• Uruguay: hay preocupación por la crisis hídrica y piden cuidar el recurso | #Agua con altos niveles de sal | Página12
    https://www.pagina12.com.ar/549559-uruguay-hay-preocupacion-por-la-crisis-hidrica-y-piden-cuida
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    #eau

    El Ministerio de Ambiente pidió a la población no regar jardines, ni lavar el auto y reducir el tiempo de ducha para superar la emergencia hídrica. Tanta es la preocupación ante la falta de agua dulce que en Montevideo varias personas asaltaron los supermercados y se llevaron bidones y botellas de agua mineral.

    Frente a esta situación, la intendencia de Montevideo distribuyó 4000 bidones entre centros asistenciales de la capital. Por otro lado, el gobierno dijo que garantizará la entrega de dos litros de agua mineral por día a los sectores más vulnerables.

    El aumento del consumo de agua mineral fue abrupto en los últimos días debido a que el agua de la canilla es salada y no es apta para consumo humano. Se trata de un déficit hídrico, que se arrastra desde hace tres años. La empresa estatal Obras Sanitarias del Estado (OSE) tuvo que recurrir a otras fuentes y aumentar así la salinidad permitida.

  • Non c’è recessione per il mercato delle armi: nuovi contratti tra Turchia e Nigeria, affari per la #Leonardo

    La Turchia consegnerà elicotteri d’attacco alle forze armate della Nigeria ma a fregarsi le mani con Erdogan & C. ci sono pure i manager e gli azionisti di Leonardo SpA.

    Temel Kotil, direttore di #TAI#Turkish_Aerospace_Industries –, la principale azienda pubblica del comparto militare-industriale turco ha reso noto l’esportazione alla Nigeria di sei elicotteri da combattimento avanzato #T-129#Atak”. Ignoto ad oggi il valore della commessa.

    Il velivolo da guerra T-129 “Atak” viene costruito su licenza dell’azienda italo-britannica #AgustaWestland, interamente controllata dal gruppo italiano Leonardo. Si tratta di un bimotore di oltre 5 tonnellate, molto simile all’A129 “Mangusta” in possesso dell’Esercito italiano.

    Nel 2007 AgustaWestland e Turkish Aerospace Industries hanno firmato un memorandum che prevede lo sviluppo, l’integrazione, l’assemblaggio degli elicotteri in Turchia, demandando invece la produzione dei sistemi di acquisizione obiettivi, navigazione, comunicazione, computer e guerra elettronica agli stabilimenti del gruppo italiano di Vergiate (Varese).

    Gli elicotteri T129 “Atak” sono stati acquisiti dalle forze armate turche e utilizzati in più occasioni per sferrare sanguinosi attacchi contro villaggi e postazioni delle milizie kurde nel Kurdistan turco, siriano e irakeno.

    Nel giugno del 2020 TAI ha presentato una versione ancora più micidiale dell’elicottero “cugino” del “Mangusta”: con nuovi sistemi avanzati di individuazione e tracciamento dei bersagli e sofisticati di sistemi per la guerra elettronica, il nuovo velivolo è armato con razzi non guidati da 70 mm e missili anti-carro a lungo raggio #L-UMTAS.

    Sei #T-129 per un valore di 269 milioni di dollari sono stati venduti lo scorso anno alle forze armate delle Filippine; due velivoli sono stati già consegnati mentre i restanti quattro giungeranno a Manila entro la fine del 2023.

    La conferma della commessa degli elicotteri alla Nigeria giunge un paio di giorni dopo la missione in Turchia del Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare nigeriana, il generale Oladayo Amao.

    Incontrando il comandante delle forze aeree di Ankara, il generale Hasan Kucukakyuz, Amao ha espresso l’intenzione di rafforzare la cooperazione industriale-militare con la controparte “in vista del miglioramento dell’efficienza operativa nella lotta al terrorismo, così come stanno facendo in questi mesi i due Paesi”.

    Nigeria e Turchia si sono impegnati, in particolare, a scambiarsi le esperienze nell’impiego dei velivoli a pilotaggio remoto nelle operazioni anti-terrorismo e a moltiplicare le esercitazioni militari congiunte, a partire da quella multinazionale Anatolia Eagle che si svolge annualmente in Turchia. “I due paesi potranno beneficiare enormemente dello scambio di studenti militari durante i programmi di addestramento”, ha dichiarato il Capo di Stato maggiore nigeriano. “Chiediamo inoltre il supporto dell’Aeronautica militare turca per potenziare e modernizzare le piattaforme aeree e sviluppare programmi formativi per le forze speciali e per il personale nigeriano impiegato nelle tecnologie di intelligence e telecomunicazione”.

    Prima di lasciare la Turchia, lo staff dell’Aeronautica nigeriana ha effettuato un tour presso le maggiori industrie militari: TAI – Turkish Aerospace Industries, Aselsan, Havelsan, Manatek, BNW Group, Fly BVLOS – Airways Group ed Express Technics.

    La Nigeria si è rivolta ad Ankara pure per potenziare il dispositivo navale. Nel novembre dello scorso anno la Marina militare nigeriana ha sottoscritto un contratto con i cantieri navali Dearsan di Istanbul per la consegna di due pattugliatori d’altura tipo OPV-76 da completarsi entro tre anni.

    Secondo il capo di Stato maggiore della marina, l’ammiraglio Awwal Gambo, le due unità da guerra verranno utilizzate per le operazioni di interdizione marittima, sorveglianza e per il supporto alle forze speciali e alle unità terrestri. “I pattugliatori OPV-76 saranno anche in grado di svolgere attività di ricerca e salvataggio, anti-pirateria, anti-traffici e anti-droga e operazioni di pronto intervento in caso di disastri naturali”.

    Le due unità navali avranno una lunghezza di 76.8 metri e un dislocamento di oltre 1.100 tonnellate e ospiteranno a bordo 43 militari.

    Grazie a due potenti motori diesel esse raggiungeranno una velocità massima di 28 nodi con un raggio di azione di 3.000 miglia nautiche. Anche con i due pattugliatori d’altura si prospettano ottimi affari per Leonardo SpA e le aziende controllate: i sistemi d’arma che saranno impiegati a bordo comprendono infatti i cannoni da 76 mm Super Rapid e quelli “leggeri” da 40 mm (produzione Oto Melara/Leonardo) e i sistemi missilistici superficie-aria a corto raggio Simbad-RC (produzione MBDA).

    https://www.africa-express.info/2022/07/29/non-ce-recessione-per-il-mercato-delle-armi-nuovi-contratti-militar
    #armes #armement #commerce_d'armes #Turquie #Nigeria #Philippines #Anatolia_Eagle #Dearsan #OPV-76 #Super_Rapid #Oto_Melara #Simbad-RC #MBDA

  • Mouna, l’anti-bagnole
    http://carfree.fr/index.php/2022/05/13/mouna-lanti-bagnole

    Parmi les « grands précurseurs » de l’anti-bagnole, il y a André Dupont, dit « Aguigui Mouna » ou simplement « Mouna » (1911-1999). Décrit sur Wikipédia comme un clochard-philosophe libertaire, pacifiste, écologiste avant l’heure, il Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #anti-voitures #dessins #écologie #histoire #pacifisme #paris #vélorution

  • La maison de Dieu

    Miquel Amorós

    https://lavoiedujaguar.net/La-maison-de-Dieu

    Agustín García Calvo
    Qu’est-ce que l’État ?

    Agustín García Calvo est un penseur subversif véritablement original. Ce qui, dans sa réflexion, provoque encore un grand étonnement parmi les militants, c’est qu’elle ne parte pas de la Révolution française, ni des communes médiévales, ni même de la guerre civile espagnole, choses dont il n’était pas fin connaisseur, mais de bien plus loin, du monde grec, qu’il connaissait sur le bout des doigts. Plus concrètement, de ce moment où l’héritage de la pensée présocratique était combattu par un savoir encyclopédique désordonné qui prétendait expliquer et ordonner la nature et la conduite humaine dans tous leurs aspects. Platon tenta de clore l’affaire en suggérant un ensemble de règles rationnelles pour codifier la vie sociale ; il aboutit ainsi à une théorie dialectique de l’État qui scandalisa notre gréco-latiniste érudit. Pour Platon, les individus atteignaient leur plénitude dans un État parfait, où tous accompliraient au pied de la lettre une fonction fixée au préalable. Agustín ne pouvait pas être plus en désaccord avec l’aberration d’après laquelle les personnes et les choses se conformeraient peu à peu à des moules réglementaires jusqu’à ressembler à des idées. Les idées étaient le fondement du Pouvoir ; il n’y avait pas de Pouvoir sans idéologie. Et ainsi nous lisons dans son opuscule Qu’est-ce que l’État ? qu’il qualifie l’État d’idée dominante « prête à être utilisée comme arme », à la fois mensongère et réelle. (...)

    #Agustín_García_Calvo #Miquel_Amorós #Platon #Héraclite #Bakounine #État #Capital #Foi #peuple #langue_officielle #bureaucratie #Ordre #femmes #amour

  • Qu’est-ce que l’État ?

    Ernest London

    https://lavoiedujaguar.net/Qu-est-ce-que-l-Etat

    « Lorsque que s’invente et s’établit une idée comme celle d’État, qui réussit à confondre avec le plus grand succès les notions contraires de “peuple” et de “Gouvernement”, il se constitue ainsi l’arme la plus puissante (qui est, comme on le voit, la plus métaphysique) pour enfermer le peuple dans la confusion et l’identification avec son Gouvernement et pour empêcher n’importe quel sentiment clair d’opposition et n’importe quelle intention d’en secouer le joug. » Agustín García Calvo (1926-2012), philologue et poète espagnol, convoque l’idée « État », « idée mensongère et réelle », pour en explorer les contradictions, les ambiguïtés dissimulées.

    Tandis qu’avec la notion de Patrie « l’amour de la terre se confondait avec le service des Seigneurs », celle d’« État » consolide et masque ce procédé de confusion et d’intégration. « L’État est la culmination logique, historique et naturelle, de l’idée d’État », fusionnant le Pouvoir et le peuple, « faisant du gouvernement et des gouvernés une seule et même chose » : « La Démocratie, que ce soit par la tromperie de la représentation et des élections de la voix du peuple, ou par la dictature des opprimés et dominés, réalise historiquement le mensonge que renferme la construction même de son vocable. »

    « Il n’y a pas de Pouvoir sans nécessité de justification et, donc, comme disent les politiciens, d’idéologie, d’autant plus efficace et puissante qu’elle est plus abstraite et métaphysique, et par conséquent plus difficile à dénoncer et plus facilement dissimulable aux yeux du peuple, jusqu’à atteindre le comble de la réussite, quand il n’est plus nécessaire d’énoncer l’idée puisqu’elle est déjà ce que tout le monde sait. (...)

    #Agustín_García_Calvo #recension #État #travail #Capital #Marx #religion #langue #écriture

  • Un océano de tumbas anónimas

    Casi 600 jóvenes africanos, a veces menores, incluso niños, han perdido la vida este año intentando llegar a Canarias en patera; solo en 164 casos se han recuperado cadáveres

    Cuesta creer que la bebé Sahe Sephora, ahogada el 16 de mayo de 2019, fuera la primera víctima del drama de las pateras en Canarias a la que se entierra con su nombre después de 21 años de tragedias, pero es así y los cementerios de las islas han seguido recibiendo difuntos anónimos en 2020, cuyas familias se ven arrastradas a un duelo imposible.

    Casi 600 jóvenes africanos, a veces menores, incluso niños, han perdido la vida este año intentando llegar a Canarias en patera, de los que solo en 164 casos se recuperó su cadáver. Son las víctimas documentadas por el programa Missing Migrants de Naciones Unidas, que reconoce que se trata de una «estimación mínima», porque sus responsables son conscientes de que a varias embarcaciones se las ha tragado el Atlántico con todos sus ocupantes sin dejar rastro.

    De hecho, la Cruz Roja sostiene que la Ruta Canaria mata ,entre el 5 y el 8% de quienes se aventuran a ella, lo que se traduce en una horquilla de 1.000 a 1.700 vidas perdidas, si se tiene en cuenta que este año han llegado al Archipiélago 21.500 personas en patera.

    En toda Canarias, hay decenas de inmigrantes enterrados sin identificación de las tres grandes etapas que ha vivido este fenómeno: las llegadas de finales de los años noventa y primeros años del siglo XXI, centradas en Fuerteventura, donde se produjo el primer naufragio mortal (el 26 de julio de 1999); la crisis de los cayucos de 2006-2007, que abarcó todas las islas, con epicentro en Tenerife; y la oleada actual, focalizada en Gran Canaria.

    Son la punta del iceberg, detrás hay muchos más muertos en el mar de los que se sabe poco o nada, pues este es un movimiento clandestino de seres humanos, en el que no existen manifiestos de embarque. Como mucho, hay listas de llegadas, las que recopilan la Policía y la Cruz Roja, no siempre accesibles a los familiares que vuelven estos meses a peregrinar de ventanilla en ventanilla por Gran Canaria preguntando por un hijo o un hermano desaparecido.
    Sin informar a las familias

    «Si eres padre o madre y sabes que tu hijo ha salido, pero no has vuelto a tener noticias de él, aceptar que vas a dejar de buscarlo es un trámite doloroso, que requiere hacer el máximo esfuerzo por decirte a ti mismo que no ha llegado y que has hecho todo lo posible por encontrarlo. Vienen a España confiando en que somos un país moderno que les dirá si existe alguna noticia de esa persona, pero no se la dan», asegura el abogado #Daniel_Arencibia.

    Este letrado colabora con el Secretariado de Migraciones de la Diócesis de Canarias y sabe bien de lo que habla: aunque la mayoría de las familias son musulmanas, muchos de los que viajan en busca de un pariente del que no saben más que cogió un cayuco hace semanas o meses acaban llamando a la puerta de una iglesia.

    Arencibia atendió hace días a una mujer que había venido desde Italia empeñándose para pagarse el vuelo, la pensión y la PCR tras la pista de su cuñado, porque la madre, de Marruecos, no puede desplazarse a España. «Lloraba en la parroquia porque nadie la atendía. Lo único que quiero, decía, es que me digan que no ha llegado, sé que seguramente está muerto», relata el letrado. Pero la mujer no quería contar eso a su suegra sin una mínima confirmación.

    No es fácil averiguar quién ha perecido en el Atlántico, pero las autoridades sí conocen quién ha llegado, subraya este abogado, que cree que muchas familias les bastaría con que les dijeran que su pariente no está entre los rescatados. Defiende, además, que este es un caso claro en el que debería activarse el protocolo de accidentes con víctimas múltiples, uno de cuyos puntos principales es la instauración de una oficina de información a las familias.

    La juez Pilar Barrado, que hasta principios de año estuvo al cargo de uno de los juzgados de San Bartolomé de Tirajana, los de la costa de las pateras, comparte su opinión. «¿Si nos llegara un barco con 30 suecos que han visto morir a tres de sus compañeros tras quedarse a la deriva, los trataríamos así?», se pregunta. «Claro que no», se contesta, «identificaríamos a los fallecidos y a los supervivientes les ofreceríamos la ayuda de psicólogos».
    Los primos Sokhona

    Pero no siempre es posible, ni siquiera preguntando a los supervivientes, porque a veces los ocupantes de la patera se vieron por primera vez la noche del embarque. Y, con frecuencia, los traficantes de personas que fletan las pateras juegan a la desinformación con las familias. Los muertos no convienen al negocio y menos aún las pateras que desaparecen en el océano.

    Puede que sea el caso que está viviendo Omar Sokhona, un mauritano que llegó en patera a Fuerteventura en 2006. Desde hace años reside en Francia y ahora busca a su hermano Saliya y a su primo Fodie, dos veinteañeros de los que solo sabe que se subieron a un cayuco en Nuadibú con 52 personas más el siete de septiembre. Lleva semanas telefoneando al pasador que los embarcó y siempre obtiene la misma respuesta: un cayuco con 54 personas llegó a Gran Canaria el 10 de septiembre, será el de su hermano.

    A Omar le consta que un cayuco no tarda tres días desde Nuadibú a Gran Canaria, sino bastantes más. «Son otros motores», se excusó el traficante. «¿Y por qué no ha llamado nadie?», insistió. «Estarán detenidos, con la COVID ahora pasan muchos días en los campamentos», se defendió. Ahora, ya ni responde a sus mensajes.

    No ignora Omar que nadie está tres meses detenido en España sin llamar a casa. Ni tampoco que es poco probable que ni una sola de 54 personas contacte con su familia. Se barrunta lo que le ha pasado a su hermano, pero le duele asumirlo e, incluso, tiene engañada a su madre en Mauritania. «Sufre por dentro», reconoce. Y, de momento, alienta sus esperanzas con el cuento de la cuarentena sin fin.

    Como decía el abogado Arencibia, no se atreve a dar por muerto a su hermano sin que al menos alguien le confirme en España que no está entre los 21.500 que han llegado a Canarias. Su familia en Valencia sí ha optado por denunciar la desaparición ante la Policía.

    En esa ciudad vive otro de los primos Sokhoma, Alí. «Yo pienso que están muertos, que se han perdido o que su barca se hundió», admite Alí, que hizo la travesía en cayuco a Canarias dos veces (2006 y 2007). «Mi familia está fatal, si no ven los cuerpos, no van a descansar».

    Los Sokhoma se enteraron de que Saliya y Fodie habían intentado «el viaje» a posteriori, porque ninguno contó nada. Es común, aclara Teodoro Bondjale, secretario de la Federación de Asociaciones Africanas de Canarias (FAAC): la mayoría de los jóvenes que ahora se suben al cayuco no comparten sus planes con su familia, porque saben que se lo impedirían o intentarían disuadirlos.

    Bondjale está asustado con las dimensiones que está cobrando el problema. Lo nota por el volumen de llamadas que reciben en la FAAC preguntando por chicos desaparecidos, la mayoría hechas por familiares en África, pero también por parientes en Europa o Estados Unidos. En una de las últimas que atendió, no se atrevió a decir a una mujer senegalesa residente en Massachussets que buscaba a su hermano lo evidente, «que muchas pateras se hunden, desaparecen en el Atlántico». «No quise desesperarla más», se excusa.
    15 saquitos de huesos

    En el cementerio de Agüimes, una pequeña oración enmarcada, un rosario y unas flores que los parroquianos van renovando de cuando en cuando ofrecen algo de dignidad a los nichos 3.325 a 3.339, tapiados solo con ladrillos y cal, sin ningún signo ni sigla que identifique a sus ocupantes, de los que poco se sabe.

    Solo que allí yacen quince jóvenes subsaharianos a los que encontraron en un cayuco a la deriva a 160 kilómetros de las islas el 19 de agosto, cuando llevaban más de una semana muertos y estaban reducidos a poco más que piel y huesos. Posiblemente, eran los últimos de una lista de ocupantes aún mayor, nunca se aclarará.

    Los enterraron casi en solitario el 26 de septiembre, solo estaban con ellos Teodoro Bondjale, el diputado Luc André Diouf (expresidente de la FAAC), el sepulturero y el párroco del pueblo, Miguel Lantigua, que rezó por sus almas, consciente de que lo más seguro era que no compartieran su fe y en unos momentos muy dolorosos para él, porque no se le iban de la cabeza las familias.

    «Tiene que ser muy duro. Han puesto todas sus esperanzas en esa persona que vino por el futuro económico de la familia y ni siquiera tienen noticia de lo que ha pasado. Es muy duro pensar en las familias, en ellos y en cómo murieron», reconoce el cura.

    La directora del Instituto de Medicina Legal de Las Palmas, la forense María José Meilán, sí sabe cómo fallecieron: de hambre y sed tras muchos días perdidos en el océano. Estuvo en las autopsias y no se le olvidan. «Fue terrible. Eran un manojo de huesos».

    «Impresionaba ver cadáveres que pesaban 30 o 40 kilos. Eso da una idea del tiempo que pasaron sin comer ni beber, a la deriva, y de los días que llevaban fallecidos. Hablamos de chicos fuertes, que por su estatura y complexión pesarían 70-80 kilos, mínimo», apunta.
    Cápsulas de ADN

    El Instituto de Medicina Legal de Las Palmas conserva muestras de ADN de un centenar de inmigrantes muertos en esta zona de Canarias desde 2008 que están pendientes de identificar, 34 solo de este año.

    Desde enero, lo hace siguiendo un protocolo que comparte con Cruz Roja Internacional: cada muestra de ADN tiene asociadas además datos físicos del difunto, el lugar donde fue hallado, los detalles de su patera, fotos de su rostro y de cualquier detalle del cuerpo que pueda ser identificativo (como un tatuaje) y hasta una ficha dental.

    La idea, explica Meilán, es que Cruz Roja recoja peticiones en África de familias que tengan la sospecha de que un pariente suyo puede estar enterrado en Canarias, para hacer una comparación genética. El sistema solo está empezando y necesita rodaje, dice la forense, pero ya hay dos expedientes abiertos con familias que creen que el último rastro de sus hijos o hermanos están ese banco de ADN.

    La Universidad John Moore de Liverpool trabaja en un proyecto complementario: la reconstrucción forense de los rostros de los inmigrantes a partir de fotos de sus cadáveres o incluso del escaneo de su cráneo. Lo impulsa una investigadora de Fuerteventura, María Castañeyra, integrante del equipo de Caroline Wilkinson, que consiguió ponerle cara a personajes como Ramses II o Ricardo III.

    Quizás esa técnica podría devolver un atisbo de identidad a los 39 inmigrantes que Valentín Afonso enterró en Mogán entre 2006 y 2009 sin más identificación que un número. Hoy descansan en cajitas individuales numeradas en la fosa común, con la esperanza aún abierta de que alguien algún día los reclame, aunque hasta la fecha solo haya pasado por allí una mujer con ese afán, en 2007.

    «Era una señora de Senegal, sabía que su hijo había muerto, pero no sabía más. Vino aquí a rezar en la tumba de los inmigrantes», recuerda este sepulturero, ya jubilado, que acabó tan implicado en aquella experiencia que acogió como a un hijo a un chico maliense con una experiencia terrible en el cayuco, Mamadú. Hoy Valentín tiene dos nietas de piel morena que alborotan su jubilación.

    https://www.eldiario.es/canariasahora/sociedad/oceano-tumbas-anonimas_1_6561824.html
    #mourir_en_mer #asile #migrations #réfugiés #Canaries #îles_Canaries #Espagne #frontières #décès #morts #2020 #statistiques #chiffres #cimetière #Agüimes #mourir_aux_frontières #María_José_Meilán #Valentín_Afonso #route_Atlantique #Océan_atlantique #Teodoro_Bondjale

  • #Seroprevalence of #SARS-CoV-2 antibodies in people with an acute loss in their sense of smell and/or taste in a community-based population in London, UK: An observational cohort study
    https://journals.plos.org/plosmedicine/article?id=10.1371/journal.pmed.1003358

    A total of 77.6% of 567 participants with acute smell and/or taste loss had SARS-CoV-2 antibodies; of these, 39.8% (n = 175) had neither cough nor fever.

    #agueusie #anosmie

  • #Turkmenistan, dal 2012 l’Italia ha venduto armamenti per 257 milioni di euro

    Dal 2012 in avanti l’Italia ha contribuito alla corsa agli armamenti del Turkmenistan nonostante il Paese sia considerato da organizzazioni internazionali come Human Rights Watch una dittatura al pari di Corea del Nord ed Eritrea sul piano della libertà di stampa. Secondo la posizione dell’Unione europea sull’export di armamenti, paesi noti per reprimere le libertà individuali non dovrebbero ottenere licenze per le armi europee. Ma il business, da sette anni, fa comodo a entrambe le parti: secondo i report ufficiali dell’Ue, tra il 2010 e il 2017 il Turkmenistan ha comprato da Paesi Ue armi per 340 milioni di euro. Il 76% di queste (257 milioni) provengono dall’Italia.

    Dal punto di vista italiano, il commercio è stato un primo passo per allacciare relazioni politico-commerciali con un Paese ricchissimo di gas. L’Italia ha stretto accordi con l’Azerbaijan per la realizzazione del Corridoio meridionale del gas, di cui il Tap è l’ultimo tratto. Anche il Turkmenistan potrebbe diventare, attraverso il gasdotto transcaspico tra Baku e Turkmenbashi in costruzione, uno dei Paesi esportatori di gas. Dal punto di vista turkmeno, le armi sono servite a tenere il passo dell’escalation militare, cominciata proprio nel 2012. È stato l’inizio di una tensione sotterranea nella regione, dove sette anni dopo, all’inizio 2019, c’è stata la prima esercitazione militare congiunta Russia-Iran, le due indiscusse superpotenze della zona.

    Chi, in Turkmenistan, ha a disposizione le armi italiane? In che occasioni, fino ad oggi, sono state utilizzate? Italian Arms, gruppo di ricercatori e giornalisti, è riuscito tramite fonti aperte a tracciarle durante parate ed esercitazioni. Italian Arms è un’iniziativa dell’agenzia di giornalismo olandese Lighthouse Reports insieme giornalisti e ricercatori dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia (Opal), di Report (Rai Tre), del centro italiano di giornalismo investigativo IRPI e di Bellingcat, consorzio di giornalisti d’inchiesta che pubblica il report completo con tutte le armi scoperte da Italian Arms. La ricerca parte dai documenti ufficiali, ossia le esportazioni autorizzate dal ministero dello Sviluppo economico, la relazione al Parlamento sull’export delle armi e i documenti delle dogane dove si rintracciano le vendite effettive di armi. Una mole di documenti spesso difficile da leggere o incompleta.

    Le licenze mancanti per gli elicotteri #Agusta_AW_109

    Agosto 2017. I militari del Turkmenistan stanno svolgendo un’esercitazione militare al confine con l’Iran. Tra i Paesi c’è tensione: si contendono dei pozzi petroliferi sul Caspio. In un montaggio del video della tv di Stato, si vedono almeno tre elicotteri con mimetizazzione militare che sparano. Gli stessi si vedono sorvolare piazza dell’Indipendenza, ad Ashgabat, la capitale, durante la parata dell’ottobre 2016. Gli stessi sono stati trovati da Italian Arms anche due anni dopo. Gli elicotteri sono prodotti dall’italiana AgustaWestland, oggi gruppo Leonardo. Di loro non c’è traccia sulle autorizzazioni alle esportazioni militari dal 2003 al 2016. Possibile, visto che il mezzo è definito multiuso e spesso esportato non per usi militari, come ad esempio il pattugliamento con le forze di polizia. I dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), think tank che traccia le esportazioni di tecnologia militare, rintracciano la vendita di almeno tre (di un quarto non c’è una conferma al 100%) di questi velivoli dall’Italia. Evidentemente non sono destinati a un uso civile. Tre di loro, in un video messo online dall’opposizione al governo di Gurbanguly Berdimuhamedow, sparano.

    Non sono gli unici elicotteri made in Italy a disposizione delle forze armate turkmene. Nel 2011 il nostro ministero degli Esteri ha concesso una licenza ad AgustaWestland (oggi incorporata in Leonardo) per l’esportazione di cinque elicotteri AW-139 a uso militare verso il Turkmenistan. La transazione commerciale si può confermare incrociando i dati dei ministeri degli Esteri, dell’Economia e quelli dell’Agenzia delle dogane, i quali confermano inoltre l’avvenuto pagamento e l’esportazione dei velivoli per un totale di 64 milioni di euro. Nei documenti governativi non vi è traccia neanche di altri due velivoli made in Italy. Si tratta del caccia da addestramento militare M-346 e dell’aereo da trasporto tattico C-27 Spartan, entrambi di produzione Leonardo. Da siti web dedicati all’industria bellica risulta che il presidente turkmeno Berdimuhamedow abbia ispezionato entrambi i velivoli lo scorso 3 maggio. Da un’attenta analisi delle immagini fotografiche e video possiamo affermare che il luogo dell’ispezione era la base militare di Aktepe.

    Le navi del Caspio

    Ad agosto del 2018, i Paesi affacciati sul Mar Caspio (Turkmenistan, Iran, Kazakhstan, Azerbaijan), su spinta di Mosca hanno introdotto un nuovo accordo. Nessun Paese al di fuori di quelli rivieraschi sarà autorizzato a mettere una base militare nel Caspio. Una situazione che mette in condizione di vantaggio Russia e Iran, le due superpotenze indiscusse della regione. “La Nato avrebbe voluto avere un avamposto, in Azerbaigian ma soprattutto in Kazakhstan, nazione che vanta un rapporto privilegiato con la Ue attraverso l’Enhanced Partneship and Cooperation Agreement”, spiega Fabio Indeo, analista per l’Asia centrale al NATO Defense College Foundation. È l’epilogo di una lunga partita geopolitica cominciata – guarda caso – proprio nel 2012. All’epoca, per la prima volta nella sua storia, il governo turkmeno ha condotto sul Caspio un’esercitazione militare. “La marina del Turkmenistan simula la guerra nel Caspio ricco di gas”, titolava la Reuters a marzo 2012. Turkmenbashi è una città turkmena sulle rive del Caspio. Qui ha sede il principale porto militare turkmeno. Italian Arms ha tracciato qui, a bordo di otto pattugliatori classe Tuzla, cannoni 40L70 prodotti dalla Oto Melara, altra azienda oggi inglobata nel gruppo Leonardo. Anche qui, come nel caso degli elicotteri della AgustaWestland, i documenti delle nostre istituzioni non sono completi. Risulta infatti che il ministero degli Esteri abbia concesso nel 2011 la licenza per la vendita di due cannoni 40L70 al Turkmenistan, per un valore complessivo di 6,9 milioni di euro.
    Un esercito fantoccio

    “Il Turkmenistan è un Paese di cui si conosce pochissimo. Il multipartitismo è una conquista recente e solo di facciata, in quanto i due partiti formalmente “di opposizione” appaiono in realtà filo-governativi”. Il ricercatore del Ndcf Fabio Indeo insiste sull’impenetrabilità del Turkmenistan. Il Paese è ben inserito nelle trattative geopolitiche – in particolare per il gas – ma fuori dai radar di società civile e gruppi di attivisti internazionali. Le notizie che arrivano sono frammentarie e incomplete. Quello che molti analisti dicono, però, è che l’esercito turkmeno “è assolutamente inadeguato a gestire qualunque potenziale situazione di rischio, in particolare al confine con l’Afghanistan”, sottolinea Indeo. Le armi di fabbricazione europea – sofisticate e all’avanguardia – servono allo scopo da un lato di impressionare l’opinione pubblica all’interno e dall’altro come potenziale deterrente per altri Paesi del Caspio dall’attaccare avamposti turkmeni”, sostiene Indeo. Di che armi dispone l’esercito fantoccio? Ci sono – tra le altre – 300 fucili d’assalto ARX 160 e 120 pistole PX4 Storm. Le produce Beretta, che con questa commessa ha incassato 3,8 milioni di euro. Si vedono dispiegate nelle grandi parate trasmesse dalla tv di Stato.
    Armi e trasparenza

    Il modo in cui sono costruiti i documenti governativi non aiuta a capire di che armamenti si tratti. Come visto in precedenza, in alcuni casi sono persino incompleti. Quando Italian Arms ha chiesto chiarimenti all’ufficio del ministero dello Sviluppo economico che si occupa delle licenze per l’export di armamenti per 15 milioni di euro, non chiari, la risposta ottenuta è che in occasione di una richiesta sulle licenze autorizzate da questa Autorità nazionale-UAMA, non forniamo questo genere di informazioni”. Battaglie su regole più chiare nell’export delle armi e stop alla vendita ai Paesi chiaramente in guerra è stata una delle battaglie di vecchi parlamentari a Cinque Stelle, come il sardo Roberto Cotti, proveniente dal mondo dei pacifisti. A settembre 2018 l’argomento ha creato le prime tensioni nella maggioranza giallo-verde, nonostante il “Blocco della vendita di armi ai Paesi in conflitto” sia uno dei punti del Contratto di governo.


    https://irpi.eu/turkmenistan-dal-2012-italia-ha-venduto-armamenti-per-257-milioni-euro
    #Turkménistan #Italie #armes #commerce_d'armes #armement

    ping @reka

  • Venezuela – Maduro : El pago de los #aguinaldos será reconvertido en #petro
    http://www.el-nacional.com/noticias/economia/maduro-pago-los-aguinaldos-sera-reconvertido-petro_254386

    Les «  étrennes  » (aguinaldos, mot vénézuélien typique) soit, j’imagine les primes de fin d’année des fonctionnaires seront payées en #cryptomonnaie souveraine.

    Nicolás Maduro, presidente de Venezuela, dijo este jueves, durante un acto de la gran misión vivienda Venezuela, que el pago de los aguinaldos serán reconvertidos en la criptomoneda gubernamental petro.

    «En octubre y noviembre vamos a pagar esos aguinaldos reconvertidos y fijados en petro. Vamos a terminar, por lo menos hasta el mes de noviembre, de pagar semanalmente la nómina de los trabajadores públicos para que les rinda mucho más», indicó Maduro en cadena nacional.

    El mandatario aseguró que el nuevo signo monetario le permitirá hacer las «correcciones» pertinentes en salarios y costos de manera «inmediata».

  • Notes anthropologiques (X)

    Georges Lapierre

    https://lavoiedujaguar.net/Notes-anthropologiques-X

    La Danse des Aigles (suite et fin)

    Tout en haut du mât se trouve juché le musicien. Il accompagne le vol des « aigles » du son lancinant de sa flûte. À Tamaletom, la flûte était faite d’un roseau maigrelet, qui permettait de tirer des sons aigres et aigus ; elle était décorée en son milieu d’une plume d’un rouge vif, que le souffle du musicien agitait. Autrefois le musicien et le maître de danse se succédaient en haut du mât, le musicien dansait tout en jouant d’un petit tambour et de la flûte, puis prenait place parmi les danseurs (comme quatrième danseur), ensuite le maître du rituel dansait à son tour, faisait des offrandes aux quatre points cardinaux, puis imitait le vol d’un rapace. Les deux fonctions, celle de musicien et celle de chef des danseurs, sont séparées, mais parfois elles peuvent être confondues. Souvent le musicien est aussi le chef des danseurs, comme aujourd’hui dans la capitale, et il joue assis sur le bloc giratoire. À Tamaletom, elles étaient séparées et le musicien était resté au pied du mât. Le chef des danseurs ou encore le maître du rituel, était appelé le k’ohal. À Xilatzen, dans l’hacienda Tancolol, il était appelé « dame aigle » ou « mère aigle », nous dit Guy Stresser-Péan. (...)

    #Mexique #anthropologie #danse #rituel #aguardiente #nahual #sacrifice #guerre #Aztèques #Guy_Stresser-Péan

    • http://www.futura-sciences.com/planete/actualites/terre-petit-age-glaciaire-puissant-volcan-cause-ete-identifie-49346

      Source of the great A.D. 1257 mystery eruption unveiled, Samalas volcano, Rinjani Volcanic Complex, Indonesia
      http://www.pnas.org/content/110/42/16742.abstract
      PNAS October 15, 2013

      Polar ice core records attest to a colossal volcanic eruption that took place ca. A.D. 1257 or 1258, most probably in the tropics. Estimates based on sulfate deposition in these records suggest that it yielded the largest volcanic sulfur release to the stratosphere of the past 7,000 y. Tree rings, medieval chronicles, and computational models corroborate the expected worldwide atmospheric and climatic effects of this eruption. However, until now there has been no convincing candidate for the mid-13th century “mystery eruption.” Drawing upon compelling evidence from stratigraphic and geomorphic data, physical volcanology, radiocarbon dating, tephra geochemistry, and chronicles, we argue the source of this long-sought eruption is the Samalas volcano, adjacent to Mount Rinjani on Lombok Island, Indonesia. At least 40 km3 (dense-rock equivalent) of tephra were deposited and the eruption column reached an altitude of up to 43 km. Three principal pumice fallout deposits mantle the region and thick pyroclastic flow deposits are found at the coast, 25 km from source. With an estimated magnitude of 7, this event ranks among the largest Holocene explosive eruptions. Radiocarbon dates on charcoal are consistent with a mid-13th century eruption. In addition, glass geochemistry of the associated pumice deposits matches that of shards found in both Arctic and Antarctic ice cores, providing compelling evidence to link the prominent A.D. 1258/1259 ice core sulfate spike to Samalas. We further constrain the timing of the mystery eruption based on tephra dispersal and historical records, suggesting it occurred between May and October A.D. 1257.

    • à 100km de là, vers l’ouest le #volcan Agung vient d’entrer en irruption

      Bali Volcano Eruptions Disrupt International Flights | Time
      http://time.com/5037202/bali-volcano-mount-agung-eruptions/http%3A%2F%2Ftime.com%2F5037202%2Fbali-volcano-mount-agung-eruptions%2F
      https://timedotcom.files.wordpress.com/2017/11/indonesia-bali-volcano.jpg?quality=85

      Authorities warned anyone still in the exclusion zone around the volcano, which extends 7.5 kilometers (4.5 miles) from the crater in places, to leave.

      #Agung also had a minor eruption on Tuesday but authorities have not raised its alert status from the second highest, which would widen the exclusion area and prompt a large evacuation of people.

      About 25,000 people have been unable to return to their homes since September, when Agung showed signs of activity for the first time in more than half a century.

      The volcano’s last major eruption in 1963 killed about 1,100 people.

  • Agustin Edwards: A Declassified Obituary
    http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB587-Agustin-Edwards-left-legacy-of-collaboration-with-CIA-in-Ch

    Declassified CIA, White House Documents Reveal Collaboration between Chilean Media Mogul and Highest Level of Nixon Administration
    Kissinger Set up Secret Meetings for Edwards with Nixon and CIA Director Richard Helms
    Documents Record Edwards Covert Coup Plotting to Overthrow Allende in Chile

    Operation Condor Targeted Amnesty International for Assassination
    http://nsarchive.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB572-Declassified-files-show-Operation-Condor-targets-for-assass

    Repression in Argentina : Obama Administration Declassifies Top Secret Intelligence Files
    New Documents Shed Light on OPERATION CONDOR, planned missions in Europe

  • #Christine_Lagarde rempile pour cinq ans au #FMI : affligeant
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/220216/christine-lagarde-rempile-pour-cinq-ans-au-fmi-affligeant

    Christine Lagarde rempile pour cinq ans à la tête du FMI. Ni son premier mandat ni surtout la qualification judiciaire de son rôle dans l’affaire Tapie (« incurie ») ne justifient cette reconduction.

    #Economie #Affaire_Tapie #Agustin_Carstens #Banque_mondiale #Crise #DSK #Michel_Camdessus #Olivier_Blanchard #taux_de_changes #troïka

  • Dunkerque : dans les Arena du pouvoir

    http://labrique.net/index.php/thematiques/hors-canard/759-dunkerque-dans-les-arena-du-pouvoir

    « Entre 2009 et 2014, Michel Delebarre, maire PS de Dunkerque et président de la Communauté Urbaine, rêvait d’une grande salle multi-sport Arena à la hauteur de son ego. Au final, ce projet aura précipité sa chute aux élections municipales de mars 2014 en faveur de Patrice Vergriete (divers gauche). Si ce dernier a fait campagne en dénonçant les pratiques non-démocratiques du maire bâtisseur, son vernis de politique de concertation publique commence à s’écailler : c’est dans l’entre-soi cher aux élus que vient de se décider la construction d’une autre version de l’Arena. Retour sur ce projet qui ne cesse de cristalliser les rancœurs contre un système politique local à bout de souffle. »

    #dunkerque #arena #democratie #sport_spectacle

  • Dunkerque, dans les Arena du pouvoir - La Brique Lille, 22 Janvier 2016
    Entre 2009 et 2014, Michel Delebarre, maire PS de Dunkerque et président de la Communauté Urbaine, rêvait d’une grande salle multi-sport Arena à la hauteur de son ego. Au final, ce projet aura précipité sa chute aux élections municipales de mars 2014 en faveur de Patrice Vergriete (divers gauche). Si ce dernier a fait campagne en dénonçant les pratiques non-démocratiques du maire bâtisseur, son vernis de politique de concertation publique commence à s’écailler : c’est dans l’entre-soi cher aux élus que vient de se décider la construction d’une autre version de l’Arena. Retour sur ce projet qui ne cesse de cristalliser les rancœurs contre un système politique local à bout de souffle.


    Les arguments ne manquaient pas pour s’opposer au projet de la salle Arena qui pointe son nez à l’été 2009 : projet sur-dimensionné (10.700 places pour un territoire de 200.000 habitant.es), contrat décrié (Partenariat Public-Privé et donc perte de la maîtrise publique) entre les mains d’un géant du BTP (Vinci), coût faramineux (260 millions d’euros), lieu d’implantation à proximité d’une usine pharmaceutique classée SEVESO, et construction d’un centre commercial « Grand Nord » attenant à la salle, qui fragiliserait des commerces de proximité déjà affaiblis par la présence massive de grandes surfaces sur l’agglomération. Et pourtant le projet a été voté les yeux fermés par la majorité des élu.es de la Communauté Urbaine de Dunkerque (CUD). Il aura fallu attendre que des habitant.es, environnementalistes et syndicalistes s’emparent du sujet pour que le débat sorte du conseil communautaire et enflamme la vie politique dunkerquoise à un an des élections municipales. La Brique a passé au scalpel ce Grand Projet Inutile qui assomme aujourd’hui les Dunkerquois.es d’une dette de 30 millions d’euros.
     
    Unanimité forcée
    http://labrique.net/index.php/thematiques/hors-canard/759-dunkerque-dans-les-arena-du-pouvoir

    Aux grands maux... les grands remèdes
    . . . . . .
    Versatile Vergriete
    . . . . . .
    Une enquête publique pour la forme
    . . . . . .
    Game of Thrones
    . . . . . .
    La sanction de la Cour des Comptes
    . . . . . .
    Autisme ou syndrome d’hubris ?
    . . . . . . 

    #Arena #PS #Communauté_Urbaine #Patrice_Vergriete #entre-soi #système_politique_local #Partenariat_Public_Privé #PPP #Vinci #AGUR #USDK #Soginorpa #Lagardère_Unlimited #oligarchie #politique_locale #mégalomanie #démesure #Xavier_Bertrand #Saint-Pol-sur-Mer #béton #Lille #La_Brique_Lille #Grand_Projet_Inutile #dunkerque #democratie #sport_spectacle

  • Notre manie d’espérer est une malédiction (Chris Hedges) | Le Partage
    http://partage-le.com/2015/05/notre-manie-desperer-est-une-malediction-chris-hedges

    La croyance naïve selon laquelle l’histoire est linéaire, et le progrès technique toujours accompagné d’un progrès moral, est une forme d’aveuglement collectif. Cette croyance compromet notre capacité d’action radicale et nous berce d’une illusion de sécurité. Ceux qui s’accrochent au mythe du progrès humain, qui pensent que le monde se dirige inévitablement vers un état moral et matériel supérieurs, sont captifs du pouvoir. Seuls ceux qui acceptent la possibilité tout à fait réelle d’une dystopie, de la montée impitoyable d’un totalitarisme institutionnel, renforcé par le plus terrifiant des dispositifs de sécurité et de surveillance de l’histoire de l’humanité, sont susceptibles d’effectuer les sacrifices nécessaires à la révolte.

    • http://seenthis.net/messages/374243
      http://seenthis.net/messages/374260

      en gros : « cessez d’espérer bande de débiles aliénés, désespérez donc, qu’on puisse vous vendre une autre espérance qui permettra de vous utiliser, on a besoin de sacrifices »
      dites moi quelle différence il y a entre ça et les manipulations religieuses qui ont cours en ce moment un peu partout, créant elles aussi leur lot de « sacrifiés héroïques » à leur « révolte de la juste cause », comme par hasard recrutés dans les classes sociales les plus pauvres eux aussi.

    • « Seuls ceux qui acceptent la possibilité tout à fait réelle d’une dystopie, de la montée impitoyable d’un totalitarisme institutionnel, renforcé par le plus terrifiant des dispositifs de sécurité et de surveillance de l’histoire de l’humanité, sont susceptibles d’effectuer les sacrifices nécessaires à la révolte. »

      Si ce n’est pas de l’espoir, et du pas très joli, je ne sais pas ce que c’est ! #Faukon #yaka

      Ne rien espérer, c’est une chose, mais pour ce qui est de vendre du sacrifice, la concurrence est toujours rude.

      Et puis... même si le reste du texte aborde des questions un petit peu plus intéressantes, il est amusant de voir l’auteur citer #Walter_Benjamin à l’appuis de son propos, quand on pourrait aussi bien remarquer le rôle déterminant qu’a joué le désespoir dans les dernières années de la vie et la mort de Benjamin.

      Universitaires pour universitaires, je préfère de loin l’approche de #Agustin_Garcia_Calvo, qui insistait un peu plus subtilement sur le fait que « le futur est une idée réactionnaire » (dans le bref mais stimulant « #Contre_la_paix_contre_la_démocratie »), ou la lecture qu’un #Jean_François_Billeter fait de la philosophie quelque peu plus ancienne de #Tchouang-Tseu, qui non content de sembler autrement à l’aise avec la question des différents régimes ou formes de la conscience de soi, envoyait paître, en sus, (ou plus précisément, parfois, consacrer le reste de leur vie à nourrir des porcs) les trop zélés amateurs de sagesse.

  • #PMO
    #Alexis_Escudero
    #La_Reproduction_Artificielle_De_L_humain
    #Féminisme_Radical
    #Critique_Anti_Industrielle
    #Procréation
    #Genre
    #Honte_Prométhéenne
    #PMA
    #Pièces_Et_main_D_Oeuvre
    #Mythe_de_la_Nature
    #Cahiers_du_Genre
    #Agustin_Garcia_Calvo
    #Gunther_Anders
    #Theodor_Kaczinski
    #Edn
    #Ilana_Löwy
    #La_nef_des_fous

    Les balourdises masculinistes d’Alexis Escudero
    http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=495
    et le mépris suffisant affiché par Pièces et Main d’Oeuvre ("PMO") envers ce qui relève de la critique féministe des rapports de domination de genre ont pu en étonner et en troubler plus d’un-e ces derniers mois.
    La reproduction était naturelle, les couples homosexuels sont stériles, et la critique du genre s’inscrit pleinement et seulement dans une stratégie d’artificialisation et de conquète du vivant - et j’en passe et des héneaurmes.
    Le fait est que la critique anti-industrielle s’appuie certes sur un corpus théorique et une histoire jusqu’à ce jour plus qu’indifférente, sinon pire, aux questions des inégalités sociales de genre ou de sexe. Et, pour ne citer que ceux-là, je lis certes moi aussi avec intérêt des auteurs comme Jacques Ellul ou Georges Bernanos, ("La France contre les Robots", contrairement à ce que son titre laisse croire, n’a pas été conçu par Marcel Gotlib et Edward P. Jacob en recourant aux Nouvelles Technologies de la Reproduction : c’est un recueil de textes de Bernanos des plus stimulant) : mais quand je les lis, je n’oublie pas d’où ils parlent, et quel banal hétérosexisme masculin impensé mais pleinement assumé traverse jusqu’au meilleur de leur écrits. Quant aux auteurs pro ou post-situs plus proches de nous, dans la veine de l’EdN, ils sont à même enseigne : la plupart du temps ils ne font pas mention des questions féministes (et peu d’autres inégalités, comme les inégalités de race) ; et quand ils daignent le faire, dans le meilleur des cas, à ma connaissance, c’est toujours pour les subordonner à l’universalité supposée de leur propre grille de lecture.
    Mais quelques aspects théoriques de la critique anti-industrielle me semblent plus particulièrement de nature à conforter cet aveuglement masculiniste.
    Il me semble que l’incapacité des anti-industriels à connaître la critique féministe du genre (puisque c’est de cela qu’il s’agit, in fine) trouve, à l’appui de ce banal aveuglement congénital, un appui théorique certes bien bancal, mais très ,opportun dans une idée développée il y a plus d’un demi siècle par Gunther Anders ( reprise dans « L’obsolescence de l’homme, réédité par l’EdN il y a une dizaine d’années) : celle de « honte prométhéenne » - le fait que, confronté à la perfection des machines, les humains auraient honte d’être nés, plutôt que d’être fabriqués. Une honte, pour faire très court, de la « nature » et de la biologie. Mon propos ici n’est pas de disputer cette idée, qui me paraît fondée, mais la façon dont elle me semble ressurgir hors de propos lorsque PMO écrit :
    « L’auteur, Alexis Escudero, participe depuis plusieurs années au mouvement de critique des technologies. Peut-être est-il de la dernière génération d’enfants nés, et non pas produits. »
    Le fait est que le questionnement du caractère de production sociale du genre et donc du sexe comme du caractère socialisé, socialement organisé de la reproduction, devient assurément incompréhensible lorsqu’on ne sait l’envisager que sous la forme du confusionnisme libéral-réactionnaire dont on nous rebat les oreille. Et cette incompréhension se voit redoublée lorsque ce questionnement est vu au travers du prisme de la « honte prométhéenne » : du point de vue de PMO, la seule attitude égalitariste concevable vis-à-vis d’une différence sexuelle forcément naturelle se réduit à un seul inepte égalitarisme technolâtre, et mène nécessairement plus ou moins vite au cauchemar transhumaniste.
    Ce prisme déformant et réducteur me semble pouvoir expliquer en partie l’aplomb déroutant avec lequel PMO et Escudero se disent libertaires tout en brandissent fièrement des contresens sur le genre qui ne dépareraient pas entre deux pancartes de la Manif pour tous. Leur confusion est des plus grossières, mais je les soupçonne de ne jamais être trop allé se plonger dans les riches disputes entre féministes radicales pour y prendre la mesure de l’histoire de la prise de conscience d’un système de rapports de domination de genre où eux se trouvent privilégiés, de sa critique, et des implications de la position où chacun-e s’y trouve situé, quant à sa propre conscience « spontanée » de ces rapports. Ce d’autant plus que le monde politico-médiatique nous sert à profusion, sous le label « féminisme », l’ornière intellectuelle de considérations naturalistes/essentialistes, et les tentatives, de fait nécessairement technolâtres, qui en découlent d’en finir avec la malédiction d’une féminité infériorisante, une fois celle ci pensée comme fondée en nature.
    Je pense que le propos des Escudero et PMO sont cohérents avec les présupposés plus ou moins profondément essentialistes qui sous tendent les propos des Agacinski ou Badinter, comme avec une grande partie au moins du très spectacliste mouvement queer, lesquelles ont plus facilement les faveurs des média que les féministes radicales qui argumentent contre le naturalisme. Mais il me semble avéré que, du point de vue d’une partie de la critique féministe radicale, matérialiste, ces propos sont au mieux purement et simplement ineptes. Il serait donc pour le moins appréciable que, sur les questions du genre, des sexes, et de la reproduction, les anti-industriels s’avèrent capables de cibler leur critique : c’est à dire qu’ils aient pris la peine de connaître un peu plus ce dont ils prétendent juger.

    Mais ça n’est pas le cas : le fait est que c’est très vraisemblablement du seul fait de la position masculine hétérosexiste qui est la leur, dont la critique leur paraît superflue, qu’ils peuvent se permettre de prendre à leur convenance cette partie tout de même très particulière du féminisme pour le tout. Le fait est aussi que cette curieuse facilité intellectuelle ne les empêche pas de dormir, et que quiconque ose le leur faire remarquer se heurte de leur part à un déni massif, accompagné des accusations de libéralisme et de progressisme technolâtres de rigueur.
    Et, par exemple, sur les nouvelles techniques reproductives, ils se fichent comme d’une guigne des réflexions critiques publiées dans des revues comme Les cahiers du genre, pour n’en citer qu’une… (par exemple : http://www.cairn.info/revue-cahiers-du-genre-2003-1.htm ) Il me semble que l’on gagnerait pourtant beaucoup en intelligence de la situation dans laquelle nous nous trouvons si nous parvenions à articuler entre elles les critiques féministes du genre et les critiques anti-industrielles ! (et quelques autres…)
    Hélas, chez PMO, on sait déjà que le féminisme est irrémédiablement un progressisme technolâtre, et on s’exprime donc en conséquence.

    Mais, d’une manière plus large (qui excède ses rapports avec la critique féministe), il y a dans la forme de la critique anti-industrielle une forme d’arrogance méprisante qui me paraît liée à sa trop grande proximité avec un prophétisme catastrophique : il y a quinze ans déjà, il me semblait par exemple que la lutte contre les OGM gagnait à être formulée en fonction de ce qu’ils constituaient et disaient déjà du présent où ils étaient envisagés, conçus, produits, et non en fonction de l’avenir plus sombre qui résulterait de leur développement. Il me semblait qu’il ne fallait pas tomber dans l’erreur d’en parler en recourant à la peur d’un inconnu à venir, mais au contraire en insistant sur le fait qu’une critique et une lutte trouvaient amplement à se fonder dans le refus de ce que nous connaissions déjà trop bien : et, par exemple, de ce que nous connaissions déjà à propos du recours à des solutions scientistes ou technolâtres aux problèmes politiques, ou de ce qu’impliquait, et d’où provenait, le choix politique de poser en termes scientifiques et techniques les questions sociales.
    Comme le disait il y a 20 ans je crois Agustin Garcia Calvo (dans « Contre la paix, contre la démocratie » : http://www.theyliewedie.org/ressources/biblio/fr/Agustin_Garcia_Calvo_-_Contre_la_paix,_contre_la_democratie.html ), « le futur est une idée réactionnaire, » au nom de laquelle nous sommes toujours invités à renoncer au présent : et cela, y compris chez les amateurs de « critique radicale » .

    Un texte comme « La nef des fous » de Théodore Kaczinski paru en 2001 (https://infokiosques.net/imprimersans2.php?id_article=435 ) m’avait de ce point de vue semblé de très mauvais augure (même si j’étais loin alors de comprendre ce que recouvrait la notion de genre et de m’être intéressé avec conséquence à la critique féministe… il me faudra pour cela plusieurs années de lecture, de discussions et de réflexions) : l’auteur y met benoîtement en scène d’un point de vue des plus surplombant et universaliste, la nécessité selon lui de faire passer toutes les luttes particulières contre des inégalités qu’il se trouve ne pas avoir connu, au sein desquelles il se trouve privilégié, après la question qui selon lui les dépasse toutes : la catastrophe à venir (le bateau continue d’aller vers le nord au milieu des iceberg toujours plus nombreux, et il est voué à continuer ainsi jusqu’à l’inévitable collision). Il y a d’un côté « ce qui ne va vraiment pas » : ce que lui a identifié, en dehors de toute considération sur les inégalités sociales – et de l’autre les « petits problèmes mesquins » qu’il n’a pas à subir, pour lesquels il ne profère donc pas de « réclamations dérisoires Le mensonge résidant ici dans le fait que la lutte contre les inégalité de genre, race, classe etc. qui règnent à bord serait, d’après Kaczinski, irrémédiablement incompatible avec un infléchissement de sa trajectoire, ou un arrêt des machines, qu’il y ferait obstacle : stupidement, les infériorisé-e-s qu’il met en scène se fichent sur la margoulette, chacun-e égoïstement, très libéralement focalisé-e sur ses seuls griefs individuels, chacun-e très libéralement identifié-e aussi au caractère particulier qu’ellil se trouve incarner – tandis que, par la voix du mousse, l’universel, c’est à dire l’homme blanc hétérosexiste, lui, sait déjà ce qu’il convient de faire pour les sauver tous - mais du seul naufrage, qui arrivera plus tard. Après seulement – une fois tous rendus à sa raison, une fois que toutes et tous auront admis que leurs luttes étaient mesquines et dérisoires, gageons que le temps sera venu d’en perdre pour le mesquin et le dérisoire. Ou pas.
    Pour un milieu qui se prétend volontiers libertaire, le milieu anti-industriel qui a diffusé alors largement et sans critiquer le cœur de ce texte a eu un peu vite fait de se torcher avec la pensée de Bakounine, sur le fait que la liberté - et donc la fin de l’infériorisation - était une exigence, un besoin immédiat, qui ne saurait se différer : et donc que l’existence de systèmes de rapports de domination étaient pour celleux qui y étaient infériorisé-e-s une cause suffisante de révolte. A lire kaczinski, au nom de la collision à venir du navire de la fable contre l’iceberg, de la catastrophe industrielle qui résoudra définitivement tous les différents, il convient au mieux de renoncer à lutter contre les inégalités présentes, de les mettre de côté en attendant, plus tard, une fois la révo – pardon, une fois la catastrophe évitée, de voir ce qu’on pourrait y faire. En attendant, les dominé-e-s seraient bienvenus de cesser de jouer les égoïstes, vu que ça ne fait que les mener à contribuer au progrès, et de se mettre à penser un peu à l’intérêt supérieur de tout le monde, _c’est-à-dire, de fait, au seul intérêt que les dominants connaissent. Je me rappelle avoir entendu, en d’autre temps, des staliniens seriner un air semblable aux libertaires sur l’Etat, sans parler de tous les révolutionnaires, qui expliquent encore aux féministes que pour l’égalité entre hommes et femmes, il faut d’abord faire la révolution.
    Je tiens pour ma part pour l’exact contraire : et qu’il y aurait beaucoup à creuser, sur le rôle que les inégalités sociales comme le genre, lorsqu’on se refuse à chercher à les connaître et les penser avec conséquences, ou dans la mesure ou les dominants y sont prêts à tout ou presque pour empêcher qu’il y soit mis fin, sont amenées à jouer, comme moteur toujours renouvelé pour une quête permanente de solutions techniciennes et scientistes aux maux qu’elles génèrent.
    Mais pour cela, il faut que ceux, majoritairement hommes, blancs, hétérosexistes, et j’en passe et d’autres privilèges, qui produisent, promeuvent et diffusent la critique anti-industrielle admettent qu’ils sont quand même pleinement partie prenante au sein de rapports de domination qui structurent de part en part cette même société, que leur critique n’est pas indemne des positions relativement privilégiée qu’ils y occupent : et que les critiques des rapports de domination existant, formulées par celleux qui les subissent, font partie de la critique de cette société au même titre que la critique anti-industrielle.
    Qu’en conséquence de quoi, avant de prétendre disputer très virilement de « la reproduction artificielle de l’humain », ou de la « nature de la filiation » (http://www.piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=427 ) , la première des choses à faire pour le mouvement anti-industriel est de cesser d’envisager la critique du genre avec une honnêteté intellectuelle jusqu’ici proche de celle de la manif pour tous.

    • @Aude V

      merci de ton encouragement.

      J’ai relu ce matin à tête reposée le début du 4ème chapitre, si joliment intitulé Les crimes de l’égalité (il fallait oser), de ce qui m’apparaît désormais beaucoup plus clairement de la part d’Alexis Escudero et de PMO comme une entreprise délibérée et très intéressée de falsification d’une partie au moins de la critique féministe radicale, de la critique féministe matérialiste.

      (A vrai dire, le début de travail de remise sur pied du propos de l’auteur occasionné par la rencontre et la confrontation avec votre approche critique de son oeuvre me la rendue du coup beaucoup plus lisible, et a conforté ce premier ressenti à son endroit qui me l’avait rendu inabordable : lorsqu’on cesse de chercher à réagir à des « maladresses d’alliés » face à ce qui est en fait une agression commise par quelqu’un qui traite une pensée que vous partagez et respectez avec hostilité et malhonnêteté, qui vous traite en ennemi, lorsque l’on se décide de nommer l’hostilité, lorsqu’on attend plus de son auteur autre chose que de l’hostilité, ses désarmantes « maladresses » deviennent de très éloquentes agressions, des attaques auxquelles il devient enfin possible de répondre...)

      Je n’y avais pas prêté attention à la première lecture, mais au début de ce chapitre, lorsqu’il se hasarde à préciser ce qu’il entend par égalité, Escudero cite bien Christine Delphy, et à propos du genre qui précède le sexe. On ne peut donc lui reprocher d’ignorer l’existence de cette critique. Seulement, il la cite en la falsifiant, en prétendant y lire le contraire de ce qu’elle dit, et se fait ensuite un devoir de la corriger à sa façon, et à son avantage. Une telle pratique n’est pas maladroite, mais malhonnête, et un tel texte constitue bien une forme d’agression anti-féministe caractérisée.

      Je prépare un billet plus complet à ce propos, parce que la prose d’Escudero est véritablement déroutante et demande d’être décortiquée, et parce que cette falsification me semble particulièrement significative, non seulement parce qu’elle porte sur un désaccord fondamental sur les questions de nature et d’égalité, mais encore pour ce qu’elle manifeste des « intersections » entre les oppressions - tant que des hommes ne reconnaissent pas la validité de la critique féministe du système de domination de genre, ils continuent de défendre leurs privilèges comme ce système le leur a appris. il me semble qu’il faudrait défendre face au discours arrogant et si masculin de PMO/Escudero qu’aucune « critique radicale » à prétention universelle ne peut être formulée à partir d’une seule et unique position infériorisée, aliénée ou dominée particulière (à croire que l’histoire du discours ouvriériste sur la mission historique du prolétariat et de la catastrophe stalinienne ne leur sont d’aucune utilité !). Et qu’au contraire, toute critique qui se veut radicale se doit de prendre la peine d’examiner en quoi la position depuis laquelle elle est formulée la conditionne, et la rend elle-même critiquable ; que les auteur-e-s de n’importe quelle critique qui se veulent radical-e-s n’ont d’autre choix que de questionner les quelques privilèges qui peuvent être les leurs, que de prendre au sérieux les critiques formulées à l’encontre de cette position, et des privilèges qui la caractérisent.

    • Attention toutefois que le fait de questionner nos propres privilèges (être précaire mais homme, être femme mais blanche, être racisé⋅e mais de classe moyenne, etc) ne fasse pas oublier nos propres points de vue et donc nos propres critiques de départ.

      Que par exemple, je dois prendre en compte le point de vue féministe (que je ne peux pas avoir moi), mais je n’oublie pas ma critique anti-industrielle de départ, et j’essaye de transiger le moins possible dessus (quand bien même on doit accepter de « céder du terrain » comme m’a dit @aude_v l’autre jour, afin d’aboutir à une voie qui convienne à plus de monde que tel ou tel groupe radical). Cela vaut aussi pour les autres groupes bien sûr. :)

    • @Aude V

      je n’ai pas eu l’occasion de lire les explications d’Escudero dans La Décroissance, mais je veux bien admettre qu’il ait pu y revenir sur ses propos, ou entendre quelques critiques : ça n’est pas la matière qui manque. Il aura eu l’embarras du choix !
      Mais il me semble que pour l’essentiel, le mal est fait : son livre est publié, et PMO continue de lui faire la même promotion résolument orientée, reprise telle quelle par plusieurs sites anti-indus ou de critique « radicale ». Aucun des référencements que j’ai pu en lire sur le net ne fait mention du moindre trouble vis-à-vis de son contenu comme de sa présentation - si ce n’est ceux de rares blogueuses féministes comme toi.

      Il me semble qu’une vraie remise en question de sa part appellerait pour le moins un désaveu cinglant (que je n’ai lu nulle part à ce jour) des présentations de PMO (Pour ma part, à chaque fois qu’il m’est arrivé de publier quelque chose - j’ai eu quelques brochures et revues photocopiées à mon actif, sans parler de textes mis en circulation sur le net - je me suis efforcé autant que je le pouvais de ne laisser personne dire n’importe quoi dessus, et se permettre d’en faire sur mon dos une présentation fallacieuse, même dithyrambique. Il me semble que c’est là la moindre des choses lorsqu’on prend le risque de dire quelque chose publiquement, et de le faire par écrit.).
      Et surtout, et plus encore, de conséquents amendements à son texte - à même de le rendre méconnaissable.

      Je ne dis pas que ce serait facile, je m’efforce seulement de tirer le minimum de conséquences qu’un tel mea culpa impliquerait. (Et si les critiques qu’il reçoit de vive voix devaient l’y inciter, tant mieux : mais je ne suis pas optimiste).

      A la lecture, Escudero ne me paraît hélas guère trahi ou falsifié par les viriles rodomontades des chapeaux de PMO.
      Il ne manquait pas d’occasions d’écrire tout autre chose que ce qu’il a écrit, de donner par exemple de la place aux rapports de domination de genre, et à la manière dont ils se manifestent et s’inscrivent dans la technolâtrie dominante, à la manière dont le libéralisme, la technolâtrie, le patriarcat et le racisme se renforcent, s’appuient les uns sur les autres pour se perpétrer : il est tellement plus facile pour un homme anti-industriel de tomber, en accord avec le reste du patriarcat, sur le râble des inconséquentes féministes et des inconscient-e-s LGBT que de s’interroger sur sa propre position dans les rapports de domination de genre... - mais cette attitude de par sa facilité me paraît garantir à la critique anti-indus’ de piétiner au mieux dans une impasse, ou de se retrouver très vite égarée en très mauvaise compagnie ; qui plus est, nécessiter un très handicapant renoncement à critiquer l’idée religieuse de Nature.

      Je trouve que sa critique de la reproduction, sous une étourdissante profusion de références et de citations de ce que la technolâtrie produit de pire, manque de fait singulièrement de fond conceptuel. Cette abondance de documentation peine à dissimuler ce qui me paraît être une confusion certaine : il n’était pas nécessaire d’aller chercher autant de références pour produire un résultat aussi calamiteux.

      Pour ce que je suis arrivé à m’infliger (ce fameux chapitre 4, pour l’essentiel), à chaque fois qu’Escudero y a le choix entre citer une auteure peu crédible, un homme encore moins sur pareil sujet, ou plutôt, de se plonger dans les critiques élaborées par quelques auteures féministes radicales, il commet la même malencontreuse bourde - et présente les propos de l’une ou l’autre des deux premiers comme la substance des thèses des troisièmes. Une fois ou deux, à la rigueur... Effectivement, les maladresses existent, mais dans pareil texte au ton pamphlétaire, ça ne fait pas sérieux, au mieux cela décrédibilise la charge de l’auteur.
      Et chez lui, c’est quasi systématique !

      Mon projet de billet avance bien.

    • Le problème c’est que parfois c’est le cas… et parfois pas. :(
      Donc pas forcément aussi simple que ça de dire « tous les oppresseurs dans le même camps ».

      On sait très bien qu’il y a aussi de nombreux cas où le libéralisme se sert de l’anti-patriarcat pour avancer sur la marchandisation du monde, ou ceux où le patriarcat se sert de l’anti-libéralisme (parfois très justifié) de certaines catégories sociales pour revenir sur des avancées des droits des femmes, etc.

      Pas toujours facile de formuler des opinions complexes quand on veut reste concis et de pas développer toutes les exceptions et cas possibles.

    • @Rastapopoulos
      @Aude

      Ok, il est risqué de vouloir synthétiser quelque chose d’aussi complexe que la façon dont les rapports de domination et les aliénations diverses et avariées, et les critiques et luttes se croisent, se mêlent et tutti quanti.

      Plus précisément, @Rastapopoulos, mon propos n’était pas de prétendre que "tous les oppresseurs sont dans le même camp" (je crois que vous l’aviez très bien saisi - et en même temps que vous avez probablement raison, cela va sans doute mieux en le disant), mais plutôt de faire remarquer que face aux critiques et aux luttes les plus vigoureuses, radicales et estimables, l’oppression a une fichue tendance à réussir à retomber sur ses pattes [astérisque] (quitte à devoir en sacrifier une), et à prendre de court pas mal de gen-te-s, voire à faire d’elleux ses agent-e-s en trouvant à se rééquilibrer autrement à son avantage - du point de vue des êtres humains et de la vie en général, peu importe que l’oppression doive s’appuyer plus sur le patriarcat, le racisme, le nationalisme, le marché, la démocratie ou la fuite en avant technicienne ou autre chose.

      [astérisque] [Oups. Me voilà à nouveau pris en flagrant délit de synthèse à l’emporte-pièce et de personnalisation métaphorique pas forcément des plus parlantes pour tout le monde... (à me relire, je me demande si l’oppression n’aurait pas des pattes velues) ]

      Je pense par exemple à la manière dont, à la faveur d’une "libération sexuelle" obtenue dans un contexte patriarcal et marchand, il me semble que l’on peut dire que l’hédonisme pornographique et la communication ont très bien su prendre le relais de l’église et de la famille, pour ce qui est de continuer, en dépit du recul de celles-ci, à maintenir intact - quoique sur des bases en apparence radicalement opposées -, l’essentiel de la hiérarchie de genre.
      Ah oui, les images ont changé et défrisent certes désormais les plus vieux ou archaïques des patriarches, mais l’ordre reste le même : et les hommes en bénéficient toujours.

      Je pense aussi à la façon dont les techniques de PMA et les prétentions à artificialiser le vivant me semblent constituer pleinement une réponse de la part de l’ordre social patriarcal/libéral/technicien/colonial... (liste non exhaustive !) à une part au moins de la critique du genre : à la critique de la conception genrée de la procréation
      Cette conception qui prétend relier naturellement (et donc définitivement) sexe, couple, procréation et filiation, fonder en nature sur cette base la place plus ou moins étroite socialement réservée aux uns et aux unes, cette conception qui de fait ne patauge jamais aussi sûrement dans le social et la production humaine que quand elle brandit la Nature
      Pour rentrer un peu dans le sujet, je renvoie à la lecture d’articles sur l’histoire de la PMA et de la fabrication du naturel, comme ceux d’Ilana Löwy par exemple, qui me semblent exposer combien les hiérarchies de genre se perpétuent avec le progrès technique :
      « Nouvelles techniques reproductives, nouvelle production du genre » http://www.cairn.info/revue-cahiers-du-genre-2014-1-page-5.htm

      « La fabrication du naturel : l’assistance médicale à la procréation dans une perspective comparée »
      http://www.cairn.info/revue-tumultes-2006-1-page-35.htm
      Il faut que l’aveuglement masculiniste de PMO/Escudero soit considérable pour que pareils titres et pareils sujets ne les aient jamais intéressés - « L’invention du naturel » est d’ailleurs le titre d’un livre paru en 2000, sous la direction de Delphine Gardey et Ilana Löwy, qui propose de très stimulantes réflexions sur « les sciences et la fabrication du féminin et du masculin » : mais il est vrai que pour les hommes de Pièces et Main d’Oeuvre qui produisent une critique exclusivement anti-industrielle, le féminin et le masculin ne sauraient être fabriqués ni produits, puisqu’ils sont évidemment, c’est le bon sens même, naturels… A consulter leurs notes de bas de page, à une critique féministe radicale de la procréation et de la manière dont se fabrique le sexe à partir du genre, ou la notion de Nature... ils préfèrent de loin accorder toute leur attention à ce qu’écrivent de plus ou moins virils technolâtres, et de plus ou moins technolâtres auteurs masculins - comme Testard ou Habermas, - ou à des femmes au propos, sinon essentialiste et confusionniste au point de celui d’une Peggy Sastre, pour le moins très éloigné de la critique féministe radicale. ).

      Il me paraît pourtant assez peu crédible de prétendre chercher à formuler une pensée critique radicale sur les enjeux que recouvre aujourd’hui la question de la procréation sans donner aux considérations féministes sur le genre (ainsi qu’à quelques autres) une place conséquente : en aucun cas on ne saurait les tenir pour négligeables devant, par exemple, les seuls et uniques méfaits stérilisants de l’artificialisation technicienne.
      C’est bien pour cela qu’il me semble important de mener une critique des positions rigides et étroites telles que celles des PMO/Escudero : tout en se prétendant radicalement émancipatrices avec de grands effets de manches, elles sont déjà, de par leur caractère lourdement monolithique et résolument hostile à tout point de vue qui ne se puisse inféoder au leur, pleinement au service du maintien d’oppressions dont leurs auteurs, en tant qu’hommes, se trouvent justement être les bénéficiaires.

      A quel moment passe-ton d’allié gentil mais vachement maladroit et ignorant mais allié quand même, même si c’est rudement pénible de devoir supporter autant de maladresse et d’ignorance crasse - à ennemi déclaré, même s’il s’entête à prétendre le contraire, ou à prétendre qu’en fait c’est pas lui : lui veut être notre allié, et nous explique comment nous devons faire, à quelle critique radicale nous devons renoncer pour qu’il puisse l’être, parce que pour l’instant, au contraire, c’est nous, l’ennemi ?
      C’est pour moi une question qui ne se pose plus à leur sujet.

      En ce début de XXIème siècle, la promotion d’une PMA des plus technolâtre, libérale et toujours genrée, (bien que tôt ou tard vraisemblablement ouverte aux couples de même sexe), me semble tout de même déjà constituer, pour le système de rapports de domination de genre et sa hiérarchie, une réponse rudement plus efficace et prometteuse aux menaces que représente pour lui la critique et la lutte féministe une réponse qui doit être pensée comme telle si l’on entend s’en prendre avec un minimum de conséquence au genre comme à la technolâtrie. (cela demande aussi de se montrer capable de comprendre pourquoi se contenter d’être vachement et virilement "plus-radical-que-moi-Le-Meur" sur un seul sujet et donc se faire un devoir de traiter en chienne enragée toute critique qui ne soit pas au moins aussi étroitement focalisée sur ce même sujet revient alors, du point de vue des dominé-e-s, à faire pire que n’avoir rien critiqué - et a mettre au service de l’ordre existant les armes critiques que l’on a forgé, à son bénéfice, contre les autres critiques et luttes qui pourraient l’affaiblir ou menacer sa perpétuation)
      Une réponse assurément plus efficace et prometteuse que celle, par exemple, très spectaculaire, du ridicule barnum folklorique de la manif pour tous, qui a le gros défaut, face à la critique des rapports de genre, de s’exprimer sur le sujet non pas comme on l’aurait fait effectivement il y a un ou deux ou huit ou dix siècles, mais de façon caricaturale, comme ses animateurs s’imaginent niaisement aujourd’hui, depuis leur conception actuelle de ce passé, qu’on devait nécessairement le faire toujours et partout avant le recul de l’église. (et sur ce tout dernier point, je renvoie par exemple les curieux qui ne l’auraient jamais lue aux écrits d’une historienne féministe comme Michèle Perrot – mais c’est loin d’être la seule)

    • Je pense par exemple à la manière dont, à la faveur d’une « libération sexuelle » obtenue dans un contexte patriarcal et marchand, il me semble que l’on peut dire que l’hédonisme pornographique et la communication ont très bien su prendre le relais de l’église et de la famille, pour ce qui est de continuer, en dépit du recul de celles-ci, à maintenir intact - quoique sur des bases en apparence radicalement opposées -, l’essentiel de la hiérarchie de genre.

      Oui je pensais, entre autre, à ce genre de choses.

      A quel moment passe-ton d’allié gentil mais vachement maladroit et ignorant mais allié quand même, même si c’est rudement pénible de devoir supporter autant de maladresse et d’ignorance crasse - à ennemi déclaré, même s’il s’entête à prétendre le contraire, ou à prétendre qu’en fait c’est pas lui : lui veut être notre allié, et nous explique comment nous devons faire, à quelle critique radicale nous devons renoncer pour qu’il puisse l’être, parce que pour l’instant, au contraire, c’est nous, l’ennemi ?
      C’est pour moi une question qui ne se pose plus à leur sujet.

      Tout dépend de qui on parle… et si on connaît personnellement les gens en face à face, IRL comme on dit sur le net… et depuis combien de temps on les connaît, etc.

      Ce n’est pas toujours qu’une question purement théorique. L’amitié ne se joue pas que sur les idées politiques, même si c’est un des points qui entre en ligne de compte.

      Et sinon une citation de la première revue :

      Les nouvelles techniques reproductives, utilisées au niveau local et international, auraient donc à leur tour des impacts de genre, mais aussi en fonction de la classe ou de l’origine, particulièrement complexes : elles protègent les femmes et les couples des stigmates de l’infertilité, créent de nouvelles parentalités indépendantes de l’hétéroparentalité normative tout en reconduisant des inégalités préexistantes et comportant d’importants risques d’exploitation.

    • @Aude

      Tant mieux si l’auteur entreprend sous la pression de la critique de revoir quelques unes de ses positions.

      Mais son livre n’en demeure pas moins non seulement une critique ratée, parce qu’outrageusement partielle et aveugle sur ses propres manques, de la reproduction médicalement assistée (ce qui en soit, serait dommage, mais sans conséquences trop néfastes), et surtout une attaque confusionniste réussie contre la critique radicale, et pas seulement féministe (ce qui est nettement plus gênant).

      Entre le naturalisme confus des arguments et l’étroite masculinité du point de vue, mon écoeurement balance.

      Pour ce qui est de la pensée de Delphy, et du répugnant procédé auquel il a eu recours pour la dénigrer, l’auteur a une importante remise en question à faire.
      Faire le choix de falsifier une pensée (dont le propos est assurément incompatible avec celui de « La reproduction artificielle de l’humain » : mais pour des raisons dont Escudero, dans le cadre de son pamphlet, ne peut que nier l’existence - ne serait ce que ce que sa critique du genre implique quant au naturalisme), ponctuer la calomnie par l’insulte en l’associant à un vieux machin aussi répulsif que Mao c’est là une démonstration d’hostilité qu’il lui faut assumer.
      Le pamphlet et son style casseur d’assiette (La démolition jubilatoire, qui peut se teinter de mauvaise foi, dans ce registre, est le traitement habituellement réservé aux ennemis) n’excusent pas tout.
      Pour le coup, cela dépasse la seule question du rapport à la critique féministe.

      Si une dénonciation de la manière dont la politique politicienne a posé le débat en termes de pour ou contre les droits des homosexuels était parfaitement justifiée, je pense qu’il est plus urgent de défendre la critique féministe radicale et la critique du naturalisme comme possible fondement d’une critique radicale de la société technicienne et de sa technolâtrie, que de se précipiter dans une spectacliste critique de la PMA.

    • @Aude V

      Je te prie de m’en excuser, j’avais manqué ta réponse, ainsi que ton edit. Je ne les découvre qu’à l’instant.

      Il y a quelque chose que je peine à saisir dans ta position vis à vis d’Escudero et de son bouquin. Je ne parviens pas à savoir de quoi il retourne.

      Je crois que pour Escudero, j’en suis encore à prendre conscience de la position dans laquelle il se trouve. Pour que j’aille à sa rencontre en sachant vers quoi j’irais, il faudrait que j’ai d’abord fini d’estimer la distance qui nous sépare.

      Je crois que je juge de loin plus important de défendre les critiques qu’il a falsifié ou ignoré que le contenu d’une enquête dont la complaisante prétention à la radicale originalité tient tout de même beaucoup trop, à mon avis, à tout ce que son auteur falsifie, ignore ou passe sous silence : plus encore qu’à ce qu’il prétend révéler.

      Peut-être que quelque chose m’échappe ?
      Et peut-être bien que je jargonne, en effet ?

      Je n’en sais rien.

      Je n’ai pas écouté l’émission en question.

      Mais c’est de t’avoir lue que je dois d’être parvenu à enfin recommencer à écrire à propos de la critique anti-industrielle.

  • La Suisse veut moderniser le droit d’auteur
    http://www.actualitte.com/international/la-suisse-veut-moderniser-le-droit-d-auteur-50625.htm

    "Le projet s’appuiera sur les recommandations du groupe de travail « Droit d’auteur » (AGUR12), ainsi que sur les conclusions d’un groupe de travail examinant actuellement la responsabilité civile des fournisseurs Internet. Cette révision entend améliorer la situation des artistes sans pour autant affaiblir la position des consommateurs. Ainsi, certaines prérogatives comme le téléchargement d’œuvres protégées à des fins privées resteront légal. Le projet souhaite également mettre l’accent sur la responsabilité des fournisseurs : selon les recommandations de l’AGUR12, les fournisseurs internet devront prendre des mesures afin de supprimer de leurs plateformes les contenus enfreignant le droit d’auteur, et empêcher leur réintroduction. Dans des cas de violations graves, ils pourraient être forcés de (...)

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