• La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • Mass expulsions from #Algeria
    We note that expulsions from #Algeria have decreased in recent weeks. However, the end of the expulsion regime is not in sight. Between 20 and 23/05/23, 2,038 (!!) people were expelled from Algeria to #Niger


    https://twitter.com/AlarmephoneS/status/1663410237804539905
    #asile #migrations #réfugiés #abandon #expulsions #renvois #déportation #désert #Algérie #Niger #Sahara #désert_du_Sahara
    –---

    Ajouté à la métaliste des « #left-to-die in the Sahara desert »
    https://seenthis.net/messages/796051

  • Comment la #France verrouille son #passé_colonial

    La polémique en France sur la notion de #crime_contre_l'humanité du temps de la #colonisation rappelle les vifs débats causés dans ce même pays il y a plus de dix ans par l’adoption de la loi du 23 février 2005 qui ne retenait que le « rôle positif de la présence française outre-mer ». L’« #affaire_Macron » met en exergue le profond malaise lié au passé colonial de la France, souligne la professeure de droit Sévane Garibian.

    Quoi que l’on pense des propos récents d’#Emmanuel_Macron sur la #colonisation_française, il est utile d’observer leurs effets en recourant à une temporalité plus longue, dépassant le court terme médiatico-politique. La #polémique née il y a quelques jours en France rappelle, en symétrie inversée, les vifs débats causés dans ce même pays il y a plus de dix ans par l’adoption de la loi du 23 février 2005 qui ne retenait que le « #rôle_positif de la présence française outre-mer ». La disposition litigieuse (finalement abrogée par décret en 2006), tout comme les rebondissements et double discours dans ladite « affaire Macron », auront eu pour mérite de mettre en acte le profond #malaise lié au passé colonial de la France.

    Ce trouble s’est régulièrement nourri de résistances dont nous trouvons de multiples traces dans le champ du #droit, grand absent des commentaires de ces derniers jours. Abordons donc cette polémique de biais : par ce qu’elle ne dit pas, par ce qu’elle occulte. Rappelons ainsi que la Cour de cassation française eut l’occasion de produire une jurisprudence relative aux #crimes commis en #Algérie (#affaires_Lakhdar-Toumi_et_Yacoub, 1988) ainsi qu’en #Indochine (#affaire_Boudarel, 1993). Une #jurisprudence méconnue, ou tombée dans l’oubli, qui soulevait pourtant directement la question de la qualification ou non de crime contre l’humanité pour ces actes.

    Les précédents

    Plusieurs historiens ont pu souligner dernièrement la distinction entre les usages juridiques, historiques et moraux du concept de crime contre l’humanité, tout en rappelant que ce dernier ne peut se trouver, aujourd’hui en France, au cœur de #poursuites_pénales visant les #crimes_coloniaux. Quelle est donc l’histoire du droit menant à un tel constat ? Afin de mieux comprendre ce dont il s’agit, il est possible d’ajouter deux distinctions à la première.

    D’abord, une distinction entre le problème de la #qualification de crime contre l’humanité (qui renvoie à la question complexe de la #définition de ce crime en #droit_français), et celui de l’#amnistie prévue, pour les crimes visés, par des lois de 1966 et 1968. Ces deux points fondent les justifications discutables du refus de poursuivre par la #Cour_de_cassation dans les affaires précitées ; mais seul le premier constituait déjà le réel enjeu. En l’état du droit, et contrairement à ce qu’affirmaient alors les juges de cassation, la qualification de crime contre l’humanité aurait en effet pu permettre, au-delà du symbole, de constater une #imprescriptibilité (inexistante en France pour les crimes de guerre) défiant l’amnistie.

    Plus tard, la Cour de cassation admettra d’ailleurs en creux le caractère « inamnistiable » des crimes contre l’humanité, non reconnus en l’espèce, dans l’affaire de la manifestation du 17 octobre 1961, en 2000, puis dans l’#affaire_Aussaresses en 2003 – toutes deux en relation avec les « évènements d’Algérie ». Entre les deux, elle confirmera dans l’#affaire_Ely_Ould_Dah (2002) la poursuite, en France, d’un officier de l’armée mauritanienne pour des faits de #torture et des actes de #barbarie amnistiés dans son propre pays : il semble manifestement plus aisé d’adopter une attitude claire et exigeante à l’encontre de lois d’amnistie étrangères.

    Volonté de verrouillage

    En outre, et c’est là que se niche la seconde distinction, une analyse plus poussée du raisonnement de la Cour dans les affaires Lakhdar-Toumi, Yacoub et Boudarel met en lumière une volonté des juges de verrouiller toute possibilité de traitement des crimes coloniaux. Il importe donc de distinguer ici les questions de droit et les politiques juridiques qui sont à l’œuvre. L’historienne Sylvie Thénault écrivait récemment que « toute #définition_juridique est le résultat d’une construction par des juristes et d’une évolution de la jurisprudence » (Le Monde du 16 février). Or il n’existait à l’époque des affaires précitées que des définitions jurisprudentielles, plus (#affaire_Barbie) ou moins (#affaire_Touvier) larges du crime contre l’humanité en France, lequel ne fera son apparition dans le Code pénal qu’en 1994.

    A y regarder de plus près, on comprend que les juges de cassation rejettent la qualification de crime contre l’humanité pour les crimes coloniaux à plusieurs reprises, en choisissant de s’appuyer exclusivement sur la #jurisprudence_Touvier. Celle-ci limite, à l’inverse de la #jurisprudence_Barbie, la définition du crime contre l’humanité aux crimes nazis commis « pour le compte d’un pays européen de l’Axe ». Si la jurisprudence Touvier permit en son temps d’esquiver habilement le problème de la #responsabilité de la France de Vichy, elle bloquera aussi, par ricochet, toute possibilité de répression des crimes perpétrés par des Français pour le compte de la France, jusqu’en 1994.

    Le verrouillage est efficace. Et le #refoulement créé par cette configuration juridique, souvent ignorée, est à la mesure du trouble que suscitent encore aujourd’hui les faits historiques survenus dans le contexte de la #décolonisation. Plus généralement, l’ensemble illustre les multiples formes d’usages politiques de l’histoire, comme du droit.

    https://www.letemps.ch/opinions/france-verrouille-passe-colonial

    ping @cede @karine4

  • Le 8 mai 1945, ils ne nous ont pas libérés... - Socialisme libertaire

    La date du jour de l’exil est désormais institutionnellement fixée, le 8 mai. Et il reste à faire le bilan du nombre de fois, au cours des deux dernières années, où les exilés et leurs familles ont exprimé clairement ce que nous souhaitions en rencontrant différents groupes politiques. Nous n’aimons pas cette date.
    Le 8 mai 1944, ce ne fut pas la libération des Républicains espagnols. Ce fut une nouvelle défaite, celle de l’oubli des exilés par les Alliés lors de la signature de la capitulation nazi et l’abandon de milliers d’Espagnols aux mains du dictateur que ces Alliés ont reconnu.
    Que dit l’Histoire à propos de cette date pour ceux qui avaient vécus deux guerres, la guerre d’Espagne et la Seconde Guerre mondiale, au total neuf ans et demi de conflits ? Pratiquement une décennie, il s’agissait de démocrates espagnols qui ont abandonné leurs maisons, leurs biens, leurs familles, qui ont souffert de la faim et du froid, en évitant la mort, en enterrant leurs morts, en vivant la peur et la terreur, en errant vers l’inconnu, en défendant chaque pouce de leur pays – parce que l’Espagne était leur pays –, en pleurant de rage et de douleur pour leurs pertes et en fuyant vers le Nord, sans Nord ?

    #Libération #Espagne #SecondeGuerremondiale #fascisme #nazisme #franquisme #Algérie #massacre #Sétif...

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    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2021/11/le-8-mai-1945-ils-ne-nous-nt-pas-liberes.html

  • Azizou Chehou, l’homme qui sauve la vies de migrants naufragés dans le Sahara
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/05/10/niger-azizou-chehou-l-homme-qui-sauve-des-vies-au-sahara_6172825_3212.html

    Azizou Chehou, l’homme qui sauve la vies de migrants naufragés dans le Sahara
    Grâce aux tricycles de l’association Alarme Phone Sahara, l’ancien enseignant vient en aide aux migrants refoulés par les autorités algériennes de l’autre côté de la frontière avec le Niger.
    Par Amaury Hauchard
    Une carrière de trente ans dans l’éducation, une petite maison familiale dans un quartier périphérique de la ville nigérienne d’Agadez, une Toyota Corolla poussiéreuse qu’il traîne depuis onze ans… La vie d’Azizou Chehou n’a, à première vue, rien d’extraordinaire. Pourtant, l’homme de 56 ans qui vient en aide aux naufragés du désert sauve, chaque année, presque autant de vie qu’un médecin.
    Semaine après semaine, ils sont des centaines à errer ainsi dans les sables, refoulés par les autorités algériennes de l’autre côté de la frontière avec le Niger. Des hommes originaires d’Afrique de l’Ouest, jetés des bennes des camions où ils ont été entassés, qui n’ont d’autre choix que de marcher jusqu’au village d’Assamaka, traversant quinze kilomètres de désert. C’est ce tronçon que sillonnent les tricycles de l’association Alarme Phone Sahara
    Avec leurs véhicules, ils viennent en aide à ceux qui ne peuvent plus marcher, les emmènent jusqu’au village où un centre de transit de l’ONU doit les accueillir. Dans ce bout de désert, il y a beaucoup d’ennemis des migrants : bandits côté nigérien, patrouilles militaires côté algérien.
    Ces dernières semaines, les expulsions par l’Algérie n’ont jamais été aussi nombreuses : tandis qu’environ 20 000 personnes avaient été refoulées sur l’ensemble de l’année 2022, APS en a déjà recensé près de 15 000 jetées dans le Sahara durant les quatre premiers mois de 2023.
    Parfois, quand les gilets jaunes d’APS les trouvent, les migrants sont déjà morts. « C’est une honte ce qui se passe là-bas, souligne Azizou Chehou. En Méditerranée au moins, la mer rejette les corps, alors que le Sahara les avale. On ne pourra jamais savoir combien de personnes sont mortes ici dans l’indifférence. » (...) Dans les pages du seul journal papier du nord du Niger, il écrit sur tout, mais la migration revient page après page : ici, elle a toujours été un business florissant. « Etre à un carrefour de migrations a amené à une époque beaucoup de travail ici. Opérer dans ce trafic a été criminalisé [en 2015]. Tout a changé », souligne-t-il. Alors quand M. Diallo lâche les rênes en 2018 de la petite association APS qu’il avait lancé avec des soutiens associatifs allemands, c’est une évidence : Azizou Chehou doit reprendre le flambeau. Lui hésite : il prépare sa thèse et doit déjà gérer son autre association d’aide aux jeunes désœuvrés de son quartier.Quelques mois plus tard, la thèse est bouclée et la crise migratoire s’accentue sur la frontière algérienne. Les tricycles d’APS n’arrêtent pas de circuler dans le sable et le téléphone du coordinateur Chehou sonne en permanence. Quant au village d’Assamaka, il devient ce déversoir où s’agglutinent des milliers de migrants dans l’attente d’être pris en charge par l’ONU et des ONG internationales.

    #Covid-19#migrant#migration#niger#sahara#afriquesubsaharienne#algerie#corps#mortalité#trafic#crisemigratoire#routemigratoire#postcovid

  • La répression antisyndicale continue en Algérie
    Le gouvernement algérien continue de réprimer les citoyen-ne-s qui tentent d’exercer leurs droits civils et politiques fondamentaux, y compris les membres et les dirigeant-e-s syndicaux-ales. Dans le cadre de la répression croissante de toute forme d’activité démocratique, les syndicalistes indépendant-e-s sont harcelé-e-s, arrêté-e-s, poursuivi-e-s et emprisonné-e-s sans relâche.

    La dernière arrestation en date est celle d’Amine Felih, membre de l’Union algérienne des industries – UAI et membre dirigeant de la Confédération syndicale des forces productives (COSYFOP). Arrêté en 2022 et emprisonné pendant deux mois sous l’accusation « d’appartenance à une organisation terroriste » avant d’être libéré à la suite d’une campagne, il a de nouveau été arrêté le 16 mars 2023 et condamné cette fois-ci à un an de prison ferme et une amende de 200 000 DA le 4 avril 2023, en étant accusé de « publication sur les réseaux sociaux qui pourraient nuire à la sécurité nationale ».

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/25/petition-algerie-en-defense-des-libertes-syndicales-et-du-droit-de-greve-les-artistes-intellectuels-et-scientifiques-aux-cotes-des-travailleurs-et-de-leurs-syndicats/#comment-56886

    #international #algérie

  • 🛑 8 Mai 1945 : Massacre de Sétif ! - Rebellyon.info

    Le jour même où la France est libérée, elle réaffirme dans le sang sa domination coloniale en Algérie : 45.000 morts à Sétif, Guelma, Kherrata et dans tout le Constantinois. Cet évènement tragique nous touche particulièrement à Lyon, car il y a un grand nombre de personnes originaires de Sétif parmi les habitants de Lyon.
    La négation des massacres d’hier font le racisme d’aujourd’hui !

    Jour de liesse ? Fête de la libération ? Pas pour tout le monde...

    #8Mai #Algérie #Sétif #massacre #colonialisme...

    ⏩ Lire l’article complet…

    ▶️ https://rebellyon.info/8-Mai-1945-Massacre-de-Setif

  • Les Algériens en région parisienne : entre espaces d’inclusion et d’exclusion
    https://metropolitiques.eu/Les-Algeriens-en-region-parisienne-entre-espaces-d-inclusion-et-d-ex

    Comment les #Algériens et Français d’origine algérienne de la métropole parisienne affirment-ils leurs identités et négocient-ils des espaces d’inclusion dans la sphère publique ? La géographe états-unienne Elizabeth Nelson livre son regard sur le modèle républicain français. Les pratiques d’intégration sociale et spatiale des immigrés algériens et de leurs descendants vivant en région parisienne traduisent souvent, au niveau local, un sentiment de malaise lié au fait de vivre et de travailler dans un #Terrains

    / Algériens, #banlieue, #inclusion, #exclusion, #espace, #Île-de-France, #Paris, #Algérie

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-nelson-3.pdf

  • ★ LA PATRIE... - Socialisme libertaire

    Depuis longtemps, depuis toujours peut-être, il existe sur terre un terrible fléau : la guerre.

    Que de flots de sang versés, que de forces perdues pour satisfaire l’orgueil et la vanité de quelques individus, ou étouffer dans l’œuf le germe des révolutions libératrices.

    Un monarque veut-il agrandir son territoire ? Rien de plus simple ; il provoque, et par mille incidents de frontière ou autre, et plusieurs peuples vont s’entre-tuer. Une fois ces peuples se sont pillés et entr’égorgés il se fait donner rançon par l’ennemi vaincu.

    Le peuple commence-t-il à sentir sa misère, fait-il mine de se révolter, vite la guerre sauveuse de bourgeois !…

    #patrie #patriotisme #guerre #militarisme #antimilitarisme #internationalisme #anarchisme #anarchocommunisme #Algérie #Henri_Zisly

    ⏩ Lire l’article complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2022/12/la-patrie.html

  • Aux origines, lointaines et proches, de la révolte des peuples arabes https://lutte-ouvriere.org/documents/archives/cercle-leon-trotsky/article/aux-origines-lointaines-et-proches-14843

    #archiveLO #conférenceLO | #CLT du 1er avril 2011

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/20110401_CLT_PaysArabes_part1.mp4

    Sommaire :

    Introduction

    Le déclin de l’Empire Ottoman
    – La perte de l’Algérie et de la Tunisie
    – L’Égypte : tentative de développement national
    – Premier sentiment national
    – Les rivalités impérialistes et la Première Guerre mondiale

    Les rivalités franco-britanniques
    – La fin de la Première Guerre mondiale
    – La révolution russe
    – Révolte en Égypte en 1919
    – Révolte à Damas
    – L’Irak en insurrection
    – Bilan d’après guerre

    La crise des années 1930, nouvelle vague de contestation dans le monde arabe
    Bilan

    Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale

    La révolte coloniale
    – La France réprime en Algérie
    – ... et est chassée de Syrie
    – 1945-1947, révoltes ouvrières en Irak
    – ... et en Égypte
    – A propos d’Israël
    – La guerre israélo-arabe
    – Les « officiers libres »
    – Nasser et la guerre froide
    – L’expédition de Suez
    – Le panarabisme
    – Usure du nassérisme

    La lutte du peuple palestinien

    La révolte actuelle des peuples arabes

    La classe ouvrière porte l’avenir

    https://videos.lutte-ouvriere.org/download/video/20110401_CLT_PaysArabes_part2.mp4

    #Empire_Ottoman #Tunisie #Egypte #Algérie #impérialisme #nasser #nassérisme #Guerre_Mondiale #colonialisme #Palestine #Israël #Suez #panarabisme #peuple_palestinien #Israël #Égypte #lutte_de_classe #irak #révolution_russe

  • Algérie : près de 3 000 migrants renvoyés dans le désert en 10 jours

    Les autorités algériennes ont expulsé 2 852 migrants entre le 23 février et le 5 mars. Les exilés ont été abandonnés en plein désert, à plusieurs kilomètres de la frontière nigérienne, sans eau ni nourriture. Parmi eux, des femmes et des enfants.

    Ils ont été abandonnés en plein milieu du désert, sous un soleil de plomb, sans eau ni nourriture. En seulement 10 jours, 2 852 personnes originaires d’Afrique subsaharienne ont été expulsées d’Algérie vers la frontière nigérienne. Selon Alarme Phone Sahara, qui vient en aide aux exilés dans la région, 993 migrants ont été renvoyés le 23 février, 1 180 le 3 mars et 679 le 5 mars. Parmi eux se trouvaient des femmes et des enfants. L’Organisation internationale pour les migrations (OIM), jointe par InfoMigrants, n’a pas été en mesure de confirmer ces chiffres.

    Ces opérations sont appelées sobrement des « reconduites à la frontière » par les autorités algériennes. Interpellés dans différentes villes du nord de l’Algérie, dans leur appartement, leur travail ou dans la rue, les migrants sont ensuite entassés dans des camions puis déportés vers le centre de refoulement de Tamanrasset, à 1 900 kilomètres de route au sud d’Alger. Là, beaucoup affirment être dépouillés de leurs affaires par les policiers : argent liquide, bijoux, téléphones portables, passeports…

    Ensuite, les exilés sont abandonnés dans le désert, au lieu-dit du Point-Zéro, qui marque la frontière avec le Niger, en plein Sahara.
    Les migrants « ne reçoivent ni nourriture ni d’endroit pour dormir »

    Livrés à eux-mêmes, les exilés doivent marcher des heures pour atteindre le premier village nigérien, Assamaka, à 15km du Point-Zéro. C’est là que se trouve le centre de transit de l’OIM, le bras de l’ONU qui assiste les retours volontaires des migrants vers leur pays d’origine.

    « Elles [les autorités algériennes, ndlr] nous ont abandonnés en plein désert, au milieu de la nuit. Il était environ 3h du matin quand on s’est mis en marche vers les lumières qui scintillaient. Je portais ma fille Maryam, ma femme portait Aminata, et un frère portait mes bagages », avait raconté en novembre dernier à InfoMigrants Burlaye, un père de famille malien de 25 ans qui travaillait comme boulanger en Algérie avant son expulsion.

    Lui et ses proches n’ont pas pu être accueilli dans le camp de l’agence onusienne, qui affichait ce jour-là complet. Burlaye, sa femme et ses enfants ont passé plusieurs nuits dehors.

    C’est aussi le cas des migrants renvoyés par l’Algérie ces dernières semaines. D’après Alarme Phone Sahara, nombre d’entre eux ont dû rester à l’extérieur, faute de places dans le centre de l’OIM. Ils « ne reçoivent ni nourriture, ni d’endroit pour dormir. Ils sont contraints de vivre dans la rue », a déclaré le 10 mars l’organisation sur sa page Twitter.
    « Abandon » de milliers de migrants

    Dans un communiqué publié jeudi 16 mars, Médecins sans frontières (MSF) a dénoncé « l’abandon » de milliers de migrants présents à Assamaka. L’ONG médicale parle même d’une « situation sans précédent ».

    Le Centre de santé intégré (CSI) d’Assamaka, dans lequel MSF « distribue des articles non alimentaires » et propose des « consultations gratuites » de santé, est « débordé ». « La majorité des personnes récemment arrivées se sont installées dans l’enceinte du CSI, en raison du manque d’espace dans le centre de transit », affirme une coordinatrice de MSF à Agadez, Schemssa Kimana, citée dans le communiqué.

    MSF ajoute que des personnes « cherchent à s’abriter de la chaleur » qui peut « atteindre 48°C » à Assamaka, jusqu’à dormir dans des « tentes de fortune », « devant la maternité, sur le toit ou dans la zone de déchets ». Dans les endroits « peu hygiéniques », ces personnes sont exposées « à des risques sanitaires tels que les maladies contagieuses et les infections cutanées », indique l’ONG.

    Les expulsions opérées par les autorités algériennes sont fréquentes dans la région. Le 12 février déjà, 899 personnes avaient été renvoyées à la frontière nigérienne, dans les mêmes conditions. Selon les chiffres de MSF, entre le 11 janvier et le 3 mars 2023, près de 5 000 migrants ont connu le même sort. Et pour certains, l’issue peut être fatale. Nombre d’exilés, livrés à eux-mêmes dans le désert, sans carte ni moyen de localisation, se perdent et errent plusieurs jours à la recherche d’un village. En 2020 et 2021, 38 corps ont été retrouvés dans la zone, à quelques kilomètres d’Assamaka.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/47523/algerie--pres-de-3-000-migrants-renvoyes-dans-le-desert-en-10-jours

    #asile #migrations #réfugiés #abandon #expulsions #renvois #déportation #désert #Algérie #Niger #Sahara #désert_du_Sahara
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    Ajouté à la métaliste des « #left-to-die in the Sahara desert »
    https://seenthis.net/messages/796051

    • MSF condemns appalling conditions for migrants abandoned in #Assamaka

      Thousands of migrants deported from Algeria and abandoned in the desert of northern Niger are stranded without access to shelter, healthcare, protection, or basic necessities, Médecins Sans Frontières (MSF) said today.

      Between 11 January and 3 March 2023, 4,677 migrants arrived into Assamaka – a town in northern Niger’s Agadez region – on foot after being deported from Algeria and stranded in the desert. Fewer than 15 per cent of them were able to access shelter or protection when they arrived.

      MSF calls on the Economic Community of West African States (ECOWAS) to immediately provide protection for the people abandoned in extremely precarious conditions in Assamaka.

      The Integrated Health Centre (IHC) in Assamaka supported by MSF is overwhelmed as thousands of migrants are seeking shelter in the facility. “The situation is worrying,” says Schemssa Kimana, MSF project coordinator for Agadez.

      “Today, the health centre that we support in Assamaka is overflowing. The majority of people who have recently arrived in Assamaka have settled in the IHC compound, due to a lack of space in the transit centre,” says Kimana.

      According to Kimana, there are people sleeping in every corner of the facility. Some have set up makeshift tents at the entrance or in the courtyard. Others are camping in front of the maternity ward, on the roof, or in the waste area. MSF staff say the situation is unprecedented.

      Temperatures in Assamaka – an arid town – can reach 48 degrees Celsius, so people seek refuge from the heat wherever they can find it. This has led people to sleep in very unhygienic places, such as waste areas, which can expose them to health risks including contagious diseases and skin infections.

      The lack of available shelter forcing people to sleep in these conditions is appalling. This situation is now an emergency – it is untenable for anyone to remain living in these conditions.

      “We are worried because no one gives us an answer as to when we will return back to our country of origin,” says a migrant from Cameroon taking shelter at the IHC.

      “We don’t know when we will leave Assamaka. It’s like being in an open-air prison. For meals, all that we receive is very badly prepared. There is more sand in it than food. It makes us sick and gives us diarrhoea and stomach aches,” she says.

      “The rations are so minimal that we don’t eat enough. We live at the IHC in sheds that were built for COVID-19 patients. At night, the police patrol the village to catch migrants who have scattered and send them back to the IHC.”

      “This is an unparalleled situation that requires an urgent humanitarian response from the ECOWAS, from where the majority of these people are from,” says Jamal Mrrouch, MSF Head of Mission in Niger.

      “As a medical humanitarian organisation, it is our duty to highlight the visible gap in assistance for people – including children – who are in a precarious situation in the Assamaka desert, and the risks to their health.”

      https://www.msf.org/niger-msf-denounces-appalling-conditions-migrants-abandoned-assamaka

    • Entre 30/03 et 01/04/23, 776 personnes étaient expulsées

      #Expulsions de l‘#Algerie : Aussi le mars termine et l’avril commence avec la continuation des expulsions à #Assamaka… Entre 30/03 et 01/04/23, 776 personnes étaient expulsées !

      Voilà les détails d’arrivé des 297 piétons avec des convois non-officiels du 30/03/23 :
      G/Conakry : 158
      G/Bissau : 3
      Mali : 43
      Nigeria : 1
      RCI : 2

      Un autre convoi est arrivé au #PointZero le 31/03/23 avec 386 migrant.e.s des nationalités suivantes :
      Bénin : 1
      Cameroun : 3
      G/Conakry : 181
      Gambie : 50
      Libéria : 1
      Mali : 42
      Sénégal : 22
      S/Léone : 19
      Syrie : 1
      RCI : 59

      Finalement, on était informé d’un autre arrivé d’un convoi officiel avec 93 ressortissant.e.s http://nigérien.ne.s le 01/04/23.

      La situation humanitaire à #Assamaka s’aggrave jour par jour. La communauté internationale doit agir !!

      https://twitter.com/AlarmephoneS/status/1644053251527004161

    • Expulsion du 11 avril 2023 :

      Expulsions from the #Algerian side continue😡
      On 11/4/23 around 11pm (so during the night when it is more dangerous and difficult to orientate oneself in the desert!!) 487 migrants of different nationalities were chased from the trucks at #PointZero to walk 15km to #Assamaka


      They are nationals of the following laya:
      Burkina Faso: 3
      Cameroon: 2
      Central Africa: 1
      RCI: 33
      Gambia: 20
      G/Conakry: 249
      G/Bissau: 3
      Liberia: 1
      Mali: 121
      Niger: 5
      Senegal: 21
      Sierra Leone: 14
      Togo: 1

      https://twitter.com/AlarmephoneS/status/1647857635104792577

  • Le procès de Galilée à Alger

    Aujourd’hui s’ouvre le procès de Ihsane El Kadi, mon ami, journaliste et directeur de Radio M et Magreb Émergent, dont les locaux sont sous scellés depuis près de 3 mois. Il doit répondre au chef d’accusation d’avoir reçu de l’argent de l’étranger aux fins de propagande politique. Il s’agit d’un billet pour lui dire tout mon soutien dans cette épreuve et prendre date sur ce procès qui a soulevé un large mouvement de soutien tant au niveau national qu’international.

    https://blogs.mediapart.fr/wassyla-tamzali/blog/120323/le-proces-de-galilee-alger
    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/25/petition-algerie-en-defense-des-libertes-syndicales-et-du-droit-de-greve-les-artistes-intellectuels-et-scientifiques-aux-cotes-des-travailleurs-et-de-leurs-syndicats/#comment-55980

    #international #algérie

  • Féminicides Algérie

    Qui sommes-nous ?
    Nous sommes deux militantes féministes algériennes, réunies par la nécessité d’alerter la société et les institutions face aux féminicides dans notre société et leur banalisation.

    Nous effectuons un recensement qui consiste en une veille permanente de l’actualité nationale relative aux meurtres et assassinats de femmes et de filles, parce qu’elles sont femmes et filles. Nous tenons également à mettre en avant que ces féminicides ne viennent pas de nulle part, c’est le résultat d’une violence sociale et institutionnelle banalisée voire encouragée et entretenue.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/03/12/feminicides-algerie

    #féminisme #feminicide #algérie

  • « Jean-Marie Le Pen n’a sans doute pas pratiqué la torture en Algérie » : polémique autour d’un podcast de France Inter consacré au fondateur du Front national
    https://www.lemonde.fr/culture/article/2023/03/10/jean-marie-le-pen-n-a-sans-doute-pas-pratique-la-torture-en-algerie-polemiqu

    Dans l’épisode 2 du podcast « Jean-Marie Le Pen, l’obsession nationale » que Philippe Collin consacre à l’ancien leader du Front national, mis en ligne fin février, on peut entendre l’historien Benjamin Stora dire : « Jean-Marie Le Pen n’a sans doute pas pratiqué la torture en Algérie. »

    le soutien de Stora à Macron est allé trop loin.

    #Algérie #torture #histoire

    • Fabrice Riceputi @campvolant
      https://twitter.com/campvolant/status/1633019760509067264
      ·

      Dans le documentaire JM Le Pen, l’obsession nationale, (France Inter), ép. 2, à 21 mn 20, [c’est] Benjamin Stora qui dit : "En fait Jean-Marie-Le Pen, à ma connaissance, quitte l’Algérie au moment où on commence la bataille d’Alger. Et c’est surtout pendant la bataille d’Alger, sous la conduite de Robert Lacoste et du général Massu, bien sûr, que va s’organiser la plus terrible des batailles où sera pratiquée la torture en Algérie. Donc, à ce moment-là, à ma connaissance, Jean-Marie Le Pen n’est pas en Algérie." Le commentateur ajoute : "Donc le soldat Le Pen n’a sans doute pas pratiqué la torture en Algérie."
      Tout est faux. Le Pen, alors député et officier parachutiste réserviste, décide de prendre du service peu après le lancement de l’opération baptisée « bataille d’Alger » (7 janvier 1957). Il est à Alger en mars 1957, date à laquelle un rapport de police (publié par Vidal-Naquet peu après) indique qu’il enlève un Algérien et le "met au tombeau" (torture) à la villa Sésini. Une archive bien connue...


      De plus, plusieurs témoins algériens sont cités par@BeaugeFlorence dans « Algérie, une guerre sans gloire » et racontent de façon très circonstanciée comment Le Pen pratiquait la torture « à domicile », dans la Casbah, notamment celle d’Ahmed Moulay, à l’eau et à l’électricité, devant sa famille, avant de le faire exécuter à la mitraillette. C’est alors qu’il oublia son fameux poignard des Jeunesses hitlériennes, dont l’histoire est bien connue. Plusieurs familles témoignant dans le cadre du projet http://1000autres.org le mentionnent également.
      1000autres.org

      Il faut encore ajouter que la police et l’armée ont torturé avant la « bataille d’Alger » et ont continué à le faire massivement après, jusqu’en 1962.

      Il est consternant que Le Pen soit ainsi exonéré, qui plus est par un universitaire, de son passé de tortionnaire en Algérie et sur le service public.

      J’ajoute que Jean-Marie Le Pen, après avoir reconnu avoir torturé, a attaqué Le Monde qui l’accusait d’avoir torturé en diffamation et qu’il a perdu en 2005 en Cassation. Voir les archives du Monde dès 2000.

      Quatre nouveaux témoins accusent Jean-Marie Le Pen de torture
      https://www.lemonde.fr/archives/article/2002/06/03/quatre-nouveaux-temoins-accusent-jean-marie-le-pen-de-torture_278520_1819218

      Le Pen et la torture pendant la guerre d’Algérie
      https://histoirecoloniale.net/Le-Pen-et-la-torture-pendant-la.html

      #France #armée_française

  • Le 12 mars 2023 se tiendra à Alger le procès du journaliste algérien Ihsane El Kadi

    Incarcéré depuis près de trois mois, à la suite de son arrestation et de la fermeture des deux médias qu’il dirige – Radio M et Maghreb Émergent –, Ihsane El Kadi est poursuivi « pour réception de fonds et d’avantages de provenance étrangère aux fins de se livrer à une propagande politique ».
    Nous, membres du Collectif international des avocats d’Ihsane El Kadi, considérons que les conditions sont loin d’être réunies pour un procès équitable qui garantisse ses droits tels que stipulés dans la législation algérienne et les conventions internationales ratifiés par l’Algérie.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/25/petition-algerie-en-defense-des-libertes-syndicales-et-du-droit-de-greve-les-artistes-intellectuels-et-scientifiques-aux-cotes-des-travailleurs-et-de-leurs-syndicats/#comment-55951

    #international #algérie

  • Renvoyer, même de façon illégale ?

    Une enquête (https://www.republik.ch/2023/01/17/abschiebungen-um-jeden-preis) du média en ligne alémanique Republik parue le 17 janvier 2023 révèle qu’en 2022, sous l’égide de l’ancienne cheffe du Département fédéral de justice et police Karin Keller-Sutter, la Confédération a mis en place en toute discrétion un système de #vols d’expulsion « parallèle » de manière à passer sous les radars de la #Commission_nationale_de_prévention_de_la_torture (#CNPT) censée, selon la loi, surveiller tous les renvois sous contrainte (Art. 9 al. 2 de la loi fédérale sur l’usage de la contrainte qui est une reprise de la Directive « retour » de l’Union européenne (art. 8, par.6)).

    Selon Republik, le #SEM a affrété des #jets_privés pour procéder à des expulsions sous la #contrainte de niveau 4 (#vols_spéciaux) tout en les annonçant comme des #vols_de_ligne aux observateurs·trices de la CNPT. Les expulsions par vols de ligne sont soumises à des obligations moins strictes en matière de #droits_humains : la CNPT, qui surveille chaque #vol_spécial, ne les accompagne que très rarement et le SEM le sait. L’un des renvois recensés par Republik partait de Zurich pour Lyon, où la police française a pris le relais pour une expulsion vers Alger. Pour rappel, l’#Algérie n’accepte que les #retours_volontaires. Jointe par le journaliste, une des deux personnes raconte avoir été « complètement ligotée », attachée à une chaise roulante et avoir subi des violences.

    « Discutable du point de vue de l’État de droit »

    Alertée par Republik, la CNPT a annoncé qu’elle surveillera à l’avenir ce type de vols. Le journaliste rappelle que des #renvois_forcés sur jets privés avaient déjà été menés sous l’ère Gattiker-Sommaruga en vue de contourner les dispositions légales exigées par l’Italie dans le cadre de renvois Dublin, que la CNPT les avait dénoncés, et qu’en 2016, le Tribunal administratif fédéral avait décrit cette forme d’expulsion comme une « pratique de renvoi discutable du point de vue de l’État de droit ». (A-683/2016, point 7.1.3) Un jugement contraignant le SEM à rendre publics les documents internes relatifs à cette pratique controversée, que beaucoup pensaient abandonnée.

    C’est dire l’importance d’un regard indépendant lors de ces renvois sous contrainte. Car même dans les cas où la CNPT est présente, les droits humains sont violés. Une lecture publique du dernier rapport de la CNPT (https://www.nkvf.admin.ch/nkvf/fr/home/publikationen/mm.msg-id-90231.html) devrait d’ailleurs être organisée pour que la population mesure ce que les personnes en exil subissent.

    « Pratique inhumaine et dégradante »

    Il fait notamment état du cas d’une femme enceinte qui a dû allaiter l’un de ses enfants en étant menottée. Une « manière de procéder inhumaine et dégradante », selon Daniel Bolomey, membre de la CNPT, qui viendra s’exprimer lors de la prochaine Conférence romande sur l’asile organisée à Lausanne le 11 mars 2023. Elle portera justement sur les renvois (voir ici : https://paires.ch/programme-dactivites/conferenceromande).

    https://asile.ch/2023/03/09/renvoyer-meme-de-facon-illegale

    #Suisse #renvois #expulsions #asile #migrations #réfugiés #déboutés #légalité #illégalité

    • Abschiebungen um jeden Preis

      Der Bund schiebt Ausländer in gecharterten Privat­flugzeugen ab und vertuscht die Flüge. Werden die Menschen­rechte eingehalten? Jetzt schaltet sich die Antifolter­kommission ein.

      Die Beechcraft 1900D ist eine kleine, zweimotorige Propeller­maschine, die häufig auf kurzen Strecken zum Einsatz kommt: als Fracht­flugzeug, für Geschäfts­reisen oder – wie in diesem Fall – für Abschiebungen.

      Am 31. Mai 2022 steht eine solche Propeller­maschine der Airline Twin Jet auf dem Rollfeld des Zürcher Flughafens, Flugnummer T7 1272, der Abflug ist für 12.05 Uhr geplant. Kurz vor dem Start bringt die Flughafen­polizei Zürich zwei Algerier zum Flugzeug. Reason for deportation steht auf einem Dokument, das die Behörden für sie ausgestellt haben und: illegal stay – die Männer sollen abgeschoben werden, weil sie sich illegal in der Schweiz aufhielten.

      Der Flug gilt laut Staats­sekretariat für Migration (SEM) als regulärer Linien­flug. Das ist er dem Anschein nach auch: Er ist im Linienplan eingetragen, und auf der Website der Flug­gesellschaft Twin Jet führt eine kurze geschwungene Linie von Zürich nach Lyon.

      Aber es gibt keine Möglichkeit für gewöhnliche Reisende, den Flug zu buchen: Auf der Website von Twin Jet gibt es keine Flug­daten, Tickets stehen nicht zum Verkauf. Auch auf explizite Nachfrage weigert sich der Betreiber Twin Jet, der Republik ein Ticket zu verkaufen. Es handle sich um Privatflüge – des vols privés.

      Wie ist das möglich?

      Recherchen der Republik zeigen: Der Bund hat letztes Jahr unter der damaligen Justiz­ministerin Karin Keller-Sutter klamm­heimlich ein System für Abschiebe­flüge eingerichtet, mit dem er unerwünschte Ausländer gegen ihren Willen ausschaffen kann, ohne öffentliche Aufmerksamkeit zu erregen und ohne dass Menschenrechts­beobachter an Bord wären. Diese Sonderflüge auf der Strecke von Zürich nach Lyon in Frankreich deklariert der Bund fälschlicher­weise als gewöhnliche Linien­flüge. Bei Abschiebungen auf Linien­flügen gelten weniger strenge menschen­rechtliche Standards: Die Beobachterinnen der Antifolter­kommission, die jeden Sonderflug überwachen, begleiten nur äusserst selten Abschiebungen auf Linien­flügen.

      Von der Republik auf diese Abschiebe­flüge hingewiesen, kündigt die Antifolter­kommission an, diese künftig zu überwachen, um allfällige Menschenrechts­verletzungen zu dokumentieren.

      «Rechts­staatlich fragwürdige Praxis»

      Es ist nicht das erste Mal, dass das Staats­sekretariat für Migration diese umstrittene Praxis anwendet. Doch bis vor kurzem ging man davon aus, dass das SEM diese Flüge längst aufgegeben habe. Schliesslich hatte das Bundes­verwaltungs­gericht diese Form der Abschiebungen 2016 in einem Urteil als «rechts­staatlich fragwürdige Rückführungs­praxis» beschrieben.

      Zwei Jahre zuvor, im Sommer 2014, hatte die Schweizer Antifolter­kommission diese Flüge entdeckt und kritisiert: In einem Prüfbericht zeigte sich die Kommission «beunruhigt», die Flüge seien «problematisch», der Flugzeugtyp «nicht geeignet», es gebe «keine medizinische Begleitung». Bei Notfällen sei zu wenig Platz da, um angemessen zu reagieren. Zudem würden die Passagiere systematisch voll gefesselt, also Hände und Füsse in Hand­schellen gelegt und die Hände an einem speziellen Hüftgurt festgemacht – selbst wenn Kinder mit an Bord seien.

      In der Folge zeigten Medien­recherchen die Hinter­gründe dieser ominösen Abschiebeflüge.

      Das Staats­sekretariat für Migration hatte die kleinen Privat­flugzeuge der französischen Firma Twin Jet zwar gechartert, diese offiziell aber als reguläre Linienflüge eintragen lassen. Die Antifolter­kommission nannte sie ominös «T7-Flüge», angelehnt am Airline-Code von Twin Jet: T7. Alle zwei Wochen flogen diese Flüge von Genf nach Mailand. So schob das SEM zwischen Juni 2012 und März 2015 insgesamt 235 Personen nach Italien ab. Die Falsch­deklaration der Flüge als Linien­flüge diente dazu, die italienischen Behörden zu täuschen und sie über den wahren Zweck der Flüge im Dunkeln zu lassen. Das ging später aus einem geheimen Schreiben des damaligen Staats­sekretärs Mario Gattiker hervor.

      Als die fragwürdigen Manöver des SEM aufzufliegen drohten, wehrte sich die Migrations­behörde bis ans Bundes­verwaltungs­gericht, um die Verträge mit der französischen Flug­gesellschaft vor Journalistinnen geheim zu halten, und verlangte, dass selbst die Begründung für die Geheim­haltung geheim gehalten werde.

      Die Verträge musste das SEM schliesslich doch herausgeben. Sie liegen der Republik vor.

      Twin Jet sicherte damals schriftlich zu, dass auf diesen Flügen sämtliche 19 Plätze exklusiv den Schweizer Behörden zur Verfügung stehen. Das geht aus mehreren Verträgen aus den Jahren 2012 bis 2014 hervor, die der Republik vorliegen. Die heutigen Verträge dürften ähnlich ausgestaltet sein. Sicher ist das nicht. Das SEM erteilt grundsätzlich «keine Auskunft über einzelne Rück­führungen oder über die Flug­gesellschaften, mit denen es dabei zusammen­arbeitet». Es bestätigt noch nicht einmal, dass es mit Twin Jet eine Zusammen­arbeit gibt, und verweigert auch jeden Kommentar zum Flug, der am 31. Mai 2022 von Zürich aus abhob.
      Zwei Passagiere, zwölf Polizisten

      Die Maschine mit den zwei Algeriern an Bord fliegt an diesem Tag nicht direkt nach Nord­afrika, sondern lädt die beiden Männer in Frankreich ab, am Flughafen Lyon Saint-Exupéry. Dort sollen sie mit Unterstützung der französischen Polizei auf ein Flugzeug der ASL Airlines gebracht werden, die sie weiter nach Algier fliegt. Das geht aus behördlichen Dokumenten zum Flug hervor, die der Republik vorliegen.

      Zwar gibt es seit letztem Jahr wieder einen direkten Linien­flug aus der Schweiz nach Algerien (während der Corona-Pandemie war der Direkt­flug gestrichen worden). Aber im Mai 2022 akzeptieren die algerischen Behörden gemäss SEM nur freiwillige Rück­kehrer auf diesen Flügen, keine polizeilich begleiteten Zwangs­rückführungen.

      Das gilt insbesondere für sogenannte Sonder­flüge. So heissen Charter­flüge, die ausschliesslich der Abschiebung unerwünschter Ausländerinnen dienen. Sonder­flüge geraten immer wieder in die Kritik, weil die Menschen auf diesen Flügen nur mit Zwang, also polizeilicher Gewalt und in manchen Fällen sehr viel polizeilicher Gewalt, in ihre Herkunfts­länder gebracht werden. Dabei kommt es immer wieder zu Menschen­rechts­­verletzungen.

      Auch die beiden Algerier auf dem Flug T7 1272 im Mai vergangenen Jahres gehen nicht freiwillig. Sie werden begleitet von insgesamt zwölf Polizisten, je sechs pro Person. Das hatte das SEM bereits zwei Wochen vor Abflug festgelegt.

      «Anzahl der notwendigen Flug­begleiter» heisst es im entsprechenden Dokument: 6 Männer, 0 Frauen; 1 Equipen­leiter, 5 Begleiter.

      Einen der beiden ausgeschafften Männer kann die Republik nach seiner Abschiebung telefonisch in Algerien erreichen. Er beschreibt die Geschehnisse des Tages so:

      Er habe vor dem Abflug in einer Zelle des Flughafen­gefängnisses Zürich gleich neben der Rollbahn gewartet. Dann seien mehrere Polizisten gekommen und hätten ihn «vollständig gefesselt»: an Armen, Händen, Füssen, Hüfte, sagt der Mann. Zudem habe man ihn auf einen Roll­stuhl gebunden, sodass er sich nicht mehr habe bewegen können. Zusammen­geschnürt wie ein Paket habe man ihn zum Flugzeug gebracht. Als er einmal versucht habe, sich an einer Stange festzuhalten, hätten die Polizisten auf ihn eingeschlagen. Er habe am ganzen Körper blaue Flecken davongetragen.

      Die Kantons­polizei Zürich äussert sich nicht zu den Vorwürfen. Ihr lägen keine Informationen dazu vor.

      Das SEM will den Flug grundsätzlich nicht kommentieren. Es hält fest, dass es weder nach Frankreich noch nach Algerien Sonder­flüge durchführe. «Es nutzt aber die Möglichkeit, weggewiesene Personen per Linien­flug zurück­zuführen. Anders als in einem Sonder­flug kommen keine Zwangs­massnahmen wie etwa Vollfesselung zur Anwendung.»

      Was genau auf dem Flug T7 1272 geschah, kann niemand unabhängig bezeugen. Der Mann hat keine Fotos seiner Verletzungen. Und ausser den mutmasslichen Tätern und Opfern war niemand anwesend. Keine Passagiere, keine Ärztin – und auch keine Menschen­rechts­beobachter.
      Übermässige Polizei­gewalt, rechts­widrige Fesselungen

      Leo Näf weiss, wie es auf Abschiebe­flügen zu- und hergehen kann. Er ist seit 2011 Mitglied der Nationalen Kommission zur Verhütung von Folter, besser bekannt als Antifolter­kommission. Er ist so lange dabei wie kein anderes Mitglied. Dieses Jahr wird er die Kommission wegen der Amtszeit­beschränkung verlassen.

      Vierzig oder fünfzig Flüge habe er im letzten Jahrzehnt begleitet und beobachtet, sagt Näf. Vom Abholen im Gefängnis über den Transport ins Flugzeug bis zur Ankunft im Zielland. Immer waren es Sonder­flüge, die aus menschen­rechtlicher Sicht besonders heikel sind.

      Das Mandat, Ausschaffungs­flüge zu überwachen, hat die Antifolter­kommission im Jahr 2012 vom Bund erhalten. Zwei Jahre zuvor war Joseph Ndukaku Chiakwa bei den Vorbereitungen für einen Sonder­flug nach Nigeria gestorben. Eine Uno-Kommission kritisierte, dass die Schweiz bei Zwangs­ausschaffungen keine unabhängigen Beobachterinnen zuliess. Die Schweiz passte darauf ihre Praxis an und liess seither alle Sonder­flüge überwachen, so wie es die entsprechende EU-Rückführungs­richtlinie vorsieht.

      Regelmässig veröffentlicht die Antifolter­kommission seither Prüfberichte «betreffend das ausländer­rechtliche Vollzugs­monitoring». Darin dokumentieren die Beobachter der Antifolter­kommission unverhältnis­mässige Polizei­gewalt, rechtswidrige Fesselungen oder dramatische Einzel­fälle, bei denen grund­legende Menschen­rechte missachtet werden.

      Im jüngsten Bericht etwa ist ein Fall beschrieben, bei dem eine schwangere Frau vor ihren Kindern gefesselt wurde und ihr Kleinkind in Hand­schellen stillen musste. Danach wurde die Frau, die über Schmerzen im Bauch klagte, «auf inadäquate Art» von mehreren Polizistinnen die Treppe hinunter­getragen und in einen Kleinbus gebracht, der sie zum Flughafen fuhr. Die Antifolter­kommission beurteilte das Vorgehen der Polizei als «erniedrigend und unmenschlich».

      Die Wirkung solcher Berichte ist allerdings begrenzt: Die Kommission kann nur Empfehlungen aussprechen, keine Sanktionen verhängen. Ihr fehlt es auch an Ressourcen, um nicht nur Sonder­flüge zu überwachen, sondern auch andere heikle Flüge.

      Im Jahr 2021 – aktuellere Zahlen hat das SEM nicht – fanden insgesamt 43 Sonderflüge statt, auf denen 165 Personen abgeschoben wurden. In der gleichen Zeit wurden auf Linien­flügen 248 Personen zur Rückkehr gezwungen, wobei in der Regel auf Linien­flügen nur einzelne Personen abgeschoben werden. Die Zahl der Linien­flüge will das SEM nicht bekannt geben, sie dürfte aber deutlich höher sein als jene der Sonder­flüge.

      Und so kam es auch, dass die Antifolter­kommission erst durch eine Anfrage der Republik erfahren hat, dass das SEM im vergangenen Jahr die umstrittene Praxis der falsch deklarierten Sonder­flüge mit Twin Jet wieder­aufgenommen hat.

      Einen Tag bevor der Flug T7 1272 von Zürich nach Lyon abhob, ging zwar um 8.33 Uhr eine E-Mail bei der Antifolter­kommission ein, in der das SEM den Flug ankündigte, so wie es der Kommission alle zwangsweisen Rück­führungen vorgängig meldet. Aber der Flug wurde nicht als T7-Flug gemeldet, wie das in den Jahren 2012 bis 2015 der Fall war. Und schon gar nicht als Sonder­flug, denn dann wäre auf jeden Fall ein Kommissions­mitglied mitgeflogen und hätte die Geschehnisse an Bord beobachtet.

      Stattdessen verschickte das SEM «mit freundlichen Grüssen» eine leere Mail mit Anhang, in der es über einen verhältnis­mässig harmlosen «Linienflug» informierte.

      Leo Näf von der Antifolter­kommission kann nichts dazu sagen, ob die Migrations­behörden die Flüge falsch deklarierten, um die Über­wachungen durch die Kommission zu umgehen. «Die Flüge werden uns als Linien­flüge gemeldet. Wir müssen davon ausgehen, dass das stimmt. Aber wir haben das nicht überprüft und verifiziert.»

      Er könne deshalb auch nicht beurteilen, ob auf den aktuellen T7-Flügen alles korrekt ablaufe, denn die Kommission war nicht dabei. «Ich kann mich also nur auf die früheren Flüge beziehen. Und damals kritisierten wir sie, weil sie wegen der engen Platz­verhältnisse grundsätzlich nicht geeignet waren für Rück­führungen. Diese Kritik gilt im Grund­satz auch heute noch.»

      Kritik gab es jüngst auch von der Uno-Subkommission gegen Folter. Ihr gegenüber wurden mehrere Vorwürfe wegen übermässiger Zwangs­anwendungen auf Linien­flügen geäussert. Dabei ging es vor allem um zu enge Fesselungen hinter dem Rücken und eine Technik, «bei der stark auf den Adamsapfel gedrückt wurde, um die rückzuführenden Personen am Schreien zu hindern».

      Von der Republik auf die Wieder­aufnahme der sogenannten T7-Flüge hingewiesen, kündigt die Antifolter­kommission an, diese künftig zu überwachen, um allfällige Menschen­rechts­verletzungen zu dokumentieren.
      Abschiebung über Istanbul, Paris, Barcelona, Rom, Doha

      Als Karin Keller-Sutter 2019 das Justiz­departement übernahm, betonte sie nach knapp 100 Tagen im Amt, wie wichtig eine «glaubwürdige Asyl­politik» sei. Sie meinte damit vor allem: dass man jene, die kein Asyl erhalten, konsequent abschiebt. Das habe für sie höchste Priorität, sagte sie.

      Es ist seit jeher das Credo der Schweizer Asyl­behörden: dass man grosszügig sei beim Anerkennen von Flüchtlingen, aber dafür streng beim Wegschicken der Abgewiesenen.

      Im Fall von Algerien aber liegen die Dinge anders. Da lautet das Motto: rigorose Ablehnung von Asyl­suchenden. Und noch konsequentere Abschiebung.

      Letztes Jahr gingen bis Ende November 1239 Asylgesuche aus Algerien ein, 7 Personen erhielten Schutz. 332 Personen verliessen das Land freiwillig, 101 Algerier wurden unter polizeilichem Zwang ausgeschafft.

      Dabei scheuten die Behörden offenbar keinen Aufwand und schoben die abgewiesenen Algerier auf Linien­flügen mit Zwischen­station in Istanbul, Paris, Barcelona, Rom oder Doha ab.

      Mehrere Algerier, mit denen die Republik gesprochen hat, berichten, dass sie auf diesen Flügen von Polizisten beschimpft und geschlagen worden seien.

      In einem Fall, der von der Antifolter­kommission ebenfalls nicht beobachtet wurde, kam es demnach zu einer Vollkörper­fesselung an Oberarmen, Händen, Hüften und Füssen. Der Mann sagte der Republik, er sei auf einen Rollstuhl geschnürt und ihm sei ein sogenannter Schutz­helm mit Spucknetz aufgesetzt worden. Er hätte aus der Schweiz über Istanbul nach Algier abgeschoben werden sollen. Als die Polizisten ihn im Flugzeug aber auf den Stuhl hätten setzen wollen, habe er sich gewehrt, sei zu Boden gedrückt und geschlagen worden. In diesem Moment hätten reguläre Passagiere das Flugzeug betreten und angefangen zu filmen, worauf die Abschiebung abgebrochen worden sei.

      Beim zweiten Versuch im November 2022 habe ihn die Polizei in einem Minivan nach Mulhouse gebracht, wo sie ihn in eine Maschine der ASL Airline direkt nach Algier gesetzt habe. Wieder voll gefesselt, aber dieses Mal hinter einem Vorhang, der als Sicht­schutz diente, damit die anderen Passagiere nicht gestört würden.

      Diese Praktiken sind nicht verboten. Sie sind fast alltäglich in diesem Land. Ob sie menschen­würdig sind oder sinnvoll, ist eine andere Frage.

      Einer der abgeschobenen Algerier sagte der Republik im Gespräch, er komme bald zurück in die Schweiz. «Ich kenne einen», sagte er, «der macht mir für 1000 Euro einen neuen Pass. Vielleicht 1500. Und dann fahre ich wieder nach Europa.»

      https://www.republik.ch/2023/01/17/abschiebungen-um-jeden-preis

  • Le président Abdelmadjid Tebboune doit cesser ses atteintes à l’indépendance de l’autorité judiciaire et à la présomption d’innocence d’Ihsane El Kadi

    Dans une allusion à peine voilée à Ihsane El Kadi, lors d’un entretien accordé à la presse algérienne, diffusé le 24 févriers 2023, le président Abdelmadjid Tebboune l’a qualifié de « khabardji » (collaborateur, informateur), l’accusant ainsi de « collusion avec des forces étrangères ».
    Il a également justifié la fermeture de Radio M et de Maghreb Émergent, dont notre mandant est directeur, par le fait qu’il s’agissait de « médias illégaux ».

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/25/petition-algerie-en-defense-des-libertes-syndicales-et-du-droit-de-greve-les-artistes-intellectuels-et-scientifiques-aux-cotes-des-travailleurs-et-de-leurs-syndicats/#comment-55893

    #international #algérie

  • Ukraine : derrière la Russie, les USA visent la Chine
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/03/01/ukraine-derriere-la-russie-les-usa-visent-la-chine_528276.ht

    Depuis le #sommet_de_Munich sur la sécurité, les États-Unis mènent campagne contre la #Chine, qu’ils accusent chaque jour de vouloir armer la Russie dans sa guerre en Ukraine. Venant de Washington l’accusation pourrait faire sourire.

    On ne peut cependant oublier que les États-Unis, qui ont fourni pour 26,4 milliards de dollars d’aide militaire à l’Ukraine en un an, à quoi s’ajoute tout ce que lui ont livré ses alliés de l’Otan, portent par là même une responsabilité écrasante dans le fait que la guerre dure et que le nombre de ses victimes ne cesse de croître.

    Le secrétaire d’État américain Antony Blinken a été le premier à prétendre, le 18 février, que la Chine s’apprêtait à fournir des « armes létales » à la Russie. Pékin ayant démenti la chose, la vice-Présidente Kamala Harris a renchéri, affirmant que Washington était « troublé par le fait que Pékin approfondisse ses relations avec Moscou ».

    Le lendemain, l’ambassadrice américaine aux #Nations_unies s’est faite plus précise dans ses menaces : pour elle, aider militairement la Russie, c’est « franchir la ligne rouge ». Le 20, le ministre chinois des Affaires étrangères rétorqua qu’au lieu de « propager de fausses nouvelles », les États-Unis feraient mieux de « prendre de véritables mesures en faveur […] de l’avancement des pourparlers de paix ». Malgré cela, le 26 février, #Jake_Sullivan, conseiller à la Sécurité nationale de la Maison Blanche, fit encore monter la pression en affirmant que Pékin « devra choisir s’il fournit ou pas une aide militaire » à Moscou, et que, « s’il choisit cette voie, cela aura un coût réel pour la Chine ».

    Derrière ce qui reste, pour l’instant, un bras-de-fer diplomatique, il y a toute l’arrogance de la première puissance militaire et économique mondiale, sûre de son bon droit, celui du plus fort qui entend dicter sa loi à la planète. Que l’État impérialiste le plus puissant accuse les pays qui s’opposent à lui, ou pourraient le vouloir, d’être des agresseurs ennemis de la démocratie, c’est une constante de la politique des grands États occidentaux, y compris quand, pour faire respecter leur ordre mondial, ils mettent à feu et à sang d’autres pays et leurs populations. On l’a constaté du #Vietnam à l’#Algérie, de l’#Irak à l’#Afghanistan et en tellement d’autres occasions.

    Dans le cas de la guerre qui oppose en #Ukraine la Russie au bloc de l’#Otan, il s’agit de cela aussi, mais pas seulement. Les États-Unis et leurs alliés veulent empêcher que des pays menacés par leur puissance hégémonique fassent bloc pour y résister.

    Ainsi, en représailles de ce qu’il fournit des drones de combat à la #Russie, l’#Iran vient de voir s’abattre des sanctions américaines sur ses entreprises qui fabriquent et acheminent ces armes : leurs avoirs et biens situés aux États-Unis sont gelés.

    S’agissant de la Chine, qui subit déjà certains embargos sur des productions ou fournitures que l’Occident considère comme stratégiques, les menaces de Washington sont d’un autre niveau. Dans la perspective d’une guerre plus large que celle d’Ukraine, une guerre de « haute intensité » dont les dirigeants politiques et militaires occidentaux parlent ouvertement, c’est la Chine qui devient leur cible principale.

    Pour eux, il s’agit de préparer les peuples à cette nouvelle guerre en leur désignant par avance l’ennemi à combattre. Ainsi, parmi d’autres de son acabit, le #général_Minihan, chef des forces aériennes aux #États-Unis, a déclaré dans une note interne, confirmée ensuite par le Pentagone : « J’espère me tromper. Mais mon instinct me dit que nous combattrons en 2025. » Et cela vise la Chine.

    Si les travailleurs veulent vivre en paix, ils doivent d’abord refuser toute solidarité avec de tels fauteurs de guerre. Mais ils doivent aussi se préparer à transformer cette guerre menée contre les peuples en une guerre sociale, une guerre de classe contre le système capitaliste. Car il faut renverser ce système qui « porte en lui la guerre comme la nuée porte l’orage », comme disait Jaurès à la veille de la Première Guerre mondiale.

    #capitalisme #ONU #impérialisme

  • Algérie : trois ans après la fin du Hirak, une reprise en main

    https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2023/02/25/algerie-trois-ans-apres-la-fin-du-hirak-une-reprise-en-main_

    En Algérie, les espoirs qu’avait fait naître le Hirak en 2019 ont cédé la place au #désenchantement. Le mouvement populaire avait contraint #Bouteflika à la démission, mais le «  système  » que les manifestants aspiraient à faire «  dégager  », lui, est toujours là. Trois ans après la fin du Hirak, #Abdelmadjid_Tebboune, qui apparaissait comme un président illégitime et mal élu, a réussi à s’imposer en maniant alternativement la carotte et le bâton. Le régime a habilement tiré profit des diverses crises qui ont affecté le pays pour opérer une reprise en main de plus en plus autoritaire.

    En même temps, face à la gravité de la crise sociale, Tebboune a épousé le rôle d’un Bonaparte. Il veut apparaître soucieux des intérêts des classes populaires et protecteur des plus démunis, tout en étant aux petits soins pour les patrons algériens et ceux des grands groupes internationaux. Les tensions ravivées avec le Maroc lui permettent de se présenter en sauveur de la nation et de créer un sentiment d’unité nationale. La remontée des cours du gaz et du pétrole, consécutive à la guerre en Ukraine, lui a donné une marge de manœuvre qui, à défaut de nourrir une adhésion parmi les classes populaires, crée une forme d’attentisme qu’il entretient par des promesses renouvelées concernant le pouvoir d’achat. Le «  dégagisme  » et l’absence de direction ouvrière profitent au régime Le 2 avril 2019, face à l’ampleur de (...)

    #Algérie #Hirak

  • Pétition (Algérie) : En défense des libertés syndicales et du droit de grève : Les artistes, intellectuels et scientifiques aux côtés des travailleurs et de leurs syndicats + Algérie : contribution dans l’esprit du Hirak !

    Nous, artistes, intellectuels et scientifiques signataires de cette pétition :

    • avons pris connaissance avec consternation du contenu attentatoire aux libertés syndicales élémentaires et au libre exercice du droit de grève du « Projet de loi relatif à l’exercice du droit syndical » et du « Projet de loi relatif à la prévention, au règlement des conflits collectifs de travail et à l’exercice du droit de grève » élaborés par le ministère du Travail, de l’Emploi et de la Sécurité sociale.

    • faisons part de notre étonnement et de notre incompréhension devant l’absence totale de concertation avec les organisations syndicales durant la période d’élaboration de ces deux textes,

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/02/25/petition-algerie-en-defense-des-libertes-syndi

    #international #algérie

  • L’étau se resserre, les libertés s’émiettent. 4 ans après le début du Hirak, la solidarité internationale est plus que jamais nécessaire
    En 2019, le mouvement populaire ou Hirak a porté dans les rues, tous les vendredi, des millions de manifestants qui réclamaient un régime démocratique et donc la fin du pouvoir des militaires. 4 ans après, le mouvement subit une répression sans précédent.

    Il y a aujourd’hui près de 300 prisonnier-es d’opinion dans le pays : des adolescent-es aux femmes âgées, de simples manifestant-es aux militant-es syndicaux autonomes et associatifs, des journalistes, des blogueurs… Mais ce sont, en tout, entre 1200 et 1500 personnes qui ont été incarcérées dans la période, pour leur participation à des manifestations du Hirak ou pour avoir critiqué le pouvoir. Nous dénonçons également l’usage ubuesque de la « détention provisoire », prolongée pour certain-es pendant 16 mois, pour être finalement relaxé-es lors de procès aux dossiers d’accusation complètement vides.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/05/27/algerie-repression-des-manifestant-es-du-hirak/#comment-55554

    #international #algérie

  • Club Raï à Fip avec Hadj Sameer
    https://www.radiofrance.fr/fip/podcasts/speciales-fip/club-rai-a-fip-avec-hadj-sameer-3028304

    A partir du 7 février, Arte.tv, en partenariat avec FIP, diffuse la série documentaire musicale #Raï is not dead réalisée par Simon Maisonobe. une série en six épisodes sur l’histoire du Raï à travers le voyage du DJ et digger Hadj Sameer, qui part en quête de « l’arche perdue » du raï de son enfance, avec l’objectif de réaliser une mixtape. De l’électrisant « Ya Zina » de Raina Rai à l’iconique « Didi » de Cheb Khaled, jusqu’à 1, 2, 3 soleils (Taha, Faudel, Khaled), iconique tube de l’année 1998, retours sur la naissance d’un genre musical qui connait un rapide essor planétaire.

    https://www.arte.tv/fr/videos/105450-003-A/rai-is-not-dead-3-6
    Raï is not dead #Lyon et #Marseille, les avant-postes du raï
    #musique #Algérie

  • Communiqué du collectif international des avocats du journaliste algérien détenu Ihsane El Kadi

    Nous, avocats et défenseurs des droits de l’Homme, informons l’opinion publique de la constitution d’un collectif international d’avocats pour la défense du journaliste Ihsane El Kadi.
    Dans la nuit du 24 décembre 2022, celui-ci a été arrêté et placé en garde à vue, et les locaux des médias « Radio M » et « Maghreb Emergent », qu’il dirige, ont été mis sous scellés quelques heures plus tard.
    À l’issue de cinq jours de garde à vue, et bien qu’il présente toutes les garanties nécessaires, il a été placé en détention provisoire le 29 décembre 2022 à la prison d’El Harrach, à Alger.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2022/05/27/algerie-repression-des-manifestant-es-du-hirak/#comment-55357

    #international #algérie

  • After Independence, Algeria Launched an Experiment in Self-Managing Socialism
    https://jacobin.com/2023/02/algeria-independence-self-management-socialism-democracy-coup

    02.02.2023 by Hall Greenland - After the end of French colonial rule, Algeria’s first government began to promote workers’ self-management in the “Mecca of Revolution.” But a backlash by conservative elements led to a military coup that established the regime still in power today.

    There is a famous concluding scene to Gillo Pontecorvo’s classic 1966 film The Battle of Algiers. After witnessing the French paratroopers “win” the battle by a combination of torture and murder over the previous hour and a half, the film climaxes with the residents of the Casbah surging out into the city with their rebel flags and banners blowing in the wind proclaiming independence and freedom for Algeria.

    This was no sop to those of us who like a Hollywood-type happy ending but historical truth. Despite the rout in 1957 of the pro-independence Front de Libération Nationale (FLN) in the actual battle of Algiers, the people themselves went on organizing.

    When the French president Charles de Gaulle made his visit to Algeria in December 1960, the people of Algiers and half a dozen other cities throughout the country exploded into mass manifestations to impress on him their unbreakable determination to be free.
    Popular Power

    It was not the last spontaneous intervention of ordinary Algerians in the fate of their country. When independence came in 1962, most of the million European settlers decided to emigrate rather than live under Algerian rule. They left the country bereft of doctors, engineers, technicians, and teachers.

    They also left behind them a trail of destruction. It was not only the terrorist OAS (Secret Army Organization) which wreaked this vengeance, killing thousands of unarmed Algerians. Farmers and businessmen also destroyed machinery and wrecked buildings as they departed.

    The abandonment and destruction of the settler farms meant that Algeria faced starvation as the settlers had appropriated the best land. In addition, the French counterinsurgency had forced more than two million Algerians off the land as vast swathes of the countryside were cleared of villages and farms for free-fire zones.

    Into this impending famine stepped the hundreds of thousands of Algerian farm workers who took over the abandoned farms and managed them themselves. The harvest was saved. While there were similar takeovers in the towns, the self-management phenomenon was much stronger in the countryside. That said, in the early days, teams of city mechanics were mobilized to go to the farms to repair and service tractors and other machinery.

    This example of workers’ self-management was born of necessity. It did not rely on the leadership and initiative of the FLN, whose cadres had been scattered and driven out of much of Algeria by a French army of half a million soldiers. During the summer of 1962, the FLN split at a conference in Tunisia, further weakening its capacity to act. Just as in 1960, it was the self-organizing Algerian people who saved the day.

    Certainly, one should not idealize this moment excessively. It was a patchy takeover of the European farms and firms. Local democracy wasn’t always perfect: there were many examples of local bigwigs, mafia, and armed mujahideen doing side deals with emigrating European owners or seizing European property. However, in the latter cases, there were often ongoing struggles between the usurpers and local workers for control.

    The spontaneous reality of the summer of 1962 set the stage for the struggle that was to dominate the next three years: direct democracy versus bureaucratic and bourgeois control. To put it another way: the people against a nascent ruling class.
    Radicalization at the Top

    Initially the portents were good. In the struggle for power following independence, the most radical option came out on top, represented by the duo of Ahmed Ben Bella, one of the historic initiators of the war for independence, and Houari Boumédiène, the FLN’s army chief. The newly elected national assembly voted Ben Bella into office as president and Boumédiène as defense minister.

    Ben Bella’s inclination was to make Algeria another Cuba. His coming to power coincided with the arrival in Algiers of the Greek left-wing activist Michalis Raptis, better known as Michel Pablo. As secretary of the Trotskyist Fourth International, Pablo had assembled the first and most important of the European support networks for the FLN, including the organization of underground arms factories to supply the movement with weapons.

    Pablo firmly believed that an essential feature of socialism was the expansion of democracy. On the one hand, he did not think that you could have socialism in an underdeveloped and devastated country like Algeria, because socialism assumed a high level of economic development, which necessarily depended on an international division of labor. On the other hand, Pablo argued that you could lay the groundwork for a future socialism by fostering democratic institutions from the outset.

    Pablo had become an advocate of what he called “autogestion” (self-management) throughout society. He welcomed the spontaneous creation of workplace self-management in Algeria. In his mind, here was a chance (and it was only that) to create a viable alternative to the capitalist or bureaucratic models for developing societies.

    Pablo and Ben Bella struck up an immediate rapport and the new president hired Pablo as an economic counselor. A handful of supporters followed him to Algiers. There were also Algerian militants such as Mohammed Harbi and Omar Belouchrani who were already advocates of self-management.

    For his part, Ben Bella persuaded the Egyptian dictator Gamal Nasser to release a host of Arab communists from his prison camps to work in Algeria. Some of them assisted with schemes for self-management and agrarian reform.

    However, the gathering of this small staff of cosmopolitan revolutionary intellectuals could not conceal the fact that there was no national political force committed to self-management. The FLN was a shambles that was rapidly being rebuilt, attracting as many chancers and opportunists as genuine revolutionaries in the process.

    In addition, the union movement was very much in its infancy, and its leaders were men appointed by Ben Bella and Boumédiène rather than elected by the members. What we might call a culture of political democracy was largely absent.
    Bureaucratic Barriers

    Nevertheless, the early days of free Algeria were hopeful. Ben Bella accepted Pablo’s advocacy for a cancellation of the debts of the peasantry and the suspension and cancellation of the recent sales of European farms and property. He authorized Pablo to draw up the new laws governing the self-managed sector of the economy.

    This resulted in the March Decrees of 1963, which legislated the form that self-management was to take in all former European-owned farms and businesses. General assemblies were to hold the ultimate power, including that of electing the workers’ council. In turn, the council elected the management committee which was in charge of day-to-day matters. The government was to appoint the executive director in agreement with the self-management bodies of an area.

    The government launched implementation of the March Decrees with much fanfare. Ben Bella went on a national tour promoting those decrees, presiding over elections of workers’ councils and holding enthusiastic rallies wherever he went, proclaiming the birth of Algerian self-managed socialism. The Bureau national d’animation du secteur socialiste (BNASS or National Office for the Support of the Socialist Sector) was created to aid the new self-managed bodies and a regular radio program — the Voice of Self-Management — was inaugurated.

    However, the assassination of Ben Bella’s radical foreign minister, Mohamed Khemisti, cut short his national tour as he hurried back to Algiers. Back in the capital, he was subject to lobbying by long-standing comrades, including his old cellmate Ali Mahsas, who was now minister for agriculture. Mahsas argued that firm central supervision of the self-managed farms was essential.

    The original aim had been for the government to favor the self-managed sector with support and investment in order to boost its profitability and productivity: existing yields were about half those of comparable farms in Europe. The Algerian state would use taxes on these farms for local, regional, and national development.

    Yet the party-bureaucracy had other ideas that were essentially parasitical. The ministry took control of farm machinery, marketing, and credit. It established strong links with the directors and management committee presidents. Corruption became rife.

    In addition, the local préfets — officials in the traditional French administrative structure that Algeria inherited — used the farms to help solve unemployment. Often the farms now had four or five times the number of workers compared to colonial times. Ben Bella’s colleagues also persuaded him to put the BNASS under the control of the Ministry of Agriculture and the radio broadcasts were terminated.
    The Struggle for Self-Management

    Pablo and others protested this creeping bureaucratic coup, which basically reduced the self-managed councils and committees to the status of advisory bodies and the workers to that of state employees. As early as August 1963, Pablo wrote to Ben Bella, pointing out that all revolutions soon boiled down to a struggle between democratic and authoritarian tendencies, and he would have to choose his side.

    According to Pablo, it was necessary to free the self-management sector from the ministry’s tutelage and allow it to set-up cooperative bodies in order to market and distribute its products and have control of its tractors and other machinery. Ben Bella’s government would also have to set up an agricultural investment bank to extend credit to the self-managed firms.

    Ben Bella temporized. He authorized Pablo to draft an agrarian reform law redistributing land and encouraging the establishment of cooperatives for Algerian peasants, most of whom didn’t work on the former European farms and subsisted on tiny allotments. Pablo also drafted proposals for local communal councils, which would be a combination of directly elected representatives and delegates from the local self-management farms and enterprises.

    Pablo’s scheme would oblige these communal councils to call regular general assemblies of citizens to guide their work. The councils would form the basis of a federated republic, mobilize the local population for public works, and help draft the overall plan for the economy.

    These initiatives lay in abeyance until the first postindependence national congress of the FLN was held in April 1964. The congress adopted a manifesto, the Charter of Algiers, that Harbi had largely drafted in consultation with Pablo. It proclaimed self-managed socialism to be the goal of the FLN.

    Unfortunately, this rhetorical victory did not result in control of the official party machinery by advocates of self-management or any substantial changes in the government ministries. By this stage, discontent at the bureaucratic counterrevolution in the self-managed sector was building up among the farm workers themselves. In December 1964, it culminated in the second congress of agricultural workers.

    Delegates from the farms dominated this assembly of some three thousand people rather than the handpicked ministry and union representatives. The majority of speakers denounced the bureaucratic abuses and reasserted their demands for more self-management rather than less.
    The Mecca of Revolution

    From late 1964, there was evidence of a wider mass radicalization. A series of union conferences removed the puppet leaders that Ben Bella had appointed in 1962. The new leaders were more in favor of self-management, though understandably suspicious of Ben Bella himself.

    The most dramatic manifestation of this radicalization was the International Women’s Day march through Algiers on March 8, 1965. From the photographic evidence, it is clear that the bulk of the marchers were women from the plebeian ranks of Algerian society. This was no chic parade.

    Henri Alleg was the legendary editor of Alger Républicain, the bestselling (and communist) daily newspaper in the capital, and author of a damning book about his experience of torture at the hands of the French authorities during the independence struggle. He has left a telling anecdote in his memoirs about this march.

    As tens of thousands of women, by Alleg’s count, made their way past the Alger Républicain offices, the staff leaned out of the windows and balconies to cheer and exchange chants with the ululating women. On the opposite side of the street was the Ministry for Agriculture. There the spectators watched stony-faced and in silence.

    In his characteristic way, Ben Bella now began to pivot left despite the continuing attacks in the FLN’s army newspaper on the “atheistic communists” who held influential positions in his government. He signaled that he was about to sack the foreign minister, Abdelaziz Bouteflika, who was a key ally of the army boss, Boumédiène. At the central committee meeting of the FLN in mid-June, he supported a raft of radical motions.

    While Ben Bella was not consistently radical in domestic policies, he did make Algeria, along with Cuba, the strongest supporter of anti-imperialist struggles in the Third World. Movements such as Nelson Mandela’s African National Congress in South Africa, the Angolan MPLA, the Palestinian Liberation Organization, and even the Portuguese anti-fascist alliance opened offices in Algiers and sent cadres and guerrillas there for training.

    Amílcar Cabral, the great Pan-African poet and nationalist leader from Guinea-Bissau, dubbed the Algiers of this period “the Mecca of Revolution” — a phrase that the American historian Jeffrey James Byrne recently borrowed for an extraordinary study of Algeria’s foreign policy during the Ben Bella years. Quite naturally, Che Guevara chose Algiers as his first port of call in his attempt to revive the Congolese revolution.

    As a result of this activity, the Non-Alignment Movement (NAM) selected Algeria as the site for its second conference. All the giants of the anti-imperialist revolutions — from Fidel Castro, Jawaharlal Nehru, and Sukarno to Nasser, Josip Broz Tito, and Ho Chi Minh — were expected to attend or at least send their deputies to the meeting in July. Ben Bella was due to preside.
    Boumédiène’s Coup

    The prospect of this boost to Ben Bella’s prestige, combined with the president’s leftward move and his intention to remove key Boumédiène supporters from their posts, may have been what prompted Boumédiène to stage a coup against Ben Bella. In the early hours of June 19, 1965, a group of soldiers led by the army chief of staff entered the Villa Joly where Ben Bella was living and arrested him.

    Soldiers and tanks took up positions in all the cities and major towns. The coup leader Boumédiène announced an end to “chaos” and a return to order. He denounced figures like Pablo as foreign atheists. The NAM conference was canceled.

    Mahsas, the agriculture minister, naturally supported the coup. The protests against it were for the most part desultory, although Harbi has noted that one of the strongest demonstrations was in the city of Annaba, where “self-management militants . . . mobilized the people by explaining that the putchists were going to put an end to popular democracy.”

    In the streets of Annaba, the Algerian army fired on and massacred its own citizens for the first time. Algeria’s experiment with self-management, hobbled almost from the outset, was now over. Advocates of self-management became hunted men and women, and Pablo had to leave the country.

    Ben Bella remained under house arrest until after Boumédiène’s death in 1978. Harbi also spent time under house arrest, during which he began writing a history of the FLN. After escaping from Algeria in 1973, he went on to become the leading critical historian of the movement.

    During the 1990s, hopes for democratization were quickly dashed as Algeria was plunged into a brutal civil war pitting the military against religious fundamentalists. The army dictatorship persists to this day.

    But so do periodic popular uprisings to establish a genuine democracy. Boumédiène’s ally Bouteflika finally had to resign as president in 2019 after mass protests demanding an end to the dictatorship of the ruling bloc known as le pouvoir (“the power”).

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