissions ont été effectuées vers l’Espagne, contre 3520 en 2017, mais, de l’aveu même d’un officiel, « ça passe et ça passe bien, même ». Si l’autoroute est gardée quasiment toute la journée, il reste un créneau de deux heures durant lequel elle ne l’est pas faute d’un effectif suffisant. Chaque nuit, des taxis espagnols en profitent et déposent des gens sur la place des Basques à Bayonne. La surveillance des deux ponts qui enjambent la #Bidassoa et séparent Irun d’Hendaye est aléatoire. A certaines heures, le passage à pied se fait sans difficulté. Il ne reste plus ensuite aux migrants qu’à se cacher jusqu’au prochain passage du bus 816, qui les conduira à Bayonne en un peu plus d’une heure.

    Les agents de la Paf ne cachent pas leur lassitude. Même si la loi antiterroriste de 2017 autorise des contrôles renforcés dans la zone frontière, même si des accords avec l’Espagne datant de 2002 leur permettent de renvoyer sans grande formalité les personnes contrôlées sans papiers dans un délai de quatre heures, ils ont le sentiment d’être inutiles. Parce qu’ils ne peuvent pas tout surveiller. Parce que l’Espagne ne reprend que contrainte et forcée les « réadmis », les laissant libres de franchir la frontière dès qu’ils le souhaiteront. Certains policiers ne prennent même plus la peine de raccompagner les migrants à la frontière. Gare d’Hendaye, un après-midi, le TGV pour Paris est en partance. Des policiers fouillent le train, ils trouvent trois jeunes avec billets mais sans papiers, ils les font descendre, puis les laissent dans la gare. « De toute façon, ça ne sert à rien d’aller jusqu’à la frontière, dans deux heures, ils sont de nouveau là. Ça ne sert qu’à grossir les chiffres pour que nos chefs puissent faire de jolis camemberts », lâche, avec aigreur, l’un des agents.

    La compassion l’emporte sur le rejet

    L’amertume n’a pas encore gagné le reste de la population basque. Au contraire. Dans cette zone où l’on joue volontiers à saute-frontière pour aller acheter des cigarettes à moins de cinq euros ou du gasoil à 1,1 euro, où il est fréquent, le samedi soir, d’aller boire un verre sur le littoral espagnol à San Sebastian ou à Fontarrabie, où près de 5000 Espagnols habitent côté français, où beaucoup sont fils ou petits-fils de réfugiés, la compassion l’emporte sur le rejet. Même le Rassemblement national, qui a diffusé un communiqué mi-août pour dénoncer « une frontière passoire », doit reconnaître que son message peine à mobiliser : « Les gens commencent à se plaindre, mais je n’ai pas entendu parler de débordements, ni rien d’avéré », admet François Verrière, le délégué départemental du parti. Kotte Ecenarro, le maire socialiste d’Hendaye, n’a pas eu d’écho de ses administrés : « Pour l’instant, les habitants ne disent rien, peut-être parce qu’ils ne les voient pas. » Lui, grand joggeur, les aperçoit lorsqu’il va courir tôt le matin et qu’ils attendent le premier bus pour Bayonne, mais aucun ne s’attarde dans la zone frontière, trop risquée.

    Chaque soir, place des Basques à Bayonne, des migrants embarquent dans les bus pour Paris.

    Le car est à peine garé le long du trottoir que, déjà, ils se pressent à ses portes. Ils regardent avec anxiété la batterie de leur téléphone, elle est presque à plat, il faut qu’elle tienne quelques minutes encore, le temps de présenter le billet. Quatre jeunes filles s’inquiètent, leur ticket affiche un prénom masculin, le chauffeur les laissera-t-il passer ? Ou vont-elles perdre les 100, 200 ou 300 euros qu’elles ont déboursés à des « frères » peu scrupuleux - la valeur officielle est de 35 euros - pour acquérir ce précieux sésame vers Paris ? Chaque soir depuis quelques semaines, le même scénario se répète au terminus des « bus Macron » sur la place des Basques, à Bayonne. Une centaine de jeunes, pour la plupart originaires d’Afrique francophone, plus rarement du Maghreb, monte par petits groupes dans les cars en partance pour Bordeaux ou Paris, dernière étape d’un périple entamé depuis des mois. Ils ont débarqué la veille d’Irun, en Espagne, à 40 kilomètres plus au sud, après un bref passage par la ville frontalière d’Hendaye.
    Des dizaines de bénévoles se succèdent pour apporter et servir des repas aux migrants, place des Basques, à Bayonne.

    Des dizaines de bénévoles se succèdent pour apporter et servir des repas aux migrants, place des Basques, à Bayonne.

    Les arrivées ont commencé au compte-gouttes au printemps, elles se sont accélérées au cours de l’été. Depuis que l’Italie se montre intraitable, l’Espagne est devenue le principal point d’entrée en Europe, avec 48 000 nouveaux exilés depuis le début de l’année. Croisés à Irun ou à Hendaye, qu’ils viennent de Guinée-Conakry, de Côte d’Ivoire ou du Mali, ils racontent la même histoire. Thierno est guinéen, il a 18 ans. Il a tenté la traversée par la Libye, sans succès, il a poursuivi par l’Algérie et le Maroc, puis fini par franchir le détroit de Gibraltar en bateau après deux échecs. Tous évoquent la difficulté à travailler et à se faire payer au Maroc, les violences, parfois, aussi. Puis ils parlent de l’Espagne, d’Algesiras, Cadix ou Malaga, en experts de la géographie andalouse. Parfois, la Croix-Rouge espagnole, débordée au Sud, les a envoyés en bus vers ses centres de Madrid ou Bilbao, leur assurant une partie de leur voyage. Aboubacar, 26 ans, est, lui, remonté en voiture, avec des « frères ».

    Personne n’en parle, les réseaux sont pourtant bien là, à prospérer sur ces flux si lucratifs. On estime à 1500 euros le prix de la traversée à Gibraltar, 100 ou 200 euros le passage de la frontière française depuis Irun. Tous n’ont qu’un objectif, rejoindre la France, comme cette femme, sénégalaise, qui demande qu’on l’emmène en voiture et suggère, si on se fait contrôler, de dire qu’elle est notre bonne. La quasi-totalité veut quitter l’Espagne. Parce qu’ils n’en parlent pas la langue et qu’ils ont souvent en France sinon de la famille, au moins des connaissances. Parce qu’il est plus difficile de travailler dans la péninsule ibérique, où le taux de chômage reste de 15 %. Parce qu’enfin ceux qui envisagent de demander l’asile ont intérêt à effectuer les démarches en France, où 40 575 protections ont été accordées en 2017, plutôt qu’en Espagne (4 700 statuts délivrés).

    Un migrant traverse le pont de St Jacques à Irun en direction de la France.

    Alors, ils essaient, une fois, deux fois, trois fois, dans un absurde jeu du chat et de la souris avec les policiers français. Les 150 agents de la police aux frontières (PAF) en poste à Hendaye tentent, avec l’aide d’une compagnie de CRS, de contrôler tant bien que mal les cinq points de passage. Depuis le début de 2018, 5600 réadmissions ont été effectuées vers l’Espagne, contre 3520 en 2017, mais, de l’aveu même d’un officiel, « ça passe et ça passe bien, même ». Si l’autoroute est gardée quasiment toute la journée, il reste un créneau de deux heures durant lequel elle ne l’est pas faute d’un effectif suffisant. Chaque nuit, des taxis espagnols en profitent et déposent des gens sur la place des Basques à Bayonne. La surveillance des deux ponts qui enjambent la Bidassoa et séparent Irun d’Hendaye est aléatoire. A certaines heures, le passage à pied se fait sans difficulté. Il ne reste plus ensuite aux migrants qu’à se cacher jusqu’au prochain passage du bus 816, qui les conduira à Bayonne en un peu plus d’une heure.
    Un groupe des migrants se fait arrêter à Behobie, côté français, après avoir traversé la frontière depuis Irun en Espagne.

    Un groupe des migrants se fait arrêter à #Behobie, côté français, après avoir traversé la frontière depuis Irun en Espagne.

    La compassion l’emporte sur le rejet

    L’amertume n’a pas encore gagné le reste de la population basque. Au contraire. Dans cette zone où l’on joue volontiers à saute-frontière pour aller acheter des cigarettes à moins de cinq euros ou du gasoil à 1,1 euro, où il est fréquent, le samedi soir, d’aller boire un verre sur le littoral espagnol à #San_Sebastian ou à #Fontarrabie, où près de 5000 Espagnols habitent côté français, où beaucoup sont fils ou petits-fils de réfugiés, la compassion l’emporte sur le rejet. Même le Rassemblement national, qui a diffusé un communiqué mi-août pour dénoncer « une frontière passoire », doit reconnaître que son message peine à mobiliser : « Les gens commencent à se plaindre, mais je n’ai pas entendu parler de débordements, ni rien d’avéré », admet François Verrière, le délégué départemental du parti. Kotte Ecenarro, le maire socialiste d’Hendaye, n’a pas eu d’écho de ses administrés : « Pour l’instant, les habitants ne disent rien, peut-être parce qu’ils ne les voient pas. » Lui, grand joggeur, les aperçoit lorsqu’il va courir tôt le matin et qu’ils attendent le premier bus pour Bayonne, mais aucun ne s’attarde dans la zone frontière, trop risquée.

    Des migrants sont accueillis en face de la mairie d’Irun par des associations de bénévoles.

    Le flux ne se tarissant pas, la solidarité s’est organisée des deux côtés de la #Bidassoa. A Irun, un collectif de 200 citoyens a répondu aux premiers besoins durant l’été, les autorités jugeant alors qu’organiser de l’aide était inutile puisque les migrants ne rêvaient que d’aller en France. Elles ont, depuis, changé d’avis. Mi-octobre, un centre de la Croix-Rouge proposait 70 places et un hôpital, 25. « Ils peuvent rester cinq jours dans chaque. Dix jours, en général, ça suffit pour passer », note Ion, un des piliers du collectif. Dans la journée, ils chargent leurs téléphones dans un coin de la gare ou patientent, en doudounes et bonnets, dans un campement installé face à la mairie. Dès qu’ils le peuvent, ils tentent le passage vers la France.

    A Bayonne aussi, l’improvisation a prévalu. Le réseau d’hébergeurs solidaires mis en place depuis 2016 n’était pas adapté à cette situation d’urgence, à ces gens qui n’ont besoin que d’une ou deux nuits à l’abri avant de filer vers Paris. Chaque soir, il a fallu organiser des maraudes avec distribution de repas et de vêtements, il a fallu trouver des bénévoles pour loger les plus vulnérables - des femmes avec de jeunes enfants sont récemment apparues. Sous la pression de plusieurs collectifs, la mairie vient de mandater une association locale, Atherbea, pour organiser l’aide. A proximité du terminal des bus, vont être installés toilettes, douches, lits, repas et prises de téléphone - un équipement indispensable à ces exilés, pour qui le portable est l’ultime lien avec leurs proches. La municipalité a promis des financements, mais jusqu’à quand ?

    Longtemps discret sur la situation, le gouvernement affiche désormais son volontarisme. Depuis quelques semaines, des unités en civil ont été déployées afin d’identifier les filières de passeurs. Dans son premier entretien comme ministre de l’Intérieur au JDD, Christophe Castaner a dit s’inquiéter de la pression exercée dans la zone et promis un « coordonnateur sécurité ». Les policiers espèrent, eux, surtout des renforts. « Il faudrait 30 à 40 agents de la police aux frontières de plus », juge Patrice Peyruqueou, délégué syndical Unité SGP Police. Ils comptent sur la nomination de Laurent Nuñez comme secrétaire d’Etat au ministère de l’Intérieur pour se faire entendre. L’homme n’a-t-il pas été sous-préfet de Bayonne ? N’a-t-il pas consacré son premier déplacement officiel au Pays Basque, le vendredi 19 octobre ? Mais déjà les voies de passage sont en train de bouger. De nouvelles routes se dessinent, à l’intérieur des Pyrénées, via Roncevaux, le tunnel du Somport ou la quatre-voies qui relie Saragosse, Pau et Toulouse, des accès moins surveillés qu’Irun et Hendaye. Le jeu du chat et de la souris ne fait que commencer.

    https://www.lexpress.fr/actualite/societe/pays-basque-la-nouvelle-route-de-l-exil_2044337.html

    #pays_basque #asile #migrations #réfugiés #routes_migratoires #parcours_migratoires #Espagne #frontières #solidarité #contrôles_frontaliers

    via @isskein

    • Entre l’Espagne et la France, la nouvelle route migratoire prend de l’ampleur

      L’Espagne est devenue la principale porte d’entrée en Europe pour des personnes originaires d’Afrique de l’Ouest qui tentent de gagner la France.

      L’Espagne est devenue la principale porte d’entrée en Europe en 2018. La majorité des personnes qui arrivent sont originaires d’Afrique de l’Ouest et tentent de gagner la France.

      Emmitouflé dans un manteau, la tête abritée sous un bonnet, Boris disparaît dans la nuit, sous la pluie. Ce Camerounais de 33 ans, qui parle un français parfait, « traîne » à Irun de puis un mois. Dans cette petite commune du pays basque espagnol, il attend de pouvoir traverser la frontière et rejoindre la France, à quelques mètres de là. L’aventure a trop peu de chances de réussir s’il la tente à pied, et il n’a pas l’argent pour se payer un passage en voiture. Il aimerait rejoindre Paris. Mais il doute : « On me dit que c’est saturé. C’est vrai ? Est-ce qu’il y a des ONG ? Vous connaissez Reims ? »

      Parti depuis un an de son pays, Boris a traversé le Nigeria, le Niger, l’Algérie et le Maroc avant de gagner l’Europe par la mer. Comme de plus en plus de personnes, il a emprunté la route dite de la Méditerranée occidentale, qui passe par le détroit de Gibraltar. Le passage par la Libye, privilégié ces dernières années, est devenu « trop dangereux » et incertain, dit-il.

      En 2018, l’Espagne est devenue la principale porte d’entrée en Europe. Quelque 50 000 personnes migrantes sont arrivées sur les côtes andalouses depuis le début de l’année, en provenance du Maroc, ce qui représente près de la moitié des entrées sur le continent.

      Sous l’effet de la baisse des départs depuis la Libye et des arrivées en Italie, les routes migratoires se redessinent. Et bien que les flux soient sans commune mesure avec le pic de 2015, lorsque 1,8 million d’arrivées en Europe ont été enregistrées, ils prennent de court les autorités et en particulier en France, qui apparaît comme la destination privilégiée par ces nouveaux arrivants originaires majoritairement d’Afrique de l’Ouest et du Maghreb.

      80 à 100 arrivées quotidiennes

      A Irun, Txema Pérez observe le passage en nombre de ces migrants et il le compare à l’exil des réfugiés espagnols lors de la guerre civile en 1939 : « On n’a pas vu ça depuis la Retirada », lâche le président de la Croix-Rouge locale.

      Face à cet afflux, l’organisation humanitaire a ouvert cet été plusieurs centres d’accueil temporaire sur l’itinéraire des migrants, dans plusieurs communes du Pays-Basque mais aussi à Barcelone à l’autre extrémité des Pyrénées, où ils font étape quelques jours avant de tenter de gagner la France.

      Cette semaine, une trentaine de personnes ont dormi dans l’auberge de la Croix-Rouge d’Irun. « Ils reprennent des forces et disparaissent, constate Txema Perez. Ils finissent tous par passer la frontière. 90 % d’entre eux parlent français. Et ils voient Paris comme un paradis. »

      Sur le chemin qui mène ces personnes jusqu’à une destination parfois très incertaine, Bayonne et en particulier la place des Basques dans le centre-ville, s’est transformée dans le courant de l’été en point de convergence. C’est là qu’arrivaient les bus en provenance d’Espagne et en partance pour le nord de la France. Si, au début, une dizaine de personnes seulement transitaient par la ville chaque jour, aujourd’hui la mairie parle de 80 à 100 arrivées quotidiennes. Et autant de départs. « C’est la première fois qu’on constate un tel afflux », reconnaît David Tollis, directeur général adjoint des services à la mairie.

      « Ils sont en majorité originaires de Guinée et il y a notamment beaucoup de gamins qui se disent mineurs. On a l’impression que le pays se vide », confie Alain Larrea, avocat en droit des étrangers à Bayonne. « Les jeunes hommes évoquent la pauvreté qui a explosé mais aussi les risques d’arrestations et d’enfermements arbitraires, ajoute Julie Aufaure, de la Cimade. Les femmes fuient aussi les risques d’excision. »

      « Je ne sais pas encore ce que je vais faire »

      Face à l’augmentation des arrivées et à la dégradation des conditions météorologiques, la municipalité a commencé à s’organiser il y a une dizaine de jours. « Je ne me pose pas la question du régime juridique dont ces personnes relèvent. Simplement, elles sont dans une situation de fragilité et il faut leur venir en aide, justifie Jean-René Etchegaray, le maire UDI de Bayonne. Nous avons dans l’urgence tenté de les mettre à l’abri ». Après avoir mis à disposition un parking puis, le week-end dernier, une école, la municipalité a ouvert, lundi 29 octobre, les locaux désaffectés d’un ancien centre communal d’action sociale. Des douches y ont été installées, des couvertures et des repas y sont fournis. Dans le même temps, la mairie a déplacé les arrêts des bus aux abords de ce lieu, sur les quais qui longent l’Adour.

      Mercredi 31 octobre, plusieurs dizaines de personnes faisaient la queue à l’heure de la distribution du déjeuner. Parmi elles, Lamine, un Guinéen de 19 ans, raconte son voyage vers l’Europe entamé il y a trois ans : « Je suis resté trois mois au Mali, le temps de réunir l’argent pour pouvoir ensuite aller en Algérie. » En Algérie, il travaille encore deux ans sur des chantiers. « On avait entendu qu’il fallait environ 2 000 euros pour passer du Maroc à l’Espagne », poursuit-il.

      A la frontière entre l’Algérie et le Maroc, il dit s’être fait confisquer 1 000 euros par des Touaregs. Arrivé à Rabat, il travaille à nouveau sur un chantier de construction, payé 100 dirhams (environ neuf euros) par jour, pour réunir les 1 000 euros manquants au financement de sa traversée de la Méditerranée. Il y reste presque un an. En octobre, il part pour Nador, une ville côtière au nord-est du pays. « On est resté caché une semaine dans la forêt avant de prendre le bateau, témoigne-t-il. On était 57 à bord. Des Maliens, des Guinées, des Ivoiriens. Un bateau de la Croix Rouge nous a porté secours au bout de quatre heures de navigation ».

      Comme la plupart de ceux qui arrivent sur les côtes espagnoles, Lamine s’est vu remettre un document par les autorités du pays, lui laissant un mois pour régulariser sa situation. Le jeune homme a ensuite rejoint en car, Madrid puis Bilbao et Irun. Il tente une première fois le passage de la frontière en bus mais se fait renvoyer par la police française. La deuxième fois, en échange de 50 euros, il trouve une place dans une voiture et parvient à gagner la France. « Je ne sais pas encore ce que je vais faire, reconnait-il. Je n’ai pas de famille qui finance mon voyage et je ne connais personne ici ».

      10 500 refus d’entrée prononcés en 2018

      Face à l’augmentation des traversées, les autorités françaises ont renforcé les contrôles aux frontières. Depuis le début de l’année 2018, 10 500 refus d’entrée ont été prononcés à la frontière franco-espagnole, soit une augmentation de 20 % par rapport à 2017. « La pression la plus forte est observée dans le département des Pyrénées-Atlantiques, où les non-admissions sont en hausse de 62 % », explique-t-on au ministère de l’intérieur. Dans les Pyrénées-Orientales, l’autre voie d’entrée majeure en France depuis l’Espagne, le nombre de non-admissions est reparti à la hausse depuis l’été, mais dans une moindre mesure.

      « Beaucoup de monde arrive par ici, assure Jacques Ollion, un bénévole de la Cimade basé à Perpignan. Les gares et les trains sont contrôlés parfois jusqu’à Narbonne. Et les cars internationaux aussi, au péage du Boulou (à une dizaine de kilomètres de la frontière). Ça, c’est la pêche miraculeuse. »

      Le nombre de non-admissions reste toutefois très inférieur à celui remonté de la frontière franco-italienne. En Catalogne comme au Pays basque, tout le monde s’accorde à dire que la frontière reste largement poreuse. Mais certains s’inquiètent d’une évolution possible à moyen terme. « Dès qu’il y a une fermeture, cela démultiplie les réseaux de passeurs et les lieux de passage, met en garde Corinne Torre, cheffe de mission France à Médecins sans frontières (MSF). Dans les Pyrénées, il y a énormément de chemins de randonnée ». Des cas d’arrivée par les cols de montagne commencent à être rapportés.

      Dans le même temps, les réseaux de passeurs prospèrent face aux renforcements des contrôles. « Comme les migrants ne peuvent pas traverser à pied, ils se retournent vers les passeurs qui les font traverser en voiture pour 150 à 350 euros », témoigne Mixel Bernadet, un militant de l’association basque Solidarité migrants - Etorkinekin.

      Une fois qu’ils sont parvenus à rejoindre le territoire, à Bayonne, Paris ou ailleurs, ces migrants n’en sont pas moins en situation irrégulière et confrontés à une difficulté de taille : enregistrés en Espagne au moment de leur arrivée en Europe, ils ne peuvent pas demander l’asile ailleurs que dans l’Etat par lequel ils sont entrés, en tout cas pas avant une période allant de six à dix-huit mois. Ils sont donc voués à être renvoyés en Espagne ou, plus vraisemblablement, à errer des mois durant, en France.

      Julia Pascual (Bayonne et Irun – Espagne –, envoyée spéciale)

      Poursuivi pour avoir aidé une migrante sur le point d’accoucher, le parquet retient « l’immunité humanitaire ». Le parquet de Gap a annoncé vendredi 2 novembre avoir abandonné les poursuites engagées contre un homme qui avait porté secours à une réfugiée enceinte, durant l’hiver à la frontière franco-italienne. Le 10 mars, Benoît Ducos, un des bénévoles aidant les migrants arrivant dans la région de Briançon, était tombé sur une famille nigériane, un couple et ses deux jeunes enfants, et deux autres personnes ayant porté la femme, enceinte de huit mois et demi, durant leur marche dans le froid et la neige. Avec un autre maraudeur, il avait alors décidé de conduire la mère en voiture à l’hôpital de Briançon. En chemin, celle-ci avait été prise de contractions et à 500 mètres de la maternité, ils avaient été arrêtés par un contrôle des douanes ayant retardé la prise en charge médicale selon lui, ce que la préfecture avait contesté. Le bébé était né dans la nuit par césarienne, en bonne santé. Une enquête avait ensuite été ouverte pour « aide à l’entrée et à la circulation d’un étranger en situation irrégulière ».

      https://mobile.lemonde.fr/societe/article/2018/11/03/entre-l-espagne-et-la-france-la-nouvelle-route-migratoire-prend-de-l-

    • #SAA, un collectif d’accueil et d’accompagnement des migrants subsahariens aux frontières franco-espagnoles

      Dans ce nouveau numéro de l’émission “Café des libertés”, la web radio du RAJ “Voix de jeunes” a reçu sur son plateau deux activistes du sud de la France plus exactement à Bayonne, il s’agit de Marie cosnay et Vincent Houdin du collectif SAA qui porte le prénom d’un jeun migrant guinéen décédé durant sa traversé de l’Espagne vers la France.
      Nos invités nous ont parlé de la création du collectif SAA, ses objectifs et son travail d’accueil et d’accompagnement des migrants subsahariens qui traversent la frontière franco-espagnole dans l’objectif d’atteindre les pays du Nord telle que l’Allemagne.
      Ils sont revenus également sur les difficultés que posent les politiques migratoires dans la région notamment celle de l’union européenne marquées par une approche purement sécuritaire sans se soucier de la question du respect des droits et la dignité des migrants.
      Ils ont aussi appelé au renforcement des liens de solidarité entre les peuples dans le monde entier.

      https://raj-dz.com/radioraj/2018/11/11/saa-collectif-daccueil-daccompagnement-migrants-subsahariens-aux-frontieres-

    • France : 19 migrants interpellés dans un bus en provenance de Bayonne et assignés à résidence

      Des douaniers français ont interpellé 19 personnes, dont un mineur, en situation irrégulière lundi dans un car au péage de #Bénesse-Maremne, dans les #Landes. L’adolescent de 17 ans a été pris en charge par le département, les autres ont reçu une #obligation_de_quitter_le_territoire (#OQTF) et sont assignés à résidence dans le département.

      Lors d’un contrôle lundi 12 novembre au péage de Bénesse-Maremne, sur l’autoroute A6 (dans les Landes), un car de la compagnie #Flixbus a été intercepté par des douaniers français. Après avoir effectué un contrôle d’identité à l’intérieur du véhicule, les autorités ont interpellé 19 personnes en situation irrégulière, dont une femme et un adolescent de 17 ans.

      Les migrants, originaires d’Afrique de l’ouest, ont été envoyés dans différentes #casernes de gendarmerie de la région (#Castets, #Tarnos, #Tartas, #Lit-et-Mixe) puis libérés quelques heures plus tard. Le mineur a quant à lui été pris en charge par le département.

      En attendant de trouver un #accord_de_réadmission avec l’Espagne, la préfecture des Landes a notifié aux 18 migrants majeurs une obligation de quitter le territoire français (OQTF). Ils sont également assignés à résidence dans le département des Landes et doivent pointer au commissariat trois fois par semaine.

      Un #accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures. Mais selon Jeanine de la Cimade à Mont-de-Marsan (à quelques kilomètres de Bayonne), ce n’est pas le cas de ces 18 migrants. « Ils ne peuvent pas être renvoyés en Espagne car ils ont passé quatre jours à Bayonne avant d’être arrêtés au péage », précise-t-elle à InfoMigrants.

      Les migrants sont assistés d’avocats du barreau de Dax, dans les Landes, et un bénévole de la Cimade est aussi à leurs côtés selon France Bleu.

      Cette opération des douanes a été menée le même jour que la visite du ministre français de l’Intérieur à la frontière franco-espagnole. Christophe Castaner s’est alors dit inquiet de « mouvements migratoires forts sur les Pyrénées » et a annoncé une coopération accrue avec l’Espagne.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13368/france-19-migrants-interpelles-dans-un-bus-en-provenance-de-bayonne-et
      #assignation_à_résidence

      –------

      Commentaire :
      On peut lire dans l’article :
      "Un accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures. »
      --> c’est quoi cet accord ? Quand est-ce qu’il a été signé ? Quelqu’un a plus d’information ?

      C’est l’équivalent de l’accord bilatéral de réadmission entre la Suisse et l’Italie (signé en 2000 : https://www.admin.ch/opc/fr/classified-compilation/20022507/index.html) et qui a été « repêché » par la Suisse à partir de 2016 ?
      Ou comme celui qui a été apparemment signé entre la France et l’Italie récemment ?
      https://www.agi.it/estero/migranti_francia_salvini_respingimento_concordato-4511176/news/2018-10-20

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral

    • A Bayonne, nouvelle porte d’entrée des migrants, « l’urgence fait exploser les frontières politiques »

      Une fois la frontière franco-espagnole franchie, des migrants affluent par milliers à Bayonne. Là, le maire de centre-droit et des militants de gauche ont bricolé, main dans la main, un hébergement d’urgence sous le nez du préfet. Les exilés s’y reposent des violences subies au Maghreb, avant de sauter dans un bus et de se disperser aux quatre coins de France. Reportage dans les #Pyrénées.

      https://pbs.twimg.com/card_img/1075002126915518464/L_aQEp7o?format=jpg&name=600x314

      https://www.mediapart.fr/journal/france/181218/bayonne-nouvelle-porte-d-entree-des-migrants-l-urgence-fait-exploser-les-f

    • A Bayonne, nouvelle route migratoire, l’impressionnante #solidarité des habitants malgré les carences de l’État

      La route de la Libye et de l’Italie étant coupée, de plus en plus de migrants arrivent en Europe via le Maroc et l’Espagne. Certains passent ensuite par le Pays Basque. En deux mois, 2500 réfugiés ont déjà transité par un centre d’accueil ouvert à Bayonne. La démarche, d’abord spontanée, bénéficie désormais du soutien de la mairie. L’État a quant à lui exercé des pressions sur les chauffeurs de taxi ou les compagnies d’autobus, en exigeant notamment l’identité des voyageurs. Basta ! a passé la nuit du 31 décembre au 1er janvier aux côtés des bénévoles de la « Pausa », et des réfugiés qui appréhendent un avenir incertain.

      A peine investi, il a fallu trouver un nom au lieu. « Ça fait un peu stalag », remarque Joël dans un sourire navré [1]. Planté dans la cour de ce bâtiment désaffecté de la Légion, sous les lumières aveuglantes qui semblent plonger depuis des miradors invisibles, le salarié d’astreinte hésite encore à proposer aux migrants l’entrée d’un édifice tout en grillage et en barreaux. Sur le parvis goudronné, encadré par de hauts murs et surplombé par la citadelle militaire de Bayonne, l’ombre fuyante des lignes ferroviaires prolonge ce décor figé par le froid. Cependant, le panneau « Terrain militaire - défense de pénétrer » est déjà égayé d’une série colorée d’autocollants antifascistes, et de bienvenue aux migrants. A l’intérieur, derrière les vitres polies, la lumière se fait aussi plus chaleureuse.

      Le lieu s’appellera finalement « Pausa », la pause en basque. Comme le premier bâtiment d’accueil, à vingt mètres de là, trop exigu et qu’il a fallu abandonner aux premiers jours de décembre. Mais aussi comme cette authentique pause, au milieu d’un périple exténuant qui dure parfois plusieurs années. Bayonne est devenue en 2018 une nouvelle étape essentielle sur les chemins de l’exil vers la France ou le nord de l’Europe. Une porte d’entrée en terre promise. C’est ici qu’aura lieu, ce soir, le nouvel an des réfugiés. Comme un symbole d’espoir, celui d’une vie dans laquelle il serait enfin possible de se projeter, laissant de côté les embûches de la route déjà accomplie.

      Un répit salutaire de trois jours

      Kébé vient de Guinée, comme beaucoup d’arrivants ces dernières semaines. Au milieu des préparatifs de la fête, il lit, imperturbable dans sa couverture, le récit autobiographique d’un jeune footballeur camerounais qui rêve de gloire sportive mais ne connaît que désillusions. Kébé ne veut pas être footballeur. Ainé d’une famille nombreuse restée à Conakry, il voudrait reprendre l’école et apprendre le métier de coiffeur à Bayonne. Parce que, dit-il, « c’est une ville très jolie et d’importance moyenne ». Il a déjà commencé un dossier pour faire valoir sa minorité et prétendre à une scolarité. Mais le temps lui est compté au centre d’accueil des réfugiés, où l’on s’efforce de ne garder les migrants que trois jours. Le temps d’un répit salutaire pour faire le point, quand le quotidien des migrants n’est fait que de recherche d’argent, de nourriture, de transport, d’hébergement, de passeurs, de policiers, ou bien pire. Initialement en route pour Paris, sans rien connaître de la capitale et sans contact, il a trouvé, juge-t-il, sa destination.

      C’est aussi le cas d’Ibrahim, parti de Sierra Leone il y a deux ans, qui fixe les premiers spots colorés de la soirée, comme une célébration de son arrivée à bon port. « Ici on est bien accueilli », constate-t-il. Lui aussi a 17 ans. Sa vie n’est que succession de petits boulots pour financer des kilomètres vers l’Europe. Il a appris le français en route, et ne souhaitait pas rester en Espagne, « à cause du problème de la langue ». Il continue d’explorer, sur son smartphone, les possibilités sans doute infinies que lui promet sa nouvelle vie, en suivant avec intérêt les préparatifs de la fête.

      Internet, ce fil de vie qui relie les continents

      Les bénévoles ne ménagent pas leur peine pour faire de cette soirée de réveillon une réussite : pâtisserie, riz à la piperade, bisap à gogo, sono, lumières, ballons... seront de la partie. Un « Bonne année 2019 » gonflable barre l’allée centrale du vaste dortoir, et s’achève vers un minuscule renfoncement aménagé en salle de prière. Les affiches de la Légion n’ont pas disparu. Elles indiquent par exemple le lieu où devaient être soigneusement pliées les « chemises arktis sable ». Mais l’ordre militaire a largement été chamboulé. La pièce principale sert à la fois de dortoir, de réfectoire, de cuisine, de magasin de produits d’hygiène, de bureau.

      Une borne wifi assure le flux Internet, précieux fil de vie durant un voyage au long cours. La nouvelle connexion déleste au passage les bénévoles, auparavant contraints de connecter une flopée d’appareils sur leurs propres smartphones, pour improviser des partages de connexion. Les écrans des téléphones sont autant de lueurs qui recréent des foyers dans les recoins les plus sombres de ce camping chauffé. Des gamins jouent au foot dans la cour, et la musique résonne jusque sur le quai de l’Adour. L’avantage, c’est que chacun peut programmer sa musique et la défendre sur le dance floor, avant de retourner tenir salon dans la semi-pénombre ou disparaître sous une couverture. Le temps de quelques sourires, sur des masques d’inquiétude.

      Près de 450 bénévoles, militants aguerris ou nouveaux venus

      Les bénévoles ont trouvé le bon tempo, après avoir essuyé les plâtres des arrivées massives. Aux premiers jours d’ouverture de ce nouveau centre, début décembre, il fallait encore faire le tour complet d’une cuisine chaotique pour servir un seul café aux réfugiés qui arrivaient affamés et par paquets, jusqu’au milieu de la nuit. A Bayonne, on sent le sac et le ressac de la Méditerranée pourtant lointaine, et le tempo des traversées se prolonge au Pausa, au gré de la météo marine du détroit de Gibraltar. Les bénévoles ont intégré le rythme. Ils sont désormais près de 450, regroupés au sein de l’association Diakité, mélange improbable de militants associatifs aguerris et de présences spontanées, gérant l’urgence avec la seule pratique de l’enthousiasme.

      Cet attelage bigarré s’est formé à la fin de l’été 2017. Les premiers bayonnais ont commencé à descendre spontanément des gamelles et des vêtements sur la Place des Basques, de l’autre côté du fleuve. C’est là que se faisait le départ des bus long-courriers, avant que le vaste chantier du Tram’bus ne les déplace sur le quai de Lesseps. Puis l’automne est arrivé et les maraudes ont commencé, pour réchauffer les corps congelés et organiser, dans l’improvisation, un accueil d’urgence, qui prenait la forme d’un fil WhatsApp paniqué. Les bayonnais ont ouvert leurs portes, les dons de vêtements ont afflué, submergeant les bénévoles qui n’en demandaient pas tant.

      Le maire UDI de Bayonne, Jean-René Etchegaray, est entré dans la danse, arrondissant les angles jusqu’à ouvrir, dès le mois de novembre, un premier bâtiment municipal promis à destruction. L’évêque est arrivé bon dernier, et s’est fait éconduire par des bénévoles peu indulgents avec ses positions traditionalistes, notamment sur l’avortement ou les droits LGBT. Dommage pour le parc immobilier du clergé, que les bayonnais présument conséquent. Mais il y avait ce vaste entrepôt de l’armée, dans l’alignement du quai, qui sera bientôt entièrement requalifié. Sa capacité de 300 lits fait régulièrement le plein, et impose aux bénévoles une organisation rigoureuse, notamment pour assurer des présences la nuit et le matin.
      Pressions de l’État sur les compagnies de bus

      L’inquiétude courrait pourtant en cette fin d’année : les bénévoles risquaient la démobilisation et le centre promettait d’être bondé. En période de vacances scolaires, les prix des billets de bus s’envolent, clouant certains migrants à quai. Dans les dernières heures de 2018 en revanche, les tarifs chutent brutalement et les voyageurs fauchés en profitent pour s’éclipser. Cette nuit du 31 décembre, 40 migrants ont repris la route, laissant le centre investi par près de 140 pensionnaires et une tripotée de volontaires soucieux de porter la fête dans ce lieu du marasme et de la convalescence. Vers 23h, les candidats au départ sont regroupés. Le bus est en bas, la troupe n’a que quelques mètres à faire. L’équipe de nuit accompagne les migrants.

      Il y a quelques semaines, la tension est montée d’un cran lorsque les chauffeurs de la compagnie Flixbus ont exigé les identités des voyageurs, après qu’une vingtaine de sans-papiers aient aussi été débarqués d’un autocar par les forces de l’ordre, au premier péage après Bayonne. Le maire de la ville, Jean-René Etchegaray, est monté au créneau, sur place, pour s’insurger contre ces pratiques. Cet avocat de profession a dénoncé une discrimination raciale, constatant un contrôle qui ne concernait que les personnes de couleur. Il a aussi laissé les bénévoles stupéfaits, voyant leur maire de centre-droit ériger une barricade de poubelles pour barrer la route au bus récalcitrant. La direction de la compagnie a dû dénoncer les faits, et le climat s’est apaisé.

      N’en déplaise au préfet des Pyrénées-Atlantiques qui maintient la pression sur les professionnels, notamment les chauffeurs de taxi, en promettant amende, prison et confiscation de véhicule pour qui aide à la circulation des « irréguliers ». Mais les chauffeurs de bus connaissent leurs droits, et même certains bénévoles, à force de passages tous les deux ou trois jours. En cette soirée du nouvel an, les chauffeurs sont espagnols, et semblent assurés que le monde contemporain est suffisamment inquiétant pour qu’eux mêmes ne se mettent en prime à contrôler les identités. Fraternité, salutations, départ. Les migrants, après quelques sourires gratifiants, replongent inquiets dans leurs téléphones. Retour au chaud et à la fête, qui cette fois, bat son plein.
      « Et c’est peut-être cela qui m’empêche de dormir la nuit »

      Le camping a toutefois des allures d’hôpital de campagne, avec sa piste de danse bordée de lits de camps occupés. Les migrants arrivent souvent épuisés, et la présence d’enceintes à quelques mètres de leurs couvertures ne décourage pas certains à s’y enrouler. Les femmes, plus discrètes, regagnent un dortoir séparé qui leur offre une intimité bienvenue. Dans les lumières tournoyantes, bénévoles et migrants se mêlent en musique. Jessica est venue avec sa jeune fille, après plusieurs jours sans avoir pu se libérer pour donner un coup de main. Aziz est avec sa famille, en visiteur du quartier. Saidou, Baldé, Ibrahima, exultent en suivant les convulsions d’une basse ragga.

      Cyril, bénévole de la première heure, est attablé un peu plus loin et se repasse le film des derniers mois dans le répit de la liesse. Peut-être pense t-il à l’enfant récupéré sous un pont de Saint-Jean-de-Luz, dans une nuit glaciale et sous des trombes d’eau, que les bras de sa mère protégeaient avec peine. Aux trois filles prostrées, qui voyageaient ensemble depuis trois ans et dont deux étaient mystérieusement enceintes. Ou aux trois guinéennes stupéfaites, atterrées et terrorisées, qu’il a fallu convaincre longtemps, dans une nuit glacée, pour enrouler une couverture sur leurs épaules. A celle qui a dû abandonner ses enfants en Guinée et finit par « bénévoler » de ses propres ailes dans le centre, rayonnante dans sa responsabilité retrouvée. A celui qui a perdu sa femme, enceinte, dans les eaux noires de la méditerranée « et c’est peut-être cela qui m’empêche de dormir la nuit », dit-il. Et à tous ceux qui se perdent sur cette route sans fin.
      L’appui de la mairie, qui change tout sur le terrain

      Sur la piste de danse, Nathalie rayonne. Elle a débarqué il y a quelques jours de Narbonne, avec une fourgonnette pleine de matériel de première nécessité. Le problème des réfugiés lui tordait le ventre. Elle a organisé une collecte et souhaitait livrer Gap, dans les Hautes-Alpes, avant d’entendre parler de Bayonne et d’avaler 450 km pour sonner au centre, le 25 décembre, avec des couvertures, de la nourriture, des produits d’hygiène. Elle y est devenue bénévole à temps plein, pendant une semaine, avant de regagner ses théâtres où elle est costumière et perruquière. Mais elle note tout et promet un compte rendu complet aux structures militantes de sa région, à l’autre bout des Pyrénées. Notamment du côté de Perpignan où, dit-elle, « un jour ou l’autre ils arriveront et je ne suis pas sûre qu’ils seront accueillis de la même manière ». « Émerveillée par la solidarité des basques », elle relève surtout l’appui de la mairie aux bénévoles, qui change tout sur le terrain. « Vous êtes extraordinaire » a t-elle lancé au maire quelques jours auparavant.

      Jean-René Etchegaray, maire de Bayonne et président de la Communauté d’agglomération Pays Basque, est aussi venu saluer les migrants ce 31 décembre. Il est justement question qu’il tisse des liens avec d’autres maires qui s’investissent dans l’accueil des migrants, tel Mathieu Carême (écologiste) à Grande-Synthe. Un accompagnement politique qui est aussi, du point de vue de certains habitants, un gage de sécurité et de tranquillité publique. Si Jean-René Etchegaray reconnait avoir reçu « quelques lettres anonymes sur un ton plutôt FN », sourit-il, il constate aussi que, depuis que le centre a ouvert, les plaintes des habitants se sont tues. L’accueil organisé des migrants leur fournit un point de chute, aidant à les soustraire aux circuits de passeurs ou aux appétits mafieux, et à assurer leur propre sécurité. Le contraire de cette « jungle de Calais » que les premiers détracteurs de l’accueil brandissaient, un peu vite, comme une menace.
      Un soutien financier de la communauté d’agglomération, en attendant celui de l’État ?

      Au-delà de la solidarité pour « des gens qui arrivent escroqués et épuisés » et « doivent bien s’habiller quelque part », le premier magistrat de la commune et de l’agglomération se tourne aussi vers l’État pour la prise en charge de ces exilés. Il dénonce une forme de « sous-traitance » de la politique migratoire et de « démantèlement de l’autorité de l’État », tant à travers les pressions exercées à l’encontre des professionnels du transport, que dans le manque de moyens utilisés pour faire face à cette crise. La police se contente bien souvent de raccompagner, en douce, les migrants derrière la frontière, à 30 km de là, comme en attestent de multiples témoignages ainsi que des images de la télévision publique basque ETB. La Communauté d’agglomération Pays Basque a voté à l’unanimité une aide de 70 000 euros par mois pour soutenir le centre Pausa, en particulier pour financer l’équipe de sept salariés recrutée parmi les bénévoles, et fournir un repas quotidien. « Mais il faudra bien que l’État nous aide », prévient Jean-René Etchegaray.

      Dans cette attente, l’édile continue ses tournées d’inspection quotidienne du centre Pausa. Il commence par l’accueil, demande le nombre d’arrivées et de départs, s’assure que le petit bureau d’information sur les départs fonctionne, puis se rend dans la pièce principale, scrutant les lits disponibles, l’état des couvertures, s’assurant que tout fonctionne, échangeant avec les bénévoles et les voyageurs, « des gens remarquables » dit-il, et suivant des yeux, amusé, les évolutions d’un petit groupe de migrants qui passe le balais, preuve que « tout se régule », sourit-il. Au-delà des problèmes de logistique, prestement résolus, Jean-René Etchegaray est en première ligne pour réclamer aux grandes enseignes de sa circonscription des vêtements, des couvertures, de la nourriture ou de petites urgences ponctuelles, comme des gants et des bonnets. Et assurer la fluidité de cette solidarité qui s’organise encore, et prend de l’ampleur chaque jour.
      2500 réfugiés ont déjà transité par la Pausa

      Pour l’heure, le temps s’arrête sur un compte à rebours déniché sur Internet. 3 - 2 - 1 - 0 ! Tout le monde s’embrasse dans la salle, au milieu d’autres corps terrés sous une masse de couvertures. Un élan qui mêle réfugiés et bénévoles pour conjurer le mauvais sort, valider le travail abouti, triompher de cette année qui a bouleversé Bayonne, et appréhender un avenir incertain où, d’un côté comme de l’autre, rien n’est gagné. Mais l’étape est belle. 2500 réfugiés ont transité par le centre Pausa en deux mois. La route du Maroc et de l’Espagne a été empruntée par plus de 50 000 personnes en 2018, à mesure que celle de la Libye se ferme sur des milliers de morts et d’exactions, et l’évacuation de 17 000 personnes par l’Office internationale des migrations.

      Le dispositif du Centre d’accueil de Bayonne est prévu jusqu’au mois d’août 2019, mais rien ne dit que le flux humain tarira. Le maire est en train de prévoir l’ouverture d’une annexe dans le bâtiment militaire voisin. Un stalag II, railleront les bénévoles, qui lui redonneront tout de même un nom plus reposant, des couleurs, et tout ce qui peut revigorer les âmes sans tanière sur leur route incertaine.

      https://www.bastamag.net/A-Bayonne-nouvelle-route-migratoire-l-impressionnante-solidarite-des-habit

  • L’#Algérie se dit prête à accueillir tous ses ressortissants présents illégalement en #Allemagne

    Les deux pays, liés par un accord de réadmission, ont réaffirmé leur « entente » sur le dossier migratoire lors de la visite d’Angela Merkel à Alger.


    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/18/l-algerie-se-dit-prete-a-accueillir-tous-ses-ressortissants-presents-illegal

    #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #renvois #expulsions

    • Reçu via la mailing-list Migreurop:

      Merkel’s government wants to classify Algeria like Tunisia and Morocco as safe countries of origin in terms of asylum law. Rejected asylum seekers could be deported more quickly. But commentators also have doubts about reports of torture and unfair trials. Whether the Chancellor will receive promises from Bouteflika and his Prime Minister Ahmed Ouyahia could be seen as reassuring. SPD and Greens are sceptical; this Friday the plans of the federal government on safe countries of origin will be discussed in the Bundesrat.

      Source : ZDF : https://www.zdf.de/nachrichten/heute/merkel-besucht-algerien-thema-migration-100.html

      According to a report, the number of deportations to Algeria has increased significantly in recent years. In 2015 only 57 people from Germany were brought into the country, in 2017 then 504, reported the “Rheinische Post” on Monday with reference to figures of the Federal Ministry of the Interior. In the current year, the trend has continued: by July, about 350 people had already been deported to Algeria.
      Only a few asylum seekers from Algeria are recognized in Germany. Last year, the rate was two percent.

      Source : FAZ : http://www.faz.net/aktuell/politik/inland/asylbewerber-mehr-abschiebungen-nach-algerien-15792038.html

      Algeria will welcome back all its nationals in an irregular situation in Germany, regardless of their number, Prime Minister Ahmed Ouyahia assured on Monday 17 September, at the occasion of Chancellor Angela Merkel’s official visit.
      "I confirm that Algeria will take its children back, whether they are 3,000 or 5,000, provided that they can “identify” their nationality, Mr. Ouyahia said at a joint press conference in Algiers with Ms. Merkel.

      According to the Algerian Prime Minister, his country “is itself taking action against illegal migrants [and] can only agree with the German government on this subject”. Ahmed Ouyahia also recalled that Algiers and Berlin have been bound by a readmission agreement since 1997.
      “Algeria fights for the rest of the international community” by preventing “annually 20,000 to 30,000 people from illegally entering[its territory] and often from Algeria to continue their way” to Europe, he said.

      Source : Le Monde : https://abonnes.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/18/l-algerie-se-dit-prete-a-accueillir-tous-ses-ressortissants-presents

  • Turkey suspends migrant readmission deal with Greece : Hurriyet

    Turkey has suspended its migrant readmission deal with Greece, Foreign Minister Mevlut Cavusoglu was quoted as saying by the Hurriyet daily, days after Greece released from prison four Turkish soldiers who fled there after the 2016 attempted coup.

    https://www.reuters.com/article/us-turkey-security-greece/turkey-suspends-migrant-readmission-deal-with-greece-hurriyet-idUSKCN1J31OO
    #Turquie #asile #migrations #réfugiés #accord_UE-Turquie #accord_de_réadmission #externalisation #suspension #Grèce
    cc @isskein @i_s_

    • Ankara suspend un accord sur les migrants avec la Grèce

      La Turquie a suspendu son accord passé avec la Grèce pour la réadmission des migrants, en réaction à la remise en liberté par la Grèce de quatre soldats turcs ayant fui leur pays après la tentative de putsch de juillet 2016.

      ISTANBUL (Reuters) - La Turquie a suspendu son accord passé avec la Grèce pour la réadmission des migrants, en réaction à la remise en liberté par la Grèce de quatre soldats turcs ayant fui leur pays après la tentative de putsch de juillet 2016.

      La décision a été annoncée jeudi par le ministre turc des Affaires étrangères Mevlüt Cavusoglu, cité par le quotidien Hurriyet. Le chef de la diplomatie turque a jugé « inacceptable » la libération, lundi, des quatre militaires, dont la demande d’asile en Grèce est toujours à l’étude.

      Un accord similaire passé entre la Turquie et l’Union européenne est toujours en vigueur, a ajouté Cavusoglu.

      Aux termes de l’accord conclu entre Athènes et Ankara, 1.209 étrangers ont été expulsés de Grèce vers la Turquie ces deux dernières années, selon le gouvernement grec.

      Pour Mevlüt Cavusoglu, « le gouvernement grec voulait régler cette question (des soldats turcs) mais il y a eu de fortes pressions occidentales, particulièrement sur les juges ».

      Les soldats se sont enfuis en Grèce à la suite du coup d’Etat manqué de la nuit du 15 au 16 juillet 2016 contre le gouvernement de Recep Tayyip Erdogan.

      Le gouvernement turc les accuse de participation à cette tentative de putsch et a demandé à la Grèce de les lui remettre.

      La justice grecque a rejeté les demandes d’extradition.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/070618/ankara-suspend-un-accord-sur-les-migrants-avec-la-grece

    • Turkey reportedly suspends migrant readmission deal with Greece

      Turkey has suspended its migrant readmission deal with Greece, Foreign Minister Mevlut Cavusoglu was quoted as saying by state-run Anadolu agency, days after Greece released from prison four Turkish soldiers who fled there after a 2016 attempted coup.

      The four soldiers were released on Monday after an order extending their custody expired. A decision on their asylum applications is still pending.

      “We have a bilateral readmission agreement. We have suspended that readmission agreement,” Cavusoglu was quoted as saying, adding that a separate migrant deal between the EU and Turkey would continue.

      Under the bilateral deal signed in 2001, 1,209 foreign nationals have been deported to Turkey from Greece in the last two years, data from the Greek citizens’ protection ministry showed.

      Cavusoglu was quoted as saying he believed the Greek government wanted to resolve the issue about the soldiers but that Greek judges were under pressure from the West.

      “The Greek government wants to resolve this issue. But we also see there is serious pressure on Greece from the West. Especially on Greek judges,” Cavusoglu was quoted as saying.

      The eight soldiers fled to Greece following the July 2016 failed coup in Turkey. Ankara has demanded they be handed over, accusing them of involvement in the abortive coup. Greek courts have rejected the extradition request and the soldiers have denied wrongdoing and say they fear for their lives.

      In May, Greece’s top administrative court rejected an appeal by the Greek government against an administrative decision by an asylum board to grant asylum to one of the Turkish soldiers.

      http://www.ekathimerini.com/229384/article/ekathimerini/news/turkey-reportedly-suspends-migrant-readmission-deal-with-greece

    • La Commission Européenne appelle à la poursuite de l’accord sur les migrants entre la Turquie et la Grèce

      La Turquie a suspendu son accord de réadmission des migrants avec la Grèce après le refus d’Athènes d’extrader des ex-soldats turcs recherché par la Justice.

      La Commission européenne a appelé à la poursuite de l’accord bilatéral de réadmission des migrants entre la Turquie et la Grèce.

      "La position de la commission est qu’elle devrait être mise en œuvre de manière continue afin de respecter tous les critères restants dans le cadre de la feuille de route de libéralisation des visas avec la Turquie", a déclaré, vendredi, Natasha Bertaud, la porte-parole de la Commission.

      Ses remarques sont intervenues après que le ministre turc des Affaires étrangères, Mevlüt Çavuşoğlu a annoncé jeudi qu’Ankara suspendait son accord bilatéral de réadmission des migrants avec la Grèce.

      La suspension a suivi le refus des autorités grecques d’extrader des ex-soldats turcs qui sont accusés par la Justice turque d’avoir pris part au coup d’état manqué de 2016.

      Bertaud a précisé que la décision concernait un accord bilatéral entre la Grèce et la Turquie, et non l’accord UE-Turquie.

      "Nous sommes en contact avec les autorités grecques et turques pour enquêter davantage. Cela concerne un accord bilatéral entre la Grèce et la Turquie ", a-t-elle déclaré.

      Cavusoglu a précisé : « Il y a un accord de migration avec l’UE, c’est en vigueur et il y a un accord bilatéral de réadmission avec la Grèce, nous avons maintenant suspendu cet accord.

      Un protocole de réadmission entre la Grèce et la Turquie a été signé en 2002 pour lutter contre la migration illégale.

      Fin mai, le Conseil d’Etat grec a accordé l’asile à l’ex-soldat turc Suleyman Ozkaynakci, que la Turquie accuse d’être impliqué dans le coup d’Etat de 2016.

      En janvier, la Cour suprême grecque s’est prononcée contre l’extradition des anciens soldats - une décision que la Turquie a qualifiée de « politiquement motivée ».

      Cette dernière a demandé à plusieurs reprises l’extradition des putschistes présumés, notamment lors de la visite officielle du président Recep Tayyip Erdogan en Grèce en décembre dernier.

      www.actualite-news.com/fr/international/europe/5831-la-commission-europeenne-appelle-a-la-poursuite-de-l-accord-sur-les-migrants-entre-la-turquie-et-la-grece

    • Les réfugiés ne doivent pas servir d’instrument de pression politique en Turquie, selon la rapporteure

      « Je suis consternée par l’annonce des autorités turques indiquant que l’accord de réadmission avec la Grèce a été suspendu, à la suite de la libération de soldats turcs demandeurs d’asile en Grèce. Cette décision montre que les accords migratoires font courir aux réfugiés le risque d’être utilisés comme instrument dans les conflits politiques.

      J’appelle toutes les parties à ce conflit à donner la priorité aux intérêts et aux droits des réfugiés », a déclaré Tineke Strik (Pays-Bas, SOC), rapporteure de l’APCE sur les conséquences pour les droits de l’homme de la dimension extérieure de la politique d’asile et de migration de l’Union européenne.

      « Bien que les conséquences de l’accord UE-Turquie pour les réfugiés et les demandeurs d’asile en Grèce et en Turquie soient inquiétantes, la Turquie ne devrait pas utiliser le sort tragique des réfugiés pour faire pression sur les autorités grecques à la suite de l’échec du coup d’État en Turquie. La vie des réfugiés ne doit pas être un objet de négociation politique », a-t-elle souligné.

      « Le gel de la réadmission en Turquie ajoute à leur insécurité et peut prolonger leurs conditions d’accueil dégradantes, ce qui doit être évité. Si cette décision est maintenue, le gouvernement grec devrait accorder aux réfugiés des îles de la mer Égée l’accès à un logement d’accueil adéquat sur le continent, et examiner leurs demandes d’asile sur le fond ».

      En mars 2016, face à l’arrivée d’un nombre sans précédent de réfugiés, à la suite du conflit armé en Syrie, l’Union européenne et la Turquie ont convenu que la Turquie prendrait toutes les mesures nécessaires pour empêcher la migration irrégulière par voie terrestre ou maritime de la Turquie vers l’UE. En vertu de l’accord, les migrants en situation irrégulière qui traversent la Turquie vers les îles grecques seraient renvoyés en Turquie et, pour chaque Syrien renvoyé des îles vers la Turquie, un autre Syrien serait réinstallé dans l’UE.

      En outre, l’UE s’est engagée à consacrer trois milliards d’euros à la gestion des migrations et à l’aide aux réfugiés en Turquie en 2016-2017, et trois autres milliards d’euros en 2018.

      Le rapport de Mme Strik doit être débattu lors de la prochaine session plénière de l’Assemblée (25-29 juin 2018).

      http://assembly.coe.int/nw/xml/News/News-View-FR.asp?newsid=7105&lang=1&cat=134

  • « Les conditions sont réunies pour des renvois en Erythrée »

    En tête des demandes d’asile en Suisse en 2017, les ressortissants érythréens étaient jusqu’alors protégés dans leur ensemble d’un renvoi dans leur pays. Cela devrait désormais changer, comme l’explique Mario Gattiker, secrétaire d’Etat aux migrations.

    Le renvoi d’Erythréens dans leur patrie d’origine est licite et exigible, a statué le Tribunal administratif fédéral (TAF) dans un arrêt d’août 2017. A deux conditions : il faut que l’individu ait déjà effectué son service obligatoire avant de quitter l’Erythrée ou qu’il dispose du statut de « membre de la diaspora » défini par Asmara. Sur la base de cette décision, le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) considère que 3200 ressortissants de ce pays sont désormais éligibles à un « #retour_volontaire ». Environ 200 d’entre eux ont déjà été contactés. Ils disposent d’un mois pour avancer des raisons qui pourraient s’opposer à leur retour. Le Temps a rencontré Mario Gattiker, secrétaire d’Etat aux migrations, pour en parler.

    Le Temps : La situation a-t-elle évolué en Erythrée pour qu’on puisse envisager le retour de certains de ses ressortissants ?

    Mario Gattiker : La Suisse offre une protection uniquement à ceux qui en ont besoin. En ce qui concerne l’Erythrée, le SEM a constaté que le pays ne connaissait pas une situation de #violence_généralisée et qu’y retourner n’était pas dans tous les cas inexigible. Les opposants politiques ne seront par ailleurs pas touchés par cette mesure. Le TAF soutient en outre notre position et a également estimé qu’un individu qui a déjà servi ou qui ne peut pas être recruté ne se trouve pas en danger concret de #persécution. J’ajoute que nous évaluons constamment la situation du pays, ce pour quoi nous sommes actuellement à la pointe en Europe.

    Comment peut-on être sûr que les personnes renvoyées ne seront pas exposées à des actes de répression ? Le CICR ne dispose lui-même que d’un accès limité aux prisons du pays.

    Il n’existe pas de garantie incontestable. Nous arrivons cependant à la conclusion que, pour certaines catégories de personnes, il n’existe pas de #risque concret. Cette décision se base sur des témoignages de diasporas érythréennes à l’étranger, notamment en Ethiopie et au Soudan, sur des rapports d’ambassades, d’organisations internationales et non gouvernementales, ainsi que sur des missions organisées sur place ou encore des sources provenant de l’opposition au régime.

    Il n’existe pas d’#accord_de_réadmission avec l’Erythrée. Comment être sûr que le pays acceptera bien de reprendre ses ressortissants ?

    Parmi les pays d’origine des personnes qui demandent l’asile chez nous, seul un pays sur deux a un accord de réadmission avec la Suisse. L’absence d’un tel traité ne signifie pas pour autant que des renvois sont impossibles. La Côte d’Ivoire accueille par exemple des vols spéciaux sans aucune convention de ce type. En ce qui concerne l’Erythrée, le pays n’accepte certes pas de #renvois_forcés mais des retours volontaires sont possibles. Je précise que si la personne éligible à un retour volontaire ne s’en va pas, elle prend le risque de tomber dans l’#aide_d’urgence.

    C’est là le bras de levier dont dispose la Suisse pour convaincre des « volontaires » ?

    Je ne vois pas ça comme un bras de levier, mais comme l’application de la loi. Il existe 9400 Erythréens admis provisoirement en Suisse. Certains ont obtenu ce statut alors qu’ils ne souffraient d’aucune persécution, mais que des circonstances particulières, comme une maladie, le justifiaient à ce moment-là. Leur statut n’est pas protégé par la Convention européenne des droits de l’homme ou par les Conventions de Genève mais par la loi sur l’asile, que nous appliquons. Nous avons par ailleurs pour obligation de revoir le statut des personnes admises de manière provisoire à intervalles réguliers. Cela non seulement pour les Erythréens mais également pour toutes les autres communautés étrangères présentes sur le territoire suisse.

    A combien se monte l’#aide_au_départ fournie par la Confédération ?

    La pratique en vigueur est d’allouer 1000 francs par individu. Dans des situations particulières, cette somme peut être augmentée jusqu’à 4000 francs.

    En ce qui concerne l’#Ethiopie maintenant, où en sont les négociations concernant un accord migratoire ?

    L’Ethiopie était un pays difficile en ce qui concerne le retour de ses ressortissants. L’Union européenne (UE) est toutefois parvenue à un accord avec Addis-Abeba pour les renvois, volontaires ou non. Comme la Suisse est dans l’espace Schengen, nous reprenons les accords conclus par l’UE dans le domaine de la migration. J’ajoute qu’il est absolument nécessaire de procéder au renvoi de personnes qui n’ont pas besoin de notre protection afin d’éviter d’inciter des personnes à venir en Suisse pour profiter d’une aide sans motifs valables. Cet accord crédibilise la politique migratoire suisse et européenne et permet d’apporter la protection nécessaire aux personnes qui en ont besoin.
    #dissuasion

    La Suisse sera appelée à collaborer avec les #services_secrets éthiopiens, régulièrement dénoncés pour des violations des droits de l’homme par des organisations comme Amnesty International. Est-ce cohérent de travailler avec un tel partenaire ?

    Notre partenaire est l’autorité éthiopienne des migrations. Dans les décisions de renvoi, la situation des droits de l’homme dans le pays d’origine représente par ailleurs toujours un facteur important. Les décisions doivent toutefois être prises sur la base d’une évaluation individuelle des risques encourus par chaque personne concernée.

    L’Ethiopie est un des plus grands pays d’Afrique, avec environ 90 millions d’habitants. La situation sur place n’est pas celle de violences généralisées. Les ressortissants de ce pays en mesure de fournir des raisons valables peuvent bien entendu obtenir un statut de protection en Suisse. Les autres doivent quitter le territoire.

    https://www.letemps.ch/suisse/conditions-reunies-renvois-erythree
    #asile #réfugiés_érythréens #migrations #réfugiés #Suisse #renvois #expulsions #it_has_begun

    @isskein : le "#modèle_suisse" frappe encore ? Est-ce que ça sera la Suisse le premier pays à renvoyer les Erythréens en Erythrée ?

    Sur le jugement du #TAF (tribunal administratif fédéral), voir :
    https://seenthis.net/messages/626866

    • Pourquoi la décision de levée de l’admission provisoire pour 3’200 érythréens est prématurée

      Interviewé récemment par Le Temps, Mario Gattiker, Secrétaire d’Etat aux migrations (SEM) estime que le renvoi de milliers d’érythréens admis à titre provisoire est licite. Il explique que la levée d’admission provisoire concernera uniquement les personnes qui ont déjà effectué leur service militaire obligatoire avant de quitter l’Erythrée ou qui disposent du statut de « membre de la diaspora » défini par Asmara. Ce sont 3’200 érythréens sur un total de 9’400 personnes admises à titre provisoire et sans statut de réfugié qui sont visées.

      https://blogs.letemps.ch/jasmine-caye/?p=906

      via @forumasile

    • Switzerland: 3200 Eritrean nationals facing possible deportation

      According to a ruling from the Federal Administrative Court in Switzerland from August 2017 the return of Eritrean nationals is lawful provided they have completed their military service. On that basis the State Secretariat for Migration (SEM) will examine the cases of 3,200 Eritrean nationals in Switzerland granted temporary admission and enforce their return.

      Persons granted temporary admission in Switzerland are not ensured permission to stay but the admission confirms that deportation cannot be carried out and that a person can stay as long as that is the case. The ruling by the Federal Administrative Court established that Eritreans who have completed military service or resolved their situation with the Eritrean government through payment of necessary fees can be returned, affecting 3,200 Eritrean nationals of a total of 9,400 currently on temporary admission who are having their cases examined by the SEM. A letter sent from SEM to Eritrean nationals concerned states: “The SEM thus intends to annul the provisional admission and order the enforcement of the return.” This despite the fact that Switzerland currently lacks agreements with the Eritrean authorities enabling forced return.

      Human rights violations by Eritrean authorities including indefinite military service, arbitrary arrest and enforced disappearances, forced labour, repression of speech, expression, and association and lack of religious freedom are widely reported by civil society organisations and the UN. According to Eurostat the recognition rate for Eritrean asylum seekers in the 28 EU member states was 90% in 2017. With 3,375 claims Eritrean nationals were the largest group of asylum seekers in Switzerland in 2017 though the number decreased by 35% compared to 2016.

      https://www.ecre.org/switzerland-3200-eritrean-nationals-facing-possible-deportation

    • Swiss Treatment of Eritreans Sets Dangerous Precedent

      A controversial Swiss decision to review the status of 3,200 Eritrean asylum seekers may have dangerous consequences in Israel, where it has been cited as a precedent for returning Eritreans to Eritrea, says researcher Shani Bar-Tuvia.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/articles/2018/05/14/swiss-treatment-of-eritreans-sets-dangerous-precedent

      Encore une fois le #modèle_suisse, chère @isskein
       :-(

    • Erythrée. Un réexamen des admissions provisoires précipité

      L’arrêt du Tribunal administratif fédéral (TAF) d’août 2017 modifiant sa jurisprudence et estimant licites et exigibles certains renvois en Erythrée est actuellement examiné par le Comité de l’ONU contre la torture (CAT) sur le plan de la conformité avec la Convention ratifiée par la Suisse. Le CAT a demandé le 8 novembre 2017 à la Suisse de suspendre l’exécution du renvoi concerné durant l’examen de cette plainte. Le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) a confirmé par lettre le lendemain qu’il respecterait cette recommandation. Or, on apprend dans un article du 11 avril publié sur le site du SEM, que "sur la base de la décision du TAF, le Secrétariat d’Etat aux migrations considère que 3200 ressortissants de ce pays sont désormais éligibles à un « retour volontaire »."

      1. La nouvelle pratique du SEM consistant à réexaminer les admissions provisoires de ressortissant-e-s érythréen-ne-s est susceptible de violer la Convention contre la torture ainsi que la Constitution fédérale. Elle s’appuie sur un arrêt dont la recevabilité en droit international n’a pas encore été confirmée. Le Conseil fédéral est-il prêt à prendre le risque de rendre des décisions qui pourraient par la suite être annulées ?

      2. Le Conseil fédéral prend-il en considération l’impact de décisions de renvois, potentiellement annulées par la suite, sur la santé mentale ainsi que sur le processus d’intégration des milliers de ressortissant-e-s érythréen-ne-s concerné-e-s ?

      3. Le Conseil fédéral prend-il en considération le coût que représentent des centaines, voire des milliers de décisions négatives potentiellement annulées ?

      4. En cohérence avec l’engagement pris auprès du CAT et pour éviter de prononcer des décisions qui pourraient être annulées par la suite, le Conseil fédéral s’engage-t-il à ne pas appliquer la nouvelle pratique avant que le CAT ne se soit prononcé sur la légalité de l’arrêt du TAF ?

      5. Le secrétaire d’Etat aux migrations reconnaît dans son interview du 11 avril qu’il n’existe pas de garantie incontestable que les personnes renvoyées ne seront pas exposées à des actes de répression. Le Conseil fédéral ne pense-t-il pas que, dans le doute, la protection des personnes concernées prime la volonté de renvoi ?

      1./4./5. Le recours auprès du Comité de l’ONU contre la torture (CAT) mentionné par l’auteure de l’interpellation constitue un moyen de recours hors des voies de recours internes. Déposé dans un cas d’espèce, il ne vise pas à revoir fondamentalement la pratique en matière de renvoi suivie actuellement par le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) à l’égard de l’Erythrée. Dès que le CAT aura rendu sa décision, le SEM l’analysera soigneusement et étudiera si elle peut influer sur sa pratique actuelle et, si oui, dans quelle mesure.

      L’admission provisoire représente une simple mesure de remplacement lorsque le renvoi ne peut pas être exécuté. Le SEM est légalement tenu d’examiner régulièrement les admissions provisoires prononcées. Il lève une telle admission et ordonne l’exécution du renvoi lorsque le retour de la personne concernée est à la fois licite, raisonnablement exigible et possible et que cette mesure s’avère, dans l’ensemble, proportionnée. Ces conditions sont étudiées minutieusement et individuellement par le SEM, à la lumière de la jurisprudence du Tribunal administratif fédéral (TAF). Ainsi, les décisions de lever une admission provisoire sont toujours édictées dans le droit fil de la Constitution fédérale et de la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants (RS 0.105).

      En ce qui concerne les répressions à l’encontre des Erythréens rapatriés craintes par l’auteure de la présente interpellation, il convient de souligner qu’une admission provisoire n’est pas levée et que l’exécution d’un renvoi n’est pas ordonnée lorsque la personne concernée serait exposée à des tortures ou à un traitement inhumain au sens de l’article 3 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (CEDH ; RS 0.101). Pour tomber sous le coup de cette disposition, l’intéressé doit cependant prouver ou du moins rendre vraisemblable un risque concret ("real risk") de subir un tel traitement. Cette interprétation de l’article 3 CEDH s’inscrit également dans la lignée de la pratique constante de la Cour européenne des droits de l’homme.

      2. Le Conseil fédéral reconnaît que les procédures relatives à la levée de l’admission provisoire peuvent engendrer une situation éprouvante pour les personnes concernées. Toutefois, comme il l’a déjà expliqué, le SEM ne décide de lever une admission provisoire qu’après avoir soigneusement examiné le dossier et uniquement dans le respect des prescriptions légales. Ce faisant, il tient également compte, dans les limites prévues par la loi, des mesures d’intégration en cours.

      3. En raison du contrôle juridique exercé par le TAF, il n’est pas exclu que des recours soient admis dans des cas d’espèce, mais il est peu probable que cela devienne la règle. Il ne faut donc guère s’attendre à des admissions de recours aussi nombreuses et à des conséquences financières aussi lourdes que le craint l’auteure de la présente interpellation.

      https://www.parlament.ch/FR/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20183471

    • Quel avenir pour les jeunes requérants d’asile érythréens ?

      Le SEM (Secrétariat d’Etat aux migrations) a récemment durci sa pratique vis-à-vis des requérants d’asile érythréens parmi lesquels se trouvent de nombreux jeunes. Il considère notamment que la sortie illégale du pays en raison de leur volonté d’échapper à un service militaire à durée indéterminée, que l’ONU assimile au travail forcé et à l’esclavage, ne pose pas de problème en cas de renvoi.

      Il reste difficile de comprendre quelles sont les sources d’information sur lesquelles le SEM s’appuie pour considérer que des ressortissants érythréens, ayant fui leur pays en tant que mineurs et avant l’âge de la conscription, ne risqueraient plus de sérieux préjudices en cas de retour.

      Le 12 mars dernier, lors du Dialogue interactif renforcé sur la situation des droits de l’homme en Erythrée, la Suisse a déclaré « rester inquiète de la situation des droits de l’homme en Erythrée et du manque d’informations vérifiables à disposition, en raison de l’absence d’accès libre et indépendant au pays ».

      De plus, la récente décision de procéder au réexamen de l’admission provisoire de plus de 3200 Erythréens a semé un grand trouble tant dans cette communauté que parmi les bénévoles qui les soutiennent. Si ces jeunes se voient refuser l’asile ou l’admission provisoire, ils seront obligés de demander l’aide d’urgence, ce qui les précarisera fortement et compromettra leurs chances de s’intégrer.

      Je prie donc le Conseil fédéral de répondre aux questions suivantes :

      1. Sur la base de quelles informations indépendantes s’appuie le SEM pour évaluer les risques réels liés aux renvois ? Les autorités suisses ne devraient-elles pas s’inspirer des récents rapports de l’ONU qui sont la seule source actuellement fiable pour fonder leur politique à l’égard des requérants d’asile érythréens ?

      2. Quel est le but réel visé par ce durcissement ? Ne risque-t-on pas de créer des problèmes sociaux en empêchant des jeunes de continuer à se former et de s’intégrer ?

      3. Des citoyen-n-es s’engagent bénévolement pour apporter un soutien à des jeunes requérants d’asile et des mineurs non accompagnés : n’y-a-t-il pas une contradiction entre la pratique du SEM qui révise les admissions provisoires d’une part, et la volonté des pouvoirs publics d’encourager le soutien de la population suisse envers ces jeunes en vue de les aider à construire leur autonomie d’autre part ?

      1. Le 22 avril 2016, le Secrétariat d’Etat aux migrations (SEM) a publié un rapport intitulé « Update Nationaldienst und illegale Ausreise » (mis à jour le 10 août 2016), lequel contient les informations pertinentes pour définir la pratique en matière d’asile et de renvoi à l’égard de l’Erythrée (lien : https://www.sem.admin.ch/dam/data/sem/internationales/herkunftslaender/afrika/eri/ERI-ber-easo-update-nationaldienst-d.pdfpdf). Ce rapport présente tous ses éléments de manière aussi actuelle, claire, neutre et transparente que possible. Il tient compte de toutes les sources disponibles et les commente dans le chapitre introductif. Ces sources comprennent des rapports sur les droits de l’homme (entre autres ceux des Nations Unies), des textes de loi, des positions du gouvernement érythréen, des observations d’experts en Erythrée et dans d’autres pays ainsi que les enseignements tirés par d’autres unités européennes spécialisées dans l’analyse de pays. Le SEM a recueilli une partie de ces informations lors d’une mission d’enquête en Erythrée qui s’est déroulée en février et mars 2016. Le Bureau européen d’appui en matière d’asile (EASO) a repris le rapport du SEM dans une forme légèrement modifiée et l’a publié en plusieurs langues (lien : https://coi.easo.europa.eu/administration/easo/PLib/EASO_COI_Eritrea.pdfpdf).

      2. Le SEM évalue en permanence sa pratique en matière d’asile et de renvoi à l’égard de l’Erythrée et l’ajuste en cas de besoin. C’est ainsi qu’en juin 2016 il a adapté sa pratique à l’égard des Erythréens qui ont illégalement quitté leur pays en se fondant sur les nouvelles informations à sa disposition. Le Tribunal administratif fédéral a confirmé ce changement de pratique dans son arrêt D-7898/2015 du 30 janvier 2017, qui a été rendu à l’issue d’une procédure de coordination. Le SEM examine chaque demande d’asile avec minutie et au cas par cas. S’agissant des personnes qui ont besoin de la protection de la Suisse et qui obtiennent par conséquent le droit de rester dans notre pays, la priorité est à l’intégration. Les personnes qui n’ont pas besoin de notre protection sont quant à elles tenues de quitter la Suisse. C’est pourquoi ni les cantons ni le SEM n’encouragent l’intégration de ces personnes. Par contre, ils leur offrent un soutien sous forme d’un conseil en matière de réintégration dans leur pays d’origine et d’un cofinancement éventuel de projets professionnels et de formation dans le cadre de l’aide au retour individuelle.

      3. Le SEM a l’obligation légale de vérifier périodiquement si les conditions des admissions provisoires existantes sont toujours réunies. Si tel n’est plus le cas, il lève l’admission provisoire et ordonne l’exécution du renvoi. Une admission provisoire ne peut être levée que si le retour de la personne concernée est exigible, licite et possible et si une telle mesure s’avère dans l’ensemble proportionnée. Ces conditions sont examinées au cas par cas. Lors de l’examen, qui est en cours, des admissions provisoires des ressortissants érythréens, le SEM veille à informer aussi vite que possible les jeunes en formation et les mineurs non accompagnés du résultat auquel il est parvenu.

      https://www.parlament.ch/FR/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20183431

  • Un accord européen permet le renvoi d’Ethiopiens

    L’Ethiopie s’est déclarée prête à reprendre ses ressortissants dont la demande d’asile a été rejetée par la #Suisse. Cette décision est liée à un accord passé entre l’UE et l’#Ethiopie, qui vaut aussi pour la Suisse en tant que pays membre de l’espace Schengen.

    Lors d’un « dialogue politique » en mars, la Suisse et l’Ethiopie ont convenu que l’accord de « #réadmission des ressortissants éthiopiens sans droit de séjour ou en séjour illégal » sera aussi valable pour la Suisse, a indiqué jeudi à l’ats le Secrétariat d’Etat aux migrations (#SEM).

    Il confirmait ainsi une information de la presse alémanique. Pour pouvoir être réadmises, les personnes doivent être reconnues comme citoyennes par les autorités éthiopiennes. Si elles ne disposent pas de #documents_d'identité ou de voyage valables, elles devront « tout d’abord être identifiées par les autorités éthiopiennes ».

    Pour identifier ses ressortissants, l’Ethiopie a mandaté ses #services_secrets, le #National_Intelligence_and_Security_Service (#NISS). La Suisse ne leur fournira que les données nécessaires pour établir l’identité de la personne et qui peuvent être légalement transmises, précise le SEM.

    Pour Amnesty International, cette collaboration avec le NISS est « hautement problématique ». L’Ethiopie est connue pour ses méthodes de surveillance et le NISS dispose de pouvoirs étendus dans le pays. Il faut partir du principe que la diaspora en Suisse est déjà surveillée actuellement. Avec cette coopération, la situation se péjorera pour les opposants au régime.

    Selon le SEM, environ 300 ressortissants éthiopiens ayant fait l’objet d’une décision de renvoi séjournent actuellement en Suisse. Parmi eux figure l’ex-iman radical de la mosquée An’Nur de Winterthour (ZH), condamné en novembre dernier à 18 mois de prison avec sursis notamment pour incitation au crime ou à la violence. L’homme de 25 ans avait disparu après son procès. Il a entre-temps été arrêté en Allemagne. Il sera ramené en Suisse puis renvoyé en Ethiopie.

    http://www.journaldujura.ch/nouvelles-en-ligne/suisse/un-accord-europeen-permet-le-renvoi-dethiopiens
    #asile #migrations #réfugiés #réfugiés_éthiopiens #renvoi #expulsion #accord_de_réadmission #identification #surveillance

    cc @isskein