• Centri migranti Albania, sindacati della penitenziaria contro il governo : in Italia caos carceri ma si inviano agenti nei “campi di prigionia”

    I centri italiani per migranti costruiti in Albania e voluti dal governo di Giorgia Meloni continuano a far discutere. Nelle ultime ore, in particolare, a causa dell’uso di agenti italiani della penitenziaria pronti a essere dispiegati a vario titolo nelle strutture di Shengjin e Gjader. Alcuni sindacati hanno infatti protestato contro le scelte dell’esecutivo con un comunicato ufficiale, sottolineando come al momento, visto il caos totale all’interno delle carceri italiane, dovrebbe essere altre le priorità in merito all’utilizzo di risorse.
    Centri migranti Albania, sindacati della penitenziaria contro il governo

    A diffondere un comunicato sono stati la Federazione sindacale del Coordinamento sindacale penitenziario insieme alla Confederazione autonoma italiana polizia penitenziaria. Due sindacati che si dicono basiti “dalla notizia del provvedimento con cui l’Esecutivo avrebbe deciso l’invio in Albania, per un accordo internazionale tra i leader dei due Paesi di circa cinquanta unità del Corpo della polizia penitenziaria dei diversi ruoli e qualifiche con trattamento di missione Internazionale e con regole di ingaggio del tutto discutibili e non condivise con le organizzazioni sindacali”. Cinquanta agenti che quindi andranno a lavorare sull’altra sponda dell’Adriatico.

    Il problema, però, è che mentre il governo continua a porre attenzione e risorse sul piano Albania, la situazione nelle carceri italiane è sempre più emergenziale. Un aspetto rimarcato dai sindacati che criticano la missione “quando in Italia si registra una popolazione detenuta di oltre 62mila persone ristrette contro una capienza di 44mila posti letto e un organico di polizia al di sotto di 20mila unità, con 10.700 agenti feriti e diverse rivolte, tentativi di sommosse, autolesionismi a centinaia, suicidi 67 detenuti e 7 poliziotti“. La priorità per le organizzazioni di penitenziaria dovrebbe essere il quadro interno, non i centri in Albania in una “struttura che ricorda inquietantemente un campo di prigionia. E ora si parla addirittura di inviare i baschi verdi a presidiare questo complesso”.

    L’accordo Italia Albania sui centri per migranti

    I due centri sono stati previsti e costruiti dopo l’accordo tra il governo italiano di Meloni e quello albanese di Edi Rama firmato il 6 novembre del 2023. Le strutture sono gestite e controllate dall’Italia nel territorio albanese e serviranno – almeno sulla carta – per l’esame delle domande di asilo dei richiedenti asilo. I migranti che vi saranno trasferiti saranno quelli salvati in mare da navi miliari italiane. I due centri, quello nel porto di Shengjin e quello di Gjader, avranno in teoria due ruoli diversi: il primo dedicato alle procedure di sbarco e identificazione, mentre il secondo al trattamento delle domande e alla contemporanea accoglienza. Secondo quanto stabilito da Roma e Tirana, i migranti trasferiti in Albania potranno essere al massimo 3000 al mese, per un totale di 36mila all’anno. Il tutto per un costo enorme, potenzialmente pari a 635 milioni in cinque anni. Ad aggiungersi alla bilancia dei costi rispetto ai vantaggi, c’è anche il fatto che della cifra totale, come si vede in un rapporto di Openpolis, più di un terzo – cioè quasi 252 milioni – è prevista per le trasferte dei funzionari italiani. Una voce di spesa che sarebbe stata ben diversa in caso di costruzione dei centri in Italia.
    Molteni: protocollo con Albania utile e moderno, un modello per la gestione dei flussi

    Chi continua a lodare il piano Albania è Nicola Molteni. In un’intervista a La Stampa, il sottosegretario all’Interno della Lega ha parlato di quanto sia importante l’accordo con Tirana per Roma: “Credo che il protocollo con l’Albania sia utile, necessario e moderno. Un’iniziativa che sui territori extra Ue sarà il futuro. È un accordo di deterrenza per le partenze e di alleggerimento delle nostre strutture approvato da 15 Paesi europei. La struttura in Albania sarà il modello per la gestione dei flussi migratori”.

    https://www.ilriformista.it/centri-migranti-albania-sindacati-penitenziaria-contro-governo-italia-c
    #Albanie #Italie #externalisation #syndicats #migrations #réfugiés #asile #polizia_penitenziaria

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • ’Migrant centers in Albania like prison camps’ say Italian unions

      Italian prison officers’ unions have protested the deployment of 50 correctional officers to Albania to guard new migrant holding facilities, stating that they are being “sent on a mission with rules that were not shared.”

      On August 31, two organizations representing Italy’s penitentiary police — the Italian Autonomous Confederation of Penitentiary Police and the Officers’ Union Coordination — released a statement expressing that their members were “stunned by the report of a measure” in which the government decided to send around 50 penitentiary police units of various roles and qualifications to Albania. This deployment is part of an international mission under an agreement between the leaders of Italy and Albania, involving controversial rules of engagement that have not been discussed with the unions.

      Italian Prime Minister Giorgia Meloni and her Albanian counterpart Edi Rama have signed an agreement to build two migrant hosting facilities in Albania for the detention of migrants who attempt to reach Italy by sea while their asylum claims are examined.

      The centers, which are slated to open this month, are to be paid for by the Italian cabinet.

      Difficulties experienced by penitentiary police in Italy

      The mission occurs “when Italy is registering a population of over 62,000 detainees against a capacity of 44,000 beds and a police corps lacking 20,000 officers, with 10,700 wounded officers and many riots, protest attempts, hundreds of episodes of self-harm and the suicides of 67 detainees and seven police officers,” the statement said.

      The two unions added that “what appears to be taking shape in Albania is a facility that disturbingly reminds us of prison camps.”

      “And now there is talk of sending the green berets”, members of an anti-terror finance police unit, “to patrol this complex,” they noted.

      The agreement between Italy and Albania

      The agreement between Rome and Tirana, signed on November 6 last year, is based on an old cooperation treaty between the two countries and provides for the construction of two repatriation centers for migrants — managed and controlled by Italy on Albanian territory — for the speedy process of asylum requests.

      Part of the migrants rescued at sea by Italian Navy vessels will be transferred to Albania, a non-EU country considered as safe by Italy.

      https://www.infomigrants.net/en/post/59571/migrant-centers-in-albania-like-prison-camps-say-italian-unions

  • Giorgia Meloni, Marine Le Pen : sur l’immigration, deux discours, deux stratégies
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/09/03/giorgia-meloni-marine-le-pen-sur-l-immigration-deux-discours-deux-strategies

    Giorgia Meloni, Marine Le Pen : sur l’immigration, deux discours, deux stratégies
    Lorsque Marine Le Pen et Giorgia Meloni emploient le mot « immigration », elles ne parlent pas de la même chose. On aurait tort de prendre les deux dirigeantes d’extrême droite pour les interprètes d’un même discours. Pour la présidente du conseil italien, l’immigration est un phénomène de géographie humaine externe qui doit être contrôlé, sa régulation offrant des opportunités en matière de politique étrangère.
    En revanche, quand le terme est employé par les chefs de file du Rassemblement national [RN], il évoque tout autre chose. On ne parle plus d’un phénomène quantifiable. On convoque plutôt, au moyen de non-dits, un imaginaire anxieux faisant référence moins à des flux réels qu’à des tensions et à des malaises identitaires intérieurs, produits de la longue histoire coloniale et migratoire qui a façonné la société française contemporaine.
    Il est donc question d’autre chose. Dans ce discours confus mais efficace, la notion d’immigration sert de liant à un ensemble d’angoisses nationales, identifiant le terrorisme islamiste, les révoltes des banlieues, les fraudes sociales, la criminalité et, depuis le 7 octobre 2023, l’antisémitisme, à la figure d’un migrant imaginaire. Le discours du RN vise en réalité les citoyens appartenant aux minorités, en particulier ceux de confession musulmane.En Italie, dans le discours de Giorgia Meloni, ce sous-texte est inexistant. Le thème de l’immigration ne sert pas à camoufler un discours sur une réalité intérieure qu’elle laisse à ses alliés de la Ligue et aux franges les plus droitières du spectre politique. Il désigne un phénomène extérieur.
    Dans les discours de la présidente du conseil, le migrant est une victime « désespérée » dont le « droit à ne pas émigrer » a été bafoué du fait de carences de développement économique imputables aux politiques jugées prédatrices de puissances extérieures. C’est alors la France qui est visée. Il est surtout victime de « trafiquants d’êtres humains » à combattre en puisant dans le savoir-faire italien de la lutte antimafia. Dès lors, la politique migratoire de Rome est devenue un vecteur d’action diplomatique. Depuis le début de son mandat, Giorgia Meloni a posé les jalons d’un discours prônant une coopération renouvelée avec les Etats africains. Ayant organisé un sommet Italie-Afrique à Rome en janvier, elle met en avant un récit selon lequel l’Italie serait porteuse d’une approche « d’égal à égal », socle d’une coopération en matière migratoire avec les Etats de départ et de transit.
    Cette politique s’est traduite par des accords avec l’Egypte, la Libye et la Tunisie conditionnant des aides financières à un contrôle plus efficace des flux, au prix de violations des droits humains au sud de la Méditerranée. De fait, le nombre d’arrivées irrégulières par la mer a considérablement baissé avec 41 181 personnes enregistrées fin août pour l’année 2024 contre 113 877 personnes à la même période en 2023.
    La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, a été partie prenante de cet effort italien et Mme Meloni a pour l’instant abandonné le discours selon lequel l’Union européenne [UE] était complice d’une immigration illégale bouleversant les équilibres communautaires. La présidente du conseil a préféré présenter à ses électeurs l’Italie comme une force motrice en matière migratoire, se félicitant que Bruxelles se soit réapproprié son raisonnement. Mme Meloni a d’ailleurs soutenu le Pacte européen sur la migration et l’asile adopté en mai, farouchement combattu par le Rassemblement national.
    La poursuite de cette dynamique dépendra de l’évolution des relations entre Rome et Bruxelles. Soucieuse de ne pas abandonner trop d’espace à droite à son allié Matteo Salvini de la Ligue, Giorgia Meloni s’est en effet abstenue au Conseil européen lors de l’élection pour un deuxième mandat d’Ursula von der Leyen. Le parti de la cheffe de l’exécutif italien, Fratelli d’Italia, a annoncé avoir voté au Parlement contre sa reconduction à la tête de la Commission.
    Au-delà de l’UE, la diplomatie migratoire de Giorgia Meloni s’est également traduite par un accord inédit avec l’Albanie censé aboutir à l’ouverture de centres de rétention pour demandeurs d’asile. Ces structures de droit italien qui seront installées en territoire albanais ont été présentées comme propres à dissuader les candidats à l’exil. La présidente du conseil veut voir dans ce projet bilatéral une preuve de l’influence retrouvée de l’Italie sur la scène internationale.
    Elle a trouvé en son homologue à Tirana, Edi Rama, un italophone avec lequel elle entretient des relations d’une cordialité démonstrative. Ce dernier est en effet toujours prêt à flatter l’orgueil italien en rappelant avec reconnaissance l’accueil dont ont bénéficié les migrants albanais venus s’installer en Italie dans les années 1990. Le gouvernement de Mme Meloni a aussi fait preuve de pragmatisme en confirmant l’ouverture de l’Italie à la migration régulière dans un contexte de pénurie de main-d’œuvre et de déclin démographique prononcé. En 2023, un décret organisant l’entrée dans le pays de 452 000 travailleurs étrangers d’ici à la fin de 2025 a ainsi été adopté.Cet été, la question de l’accès à la nationalité a été rouverte. Le vice-président du conseil, Antonio Tajani, chef de file de Forza Italia (centre droit), partenaire de Mme Meloni au sein de la coalition au pouvoir, s’est en effet prononcé en faveur d’un assouplissement des règles de naturalisation pour les enfants d’immigrés scolarisés en Italie. Sa proposition, rejetée par de la Ligue et par Fratelli d’Italia, faisait suite aux succès d’athlètes italiens qui, aux Jeux olympiques de Paris, ont donné à voir une nouvelle fois à l’Italie, pays d’émigration devenu terre d’immigration, sa diversité déjà bien installée.

    #Covid-19#migration#migrant#italie#albanie#egypte#afrique#tunisie#libye#UE#politiquemigratoire#economie#demographie#sante#migrationreguliere

  • « In Albania tutti trattenuti. Così si violano le norme Ue »

    Per i giudici di Palermo la detenzione è legittima solo come extrema ratio, da valutare caso per caso. «Ma a #Shengjin e #Gjader si presuppone che la reclusione sarà generalizzata: verrebbe a mancare la logica graduale prevista dalle direttive europee», afferma l’esperta di diritto dell’Unione #Daniela_Vitiello

    «Nei centri in Albania viene a mancare la logica graduale della direttiva Ue che prevede il trattenimento dei richiedenti asilo solo come extrema ratio», afferma Daniela Vitiello. Ricercatrice di diritto dell’Unione europea presso l’università degli studi della Tuscia e responsabile di un’unità di ricerca del centro di eccellenza Jean Monnet sull’integrazione dei migranti in Europa, con il manifesto commenta le recenti decisioni del tribunale di Palermo sulla detenzione dei richiedenti asilo a Porto Empedocle. Confermata in un caso, non convalidata negli altri cinque.

    Queste decisioni dicono qualcosa anche sul progetto dei centri in Albania?
    Le decisioni di non convalida dei trattenimenti, ma anche la prima di convalida, vanno nella direzione indicata dalle Sezioni unite della Cassazione nell’ordinanza di rinvio alla Corte di giustizia, dopo i ricorsi contro gli analoghi provvedimenti dello scorso autunno del tribunale di Catania. La Cassazione dà un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina italiana sulla garanzia finanziaria, evidenziando che la garanzia costituisce una causa generale di esclusione del trattenimento e non una «misura alternativa» ai fini della verifica dei presupposti per l’ingresso e il soggiorno, secondo quanto previsto dalla «direttiva accoglienza» dell’Ue. In pratica il diritto Ue prevede che il trattenimento sia in ogni caso l’extrema ratio, oggetto di una valutazione caso per caso, nel rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. Lo Stato membro ha comunque l’obbligo di prevedere misure meno afflittive. Per questo il giudice di Palermo sottolinea la natura facoltativa del trattenimento e che le misure qualificate come «alternative» nel diritto italiano (consegna del passaporto e prestazione della cauzione) sono in realtà di natura diversa. Ciò è rilevante rispetto ai centri in Albania perché il protocollo del 6 novembre 2023 individua solo un’area per l’arrivo dei migranti (Shengjin) e un’area per il loro trattenimento durante la verifica dei requisiti e per il rimpatrio (Gjader); per cui si presuppone che il trattenimento generalizzato debba essere la regola in queste procedure extraterritoriali. Senza alternative. Verrebbe così a mancare la logica graduale della detenzione amministrativa prevista come ultima ratio.

    È l’unico problema?
    No. Per giungere nei centri ci sarà un trasferimento forzato a bordo di navi militari italiane, che costituiscono territorio della Repubblica. Soccorsi, se così vogliamo definirli, di questo tipo non possono essere qualificati come operazioni di ricerca e soccorso (Sar) perché ciò implicherebbe lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety). È difficile credere che strutture di trattenimento in cui le persone sono soggette a un regime di isolamento e privazione della libertà di movimento (se non addirittura della libertà personale) possano essere qualificate come tali. Questo tipo di regime detentivo generalizzato potrebbe porsi in contrasto con il diritto alla libertà e alla sicurezza dei migranti, ponendo problemi rispetto al diritto costituzionale, dell’Ue e alla Convezione europea dei diritti dell’uomo.

    Altre criticità sono state sollevate in merito al diritto di difesa.
    Sì, perché il contatto con i legali rischia di essere vanificato, soprattutto a causa della extraterritorialità dei centri. Probabilmente sarà offerto ai migranti un elenco di avvocati per il gratuito patrocinio, ma non è detto che questi abbiano competenze specifiche in materia migratoria e d’asilo. Inoltre, è verosimile che le comunicazioni con gli assistiti avvengano attraverso posta elettronica: l’intermediario sarebbe un responsabile della pubblica amministrazione, cioè la controparte, con una sostanziale compressione del diritto di difesa e la possibile conseguenza di convalide a catena e conseguenti espulsioni collettive.

    A giugno 2026 entra in vigore il Patto Ue su immigrazione e asilo. Cosa cambia per il trattenimento dei richiedenti asilo?
    L’approccio hotspot, già attivo in Italia da anni per una prima identificazione e incanalamento nelle procedure corrette, si accompagna al trattenimento generalizzato ai fini dello screening, che dura tra le 24 e le 48 ore per rispettare l’articolo 13 della Costituzione. Il nuovo Patto istituzionalizza l’approccio hotspot e collega ancor più strettamente la fase dell’accertamento (screening) con le successive procedure di asilo e rimpatrio alla frontiera, rendendo il trattenimento la regola e ponendo una serie di interrogativi di sostenibilità amministrativa e legittimità giuridica, sia rispetto al diritto interno, che europeo e internazionale.

    https://ilmanifesto.it/in-albania-tutti-trattenuti-cosi-si-violano-le-norme-ue
    #Albanie #détention #Italie #accord #rétention #extrema_ratio #nécessité #proportionnalité #rétention_généralisée #externalisation #droit #screening #approche_hotspot

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  • What is the Italy-Albania deal on migration ?

    An agreement between Italy and Albania will see some migrants who are rescued at sea transferred to centers outside the EU’s borders for their asylum claims to be processed. InfoMigrants takes a look at what is in the deal.

    Since the leaders of Italy and Albania signed the deal last year agreeing to cooperate on the processing of asylum claims, most of the news reports have been about the costs and delays in the project. But what is actually in the agreement, or Protocol, as it is called, between the Italian and Albanian republics?

    Essentially, this deal provides for some (but not all) migrants who are rescued at sea by Italian ships to be taken directly to Albania, where their asylum claims will be processed.

    Italian Prime Minister Giorgia Meloni has said this will reduce the number of undocumented migrants coming to Italy, and has the potential to become “part of the solution” for the EU.

    Two centers have been constructed in Albania for asylum seekers to be processed and detained prior to deportation or sent on to Italy. As of August 2024, they were yet to open.

    Some EU member states and the European Commission, as well as the UK prime minister Keir Starmer, have welcomed the agreement. But the deal has many critics: the UN refugee agency, for one, has raised concerns about its impact on human rights, while the opposition in Italy has called the centers “Italy’s Guantanamo.”
    The context

    Albania is not a member of the European Union or the Schengen Area. It applied for EU membership in 2009 and is in accession negotiations, so it is in the country’s interests to show support and cooperation for the policies of the bloc.

    Italy’s government came to power on the back of promises to cut irregular migration, and the deal with Albania is one of several measures aimed at achieving that. Others include enhanced cooperation with Libya and Tunisia to boost border control and prevent migrant departures.

    The prime ministers of the two countries announced that the agreement had been signed on November 6, 2023 and would run for five years, to be automatically extended. It was agreed that centers would be built in the Albanian towns of Shengjin, about 75 kilometers south of the Albanian capital Tirana, and Gjader. They will be able to accommodate jointly up to 3,000 people at a time.

    The facilities, though on Albanian soil, will be staffed by Italian personnel and will operate under Italian jurisdiction. External security will be provided by Albanian staff.

    The cost of the scheme has been reported to be 670 million euros over five years, paid for by the Italian government.

    Who will be sent to the Albanian centers?

    The agreement will apply to a limited number of asylum seekers, amounting to a small proportion of the total number of people arriving in Italy.

    Importantly, it only concerns people who are rescued at sea and taken onboard vessels of Italian authorities outside the territorial waters of Italy or other EU member states.

    It is also restricted to those migrants who come from countries deemed ’safe’ by Italy. As of May 7, 2024 there were 22 such countries: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia and Herzegovina, Cameroon, Cape Verde, Colombia, Gambia, Georgia, Ghana, Egypt, Ivory Coast, Kosovo, Nigeria, North Macedonia, Montenegro, Morocco, Peru, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Tunisia.

    While the agreement itself does not mention them specifically, Italian authorities have said the deal does not apply to vulnerable people, such as pregnant women and minors.

    However, concerns have been raised about the process of screening migrants onboard rescue ships, and whether rescuers will be able to identify those who are vulnerable to ensure that they are not sent to Albania.
    How will it work?

    Migrants who fit the above criteria will be sent directly to Albania after they are picked up at sea. Once there, they will be able to apply for asylum in Italy.

    The Italian government has said the aim is to examine claims under accelerated or ’fast-track’ border procedures within 28 days. The current general procedure in Italy takes months.

    All those whose applications for protection are accepted will be brought to Italy.

    Since the migrants will be from countries that are deemed safe, it is expected that the majority of applications will be refused.

    Rejected applicants will be detained before being returned to their countries. However, as many governments refuse to take back their citizens, it is possible that migrants will remain in detention for extended periods.

    What will happen inside the centers?

    Migrants who are taken to the two centers in Albania will be formally identified and fingerprinted.

    The fast-track asylum procedures will be applied to those from ’safe’ countries and to those who have eluded border controls or attempted to do so. Those due for detention and expulsion will be sent to the Gjader center.

    Critics, such as Human Rights Watch’s Judith Sunderland, have pointed out that even in countries that are considered safe, people can still face human rights violations. Sunderland is concerned that fair asylum procedures cannot be guaranteed under the deal.

    The UN refugee agency UNHCR announced in August 2024 that it would monitor the first three months of the agreement “to help safeguard the rights and dignity of those subject to it.”

    What does Italy want out of the deal?

    Italy has said it will relieve overcrowding in its reception centers. Prime Minister Meloni also says the centers will act as an “extraordinary deterrence” for people thinking of coming to Italy.

    Arrivals in Italy this year have already dropped, however, compared with last year. There is also disagreement about whether deterrent policies have the intended effect.

    What will Albania get out of the deal?

    The agreement is seen as a step towards securing Italy’s support for Albania’s bid to join the EU. Albanians have also said it is a way of repaying Italy for its welcoming stance towards Albanians fleeing poverty after the fall of communism in 1991.

    Is the deal the same as the defunct UK-Rwanda deal?

    No. A major difference is that under the Rwanda plan of the previous UK government, people sent to the East African country would not have been able to return to the UK even if Rwanda granted them refugee status.

    Another distinction is that migrants sent to Albania will be under Italy’s jurisdiction, whereas if asylum seekers had been sent to Rwanda, they would have been subject to the laws of that country.

    Even though the Italian state will be responsible for asylum applications made in Albania, concerns have been expressed that it may not be possible to guarantee the same level of protection, in terms of both asylum procedures and physical reception conditions, outside Italian territory.

    An English translation of the Protocol between the governments of Italy and Albania can be found here: https://odysseus-network.eu/wp-content/uploads/2023/11/Protocol-between-the-Government-of-the-Italian-Republic-and-the-Cou

    https://www.infomigrants.net/en/post/59313/what-is-the-italyalbania-deal-on-migration

    #migrations #réfugiés #asile #Albanie #accord #Italie #externalisation

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  • Le HCR va surveiller l’accord Italie-Albanie pour garantir « le respect du droit d’asile » - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/59239/le-hcr-va-surveiller-laccord-italiealbanie-pour-garantir-le-respect-du

    Le HCR va surveiller l’accord Italie-Albanie pour garantir « le respect du droit d’asile »
    Par La rédaction Publié le : 20/08/2024
    Le Haut-Commissariat de l’ONU pour les réfugiés (HCR) a annoncé qu’il allait surveiller la mise en place de l’accord entre l’Italie et l’Albanie pendant trois mois. L’agence onusienne souhaite ainsi « préserver les droits et la dignité des personnes », notamment le respect du droit d’asile.
    L’inquiétude du HCR concernant l’accord en l’Italie et l’Albanie n’est pas nouvelle. Il avait déjà émis des réserves quant à ce projet d’externalisation des demandes d’asile et avait aussi réclamé des éclaircissements aux autorités italiennes. Ainsi, afin de préserver le droit d’asile des personnes qui seront concernées par ce processus, l’agence onusienne a annoncé qu’elle mènerait une mission de surveillance durant trois mois.
    « Sur la base d’un échange de lettres avec le ministère italien de l’Intérieur, l’Agence des Nations unies pour les Réfugiés assumera donc un rôle de surveillance et de conseil auprès des personnes afin de garantir le respect du droit d’asile », a déclaré le HCR dans un communiqué, rappelant que l’agence onusienne n’avait pas participé à la négociation et à l’élaboration de l’accord.
    Durant ces trois mois, le HCR « cherchera à améliorer la protection des demandeurs d’asile et des réfugiés en identifiant et en signalant aux autorités compétentes toute incohérence avec le droit international et les droits de l’homme et des réfugiés », ajoute le communiqué. Un rapport découlera de cette mission de surveillance.
    La mission du HCR devrait débuter dès l’ouverture des centres d’accueil en Albanie prévue en novembre. Le gouvernement italien avait promis d’ouvrir ces infrastructures en mai dernier mais des travaux ont perturbé l’agenda.Au total, deux bâtiments doivent être construits : un premier sera dédié à l’hébergement des demandeurs d’asile en attente du traitement de leur dossier. Un second, construit juste à côté, servira de centre de détention pour les exilés amenés à être expulsés. Les migrants y seront transférés après un premier passage par le « hotspot » du port de Shengjin, à 20 km de là. C’est dans cette structure, également financée et gérée par Rome, que les exilés seront enregistrés après leur débarquement.
    Les infrastructures seront gérées par l’Italie et pourront accueillir jusqu’à 3 000 exilés à la fois, secourus par les autorités italiennes - garde-côtes, Marine, Garde financière - en mer Méditerranée.
    La construction et le fonctionnement des centres, évalués entre 650 et 750 millions d’euros, sont financés à 100% par Rome, sur cinq ans. Les autorités italiennes seront chargées du maintien de l’ordre dans les centres, la police albanaise en étant responsable à l’extérieur et au cours du transport des migrants d’une zone à une autre.
    Depuis son annonce, cet accord est vivement critiqué. « Il s’agit d’un accord de refoulement, une pratique interdite par les normes européennes et internationales et pour laquelle l’Italie a déjà été condamnée par la Cour européenne des droits de l’Homme », avait réagi la chercheuse Elisa de Pieri d’Amnesty International, évoquant un accord « illégal, irréalisable et [qui] doit être annulé ». De son côté, l’ONG allemande de sauvetage en mer Méditerranée, Sea-Watch, avait évoqué « une manœuvre inhumaine et populiste sans fondement juridique ». « Cette dernière décision de l’Italie s’inscrit dans une tendance inquiétante qui porte atteinte à ce droit », avait insisté Imogen Sudbery, la directrice de l’ONG International Rescue Committee (IRC) en Europe

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#hcr#externalisation#asile#droit#protection#sante

  • Anita Likmeta e le favole del comunismo
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Anita-Likmeta-e-le-favole-del-comunismo-232279

    Due mondi opposti e contrapposti, l’Albania di fine regime e il centro di una grande e ricca città europea come Milano. Col suo «Le favole del comunismo» Anita Likmeta racconta in forma romanzata e autobiografica l’esperienza di un’intera generazione. Una recensione

    • Le favole del comunismo

      Le favole del Paese delle Aquile raccontano di asini, meli, operazioni volte a salvare una ragazza pazza con la coda di cavallo, e di fogli che una volta piantati possono far germogliare non solo agli e cipolle, ma pure case. Il Paese delle Aquile è il più felice che ci sia. Anche se non c’è l’acqua corrente, anche se ci sono più bunker che mucche, anche se la mamma di Ari l’ha lasciata dai nonni perché è rimasta incinta troppo giovane per poter lavorare, e anche se quando cade il muro di Berlino altro che fine immediata della dittatura: nel Paese delle Aquile ci sono solo disordine e omicidi e uomini con la faccia coperta. Certo, quando cade il muro di Berlino molti partono per l’Italia, diretti alla riva opposta al Paese delle Aquile che è il più felice di tutti. Ma Ari e i nonni no, loro restano. I nonni si sentono troppo vecchi per partire, e allora Ari aspetta che la madre – partita sulla nave che hanno preso tutti gli altri – torni a prenderla.
      Ci sono due Ari in questo romanzo: una è la bambina che vive in Albania tra gli anni Ottanta e Novanta, ed è senza scarpe, perché le scarpe non devono essere consumate e dunque si va scalzi; l’altra è una giovane donna che di scarpe ne ha moltissime, così come ha l’acqua corrente, e oggi vive nel centro di Milano, in un appartamento elegante, passando ore sotto la doccia perché gli shampoo biologici non fanno abbastanza schiuma. Le due si somigliano, un po’ perché sono belle e la bellezza è tutta uguale, un po’ perché sono la stessa Ari.
      Anita Likmeta, con tenerezza e ironia, con allegria e spietatezza, esordisce nel romanzo e ci racconta un’infanzia dove, certe volte, pisciarsi sotto era l’unico modo per riscaldarsi.

      https://www.marsilioeditori.it/libri/scheda-libro/2972087/le-favole-del-comunismo
      #livre #Albanie #communisme #souvenirs #enfance #Anita_Likmeta

  • Tutti i costi e i dubbi dell’accoglienza dei migranti in Albania

    Il protocollo firmato tra Roma e Tirana per la costruzione di centri di prima accoglienza in Albania presenta costi considerevoli e molti problemi di natura legale. L’accordo tuttavia difficilmente potrà raggiungere gli obiettivi dichiarati.

    - Nelle previsioni del governo la gestione dei centri di accoglienza in Albania avrà un costo di 653 milioni di euro in 5 anni.
    - La spesa prevista per la gestione delle strutture ammonta però a 30 milioni, gli oltre 600 milioni rimanenti dunque servono a finanziare altri aspetti dell’operazione.
    - Tra le spese che non sarebbero state sostenute se i centri fossero stati costruiti in Italia si trovano 252 milioni di euro per le trasferte dei funzionari ministeriali.
    – Al di là dei costi dell’operazione la gestione di queste strutture in uno stato estero complica la logistica dell’accoglienza.

    Il 6 novembre 2023 è stato firmato a Roma il protocollo Italia-Albania per il “rafforzamento della collaborazione in materia migratoria“, ratificato poi dal parlamento italiano lo scorso febbraio.

    Legge di ratifica del
    protocollo Italia-Albania.

    L’accordo prevede l’istituzione di due centri in Albania, uno per la primissima accoglienza (nella località di Shengjin) e l’altro con funzioni di Hotspot e centro di permanenza e rimpatrio (Cpr), a Gjader. I centri si trovano a circa 20 km l’uno dall’altro, nel nord del paese. Nelle intenzioni del governo queste strutture dovrebbero iniziare ad essere operative a partire dal prossimo 20 maggio, anche se inizialmente con una capienza ridotta.

    Una relazione tecnica (https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/429/065/A.S._995_-_R.t._di_passaggio.pdf) ricostruisce le spese a preventivo ipotizzando un costo di circa 650 milioni di euro in 5 anni, di cui solo una piccola parte riguarda però la gestione dei centri.

    È evidente che si tratti di una spesa considerevole che tuttavia non sembra utile né per favorire i rimpatri, né per migliorare la logistica dell’accoglienza o l’integrazione di coloro che vedranno riconosciuta la loro richiesta di protezione internazionale.
    Le persone accolte e i costi di gestione

    Per calcolare i costi di gestione bisognerebbe intanto conoscere il numero di persone che saranno accolte in questi centri e per quanti giorni. Ad oggi tuttavia non è neanche chiaro quale sia il numero massimo di persone che potrebbero essere ospitate nelle due strutture.

    Il governo infatti ha più volte sostenuto che in Albania saranno accolte 3mila persone al mese, per un totale di 36mila persone l’anno. In effetti anche il protocollo fa riferimento a questa cifra, indicandola però come limite massimo e non come la presenza media. Eppure come è noto, in particolare nei centri di prima accoglienza, il numero di persone accolte può variare significativamente. Infatti mentre a metà agosto 2023 il ministero dell’interno indicava in quasi 2.599 persone le presenze negli hotspot italiani, lo scorso 15 marzo, invece, questo numero arrivava ad appena 712.

    Ma anche dando per buoni i numeri massimi del governo, queste cifre continuano a destare dubbi. Infatti, nella manifestazione d’interesse pubblicata dal ministero dell’interno per la gestione delle strutture, si parla di una capienza massima poco superiore a mille persone, di cui 880 nell’hotspot e 144 nel Cpr.

    Sempre questo documento stima un costo massimo di 34 milioni di euro l’anno per la gestione delle due strutture: una cifra molto alta, anche se distante dai 650 milioni di costi complessivi.

    Secondo la relazione tecnica però la spesa effettiva, calcolata sui costi storici per la gestione di strutture di questo tipo, dovrebbe aggirarsi interno ai 30 milioni di euro circa in 5 anni (4,4 milioni di euro nel 2024 e 6,5 milioni l’anno tra 2025 e 2028).
    Gli altri costi del protocollo

    Prendendo per buone queste cifre, rimangono oltre 600 milioni di euro che non riguarderebbero spese di gestione. Alcune di queste voci di costo sarebbero state forse simili se i centri fossero stati costruiti in Italia. Parliamo ad esempio dei costi per la realizzazione e la manutenzione delle strutture.

    Altre invece sono chiaramente aggiuntive. Si tratta in particolare di 95 milioni di euro per il noleggio delle navi, di quasi 8 milioni di euro di assicurazioni sanitarie per operatori italiani in missione all’estero e di ben 252 milioni di costi per le trasferte dei funzionari del ministero dell’interno, della giustizia e della salute.

    Una cifra esorbitante, pari a una media di 138mila euro al giorno, necessaria a pagare viaggi, diarie, vitto e alloggio del personale interforze, dei funzionari prefettizi, di quelli del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), del personale sanitario di frontiera (Usmaf) e di quello dell’istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti (Inmp). Tutte spese che sarebbero state evitate se questo personale avesse lavorato nelle sue consuete sedi di lavoro, invece che all’estero.

    Su altre voci di spesa infine risulta difficile valutare se e in che misura sarebbero state diverse nel caso in cui si fosse deciso di istituire nuove strutture in Italia. Questo tuttavia è più che sufficiente per chiedersi se si tratti di una spesa effettivamente necessaria e per quale scopo.

    Restano poco chiari gli obiettivi dell’accordo

    Certo 650 milioni di euro sono una cifra consistente. Tuttavia per valutare una spesa pubblica bisogna innanzitutto considerare l’obiettivo che ci si pone e la capacità di quella misura di raggiungerlo.

    «[L’accordo, ndr.] si pone sostanzialmente tre obiettivi: contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori illegali e accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale.» (Giorgia Meloni, conferenza stampa del 6 novembre 2023)

    Dai termini dell’accordo tuttavia non è chiaro come la creazione di due centri in Albania possa contrastare il traffico di esseri umani e prevenire i flussi migratori illegali. Quanto ad accogliere solamente chi ha davvero diritto alla protezione internazionale la questione si porrebbe negli stessi termini anche se i centri fossero costruiti in Italia.

    «Le autorità italiane, al termine delle procedure eseguite in conformità alla normativa italiana, provvedono all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese.» (Protocollo Italia-Albania, articolo 9)

    Infatti se al termine delle procedure di esame la domanda dovesse essere accolta i titolari di protezione dovranno essere portati in Italia. Ma lo stesso avverrebbe anche nel caso in cui si proceda effettivamente al rimpatrio di queste persone, operazione che, a quanto sembra, dovrebbe comunque avvenire dall’Italia. Infine non può essere trascurata la possibilità che un richiedente a cui è stata negata la protezione e per cui sono state avviate le procedure di rimpatrio debba essere a un certo punto rilasciato per lo scadere dei termini massimi di trattenimento in un Cpr. Infatti, è bene tenere presente che meno della metà delle persone trattenute in un Cpr nel 2022 è stato poi effettivamente rimpatriato. Il rilascio tuttavia non potrebbe avvenire in Albania e quindi sarebbe comunque necessario portare queste persone in Italia, malgrado la loro posizione irregolare.

    Leggi
    L’analisi dell’Asgi.

    E questo ammettendo che nei centri albanesi arrivino solo persone che possono essere effettivamente ospitate in queste strutture. Infatti secondo la normativa italiana le procedure accelerate di frontiera possono essere adottate solo nei confronti di uomini adulti, provenienti da paesi considerati “sicuri” che non si trovino in una condizione di vulnerabilità.

    Perché questo avvenga tuttavia sarà necessario svolgere complesse operazioni di identificazione a bordo delle navi italiane già prima che le persone vengano portate a terra. È difficile però immaginare che queste procedure possano svolgersi in modo ordinato garantendo effettivamente una corretta ripartizione. Valutare la vulnerabilità di una persona infatti richiede tempo, così come stabilirne l’età esatta nei casi dubbi.

    https://www.openpolis.it/tutti-i-costi-e-i-dubbi-dellaccoglienza-dei-migranti-in-albania

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Italy-Albania Protocol : UNHCR to undertake monitoring activities to safeguard and promote fundamental human rights

    In line with its mandate under international law to supervise the application of the 1951 Refugee Convention and provide protection for refugees, UNHCR, the UN Refugee Agency, will monitor the implementation of the Italy-Albania Protocol, to help ensure that the Protocol is implemented in a manner that safeguards the rights and dignity of those subject to it.

    UNHCR was not a party to the negotiation and development of the Protocol and has requested, including in the Italian Parliament, clarification on some aspects of the Protocol. In recent meetings, the Italian government has provided further information on the implementation of the Protocol and reiterated its strong desire that it be in line with international law and standards.

    Based on an exchange of letters with the Italian Ministry of the Interior, the UN Refugee Agency will therefore undertake a role of monitoring and counselling to the people to ensure that the right to seek asylum is protected and that the processes put in place under the Protocol are consistent with relevant international and regional human rights standards, are fair, and promote protection and solutions for those in need of international protection.

    In its monitoring role, with an initial duration of 3 months, UNHCR will seek to improve the protection of asylum seekers and refugees by identifying and reporting to the competent authorities any inconsistencies with international human rights and refugee law and good practice standards, and advocate for enhanced protection safeguards.

    Through this monitoring process, UNHCR will call on the parties to the Protocol to ensure that the modalities of its implementation do not result in the externalization of asylum obligations and responsibility-shifting, which are contrary to international law.

    At the end of the 3-month period UNHCR will make available its recommendations to the Italian government and other interested actors.

    UNHCR’s priority remains the protection of refugees and asylum-seekers, which is the reason for UNHCR’s monitoring engagement. This responsibility is at the core of UNHCR’s mandate, which the Agency has been carrying out all over the world for over 70 years, even in the most difficult and complex situations.

    To address any concerns regarding the independence of its monitoring function, UNHCR will carry out the monitoring activities with funding from sources other than the parties involved.

    https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/comunicati-stampa/italy-albania-protocol-unhcr-to-undertake-monitoring-activities-to-safeguard-

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    Réaction de Sea-Watch :

    With the planned centers in #Albania, Italy is pioneering border #externalization. Now, the #UNHCR is planning to participate, claiming “to monitor.” But it’s actually complicity in externalization policies on the backs of the people it is supposed to protect.


    https://x.com/seawatch_intl/status/1823751438729712013

    ping @_kg_

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Abusi al confine greco-albanese e le omissioni di #Frontex

    La denuncia in un’inchiesta di Balkan Investigative Reporting Network.

    Continuano le denunce riguardo alle costanti violazioni dei diritti umani attuate nei confronti delle persone migranti lungo la cosiddetta rotta balcanica. Questa volta al centro dell’attenzione torna il confine fra Grecia e Albania dove non cessano i respingimenti e, fatto ancor più grave, sembrerebbe che alcuni agenti di Frontex – l’Agenzia europea che supporta gli Stati membri dell’UE e dell’area Schengen nel controllo delle frontiere – abbiano ricevuto l’ordine di non segnalare le violazioni dei diritti umani commesse sul confine a danno delle persone in transito.

    A renderlo noto è il Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) che in un’inchiesta, pubblicata lo scorso giugno 2, riporta il contenuto di alcune e-mail risalenti al 2023 (quindi dopo le dimissioni dell’ex capo Fabrice Leggeri, avvenute nell’aprile 2022) in cui si riconferma che il personale di Frontex è a conoscenza dei pushback illegali che sistematicamente avvengono sul confine greco-albanese.

    Respingimenti che gettano le persone in quella che gli agenti stessi definiscono «un’interminabile partita di ping-pong».

    Inoltre, sembrerebbe che qualcuno all’interno di Frontex, non è chiaro chi, avrebbe fornito «istruzioni implicite di non emettere SIR», vale a dire di non redigere rapporti sulle segnalazioni di incidenti gravi che quindi comportano violazioni dei diritti fondamentali ai sensi delle norme UE ed internazionali.

    Frontex, presente in Albania dal 2018 e più volte criticata per il suo operato in vari Paesi poiché accusata di aver svolto attività di respingimento illegali, dispone infatti di un ufficio denominato Fundamental Rights Office (FRO) 3 a cui spetta il compito di gestire le segnalazioni SIR (Serious Incident Report) e di monitorare il rispetto dei diritti nell’ambito delle attività dell’Agenzia. In più, nel 2019, è stata istituita una procedura che consente a chiunque ritiene che i propri diritti siano stati violati di presentare un reclamo all’ufficio preposto.

    A destare preoccupazione sul confine sono soprattutto le modalità con le quali le autorità gestiscono queste operazioni. Nelle e-mail si legge che la polizia greca conduce le persone migranti al confine e la polizia albanese sistematicamente le respinge, in alcuni casi – rileva il FRO – maltrattandole e, segnala la Commissione europea, senza fornire garanzie agli aspiranti richiedenti asilo, di cui non verrebbero raccolte nemmeno le informazioni base.

    Le autorità albanesi negano di aver partecipato ai respingimenti collettivi, in ogni caso, di certo c’è, prosegue l’inchiesta, che le mancate segnalazioni portano, secondo Jonas Grimhede, capo del FRO, a sottovalutare le infrazioni.

    Queste gravi violazioni, confermano fonti di Melting Pot, colpiscono anche persone con disabilità, donne e minori.

    Eppure, l’agenzia continua a rafforzare la propria presenza nella regione: risale infatti a giugno 2024 il nuovo accordo ratificato con la Serbia, il quinto dopo quelli con Moldavia, Macedonia del Nord, Montenegro e Albania, mentre sono in corso negoziati con la Bosnia-Erzegovina.

    Tali accordi si conformano al regolamento adottato da Frontex nel 2019 che estende il proprio operato in qualsiasi Paese terzo, indipendentemente dal confine con l’Unione Europea, dove può dispiegare agenti ai quali spetta più potere esecutivo nel controllo delle persone in transito (tra il resto, la conferma dell’identità all’ingresso, il controllo documenti, l’accettazione o il respingimento dei visti, l’arresto delle persone prive di autorizzazione e la registrazione delle impronte).
    Frontex non può non sapere

    Alla luce di quanto riportato su BIRN ci si può interrogare sull’effettiva capacità di Frontex nel garantire il rispetto dei diritti umani nei Paesi e nelle operazioni di cui fa parte, dal momento che omettendo le segnalazioni si rende complice degli abusi commessi lungo i confini.

    Soltanto un mese fa un’inchiesta della BBC 4 informava che la Guardia costiera greca, anch’essa tristemente nota per i crimini internazionali commessi negli anni, sarebbe responsabile, nell’arco di tre anni, della morte in mare di oltre quaranta persone, lasciate volutamente in acqua o riportate nel Mediterraneo dopo aver raggiunto le isole greche.

    In merito Statewatch 5 riporta alcuni passi dei fascicoli relativi ai SIR contenuti nei report presentati al consiglio di amministrazione di Frontex, in cui si testimonia la responsabilità delle autorità greche: «L’ufficio (il Fundamental Rights Office appunto) considera credibile e plausibile che 7 persone furono respinte da Samos alle acque territoriali turche nell’agosto 2022 e abbandonate in mare dalla Guardia costiera ellenica, il che ha provocato l’annegamento di uno di loro», e ancora «Un migrante arrivò con la sua famiglia come parte di un gruppo di 22 persone a nord di Lesbo, 17 di loro furono presi da quattro uomini armati mascherati, caricati su un furgone e portati su una spiaggia a sud di Lesbo. Da qui furono respinti in Turchia su una barca e lasciati alla deriva su una zattera di salvataggio, in quella che l’Ufficio valuta come un’operazione coordinata che coinvolge ufficiali greci e individui sconosciuti che hanno agito in accordo».

    Via terra non va affatto meglio. È del 3 luglio la rivelazione, da parte di EUobserver 6, di alcuni documenti interni a Frontex in cui si dice che la Bulgaria avrebbe fatto pressione sui funzionari dell’Agenzia affinché ignorassero le violazioni dei diritti umani al confine con la Turchia in cambio del pieno accesso al confine.

    Nel marzo di quest’anno, invece, è stato reso pubblico un documento interno risalente al 2022 che descrive nel dettaglio le pratiche violente e disumane, deliberatamente ignorate sia da Frontex che dall’UE, subite dai richiedenti asilo nel momento in cui vengono respinti con forza verso la Turchia.

    Operando sul campo fra le varie frontiere risulta impossibile che l’Agenzia non sia al corrente di ciò che avviene e dei metodi utilizzati dalle forze dell’ordine per allontanare le persone migranti, tuttavia decide di non agire.

    Anzi, quando non è l’Agenzia stessa, con o senza forza, a praticare i respingimenti, comunque coadiuva gli abusi, come dimostra nuovamente una recente inchiesta dalla quale è emerso che tra il 2021 e il 2023 Frontex ha condiviso con soggetti libici 2.200 e-mail che comunicavano i dati esatti di geolocalizzazione delle imbarcazioni di rifugiati nel Mediterraneo, permettendone l’intercettazione illegale e il ritorno forzato in Libia.

    L’Agenzia, conclude l’inchiesta del BIRN, ha comunque riconosciuto il problema relativo alle omissioni e ne ha discusso, al di là dell’attività in Albania.

    Al momento la realtà resta preoccupante e continuamente da monitorare. Nemmeno l’uscita dell’ex direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, dimessosi per le evidenze di violazioni “di natura grave” dei diritti umani (e appena candidato alle elezioni europee con Rassemblement National), ha portato ad un vero cambio nelle sue politiche, perchè non c’è possibilità di riformarla.

    Frontex va abolita, per liberare tuttə.

    https://www.meltingpot.org/2024/07/abusi-al-confine-greco-albanese-e-le-omissioni-di-frontex

    #abus #Grèce #Albanie #frontières #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #push-backs #refoulements #SIR #refoulements_collectifs #violence

    • Frontex Officers Failing to Report Migrant Abuses on Albania-Greece Border

      EU border agents are failing to report rights violations committed against migrants and refugees on the Albanian-Greek border, according to an investigation by #BIRN.

      In February last year, Aija Kalnaja, then the acting head of the European Union’s border agency, Frontex, received a strongly-worded email from the person in charge of making sure the agency adheres to EU law and fundamental human rights in policing the bloc’s boundaries.

      To anyone unfamiliar with the bureaucratic language of Brussels, the subject line might look cryptic: “Albania, ping-pong pushbacks, and avoiding SIRs”.

      But the content was clear: a Frontex officer had just returned from deployment to the border between Albania and EU member Greece with a “very troublesome account” of what was happening there, Jonas Grimheden, head of Frontex’s Fundamental Rights Office, FRO, wrote in the email, obtained by BIRN.

      “Apart from stories of Greek police bringing migrants to the border, and Albanian police returning them in an endless ping-pong game,” Grimheden wrote, the officer said he and his colleagues had “implicit instructions not to issue SIRs”.

      A SIR is a Serious Incident Report, which Frontex officers are ‘obliged’ to file as soon as they became aware of a possible violation of the fundamental rights afforded migrants and refugees under international law, whether committed by border guards of countries that Frontex collaborates with or officers deployed directly by the agency.

      It was unclear who issued the ‘instructions’ the officer referred to.

      According to the officer, whose account was also obtained by BIRN in redacted form, so-called ‘pushbacks’ – in which police send would-be asylum seekers back over the border without due process, in violation of international human rights standards – are “a known thing within Frontex” and all the officer’s colleagues were “told not to write a serious incident report because it just went that way there”. Pushbacks, he was saying, were regularly occurring on the Albanian-Greek border.

      Frontex has faced years of criticism for failing to address rights violations committed by member-states in policing the bloc’s borders.

      Now, this BIRN analysis of internal Frontex documents and reporting from the field has unearthed serious indications of systematic pushbacks at the Albanian-Greek border as well as fresh evidence that such unlawful practices are often evading Frontex’s own rights monitoring mechanism.

      Asked whether rights violations were being underreported, a Frontex spokesman told BIRN that such claims were “completely and demonstrably false”.

      At Frontex, every officer is required to report any “suspected violations,” said Chris Borowski.

      Yet Grimheden, the FRO head, said underreporting remains a “highly problematic” issue within the agency. It “undermines the very system we are dependent on,” he told BIRN.
      ‘Sent back badly beaten’

      Three kilometres from Ieropigi, the last Greek village before the border with Albania, stands a Greek army building, disused for decades.

      On the grassy floor are signs of humans having passed through: packets of ready-made food; the ashes of a campfire; words carved in Arabic on the walls.

      Until autumn last year, dozens of migrants and refugees stopped here every day en route to Albania, hoping to then enter Kosovo or Montenegro, then Serbia and eventually Croatia or Hungary, both part of Europe’s passport-free Schengen zone. They would have originally reached Greece from Turkey, either by land or sea, but few see Greece as a final destination.

      When BIRN visited, the weather was wet and fog obscured the hill on the other side of the border, in Albania.

      “I used to meet beaten migrants and ask them if this happened in Albania and they used to reply: ‘They beat us and send us back, they take our money, mobile phones, expensive shoes. Everything they had that was expensive was taken and they were push-backed,” said Spyros Trassias, a local shepherd. “Sometimes they might shout ‘Policia’ and signalled that they were being beaten. Other times smugglers would beat them, take their money and send them back.”

      According to local residents, the number of refugees and migrants trying to cross the border near Ieropigi dropped dramatically after a network of smugglers was dismantled in September last year.

      BIRN did not come across any Greek border patrols, but the head of the Union of Border Guards of Kastoria, Kyriakos Papoutsidis, told BIRN the border is guarded 24-hours a day. Many of those they intercept, he said, have already applied for asylum on the Greek islands or in the capital, Athens. “Any migrant who comes to the area is advised to return to the city where they applied for asylum and must remain there,” Papoutsidis said.
      Warning of ‘collective expulsion’

      Frontex officers have been present on both sides of the border, under a 2019 agreement that launched the agency’s first ever joint operation outside the bloc.

      Just months after deploying, Frontex faced accusations of pushbacks being carried out by Albanian authorities.

      According to documents seen by BIRN, little has changed over the last five years. The FRO has repeatedly raised concerns about Albania’s non-compliance with lawful border management procedures, warning in multiple SIRs that “unlawful collective returns characterised by a lack of safeguards could amount to collective expulsion”.

      In one FRO report from November 2022, in reference to pushbacks, they went as far as to say that the “sum of alleged facts could indicate the existence of a pattern occurring at the border between Albania and Greece”.

      The European Commission, the EU’s executive arm, voiced similar concerns in its 2023 report on Albania’s progress towards EU accession, when it referred to “shortcomings identified in its return mechanism for irregular migrants” and cited continued reports of migrants “being returned to Greece without adequate pre-screening”.

      In July 2023, in a ‘due diligence’ assessment of plans for enhanced collaboration between Frontex and Albania, the FRO noted “cases of ill-treatment” and “allegations of irregular returns” of migrants to Greece. Yet it endorsed the new arrangement, which was rubber-stamped by Tirana and the EU two months later.

      Asked about the allegation of migrants and refugees becoming caught in a game of “endless ping-pong” between Greek and Albanian border police, Grimheden told BIRN: “We have seen and in some locations still see migrants being forced back and forth across borders in different locations in Europe. This is certainly problematic and the parts where Frontex can or can try to influence this, we have taken measures. But the issue is typically far from Frontex involvement”.

      “We see a number of concerns in several countries that we are operating in, and Albania is one of those. Some countries are more open about addressing identified problems and others less so, at least Albania belongs to the group that is not ignoring the problems.”
      Albania: ‘No irregular migrant is pushed back’

      Albanian authorities deny engaging in pushbacks. According to Albania’s Law on Aliens, anyone entering irregularly can be expelled, particularly if they intend only to transit across Albania. Data from the United Nations refugee agency, UNHCR, shows that in 2023, only 6.5 per cent of 4,307 apprehended migrants were referred to the asylum procedure.

      According to Serious Incident Reports seen by BIRN, groups of migrants and refugees are regularly apprehended either at the border or deep inside Albanian territory, taken to temporary holding facilities, transferred to nearby border crossing points, and told to cross back into Greece on foot.

      In all but one case, the Albanian authorities responded that the groups had been pre-screened – taking their basic information and making an initial assessment of their need for asylum – and served with removal orders.

      Neither the Greek Ministry of Citizens Protection nor Albania’s Ministry of Interior or General Directorate of Border Police responded to requests for comment.

      However, in exchanges with the FRO reviewed by BIRN, Albanian authorities rejected claims of systematic pushbacks.

      “No irregular migrant is pushed back,” the Albanian Ministry of Interior replied to the FRO in exchanges reviewed by BIRN. There was only one case in which four Albanian officers were found to have “led” a group of migrants back towards Greek territory and the officers were punished, it said.

      However, an investigation by the FRO, circulated in October 2023, said allegations of systematic pushbacks were “corroborated by all interviewed Frontex operational staff”.
      Intense discussions within Frontex about underreported violations

      In contrast to the widespread use of violence documented by the FRO in Frontex operations in Bulgaria or neighbouring Greece, most SIRs analysed by BIRN did not contain evidence of force being used by Albanian border police during alleged pushbacks, nor the direct involvement of Frontex personnel.

      One exception was a letter sent in August 2022 to the FRO by a Frontex officer serving in the Kakavije border region of southern Albania. The officer accused a Frontex colleague of mistreating two migrants by “hanging them” out of his vehicle while driving them.

      The letter states that upon being confronted about the incident, the officer in question laughed and claimed he had the protection of important people at Frontex HQ in Warsaw.

      Following up on the letter, the FRO found that despite the incident being “widely discussed” within the pool of Frontex officers on the ground, “no Serious Incident was reported, and no information was shared with the operational team”.

      The Frontex Press Office told BIRN that the officer involved was dismissed from the Frontex operation and his actions reported to his home country.

      The incident “served as a vital lesson and is now used in briefings for new officers to underscore the high standards expected of them”, the press office said.

      In his February 2023 email to Kalnaja, FRO head Grimheden urged her “send a message in the organisation that SIRs need to be issued when they become aware of possible fundamental rights situations – no excuses”.

      It is not clear from the documentation BIRN obtained whether Kalnaja, as acting Frontex head, responded to Grimheden’s email. She was replaced 12 days later when Hans Leijtens took on the leadership of Frontex as Leggeri’s successor.

      According to internal documents seen by BIRN, the issue of non-reporting of rights violations has been the subject of intense discussions within the Frontex Management Board, the agency’s main decision-making body, since at least September 2023.

      In January this year, the FRO issued a formal opinion on “addressing underreporting” to the Board, essentially flagging it as a serious issue beyond only Frontex operations in Albania.

      https://balkaninsight.com/2024/06/28/frontex-officers-failing-to-report-migrant-abuses-on-albania-greece-b

  • Demandeuses d’asile : la France « loupe le coche de protéger toutes les femmes » malgré un arrêt européen majeur - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/58522/demandeuses-dasile--la-france-loupe-le-coche-de-proteger-toutes-les-fe

    Demandeuses d’asile : la France « loupe le coche de protéger toutes les femmes » malgré un arrêt européen majeur
    Par Maïa Courtois Publié le : 18/07/2024
    La Cour nationale du droit d’asile s’est penchée sur trois dossiers de femmes ayant fait face à des violences dans leurs pays d’origine. Seule l’une d’entre elles, une Afghane, a obtenu le statut de réfugiée grâce à un arrêt de la Cour de justice de l’UE qui ouvre la voie à la reconnaissance des persécutions basées sur le genre. Pour les autres nationalités, la CNDA en fait une interprétation bien plus restrictive. Explications.
    L’attente était grande pour les demandeuses d’asile en France, quelle que soit leur nationalité. La déception des associations et avocats impliqués dans leur accompagnement l’est tout autant. La Cour nationale du droit d’asile (CNDA) a rendu, jeudi 11 juillet, trois arrêts significatifs concernant la protection internationale de femmes victimes de violences. Elles sont trois femmes, issues de trois pays différents. Une Afghane, une Albanaise et une Mexicaine. Au cœur de leur dossier : l’application de l’arrêt du 16 janvier 2024 de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE).
    Un arrêt majeur aux yeux des associations et avocats spécialisés en droit des étrangers. Jusqu’ici, pour obtenir une protection internationale, être une femme victime de violences ou de discriminations basées sur le genre ne suffisait pas. Il fallait démontrer, en plus, son appartenance à un groupe social spécifique : victime de la traite des êtres humains, personnes à risque d’excision ou de persécution du fait de l’orientation sexuelle...
    Avec cet arrêt, les femmes peuvent être reconnues comme un « groupe social » au sens de la Convention de Genève. La violence basée sur le genre constitue dès lors une « persécution » valable pour accéder au statut de réfugiée. Une bonne nouvelle pour toutes les demandeuses d’asile ? En théorie, oui. Mais en pratique, la France emprunte la voie d’une interprétation restrictive de cet arrêt européen.
    Ainsi, sur les trois femmes audiencées par la CNDA, seule la requérante afghane a obtenu un jugement favorable. La Mexicaine et l’Albanaise voient toutes deux leurs demandes d’asile définitivement rejetées. Dans un communiqué paru le 16 juillet, 13 associations parmi lesquelles le Planning Familial, l’Ardhis, la Cimade ou encore Dom’Asile, le regrettent. « La France tenait, avec l’arrêt de la CJUE, l’opportunité d’opérer une réelle avancée en matière de protection des femmes persécutées en raison de leur genre. Elle se contente du strict minimum : les femmes afghanes sont bien persécutées en raison de leur genre, les autres, si leurs gouvernements affichent un volontarisme de façade, attendront ».
    De fait, la CNDA a rejeté les dossiers de l’Albanaise et de la Mexicaine au motif que leurs deux pays avaient adopté des législations, anciennes ou récentes, en faveur de l’égalité hommes-femmes. La CNDA considère que, pour ces raisons, les femmes mexicaines et albanaises ne peuvent être considérées comme constituant un « groupe social » au sens de la Convention de Genève. Donc, ne peuvent pas obtenir un statut de réfugié simplement parce qu’elles auraient subi des violences liées à leur genre.
    « Il y a plein de pays dans lesquels les mariages précoces sont interdits, mais sont en réalité pratiqués dans la société. C’est pareil concernant l’excision. On ne protègerait plus les personnes homosexuelles au prétexte qu’une législation en leur faveur est affichée par leur gouvernement ? C’est un grand retour en arrière », fustige Me Maud Angliviel, l’avocate de la requérante mexicaine.
    L’arrêt de la CJUE impliquait d’examiner les normes juridiques, sociales et morales du pays d’origine pour déterminer l’existence, ou non, d’un « groupe social » femmes. Or, la CNDA « tire de la seule existence de normes juridiques la conclusion qu’il y a une évolution des mentalités, des normes sociales et morales », regrette encore l’avocate. Mme F., 29 ans, a atterri seule sur le territoire français après avoir quitté le Mexique dans la précipitation, en septembre 2023. Devenue assistante parlementaire d’un député en 2021, elle raconte avoir été introduite, deux ans plus tard, auprès d’un homme d’affaires influent. Un soir de septembre 2023, après avoir bu un verre d’alcool en sa présence, « elle s’est sentie brusquement mal et s’est couchée. A son réveil, elle a constaté qu’il se trouvait, habillé, sur son lit et s’est sentie extrêmement mal, courbaturée et nauséeuse ».
    Mme F. assure n’avoir pas reçu de soutien de sa famille et avoir été suivie à deux reprises dans les jours qui ont suivi. « Elle n’est pas allée signaler ces faits à la police par manque de confiance dans cette institution, sachant que le député qui l’employait était proche de plusieurs personnalités de la justice et de la police, notamment du procureur général de la République nommé en 2019, et parce que la police et la justice au Mexique sont régulièrement visées par des accusations d’inefficacité, de corruption et d’ingérence politique », expose son dossier. Depuis son arrivée en France, la jeune femme assure craindre des persécutions en cas de retour dans son pays d’origine « du fait de cet entrepreneur influent, de son ancien employeur et des membres de sa famille » qui ne l’ont pas cru. Mais aussi par manque de « protection effective des autorités ».
    L’OFPRA, qui avait examiné en premier la demande d’asile de Mme F., affirmait bien qu’il existe des violences structurelles à l’encontre des femmes au Mexique, et que ces dernières constituent un « groupe social » en tant que tel. Il restait à prouver, pour Mme F., le lien de causalité entre l’appartenance à ce groupe social, et les violences qu’elle a subie - un lien insuffisant, selon les agents de l’OFPRA.Mais les juges de la CNDA ne se sont même pas penchés sur cet enjeu du lien de causalité. Ils se sont arrêtés à la conclusion de la non-existence du « groupe social » femmes au Mexique. Sans cette reconnaissance, tout le reste de l’argumentaire n’avait plus d’importance. Idem pour l’Albanie.
    La seule bonne nouvelle est donc pour les femmes afghanes. La CNDA reconnaît l’existence de leur groupe social en Afghanistan. « C’est la première fois qu’en France est reconnu un groupe social de femmes, en raison de leur genre, pour un pays », a souligné la CNDA le 12 juillet. La femme afghane qui a ouvert la voie, Mme O., est arrivée seule en France avec ses trois enfants mineurs, deux filles et un fils. Elle disait craindre, en cas de retour au pays, des persécutions à son égard mais aussi à l’égard de ses filles. « À travers la publication incessante de décrets, directives et déclarations », le gouvernement taliban au pouvoir depuis août 2021 « a remis en cause les droits et libertés les plus élémentaires des femmes, notamment leur liberté de mouvement, leur tenue vestimentaire, leur comportement, ainsi que leur accès à l’éducation, au travail, aux structures de soins médicaux, à la santé et à la justice », retrace le jugement de la CNDA du 11 juillet. D’où la reconnaissance de leur groupe social. « C’est une décision importante et nécessaire », salue Me Angliviel. « Parce qu’encore aujourd’hui, toutes les femmes afghanes ne sont pas protégées en France, alors même que le simple fait d’être une femme en Afghanistan conduit à des persécutions ». Pour rendre ces trois décisions, la CNDA s’était réunie en grande formation, à neuf juges. Ces jugements vont donc peser lourd dans la jurisprudence pour toutes les autres femmes qui suivront. En dehors des Afghanes, « la désillusion est grande », conclut Violaine Husson, responsable des questions Genre et Protections à La Cimade. « La CNDA se cache derrière l’évolution des textes, alors que c’est insuffisant. Ce faisant, elle loupe le coche de protéger toutes les femmes. »

    #Covid-19#migrant#migration#france#CNDA#femme#mgf#genre#excision#protection#asileafghanistan#albanie#mexique#sante

  • Les centres italiens pour migrants en Albanie sont prêts

    Symbole de la politique migratoire de Giorgia Meloni, le projet inquiète les habitants, mais est soutenu par l’Exécutif albanais.
    Des #préfabriqués gris protégés par des grilles métalliques prennent le soleil à côté des chalutiers qui mouillent dans l’Adriatique. Avec ses écriteaux en italien, le tout nouveau centre d’identification détonne dans le port de #Shëngjin, situé à 60 km au nord de Tirana. « Le centre est prêt à accueillir les migrants », assure Sander Marashi, le directeur du port. « Après leur débarquement, les personnes seront prises en charge par nos partenaires italiens. Dans ce centre, leurs données personnelles seront enregistrées et elles recevront une assistance médicale avant d’être acheminées vers le centre de #Gjadër. »

    Signé en novembre 2023, l’accord bilatéral d’une durée de cinq ans prévoit le transfert vers l’Albanie de migrants secourus en Méditerranée par les navires italiens. Une résidence albanaise « temporaire » pour des personnes « non vulnérables », le temps de traiter leur demande d’asile, avant un possible renvoi vers leur pays d’origine. Près de 36’000 personnes par an pourraient séjourner dans deux centres albanais, selon les termes de l’accord. Gérés par les autorités italiennes, ces centres devraient ouvrir au 1ᵉʳ août.

    Une dette envers l’Italie

    La transformation de Shëngjin en « hotspot » de la question migratoire inquiète la plupart des habitants. Avec son front de mer bordé de pins maritimes et ses plages de sable, la cité balnéaire fait figure de poumon économique de la région. Chaque été, elle attire des dizaines de milliers de touristes, notamment les Albanais du Kosovo et la diaspora suisse. Les restaurateurs sont largement opposés au projet, mais personne n’ose critiquer ouvertement les choix du premier ministre albanais.

    Soutien fidèle du projet de Meloni, Edi Rama a répété sa « fierté de pouvoir apporter notre aide » et mis en avant une « dette » albanaise envers l’Italie. Une référence à l’arrivée de l’autre côté de l’Adriatique de centaines de milliers de ses compatriotes fuyant la misère et le chaos politique qui ont suivi l’effondrement de la dictature stalinienne en 1991. L’évocation de ces années douloureuses fait mouche dans une société marquée par l’émigration.

    « Quand je vois les réfugiés aujourd’hui, ça me rappelle mes débuts en Italie en 93 », raconte Besnik Sulaj, 63 ans, qui tient un hôtel familial à quelques pas du port. « Des années difficiles : je ne connaissais pas la langue et je n’avais pas à manger, rien. Et des Italiens m’ont aidé. L’arrivée des réfugiés ne me dérange pas et je ne crains rien pour mon business. D’ailleurs, on accueille déjà des réfugiés afghans depuis des années. Le peuple albanais ne fait pas de divisions religieuses, et on n’est pas racistes. On accueille tous les types d’immigrés ! »

    Crainte de la population

    Le ton se fait moins optimiste dans le village de Gjadër, situé à une vingtaine de kilomètres plus au nord. Depuis quelques semaines, le bruit des tractopelles résonne en continu, et des grilles et des barrières surveillées ont été installées le long de la rivière. C’est au milieu des champs de cette Albanie déshéritée que Giorgia Meloni esquisse un pan crucial de sa politique migratoire. Mais le centre de rétention pour migrants que la présidente du Conseil italien fait construire crispe les habitants de ce village aux maisons modestes et aux jardins vivriers.

    « Personne ne nous a demandé notre avis. L’État décide tout seul, et il se fiche de l’avis du peuple », s’agace Armando, 31 ans. « Mais qu’est-ce qu’on a à gagner avec ces camps ? Tout le village est inquiet. Notre premier ministre n’est pas capable de nous aider, mais il veut aider des Africains et des gens du monde entier. Mais l’Italie n’a pas de terrains pour faire ça chez elle ? Elle en a plein ! »

    Projet contesté

    Giorgia Meloni présente déjà comme un modèle cette externalisation de l’asile dans un pays non membre de l’Union européenne. Pourtant, le projet albanais de la cheffe d’extrême droite est contesté. De nombreuses questions techniques et juridiques sur sa faisabilité restent en suspens, et le coût de sa mise en œuvre pourrait dépasser les 620 millions de francs avancés par les autorités italiennes.

    À la tête du Parti socialiste albanais, Edi Rama est critiqué par la gauche européenne pour son appui aux projets de la droite radicale. Mais pour l’opposition locale, le premier ministre cherche surtout à faire oublier les accusations de collusion avec le crime organisé qui se multiplient contre son Exécutif. Récemment encore, des médias italiens présentaient l’Albanie comme un « narco-État ». « L’ensemble des institutions et des gens très proches du premier ministre sont impliqués dans le trafic de drogue », accuse Gjin Gjoni, le responsable du Parti démocratique de la région de Lezhë. « Les scandales s’accumulent, et c’est dans l’intérêt du gouvernement d’offrir tout ce qu’il peut aux partenaires étrangers pour assurer son maintien au pouvoir. »

    Des ONG et de nombreux experts ont affirmé que cette externalisation de l’asile en Albanie n’était pas conforme au droit européen. Mais plusieurs gouvernants brandissent déjà cet accord, afin de prôner un nouveau durcissement de la politique migratoire de l’UE.

    https://www.tdg.ch/albanie-les-centres-italiens-pour-migrants-sont-prets-378676069954

    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Italie

    –-
    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • En Albanie, les centres italiens de rétention de migrants n’ont pas l’adhésion du peuple

      L’Italie construit depuis quelques mois des centres de rétention de migrants en Albanie. Giorgia Meloni en a fait un #symbole de sa politique contre l’immigration. Mais sur place, une partie de la population n’apprécie pas la collaboration du pouvoir albanais avec l’extrême droite italienne.

      Signé en novembre 2023, un accord bilatéral d’une durée de cinq ans prévoit le transfert de l’autre côté de la mer Adriatique de migrants secourus en Méditerranée par les navires italiens, le temps de traiter leurs demandes d’asile, avant un possible renvoi vers leurs pays d’origine.

      Exploités par les autorités italiennes elles-mêmes, ces centres de rétention devraient accueillir 36’000 personnes par année. Cette « externalisation de l’asile » dans un pays non-membre de l’Union européenne est une première sur le continent.

      « Personne ne nous a demandé notre avis »

      Le gouvernement albanais soutient l’accord au nom d’une relation historique particulière avec l’Italie. Le Premier ministre #Edi_Rama, un néolibéral souvent décrit comme autoritaire, a mis en avant la « #dette » de son pays : dans les années 90, l’Italie a accueilli des centaines de milliers d’Albanais fuyant le chaos politique et la misère.

      Mais ce discours ne fait pas l’unanimité. Dans le modeste village de Gjadër, au milieu des champs du nord-ouest de l’Albanie, la construction de l’un de ces futurs camps irrite les habitants. « Personne ne nous a demandé notre avis », s’agace l’un d’eux dans l’émission Tout un monde. « L’Etat décide tout seul et se fiche de l’avis du peuple. Mais nous, qu’est-ce qu’on a à gagner avec ces #camps ? L’Italie a plein de terrains chez elle ! »

      « Cet accord, ça me fait surtout du mal pour les réfugiés »

      À 20km du village, le port de Shëngjin se prépare au transit de ces exilés. Des bâtiments préfabriqués gris protégés par des grilles métalliques ont déjà été installés à côté des chalutiers. Cette cité balnéaire, avec son front de mer bordé de pins maritimes et ses plages de sable, est un centre économique de la région. Les restaurateurs sont largement opposés au projet, mais personne ne critique ouvertement les choix du Premier ministre.

      « Quand je vois les réfugiés aujourd’hui, ça me rappelle ma vie quand je suis arrivé en Italie en 1993. Des années difficiles : je ne savais pas la langue, je n’avais pas à manger, rien. Des Italiens m’ont aidé », témoigne le gérant d’un hôtel proche du port.

      « Cet accord avec l’Italie, ça me fait surtout du mal pour les réfugiés. Mais ça ne va rien changer pour moi ni pour mon business », poursuit cet homme de 63 ans. « Le peuple albanais est le seul qui ne fait pas de divisions religieuses. On n’est pas racistes, on accueille tous les immigrés », ajoute-t-il.

      Perte de #souveraineté de l’Albanie

      Pour l’activiste Arlinda Lleshi, ces centres en Albanie ne sont que « pure #propagande_électorale ». « Ce serait évidemment plus facile et bien moins cher pour l’Italie de s’occuper de ces personnes sur son territoire », estime-t-elle.

      La jeune femme de 27 ans a notamment organisé des manifestations pour dénoncer la perte de souveraineté de son pays. « Pourquoi devrions-nous accepter que l’Albanie soit toujours un vassal des pays étrangers en faisant le jeu de responsables politiques qui veulent rester au pouvoir ? », lance-t-elle. « C’est un accord qui n’a pas de sens et dont nous, les Albanais, n’avons aucun intérêt à tirer ! »

      Critiques humanitaires

      À la tête du Parti socialiste albanais, Edi Rama est aussi critiqué par la gauche européenne pour son soutien à l’agenda de l’extrême droite italienne. Pour l’opposition, le Premier ministre cherche surtout à faire oublier les accusations de collusion avec le crime organisé qui se multiplient contre son administration et à consolider son pouvoir en donnant des gages à des partenaires étrangers.

      Selon de nombreux experts, cette politique de déportation des migrants ne respecte pas le droit international. Mais une quinzaine d’Etats membres de l’UE ont déjà proposé de multiplier ce type d’accord. En Suisse aussi, le Parlement a accepté en juin une motion du PLR qui souhaite qu’un tel « #accord_de_transit » soit conclu avec un pays tiers pour pouvoir y expulser les requérants d’asile érythréens déboutés.

      https://www.rts.ch/info/monde/2024/article/en-albanie-les-centres-italiens-de-retention-de-migrants-n-ont-pas-l-adhesion-du

    • A Gjadër, in Albania, slitta l’apertura dei centri di detenzione dei migranti

      Reportage dai luoghi dove il governo italiano aveva assicurato l’apertura di hotspot e Cpr prima a fine maggio e poi a inizio agosto. I lavori, pur su turni sfiancanti, devono ancora terminare. I residenti intanto si interrogano sull’impatto su una comunità di 200 anime, che a volte è senz’acqua ed elettricità. Tra speranze di lavoro e disagio per il destino di migliaia di persone.

      Nella città costiera di Shëngjin, in Albania, la stagione estiva è nel pieno. I resort e gli hotel adagiati lungo la costa stanno infatti vivendo il picco. Il Rafaelo Resort, una delle strutture ricettive più grandi e lussuose della città, è zeppo di persone che frequentano bar, ristoranti, centri benessere.

      Il personale di sicurezza, ben visibile all’ingresso, è lì per garantire la sicurezza di tutti gli ospiti, compresi i rifugiati afghani che entrano ed escono dai cancelli del resort. Sono migliaia le persone che, in fuga dal regime dei Talebani, dall’agosto 2021, sono state ospitate temporaneamente nella struttura in attesa del rilascio dei visti per gli Stati Uniti.

      Questo spirito di ospitalità nell’accogliere i rifugiati afghani non sarà riservato, invece, per quelli che verranno portati dalle autorità italiane nel centro di prima accoglienza per migranti, compresi minori, donne e persone vulnerabili, all’interno del porto di Shëngjin, che funzionerà da hotspot. Lì i migranti saranno sottoposti alle procedure di screening prima di essere caricati su furgoni e rinchiusi nei centri di detenzione di Gjadër, a venti chilometri da Shëngjin.

      Da quando la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha inaugurato l’hotspot il 5 giugno 2024, ai giornalisti e ai non addetti ai lavori è severamente vietato entrare nel porto per visitarlo. Un muro di sette metri cinge le strutture prefabbricate della struttura per nasconderlo agli occhi di turisti e residenti mentre le telecamere installate ai bordi controllano quello che succede lungo il perimetro esterno. L’hotspot all’interno del porto è circondato da edifici residenziali e da un grande luna park sul lato sinistro.

      Nelle scorse settimane, dopo gli annunci del governo italiano dell’imminente apertura, i titoli dei giornali si sono rincorsi con la notizia dell’apertura dell’hotspot il primo agosto, nonostante la costruzione dei centri di detenzione a Gjadër sia ancora lontana dall’essere terminata.

      “Pensate davvero che gli italiani porteranno i migranti ora in mezzo a tutti i turisti? Nessuno arriverà qui fino alla fine della stagione estiva”, dice Altin, nome di fantasia di un anziano seduto in un bar accanto al porto. Ha ricevuto questa informazione da un amico ingegnere che lavorava a Gjadër.

      “Ho sentito che stanno lavorando 24 ore su 24 per finire tutto in due o tre settimane. Le cabine sono situate nel porto di Shëngjin e hanno una capacità di 260 persone, ma chissà, forse questo accordo avrà lo stesso destino del piano Ruanda (del governo inglese, ndr)”, aggiunge.

      A fine maggio il ministero dell’Interno italiano ha pubblicato una gara d’appalto da 13,5 milioni di euro per il noleggio di un’unità navale in grado di coprire la distanza “da 15/20 miglia nautiche a Sud/Sud-Ovest dall’isola di Lampedusa, al porto di Shëngjin in Albania”, a partire da metà settembre 2024.

      “Un mio amico lavora vicino al porto -spiega un altro residente- e mi ha raccontato di una nave italiana ancorata lì, che sta misurando la distanza per trovare la rotta più adatta per le navi per far sbarcare i migranti”. Poi indica il Rafaelo Lake Resort, un hotel inaugurato a fine luglio, che dovrebbe ospitare il personale italiano e si trova un chilometro più a Sud del porto, insieme ad altri hotel vicino al lago Këndall.

      L’uomo ci accompagna in un vecchio negozio vicino al porto per presentarci un’anziana signora che ha dei conoscenti che lavorano proprio a Gjadër. “Lo sposo sta lavorando lì, sta installando telecamere e internet, ma che cos’altro sappiamo? Chi ci dice niente?”, sospira facendo eco alla frustrazione di molti nella comunità.

      Più tardi incontriamo Dorian Pali, avvocato e residente a Lezhë. Fa parte di un gruppo di attivisti che protesta contro l’accordo fin dal suo annuncio e ha espresso profonda preoccupazione per la privazione della libertà di tutti i migranti interessati dall’accordo. “Mi oppongo a questo accordo perché tutte le infrastrutture militari dovrebbero rimanere all’esercito e la base non può essere ceduta in questo modo per costruire centri di detenzione”, spiega.

      La base aerea di Gjadër, considerata uno dei siti militari più segreti al mondo, è stata infatti costruita su una collina brulla a venti chilometri da Shëngjin, nel Nord dell’Albania, durante l’era comunista. All’inizio degli anni Novanta la Cia la usava per svolgere missioni di spionaggio nelle ex Repubbliche federali di Jugoslavia. L’ultimo jet è decollato da Gjadër nel 2004 e la base, con la sua ricca storia, è rimasta in gran parte inutilizzata dall’esercito albanese.

      Per raggiungere Gjadër da Shëngjin è necessario noleggiare un’auto perché non ci sono mezzi pubblici. Prenotare un taxi costa circa venti euro per mezz’ora di viaggio. Quando ci avviciniamo alla strada dove si trova la base militare, all’orizzonte appaiono le strutture prefabbricate accatastate. Nonostante le temperature roventi, gli operai locali lavorano instancabilmente per terminare la costruzione. “Ci lavorano circa venti uomini di Gjadër”, dice un ragazzo che serve al bar del villaggio.

      Una guardia di sicurezza di stanza al cantiere di Gjadër, che ha chiesto di rimanere anonima, racconta di come i lavori siano andati a rilento a causa dei disaccordi dell’esercito albanese con il protocollo. “La costruzione non è iniziata ed è rimasta ferma per un mese perché l’esercito non ha dato il permesso, poi concesso dopo molte difficoltà”.

      In quest’area si stanno costruendo tre diverse strutture per i migranti in cui, secondo le promesse fatte dalla cooperativa sociale Medihospes, l’ente italiano che si è aggiudicato l’appalto da oltre 133 milioni di euro per gestire i centri, si svolgeranno numerose attività, laboratori, e sarà addirittura possibile guardare Sky e Dazn. La prima struttura, con 880 posti, dovrebbe ospitare i richiedenti asilo sottoposti alla procedura di frontiera, la cui detenzione dovrebbe durare al massimo 28 giorni. La seconda, con 144 posti, dovrebbe avere invece la funzione di Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr). La terza, con 20 posti, sarà di fatto un carcere e verrà utilizzato per l’applicazione di misure di custodia cautelare nei confronti di cittadini stranieri arrestati o detenuti.

      L’esodo delle giovani generazioni in cerca di migliori opportunità ha trasformato Gjadër, che ora sconta l’inquietante silenzio di una città fantasma. Le strade e i parchi sono vuoti, con solo qualche uomo che passeggia o si siede al bar dell’ingresso.

      “A volte esco per strada e questo silenzio mi fa venire i brividi. Una volta non era così, ma i giovani sono senza speranza e se ne vanno”, dice una signora che pulisce il tavolo in uno dei pochi bar della piccola cittadina. “Qui vivono solo 200 famiglie e la maggior parte degli abitanti rimasti sono anziani”, aggiunge Don Alberto Galimberti, parroco italiano che fa parte della missione cattolica di Blinisht e Gjadër.

      Per coloro che sono rimasti nella comunità l’attenzione si è spostata sui centri per i migranti, visti come un’opportunità di lavoro. Alcuni aspettano aggiornamenti da settimane. “Delle donne della sartoria mi hanno detto che quando i centri apriranno, gli italiani cercheranno operatori sanitari. Il compenso offerto è di circa 1.200 euro”, spiega la commessa del mercato vicino all’ingresso della città. Racconta che, saputo dell’apertura dei centri, si è precipitata dall’amministratore del villaggio per dare il suo nome insieme al marito per lavorare lì, ma non hanno ricevuto risposta e nessuno li ha informati sulle procedure di assunzione.

      Nelle scorse settimane sul sito di Medihospes, la “regina dell’accoglienza” in Italia con quasi 160 milioni di euro di fatturato nel 2023, sono apparse ben 379 posizioni lavorative aperte per i centri albanesi, tra cui mediatori, tecnici di laboratorio, medici, psicologi e assistenti sociali. Un esercito di persone ricercate anche tra i “locali”: gli annunci, infatti, sono scritti anche in albanese. Fa riflettere il fatto che la durata del contratto proposto sia di soli tre mesi.

      Gimi, un residente locale seduto al bar, condivide il suo punto di vista sull’accordo. “Non ho paura dei migranti che verranno a Gjadër. Perché? Perché avere paura? Noi stessi abbiamo cercato rifugio e siamo stati picchiati e tenuti in prigione”. I pochi abitanti del bar hanno espresso le loro preoccupazioni per la mancanza di elettricità e di acqua nel villaggio, che deve far fronte a carenze quotidiane. Tuttavia c’è un barlume di speranza: alcuni credono che gli operai che installano le linee idriche e fognarie nei centri italiani potrebbero giovare anche al villaggio e risolvere la carenza di elettricità e acqua. “Spero che il centro non apra le porte -aggiunge Gimi poco prima di andarsene dal bar-. Sono prigioni e spero che nessuno venga trattenuto lì”.

      https://altreconomia.it/a-gjader-in-albania-slitta-lapertura-dei-centri-di-detenzione-dei-migra

  • Out of sight, out of mind : EU planning to offshore asylum applications ?

    In a letter sent to EU heads of state last month, European Commission president #Ursula_von_der_Leyen named 2024 “a landmark year for EU migration and asylum policy,” but noted that the agreement on new legislation “is not the end.” She went on to refer to the possibility of “tackling asylum applications further from the EU external border,” describing it as an idea “which will certainly deserve our attention.”

    “Safe havens”

    The idea of offshoring asylum applications has come in and out of vogue in Europe over the last two decades. In the early 2000s, a number of states wanted camps established in Albania and Ukraine, with the Blair government’s “safe haven” proposals providing an inspiration to other governments in the EU.

    The idea has come back with a bang in the last few years, with the UK attempting to deport asylum-seekers to Rwanda (a plan now shelved), and EU governments noting their approval for similar schemes.

    Austria plays a key role in the externalisation of border and migration controls to the Balkans, and the country’s interior minister has called on the EU to introduce “asylum procedures in safe third countries,” referring to “a model that Denmark and Great Britain are also following.” Denmark adopted their own Rwanda plan, but that was suspended last year.

    “Innovative strategies”

    Now the idea has made it to the top of the EU’s political pyramid.

    “Many Member States are looking at innovative strategies to prevent irregular migration by tackling asylum applications further from the EU external border,” says von der Leyen’s letter (pdf).

    “There are ongoing reflections on ideas which will certainly deserve our attention when our next institutional cycle is under way,” it continues, suggesting that the intention is to get working on plans quickly from September onwards.

    The news comes just as almost 100 organisations, including Statewatch, have published a statement calling on EU institutions and member states to uphold the right to asylum in Europe, underlining that attempts to outsource asylum processing have caused “immeasurable human suffering and rights violations.”

    Von der Leyen goes on to indicate that the offshoring of asylum applications may be tacked onto existing migration control initiatives: “Building on experience with the emergency transit mechanisms or the 1:1, we can work upstream on migratory routes and ways of developing these models further.”

    The phrase “the 1:1” refers to the intended human trading scheme introduced by the 2016 EU-Turkey deal: “For every Syrian being returned to Turkey from Greek islands, another Syrian will be resettled from Turkey to the EU.” In a seven-year period, up to May 2023, fewer than 40,000 people were resettled under the scheme, while tens of thousands of people remained trapped in Greek camps awaiting their intended removal to Turkey.

    The current Commission president, who is soon likely to be elected for a second five-year term, goes on to say that the EU can “draw on the route-based approach being developed by UNHCR and IOM,” allowing the EU to “support the setting up of functioning national asylum systems in partner countries while strengthening our cooperation on returns to countries of origin.” In short: someone else should take care of the problem.

    These efforts will be bolstered by the new Asylum Procedure Regulation, says the letter, with the Commission considering “how to better work in synergy with future designated safe third countries.”

    “Hybrid attacks”

    The letter closes with a consideration of the use of so-called “hybrid attacks” by the EU’s geopolitical enemies.

    “When I was in Lappeenranta [in Finland] in April, it was clear that Russia’s actions at the border with Finland, or those of Belarus at the border with Poland, Latvia and Lithuania, are hybrid attacks aimed at undermining the security of our external borders, as well as that of the border regions and our citizens,” von der Leyen writes.

    The Commission president goes on to suggest that more legislation may be forthcoming on the topic, further reinforcing the security approach to migration, despite the EU having only just approved rules on the issue, where the term used is “instrumentalisation of migrants.”

    “We will therefore need to continue reflecting on strengthening the EU’s legal framework to provide for an appropriate response not only from a migration but also from a security perspective in line with the Treaties,” says the letter.

    The need for new legislation is also hinted at in the “strategic agenda” adopted by the European Council at the end of June, the same meeting to which von der Leyen’s letter was addressed.

    That document states the European Council’s intention to “find joint solutions to the security threat of instrumentalised migration.”

    As for the people targeted by all these initiatives, they are barely mentioned in the letter – but von der Leyen notes that the Commission is “conscious of the need… to enable durable solutions to be found for the migrants themselves.”

    It might be remarked, however, that “solutions” will likely only be considered “durable” to the EU if they are outside its territory.

    https://www.statewatch.org/news/2024/july/out-of-sight-out-of-mind-eu-planning-to-offshore-asylum-applications
    #lettre #migrations #asile #réfugiés #externalisation #frontières #safe_havens #ports_sûrs #Tony_Blair #Albanie #Rwanda #pays_tiers #pays_tiers_sûrs #Autriche #Balkans #route_des_Balkans #Danemark #innovations #accord_UE-Turquie #1:1 #IOM #OIM #HCR #hybrid_attacks #attaques_hybrides #géopolitique #Russie #Biélorussie #frontières_extérieures #instrumentalisation #menaces_sécuritaires

  • Balkans : Frontex va déployer des garde-frontières en Serbie pour lutter contre l’immigration irrégulière - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/58029/balkans--frontex-va-deployer-des-gardefrontieres-en-serbie-pour-lutter

    Balkans : Frontex va déployer des garde-frontières en Serbie pour lutter contre l’immigration irrégulière
    Par La rédaction Publié le : 26/06/2024
    Belgrade a signé un nouvel accord mardi avec l’agence européenne de surveillance des frontières afin de lutter contre les flux migratoires irréguliers. Ce pays des Balkans est un point de transit pour de nombreux migrants en route vers la Hongrie, porte d’entrée de l’UE. La Serbie a signé mardi 25 juin un accord avec l’agence européenne de garde-frontières Frontex visant à renforcer la « coopération opérationnelle » entre l’Union européenne et le pays des Balkans, qui est depuis longtemps un point de transit pour les migrants souhaitant entrer en Europe. L’année dernière, près de 100 000 migrants ont emprunté cette route, selon Frontex. Pour rappel, une même personne peut être comptabilisée plusieurs fois, à chacune de ses tentatives.
    Selon cet accord, l’agence des garde-frontières sera autorisée à lancer des opérations conjointes avec les gardes serbes pour surveiller les frontières albanaises, macédoniennes et celles du Monténégro. « Le renforcement de la gestion des frontières tout au long de la route migratoire est essentiel pour réduire les arrivées irrégulières, compte tenu également de l’évolution du mode opératoire des passeurs et des risques liés au trafic d’armes à feu et à la criminalité organisée », a déclaré la Commission européenne dans un communiqué.
    Depuis plusieurs mois, Belgrade lutte contre des réseaux criminels, souvent surarmés. En novembre 2023, une opération nationale d’envergure avait mené à l’arrestation de trafiquants et de 4 500 migrants. Ce coup de filet d’envergure faisait suite à une fusillade meurtrière du 27 octobre lors de laquelle trois migrants avaient été tués non loin de la frontière hongroise. Les tirs avaient eu lieu dans une ferme abandonnée près du village frontalier de Horgos, où viennent souvent camper les migrants qui tentent d’entrer en Hongrie, selon les médias.
    En juillet 2022, un migrant avait été tué et au moins six autres - dont une adolescente - blessés près de la frontière hongroise dans un échange de tirs entre groupes de passeurs, avait rapporté la radio-télévision publique serbe RTS. « La Serbie protège ses frontières, mais ce faisant, elle assure également la sécurité et la stabilité de toute l’Europe. C’est pourquoi nous avons besoin d’une réponse et d’un soutien unifiés », a déclaré Ivica Dacic, le ministre serbe de l’Intérieur, aux journalistes, à l’issue de la signature de l’accord.La Serbie, qui est candidate à l’adhésion à l’UE depuis 2012, se trouve le long de la route des Balkans, empruntée par les migrants qui se dirigent vers l’Union européenne.
    Par le passé, les autorités serbes ont aussi été accusées d’avoir agressé des migrants. Au mois de février 2024, par exemple, une vidéo publiée par une ONG montrait une file d’hommes à moitié nus sur une route près de la frontière entre la Serbie et la Macédoine du Nord. Ces migrants avaient été expulsés manu militari par les forces serbes vers le pays voisin.
    Ce n’est pas la première fois que Frontex se déploie dans les Balkans. Dernier accord en date, le 25 octobre 2022 : l’Union européenne avait alors décidé d’augmenter son aide financière et humaine à la Serbie, la Bosnie, l’Albanie et le Monténégro. « Nous sommes déterminés à aider nos partenaires des Balkans occidentaux […] Nous proposons de négocier des accords […] ce qui permettrait à des équipes Frontex d’être déployées dans chacun des quatre pays partenaires et d’y exercer leur mandat dans son intégralité, afin que les frontières de ces pays continuent d’être respectées et protégées conformément aux bonnes pratiques européennes », avait déclaré Ylva Johansson. Le lendemain, le 26 octobre, l’UE et la Macédoine du Nord avaient aussi signé un accord de coopération avec l’agence européenne. « Frontex sera en mesure de déployer des équipes du contingent permanent afin de travailler main dans la main avec les garde-frontières de Macédoine du Nord, de prévenir la criminalité transfrontière, en particulier le trafic de migrants et la traite des êtres humains », avait aussi déclaré la commissaire aux affaires intérieures. Entre 2021 et 2024, l’UE a également augmenté de 60% ses financements en faveur des pays des Balkans occidentaux, pour atteindre au moins 350 millions d’euros. Des aides destinées à mettre en place des systèmes efficaces de gestion des migrations, y compris d’asile et d’accueil.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#serbie#FRONTEX#balkan#macedoine#albanie#montenegro#routemigratoire#trafic#droit#sante

  • REPORTAGE. « C’est de la pure propagande électorale » : en Albanie, les centres de rétention pour migrants construits par l’Italie ne font pas l’unanimité
    https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/reportage-c-est-de-la-pure-propagande-electorale-en-albanie-les-centres

    « C’est de la pure propagande électorale » : en Albanie, les centres de rétention pour migrants construits par l’Italie ne font pas l’unanimité
    L’Italie construit en Albanie des centres de rétention pour accueillir les migrants sauvés en mer et examiner leur demande d’asile.
    Article rédigé par franceinfo - Louis Seiller Radio France
    Giorgia Meloni en a fait l’un des symboles de sa politique contre l’immigration. Depuis quelques mois, l’Italie construit des camps de rétention de migrants de l’autre côté de l’Adriatique, en Albanie. Opérés par les autorités italiennes elles-mêmes, ces centres pourraient accueillir chaque année 36 000 personnes, secourues en mer, le temps que leurs demandes d’asile soient étudiées. Un projet soutenu par le Premier ministre albanais mais qui ne fait pas l’unanimité sur place.
    Le bruit des tractopelles résonne en continu dans le modeste village de Gjadër, situé à 80 km au nord de Tirana. Le centre de rétention pour migrants que Giorgia Meloni fait construire à côté de chez eux inquiète les habitants. « Personne ne nous a demandé notre avis pour ces camps, explique Armando, 31 ans. L’État décide tout seul, et il se fiche de l’avis du peuple. Mais nous, qu’est-ce qu’on a à gagner avec ces camps ? Et l’Italie n’a pas de terrains chez elle ? Elle en a plein ! »
    Vingt kilomètres plus au sud, sur la mer Adriatique, des préfabriqués gris protégés par des grilles métalliques ont été installés dans le port de Shëngjin. Les restaurateurs de cette cité balnéaire sont largement opposés au projet, mais personne ne critique les choix du tout-puissant Premier ministre albanais. Edi Rama a mis en avant une « dette » de son pays : il y a 30 ans, l’Italie avait accueilli des centaines de milliers de réfugiés Albanais, comme Besnik Sulaj, 63 ans.
    Aujourd’hui, il tient un hôtel près du port : « Quand je vois les réfugiés aujourd’hui, je pense à ma vie et quand je suis arrivé en Italie en 1993. Des années difficiles, je ne savais pas la langue, rien. Je n’avais pas à manger, rien. Et des Italiens m’ont aidé. Je n’ai pas de problème avec l’arrivée de ces réfugiés : nous les Albanais on ne fait pas de divisions religieuses, et on n’est pas racistes. On accueille tous les immigrés ! »
    De nombreuses questions techniques et juridiques entourent le projet de la cheffe du gouvernement italien, et son coût pourrait dépasser les 650 millions d’euros. Côté albanais, l’activiste Arlinda Lleshi a organisé des manifestations pour dénoncer la perte de souveraineté de son pays : « Envoyer ces personnes chez nous, c’est de la pure propagande électorale. Mais pourquoi devrions-nous accepter que l’Albanie soit toujours un vassal des pays étrangers et faire le jeu d’une responsable politique qui veut rester au pouvoir ? C’est un accord qui n’a pas de sens et dont nous n’avons aucun intérêt à tirer. » Selon de nombreux experts, cette délocalisation en Albanie des centres de rétention italiens ne respecte pas le droit européen. Mais une quinzaine d’États membres ont déjà proposé de multiplier ce type d’accord.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#asile#migration irreguliere#centrederetention#politiquemigratoire#UE#sante

  • Quando l’Italia scoprì i naufragi dei migranti

    Marzo 1997. Il mare di mezzo subisce le politiche repressive dell’Italia per chiudere i confini. La tragedia della #Kater_i_Rades si inserisce in una storia secolare di migrazione nell’Adriatico.

    Tutto sembra iniziare e finire con una polaroid. Agosto 1991, porto di Bari. Un peschereccio ha lanciato l’allarme alla Guardia Costiera di Brindisi:

    «C’è una nave stracarica di persone, viene verso l’Italia». «Quanti saranno?», chiede il controllo. «Una marea», risponde il peschereccio. La nave era la #Vlora, appena tornata in Albania dopo aver scaricato zucchero a Cuba.

    Il comandante della nave #Halim_Milaqi raccontò dell’assalto della folla di disperati allo sbando dopo la caduta del regime comunista, raccontò di essere stato costretto a levare l’ancora dal porto di Valona e a far rotta verso l’Italia.

    Il viceprefetto di Brindisi, #Bruno_Pezzuto, decise di dirottare la nave Vlora con i suoi ventimila passeggeri verso il porto di #Bari, pensando che le ore necessarie a un’imbarcazione così carica e lenta per raggiungere il capoluogo regionale potessero aiutare a organizzare soccorsi. Il resto è storia: lo sbarco sul molo troppo piccolo, ma più lontano dalla città; migliaia di persone ammassate allo #Stadio_della_Vittoria; i rimpatri; le tensioni tra l’amministrazione cittadina del capoluogo pugliese e il governo di Roma.

    Come se tutto quello che è accaduto, l’8 agosto 1991, fosse una sorta di trailer di quella che sarebbe diventata la narrazione tossica sulle migrazioni in Italia nei trent’anni seguenti. Una folla di senza nome, un affresco minaccioso, l’impressione dell’invasione. E delle frontiere che diventano letali.

    Il primo respingimento

    Ancora Italia-Albania, ancora lo stesso Adriatico, ma siamo nel 1997, il 28 marzo alle 18:57 per la precisione.

    La Kater i Rades, una motovedetta di piccole dimensioni, si dirige verso l’Italia. È carica di uomini, donne e bambini. In fuga dalle violenze che sono esplose in Albania dopo il crollo delle piramidi finanziarie che hanno messo sul lastrico tante famiglie.

    In Italia il dibattito politico è veemente: si teme un’altra “invasione” di migranti dall’Albania, il governo è sotto pressione e rafforza il pattugliamento nelle acque tra i due Stati. La Marina adotta anche manovre intenzionali per disturbare e interdire la navigazione di altri natanti civili.

    Una corvetta della Marina militare italiana, la Sibilla, avvista l’imbarcazione e inizia le manovre di “dissuasione”. Insegue la Kater i Rades, le gira intorno, la avvicina. Troppo. La tocca a poppa e in pochi minuti l’imbarcazione cola a picco nel Canale d’Otranto. I superstiti furono solo 34, i morti 57, in gran parte donne e bambini, 24 corpi non verranno mai ritrovati.

    Il processo per accertare le responsabilità dell’accaduto è molto lungo e alla fine gli unici responsabili del disastro risultano essere il comandante della Sibilla e l’uomo al timone della Kater.

    «Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l’esito delle politiche di respingimento e dell’isteria istituzionale che le ha prodotte. Non solo perché i termini della questione oggi sono i medesimi. Non solo perché, con totale cinismo o somma indifferenza, una forza politica di governo continua a parlare di blocchi navali nel Mediterraneo. Il naufragio della Kater i Rades è una pietra di paragone, perché, a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, è possibile raccontarlo», scrisse Alessandro Leogrande, nel suo libro inchiesta Il Naufragio, raccontando quello che viene ormai ricordato come la prima delle cosiddette tragedie del mare.

    Indietro nei secoli

    Eppure l’Adriatico è stato per secoli una rotta di migrazioni, del passato e del presente.

    La prima migrazione di massa è probabilmente sulla stessa rotta: ancora Albania-Italia. Tra il XV e il XVII secolo, provenienti da quelle regioni note come Epiro (oggi a cavallo tra Albania e Grecia), centinaia di migliaia di profughi si stabilirono in Italia. Dopo la caduta della resistenza all’avanzata dell’Impero ottomano, con la morte del comandante supremo Skanderbeg (l’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota, morto nel 1468 combattendo gli ottomani, ndr), i civili che non volevano finire sotto l’egida del Sultano fuggirono verso la Puglia, passando l’Adriatico, fermandosi o continuando il loro viaggio fino a Calabria e Sicilia. Qui, dopo secoli, ancora oggi, conservano lingua e tradizioni dei loro antenati.

    E poi, durante la Guerra Fredda, piccole imbarcazioni di pescatori si mettevano al servizio – dietro compenso – di “viaggi” da una parte all’altra del confine tra Italia e Jugoslavia, in un senso e nell’altro. Verso le coste italiane fuggivano i nemici del socialismo e cioè nazionalisti, soprattutto croati, che volevano evitare i processi per aver collaborato con nazisti e fascisti. In Jugoslavia, invece, passavano militanti di sinistra italiani, ex partigiani che non avevano lasciato le armi o esponenti di movimenti extraparlamentari, che cercavano protezione o proseguivano verso l’allora Cecoslovacchia.

    Perché l’Adriatico, da sempre, per vicinanza e navigabilità, è una rotta quasi naturale dei movimenti umani, legali e illegali.

    Fino a pochi anni fa soltanto, ad esempio, una delle rotte migratorie più comuni era legata al porto greco di Patrasso. Migliaia di persone, che arrivavano in Grecia dal confine con la Turchia, per la maggior parte provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan, finivano in un accampamento informale all’ingresso del porto della città greca, vivendo in una tendopoli che ormai aveva assunto le dimensioni di una città fantasma.

    Bar e barbieri, piccoli ristoranti, negozi erano spuntati in tutto l’accampamento che arrivò a ospitare fino a duemila persone. Tendenzialmente tollerati dalle autorità e dai residenti, lentamente, vissero sulla loro pelle il cambio di narrazione sulle migrazioni, l’emergere dell’estrema destra (in particolare il movimento Alba Dorata), l’esasperazione dei residenti.

    Le tensioni aumentavano, ma decine di ragazzi continuavano a provare a partire, sempre nello stesso modo: aspettavano i camion che facevano manovra per entrare nel porto di Patrasso, provavano ad aprire il rimorchio e ci saltavano dentro. A volte riuscivano, altre no.

    Come nel caso di S.J., un migrante afghano di 24 anni, trovato morto nel garage del traghetto Cruise Europa della Minoan Lines il 6 settembre 2009, in rotta da Patrasso ad Ancona. Gli venne trovata in tasca una domanda per lo status di rifugiato politico in Grecia. L’autopsia stabilì che il giovane era morto per asfissia nella stiva, dove venne calcolato che la temperatura avesse raggiunto i 50 gradi percepiti. Nessuno ha mai tenuto il conto di quanti S.J. non ce l’hanno fatta.

    Pochi mesi prima, c’era stato il primo sgombero violento del campo, che si era poi ricostituito in più campi di dimensioni inferiori, ma che andarono incontro negli anni successivi allo stesso destino.

    La rotta adriatica

    Oggi quella rotta ha numeri poco significativi, ma ancora vengono registrati arrivi provenienti dai porti greci e albanesi a Bari, Brindisi, Ancona e Venezia.

    Una segnalazione di Global Initiative Against Transnational Organized Crime, ad esempio, raccontava nel 2021 come l’Albania fosse una base di partenza, ma non più per la popolazione locale.

    Il 9 gennaio 2021 un’imbarcazione con 55 migranti provenienti da Siria, Iran ed Egitto – tra cui donne e bambini – vennero salvati in mare al largo delle coste dell’Albania. Il motoscafo su cui viaggiavano, partito da Valona, ​​in Albania, era diretto in Italia e si era rotto. I piloti erano fuggiti e la barca andava alla deriva e perdeva carburante.

    La stessa segnalazione analizzava anche altri viaggi, che cominciano sulle coste sia dell’Albania sia del vicino Montenegro, ma con una modalità diversa rispetto al passato: non più grandi imbarcazioni, non più nascosti nei traghetti. Ma piccole barche, a volte addirittura a vela (facilmente scambiabili per imbarcazioni da turismo) per piccoli gruppi. Che potevano pagare cifre molto alte in cambio di un viaggio più sicuro.

    Il naufragio di Steccato di Cutro, che ha fatto almeno 180 vittime nel febbraio 2023, è il risultato di un viaggio simile. Il caicco inabissatosi, però, era partito dalla Turchia ed era diretto in Calabria. Un’ipotesi è che abbia evitato l’Adriatico perché, secondo le testimonianze di alcuni migranti e le informazioni fornite da una fonte di IrpiMedia, i trafficanti lo considerano troppo pattugliato, molto più delle coste calabresi.

    Oggi in alto Adriatico, la rotta migratoria più battuta è quella via terra. Ogni giorno, nel piazzale principale della stazione ferroviaria di Trieste, si possono incontrare le persone in viaggio sulla cosiddetta Rotta balcanica. Si calcola che siano state decine di migliaia le persone arrivate via terra dal 2015, con un incremento negli ultimi anni.

    Rispetto alle migrazioni via mare, invece, le novità degli ultimi anni in Adriatico, sono legate soprattutto a rotte di “ritorno”. Sempre più spesso, alle navi delle Ong che salvano in mare persone dalla rotta del Mediterraneo centrale, vengono assegnati porti in Adriatico, per ordine del governo italiano. Rispetto a questa pratica, dovuta alla nuova normativa italiana, le ong hanno emesso un comunicato congiunto nel quale accusano l’esecutivo di Roma.

    «Nel 2023, le navi di soccorso delle Ong sono state costrette a percorrere più di 150.500 km in più per raggiungere porti lontani, il che equivale a fare più di tre volte e mezzo il giro del mondo. Ciò significa centinaia di giorni trascorsi lontano dall’area di ricerca e soccorso, dove la vita delle persone è a rischio», denunciano le organizzazioni firmatarie.

    L’ultimo accordo

    C’è un’ultima polaroid che rischia di essere scattata, questa volta dall’altro lato dell’Adriatico. Rappresenta due centri di detenzione in territorio albanese per le persone migranti intercettate o soccorse in mare dalle navi italiane. Nel novembre 2023, infatti, l’Italia ha siglato un accordo con l’Albania che porterà alla nascita in territorio albanese di «strutture per effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio dei migranti non aventi diritto all’ingresso e alla permanenza nel territorio italiano».

    Secondo Amnesty International, l’accordo rappresenta una «violazione degli standard internazionali di ricerca e soccorso, riversa sofferenze aggiuntive su persone appena salvate dal mare, spesso traumatizzate per aver appena assistito all’annegamento di altre persone o bisognose di assistenza urgente» e mette «a rischio numerose vite umane».

    L’intesa tra i presidenti Giorgia Meloni e Edi Rama vale almeno 65 milioni di euro, il prezzo per la sola costruzione degli edifici, a cui vanno ovviamente aggiunti i costi di gestione, a carico sempre dello Stato italiano.

    Nel maggio 2024, mentre in Italia infuriavano le polemiche sui costi di queste strutture in rapporti ai reali risultati che dovrebbero raggiungere, in Albania la costruzione del centro per l’arrivo dei migranti via mare, nel porto della cittadina di Shëngjin, era praticamente conclusa, mentre quella del centro di detenzione nella località interna di Gjader, era ancora molto indietro.

    Ciò nonostante, nel corso di una visita in Albania il 5 giugno 2024, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che «il complesso dei due centri per migranti in Albania sarà operativo dal primo agosto 2024». È un cerchio che sembra chiudersi, ancora una volta, a scapito dei diritti e delle vite umane.

    Gli impatti

    Decine di scatti, decine di movimenti tra le sponde, di traffici legali e illegali e di migrazioni. Movimenti che hanno avuto e hanno sempre un impatto, da entrambi i lati. Ci sono gli impatti sulle storie personali, quelle di chi è riuscito ad avere una nuova vita, di chi non è arrivato, di chi è arrivato e ha trovato altro.

    Come Hyso Telharaj, arrivato in Italia dall’Albania nel 1999 e ucciso pochi mesi dopo per essersi rifiutato di piegarsi ai caporali delle campagne pugliesi dove lavorava come bracciante.

    Ci sono poi impatti più ampi, la cui concretezza si può notare dopo giorni, mesi, anni. È l’impatto dei flussi economici provenienti dai traffici, che attraversano il mare di mezzo. Non c’è una mappa che descrive questi impatti: ci sono collegamenti, passaggi di denaro tra una città e un’altra, operazioni che svelano sistemi che vanno ben oltre i confini nazionali. Sono flussi che, a differenza di quelli di persone, non creano allarme sociale, ma creano cambiamenti reali, più o meno visibili.

    Ci sono i soldi del contrabbando di sigarette, che hanno avuto un impatto locale, garantendo un reddito a migliaia di pugliesi, e un impatto internazionale, con enormi quantità di denaro drenate verso i paradisi fiscali.

    E poi ci sono i traffici di stupefacenti che, attraverso il riciclaggio dei proventi in attività immobiliari e turistiche, hanno cambiato il volto di porzioni di costa su entrambe le sponde dell’Adriatico. Non solo. In Albania, hanno anche contribuito a falsare l’economia e a far salire i prezzi, a danno di chi in certi affari illegali non è coinvolto, ma ne paga comunque le conseguenze.

    Vale anche per i rifiuti tossici e le armi, che hanno avuto impatti devastanti sulla salute e anche sulla stessa vita degli abitanti dei luoghi di destinazione di questi flussi di merci illegali.

    L’Adriatico è una frontiera dove, fin dai tempi degli Imperi del Quattrocento, c’è una continua commistione tra interessi criminali ed economie legali. La globalizzazione ha accorciato le distanze del mondo ma ancora oggi non c’è nessuna cerniera che tiene insieme mondi diversi in uno spazio così ridotto: Oriente e Occidente; Europa dentro l’Unione europea, ed Europa fuori dall’Unione europea. Tutti bagnati dallo stesso mare di mezzo.

    https://irpimedia.irpi.eu/adriaticocriminale-naufragi-migranti-vlora-kater-i-rades

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    • Il naufragio. Morte nel Mediterraneo

      «Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l’esito delle politiche di respingimento e dell’isteria istituzionale che le ha prodotte. Non solo perché i termini della questione oggi sono i medesimi. Non solo perché, con totale cinismo o somma indifferenza, una forza politica di governo continua a parlare di blocchi navali nel Mediterraneo. Il naufragio della Kater i Rades è una pietra di paragone, perché, a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, è possibile raccontarlo.»

      Alle 18.57 del 28 marzo 1997 una piccola motovedetta albanese stracarica di immigrati, la Kater i Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana, la Sibilla. In pochi minuti l’imbarcazione cola a picco nel Canale d’Otranto. È la sera del Venerdì Santo. I superstiti sono solo 34, i morti 57, in gran parte donne e bambini, 24 corpi non verranno mai ritrovati. È uno dei peggiori naufragi avvenuti nel Mediterraneo negli ultimi vent’anni. Ma soprattutto è la più grande tragedia del mare prodotta dalle politiche di respingimento. La guerra civile albanese, che infuria da settimane, spinge migliaia di uomini, donne e bambini a partire verso le coste italiane in cerca della salvezza. La crisi del paese balcanico fa paura. In molti in Italia alimentano il terrore dell’invasione e prospettano la necessità del blocco navale. Così, tre giorni prima del naufragio, il governo italiano vara delle misure di controllo e pattugliamento nelle acque tra i due Stati che prevedono anche il ricorso a procedure di «harassment», ovvero «azioni cinematiche di disturbo e di interdizione». Prima dello scontro, la Sibilla insegue la Kater i Rades per un tempo che agli uomini e alle donne sulla carretta appare incredibilmente lungo. Il processo per accertare le responsabilità dell’accaduto è lunghissimo. Le indagini vengono ostacolate e intralciate, alcune prove scompaiono o non vengono mai recuperate. Alla fine, gli unici responsabili del disastro risultano essere il comandante della Sibilla e l’uomo al timone della Kater. Intanto in Albania, i sopravvissuti e i parenti delle vittime creano un comitato per ottenere giustizia. Alessandro Leogrande ha indagato a lungo sul naufragio del Venerdì Santo: ha incontrato i sopravvissuti e i parenti delle vittime, i militari, gli avvocati, gli attivisti delle associazioni antirazziste e ha girato per le città e i villaggi dell’Albania da cui sono partiti i migranti.

      https://www.feltrinellieditore.it/opera/il-naufragio

      #livre #Alessandro_Leogrande

  • Le futur centre de rétention pour migrants voulu par Meloni en Albanie soulève des critiques
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/06/06/le-futur-centre-de-retention-pour-migrants-voulu-par-meloni-en-albanie-soule

    Le futur centre de rétention pour migrants voulu par Meloni en Albanie soulève des critiques
    Par Allan Kaval (Rome, correspondant)
    Pour conclure la campagne des élections européennes, la présidente du conseil italien, Giorgia Meloni, a choisi de se rendre en Albanie, alliée fidèle dans la mise en œuvre de la politique migratoire pensée par la dirigeante nationale-conservatrice. Dans le nord du pays, mercredi 5 juin, elle a visité avec son homologue italophone et italophile, Edi Rama, le lieu où doit sortir de terre l’un de ses grands desseins : l’installation en territoire albanais de structures de traitement des procédures d’asile, projet sur lequel elle a misé beaucoup politiquement. La cheffe de l’exécutif s’est ainsi rendue dans le futur centre d’identification du port de Shengjin et sur le chantier du centre de rétention de Gjadër, situé à 20 kilomètres à l’intérieur des terres, où doivent être retenus à l’avenir des migrants en attente de l’approbation de leurs demandes d’asile ou de leur expulsion.
    Le projet albanais de Mme Meloni a fait l’objet d’un protocole d’accord entre Rome et Tirana signé en novembre 2023 pour une durée de cinq ans. Le texte prévoit que des migrants secourus en mer par des navires italiens soient transférés vers l’Albanie, où ils verront leurs demandes d’asile étudiées. Pour la présidente du conseil, l’enjeu est de normaliser une logique d’externalisation de l’asile, qui gagne déjà en popularité au sein des exécutifs européens. Son projet voit d’ailleurs le jour au moment où, en dehors de l’Union européenne, le gouvernement conservateur britannique de Rishi Sunak s’apprête à mettre en œuvre un arrangement allant en ce sens avec le Rwanda.
    Mme Meloni, très proche du premier ministre britannique, a décrit mercredi son accord avec le gouvernement albanais comme ouvrant une « phase nouvelle » dans la gestion de la question migratoire. Selon elle, il « pourrait être reproduit dans de nombreux pays » et « pourrait devenir une partie de la solution structurelle de l’Union européenne ». De fait, dans une lettre adressée à la Commission fin avril, quinze États européens ont appelé à s’inspirer du protocole passé entre l’Italie et l’Albanie.
    Aussi séduisantes soient-elles pour les partisans d’un durcissement de la politique migratoire européenne, les apparences radicales de l’accord passé entre Rome et Tirana masquent une réalité complexe. Contrairement au protocole signé par le Royaume-Uni et le Rwanda, l’Italie ne prévoit nullement de céder à l’Albanie ses responsabilités en matière d’asile. Les sites de Shengjin et Gjadër seront des emprises italiennes, opérées et gardées par des fonctionnaires italiens et où s’appliquera le droit italien. Si leurs demandes d’asile sont retenues, les personnes qui y seront passées pourront se rendre en Italie. S’ils doivent être expulsés, les expulsions auront également lieu après un transfert par le territoire italien.
    En découlent des coûts considérables. Les audiences des demandeurs d’asile devront se faire à distance, ce qui implique des investissements techniques particuliers. Lorsque cela ne sera pas possible, il faudra payer le voyage aux avocats et interprètes. Les forces de l’ordre albanaises devront être dédommagées pour la surveillance externe, les policiers et les carabiniers italiens détachés sur place devront être indemnisés, logés, nourris. S’ajoute à cela, et entre autres dépenses, les coûts du transport naval entre la zone de sauvetage et l’Albanie, puis les allers-retours entre l’Albanie et l’Italie. Un rapport technique du ministère de l’économie datant de février prévoit un coût total de 650 millions d’euros pour les cinq années couvertes par le protocole.
    De nombreuses questions techniques restent par ailleurs en suspens. La procédure accélérée d’asile qui sera en vigueur dans les structures italiennes en Albanie ne concerne que des hommes adultes originaires de pays considérés comme sûrs par l’Italie. Cela implique qu’une sélection difficilement réalisable en mer soit faite avant le transbordement d’un bateau allant en Italie vers un autre allant en Albanie. En résulteront des risques en matière de sécurité, et la possibilité que des familles soient séparées. Par ailleurs, les personnes qui se seraient vues refuser leurs demandes d’asile et dont les pays d’origine n’ont pas d’accord d’expulsion avec l’Italie ne pourront pas rester indéfiniment en Albanie. Elles devront être orientées vers des centres de rétention en territoire italien et en sortiront libres une fois la durée maximale de séjour atteinte.
    Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Quinze pays de l’Union européenne réclament l’externalisation des demandeurs d’asile
    Initialement prévue pour le 20 mai, l’ouverture des centres a été annoncée mercredi pour le 1er août par Mme Meloni. Le projet est cependant vivement critiqué par l’opposition italienne. « C’est une gabegie de fonds à seules fins de propagande », juge ainsi Lia Quartapelle, députée du Parti démocrate (PD, centre gauche). Côté albanais, le premier ministre socialiste Edi Rama a obtenu l’adoption de l’accord sans difficulté, même si ses alliés européens lui reprochent sa totale disponibilité vis-à-vis d’une dirigeante de droite radicale. Il conteste toujours l’existence d’une compensation financière italienne, présentant ce protocole un « accord du cœur », fruit de la simple reconnaissance de Tirana pour l’accueil qu’ont connu les milliers d’exilés albanais en Italie dans les années 1990. En février, Rome a toutefois subitement accepté de signer un accord pour reconnaître les droits à la retraite de plus de 500 000 Albanais travaillant en Italie.

    #Covid-19#migrant#migration#italie#albanie#asile#droit#sante#expulsion#externalisation

  • Zëri i Shqipërisë. L’accordo Italia-Albania, visto dagli albanesi

    Il 6 novembre 2023 la premier Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama presentano il protocollo d’intesa bilaterale in materia di gestione dei flussi migratori.

    Come si può guardare a questo accordo da un’altra prospettiva, quella della popolazione e della società civile albanese?
    Per capirlo abbiamo deciso di partire per l’Albania e ascoltare cosa aveva da dire chi vive sul territorio.

    Racconteremo il nostro viaggio in due episodi.

    In questo ascolterete i sopralluoghi a #Shëngjin e #Gjadër (dove sono in costruzione rispettivamente l’hotspot e il Centro di Permanenza per il Rimpatrio) e le interviste a:

    Dorian Pali, avvocato residente nel Comune di Lezhë, dove ricadono entrambe le località in cui verranno costruiti i centri detentivi italiani. Quando lo incontriamo ci parla di come si sente, in qualità di albanese e residente locale, al pensiero di come questo accordo impatterà sulla vita e le aspirazioni delle persone coinvolte.
    «[…] per gli albanesi l’Italia all’inizio dell’inizio degli anni 90 era un sogno. E gli albanesi proprio ci volevano andare – con dei costi che poi ovviamente ci sono stati: allontanarsi dalle famiglie, eccetera. Ma c’era un sogno. Invece le persone che verranno qua.. l’Albania, non è la loro scelta».

    Gjergi Erebara, giornalista investigativo di BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) residente a Tirana.
    «Il nostro Primo Ministro è stato un richiedente asilo politico in Francia dopo essere stato malmenato da giovane. Fondamentalmente è stato picchiato perché le sue opinioni politiche, ha scritto articoli giornalistici con cui possiamo essere d’accordo o meno, ma non importa. Di fatto è stato perseguitato per le sue opinioni».

    https://www.meltingpot.org/2024/05/zeri-i-shqiperise-laccordo-italia-albania-visto-dagli-albanesi
    #audio #podcast #migrations #réfugiés #asile #Albanie #accord #Italie #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Migranti: tutti i dubbi sull’accordo Rama-Meloni
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Migranti-tutti-i-dubbi-sull-accordo-Rama-Meloni-231441

    Nonostante le incongruenze e le incertezze relative all’accordo siglato tra Roma e Tirana per l’accoglienza dei migranti in suolo albanese, e in attesa del giudizio della Corte europea, a Gjadër e Shëngjin i lavori per i due centri sono già iniziati. Siamo andati a vedere come procedono

    • Migranti : tutti i dubbi sull’accordo Rama-Meloni

      Nonostante le incongruenze e le incertezze relative all’accordo siglato tra Roma e Tirana per l’accoglienza dei migranti in suolo albanese, e in attesa del giudizio della Corte europea, a Gjadër e Shëngjin i lavori per i due centri sono già iniziati. Siamo andati a vedere come procedono

      È la Domenica della Palme quando arriviamo a Gjadër, una piccola località a 80 chilometri a nord di Tirana, dove i governi di Italia ed Albania stanno costruendo un centro di accoglienza per migranti. Un’unica e stretta via raccoglie la vita quotidiana in paese, fiancheggiata da due bar, un negozio di alimentari e un centro culturale cattolico. Quando arriviamo, la stradina è gremita da decine di persone, venute a prendere parte alla processione e alla cerimonia religiosa.

      È però un evento raro. Come tante altre città dell’Albania rurale, Gjadër non sfugge alla duplice sfida che rappresentano l’agricoltura in declino e l’emigrazione di massa, prevalentemente verso l’Italia. La mancanza di opportunità lavorative, l’acqua non potabile e spesso persino l’assenza di energia elettrica sono – secondo quanto ci riferiscono i residenti – i tratti che più caratterizzano la vita in paese.

      “Qui sono rimasti solo gli anziani. Se ci fossero ancora i giovani, [i politici] ci penserebbero due volte prima di prendere iniziative di questo genere”, ci dice con amarezza Mark, un signore sulla cinquantina mentre osserva il corteo.

      Quello a cui il residente di Gjadër fa riferimento è l’accordo italo-albanese sottoscritto dai due capi di governo il 6 novembre 2023 scorso, un “Protocollo per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria", ratificato dai rispettivi Parlamenti lo scorso febbraio e che prevede la costruzione, in Albania, di due strutture, destinate ad ospitare parte dei migranti salvati nel Mediterraneo dalle autorità italiane per il periodo necessario alla valutazione delle loro richieste di asilo.

      Un centro di prima accoglienza sarà costruito nel porto di Shëngjin, mentre il vero e proprio Centro di permanenza per rimpatri (Cpr) sorgerà qui a Gjadër, in una vecchia base aerea dismessa. “Saremo rimasti in 7mila qui, e loro vogliono portare altre 3mila persone dall’Italia. Dove li mettono, lo sanno solo loro – continua Mark con disappunto – qui non è passato nessuno a parlare con noi, neanche i deputati che abbiamo eletto”.

      Nel momento in cui gli parliamo, i lavori sono appena iniziati a meno di un chilometro di distanza. Mark ne è al corrente, così come un suo amico, che preferisce mantenere l’anonimato e lamenta in un italiano perfetto: “Qui i politici non si vedono mai, durante le campagne elettorali non vengono nemmeno a chiedere voti, ma si fanno vedere i gruppi criminali che li rappresentano. E poi fanno quello che vogliono”.
      Una questione di amicizia?

      Il sostegno reciproco all’accordo italo-albanese è stato enfatizzato da Giorgia Meloni lo scorso novembre, quando la presidente del Consiglio italiana ha definito il testo «un esempio e un modello da seguire», invitando alla collaborazione per la gestione dell’emigrazione anche i paesi che non fanno ancora parte dell’Unione Europea.

      Con un’apertura altrettanto calorosa, il Primo ministro albanese Edi Rama ha affermato che “quando l’Italia chiama, l’Albania risponde”. Pur senza entrare nel merito delle politiche europee sulla gestione dei flussi migratori, Rama ha chiarito che l’accordo non risolve interamente il problema, ma “quando la geografia diventa una maledizione”, l’Albania è pronta a offrire il proprio contributo, un’opportunità – ha detto – per ricambiare l’accoglienza italiana negli anni Novanta.

      Nel dettaglio, il Protocollo (che ha una validità di cinque anni, poi rinnovabili per altri cinque) prevede che le due strutture in costruzione a Shëngjin e Gjadër avranno una capienza massima di 3mila persone e serviranno a valutare le domande di asilo dei residenti secondo una procedura accelerata di 28 giorni al massimo, permettendo il transito di 36mila migranti all’anno sul suolo albanese. L’operazione risponde alla promessa elettorale di Meloni di ridurre gli sbarchi di migranti in Italia, che nel 2023 ha visto arrivare oltre 150mila persone.

      “L’amicizia va dimostrata nel momento del bisogno”, ci dice il deputato albanese Denis Deliu, membro del partito socialista (Ps), al potere a Tirana. Seduto in un caffè della capitale albanese, Deliu spiega che l’accordo con l’Italia “non comporta alcune spese per l’Albania”.

      La repubblica balcanica ha concesso a Roma l’uso gratuito di due terreni – uno a Gjadër e uno a Shëngjin – che saranno da considerarsi territorio italiano, come avviene per le ambasciate straniere. Il costo inizialmente stimato per il governo di Roma è di circa 650 milioni di euro per i cinque anni di validità del protocollo e la cifra comprende la costruzione e la gestione dei centri, la sorveglianza esterna affidata alle autorità albanesi, così come i costi per il personale e il trasporto da e verso l’Italia.

      Una recente puntata di Report , che ha suscitato l’ira del governo albanese e trasmessa successivamente alla pubblicazione del bando per la costruzione delle strutture emesso dal Ministero dell’Interno italiano, sostiene che la cifra sarebbe già salita. Inizialmente stimati a 30 milioni, i costi di gestione delle strutture si sarebbero ad esempio già innalzati a 39 milioni, secondo la stessa inchiesta. Il budget rimanente, secondo elaborazioni di Openpolis a partire da una relazione tecnica , finanzierà altri aspetti dell’operazione, inclusi 252 milioni destinati alle trasferte di funzionari, una spesa che sarebbe peraltro stata evitabile se i centri fossero stati costruiti in Italia (a questi vanno aggiunti 95 milioni solo per il noleggio delle navi che trasporteranno i migranti in Italia, indipendentemente dall’esito delle loro richieste di asilo).

      Le autorità albanesi, a partire dallo stesso Edi Rama, hanno regolarmente smentito qualsiasi vantaggio economico dalla partecipazione all’accordo con l’Italia. Tuttavia, durante il processo di conversione in legge del protocollo sono emersi nuovi elementi riguardo alla costruzione e gestione delle strutture.

      In particolare, all’Albania sarà affidata la gestione della sicurezza, sotto la supervisione della Polizia locale. Sono inoltre previsti lavori infrastrutturali nell’area designata per i due centri, con un investimento complessivo di 100 milioni di euro nell’arco di cinque anni. In generale, i due centri saranno di proprietà albanese e concessi in uso per la durata dell’accordo, ovvero per un massimo di dieci anni.

      Quella relativa al budget totale non è l’unica incongruenza che incombe sul progetto. Il numero complessivo di migranti che saranno trasportati in Albania è altrettanto poco chiaro. Il bando del Ministero dell’Interno prevede infatti una capienza di 1.024 persone, per un massimo di 11.000 persone all’anno, anche in caso di gestione delle domande di asilo entro i 28 giorni. Lo stesso testo indica inoltre una cifra di 34 milioni di euro per la gestione dei migranti e, considerando che la spesa giornaliera per una persona si aggira intorno ai 33 euro, sembra che il Viminale preveda di ospitare al massimo 2.822 migranti all’anno.

      Un ultimo punto problematico, infine, riguarda l’impresa italiana a cui è stata assegnata la gestione dei due futuri centri. Si tratta di “Medihospes”, una cooperativa nota in passato con il nome di “Senis Hospes” e finita nel 2015 al centro di alcune inchieste giornalistiche per via dei suoi legami con La Cascina, una società commissariata per infiltrazione mafiosa.

      "Il ministro Piantedosi spieghi perché i suoi uffici hanno assegnato la gestione di un centro per migranti in Albania per 151 milioni di euro senza gara e per lo più a una società il cui presidente del consiglio d’amministrazione, Camillo Aceto, è stato amministratore delegato della Cascina, cooperativa commissariata per infiltrazioni mafiose nell’inchiesta della procura di Roma su ’Mafia Capitale’”, ha dichiarato a inizio maggio il deputato di AVS Angelo Bonelli.
      Le critiche al progetto

      Dopo essere stato sottoscritto nel novembre 2023 e approvato dai rispettivi parlamenti nel febbraio scorso (in entrambi i casi senza dibattito), l’accordo italo-albanese ha recentemente superato anche il vaglio della Corte costituzionale albanese, a cui aveva fatto appello un gruppo di deputati dell’opposizione.

      Cinque giudici su nove hanno stabilito che l’intesa per la realizzazione dei centri di accoglienza dei migranti in Albania è «conforme» alla costituzione albanese. Secondo la Corte, l’accordo non implica modifiche del territorio nazionale né all’integrità territoriale della Repubblica d’Albania. Inoltre, si specifica che nelle aree coinvolte dall’accordo migratorio varrà la legge albanese insieme a quella italiana (in apparente contrasto con quanto detto dal Protocollo, che parla di sola giurisdizione italiana). Insomma, nonostante la sentenza abbia aperto la strada all’adozione dell’accordo, non ha dissipato i dubbi sulla legalità dell’iniziativa.

      Secondo Dorian Matlija, direttore del Centro «Res Publica» a Tirana, l’accordo comporta un abuso del principio di extraterritorialità, solitamente applicato a contesti circoscritti come le rappresentanze diplomatiche, "abitate” da funzionari di stato. Al contrario, qui si tratta di centri di accoglienza, o detenzione, dove si presuppone maggiore il rischio di incidenti e reati.

      La sentenza della Corte Costituzionale ha confermato l’accordo, ma ha evidenziato che saranno applicate entrambe le giurisdizioni, anche se nel diritto solo una può prevalere. Di fatto, Italia e Albania hanno legislazioni diverse in materia di diritto civile, penale, lavoro e famiglia.

      Matlija avverte che eventuali indagini o restrizioni sull’accesso alla giustizia e ai tribunali, quindi non solo quelle legate al diritto d’asilo, potrebbero facilmente comportare violazioni dei diritti umani. E in caso di inadempienze, sarà l’Albania a rispondere davanti a istituzioni e corti internazionali.

      Molte incertezze gravano anche sulla permanenza dei migranti in Albania, soprattutto in caso di rifiuto del diritto d’asilo e conseguente rimpatrio nei loro paesi d’origine. Diversi esperti albanesi temono che, in caso di ritardi o dispute sull’accordo, i migranti potrebbero rimanere più a lungo nel paese o tentare di fuggire dai centri di accoglienza, creando problemi di gestione in un contesto peraltro ancora permeato dall’attività delle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani.

      Un gruppo di organizzazioni della società civile albanese ha firmato una petizione contro l’accordo e ha esortato le autorità a considerare il complesso problema dell’immigrazione nel rispetto dei diritti umani e degli obblighi internazionali riguardanti la protezione delle persone in difficoltà.

      Preoccupazioni riprese anche da Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, secondo cui «le misure proposte nel protocollo aumentano in modo significativo il rischio di esporre i rifugiati, i richiedenti asilo e gli immigrati a violazioni dei diritti umani. Il trasferimento della responsabilità oltre i confini da parte di alcuni Stati incoraggia altri Stati a comportarsi allo stesso modo, rischiando di creare un effetto domino che minerebbe il sistema europeo e globale di protezione internazionale».

      A Shëngjin

      “Shëngjin non è il posto adatto per un progetto del genere. Noi viviamo di turismo durante i mesi estivi. Questo centro può creare problemi”, afferma Fabio (38 anni), che è tornato a vivere nella sua Shëngjin dopo più di 15 anni in Italia. “Sono stato anch’io straniero, ma ho visto cos’è diventata Lampedusa. Non voglio che succeda la stessa cosa qui”, prosegue questo impiegato di una municipalizzata locale.

      Sander Marashi, direttore del porto di Shëngjin, si dice tuttavia fiducioso riguardo alla piena continuità delle attività sia portuali che turistiche, nonostante l’arrivo dei migranti. “Il porto di Shëngjin – dice Marashi – è una società privata e ha come prerogativa il trasporto di merci”. Con i 4.000 metri quadrati gentilmente concessi alla parte italiana, il direttore ritiene il suo compito concluso: nessun danno, nessun beneficio. Tutto il resto è una questione politica.

      Anche alla sede del comune di Lezhë, sotto la cui competenza ricadono gli insediamenti di Shëngjin e Gjadër, il vicesindaco socialista Elson Frroku assicura che i centri per migranti non avranno alcun impatto negativo. “La cittadinanza non se ne accorgerà nemmeno. L’unica cosa che ci aspettiamo è qualche mezzo di trasporto in più sulle nostre strade”, afferma Frroku, che aggiunge: “Il nostro comune ha inoltre già esperienza in materia, con l’accoglienza dei rifugiati afghani”.

      A Shëngjin il governo albanese ha in effetti già messo in pratica un accordo simile. Nel 2021, dopo il ritorno al potere dei talebani, l’Albania ha accettato di accogliere – su richiesta degli Stati Uniti – circa 3mila afghani in fuga da Kabul. Centinaia di loro sono ancora in un resort in attesa di ottenere il visto per gli Stati Uniti.

      “Prima degli afghani, sono arrivati i dissidenti iraniani e prima ancora gli uiguri… L’Albania non ha una politica estera di lungo termine. Tutto è deciso dal Primo ministro e il suo obiettivo adesso è mostrare che l’Albania è un partner affidabile e che merita di accedere all’Unione europea”, spiega Ben Andoni, giornalista e analista politico a Tirana.

      A Shëngjin però una conseguenza concreta c’è già stata. L’apertura del centro comporterà il trasferimento di una cinquantina di pescatori e delle loro navi dal porto di Shëngjin a quello di Durazzo, 70 chilometri più a sud. “Se davvero ci sposteranno noi protesteremo. La mia famiglia vive qui. Durazzo è troppo lontana”, lamenta un giovane pescatore che preferisce rimanere anonimo.
      La Corte europea

      Sull’accordo con l’Italia pende però il giudizio della Corte di giustizia europea, che deve esprimersi sulla validità del cosiddetto «Decreto Cutro», introdotto dal governo Meloni a fine 2023 e su cui si basa l’accordo italo-albanese.

      Secondo la nuova normativa, le autorità italiane possono trattenere un richiedente asilo fino a quattro settimane a meno che questo non versi una cauzione di 5.000 euro. Il protocollo italo-albanese esclude che i richiedenti asilo possano muoversi in libertà sul territorio albanese, per cui se la Corte dovesse considerare la normativa italiana non in linea con quella europea, l’intero accordo potrebbe saltare. Nonostante questo rischio, il governo italiano ha deciso di proseguire con il progetto e a fine marzo i lavori sono iniziati nel nord dell’Albania.

      “L’accordo si fonda sul principio di detenzione degli immigrati durante la valutazione delle loro richieste di asilo, un concetto considerato inammissibile secondo il diritto europeo”, ci dice a Tirana l’attivista Arilda Lleshi. Per coloro che come lei si oppongono all’accordo in Albania, non si tratta di schierarsi politicamente né di essere a favore o contro l’immigrazione. Le loro preoccupazioni, ci spiega, riguardano le possibili ripercussioni sul territorio e sul turismo locale da un lato e, dall’altro, la questione dei diritti umani per coloro che verranno dirottati in Albania senza il proprio consenso, perdendo la propria libertà.

      “Con la complicazione derivante dalla legislazione albanese, che rende quasi impossibile l’organizzazione di un referendum, ci troviamo ora a chiederci quali siano le vie per opporci a questo accordo”, conclude Lleshi.

      Tuttavia, anche se la Corte europea dovesse esprimersi positivamente, è poco credibile che le richieste di asilo siano trattate entro 28 giorni. Secondo quanto sostenuto da Meloni, infatti, l’aspettativa di accoglienza dei migranti in Albania è di 3mila persone al mese, ma solo se le richieste verranno processate con la procedura accelerata, entro 28 giorni, applicando le norme relative alla cosiddetta procedura di frontiera, a cui il centro di accoglienza albanese è equiparato.

      Tuttavia secondo diverse organizzazioni non governative italiane, i tempi di attesa per ricevere una risposta sono solitamente di circa due anni e mezzo, di cui due solo per la prima audizione e sei mesi per la valutazione della pratica.
      Ritorno a Gjadër

      Di ritorno a Gjadër, una fila di bulldozer percorre lentamente la stretta strada che porta al piccolo centro abitato. I mezzi pesanti oltrepassano il cimitero cattolico e scompaiono dietro ad un cancello arrugginito, che segna l’ingresso della vecchia base aerea, un’area militare abbandonata nascosta tra gli alberi sulla riva occidentale del fiume Drin.

      Luigj, 62 anni, guarda con preoccupazione al via vai dei bulldozer a due passi da casa sua. “Nel 1978 il governo ha demolito la nostra casa per costruire la base aerea. Ci hanno dato un indennizzo, ma non sufficiente a ricostruire l’abitazione a due piani che avevamo”, afferma questo pastore, che ora vive in una piccola casa ad un piano con la moglie e il figlio Xhulio. Gli altri due figli sono emigrati in Italia. “È un peccato dover lasciare il proprio paese”, prosegue Luigj, con la faccia arrossata dal sole sotto al cappellino di cotone, “spero solo che faranno attenzione quando trasporteranno i migranti, perché la strada è stretta e le mie capre e pecore pascolano proprio qui vicino”.

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  • L’accordo Italia-Albania e la nuova frontiera dell’esternalizzazione
    https://www.meltingpot.org/2024/05/laccordo-italia-albania-e-la-nuova-frontiera-dellesternalizzazione

    di Kristina Millona , traduzione di Nicoletta Alessio La fine dei lavori di costruzione dei centri italiani in Albania che era stata stabilita per il 20 maggio, slitta a novembre. Ad aggiudicarsi la gestione dei centri di “accoglienza e trattenimento” nei siti di Shëngjin e Gjadër per 24 mesi è la cooperativa Medihospes che ha vinto la gara d’appalto con un’offerta di 133,8 milioni di euro (con un ribasso del 4,9%) . Negli ultimi decenni, l’esternalizzazione del controllo migratorio è diventata uno dei pilastri fondamentali delle politiche europee sui confini e il Protocollo Italia-Albania ne rappresenta una nuova preoccupante (...)

    • L’accordo Italia-Albania e la nuova frontiera dell’esternalizzazione

      I centri forse operativi a novembre. Forti le preoccupazioni sulla tutela dei diritti e la sicurezza delle persone coinvolte

      La fine dei lavori di costruzione dei centri italiani in Albania che era stata stabilita per il 20 maggio, slitta a novembre. Ad aggiudicarsi la gestione dei centri di “accoglienza e trattenimento” nei siti di Shëngjin e Gjadër per 24 mesi è la cooperativa Medihospes che ha vinto la gara d’appalto 2 con un’offerta di 133,8 milioni di euro (con un ribasso del 4,9%) 3.

      Negli ultimi decenni, l’esternalizzazione del controllo migratorio è diventata uno dei pilastri fondamentali delle politiche europee sui confini e il Protocollo Italia-Albania ne rappresenta una nuova preoccupante frontiera.

      L’accordo Rama-Meloni, annunciato il 6 novembre 2023, prevede che l’Albania ospiti piattaforme di sbarco per persone intercettate durante attraversamenti non autorizzati dei confini e soccorsi in mare dalla Guardia Costiera italiana, dalla Polizia di Frontiera e dalla Marina Militare. Secondo l’accordo, l’Albania concede due aree del suo territorio (Shëngjin e Gjadër) al governo italiano che vi edificherà due strutture ricettive. L’accordo specifica che in queste porzioni di territorio albanese si applicherà la giurisdizione italiana.

      Il centro di prima ricezione per le procedure di sbarco e identificazione verrà costruito nei pressi del porto di Shëngjin, situato a nord-ovest dell’Albania. Gli agenti di Frontex avranno qui un ufficio a disposizione, che verrà utilizzato per l’identificazione e il fotosegnalamento delle persone migranti. “Intorno al centro verrà costruito un muro di quattro metri, così che non sia visibile cosa sta accadendo all’interno“, dice una fonte all’interno del Porto di Shëngjin.

      Un’altra struttura verrà costruita più a nord a Gjadër, dove verranno trasferite tutte quelle persone ritenute, almeno in prima istanza, non vulnerabili: richiedenti asilo a cui verranno applicate le procedure di frontiera e tutti quanti non faranno domanda di asilo o le quali domande verranno ritenute inammissibili. Questi ultimi dunque, permarranno nel centro in attesa della loro espulsione dal territorio, ma non è chiaro se, prima della loro effettiva deportazione in un paese terzo, transiteranno comunque dal territorio italiano.

      “La costruzione qui a Gjadër è iniziata circa un mese fa, e il centro diventerà operativo a novembre“, ha dichiarato un guardiano della sicurezza che ha chiesto di rimanere anonimo. È la Cooperativa Medihospes 4 ad aggiudicarsi l’appalto di gestione di questa struttura 5. Un’azienda italiana già nota a cronaca e giustizia in quanto il suo presidente è stato sotto inchiesta per abuso di fondi pubblici e mala gestione di centri di detenzione per migranti. Preoccupanti inoltre anche i legami della cooperativa con altri soggetti coinvolti nell’inchiesta Mafia Capitale.

      Sulla carta, i detenuti in questi centri avranno il diritto alla difesa legale, ma potranno comunicare con i loro avvocati solo da remoto tramite mezzi audiovisivi. Erida Skëndaj, direttrice esecutiva di Albanian Helsinki Committee (AHC), ha espresso preoccupazione per il rispetto delle procedure d’asilo e l’accesso all’assistenza legale per i richiedenti asilo: “L’assistenza legale fornita a distanza può essere molto impegnativa e non aiuta i richiedenti asilo a capire molto bene il processo“. Skëndaj ha inoltre denunciato le ambiguità legali nell’accordo e ha sostenuto che la distanza creerà notevoli difficoltà anche per gli avvocati nel comprendere le richieste dei richiedenti asilo, portando a una scarsa difesa legale.

      Se la domanda d’asilo viene respinta, seguiranno procedure di deportazione in paesi terzi o nei paesi d’origine. Non ci sono informazioni disponibili su queste procedure e l’accordo non specifica quali autorità siano responsabili delle deportazioni. Rimane dunque poco chiaro cosa accadrà ai richiedenti asilo il cui status di rifugiato non viene riconosciuto.

      Secondo un rapporto pubblicato da AHC 6, il Ministero dell’Interno Albanese, insieme al Ministero per l’Europa e gli Affari Esteri in Albania, ha preparato dieci accordi di riammissione con paesi terzi di origine, come Marocco, Afghanistan, Iraq, Iran, Pakistan, Algeria, India, Egitto, Tunisia, Bangladesh. Fino ad ora, le autorità albanesi non hanno ricevuto risposta da nessuno dei paesi.

      I primi passi del Protocollo Rama-Meloni sono stati in gran parte nascosti al pubblico. “Abbiamo sentito parlare dell’accordo per la prima volta dalle notizie. Nessuno nella comunità ne sapeva nulla“, afferma Arilda Lleshi, attivista di Lezhë. Arilda sostiene che in un paese come l’Albania, con un’emigrazione straordinariamente elevata, il governo albanese dovrebbe investire di più nell’affrontare questo problema piuttosto che firmare accordi per costruire centri di detenzione.

      La mancanza di trasparenza pubblica sulle politiche di esternalizzazione è preoccupante, dato che l’esternalizzazione del controllo migratorio mina le leggi internazionali e la protezione dei rifugiati. Negli ultimi anni, l’Albania è stata al centro dell’agenda di esternalizzazione dell’UE e non solo. Alexander Downer, consulente per la UK Border Force, ha più volte insistito sull’opportunitá di costruire centri per l’elaborazione delle domande di asilo offshore e proprio l’Albania figurava tra i possibili stati partner di questa strategia 7.

      Downer ha precedentemente servito come ministro degli Affari Esteri australiano ed è l’ideatore del modello australiano, che prevede il respingimento delle imbarcazioni in arrivo e l’internamento delle persone intercettate in campi offshore. Downer in persona ha guidato le negoziazioni con Nauru e Papua Nuova Guinea per l’implementazione di tale strategia.

      Il modello di esternalizzazione australiano è stato denunciato da svariate organizzazioni per i diritti umani per le sue politiche di confine severe che equivalgono a tortura, con almeno dieci casi documentati di migranti che si sono tolti la vita mentre erano detenuti nei “centri di elaborazione offshore”.

      Nel giugno 2023, Downer ha incontrato la prima ministra italiana a Londra 8, elogiando Meloni come la promettente politica destinata a diventare il leader più significativo dell’Unione Europea. Cinque mesi dopo, i primi ministri albanese e italiano hanno annunciato la conclusione di questo controverso accordo, anche se Rama aveva precedentemente rifiutato “di trasformare l’Albania in un luogo dove i paesi ricchi stabiliranno campi per i loro rifugiati“. Il piano si è invece concretizzato con questo accordo bilaterale sulla gestione delle migrazioni, reso pubblico solo alla fine dell’anno scorso.

      Un’indagine recente sulla missione di Frontex in Albania 9 ha gettato luce su abusi sistematici, pestaggi e morti sospette di migranti. Il rapporto espone una serie di abusi contro persone migranti registrate tra dicembre 2022 e gennaio 2023. Queste violazioni sono avvenute per mano della polizia albanese, che sarà responsabile della sicurezza esterna dei centri di detenzione italiani, in presenza degli agenti di Frontex, gli stessi che saranno impiegati nel porto di Shëngjin.

      Queste testimonianze mettono preoccupantemente in discussione le salvaguardie dei diritti umani e la legittimità dei soggetti a vario titolo responsabili dei centri di detenzione istituiti dal protocollo Rama-Meloni.

      Gli esperti avvertono che la privazione della libertà durante la detenzione infliggerà danni fisici e psicologici devastanti ai richiedenti asilo e ai rifugiati imprigionati nei centri. La politica introdotta dal nuovo protocollo potrebbe portare a operazioni di soccorso caotiche, con i richiedenti asilo che potrebbero anche gettarsi in acqua per evitare lo sbarco in Albania.

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  • ACCORDO ITALIA – ALBANIA : FRA STRATIFICAZIONE COLONIALE E DEVOZIONE

    In questa puntata di Harraga abbiamo parlato di esternalizzazione della detenzione amministrativa in Albania. Sebbene sembra che la scadenza del 20 Maggio, per l’apertura di un Hotspot a #Shengin e di un #CPRI a #Ghader, stia saltando per via del passo rallentato al quale proseguono i lavori, sarà comunque in tempi molto prossimi che vedremo sorgere le ennesime strutture di reclusione per persone senza documenti europei. La gestione e la giurisdizione alla quale faranno riferimento sarà totalmente made in Italy, di fatti i bandi e gli appalti sia edili che per il dislocamento delle guardie sono stati emessi a Roma. La struttura di Ghader sarà un CPRI ossia un centro di detenzione amministrativa per richiedenti asilo provenienti da paesi cosiddetti sicuri trovati dalla marina militare italiana in acque internazionali.

    Con una compagna abbiamo tentato di fare un inquadramento di questi nuovi investimenti per delle prigioni fuori dal territorio italiano affrontato la profonda stratificazione storica e politica del rapporto tra Italia e Albania interpretabile nei termini della colonia.

    https://radioblackout.org/podcast/accordo-italia-albania-fra-stratificazione-coloniale-e-devozione

    #Albanie #colonialisme #Italie #histoire_coloniale #occupation #occupation_militaire #fascisme #expansionnisme #pétrole #résistance #dépendance #protectorat_italien #blanchité #néocolonialisme #migrations #accords #exploitation #néo-libéralisme #néo-colonialisme #call_center #soft_power #religion #télévision #OTAN #violence #migrants_albanais #invisibilisation

    #podcast #audio

    • AGGIORNAMENTI DALL’ALBANIA E L’ESTERNALIZZAZIONE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

      A inizio Giugno 2024 Giorgia Meloni si è recata in Albania dove è stata accolta – scalzando le voci di protesta locali – tra fanfare (neo)coloniali tese a ribadire come il famoso accordo Rama-Meloni – su frontiere e #CPRI – altro non sia che la punta di diamante della linea europea di delocalizzazione della detenzione e della tortura “amministrativa”; nonché la riconferma del florido stato di salute del concetto di Colonia.

      Mentre alle porte dell’Europa si dà un genocidio algoritmico mandato in mondovisione e volto al sadico perfezionamento del colonialismo di insediamento israeliano, in Albania si ritualizza simbolicamente l’utilizzo di un linguaggio coloniale che riconfermi le priorità europee in termini di brutale annientamento dell’eccedenza umana del capitalismo.

      Dire che nei CPR si tortura e che da essi si viene deportati non basta.

      I CPR sono strutture fondamentali nel garantire il perpetuarsi di un ordine coloniale alimentato – oggi, anche – da una soffocante retorica bellica sul nemico interno. Fare attenzione all’ordine di senso attraverso cui la brutalità di frontiere e detenzione si esplica sul piano geopolitico – e non solo – vuol dire però ricordarci anche come l’oppressione lungo la linea del colore incorpori un’implicita gerarchia della bianchezza dentro la quale Storia, Colonia e brutalità del capitalismo neo-liberale sono ingredienti fondamentali.

      Di tutto questo e altro abbiamo parlato in una interessante diretta con una compagna da Milano ai microfoni di Harraga.

      https://radioblackout.org/podcast/aggiornamenti-dallalbania-e-lesternalizzazione-della-detenzione-ammin

    • Proteste contro la visita della Presidente Meloni al porto di Shëngjin in Albania

      Il mito della “storica amicizia” italo-albanese altro non è che neocolonialismo

      I lavori al porto di Shëngjin sono terminati e i centri previsti dall’accordo Rama-Meloni saranno operativi dal 1° agosto 2024. La conferma è arrivata da Giorgia Meloni, che il 5 giugno 2024 si è recata sul posto per ispezionare l’hotspot appena finito.

      Nella struttura a Shëngjin, circondata da un muro alto circa 7 metri, le persone intercettate in mare verranno sbarcate e trattenute massimo 24h per lo screening sanitario, l’identificazione, il fotosegnalamento e la formalizzazione delle domande di protezione internazionale.

      A Gjadër, invece, potranno rimanere anche un mese in attesa di una decisione sulla loro domanda di asilo, che verrà sottoposta a procedura di frontiera, o eventualmente del loro rimpatrio. Questo grande CPR includerà anche un’area dedicata alla detenzione dei migranti che commettono reati all’interno del centro. La legge vigente dentro ai centri sarà italiana, così come il personale dell’ente gestore, Medihospes, e gli agenti di polizia. Il governo albanese collaborerà con le proprie forze di polizia per la sicurezza e la sorveglianza esterna delle strutture.

      A Shëngjin, insieme al primo ministro albanese Edi Rama, la Meloni ha tenuto una conferenza stampa durante la quale ha espresso solidarietà al suo “storico amico”, a suo dire ingiustamente criticato dai media italiani per aver accettato di firmare un accordo con l’Italia per l’accoglienza dei migranti, e al popolo albanese, per essere stato dipinto come un narcostato.

      Durante la conferenza stampa, Meloni e Rama hanno voluto sottolineare ancora una volta il solido rapporto di amicizia tra i due paesi.

      «Volevo dire che le nostre nazioni sono due nazioni amiche, sono nazioni che storicamente hanno collaborato insieme e vorrei ringraziare ancora una volta il primo ministro Rama e tutto il popolo albanese per aver offerto aiuto all’Italia in modo che potessimo realizzare questo accordo e vorrei che questo fosse un esempio per tutta l’Unione Europea», ha detto la presidente del Consiglio.

      Il primo ministro Rama ha aperto la conferenza dicendo: «Parlo italiano perché comunque qui siamo in territorio italiano». Ha poi dichiarato di essere orgoglioso che l’Albania possa essere di servizio all’Italia, definendo una benedizione la possibilità di essere utili al governo italiano.

      L’amicizia italo-albanese è un tropo, una formula per cambiare nome alle cose, velandone il contenuto reale: un’amicizia che è più una comunione di interessi, una relazione d’affari e che soprattutto vale solo ai vertici. Gli albanesi in Italia subiscono spesso discriminazioni, criminalizzazione e violenza di frontiera.

      Lo scorso 30 maggio, un attivista albanese in visita a Roma per parlare di ecologia e turistificazione in Albania e precisamente di questa retorica di fratellanza in relazione alla costruzione dei CPR in territorio albanese, veniva trattenuto 9 ore in una cella di isolamento a Fiumicino dopo essersi opposto al ritorno forzoso in Albania. Era infatti in possesso di tutti i requisiti di accesso al territorio italiano e dopo 9 ore di ingiustificata e discriminatoria detenzione veniva rilasciato senza scuse né spiegazioni.

      Le dichiarazioni rilasciate al porto di Shëngjin riecheggiano un periodo familiare, che gli albanesi hanno tenuto a ricordare. Mentre Rama e Meloni si scambiavano frasi amichevoli, da un edificio di fronte al porto, alcuni attivisti hanno srotolato uno striscione con scritto “7 Aprile 1939 – L’Albania è italiana- 5 Novembre 2023” e hanno diffuso la registrazione audio dell’annuncio dell’invasione dell’Albania ad opera dell’Italia fascista del 7 Aprile 1939.

      Il parallelismo é chiaro quanto la critica diretta ai due leader e al loro accordo: un’esternalizzazione dei confini italiani che viola il principio di sovranità albanese e che é l’ennesima espressione di una logica neocoloniale.

      Recentemente Fabrizio Bucci, ambasciatore italiano a Tirana, ha affermato: «L’Albania è davvero una ‘regione italiana’ dove tutti amano il nostro Paese e parlano la nostra lingua». Dichiarazioni di questo tipo riecheggiano sorprendentemente quelle degli agenti imperialisti italiani durante l’occupazione fascista e confermano il forte radicamento di questa mentalità coloniale.

      Gli attivisti albanesi a Shëngjin hanno ricordato il 7 aprile 1939, giorno in cui le truppe italiane sbarcarono sulle coste albanesi per occuparla senza alcuna formale dichiarazione di guerra. Quel giorno, i bombardieri italiani sorvolarono i cieli albanesi spargendo volantini con messaggi in albanese che recitavano: “Le truppe italiane, che sono state vostre amiche per secoli, vi hanno spesso dimostrato questa amicizia“.

      L’occupazione italiana in Albania ha lasciato profonde cicatrici nel tessuto albanese, costando migliaia di vite e aprendo la strada a regimi autoritari. L’Albania oggi presenta sintomi ben visibili di post-colonialità che sono una diretta conseguenza dell’imperialismo italiano. Basta camminare per le strade di Tirana per capire quanto sia forte e oppressiva la presenza italiana sul territorio. L’Italia è infatti il principale paese straniero per numero di imprese attive sul territorio.

      Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha impresso un’importante accelerata alla delocalizzazione delle sue imprese. Questo processo ha avuto conseguenze neocoloniali non solo sul piano economico, ma anche sfruttando la manodopera sottopagata dei cittadini albanesi. Migliaia di giovani albanesi continuano a lavorare da anni in condizioni svantaggiose nei call center italiani. Secondo i dati ufficiali di Info Mercati Esteri, nel 2021, si contavano circa 2675 aziende con capitale italiano in Albania e circa 20.000 italiani che transitavano nel paese, numeri che oggi sono ancora più alti.

      Questo rappresenta un chiaro esempio di come l’Italia sfrutti la forza lavoro in Albania, beneficiando di minori tasse, maggiori profitti e bypassando le normative europee che sarebbero invece vincolanti in Italia.

      Inoltre, per affrontare la crisi economica causata dalla pandemia, il governo albanese ha introdotto nel 2021 una serie di incentivi fiscali per sostenere le imprese. Questi incentivi includono l’azzeramento delle tasse sull’utile di impresa per le aziende con un fatturato fino a 14 milioni di Lek (circa 130 mila euro) e l’azzeramento dell’IVA per le aziende con un fatturato fino a 10 milioni di Lek (circa 80 mila euro).

      Tali politiche fiscali hanno ulteriormente attratto le aziende italiane, consolidando la loro presenza in Albania.

      L’accordo Rama-Meloni, firmato il 5 novembre 2023, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sin da subito attivisti sia in Albania che nella diaspora si sono mobilitati, con collettivi come Zanë Kolektiv (Italia), MiQ (Grecia), e Shota (Albania e Kosovo) che hanno co-scritto una dichiarazione contro la costruzione di centri di detenzione amministrativa in Albania, denunciando le tattiche neocoloniali italiane e la natura disumanizzante dei centri di detenzione amministrativa.

      La protesta del 5 giugno a Shëngjin ha visto l’arresto temporaneo dei due attivisti che tenevano lo striscione, accusati di aver incitato a partecipare a una manifestazione non autorizzata.

      Questi eventi sottolineano la determinazione degli albanesi a non rimanere più in silenzio di fronte alle politiche neocoloniali italiane. L’accordo Italia-Albania è un altro esempio di come governi extra-UE dalla scarsa legittimazione popolare si rafforzano tramite la complicità dei paesi UE a scapito dei diritti delle popolazioni locali e migranti. La pratica di delocalizzare le imprese italiane in Albania per sfruttare la manodopera locale, insieme alla costruzione di centri di detenzione e hotspot in territorio albanese per estendere la giurisdizione e gli interessi italiani, sono chiari esempi di un neocolonialismo che perpetua disuguaglianze economiche e mina la sovranità dell’Albania, nonché il grado delle libertà politiche e sociali nel paese.

      La nostra resistenza collettiva rappresenta un rifiuto chiaro e deciso di rivivere il passato coloniale sotto nuove forme.

      https://www.meltingpot.org/2024/06/proteste-contro-la-visita-della-presidente-meloni-al-porto-di-shengjin-i

  • Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/10/le-pacte-migratoire-europeen-sitot-vote-sitot-conteste_6232420_3232.html

    Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    Philippe Jacqué, Bruxelles, bureau européen
    Mardi 14 mai, le conseil des ministres de l’économie de l’Union européenne (UE) doit ratifier le pacte sur la migration et l’asile. Un mois après le vote du Parlement européen, les Etats valideront cette dizaine de textes qui doivent permettre d’harmoniser la gestion de l’arrivée des migrants aux frontières du continent. Après huit ans de négociations, l’UE disposera enfin de règles communes en matière d’enregistrement et de filtrage des demandeurs d’asile, le plus souvent à la frontière dans des centres fermés, et de leur retour dans leur pays d’origine s’ils n’obtiennent pas le statut de réfugié.
    Un système de solidarité entre les Vingt-Sept sera également organisé pour alléger la tâche des pays en première ligne comme l’Italie, l’Espagne, la Grèce, Malte et Chypre. En parallèle, la Commission européenne a multiplié les accords avec les pays du pourtour méditerranéen, comme la Tunisie, l’Egypte et dernièrement le Liban, pour qu’ils contrôlent mieux les départs de migrants, en échange de soutiens financiers.
    Le « pacte migratoire » et ces accords doivent permettre de réduire le nombre d’arrivées irrégulières en Europe. En 2023, quelque 380 000 personnes sont arrivées sur les côtes européennes, le nombre le plus élevé depuis la crise des réfugiés syriens, en 2015. Plus d’un million de personnes étaient alors arrivées sur le continent.Des chercheurs, organisations non gouvernementales et groupes politiques de gauche critiquent cette politique qui renforce l’« Europe forteresse », sans offrir pour autant assez de voies d’accès légales et sûres, qu’il s’agisse de visas d’étude, de travail, voire de visas humanitaires. Ils critiquent une approche de la question migratoire centrée sur le thème des entrées irrégulières, présentées comme une « menace » pour le continent.
    Alors que l’Europe a su accueillir près de 6 millions d’Ukrainiens, une partie du personnel politique se crispe à propos de 380 000 migrants irréguliers. Un nombre qui, rapporté aux 450 millions de citoyens européens, est nettement moins élevé qu’aux Etats-Unis (335 millions d’habitants), où 3,2 millions d’irréguliers sont arrivés en 2023. Tout débat rationnel, prenant en compte le savoir-faire européen en matière d’intégration ou l’importance démographique et économique de l’immigration, semble balayé pendant la campagne des élections européennes, qui se tiendront du 6 au 9 juin.
    Dans ce contexte électoral, le « pacte migratoire », sitôt adopté, est à la fois contesté comme trop répressif par la gauche et comme trop restrictif par la droite qui prône un nouveau durcissement. L’extrême droite n’hésite pas à demander un refoulement systématique des migrants qui tentent d’atteindre les côtes européennes, une pratique non seulement inhumaine, mais illégale. En Allemagne, le parti AfD est allé jusqu’à évoquer l’idée de « remigration », qui prévoit même d’expulser des citoyens allemands issus de l’immigration. Un concept qu’ils affirment ne plus soutenir.
    A droite, d’autres partis veulent chasser sur les terres de l’extrême droite. C’est le cas du premier parti du Parlement européen et qui devrait le rester, le Parti populaire européen (PPE, dont est membre Les Républicains), et sa tête de liste, Ursula von der Leyen, l’actuelle présidente de la Commission. Dans son manifeste électoral, le PPE propose d’externaliser vers des pays tiers dits « sûrs » le traitement des dossiers des demandeurs d’asile arrivés irrégulièrement.
    Débat intense
    L’un des modèles ultimes est la « loi sur la sûreté du Rwanda » qu’a adoptée en avril le Royaume-Uni. Londres a passé un accord avec Kigali pour lui envoyer, contre financements, des demandeurs d’asile arrivés sur ses côtes. Si le système d’asile rwandais leur accorde le statut de réfugiés, ils pourront y rester. Sinon, ils pourraient être renvoyés vers leur pays d’origine selon les règles rwandaises.
    Une telle politique est illégale au regard de la réglementation européenne actuelle. Pour renvoyer une personne dans un pays tiers, il faut que ce pays soit jugé « sûr » – c’est-à-dire qu’il respecte certaines normes en matière de droits humains – et justifier un lien, par exemple familial, entre cette personne et ce pays tiers. Un verrou juridique qui empêche la mise en place de tout système d’externalisation généralisé au niveau européen. Les groupes libéraux, sociaux-démocrates, écologistes rejettent cette idée poussée par le PPE.
    Néanmoins, au niveau des Etats, le débat est intense. Plusieurs pays, dont le Danemark, dirigé par la sociale-démocrate Mette Frederiksen, déploient d’importants efforts diplomatiques pour promouvoir des « projets innovants » de gestion de la migration. Deux tiers des Etats membres, dont le Danemark, la République tchèque, l’Autriche ou l’Italie, préparent une lettre à destination de la prochaine Commission afin d’explorer toutes les options de partenariats, voire d’externalisation, respectant les droits et les conventions actuels.
    Le modèle imaginé par l’Italie avec l’Albanie est particulièrement mis en avant. En 2023, Rome a passé un accord avec Tirana pour y rediriger les migrants sauvés par la marine italienne en Méditerranée. Alors que les ONG de défense des droits humains ont appelé la Commission à dénoncer ce projet, cette dernière n’en a rien fait, car Rome affirme que le droit applicable dans le camp d’accueil des migrants installé en Albanie sera italien, et que toute la procédure sera menée par l’Italie. Rome serait donc dans les clous du droit international. La controverse ne fait que commencer. En 2023, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés a marqué son opposition à toute externalisation en matière d’asile : « Celles-ci peuvent déclencher un effet domino et conduire à une érosion progressive de la protection internationale des réfugiés. »

    #Covid-19#migrant#migration#UE#pactemigratoire#albanie#liban#rawanda#droit#remigration#refoulement#externationalisation#refugie#HCR#sante

  • Migrant centres in Albania 20 May opening postponed

    Army engineers at work but facilities not finished.

    The opening of new Italian-run migrant centres in Albania, which was scheduled for 20 May, has been postponed, according to reports Wednesday.
    The Italian military engineers working on the Shengjin and Gjader sites, according to the agreement between Rome and Tirana, have not yet finished setting up the facilities.
    Meanwhile, the contract for the management of the facilities for 24 months was awarded to the Medihospes cooperative with a bid of 133.8 million euro.
    Italy is to set up two migrant hotspots and a centre to hold migrants awaiting repatriation for a total expenditure of almost 34 million euro a year.
    The agreement, signed by Premier Giorgia Meloni and her Albanian counterpart Edi Rama in Rome in November, provides for the reception and processing of up to 3,000 migrants and refugees rescued by Italian ships per month.
    People with special needs such as the elderly, children or pregnant women, migrants and refugees who have been rescued by NGO-run ships and people who land directly on Italian soil are to be excluded from the deal.
    Since taking office in autumn 2022 the Meloni government has been reaching out to third countries in a bid to stem irregular migration by sea to Italy, which in 2023 rose by around 50% over the previous year.
    The Italian opposition has slammed the Albania deal as creating a new Guantanamo and allegedly breaching the Italian Constitution, charges the government rejects.
    The Italian Bishops Conference (CEI) and the Council of Europe have also criticized the agreement.
    Some other EU countries have said it is a model that could be emulated, as has European Commission President Ursula von der Leyen.

    https://www.ansa.it/english/news/world/2024/05/08/migrant-centres-in-albania-20-may-opening-postponed_2ebbb364-2fdc-49ac-bdde-be4

    #migrations #externalisation
    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Beffa centri migranti. In Albania agenti pagati per sorvegliare il nulla

      In 20 in servizio dal 2 giugno: 100 euro al giorno più vitto e alloggio
      Pronta la prima struttura, ma per far partire l’altra ci vorranno mesi.

      I responsabili del cantiere del Genio dell’Aeronautica militare provano a sbarrare il passo: «Ci dispiace, senza autorizzazione qui non si può entrare». Alle loro spalle alte palizzate proteggono da occhi indiscreti l’hotspot che diventerà primo approdo dei migranti soccorsi in acque internazionali da navi militari italiane, portati qui per essere sottoposti a procedure accelerate di frontiera e rimpatrio.

      "Serve il nullaosta del ministero della difesa albanese”

      Il deputato di Avs Angelo Bonelli insiste: «Sono un parlamentare, intendo esercitare le mie prerogative ispettive in territorio dove c’è giurisdizione italiana». «Ma qui occorre il nullaosta del ministero della difesa albanese, non c’è ancora la giurisdizione italiana», replicano i militari mentre poco distante il direttore del porto Sander Marashi scuote la testa: «Dipende tutto dall’Italia da ora e per i prossimi cinque anni, è tutto scritto nelle carte».

      Il protocollo Italia-Albania

      Già, è scritto chiaramente nel protocollo Italia-Albania, ratificato con legge pubblicata sulla Gazzetta ufficiale in aprile e dunque in vigore, che nelle due aree “cedute” da Edi Rama a Giorgia Meloni per il suo progetto apripista in Europa di esternalizzazione delle richieste di asilo la giurisdizione è italiana. Ma visto che il progetto che doveva partire il 20 maggio è ancora all’anno zero, meglio provare a inventarle tutte per tenere lontano parlamentari e giornalisti. Alla fine, un paio d’ore e due telefonate dopo, toccherà all’ambasciatore italiano a Tirana Fabrizio Bucci arrampicarsi sugli specchi per sostenere che «la giurisdizione italiana comincerà solo a lavori consegnati» per poi accompagnare con estrema disponibilità Angelo Bonelli nella visita dei due centri.

      L’hotspot quasi pronto e quello neanche iniziato

      O meglio delle due aree: perché se al porto di Schëngjin l’hotspot è quasi pronto, trenta chilometri più all’interno, nell’area militare di Gjader, ruspe e camion sono ancora alle prese con complicatissime e impreviste operazioni di sbancamento del terreno che ha presentato grossi problemi di natura geotecnica. «Non siamo in grado di dire quanto tempo ci vorrà», spiegano i tecnici. Novembre, come sembra suggerire la scadenza per la consegna dei lavori? «Dobbiamo fare le cose per bene, la sicurezza innanzitutto, ma spero prima», sottolinea l’ambasciatore Bucci.

      Dal 2 giugno gli agenti dall’Italia a sorvegliare il nulla

      Certo è che fino a quando a Gjader non saranno montati i prefabbricati che daranno forma al centro di trattenimento per richiedenti asilo, al Cpr e al piccolo carcere da 24 posti, l’hotspot di Schëngjin rimarrà chiuso. E il progetto dunque di certo non partirà prima di diversi mesi. E dal 2 giugno verranno mandati 20 agenti di polizia italiani per vigilare sulle strutture vuote: riceveranno un’indennità di 100 euro al giorno più vitto e alloggio in hotel.

      L’appalto alle società al centro di inchieste giudiziarie

      Telecamere ovunque, chiuso da recinzioni in lamiera alte tre metri, moduli a un piano per ospitare infermeria, ufficio per le identificazioni, stanzetta per l’attesa, l’hotspot di Schëngjin attende solo gli arredi interni. Niente posti letto, qui i migranti (solo uomini maggiorenni) rimarranno solo poche ore prima di essere trasportati in bus nel centro di reclusione di Gjader: 70.000 metri quadri in area militare, divisi per blocchi nelle strutture prefabbricate che il ministero della Difesa, con un appalto di cui non ce alcuna evidenza pubblica, ha affidato — per una cifra di poco superiore ai 6 milioni di euro — alla Rigroup, società leccese dell’imprenditore Salvatore Tafuro già finita al centro di un’inchiesta giudiziaria così come la Medihospes, il colosso dell’accoglienza a cui è stata affidata la gestione dei servizi ai migranti. Come ha scoperto Report, che tornerà sui centri in Albania nella puntata del 2 giugno, la Rigroup è finita a giudizio per turbativa d’asta in un’indagine del 2018 per la realizzazione del Cie di Foggia in cui alti ufficiali dell’aeronautica furono accusati di corruzione. La vicenda finì con un patteggiamento e Tafuro si liberò dalle accuse grazie all’intervento della prescrizione.
      "L’enorme spreco di risorse pubbliche”

      «Quando inizierà l’operatività di questi centri nessuno sa dirlo, da quello che abbiamo visto con i nostri occhi è evidente che ci vorranno mesi», dice Bonelli, «e nel frattempo siamo di fronte ad uno spreco enorme di risorse pubbliche che sfiora il miliardo di euro peraltro in violazione della legge».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/28/news/beffa_centri_migranti_in_albania_agenti_pagati_per_sorvegliare_il_nulla-4

  • Migranti, la nuova mossa del governo per i rimpatri : ampliata la lista dei Paesi sicuri. E scoppia la polemica

    Nei centri in Albania anche chi arriva da Bangladesh, Sri Lanka, Egitto e Camerun. Albano: “I giudici dovranno verificare se sono davvero luoghi non pericolosi”

    Un tassello dietro l’altro il governo prova a riempire la cornice dell’ancora vuoto progetto Albania nel tentativo di non farlo fallire prima del tempo. E così, dopo l’assegnazione dell’appalto da 133 milioni di euro per la gestione dei centri al colosso dell’accoglienza Medihospes del discusso Camillo Aceto, oggi un decreto ministeriale della Farnesina pubblicato in gazzetta ufficiale come d’incanto fa lievitare la lista dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli – per intenderci – in cui potranno essere rimpatriati con le procedure accelerate di frontiera i migranti soccorsi nel Mediterraneo che da lì provengono.

    La lista, fino a ieri composta da 15 paesi, ne contiene ora ben 21: tra i sei nuovi ingressi alcuni Paesi d’origine di un numero consistente di migranti che arrivano in Italia via mare. Innanzitutto il Bangladesh, ma anche Sri Lanka, Camerun ed Egitto, a cui di aggiungono due Paesi sudamericani, Colombia e Perù da cui, in aereo, arrivano in Italia ogni anno migliaia di persone che poi chiedono asilo.

    Il Bangladesh , cosi come già l’anno scorso, è in cima alla lista dei Paesi d’origine dei migranti che arrivano in Italia grazie ad una triangolazione dall’Africa che riescono a raggiungere in aereo: 3425 quelli sbarcati nei primi 4 mesi del 2024, più di 1000 gli egiziani.

    Numeri consistenti che adesso, con il loro inserimento nella lista dei Paesi sicuri, consentiranno alle autorità italiane di portarli direttamente nei centri albanesi in attesa del probabile rimpatrio nel caso in cui la loro richiesta di asilo(come avviene nella maggior parte dei casi) dovesse essere respinta. Nel 2023 sono stati più di 12.000 gli arrivi dal Bangladesh e 11.000 dall’Egitto.

    I giudici della sezione immigrazione nutrono forti perplessità sul fatto che alcuni dei paesi inclusi nell’elenco, su tutti l’Egitto, possano essere considerati sicuri. La presidente di Magistratura democratica, Silvia Albano, spiega: “Il decreto ministeriale è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria”; quindi “i giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/08/news/migranti_governo_lista_paesi_sicuri-422867888

    #pays_sûrs #liste #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #externalisation #renvois #expulsions

    #Bangladesh #Sri-Lanka #Cameroun #Egypte #Colombie #Pérou

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais... :
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Migration : les États membres s’efforcent de transférer les procédures d’immigration à des États non membres de l’UE

    Un groupe d’États membres de l’UE, emmené par la #République_tchèque et le #Danemark, prépare une #lettre à la #Commission_européenne demandant que les migrants qui tentent d’atteindre l’UE soient transférés vers des États tiers sélectionnés avant d’atteindre les #côtes de l’Union — une procédure qui, selon les experts, risque d’être difficile à appliquer dans le cadre de la législation européenne actuelle sur l’immigration.

    Selon la lettre obtenue par les journaux tchèques, les signataires appellent à la conclusion d’#accords avec des pays tiers vers lesquels les États membres de l’UE pourraient envoyer les migrants interceptés en mer. L’ensemble de l’UE pourrait alors adopter un modèle similaire à celui conclu en novembre 2023 entre l’#Italie et l’#Albanie.

    « Là, une solution permanente pourrait être trouvée pour eux », peut-on lire dans la lettre, comme le rapporte le journal Hospodářské noviny.

    Selon ce plan, les migrants qui se dirigent vers l’Europe sans les documents nécessaires n’atteindraient même pas les côtes de l’UE, peut-on également lire dans la lettre.

    Le plan prévoit également le transfert des personnes qui se trouvent déjà dans un pays de l’UE, mais qui n’y ont pas obtenu l’asile, suggérant que ces migrants pourraient être emmenés dans un pays tiers, où ils resteraient jusqu’à ce qu’ils puissent être expulsés.

    Cette lettre a été rédigée à l’initiative du Danemark et de la République tchèque, et soutenue par plusieurs États membres. Une telle approche est soutenue par la majorité des Vingt-Sept, dont les #Pays-Bas, les États baltes et l’Italie, a appris Euractiv.

    L’Italie a été le premier État membre à signer un accord bilatéral avec un pays tiers — l’Albanie — sur l’externalisation des procédures de migration.

    « L’#externalisation et la #relocalisation des demandes d’asile ont une triple fonction : lutter plus efficacement contre les organisations criminelles dédiées au #trafic_d’êtres humains, comme outil de #dissuasion contre les départs illégaux, et comme moyen de soulager la pression migratoire sur les pays de première entrée, comme l’Italie, la Grèce, l’Espagne, Chypre ou Malte », a déclaré à Euractiv Italie le sous-secrétaire d’État au ministère italien de l’Intérieur, le député de la Lega Nicola Molteni (Identité et Démocratie).

    La #Hongrie est également favorable à une externalisation, mais n’a pas encore signé la lettre. Comme l’a confié un diplomate à Euractiv République tchèque, Budapest est « toxique » et pourrait nuire à la pertinence de la lettre.

    Le débat sur l’externalisation a battu son plein peu après l’approbation par le Parlement européen du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile, et les États membres devraient formellement approuver le paquet législatif le 14 mai.

    L’externalisation des procédures d’immigration sera également abordée lors de la conférence internationale sur l’immigration qui se tiendra à Copenhague lundi (6 mai).

    « La conférence sera une bonne occasion de présenter les propositions du groupe de travail dirigé par le Danemark, avec la représentation de la majorité des États membres de l’UE, pour compléter le pacte sur la migration et l’asile après les élections européennes avec de nouvelles mesures, en particulier dans la dimension de la migration extérieure [y compris l’externalisation], basée sur un nouveau type de partenariat aussi complet », a déclaré Hana Malá, porte-parole du ministère tchèque de l’Intérieur, à Euractiv République tchèque.

    Les partenariats avec les États membres ne faisant pas partie de l’UE sont également soutenus par la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen.

    « Parallèlement à la mise en œuvre du Pacte sur les migrations, nous poursuivrons nos partenariats avec les pays d’origine et de transit afin de nous attaquer ensemble aux causes profondes des migrations », a-t-elle déclaré.

    Cependant, certains émettent des doutes quant à l’externalisation. C’est notamment le cas des libéraux français.

    Pour le député français Sacha Houlié, qui fait partie de l’aile gauche du parti majoritaire du président Emmanuel Macron, Renaissance (Renew Europe), l’externalisation des processus migratoires est aux antipodes du pacte sur la migration et l’asile adopté par le Parlement européen.

    « Envoyer des personnes dans des pays qui n’ont rien à voir avec leur pays d’origine, comme l’Albanie ou le Rwanda, pose un problème moral et éthique », a fustigé M. Houlié.

    L’externalisation de la gestion des migrations a également été qualifiée d’« inacceptable » par l’eurodéputé italien Brando Benifei, chef de la délégation du Parti démocrate (Partido Democratico, Socialistes et Démocrates européens) au sein de l’hémicycle européen.
    Critiques des ONG

    Les organisations de défense des droits de l’Homme se montrent particulièrement critiques concernant l’externalisation des procédures d’immigration, y compris l’accord italo-albanais.

    « Il est grand temps que les institutions européennes reconnaissent que l’accord entre l’Italie et l’Albanie créerait un système illégal et nuisible, auquel il faut mettre fin. Au lieu d’accroître la souffrance des individus, les autorités devraient garantir l’accès à une procédure d’asile efficace, à un accueil adéquat et à des itinéraires sûrs et réguliers », a souligné l’organisation Amnesty International en février.

    Selon l’expert en migration Vít Novotný, la proposition d’externaliser le traitement des demandes d’asile risque d’être difficile à mettre en œuvre, car les règles européennes, même dans le cadre du nouveau pacte migratoire, sont basées sur des procédures d’asile se déroulant uniquement sur le territoire de l’Union.

    « Le changement est concevable, la porte est là, mais le chemin juridique est long », a déclaré M. Novotný du Centre Wilfried Martens pour les études européennes à Euractiv République tchèque, soulignant que cette situation est encore spéculative.

    Il a expliqué que les propositions sur le retour des demandeurs déboutés pourraient être beaucoup plus faciles à obtenir un consensus et que l’initiative pourrait aider à résoudre le problème de longue date des déportations.

    Toutefois, il est essentiel de trouver des pays partenaires adéquats — un problème qui, selon M. Novotný, persiste.

    « La question est de savoir dans quelle mesure l’UE a essayé de trouver de tels pays. Il est possible qu’elle n’ait pas suffisamment essayé », a-t-il affirmé.

    « Maintenant que même l’Allemagne parle de solutions similaires, ce qui était impensable il y a seulement un an ou deux, il y a peut-être plus de chances de trouver un ou plusieurs pays de ce type. Mais pour l’instant, je ne fais que spéculer », a-t-il ajouté.

    M. Novotný a également rappelé les efforts de l’UE en 2018, lorsque le président du Conseil européen de l’époque, Donald Tusk, a déclaré que l’UE avait essayé de se mettre d’accord avec l’Égypte pour reprendre les personnes secourues en mer.

    « Et [le président Abdel Fattah] al-Sisi avait répondu très fermement à l’époque qu’il n’y avait pas moyen. Maintenant, cela se fait de manière un peu plus diplomatique, ce qui est probablement une meilleure façon de réussir », a conclu l’expert.

    https://www.euractiv.fr/section/all/news/migration-les-etats-membres-sefforcent-de-transferer-les-procedures-dimmigr

    #UE #Union_européenne #EU #asile #migrations #réfugiés #Europe #externalisation #pays_tiers

    • A Copenhague, une #conférence sur les #partenariats pour l’immigration

      Les représentants de plusieurs gouvernements européens se sont retrouvés, lundi, au Danemark, pour discuter des partenariats avec des pays tiers, dans le but de réduire l’immigration en Europe.

      La première ministre danoise, Mette Frederiksen (à gauche), avec la commissaire européenne chargée des affaires intérieures et des migrations, Ylva Johansson, lors d’une conférence internationale sur les migrations, à Copenhague, le 6 mai 2024. MADS CLAUS RASMUSSEN / AFP

      En janvier 2023, le gouvernement danois annonçait renoncer, temporairement, à sous-traiter le droit d’asile au Rwanda. A l’époque, le ministre de l’immigration et de l’intégration, Kaare Dybvad, faisait valoir que son pays souhaitait avancer avec ses partenaires européens, reconnaissant qu’une solution danoise ne réglerait pas le problème auquel faisait face l’Union européenne. « Nous nous sommes aussi rendu compte qu’après nous avoir envoyés balader, de plus en plus de pays semblaient intéressés par ce que nous avions à proposer », explique-t-on aujourd’hui au ministère.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Pacte européen sur la migration et l’asile : « Le régime d’asile actuel est inhumain par nature ; il doit être réformé en profondeur »

      Lundi 6 mai, Copenhague accueillait une conférence internationale sur l’immigration. Plus de 250 responsables politiques et représentants d’organisations internationales, dont le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, l’Organisation internationale pour les migrations ou Europol, y ont évoqué différents types de « solutions durables », sous forme de « partenariats » avec des pays tiers, destinés à endiguer les arrivées et à accélérer les retours.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Piantedosi, ses homologues autrichien et tchèque, Gerhard Karner et Vit Rakusan, de même que le ministre de l’immigration néerlandais, Eric van der Burg, ont fait le déplacement. La Belgique, l’Allemagne et la Suède étaient, quant à elles, représentées par leurs secrétaires d’Etat à l’intérieur et à l’immigration.

      « Une base solide »

      Venue accueillir les délégués, la première ministre sociale-démocrate danoise, Mette Frederiksen, a constaté que « le système actuel de l’immigration et de l’asile s’était de facto effondré », rappelant que le nombre d’arrivées en Europe « était comparable à 2015 ». « Le pacte européen sur la migration et l’asile est une base solide sur laquelle nous pouvons nous appuyer. Mais nous avons également besoin de partenariats plus larges et plus égaux, et d’un engagement en faveur d’une solution durable à long terme », a-t-elle déclaré, en ouverture de la conférence.

      Au cours de la journée, il a notamment été question de la loi, adoptée le 23 avril, par le Parlement britannique, qui va permettre au Royaume-Uni d’expulser des demandeurs d’asile vers le Rwanda. Un modèle très controversé, imaginé par le Danemark, qui avait été le premier pays à légiférer, dès 2021, avant de signer un accord de coopération bilatérale avec Kigali en septembre 2022, puis de suspendre son projet d’y délocaliser la prise en charge des demandeurs d’asile et des réfugiés.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Transférer les demandeurs d’asile au Rwanda : l’obstination du gouvernement de Rishi Sunak

      Copenhague, cependant, n’y a pas renoncé, selon M. Dybvad, qui estime qu’« une coopération européenne commune avec un ou plusieurs pays tiers en dehors de l’Europe devrait réduire l’incitation à y venir ». D’après le gouvernement danois, un tel système serait « plus humain et plus juste », car il réduirait le pouvoir des trafiquants et permettrait d’accorder l’asile à ceux « qui en ont vraiment besoin ».

      « Partenariats stratégiques »

      L’accord migratoire, signé entre l’Italie et l’Albanie, en janvier, a également été évoqué ainsi que les « partenariats stratégiques », passés par l’Union européenne, avec la Turquie, la Tunisie, le Maroc, l’Egypte et la Mauritanie. « Il n’est pas possible de penser que nous pouvons gérer l’immigration seuls au sein de l’UE », a observé Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, vantant le partenariat avec la Tunisie, qui a permis de « réduire d’environ 80 % les départs depuis que l’accord a été signé », en juillet 2023.

      Pour autant, pas question de sous-traiter l’asile à un pays tiers : « Ce n’est pas possible dans le cadre du pacte sur la migration » et « cela ne semble pas être un gros succès au Royaume-Uni », a-t-elle asséné. Le ministre autrichien de l’intérieur, M. Karner, n’est pas de cet avis : « Nous n’avons pas besoin d’une, mais de plusieurs solutions », martèle-t-il, affirmant qu’une des priorités, pour la prochaine Commission européenne, devra être de « modifier le cadre réglementaire », notamment « le critère de connexion », qui interdit aux pays européens d’envoyer un demandeur d’asile dans un pays où il n’a aucune connexion.

      Conseiller du ministre des affaires étrangères mauritanien, Abdoul Echraf Ouedraogo plaide, lui, pour « une réponse holistique ». La seule solution durable est de « s’attaquer aux facteurs structurels à l’origine de l’immigration, notamment aux inégalités de développement », dit-il, rappelant, par ailleurs, que les pays européens manquent de main-d’œuvre et auraient tout intérêt à faciliter les voies légales d’immigration vers l’UE.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/07/a-copenhague-une-conference-sur-les-partenariats-pour-l-immigration_6232022_

  • Migranti, la #Medihospes si aggiudica l’appalto da 133 milioni di euro per i centri in Albania

    Il colosso dell’accoglienza in diverse inchieste anche per le condizioni poco dignitose di vita garantite nelle strutture. Il suo amministratore è #Camillo_Aceto, già arrestato a Bari e finito in #Mafia_capitale.

    La gallina dalle uova d’oro dei centri per migranti in Albania è finita nelle mani del businessman italiano dell’accoglienza, quel Camillo Aceto il cui nome, negli ultimi vent’anni, è comparso nelle più disparate inchieste della magistratura da un capo all’altro d’Italia e con le accuse più diverse: dalla truffa nelle forniture di pasti alle mense ospedaliere di Bari che lo vide finire agli arresti nel 2003 all’indagine per infiltrazioni mafiose nella gestione del Cara di Mineo in Mafia capitale a svariate indagini per frode in pubbliche forniture da parte delle varie società in cui ha avuto incarichi dirigenziali e che alla fine sono confluite nella Medihospes.

    Il colosso dell’accoglienza che gestisce più del 60 per cento di centri migranti in Italia, 3.800 posti letto in 26 strutture, si è aggiudicato il bando milionario per la gestione dei centri che il governo italiano intende aprire in Albania per tenervi, in attesa di rimpatrio, alcune migliaia di migranti provenienti dai cosiddetti paesi sicuri che verranno soccorsi da navi militari italiane in acque internazionali. Ben 133.789.967,55 milioni di euro la cifra che Medihospes incasserà per gestire l’accoglienza dei migranti nell’#hotspot di #Shengjin e nel centrio per richiedenti asilo ( con annesso Cpr) che sorgerà nell’area di #Gjader. La prefettura di Roma ha ritenuto l’offerta di Medihospes, con un ribasso del 4,94 per cento sulla base d’asta, più vantaggiosa rispetto a quelle degli altri due concorrenti selezionati tra oltre 30 aziende: il consorzio #Hera e #Officine_sociali. Per due anni, rinnovabili per altri due, Medihospes dovrà provvedere alle esigenze di vitto, alloggio e servizi basici per i migranti che verranno portati in Albania.

    Un’aggiudicazione che continua ad assembrare ombre sull’operazione Albania i cui altissimi costi di partenza (650 milioni) sono già lievitati a quasi un miliardo a fronte di una totale incertezza sui tempi di apertura dei centri. Stando al bando, Medihospes dovrebbe essere pronta per partire il 20 maggio. Peccato che, per quella data, nelle aree di Shengjin e Gjader non ci sarà molto altro oltre alle ruspe. La consegna dei lavori delle opere di urbanizzazione e della realizzazione delle strutture affidata al genio militare è infatti prevista per la fine di ottobre quando la stagione calda degli sbarchi sarà già finita.

    Il ruolo di semimonopolio di Medihospes nel mondo dell’accoglienza viene fuori dal report “Centri d’Italia” 2022 fatto da Action Aid e Open Polis sugli ultimi dati forniti dal Viminale (https://www.actionaid.it/informati/pubblicazioni/centri-ditalia-2022): a quella data la cooperativa sociale gestiva 26 strutture in sei regioni: 24 Cas, il Cpa di Udine e l’hotspot di Messina, 3800 posti letto sempre sovraffollati in condizioni spesso oggetto di denunce.

    Ex amministratore de #La_Cascina, indagata in Mafia capitale, con sedi e iniziative spesso coincidenti con quelle della #Senis_Hospes, poi diventata Medihospes, Camillo Aceto è sempre caduto in piedi mantenendo un ruolo centrale. «Solo con economie di scala e sacrificando i servizi - osserva Fabrizio Coresi di Action Aid - solo soggetti come Medihospes possono riuscire a realizzare un ribasso consistente e rendersi disponibili a gestire centri come quelli in Albania dove i diritti delle persone accolte non sono al centro».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/07/news/migranti_appalto_albania_medihospes-422857446

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #appel_d'offre #externalisation #sous-traitance
    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Cinema, clown, Dazn e i “pomeriggi del tè”. Le promesse di Medihospes per i centri in Albania

      Gran parte delle proposte migliorative presentate dalla cooperativa romana e consultate da Altreconomia riguarda i cosiddetti vulnerabili. Minori, neonati, vittime di violenza e tortura: tutti soggetti che non dovrebbero nemmeno arrivare sul territorio albanese. Continua a non essere chiaro quando diventeranno operative le strutture

      Animatori vestiti da clown, fasciatoi, incontri sulla pace, laboratori sul fair play ispirati al principio del “fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”. La relazione tecnica presentata dalla cooperativa Medihospes per vincere il bando da oltre 133 milioni di euro per la gestione dei centri in Albania, ottenuta da Altreconomia, descrive una vita quotidiana per i trattenuti piena di attività e di occasioni di svago.

      Ma soprattutto, gran parte dell’offerta riguarda i cosiddetti “vulnerabili” -dai minori non accompagnati a famiglie, passando per persone disabili, vittime di tortura e vittime di tratta- che sul territorio albanese, stando alla normativa vigente, non dovrebbero essere soggetti alla procedura accelerata e non potrebbero essere trasferiti nell’hotspost albanese. “E comunque, anche se vi finissero perchè la vulnerabilità non è stata accertata in precedenza, dalla struttura in Albania dovrebbero essere subito trasferite”, sottolinea Gianfranco Schiavone, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)

      “Le ipotesi sembrano due -riprende- o c’è stato un clamoroso travisamento da parte dell’ente appaltante (la prefettura di Roma) che ha attribuito valore (e punteggio) alle proposte di Medihospes che avrebbe invece dovuto ritenere inammissibili in quanto i servizi generosamente proposti non potranno mai essere erogati perché i destinatari di tali attività non dovrebbero né entrare né rimanere nell’hotspot albanese, oppure c’è una volontà del governo di trattenere illegalmente in Albania anche coloro che non vi possono essere condotti”.

      Non è chiaro inoltre quando saranno attivi i centri. A fine maggio il sindacato autonomo di polizia (Sap) ha fatto sapere che i primi venti operatori sono in partenza per l’Albania. La struttura che fungerà da hotspot, secondo quanto riferito dal capo segreteria del dipartimento della Pubblica sicurezza presso il Viminale, Sergio Bracco, sarà consegnata il 3 giugno, invece il sito di Gjader entro fine luglio. Tempi più brevi di quanto invece sta emergendo da altre fonti riportate, tra le altre, da la Repubblica, che parlano di fine novembre per la consegna dei lavori. Ma veniamo all’offerta.

      Medihospes specifica che all’interno dell’hotspot sarà operativo un team minori formato da due animatori che indosseranno “una divisa riconoscibile ed ispirata a dei clown (a titolo esemplificativo: giacca colorata, pantalone rosso, papillon, parrucca colorata)” e garantiranno lo svolgimento delle attività programmate per i bambini “secondo un calendario settimanale di attività e laboratori”. Che sono tantissime. Viene prevista un’ora al giorno di attività motoria (dal twister al bowling fino ai giochi di equilibrio), tre volte alla settimana letture ad alta voce dedicate ai più piccoli per “arricchire il vocabolario e stimolare l’immaginazione”, spettacoli di animazione (il martedì e il venerdì) oltre che laboratori musicali e babymovie per “creare un clima più favorevole all’inclusione sociale”. Si prevedono poi l’apertura di una ludoteca per bambini da un mese a cinque anni e una per i bambini da sei a 12. Le attività sono finalizzate a “creare un clima sereno e accogliente per il minore e a rendere meno traumatica la permanenza nella struttura”.

      Non mancheranno uno “spazio allattamento e fasciatoio” in cui “le mamme si possano sentire a proprio agio ad allattare il loro bambino”. Non mancano poi le attività per i più grandi (13-17 anni) con biliardini, tavoli da ping pong e tv con abbonamenti a servizi streaming e paytv. Ci sarà poi una sala cinema (“oscurata totalmente con porte e finestre con tende spesse”) e nelle aree esterne “strutture fisse quali scivoli, altalene, giochi a molla, giostre e dondoli” con un campo da calcio e uno da basket.

      Medihospes prevede poi del personale aggiuntivo “per una tempestiva individuazione di potenziali soggetti vulnerabili”, tra cui due psicologi specializzati in violenza di genere e vittime di tortura, uno dei quali “avrà il compito di osservare in sede di sbarco gli utenti presso il porto di Shengjin e rilevare potenziali indicatori di situazioni vulnerabili, tortura e violenza”, mentre l’altro “collaborerà con il personale di Gjader per una pronta presa in carico delle situazioni vulnerabili e si attiverà per la realizzazione di misure di tutela e riabilitazione”. È prevista inoltre la presenza di un medico specializzato in ginecologia/ostetricia, “quale professionista sanitario per favorire la gestione di donne in stato di gravidanza e con problematiche ginecologiche, nella rilevazione di eventuali violenze subite, nonché a supporto delle neo mamme nelle fasi di allattamento e svezzamento”.

      Tra le categorie di persone “vulnerabili” per cui vengono previste attività e progetti specifici sono elencati i minori accompagnati e non accompagnati, persone con disabilità, donne e donne in stato di gravidanza, vittime di tortura, vittime di violenza legata all’identità di genere e all’orientamento sessuale, vittime di altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali femminili. Ci sono anche le “vittime della tratta di esseri umani” e laddove si “sospetti che la vittima sia accompagnata da uno o più trafficanti” la cooperativa sottolinea che segnalerà la situazione “alle autorità competenti”. Chissà quali. Gli interventi di tutela sanitaria avverranno in collaborazione con la Fondazione “Nostra Signora del Buon Consiglio (Nsbc)” che gestisce il “Catholic Hospital Our Lady of Good Counsel” di Tirana.

      Quel che è certo è che anche gli adulti non si annoieranno. Si prevede un “laboratorio di prima alfabetizzazione” e “giornate informative, con l’ausilio del mediatore linguistico, che mirano alla condivisione e diffusione di alcune norme e regole basilari dell’igiene sanitaria personale”. Secondo Medihospes questo laboratorio è fondamentale. “I ‘luoghi dell’immigrazione’ ove storie culturali e personali spesso portano a non avere un livello condiviso nel bagaglio considerato minimo di nozioni igienico-sanitarie. Gli argomenti trattati saranno l’igiene delle mani, l’igiene intima, l’igiene orale, etc.”.

      E poi laboratori sulla sessualità, in particolare per “gli utenti di genere maschile” approfondimenti per “metterli a conoscenza dei codici sociali che regolano i rapporti tra uomini e donne in Europa con l’obiettivo di prevenire la violenza contro le donne e aiutare le persone che provengono da paesi e società in ui le donne sono fondamentalmente prive di qualsiasi libertà e diritto ad adattarsi e integrarsi nel loro nuove paese”. Ci sono tornei di basket e calcio cinque “a squadre miste” che cercheranno di coinvolgere il maggior numero di partecipanti possibili (“alcuni candidati ad essere arbitri e guardalinee) e poi i laboratori creativi per due volte alla settimana (quelli d’arte prevedono tecniche base come disegno, pittura dal vero e non come paesaggi e natura morta).

      E ancora attività sulla pace e la promozione della cultura dell’incontro perché “le situazioni conflittuali sono sempre situazioni di disagio, contrasto che rischiano di diventare insanabili”. Medihospes propone “l’albero della pace”, un’attività che prevede “la discussione e la riflessione sul significato della pace e sui valori che la caratterizzano” con i partecipanti che termineranno il lavoro “disegnando il proprio albero della pace”. Non solo alberi ma anche un elefante che è “simbolo di pace perché lega in sé la forza e la pace” ed è un esempio di come “vivere in armonia nei diversi contesti”. Decisiva, questa attività, perché “le menti delle persone sono invase quotidianamente da immagini negative che possono influenzare i loro comportamenti e sviluppare la tendenza a dimenticare la maggioranza che vive pacificamente”. E poi “sport for peace” che aiuta a vivere la “regola d’ora ‘fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te’ attraverso lo sport e giochi di squadra”.

      I “pomeriggi del tè” vogliono invece portare “un’oasi di relax per offrire un momento di distacco dalla routine e dallo stress che la vita in struttura può generare” così ogni pomeriggio si potranno degustare tè e tisane alla presenza di un’assistente sociale e uno psicologo. I trattenuti potranno vedere Sky, Prime Video, Netflix e Dazn e ogni sera assistere alle proiezioni di film sottotitolati e con cadenza bisettimanale ci sarà un cineforum per favorire un confronto tra gli ospiti. Così come i luoghi di preghiera individuale che permettono di “recuperare memorie ancestrali e riattualizzare la propria identità culturale”.

      Medihospes si è aggiudicata a inizio maggio la gara di oltre 133 milioni di euro con un ribasso sui costi del 4,94%. Una corsa in solitaria: l’urgenza dell’attivazione dei servizi ha spinto infatti la prefettura di Roma a scegliere la procedura negoziata. Delle trenta manifestazioni di voler partecipare alla gara arrivate tra il 22 e il 29 marzo -tra cui le note Ors Italia, Ekene oltre che due partecipanti con sede a Tirana e il Gruppo Renco, colosso attivo nell’edilizia e nel settore dell’energia- ne sono state selezionate tre. Consorzio Hera e Officine sociali non hanno però partecipato alla fase finale della gara lasciando campo libero alla cooperativa romana. Che grazie alla ricca offerta “progettata con passione per gli ospiti di Shëngjin e Gjader”, come si legge nel documento, ha vinto senza avversari.

      https://altreconomia.it/cinema-clown-dazn-e-i-pomeriggi-del-te-le-promesse-di-medihospes-per-i-

    • Inchiesta su #Medihospes, regina dei centri per i migranti. Dall’Italia all’Albania

      La cooperativa sociale si è aggiudicata il bando da 133 milioni di euro per la gestione delle strutture di Gjader e Shengjin. Ma non solo: da inizio anno ha già vinto 62 appalti, nell’82% dei casi per affidamento diretto. Fa parte di una galassia di imprese che si è aggiudicata migliaia di gare pubbliche per un valore a base d’asta di sei miliardi di euro. Egemone a Roma, da qualche tempo si è affacciata anche su Milano

      Dall’hotspot di Messina al mega hub all’interno della ex caserma Cavarzerani di Udine, passando per i due centri di accoglienza più grandi di Milano: la cooperativa sociale Medihospes è la vera protagonista dell’accoglienza dei richiedenti asilo in Italia. E non solo.

      A inizio maggio di quest’anno il colosso si è aggiudicato la gara da oltre 133 milioni di euro bandita dalla prefettura di Roma per la gestione dei centri per migranti in Albania. L’appalto più redditizio di sempre nel campo dell’immigrazione ma anche il più discusso. E che mostra l’inarrestabile ascesa della cooperativa sociale.

      La storia di Medihospes inizia nel 2008 nella piccola cittadina di Senise (Potenza) per poi raggiungere in pochi anni tutto il territorio nazionale. Oggi ha sede in via Antolisei 25 a Roma, città dove ha cominciato ad aggiudicarsi sempre più appalti legati alla gestione dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) dei migranti. Secondo l’analisi delle organizzazioni ActionAid e Openpolis, nel 2022 la cooperativa gestiva il 78% dei posti nella città metropolitana di Roma (1.578 su 2.024) in dieci strutture dislocate su tutto il territorio.

      “Quasi un monopolio, nonostante nel 2019 la stessa prefettura rilevò problemi nella gestione dei centri da parte della cooperativa che fu multata di 86mila euro -spiega Fabrizio Coresi di ActionAid-. Soprattutto per irregolarità logistiche, amministrative o strutturali ma anche rispetto alla fornitura di beni e servizi alla persona. Una multa salata che rappresentò quell’anno il 97% di tutte quelle comminate nella provincia di Roma”.

      Quei servizi messi allora in discussione dalle stesse autorità non hanno però fermato Medihospes, che, come visto, è arrivata a gestire nel 2022 otto posti su dieci nella capitale. “La cooperativa è diventata sempre più ‘necessaria’ alla prefettura di Roma, proprio mentre questa, come le altre in Italia, si è trovata stretta tra regole di difficile applicazione, un organico sottodimensionato e la necessità di reperire posti in accoglienza -sottolinea Coresi-. Non si può imputare a Medihospes nulla, se non l’aver sfruttato l’occasione per crescere in fatturato e in quanto soggetto gestore. Bisogna piuttosto chiedersi come e perché la prefettura abbia consentito a questo quasi monopolio”.

      Nella capitale però Medihospes non si occupa solo di accoglienza di migranti. Sono diversi infatti i servizi che garantisce: dai Centri di assistenza alloggiativa temporanea (Caat) destinati all’emergenza abitativa, all’assistenza a persone con disabilità e minori fino ad alcuni bandi relativi al “servizio di supporto tecnico amministrativo agli uffici comunali”. Insistono su Roma, dati dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) alla mano, il 42% del totale delle gare d’appalto che la cooperativa si è aggiudicata dal 2014: un totale di 406 procedure con una base d’asta pari a 1,2 miliardi di euro. Un dato probabilmente al ribasso perché nel portale Anac non risulterebbero registrate tutte le procedure pubbliche.

      Negli ultimi anni Medihospes ha superato anche i confini romani. Si passa infatti da due stazioni appaltanti nel 2014 a 33 nei primi sei mesi del 2024. In altri termini: non cresce solo il volume degli affari (da due a 61 gare in dieci anni) ma la “presenza territoriale” della cooperativa, che oggi conta 26 unità locali in tutta Italia, da Nord a Sud. Sempre più amministrazioni si affidano alla cooperativa che dal primo gennaio al 18 giugno 2024, sempre secondo l’Anac, ha già vinto ben 61 appalti: solo uno attraverso gara “aperta” e ben l’82% del totale (non solo quelle relative ai migranti, quindi) tramite un affidamento diretto.

      “Percentuali allarmanti -riprende Coresi-. A livello nazionale abbiamo ricostruito che da gennaio ad agosto 2023 oltre il 66% delle gare per la gestione dell’accoglienza dei migranti è andato in affidamento diretto, per un valore di oltre 83 milioni di euro. Nel 2020 era di appena 16 milioni. La trasparenza delle gare d’appalto, se riguardano i servizi alla persona è la sola garanzia, seppur parziale, del rispetto dei diritti di chi ne fruisce”.

      Il volume di fatturato totale di Medihospes è di oltre 128 milioni di euro e in costante crescita. Il settore “asilo e immigrazione”, anche senza la gara albanese che ovviamente non è ancora conteggiata nel bilancio 2022, l’ultimo depositato in Camera di commercio, aumenta da 47,6 milioni a 62,6 milioni. L’importo riconosciuto dalle prefetture alla cooperativa per la gestione dei centri è cresciuto del 93% tra il 2021 e il 2023 (da 23,7 milioni a 45,9). Più risorse e più prestigio: l’attività a favore dei richiedenti asilo svolta in questi anni ha portato infatti la cooperativa a ottenere il riconoscimento “We Welcome” da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).

      Gli affari crescono anche negli altri settori: la voce “assistenza alla persona” passa da 35,9 a 55,9 milioni di euro così come l’ambito “emergenza e marginalità sociali” (6,2 a 8,1 milioni di euro). E Medihospes nel corso degli anni non si è limitata solo ad ampliare l’offerta di servizi ma anche le partecipazioni in altre cooperative e imprese. Ne ha di attive, sempre a Roma, nell’ambito della sanità (Kosmos Srl, Roma Medical Center Srl, Medinext) ma anche, nuovamente, dell’immigrazione. La quota di 7.934 euro (valore netto) relativa al Consorzio Sisifo, detenuta al 31 dicembre 2022, è solo economicamente poco significativa.

      Il nome del consorzio è tra i protagonisti delle vicende riferite al Cara di Mineo (Catania), quello che è stato il più grande centro di richiedenti asilo esistente in Europa. A partire dal 18 ottobre 2011 la gestione passò dalla Croce Rossa a un’associazione temporanea di imprese che comprendeva, tra le altre Sisifo, Casa della solidarietà, La Cascina Global Service e Senis Hospes (che poi diventerà Medihospes). La vicenda durò anni e si susseguirono sette proroghe per un totale di cento milioni di euro di importo prima della chiusura del centro nel luglio 2019. Nell’aprile 2014 a definire “illegittima” la gara d’appalto fu l’allora presidente dell’Anac Raffaele Cantone. Ne nacque addirittura una Commissione parlamentare d’inchiesta.

      Ma i nomi di Senis Hospes, La Cascina, Sisifo e Tre Fontane tornano alla ribalta anche a Foggia, per le condizioni di vita dei richiedenti asilo “accolti” a Borgo Mezzanone. A inizio giugno 2017, per aggiudicarsi nuovamente la gestione del centro, la Senis Hospes offrì un ribasso del 42,23% con un costo giornaliero di 20,57 euro rispetto ai 35 proposti dalla prefettura. Come è possibile garantire i servizi a quel prezzo? Le critiche arrivate alla cooperativa di Senis, che a luglio 2017 si vide revocare la gara dal Viminale proprio per il “ghetto” di Borgo Mezzanone, spingono la cooperativa a cambiare nome.

      Il 27 ottobre 2017 nasce così formalmente Medihospes che oggi ha sede, come detto, in via Antolisei 25 a Roma. E il “peso” della cooperativa -in termini di gare vinte e di posti di lavoro che garantisce (quasi 4mila)- va letto considerando tutto ciò che ruota intorno a quel civico di Tor Vergata. Qui infatti hanno sede tutte le cooperative e imprese riconducibili al gruppo “La Cascina” che, secondo quanto riportato sul proprio sito, è nato nel 1978 “su impulso di don Giacomo Tantardini”, allievo di don Giussani e punto di riferimento di Comunione e liberazione a Roma, e grazie anche al “contributo simbolico di 70mila lire donate dall’allora cardinale Luciani (poi papa Giovanni I, ndr)”. Al motto “testa da impresa, cuore da cooperativa” -si legge sempre sul sito- il gruppo avrebbe raggiunto i “36 milioni di pasti erogati ogni anno, le 700mila ore di assistenza e un fatturato che supera i 300 milioni di euro”.

      La Cascina è stata coinvolta nell’inchiesta nota come “Mafia Capitale”. Le interdittive antimafia firmate nell’estate del 2015 dall’allora prefetto Franco Gabrielli colpirono infatti la Cooperativa di lavoro La Cascina, La Cascina Global Service, Vivenda Spa e il consorzio di cooperative sociali Casa della solidarietà (lo stesso del Cara di Mineo) costituito da Osa Mayor Onlus, Domus Caritatis, Mediterranea Onlus, Tre Fontane (queste ultime tre oggi tutte assorbite da Medihospes). Il Tribunale di Roma dispose anche l’amministrazione giudiziaria per le aziende (27 luglio 2015) che durò fino al 19 luglio 2016, secondo quanto ricostruito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie (relazione del 7 febbraio 2018), quando il tribunale stabilì che le imprese coinvolte avevano “reciso definitivamente ogni rapporto con ambienti criminali” ma disponendo il controllo giudiziario (una misura meno invasiva del commissariamento) per favorire la “creazione di validi modelli organizzativi”. La fine di un capitolo buio che ha poi lanciato definitivamente il gruppo legato a La Cascina. Con ricavi importanti.

      Prendendo in esame le imprese, vicine al Gruppo La Cascina, che nel marzo 2021 hanno dato vita a “Rete sviluppo Italia”, un contratto di rete nato per favorire lo sviluppo aziendale dei firmatari, sono 1.169 in totale le gare aggiudicate (dal 2007, anno dal quale vengono raccolti i dati da Anac) da 399 stazioni appaltanti per un valore di base d’asta pari a quasi sei miliardi di euro (5.943.133.070). Cifre da capogiro confermate dai bilanci delle singole aziende. Medihospes al 31 dicembre 2022 aveva una partecipazione di più di cinque milioni di euro (5.450.000) nella Cooperativa di lavoro La Cascina Scpa che, con 1,2 milioni di utile d’esercizio nel 2023, conta 4.680 soci e controlla le più importanti società del gruppo.

      Detiene infatti il 100% di Vivenda Spa, colosso della ristorazione soprattutto per istituti scolastici, che ha 151 sedi locali e al 31 dicembre 2023 ben 6.246 dipendenti con un fatturato che ha superato i 260 milioni di euro, in crescita del 33% rispetto all’anno precedente. Sono numerose le amministrazioni pubbliche che in tutta Italia sono servite da Vivenda: da Consip (400 milioni di base d’asta) al ministero della Difesa (196 milioni) fino al Comune di Roma (220 milioni). E poi scuole, ospedali, e tanto altro ancora. In totale il portale Anac calcola 482 procedure su 205 stazioni appaltanti al 18 giugno per un totale che supera i due miliardi di euro sempre come valore di base d’asta. E a inizio aprile 2024 l’azienda ha ricevuto in Senato il premio “Legalità e profitto” per la “virtuosa capacità di coniugare il rigoroso rispetto di leggi e normative con positivi risultati economici e finanziari”. Vivenda Spa il 26 luglio 2023 ha acquisito un ramo d’azienda di Sodexo Spa, un’altra grande player del settore di ristorazione premiata anche lei a metà giugno di quest’anno dall’Unhcr per le attività a favore dei rifugiati.

      Fino al 20 luglio 2018 tra gli investitori di Vivenda Spa c’era anche Invitalia, l’agenzia nazionale di proprietà del ministero dell’Economia che si occupa di sviluppo d’impresa. Proprio Invitalia crea un collegamento con un altro soggetto decisivo nel panorama dell’assetto societario di via Antolisei. L’agenzia è infatti il primo appaltatore di lavori (base d’asta di 1,7 miliardi di euro) de La Cascina Costruzioni Srl (controllata al 100% da Cooperativa di lavoro La Cascina tramite Vivenda Spa). In totale la società ha partecipato a 87 procedure pubbliche di cui ben 45 insistono su Roma e tra il 2021 e il 2022 ha visto crescere il suo fatturato da 26 a 109,5 milioni di euro, anche grazie ai lavori edilizi del cosiddetto “Superbonus”.

      Questa è la portata reale di Medihospes -in termini di giro d’affari e rapporti con le amministrazioni pubbliche- che va ben oltre i bandi per i centri di accoglienza per richiedenti asilo. Certo è che la cooperativa sociale guidata dal presidente Camillo Aceto non vuole fermarsi qua.

      Oggi è di “proprietà” di 2.720 soci e punta anche su Milano. Come mandataria di un raggruppamento di imprese (tra le altre Fondazione Arca, Associazione Kayros e International Rescue Committee) ha vinto il 5 febbraio 2024 un bando da quasi 25 milioni di euro per la gestione di interventi legati all’emergenza sociale e abitativa (tra cui Casa Jannacci, storica struttura di accoglienza per senza dimora). Ma soprattutto nel giro di due mesi si è aggiudicata la gestione dei due Cas più grandi della città (fino a 570 posti): quello di via Aquila (9,8 milioni di euro) e quello di via Corelli (10,9) con un ribasso rispettivamente del 11,11% e del 13,69%.

      Medihospes conosce molto bene via Corelli: la citata Vivenda Spa, infatti, era tra le ditte che garantiva i pasti al Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) durante la gestione di Martinina Srl, i cui amministratori sono oggi sotto processo per frode in pubbliche forniture. Nel decreto di sequestro preventivo della Procura di Milano di fine dicembre 2023, quel cibo veniva descritto come “maleodorante, avariato, scaduto”. Chissà se altrove il menù è diverso.

      https://altreconomia.it/inchiesta-su-medihospes-regina-dei-centri-per-i-migranti-dallitalia-all