• #Métaux_rares : Séjourné veut accélérer la #réouverture de #mines en #Europe

    #Stéphane_Séjourné, le commissaire européen chargé de la stratégie industrielle, veut accélérer la réouverture de mines de métaux rares en Europe et a reçu 170 #projets_d’exploitation ou de #recherches_minières, a-t-il indiqué mardi soir.

    Au nom de la #souveraineté_industrielle, le Français entend rouvrir des mines de métaux et #terres_rares au sein de l’Union européenne, malgré les mobilisations régulières de militants écologistes contre ce type de projets.

    « La #diversification des approvisionnements fait partie de l’urgence pour moi. On va faciliter » l’attribution de #permis, a expliqué le commissaire européen à des journalistes à Bruxelles.

    « J’ai récupéré 170 projets sur de l’exploitation ou de la recherche minières en Europe avec une liste de métaux rares. On est en train d’étudier, on lancera les premières garanties (financières) pour les boîtes qui veulent explorer », a-t-il assuré.

    Stéphane Séjourné s’est rendu les 8 et 9 janvier en #Roumanie où cette question a notamment été abordée.

    « Sur la Roumanie on avait 9 projets, je ne vais pas vous donner de date mais j’essaie d’accélérer les choses au maximum », a-t-il déclaré.

    « Je suis prêt à mettre beaucoup de capital politique là-dessus parce que j’y crois vraiment », a insisté ce proche d’Emmanuel Macron, qui voudrait éviter une trop grande #dépendance à l’égard de pays comme la Chine.

    Avec la commissaire européenne espagnole #Teresa_Ribera (concurrence et transition écologique), Stéphane Séjourné doit présenter fin février une série d’annonces pour relancer et décarboner l’industrie européenne, le « pacte pour une #industrie_propre ».

    Ce pacte pourrait comporter des mesures pour réduire les coûts de l’#énergie, accompagner les plus grands sites industriels dans la réduction de leurs émissions de CO2 ou soutenir les achats de #voitures_électriques pour les flottes d’entreprises.

    En parallèle, la Commission promet une série de mesures de #simplification, afin de réduire les #démarches_administratives des entreprises, notamment des PME.

    https://www.mediapart.fr/journal/fil-dactualites/140125/metaux-rares-sejourne-veut-accelerer-la-reouverture-de-mines-en-europe

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    #métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes (même si ici il s’agit d’une annonce pour toute l’Europe) :
    https://seenthis.net/messages/1013289

    • Séjourné, a inizio 2025 al via progetti Ue su materie prime rare

      ’Ricevute 170 candidature, li stiamo selezionando’

      La Commissione europea presenterà l’elenco dei progetti strategici nell’ambito del #Critical_raw_materials_act all’inizio del 2025.

      Lo ha detto il vicepresidente dell’esecutivo Ue Stéphane Séjourné intervenendo alla giornata dedicata al settore a Bruxelles, indicando che Bruxelles ha ricevuto 170 candidature.
      Il regolamento Ue sulle materie prime critiche, presentato nel marzo 2023, punta ad aumentare al almeno il 10% l’estrazione delle materie prime strategiche sul territorio continentale e ad almeno il 40% la capacità dell’Europa di raffinare e lavorare le terre rare lungo tutto la catena di valore.

      «Selezioneremo i progetti che meglio soddisfano i nostri criteri, in particolare quelli ambientali, sociali e di governance: saranno mirati a varie materie prime, riguarderanno l’intera catena del valore e saranno sia all’interno che all’esterno dell’Europa», ha indicato il francese, evidenziando che «non c’è transizione verso le zero emissioni senza materie prime: le auto elettriche hanno bisogno di batterie al litio, le turbine eoliche hanno bisogno di rame o alluminio».
      «La mia priorità per gli anni a venire sulle materie prime sarà la stessa dei settori industriali più strategici d’Europa - ha evidenziato -: un mercato solido in patria e una collaborazione stabile con partner fuori casa».
      Séjourné ha quindi sottolineato la necessità di «licenze più rapide e semplici» e di «rendere i progetti appetibili per gli investitori pubblici e privati». Parlando della nuova agenda, il vicepresidente ha messo in luce l’importanza del riciclo per le materie prime rare, indicando che l’Ue deve «creare un vero mercato europeo per i prodotti di seconda mano e un mercato unico per i prodotti di scarto». La capacità di riciclo è fissata nel regolamento Ue ad almeno il 25% del consumo annuo.

      https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2024/12/11/sejourne-a-inizio-2025-al-via-progetti-ue-su-materie-prime-rare_d42681d2-0437-4

  • L’assalto alle terre alte e il progetto del comprensorio sciistico “#Colere-Lizzola

    La #Val_Sedornia e la #Val_Conchetta sono due aree selvagge e non ancora antropizzate delle #Orobie_bergamasche. Un vetusto progetto di collegamento tramite due impianti di risalita e un tunnel lungo 450 metri scavato attraverso il #Pizzo_di_Petto le mette a rischio. I promotori lo presentano come uno strumento per rilanciare l’economia e fermare lo spopolamento. Ma è una ricetta obsoleta.

    Nelle valli bergamasche rischia di consumarsi un nuovo assalto alle terre alte, con decine di milioni di euro di fondi pubblici destinati a impianti di risalita e di innevamento artificiale.

    Un progetto che comprometterebbe il prezioso ambiente montano delle Orobie bergamasche senza fermare lo spopolamento delle valli e dei Comuni montani e promuovendo una visione del turismo ormai insostenibile.

    Lo denunciano i rappresentati di Orobievive, associazione dei gruppi ambientalisti della bergamasca, di terreAlt(R)e, collettivo di cittadini attivi in campo ecologico e sociale, di Legambiente e della sezione locale del Club alpino italiano (Cai) che si oppongono al progetto di collegamento tra i comprensori sciistici di Lizzola (BG) e Colere (BG).

    “Quella del comprensorio è un’idea progettuale vecchia di trenta o quarant’anni -fa notare il Cai Val di Scalve-, quando molte delle consapevolezze che oggi stiamo (ancora troppo lentamente) maturando non erano ancora di pubblica evidenza. Oggi abbiamo gli strumenti per qualche cosa di più ambizioso e lungimirante. Da costruire insieme”.

    Lo scopo del collegamento è quello di creare un unico comprensorio unendo due stazioni sciistiche: quella di Lizzola, frazione del Comune di Valbondione, dotata al momento di quattro seggiovie e 20 chilometri di piste, e quella di Colere, che dispone di tre seggiovie e di una cabinovia sostituita e ristrutturata a fine 2023. Il collegamento avverrà tramite due impianti di risalita e un tunnel lungo 450 metri scavato attraverso il Pizzo di Petto, montagna al confine tra le due valli.

    In parallelo per gli impianti di Lizzola si prevede la demolizione di tre seggiovie e la loro sostituzione con un’unica cabinovia e il completamento dell’impianto di innevamento artificiale. Il costo dell’intero collegamento è pari a 70 milioni di euro, di cui 50 milioni coperti da fondi pubblici.

    I promotori del progetto e gli amministratori locali, come i sindaci dei Comuni di Valbondione e di Colere, plaudono al progetto e lo presentano come un modo per arrestare lo spopolamento della valle e rilanciare turismo ed economia locale. Dall’altro lato le organizzazioni e i cittadini criticano il collegamento per ragioni ambientali, economiche e sociali. A iniziare da Legambiente che nel 2024 ha assegnato alla società Rsi, che controlla gli impianti di Colere ed è al centro del contestato progetto di collegamento, la “Bandiera nera” destinata alle aziende e associazioni che ripropongono un modello superato e dannoso di turismo montano.

    Le maggiori criticità riguardano il piano ambientale. “I nuovi impianti interessano due zone, la Val Sedornia dal lato di Lizzola e la Val Conchetta da quello di Colere -racconta ad Altreconomia Angelo Borroni di Orobievive, rete di associazioni ambientaliste locali-, si tratta di due valli selvagge e non ancora antropizzate e la costruzione degli impianti di risalita, delle piste e dell’impianto di innevamento rischia di danneggiare una delle zone più preziose per la natura delle montagne lombarde”.

    L’area interessata dagli interventi non solo fa parte del Parco delle Orobie bergamasche ma anche di un Zona speciale di conservazione (Zsc) “Val Sedornia – Val Zurio – Pizzo della Presolana” istituita dal progetto dell’Unione europea Rete Natura 2000 e comprende il cosiddetto “Mare in burrasca”, la zona carsica alpina più grande della Lombardia.

    “Si tratta della zona più preziosa per la biodiversità di tutta Lombardia e che viene studiata per il suo ambiente carsico di particolare unicità -prosegue Borroni- ma le criticità non si fermano qui. La valle dove sorgeranno gli impianti è molto ripida e va protetta dal rischio valanghe con opere in calcestruzzo”.

    I promotori sostengono che i nuovi impianti non impatteranno sulla biodiversità della zona. “Il progetto ha una specifica attenzione verso la mitigazione dell’impatto ambientale, in virtù della quale si è scelto di realizzare in Val Conchetta (versante Colere) una minore lunghezza delle piste e una cabinovia anziché le due seggiovie già previste. Questa scelta ha consentito di ridurre ad un terzo l’impatto ambientale”, scrivono in un comunicato stampa.

    “Ma si tratta di una valutazione su impianti previsti nel 2008 che non sono stati poi realizzati, mentre ora si vuole introdurre una cabinovia, due piste, un bacino e un traforo”, controbatte Borroni. Lo stesso ente gestore del Parco delle Orobie bergamasche nella sua valutazione sottolinea come sia proprio la presenza di piste da sci e di strutture ricreative a rappresentare la minaccia maggiore per la zona. E come la costruzione del comprensorio già esistente ne abbia danneggiato la biodiversità. “Lo stato di conservazione è già stato compromesso dalla realizzazione degli impianti sciistici -si legge nel rapporto-. Numerose doline e pozzi carsici, non solamente quelli situati in prossimità delle piste, sono stati colmati da materiali di discarica e da rifiuti prodotti durante l’attività sciistica”.

    A minacciare l’integrità ecologica della zona non saranno solo impianti e piste da sci ma anche il sistema di innevamento artificiale che verrà costruito per “sparare” sulle piste nuove e quelle esistenti, che si trovano per la maggior parte della loro estensione al di sotto dei 2.000 metri di quota. Per alimentare il sistema è prevista la costruzione di un bacino artificiale ai piedi del Monte Ferrante, cima che svetta su Colere. A causa della natura carsica del suolo, permeabile all’acqua, l’invaso artificiale dovrà essere impermeabilizzato tramite materiali plastici e potrà venire alimentato solo dalle piogge.

    Un’altra incognita riguarda i costi, che secondo Orobievive saranno ben superiori alle previsioni. “Rsi indica un aumento dei costi del 36% dichiarati per il versante Val Sedornia e Lizzola -denuncia Borroni- e questo bilancio non comprende la sostituzione degli impianti destinati a durare fino al 2084 e quelli di dismissione per quando gli impianti arriveranno inevitabilmente a fine vita. Per non parlare poi dei costi per innevare artificialmente i 40 chilometri di piste che sono stimati essere al di sopra del milione di euro l’anno. Questo turismo rischia solo di far aumentare il costo della vita per gli abitanti della valle e paradossalmente accelerare il fenomeno dello spopolamento di questi Comuni montani”.

    Una simile posizione è quella di terreAlt(r)e. “Non siamo contrari per principio a un rinnovamento degli impianti di risalita, se questo fosse limitato e su territori già antropizzati -spiega Nicola Mazzucchini di terreAlt(r)e-. Ma il nuovo progetto, oltre a non essere sostenibile da un punto di vista climatico (la società Rsi ha calcolato che sono necessari 120 giorni di innevamento l’anno, un numero difficile da raggiungere per colpa del cambiamento climatico), non aiuterà neanche a fermare lo spopolamento delle valli. I nuovi impianti non daranno lavoro a più di dieci persone e le infrastrutture della valle, come alberghi e strade, non sono adatte a sostenere un turismo di massa”.

    Infine, il nuovo collegamento sciistico si baserebbe, secondo gli oppositori, su un modello di sviluppo turistico obsoleto e non più sostenibile. La sezione della Val di Scalve del Club alpino italiano (Cai) ha espresso critiche e perplessità sulla sostenibilità sociale, sostenendo invece la necessità di promuove una forma di turismo alternativa. “La nostra contrarietà non riguarda solamente gli aspetti economici e sociali -afferma Loris Bendotti consigliere Cai Val di Scalve- ma soprattutto l’aspetto sociale. Il cambiamento climatico sta rendendo lo sci, specie a quote così basse, non sostenibile. Da anni proponiamo forme di turismo alternativo e lento, come il cammino della Via Decia. Infine, non condividiamo l’idea che lo spopolamento delle vallate alpine si combatta solo tramite il turismo, specie se di massa. La Val di Scalve gode di solide realtà imprenditoriali che andrebbero valorizzate, magari con gli stessi fondi pubblici che invece verranno destinati ai nuovi impianti”.

    https://altreconomia.it/lassalto-alle-terre-alte-e-il-progetto-del-comprensorio-sciistico-coler
    #montagne #Alpes #ski #Italie #anthropisation #neige_artificielle #Orobievive #résistance #Lizzola #Colere #biodiversité #terreAlt(r)e

  • #Ventimiglia : frontiera dimenticata

    La frontiera di Ventimiglia è una cartina di tornasole del sistema italiano ed europeo di accoglienza. Da dieci anni i controlli sono diventati pressanti e avvengono su base razziale. E i migranti che restano bloccati spesso finiscono in accampamenti di fortuna, in cui la dignità umana è gravemente violata.
    “Ventimiglia, frontiera dimenticata” ha raccolto le voci di alcune associazioni - Caritas Intemelia, Diaconia Valdese, WeWorld e No Name Kitchen - che cercano di dare risposte a bisogni primari, adattandosi a un contesto in continuo cambiamento e a nuove leggi che restringono i diritti delle persone migranti.

    https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=TmS2MDJ_-9w&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.car


    #Vintimille #reportage #frontière_sud-alpine #Alpes_Maritimes #Italie #France #migrations #réfugiés #PAD #frontières #encampement #SDF #sans-abris #femmes #traite_d'êtres_humains #militarisation_des_frontières #militarisation #contrôles_au_faciès #contrôles_frontaliers

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    #mémoriel aux personnes décédées à la frontière (à partir de la min 9’18) :

  • L’Etat doit cesser d’entraver la #solidarité avec les personnes exilées aux #frontières

    Alors que la protection des personnes exilées par l’Etat français ne cesse de se dégrader et que 2024 connaît déjà un nombre record de morts dans la #Manche, le rapport « Au mépris des droits. Enquête sur la répression de la solidarité avec les personnes exilées aux frontières », de l’Observatoire des libertés associatives (https://www.lacoalition.fr/Au-mepris-des-droits-Enquete-sur-la-repression-de-la-solidarite-avec-les) documente les multiples #entraves auxquelles font face les acteurs solidaires aux frontières françaises.

    L’enquête de l’Observatoire des libertés associatives dresse un état des lieux préoccupant de la situation de la solidarité aux frontières de la France avec le #Royaume-Uni, l’#Espagne et l’#Italie. Au lieu de soutenir et de protéger les actions de solidarité envers les personnes exilées, les pouvoirs publics (collectivités locales, forces de police, autorités administratives…) prennent des mesures, toujours plus répressives, pour empêcher ces initiatives ou les décourager.

    Le rapport recense de nombreux exemples d’entraves à la solidarité, qui ont un impact direct sur l’#accès_aux_droits fondamentaux des personnes migrantes et contribuent toujours plus à la dégradation de leurs conditions de vie. À #Calais, des arrêtés préfectoraux interdisant la distribution de #nourriture par les solidaires dans certains endroits se sont succédés pendant plusieurs années. Aujourd’hui, des #barrières physiques, comme d’énormes #rochers, ont été installées. Le seul endroit proposant aux personnes de laver leurs vêtements a été fermé par un arrêté municipal. Dans ce territoire frontalier du Royaume-Uni, comme à la frontière franco-italienne, l’#accès_aux_soins est régulièrement entravé, rendant difficile voire impossible d’apporter une #aide_médicale aux personnes exilés vivant dans les campements du littoral nord ou perdues dans les montagnes briançonnaises.

    À cela s’ajoutent un #harcèlement_policier et des entraves juridiques aux associations : des multiples contrôles d’identité ou des véhicules, des contraventions à outrance ou injustifiées, des procédures et #poursuites_judiciaires. Ces entraves découragent les initiatives citoyennes solidaires, ont un impact matériel sur les associations et un fort impact psychologique sur les personnes ciblées.

    Dans la #vallée_de_la_Roya et à #Menton, près de la frontière franco-italienne, des citoyens solidaires rapportent craindre d’accompagner des personnes exilées vers un lieu d’accueil ou une administration (par exemple pour déposer une demande d’asile), alors que cela est tout à fait légal, car ils savent qu’ils seront immédiatement suspectés de les avoir aidées à franchir la frontière. Au #Pays_basque, à la frontière franco-espagnole, plusieurs solidaires ont été convoqués par la police ou placés en garde-à-vue pour avoir accompagné des personnes en voiture vers un lieu de répit. Sans nécessairement être suivies de poursuites judiciaires, ces actions visent avant tout à décourager d’autres personnes de faire de même.

    Le rapport démontre également que les associations sont fréquemment mises en cause par les représentants administratifs et politiques, jetant ainsi le discrédit sur leurs actions : les accusant d’encourager l’installation de personnes exilées en France, de mettre ces personnes en danger ou pire d’être complices de passeurs et de trafiquants d’êtres humains. Pourtant, les actions des associations sont essentielles et servent souvent à pallier l’absence de réponse adaptée et efficace de l’Etat. Dans plusieurs territoires, ce sont souvent elles et les citoyens solidaires qui apportent les services minimums pour garantir la survie et la dignité des personnes exilées.

    Face aux constats préoccupants dressés par ce rapport de l’Observatoire et l’ensemble des témoignages recueillis par nos associations et leurs partenaires, nous demandons aux pouvoirs publics de mettre fin aux entraves qui empêchent l’action quotidienne de centaines de citoyens, collectifs et associations de la solidarité de venir en aide aux personnes exilées.

    https://www.youtube.com/watch?v=2kamg92ljws&t=5s

    https://www.lacimade.org/presse/letat-doit-cesser-dentraver-la-solidarite-avec-les-personnes-exilees-aux-f
    #France #criminalisation_de_la_solidarité #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #Alpes_Maritimes #Briançonnais

    • Au mépris des droits. Enquête sur la répression de la solidarité avec les personnes éxilées aux frontières

      La nouvelle enquête de l’Observatoire des libertés associatives sort ce 18 novembre 2024. Ce quatrième rapport met l’accent sur les répressions subies par les associations de soutien aux personnes exilées aux trois frontières franco-britannique, franco-italienne et franco-espagnole.

      La répression qui touche les organisations et militant·es qui portent assistance aux personnes exilées est de plus en plus dénoncée publiquement, comme en témoignent les débats autour du « délit de solidarité » ces dernières années. Ce quatrième rapport de l’Observatoire des libertés associatives a cependant souhaité dépasser l’unique criminalisation juridique en s’intéressant à toutes les formes ordinaires d’entraves.
      En se concentrant sur les frontières franco- britannique, franco-italienne et franco-espagnole, ce travail cherche à saisir la variation des relations avec les pouvoirs publics selon les territoires. A partir d’une vingtaine d’entretiens semi-directifs et d’archives associatives il permet d’établir une typologie des différents faits d’entrave à la solidarité aux frontières :

      1 la criminalisation et les entraves juridiques à l’aide aux personnes exilées,
      2 les attaques discursives et atteintes à la légitimité des acteurs solidaires,
      3 le harcèlement et les violences policières,
      4 les atteintes matérielles et financières
      et enfin 5 les tentatives d’ostracisation et les attaques à la capacité d’action collective.

      Ce faisant, ce rapport donne à voir la diversité des entraves, souvent à la limite de la légalité, auxquelles sont confrontées les associations de solidarité avec les personnes migrantes.

      https://www.lacoalition.fr/Au-mepris-des-droits-Enquete-sur-la-repression-de-la-solidarite-avec-les

      #rapport

  • Le tour du monde de visionscarto.net (11)

    Cette année, pour passer de 2024 à 2025, nous vous emmenons dans un voyage virtuel autour du monde, en puisant dans nos archives, un jour un lieu, un jour une histoire.

    Jour 11 : Frontière France-Italie — avril 2024

    « Infrastructures mortifères.
    La frontiérisation de la ligne ferroviaire entre Vintimille et Nice »

    par Sarah Bachellerie et Cristina Del Biaggio

    « Il y a des corps qui dérangent. Il y a des morts dont on ne parle pas. Il y a des victimes pour lesquelles on crée des catégories à part quand on essaie d’en comptabiliser le nombre : un carré pour les « accidents », un rond pour les « suicides », un triangle pour les « clandestins ». C’est ce que l’on peut voir dans un schéma tiré d’un dossier sur les « accidents de personnes » sur la ligne ferroviaire Vintimille-Nice compilé par le syndicat CGT des cheminots de la SNCF et confié par un syndicaliste à la retraite à l’une des autrices. »

    #migrations #frontières #Alpes_Maritimes #Vintimille #Menton #chemin_de_fer #décès #mourir_aux_frontières

  • Sottocorteccia

    A seguito della tempesta Vaia di fine 2018, una minaccia incombe sulle foreste del Nord-Est. Si tratta del bostrico tipografo, un coleottero che attacca la specie più diffusa e importante dei boschi alpini: l’abete rosso. L’insetto si è diffuso a macchia d’olio dopo il tremendo stress di quella notte, ma anche grazie all’inesorabile incedere del riscaldamento globale. Come ogni crisi, anche questa può nascondere opportunità. Ci obbliga ad aprire gli occhi sulle conseguenze della crisi climatica, ci costringe a riflettere sul destino delle nostre montagne e ci spinge a rinsaldare un legame antico e imprescindibile, quello con il più grande e dimenticato dei tesori italiani: le foreste. In questo libro-diario, Pietro e Luigi raccontano del piccolo coleottero che li ha fatti incontrare e del loro viaggio – che è anche un’amicizia – tra le Alpi. Due punti di vista diversi, uno antropologico e uno scientifico, dipanano la complessità e offrono una prospettiva nuova sul futuro di Uomini, Foreste e Insetti, protagonisti di questa avventura e della vita sul nostro pianeta.

    Avevamo raccolto pagine e pagine di appunti e analizzato decine di documenti, intervistato tanti esperti e ragionato sui temi enormi che il piccolo coleottero aveva portato alla luce, dalla gestione forestale del passato alla crisi climatica. E ora? Ora bisognava attraversare davvero le Alpi, per guardare avanti. Non solo al destino delle peccete, sempre più fragili, ma a quello più ampio delle nostre montagne nei decenni che verranno. Il bostrico tipografo, scandagliato ormai da ogni punto di vista, ci stava urlando in faccia prepotentemente una sola, ultima, grande domanda finale: che foreste vogliamo, che montagna vogliamo, nel nostro futuro?

    https://www.peoplepub.it/pagina-prodotto/sottocorteccia
    #livre #forêt #Italie #Vaia #tempête #tempête_Vaia #Trentin #Alpes #crise #montagne #épicéa #Bostryche #insecte #insectes

  • #JO_2030 dans les #Alpes françaises : une #impasse écologique et démocratique

    Les Jeux Olympiques d’hiver 2030, attribués aux Alpes françaises, symbolisent l’aveuglement face aux urgences démocratiques et climatiques. Alors que la neige se raréfie et que le modèle économique de nombreuses stations est menacé, cette compétition serait un pas de plus dans la fuite en avant. C’est du moins l’analyse que développe Fiona Mille, présidente de l’association Mountain Wilderness, dans son ouvrage Réinventons la montagne. Alpes 2030 : un autre imaginaire est possible (Éditions du Faubourg). À travers trois scénarios prospectifs, l’autrice invite à repenser en profondeur notre rapport à la montagne et à sortir des logiques dépassées du « tout-ski » et du « tout-tourisme ».

    La saison de ski vient de commencer, et avec elles les premières neiges qui blanchissent les cimes offrant aux skieurs la satisfaction de dévaler les pistes. Mais derrière ce décor fragile, le monde de la montagne reste fébrile. L’an dernier, la France a traversé le troisième hiver le plus chaud depuis 1900, un présage alarmant pour ces territoires dont l’économie repose principalement sur le tourisme de sport d’hiver. Alors qu’un mois de couverture neigeuse a déjà été perdu dans les Alpes depuis les années 1970, le réchauffement climatique va désormais s’intensifier. Avec 53 % des stations européennes menacées d’une grave pénurie de neige en cas de réchauffement de 2°C, et jusqu’à 98 % à 4 °C, l’avenir du ski alpin est profondément remis en cause.

    Or, à l’exception des grandes stations de haute montagne, personne ne semble prêt à cette fin de la neige. Sous la présidence de Laurent Wauquiez, la seule réponse de la région Auvergne-Rhône-Alpes, qui compte le plus de stations, a été de subventionner massivement l’installation de canons à neige. Après 50 millions d’euros dépensés lors de son premier mandat (2016-2021), Wauquiez en a promis 50 de plus dans le cadre du « plan neige » de son nouveau mandat. Pour faire bonne figure, la Région financera aussi quelques dameuses à hydrogène, histoire de ne pas oublier l’écologie. Mais cette avalanche d’argent public n’offre en réalité qu’un court répit aux stations, tout en saccageant l’environnement pour installer des retenues collinaires, des tuyaux et des canons.

    En attendant, le recours à ces canons renforce les difficultés financières des stations. En février, un rapport de la Cour des comptes alertait sur l’impasse économique dans laquelle se trouve de nombreuses stations, malgré un soutien public massif : 23 % du chiffre d’affaires des opérateurs de remontées mécaniques dans les petites et moyennes stations provient désormais de subventions. Certaines sont d’ailleurs contraintes de mettre la clé sous la porte : cette année, le Grand-Puy (Alpes-de-Haute-Provence) et Notre-Dame-du-Pré (Savoie) ont fermé, tandis que la station de Métabief (Doubs) a fermé 30% de son domaine skiable et que la station de l’Alpe du Grand Serre (Isère) a obtenu un sursis d’un an grâce à une cagnotte et à une nouvelle subvention…

    Ce contexte renforce une dynamique déjà en marche : le ski, toujours plus coûteux et concentré dans les stations de haute montagne, devient une activité de luxe. L’augmentation des prix des forfaits et la montée en gamme des infrastructures transforment ce loisir en un privilège réservé aux élites. Alors que seuls 11 % déclarent pratiquer le ski chaque hiver et que les classes supérieures sont très surreprésentées, les classes populaires en sont toujours plus exclues, à mesure que les colonies de vacances et hôtels familiaux sont remplacés par des établissements haut de gamme.

    Un cercle vicieux inégalitaire est en marche dans nos montagnes : pour faire face aux coûts des investissements (canons à neige, téléphériques…), les stations augmentent le prix des forfaits, ce qui attire une clientèle plus aisée, prisée par des promoteurs qui font exploser les prix des terrains… Enfin, les skieurs des Alpes françaises viennent de plus en plus de l’étranger, de moins en moins de Français ayant les moyens de pratiquer ce loisir. Si ce tourisme rapporte beaucoup, il augmente encore le bilan carbone de ce loisir, en raison des voyages en avion de cette riche clientèle étrangère.
    Des JO imposés et désuets

    Dans cet univers en mutation, les Jeux Olympiques d’hiver 2030 apparaissent comme un vestige d’un autre temps. Pour Fiona Mille, présidente de Mountain Wilderness France et autrice de Réinventons la montagne (Faubourg, novembre 2024), cet événement représente un double déni, démocratique et écologique. Par crainte de rejet, comme cela aurait pu être le cas si les candidatures de la Suisse et de la Suède avaient été retenues par le CIO, aucun débat public n’a été organisé en France. Résultat : un sentiment d’injustice et une opposition croissante au sein de l’opinion.

    Or, la montagne, « sentinelle du climat », se réchauffe deux fois plus vite que la moyenne mondiale. Dans les Alpes, les températures ont déjà augmenté de +2°C depuis 1900, mettant en péril les écosystèmes et les activités humaines. La fonte accélérée des glaciers perturbe le cycle de l’eau, privant les vallées de ressources essentielles pour l’agriculture et les usages domestiques. Agnès Pannier-Runacher, ministre de la Transition écologique, a récemment déclaré qu’il fallait « réinventer nos loisirs en montagne » dans le cadre du troisième Plan national d’adaptation au changement climatique (PNACC). Cependant, cette ambition contraste avec les choix qui perpétuent un modèle économique dépendant du « tout-ski » et du tourisme intensif.

    Les Jeux Olympiques, loin de s’adapter aux réalités décrites par les scientifiques, amplifient en effet ces tensions. Le recours massif à la neige artificielle et à des infrastructures énergivores, présenté comme des solutions, ne fait que renforcer le risque environnemental dans ces territoires fragiles. Ces choix témoignent d’une fuite en avant technologique et d’un non-sens économique, alors même que nombre stations de ski de moyenne altitude sont déjà dépourvues d’enneigement. Selon une étude réalisée au printemps 2024 par l’Inspection générale des finances, la facture totale de ces Jeux d’hiver pourrait s’élever à 2,4 milliards d’euros, un montant qui risque, comme pour les éditions précédentes, d’augmenter encore d’ici la compétition. « Autant d’argent qui manquera cruellement à l’accompagnement de la transition des territoires de montagne » comme le souligne Eric Adamakiewicz, maître de conférence en management du sport à l’université Toulouse 3, cité dans l’ouvrage.

    Pourtant, comme le montre Fiona Mille, cette crise pourrait être une opportunité de transformation. En replaçant la transition écologique et la justice sociale au cœur des décisions, il serait possible d’imaginer un autre avenir pour la montagne – un avenir construit avec les habitants et non contre eux.

    Un appel à repenser la montagne

    Face à ces constats, Fiona Mille propose trois scénarios prospectifs pour les Alpes à l’horizon 2030. Dans le premier, les JO ont lieu, mais au prix d’une catastrophe environnementale et sociale. Les stations de ski haut de gamme prospèrent, mais les villages de montagne sont désertés par leurs habitants, incapables de faire face à l’inflation des loyers et à la dégradation des conditions de vie. Dans le second scénario, les JO sont annulés en 2029 en raison de l’aggravation des crises climatiques et géopolitiques. Cette décision intervient dans un contexte d’abandon des territoires de montagne, frappés par des sécheresses, des incendies et des pénuries d’eau.

    Enfin, le troisième scénario raconte comment un mouvement citoyen transforme l’opposition aux JO en un projet alternatif. Les stations deviennent des centres éducatifs et culturels. Les compétitions sportives, rebaptisées « Sportivades », adoptent des pratiques écoresponsables. Ce scénario explore un imaginaire inédit, où la montagne serait un lieu d’innovation écologique et sociale. Pour Fiona Mille, ces scénarios ne sont pas des prédictions, mais des invitations à agir. La crise climatique, loin d’être un obstacle insurmontable, est une opportunité de transformation. En réconciliant justice sociale et transition écologique, les montagnes peuvent redevenir des lieux de résilience et d’innovation.

    Si l’ouvrage donne peu de pistes concrètes de transformation, l’autrice donne cependant la parole à des scientifiques et des militants comme Marie Dorin-Habert, championne olympique et défenseure du Vercors, ou Rémy Knafou, spécialiste du tourisme durable. Ils partagent une même conviction : l’avenir de la montagne dépend de choix politiques courageux et de l’implication citoyenne. Outre la diversification du tourisme, pour ne plus dépendre exclusivement de la neige et valoriser les « lits froids » inoccupés en dehors de l’hiver, on peut aussi imaginer relancer des activités traditionnelles de la montagne, comme le pastoralisme, le petit artisanat ou la production agro-alimentaire en général.

    Les limites du « tout ski » étant désormais flagrantes, Réinventons la montagne nous appelle à imaginer une montagne qui ne soit plus un simple décor pour les loisirs, mais un refuge pour la biodiversité et un modèle de sobriété. Fiona Mille nous pousse à questionner notre rapport à ces territoires fragiles et à réfléchir dès maintenant à leur avenir.

    https://lvsl.fr/jo-2030-dans-les-alpes-francaises-une-impasse-ecologique-et-democratique
    #France #JO #jeux_olympiques #écologie #démocratie #résistance

  • Un front commun contre l’#industrialisation des #forêts françaises

    #Creuse, juin 2024. Les murs de la salle sont couverts de photos et de textes. Certains portent sur l’installation d’un parc photovoltaïque dans les forêts de la #montagne de #Lure, dans les #Alpes-de-Haute-Provence. D’autres annoncent la tenue, quelques jours plus tard durant l’été, de l’assemblée générale du #Réseau_pour_les_alternatives_forestières (#RAF). Dans un coin, une table accueille des brochures, des fanzines et quelques parutions récentes portant sur les forêts, la lutte pour les préserver, leur gestion. Une grande banderole au nom de SOS Forêt est tendue au-dessus des baies vitrées et une large toile peinte faisant figurer la tête d’un lynx entourée d’un massif diversifié, mélangeant feuillus et résineux, surplombe l’estrade. Au-dessus de celle-ci, sur un fond de couleur violette, se détache le titre donné aux retrouvailles qui se sont tenues les 28 et 29 juin dernier : « Assemblée pour des forêts vivantes ».

    Nous, c’est-à-dire deux doctorants en sciences sociales et un camarade musicien, tous trois sympathisants des initiatives décrites dans cet article et participant à l’occasion à certaines d’entre elles, assistons ce matin-là à la plénière d’ouverture, deux ans après une première édition à Nestier, dans les Hautes-Pyrénées1.

    Les prises de parole s’enchaînent et renseignent sur les actualités les plus récentes concernant les forêts françaises, évoquent des initiatives à soutenir et à rejoindre, rappellent le fonctionnement de ces deux jours de rencontres. Des tee-shirts floqués à l’insigne d’Adret Morvan, du #Groupe_national_de_surveillance_des_arbres (#GNSA) ou de la Marche pour les forêts organisée quelques années plus tôt par les syndicats de forestiers de l’#Office_national_des_forêts (#ONF), sont portés pour l’occasion.

    C’est au tour de C. de monter sur l’estrade. Elle habite sur le territoire, s’initie depuis un moment aux divers métiers de la forêt ou du bois et vient présenter la grande carte qu’un de ses camarades déplie derrière elle (dont des extraits illustrent cet article, ndlr). Elle commence : « Ici on lit souvent qu’il n’y a pas de culture forestière. Ce n’est pas si évident. Il y a une culture industrielle mais aussi un rapport habitant aux forêts et une histoire de luttes. » Pour l’attester, raconte-t-elle, un petit groupe s’est attaché à récolter des témoignages et à compiler des archives afin de « cartographier des événements et des récits à propos de l’histoire de la forêt sur la Montagne limousine ». Suivons l’invitation et observons la carte de plus près.

    Le territoire représenté est à cheval sur les départements de la Creuse, de la #Corrèze et de la #Haute-Vienne. Il est tout entier maillé de petites phrases et de vignettes qui illustrent une culture forestière contrastée mais bien présente : une commune est associée à la formation au bûcheronnage qui s’y déroule depuis plusieurs années, une autre à la « tentative désespérée d’empêcher la #coupe_rase d’une #hêtraie ». On lit des histoires de champignons et de cabanes, mais aussi les conséquences sur le milieu et l’emploi de l’industrialisation de l’exploitation forestière. Quatre bêtes fantastiques et menaçantes encadrent ainsi la carte. Elles symbolisent les « usines à bois » qui amputent les forêts de la région – la #scierie #Farges_Bois, le papetier #Sylvamo, la société #Groupe_bois_et_scieries_du_Centre ainsi que le projet d’usine de #granulés #Biosyl2.

    Cartographier les luttes

    Deux jours durant, on partage des données, des anecdotes, des témoignages, mais aussi des outils. À plusieurs reprises durant l’Assemblée, la #cartographie est apparue comme une pratique pertinente pour rendre compte des « petites et grandes histoires populaires de la forêt », donc, mais aussi pour représenter des lieux à surveiller et à défendre ou pour contester les données fournies par les acteurs dominants de la filière forêt-bois. Ces deux derniers enjeux ont fait l’objet d’un atelier durant lequel des outils récemment élaborés par un groupe forestier local rattaché au #Syndicat_de_la_Montagne limousine et par l’association #SOS_Forêt_Dordogne ont été transmis aux participant·es.

    L. et T. rappellent le contexte ayant mené à la création de #Vigie_Feuillus, un protocole de veille sur les coupes rases qui affectent quotidiennement les « forêts désenchantées3 » du #Plateau_de_Millevaches. Après plusieurs mobilisations contre des chantiers forestiers jugés inacceptables par une partie de la population, il leur a semblé important de trouver un mot d’ordre plus précis qu’une seule opposition à l’industrialisation des forêts locales. Un « guide d’intervention » fraîchement sorti de l’imprimerie est distribué à l’assistance et le sera dans toute la région durant les mois suivants. « Ce protocole, lit-on au dos de la brochure, offre quelques bases pour déterminer quelle stratégie d’intervention est la plus judicieuse et adaptée à la situation ». Il s’agit non seulement d’affûter le regard des habitant·es sur l’#exploitation_forestière dans leur territoire, mais également de s’exercer à les surveiller en identifiant les indices d’activité et à coordonner des actions afin de « créer des précédents sur les alternatives à proposer en cas de coupe rase ». Deux exemples sont convoqués pour illustrer l’éventail de situations qu’il est possible de rencontrer.

    Le premier cas a fait suite à une alerte donnée sur une probable coupe rase dans la forêt qui jouxte l’habitation de sympathisant·es du Syndicat de la Montagne limousine. Une personne a permis de gagner un temps précieux en s’opposant aux premiers travaux d’abattage, fournissant à l’organisation l’espace pour inviter les parties prenantes à une discussion conjointe, lors de laquelle les propriétaires de la parcelle boisée ont expliqué procéder à une coupe pour des raisons financières. Une issue semble alors possible par le biais du Parc naturel régional (PNR) de Millevaches dans lequel la parcelle est située : une proposition de contrat à hauteur des gains espérés par la coupe est acceptée par les propriétaires et inscrit dans la réglementation Natura 2000. L. conclue son récit en rappelant qu’il importe d’être « lucides sur là où il faut taper » : « pas sur les travailleurs », ni sur certains « petits propriétaires forestiers » dont les contraintes peuvent être tout à fait compréhensibles.

    Le second cas présente les effets qu’un outil comme #Vigie_Feuillus pourrait être susceptible de produire. En janvier 2023, sur la commune de #Tarnac, en #Corrèze, des travaux d’exploitation sont en passe de commencer sur une parcelle de plusieurs hectares que traverse la #Vienne. Plus précisément, une coupe rase est prévue dans ce qui a été identifié comme un « taillis dépérissant de châtaigniers », qui est aussi une belle forêt de feuillus appréciée des riverains. Aussitôt, un comité local se met en place pour défendre la forêt menacée. Très vite est décidée une série d’actions – « surveillance accrue, garde, blocage, occupation » – qui permettent de suspendre le chantier. À la différence de l’exemple précédent, la propriétaire n’a pas besoin d’argent : il s’agit seulement d’appliquer les mesures décidées dans le plan de gestion de sa forêt. Et de les appliquer coûte que coûte, peu importe les offres faites par le PNR ou la région pour lui acheter sa parcelle et ainsi empêcher son déboisement. Le point d’orgue de la contestation est atteint un matin de mars, lorsque les représentant·es de la filière forêt-bois du département, invité·es à un rassemblement sur place afin de soutenir la propriétaire, la coupe et un modèle forestier extractiviste, reçoivent une délégation d’opposant·es. « Le Bois du chat, symbole de la lutte entre deux visions de la forêt » titrera un journaliste présent sur place4.

    Au moment où, son récit terminé, L. s’interrompt, un hélicoptère de la gendarmerie survole le site du rassemblement pendant une longue minute, rappelant qu’ici les forêts sont un sujet sensible. Le bruit des pâles étouffe momentanément les discussions.

    M. prend ensuite la parole au nom de SOS Forêt Dordogne pour présenter une contre-expertise cartographique et collaborative menée par son association à la suite d’assises départementales sur la forêt tenues quelques années auparavant, lors desquelles le pourcentage de coupe rase réalisé chaque année leur a paru largement sous-évalué. « On s’est dit que pour parler à ces gens-là, il fallait qu’on ait des chiffres », commence-t-elle. Et d’ajouter : « Vous nous dites qu’il n’y a pas plus de coupes rases qu’auparavant : on a un outil cartographique qui montre le contraire ». Celui-ci se fonde sur l’identification in situ menée par un réseau de correspondant·es volontaires répartis sur l’ensemble du département, là où les chiffres de l’#Inventaire_forestier_national (#IFN) dépendent des #photographies_satellites. Il est simple de s’approprier la méthode proposée : une photo, un point GPS et un référencement sur une carte accessible en ligne suffisent à contribuer à l’effort de contre-cartographie.

    Tous ces exemples nous le rappellent : les forêts et les #cartes, c’est toute une histoire5. Leur mariage peut en effet aussi bien aller dans le sens d’une simplification des écosystèmes forestiers, être un outil de conquête et d’appropriation6, qu’être des plus efficaces pour mieux connaître les forêts et agir en leur sein, y travailler avec plus de précision, en préserver certaines parties ou, comme le montrent les exemples précédents, les défendre.

    De simples cartes de localisation seraient sans doute utiles, aussi, afin de mieux se retrouver parmi le foisonnement de collectifs forestiers présents lors cette deuxième Assemblée pour des forêts vivantes. La pluralité des espaces géographiques représentés est une force : de la #Meurthe-et-Moselle aux #Pyrénées, la défense des forêts suscite l’émergence de groupes locaux, mêlant habitant·es, professionnel·les et associations. Mais l’hétérogénéité des situations décrites peut aussi apparaître comme un frein à l’élaboration de mots d’ordre nationaux à même de massifier les mobilisations locales. Se pose, dès lors, la question du besoin d’une coordination nationale pour assurer l’organisation de tels événements.

    Adversaires et alliés : identifier les acteurs et les actrices de la forêt

    Après un déjeuner où des discussions enforestées ont porté sur les liens à consolider entre l’amont et l’aval de la filière bois et ont suscité l’envie d’aller rencontrer nos voisin·es Suisses pour apprendre de leur modèle sylvicole, il est temps de regagner la salle principale. Sur les bancs en bois ayant servi pour la plénière introductive, une petite vingtaine de personnes attend que commence l’atelier animé par un membre de l’association #Canopée – Forêt vivante. La séance est consacrée à l’identification des différents acteurs de la filière forêt-bois, des grandes coopératives forestières aux collectifs d’habitant·es, des sociétés de placement financier aux associations de gestionnaires forestiers.

    Par souci stratégique et didactique, ces acteurs, représentés par leur logo imprimé sur des rectangles de papier cartonné, sont placés sur un tableau déterminé par deux coordonnées. L’abscisse indique le positionnement politique de chacun par rapport aux écosystèmes forestiers et socio-professionnels. Plus ils se placent à gauche du tableau, plus ils sont considérés comme éloignés d’une sylviculture et d’une attention forestière privilégiant la vie, la diversité, la santé mentale et physique au travail, la constitution de communs inter-espèces, la subsistance. Ils sont au contraire caractérisés par leurs objectifs de profits à court terme, de maîtrise de la terre, des corps et des ressources, d’inattention écologique, de gestion des flux et d’opportunisme vert. L’ordonnée montre quant à elle le degré d’influence politique des structures et infrastructures. En haut de la ligne se retrouvent celles dont les ressorts sont les plus efficaces – en termes de taille, de capacité d’alliance, de communication, de maîtrise de l’opinion et donc de poids dans les sphères de la haute administration décisionnaire – pour faire peser la balance vers une orientation ou une autre.

    Chaque participant·e est invité·e à donner son avis sur le placement, au sein du tableau, des rectangle présentés par l’animateur de l’atelier. On apprend ainsi que Fransylva est l’unique syndicat des propriétaires forestiers privés, réduisant par conséquent à une seule liste le choix électoral, le reconduisant tous les six ans. Son président, Antoine de Ponton d’Amecourt, effectue sur ses propres parcelles forestières des coupes rases allant jusqu’à vingt hectares7.

    Par ailleurs, son syndicat contribue à légitimer, par des éléments de langage, l’industrialisation forcenée de la filière, la monoculture de résineux et le rajeunissement des peuplements – ce qui n’est pas pour déplaire à un proche de l’organisation nommé Jean-Michel Servant, ancien président de l’interprofession nationale France bois forêt et encore délégué interministériel à la forêt, au bois et à ses usages en juin dernier. À la lumière de ces informations sur le syndicat, Fransylva trouve une place évidente sur le tableau : très en haut, tout à gauche.

    L’animateur poursuit en mentionnant Pro Silva (à ne pas confondre avec la structure précédente), une association de propriétaires, gestionnaires, professionnel·les et ami·es de la forêt, reconnue d’utilité publique depuis 2013. Elle organise principalement des formations techniques prônant la sylviculture mélangée à couvert continu, pratique fondée sur le temps long, la diversification des essences et des âges. Ses principes sont applicables partout mais le faciès des forêts ainsi gérées n’est jamais le même, et s’oppose en cela au modèle monoculturel. Si Pro Silva a montré, depuis son lancement en 1989, son importance dans la balance politique, sa visibilité médiatique reste encore faible. Elle sera placée dans le quart inférieur droit.

    À la cartographie comme outil de lutte succède donc le plan. Les nombreux autres acteurs seront à leur tour présentés et disposés afin de mieux s’orienter dans le paysage institutionnel de la forêt française.
    Débrancher les forêts

    Au même moment, une discussion consacrée à la rencontre entre « forêt et production d’énergie », ou « comment résoudre l’équation impossible », débute sous un barnum nommé « bouleau » pour l’occasion. Certain·es participant·es feront remarquer qu’il n’y a pas de barnum « douglas », ni « pin maritime », les mal aimés, les pas beaux. C’est pourtant souvent de ces essences dont il est question, en ce qu’elles composent largement les forêts « sous camisole8 » impliquées dans les projets énergétiques qui seront discutés au cours de cet atelier.

    Quelques personnes préparent l’espace de discussion. Deux intervenants accrochent des photographies de parcs solaires sur la bâche blanche et jaune du barnum. L’un d’eux porte un tee-shirt du Réseau pour les alternatives forestières (RAF), dont il fut l’un des administrateurs. Un slogan y est inscrit : « Ça te branche ? ». La question prend ici une tout autre tournure.

    Deux clichés, « avant/après », amènent à constater l’impact forestier de la « centrale industrielle » de Monfort, développée par Engie Green dans les Alpes-de-Haute-Provence. Au-dessus, une cartographie « clandestine et non-exhaustive » permet d’insérer cette prise de vue dans ce qui est qualifié de « mitage en cours ». On comprend vite le sens de cette expression et de ce qu’elle recouvre : si la loi APER de 2023, relative à « l’accélération de la production d’énergies renouvelables », interdit les installations photovoltaïques supérieures à 25 hectares sur des zones forestières lorsque celles-ci nécessitent une autorisation de défrichement, n’amène-t-elle pas à la multiplication de projets certes moins grands, mais toujours aussi vastes dès lors qu’on accède à un aperçu global du phénomène ?

    Une dizaine de personnes a pris place – il y en aura une vingtaine lors de la session suivante. Quelques-unes étaient présentes aux Résistantes, les « rencontres des luttes locales et globales » qui ont eu lieu sur le plateau du Larzac l’année précédente. L’impact des parcs photovoltaïques sur les espaces agricoles ou forestiers y avait été discuté lors d’une table-ronde, à l’issue de laquelle une coordination nationale s’était créée9.

    Un nouveau « tour d’horizon des projets contestés et des luttes engagées » commence donc. Un intervenant venu des Bouche-du-Rhône aborde le cas de Gardanne, où l’avenir de la centrale à charbon reconvertie en usine à biomasse reste encore incertain. On estime sa consommation à 850 000 tonnes de bois par an. Ses propos sont ensuite complétés par un témoin des Pyrénées-Atlantiques, qui détaille pour sa part le projet BioTJET – une usine de bio-kérozène située à Lacq, censée alimenter les besoins de l’aéronautique en carburant à partir du bois. La production s’appuie sur l’électrolyse, un procédé lui-même très coûteux en énergie. Drôle de transition, pense-t-on, que celle nécessitant de nouvelles unités de production d’électricité, de nouvelles lignes de transports et, qui sait, de nouveaux panneaux solaires en forêt.

    Beaucoup attestent sur ce point d’une véritable « déferlante photovoltaïque » dans les milieux forestiers, que ce soit en Dordogne, en Franche-Comté, en Gironde ou dans les Alpes-de-Haute-Provence. La pression sur les espaces concernés est parfois double. Sur la Montagne de Lure, l’association Elzeard a dénombré plus de 1 000 hectares de zones naturelles convoitées par l’industrie photovoltaïque. Or, cette montagne fait déjà partie de la Zone d’Approvisionnement Prioritaire de la centrale de Gardanne.

    Là comme ailleurs, la pression s’intensifie par le biais d’un nouvel outil conçu par la loi APER : les Zones d’Accélération. Les communes doivent désormais identifier des sites jugés propices à l’installation d’unités de production et rapidement en fournir une cartographie. D’où l’organisation de balades « botanovoltaïque » dans le Buëch, comme nous l’a expliqué un membre du Collectif citoyen pour un autre photovoltaïque dans les Alpes du Sud. En se promenant sur ces terres convoitées et soumises à une spéculation nouvelle, il est sûrement possible de découvrir ce que la superposition de données oublie ou ne sait dire de la forêt.

    Une membre du Collectif Citoyens Résistants Champagnole est venue témoigner de ce qui aurait dû être le plus gros parc photovoltaïque de Franche-Comté dans les forêts de Loulle et de Mont-sur-Monnet. La voilure a dû être revue à la baisse. C’est également le cas en Gironde, ce dont témoignent des opposant·es au projet Horizeo, grand vainqueur de cette course au gigantisme. Les porteurs du projet envisagent l’installation de 700 hectares de panneaux photovoltaïques dans la forêt des Landes girondines, au sud de Bordeaux, au lieu des 1 000 hectares prévus initialement. Mais ce projet, qui serait alors le plus important en France, a toutefois du plomb dans l’aile. Il fut récemment désavoué par le même gouvernement qui avait adapté la loi APER à son calendrier, rendant ainsi possible le dépôt des demandes d’autorisation avant que l’interdiction des sites de plus de 25 hectares soit effective.

    Si les projets s’accumulent en entrent en concurrence, l’espace dédié à la compensation forestière également – une aubaine, malgré tout, pour des coopératives forestières attentives à l’expansion de leur domaine d’intervention, transformant des forêts de « faible valeur » en hectares compensateurs. Alors, les hectares en forêts se font plus chers, et c’est le foncier agricole qui apparaît comme une solution miracle.

    Nous l’avons vu, même si les argumentaires et les conditions matérielles sur lesquelles s’appuient ces projets varient en fonction des territoires, ils s’inscrivent néanmoins dans des dynamiques globales. Un chercheur qui enquête depuis Bruxelles sur le lobbying européen des grandes entreprises, notamment sur l’industrie de la biomasse, nous le raconte. Il rappelle l’intérêt de comprendre les directions de l’Union pour appréhender le contexte national et ses répercussions sur nos milieux de vie. Les contraintes sont fortes et les pénalités financières bien réelles. La France, seul État membre à n’avoir pas atteint ses objectifs de production d’énergie renouvelable en 2020 et dont la trajectoire a été jugée insuffisante, s’est vu infliger une amende de l’ordre de 500 millions d’euros.

    L’industrialisation de la forêt, largement évoquée lors de ces journées, est tout à fait compatible avec la « transition énergétique » telle qu’elle nous a été témoignée. En fait, cette mise au travail des forêt permet au moins deux choses. D’une part, elle garantit la pérennité et la progression d’une ressource en bois qui doit s’adapter à de nouveaux besoins : la production d’une énergie « verte » et « décarbonnée ». D’autre part, elle assure à cette production un espace dédié où pourront être implantées les infrastructures nécessaires à la transformation des ressources, qu’il s’agisse de bois ou de soleil. Pour ce faire, l’industrie emploie un argumentaire qui opère comme une épée à double tranchant. À la fois capable d’écologiser la forêt – un bien renouvelable pour une énergie propre – elle n’hésite pas à nier son existence quand cela l’arrange – au mieux elle est en dépérissement, au pire ce n’est pas une vraie forêt. Dans tous les cas, il s’agit de la couper pour satisfaire l’envolée d’une demande en énergie rarement ou jamais questionnée.

    Face à cette industrialisation de la forêt, une éclosion de luttes territorialisées est soucieuse de se mettre en lien. S’il convient de distinguer les nombreux domaines que couvrent la question de l’énergie (biomasse, photovoltaïque, biocarburants, etc.), ce travail de témoignages, de partages d’expériences et de réflexions ouvre à des prises de positions, enquêtes et actions communes aux participant·es. C’est toute une culture qui se construit, là où les développeurs, nous l’avons entendu, croient souvent tomber sur des « incultes », des habitant.es peu informé.es, et pensent bénéficier de causes parfois considérées comme indéfendables : il est compliqué de concevoir qu’un projet dit « de transition énergétique » puisse être contesté. « On l’entend dans la presse : les écolos attaquent les écolos ».

    Démanteler le complexe sylvo-industriel

    Défendre les forêts conduit donc bien souvent à en sortir pour comprendre ce qui les menace. Quitte à remonter pour cela une ligne à grande vitesse ou à suivre le parcours d’un camion chargé d’arbres fraîchement abattus. Depuis plusieurs mois, le collectif Méga-Scierie Non Merci lutte contre l’extension de la scierie Farges-Bois, en Corrèze, à Égletons – une lutte qui, pour l’heure, est sur la bonne voie : les procédures judiciaires en cours à l’encontre de l’industriel l’ont contraint à suspendre momentanément son projet d’extension. Et ce malgré l’achat récent de la propriété d’une riveraine et opposante par l’industriel, suite à l’expropriation de l’habitante par la communauté de communes Ventadour-Égletons-Monédières10.

    Cette histoire nous est racontée par deux membres du collectif. Ils reviennent sur les raisons de leur implication contre l’extension de la plus grosse scierie limousine, qui a pu être visitée lors de portes-ouvertes mémorables en septembre 202311. Rien ne les destinait à enquêter sur l’industrie forestière, à calculer des volumes de bois sur pied, abattus et sciés, ni à entamer un véritable travail de recherche pour mieux comprendre la réalité de ces « méga-scieries » qui s’installent et se développent de l’Alsace aux Pyrénées. Leur rencontre les a conduits à tenter de comprendre ce que l’aval d’une filière industrielle fait à la ressource qu’elle mobilise et aux forêts qui la produisent.

    En décembre 2022, plus de 200 personnes ont manifesté dans les rues d’Égletons pour protester contre le projet d’extension et elles étaient autant à participer à la première réunion d’information organisée par les opposants au début de l’année 2024. Aujourd’hui, le public de l’atelier est beaucoup plus clairsemé : l’outil industriel, sa logique de standardisation, de capitalisation et d’investissement, son rapport de prédation à la ressource en bois ne sont peut-être pas les sujets les plus séduisants de cette Assemblée pour des forêts vivantes. Le même après-midi, il est en effet possible de composer des vers ou des haïkus pour les déclamer ensuite en forêt, ou de s’initier à la grimpe d’arbre avec des membres du GNSA. Difficile, aussi, de trouver des failles chez des groupes composés de plusieurs centaines de salarié·es et qui bénéficient d’un soutien politique fort au-delà de la seule – et nécessaire – opposition.

    C’est notamment pour cette raison que A. et A. ont commencé à enquêter sur le monde discret des plus grosses scieries françaises. Mieux connaître ses réalités donne des prises pour envisager une riposte un tant soit peu suivie d’effets. Une démarche proche de celle qui a mené l’Atelier paysan à écrire le livre Reprendre la terre aux machines, dans lequel un retour critique sur la modernisation agricole et la constitution d’un complexe agro-industriel précède une série de propositions concrètes à l’adresse du monde paysan. Une heure durant, ils relatent leur cheminement, convoquent l’histoire récente du territoire et celle de l’industrie forestière avant d’ouvrir le débat sur quelques questions simples : comment démanteler de tels sites industriels ? Par où commencer ? Et qu’est-ce que démanteler, dans ce cas, veut dire ?

    Tandis que l’atelier prend fin, la discussion se poursuit avec trois personnes mobilisées contre le rachat et l’agrandissement d’une scierie à proximité de leur lieu de vie. Dans la grande salle, un chœur entame des chants, vite repris par le public. Nous mettons quelques chaises à l’écart pour recueillir le récit de G., X et E., trois membres d’un collectif situé autour de Brassac, dans le Tarn, qui se mobilise contre le projet porté par le groupe SIAT, propriétaire de la plus grosse scierie française, située en Alsace. Celui-ci entend faire d’une scierie moyenne, déjà reprise mainte fois, l’une des plus importantes d’Occitanie. Quelques semaines plus tôt, une petite délégation issue du collectif Méga-Scierie Non Merci est allé à leur rencontre pour entamer une collaboration militante. Des connexions commencent à se faire.

    « Nous, on habite à côté ». G. et M. ont assisté à l’émergence et la croissance de la scierie installée en face de chez eux, à Brassac, depuis 1997, jusqu’à son rachat récent par le groupe SIAT. Ils n’en sont pas à leur premier combat pour la sauvegarde de terres agricoles et naturelles : voilà une dizaine d’années qu’ils posent des recours pour contester le changement d’affectation des sols autour de chez eux, quelles que soient les sociétés concernées.

    Néanmoins, un changement d’échelle est cette fois à prévoir : « L’argument de SIAT est de dire qu’ils vont faire un site miroir de celui qu’ils ont en Alsace. Donc on a voulu savoir comment c’était en Alsace ». Une visio-conférence organisée avec des riverains du site d’Urmatt dans le Bas-Rhin a fini de convaincre les trois opposant·es : s’il se réalise, ce méga-projet industriel produira un niveau de nuisances et de pollutions invraisemblables pour les riverain·es, ainsi qu’une pression accrue sur des forêts déjà soumises à une exploitation importante et des perturbations climatiques de plus en plus intenses.

    Dès lors, dans le Tarn comme ailleurs, tous les moyens sont bons pour convaincre les habitant·es concerné·es qu’il est impératif de s’opposer à ce qui les attend. Des festivités se sont ainsi tenues le 22 septembre 2024 à Brassac dans l’espoir de faire changer d’échelle la lutte locale contre l’implantation du groupe SIAT. Un événement d’une tout autre ampleur, appelé par nombreux collectifs, associations et syndicats du Limousin a rassemblé le premier week-end d’octobre plus de 3 000 personnes à Guéret, dans la Creuse, là où le groupe Biosyl entend installer une usine à granulés qui menace les forêts de feuillus des environs. Cette journée de mobilisation populaire massive, soutenue aussi bien par des syndicats agricoles et de travailleurs que des associations environnementales, a été une véritable réussite.

    https://www.terrestres.org/2024/11/26/un-front-commun-contre-lindustrialisation-des-forets-francaises
    #forêt #France

  • #Michel_Barnier :

    Avec les ministres @Antonio_Tajani et @Piantedosim, nous avons acté la création d’une brigade commune d’investigation contre le trafic de migrants à la frontière franco-italienne. La coopération bilatérale entre nos pays, au sein de l’Union européenne, est essentielle. L’Italie est en première ligne dans la lutte contre l’immigration irrégulière en Europe. La France et l’Italie soutiennent la révision de la directive Retour, nécessaire au renforcement de l’efficacité de nos procédures d’éloignement. Nous appelons avec @Antonio_Tajani
    à en faire une priorité du mandat de la nouvelle Commission européenne.

    https://x.com/MichelBarnier/status/1847334082507588054
    #frontière_sud-alpine #migrations #frontières #coopération #Italie #France #directive_Retour #éloignement #brigade_commune #patrouilles_mixtes #réfugiés #asile #Vintimille #Menton #Alpes_Maritimes

    • Donc, je regarde la série Warrior qui raconte le choc raciste contre les Chinois dans le San Francisco du XIXe siècle.

      Et ce qui y est raconté, c’est la manière dont les politique excitent la population contre les immigrés pour pouvoir leur écraser la gueule et rendre leur travail très bon marché pour les patrons tout en s’en foutant plein les poches.

  • Melting glaciers force Switzerland and Italy to redraw part of Alpine border

    Two countries agree to modifications beneath Matterhorn peak, one of Europe’s highest summits

    Switzerland and Italy have redrawn a border that traverses an Alpine peak as melting glaciers shift the historically defined frontier.

    The two countries agreed to the modifications beneath the Matterhorn, one of the highest mountains in Europe, which straddles Switzerland’s Zermatt region and Italy’s Aosta valley.

    Glaciers in Europe, the world’s fastest-warming continent, are retreating at an accelerated pace because of human-caused climate breakdown.

    “Significant sections of the border are defined by the watershed or ridge lines of glaciers, firn or perpetual snow,” the Swiss government said in a statement cited by Bloomberg. “These formations are changing due to the melting of glaciers.”

    The famed Zermatt ski resort is affected by the change, with the two countries agreeing to modify the border around the landmarks of Testa Grigia, Plateau Rosa, Rifugio Carrel and Gobba di Rollin based on their economic interests, Bloomberg reported.

    A joint Italian-Swiss commission agreed to the changes in May 2023. Switzerland officially approved the treaty on Friday, but Italy still needs to sign.

    The changes come after a disagreement between the two countries over the peak’s territory that lasted for years.

    Swiss glaciers lost 4% of their volume in 2023, the second-biggest annual decline on record, according to the Swiss Academy of Sciences. The largest decline was 6% in 2022.

    Experts have stopped measuring the ice on some Swiss glaciers because there is none left.

    The remains of a German mountain climber who disappeared while crossing a glacier near the Matterhorn nearly 40 years ago were discovered in melting ice in July last year.

    Experts in Italy said this month that the Marmolada glacier, which is the largest and most symbolic of the Dolomites, could melt completely by 2040 as a result of rising average temperatures.

    The collapse of part of the Marmolada killed 11 people in 2022.

    The glacier has been measured every year since 1902 and is considered a “natural thermometer” of climate change.

    https://www.theguardian.com/environment/2024/sep/29/melting-glaciers-switzerland-italy-alpine-border-matterhorn
    #frontières #frontière_mobile #Suisse #Italie #Alpes #Matterhorn #Cervin #visualisation #fonte_des_glaciers #glaciers #Zermatt #traité

    ping @reka

    • Switzerland and Italy redraw border due to melting glaciers

      Switzerland and Italy have redrawn part of their border in the Alps due to melting glaciers, caused by climate change.

      Part of the area affected will be beneath the Matterhorn, one of Europe’s tallest mountains, and close to a number of popular ski resorts.

      Large sections of the Swiss-Italian border are determined by glacier ridgelines or areas of perpetual snow, but melting glaciers have caused these natural boundaries to shift, leading to both countries seeking to rectify the border.

      Switzerland officially approved the agreement on the change on Friday, but Italy is yet to do the same. This follows a draft agreement by a joint Swiss-Italian commission back in May 2023.

      Statistics published last September showed that Switzerland’s glaciers lost 4% of their volume in 2023, the second biggest loss ever after 2022’s record melt of 6%.

      An annual report is issued each year by the Swiss Glacier Monitoring Network (Glamos), which attributed the record losses to consecutive very warm summers, and 2022 winter’s very low snowfall. Researchers say that if these weather patterns continue, the thaw will only accelerate.

      On Friday, Switzerland said that the redefined borders had been drawn up in accordance with the economic interests of both parties.

      It is thought that clarifying the borders will help both countries determine which is responsible for the upkeep of specific natural areas.

      Swiss-Italian boundaries will be changed in the region of Plateau Rosa, the Carrel refuge and Gobba di Rollin - all are near the Matterhorn and popular ski resorts including Zermatt.

      The exact border changes will be implemented and the agreement published once both countries have signed it.

      Switzerland says that the approval process for signing the agreement is under way in Italy.

      Last year, Glamos warned that some Swiss glaciers are shrinking so fast that it is unlikely they can be saved, even if global temperatures are kept within the Paris climate agreement’s 1.5C target rise.

      Experts say that without a reduction in greenhouse gases linked to global warning, bigger glaciers like the Aletsch - which is not on the border - could disappear within a generation.

      A number of discoveries have been made on Swiss glaciers in recent years due to their melting and rapid shrinking.

      Last July, human remains found close to Matterhorn were confirmed to be those of a German climber missing since 1986.

      Climbers crossing the Theodul glacier above Zermatt noticed a hiking boot and crampons emerging from the ice.

      In 2022, the wreckage of a plane that crashed in 1968 emerged from the Aletsch glacier.

      And the body of missing British climber Jonathan Conville was discovered in 2014 by a helicopter pilot who spotted something unusual while delivering supplies to a mountain refuge on the Matterhorn.

      https://www.bbc.com/news/articles/cgk7r0rrdnmo

  • Il dialogo spezzato tra i ghiacciai alpini e il clima. E chi fa finta di non accorgersene

    I ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri sono oggi immersi in un clima che è incompatibile con la loro esistenza. Non essendo più capaci di conservare la neve registrano inevitabilmente bilanci negativi, avviandosi all’estinzione. Quale patrimonio si disperde e che cosa, invece, si può ancora salvare. Intervista a Giovanni Baccolo, divulgatore e ricercatore di Glaciologia e scienze della Terra negli ambienti freddi

    Ogni anno tra fine agosto e inizio settembre è il momento naturale in cui determinare lo stato di salute dei ghiacciai. “È alla fine dell’estate che si fanno i rilievi per determinare la fusione e l’arretramento dei ghiacciai, per comprendere quanto è stata negativa l’annata”, racconta Giovanni Baccolo, ricercatore che si occupa di Glaciologia e scienze della Terra negli ambienti freddi presso l’Università degli Studi di Roma Tre, divulgatore sul blog Storie minerali e autore del libro “I ghiacciai raccontano”, pubblicato da People in collaborazione con L’Altramontagna, il quotidiano online che approfondisce i temi ambientali e sociali delle Terre alte.

    Questo, racconta Baccolo, è quel momento dell’anno in cui i ghiacciai ottengono la maggiore visibilità, anche grazie alla Carovana dei ghiacciai, promossa da Legambiente insieme al Comitato glaciologico italiano, di cui il ricercatore fa parte. Nel 2024, ad esempio, la Carovana ha certificato l’estinzione del ghiacciaio di Flua, sul Monte Rosa, e preconizzato che quello della Marmolada non esisterà più nel 2040.

    Baccolo, oggi dice “quanto è stata negativa l’annata”, ma fino a cinquant’anni fa non era così, vero?
    GB Il 2001 è stato l’ultimo periodo in cui c’è stato, per i ghiacciai alpini, quelli che interessano più da vicino il nostro Paese, un leggerissimo bilancio positivo. Prima di allora, lo stesso era successo in una manciata di annate, nel corso degli anni Settanta del secolo scorso. Dal 2001, però, è assolutamente sicuro che il bilancio sarà negativo. L’unica speranza che nutriamo, da glaciologi, è che i dati lo siano il meno possibile.

    Nel libro scrive che i ghiacciai alpini “sono oggi immersi in un clima che è incompatibile con la loro esistenza”.
    GB È così, per fortuna ancora non riguarda tutti i ghiacciai dell’arco alpino, ma solo quelli al di sotto dei 3.500 metri sul livello del mare. Ed è questo il motivo per cui è ancora possibile, in alcuni casi, avere dei bilanci positivi o neutri. Il tema reale, emerso, è che non c’è più un dialogo costruttivo tra i ghiacciai e il clima, per cui quelli al di sotto dei 3.500 metri non sono più capaci di conservare la neve e inevitabilmente hanno bilanci negativi, non producendo nuovo ghiaccio. Questo significa che un ghiacciaio scompare lentamente e anche che esiste solo per inerzia, perché dal punto di vista climatico non dovrebbe più esistere.

    Eccoci allora di fronte, come scrive nel libro, alla scomparsa di un ecosistema naturale.
    GB Quando ci allarmiamo per le notizie legate alla deforestazione, a causa dell’aumento delle superfici coltivate, che sconvolgono ecosistemi e ambienti naturali, non teniamo in considerazione che questi episodi riguardano solo una frazione di quell’ecosistema. Per i ghiacciai, invece, non è così, perché li stiamo perdendo integralmente. E i ghiacciai non sono solo ammassi di ghiaccio ma rappresentano un habitat ancora poco studiato e poco conosciuto, che sta scomparendo in toto proprio mentre stiamo imparando a conoscerlo.

    Questa conoscenza, spiega il tuo libro, è anche una delle fotografie più accurate del clima passato. Per quale motivo?
    GB I ghiacciai, per come si formano, sono in grado di raccogliere e accumulare e conservare un sacco di informazioni metereologiche e climatiche, ma non solo. Gli strati di ghiaccio, grazie a segnali di tipo fisico e chimico, ci offrono informazioni su quanto avvenuto in passato. Oggi conosciamo il sistema climatico meglio di alcuni decenni fa e molte informazioni sono arrivate dai ghiacciai, in particolare da quelli polari che ci hanno permesso di studiare le cose andando più indietro nel tempo, avendo cumulato neve per millenni. Le carote di ghiaccio, racconto, permettono veri e propri viaggi nel tempo. Anche i ghiacciai alpini, però, sono importanti, perché trattengono storie locali, magari più circoscritte nel tempo ma dettagliate: ad esempio, abbiamo potuto ricostruire la storia dell’inquinamento atmosferico in Europa negli ultimi secoli e le variazioni del clima negli ultimi millenni e anche l’impatto delle attività umane sulla chimica del ghiaccio.

    Alcuni capitoli del libro sono dedicati ad Antartide, Artico e Groenlandia, per certi versi i veri osservati speciali quando si temono gli effetti più negativi della fusione dei ghiacciai.
    GB Per motivi geografici, riceviamo notizie relative ai ghiacciai alpini, anche grazie a iniziative come la Carovana: anche se per noi addetti ai lavori è scontato che arrivino questi dati così negativi, il lavoro di divulgazione è fondamentale. Senz’altro, però, il ritiro dei ghiacciai alpini, un glacialismo limitato, produce effetti localizzati, relativi a problemi di disponibilità idrica o di riempimento degli invasi, per la tenuta di singoli versanti. Quando si parla di Groenlandia o di Antartide occidentale, il riferimento è ad altri ordini di grandezza: in questo caso, il cambiamento climatico produce trasformazioni che hanno impatti globali, come l’innalzamento del livello del mare, che è guidato dal ritiro dei ghiacciai polari. La sola scomparsa dalla calotta antartica occidentale porterebbe a un innalzamento di cinque metri delle acque. Ci sono, cioè, centinaia di milioni di persone il cui futuro dipende da come si comporteranno questi giganteschi ghiacciai nei prossimi decenni, per questo è fondamentale limitare l’aumento delle temperature.

    Stiamo affrontando stagioni molto siccitose. Perché la fusione dei ghiacciai non è una risposta possibile e sensata alla carenza d’acqua?
    GB Quando i ghiacciai si ritirano in modo vistoso, come negli ultimi anni, ovviamente ci troviamo con una disponibilità maggiore di acqua glaciale e questo potrebbe oscurare problemi di siccità o scarsità di neve. Si tratta però di un tampone temporaneo, che sfrutta riserve che hanno occupato secoli e millenni per formarsi. Quell’acqua non tornerà più, non è una risorsa rinnovabile. Se tutto andasse in modo naturale, invece, lo sarebbe. A causa del nostro intervento, però, quell’elemento sta andando perduto completamente. Quello che accade sull’arco alpino è molto indicativo: se cade pioggia, se ne va molto più velocemente; se cade neve, si trasforma in ghiaccio ed è una riserva molto più disponibile, che viene rilasciata in estate, quando c’è un problema effettivo ed è un effetto tampone che sta andando completamente perduto.

    Ad amplificare questa dinamica, anche il fatto che gli ambienti molto freddi sono più esposti di quelli “temperati” al riscaldamento globale.
    GB Una caratteristica degli ambienti che ospitano ghiacciai è quella di essere molto più sensibile, a parità di perturbazione sul clima, all’aumento delle temperature, che è più alto rispetto alla media globale. Questo vale sulle Alpi e anche nell’Artico, un contesto che presenta determinate caratteristiche, ad esempio la maggior importanza del ghiaccio marino rispetto a quello terrestre, che caratterizza l’Antartide. Dove oggi esistono ghiacciai, i cambiamenti possono essere amplificati.

    Eppure c’è chi ancora nega i riflessi dei cambiamenti climatici sui ghiacciai, come il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini che lo scorso anno nel corso di un comizio si espresse così: “Io adoro la montagna. E quando vai sull’Adamello e sul Tonale e vedi i ghiacciai che si ritirano anno dopo anno ti fermi a pensare, poi studi la storia e vedi che sono cicli”. Perché, a tuo avviso, accade?
    GB Da una parte agisce la propensione a non credere al mondo scientifico e a quello che da decenni ci segnala, dinamiche che nelle singole persone può dipendere dalla difficoltà di accettare un cambiamento così importante, ma anche pigrizia, perché per contrastare questa situazione e attuare uno stile di vita più sostenibile dobbiamo fare sacrifici, rinunce e mettere in discussione un certo stile di vita. C’è poi un negazionismo che fa breccia nel mondo politico o dirigenziale, guidato dagli interessi economici che stanno dietro alla transizione energetica, all’esigenza di un ripensamento del sistema economico globale. Dal punto di vista elettorale, poi, i cittadini sono più contenti quando si sentono dire dai politici che va tutto bene e che non c’è bisogno di trasformazioni.

    https://altreconomia.it/il-dialogo-spezzato-tra-i-ghiacciai-alpini-e-il-clima-e-chi-fa-finta-di
    #glaciers #montagne #Alpes #disparition #climat #changement_climatique #extinction #Giovanni_Baccolo

    • I GHIACCIAI RACCONTANO

      Siamo abituati a ricevere, al termine dell’estate, tristi notizie che arrivano dal mondo dei ghiacciai. Ritiri, crolli, scomparse. Non c’è da sorprendersi: su una Terra sempre più calda a causa della nostra influenza sul clima, lo spazio destinato ai ghiacciai è inesorabilmente destinato a ridursi. Negli ultimi anni abbiamo imparato a identificarli come vittime iconiche del cambiamento climatico, spesso dimentichiamo però che i ghiacciai sanno fare molto di più che fondere, arretrare e scomparire. Non sono soltanto un affascinante fenomeno che impreziosisce i paesaggi montani: ogni ghiacciaio è un piccolo mondo che comunica con l’ambiente in cui è immerso. Raccontare alcune delle storie custodite al suo interno è il fine di queste pagine. Perché per comprendere la portata dell’epocale cambiamento provocato dal nostro impatto sul clima, è bene conoscere quanto stiamo perdendo, insieme al ghiaccio che fonde. Vittima, strumento di conoscenza e fonte di impatto. I ghiacciai sono il simbolo più completo del cambiamento climatico, il simbolo eccellente.

      «Fino a qualche decennio fa, le oscillazioni dei ghiacciai danzavano insieme alla naturale variabilità climatica del pianeta. Come in un valzer, uno andava dietro all’altro e, come succede con le coppie più affiatate, non era facile capire chi stesse guidando i movimenti. Oggi l’armonia è però rotta. Il clima conduce una marcia forzata che ha per meta un luogo poco adatto per l’esistenza dei ghiacciai.»

      https://www.peoplepub.it/pagina-prodotto/i-ghiacciai-raccontano
      #livre

  • 06.09.2024 V Kolpi je med nedovoljenim prečkanjem državne meje utonil 23-letnik
    –-> traduction automatique :
    A 23-year-old man drowned in #Kolpa while illegally crossing the state border

    Pri prečkanju reke Kolpe na območju Vukovcev je v petek zvečer utonil 23-letni državljan Maroka. Skupaj s še tremi tujci so poskušali prečkati reko in vstopiti v državo. Moškemu so na pomoč priskočili domačini in poklicali reševalce, a je vseeno umrl.

    Da naj bi se v reki Kolpi na območju Vukovcev utopil moški, so policiste obvestili v petek nekaj pred 19. uro, so danes sporočili s Policijske uprave Novo mesto.

    Policisti so ugotovili, da je skupina štirih tujcev na tem območju s prečkanjem reke poskušala nedovoljeno prestopiti državno mejo. Dva tujca sta se zaradi globine reke vrnila na hrvaško stran. Eden od dveh, ki sta pot nadaljevala, se je začel utapljati, drugi je klical na pomoč domačine. Ti so se takoj odzvali, moškega potegnili iz vode in ga oživljali do prihoda reševalcev. Kljub pomoči je 23-letnik umrl.

    Zdravnica je za pokojnega odredila sanitarno obdukcijo, na podlagi katere bo ugotovljen vzrok smrti. Policisti še ugotavljajo vse okoliščine in bodo z ugotovitvami seznanili pristojno tožilstvo.

    https://www.rtvslo.si/crna-kronika/v-kolpi-je-med-nedovoljenim-preckanjem-drzavne-meje-utonil-23-letnik/720488

    #mourir_aux_frontières #frontières #morts_aux_frontières #Slovénie #Croatie #Kupa #Kolpa #frontière_sud-alpine #montagne #Alpes

    –-

    ajouté à la métaliste sur les morts à la frontière entre la Croatie et la Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/811660

  • Dalle Alpi all’Africa. La politica fascista per l’italianizzazione delle “nuove province” (1922-1943)

    L’Italia fascista mise a punto strategie precise per consolidare il dominio sulle recenti acquisizioni territoriali: le regioni nord-orientali del Paese e le colonie in Africa settentrionale. In che modo il regime si impegnò a formulare e imporre la sovranità italiana su territori e popolazioni molto diversi fra loro, ma ugualmente estranei alla nazione?

    Come mostra #Roberta_Pergher attraverso lo studio di quanto avvenne in Alto Adige e in Libia, la politica di insediamento in quelle regioni non fu ideata per risolvere un problema di sovrappopolazione, bensì per rafforzare il controllo su aree di fatto non italiane, quando già si era affermato il principio di autodeterminazione dei popoli e imposizioni di stampo imperialista erano viste con sospetto dall’opinione pubblica internazionale.

    Pergher esplora le caratteristiche della politica di insediamento fascista, ma anche il modo in cui gli italiani presero parte o si opposero agli sforzi del regime per italianizzare i territori in cui l’autorità era contestata.

    https://www.viella.it/libro/9788833132792
    #Italie #colonisation #Italie_coloniale #Alpes #Haut-Adige #Libye #nationalisme #contrôle #autodétermination_des_peuples #italianisation

    #livre

    Le livre a été traduit de l’anglais:
    Mussolini’s Nation-Empire. Sovereignty and Settlement in Italy’s Borderlands, 1922–1943

    Roberta Pergher transforms our understanding of Fascist rule. Examining Fascist Italy’s efforts to control the antipodes of its realm - the regions annexed in northern Italy after the First World War, and Italy’s North African colonies - she shows how the regime struggled to imagine and implement Italian sovereignty over alien territories and peoples. Contrary to the claims of existing scholarship, Fascist settlement policy in these regions was not designed to solve an overpopulation problem, but to bolster Italian claims to rule in an era that prized self-determination and no longer saw imperial claims as self-evident. Professor Pergher explores the character and impact of Fascist settlement policy and the degree to which ordinary Italians participated in and challenged the regime’s efforts to Italianize contested territory. Employing models and concepts from the historiography of empire, she shows how Fascist Italy rethought the boundaries between national and imperial rule.


    https://www.cambridge.org/core/books/mussolinis-nationempire/CF0473B2EA56FEF20223BAFD2C90B440

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    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale:
    https://seenthis.net/messages/871953

  • La Clusaz : La station a fait sa neige artificielle en pompant de l’eau de source illégalement pendant plus de vingt ans
    https://www.20minutes.fr/societe/4105729-20240813-neige-artificielle-eau-source-illegalement-pompee-station
    https://img.20mn.fr/56TTRwZDSWeAQbLhxRTxRSk/1444x920_a-snow-gun-of-the-ski-resort-of-font-romeu-southern-france-is-pict

    L’or Bleu•Une enquête judiciaire de l’Office français de la biodiversité a conduit à la mise au jour d’un système de pompage construit sans autorisation par la station de ski de la Clusaz permettant de diriger de l’eau de source vers une fabrique de neige

  • #Montagne : Comment la station de #La_Clusaz pompe l’#eau de source illégalement

    Pendant plus de 20 ans, La Clusaz a pompé l’eau d’une source pour fabriquer de la #neige_artificielle... sans autorisation. Une #enquête judiciaire de l’Office français de la biodiversité dévoile comment la célèbre station des Alpes a installé ce système coûteux. Des #captages irréguliers ont par ailleurs été découverts sur les trois autres retenues exploitées par la commune haute-savoyarde pour alimenter ses pistes. Révélations.

    Fallait pas arroser les pétunias... En juillet 2022, la commune de La Clusaz a été prise en flagrant délit par l’Office français de la biodiversité (OFB) alors que les restrictions interdisaient l’arrosage. Cet été-là, la Haute-Savoie vit un épisode de chaleur intense.

    L’alerte sécheresse a été déclenchée et les restrictions d’eau ordonnées dans tout le département, conformément aux mesures prises dans ce type de situation : interdiction d’abreuver les plantes municipales mais surtout de remplir les retenues collinaires, ces ouvrages qui stockent l’eau des montagnes pour fabriquer de la neige de culture. Mais, surprise, les agents de l’OFB constatent que la station a arrosé ses bosquets en puisant dans la retenue du Lachat, et que celle-ci est toujours alimentée en eau.

    Un circuit secret

    En inspectant les installations, la police de l’environnement découvre un dispositif secret : la commune a mis en place un système souterrain illégal pour capter l’eau de la source du Lachat, la diriger vers un local étiqueté « neige de culture », puis la pomper vers la retenue... Or ce dispositif n’a jamais été autorisé et n’est nulle part mentionné sur les plans d’aménagement.

    Une réflexion poussée

    « Il s’agit d’une installation complexe caractérisant le fait qu’une réflexion poussée et des investissements importants ont été mis en œuvre par la commune », constate le procès-verbal de l’OFB.

    Pour La Clusaz, cette enquête judiciaire, et ce qu’elle dévoile, tombe au plus mal. Ces dernières années, la station - en première ligne dans la candidature française pour l’accueil des JO d’hiver de 2030 - est devenue à son corps défendant un symbole : celui de l’accaparement de l’eau au profit de l’industrie du ski et des sports d’hiver.

    La collectivité s’est battue pour faire creuser sa cinquième retenue collinaire, sur le plateau de Beauregard. Mais les travaux ont été entravés par l’implantation d’une ZAD, puis la suspension par le tribunal administratif de Grenoble de l’arrêté préfectoral d’autorisation. Résultat, en septembre 2023, le maire de La Clusaz Didier Thévenet a été contraint d’annoncer le gel du projet en attendant que les juges se prononcent définitivement sur le dossier. Malgré ce contretemps fâcheux, l’édile ne s’était pas démonté. « Nous ne lâchons rien, a prévenu Didier Thévenet. Nous allons muscler notre projet, dans le respect de la justice et de la loi ».

    L’eau, un vrai sujet

    Ce beau principe (le respect de la loi) n’a pas été appliqué à ses précédentes retenues d’eau. Blast a eu accès à l’enquête judiciaire menée par l’OFB. Ces investigations démontrent que La Clusaz a pompé illégalement l’eau de la source de Lachat de 2000 à 2023 pour alimenter la retenue du même nom, qu’elle aurait pu déclarer ce prélèvement illégal, à plusieurs occasions, et encore que l’adjoint responsable des retenues d’eau n’a jamais cherché à comprendre leur fonctionnement.

    Sollicitée par Blast, la municipalité minimise : « Il n’y a plus de sujet. Nous sommes en médiation avec l’OFB et des mesures correctives ont été prises. »

    Il faut savoir que, à La Clusaz, l’industrie du ski nourrit la vallée. Les remontées mécaniques ont rapporté 25,3 millions d’euros de chiffre d’affaires à la commune en 2023. Et la station doit accueillir l’épreuve de ski de fond des Jeux olympiques d’hiver 2030 et ses nombreux visiteurs. Un tel pactole, ça se protège.

    Construite en 2000, la retenue du Lachat est destinée exclusivement à produire de la neige artificielle. Si les prélèvements illégaux ont pu commencer dès sa construction, ils n’ont été enregistrés qu’à partir de 2014 avec l’installation d’un compteur. De 2014 jusqu’en juillet 2023, date de la fermeture définitive du dispositif de prélèvement, 135 108 m³ d’eau ont été siphonnés illégalement. Malgré l’engagement de la commune à ne plus prélever d’eau après l’intervention de l’OFB à l’été 2022, La Clusaz a encore capté 5 020 m³ supplémentaires en 2023.

    L’enquête de l’OFB conclut que La Clusaz « a délibérément capté la source du Lachat » sans jamais déclarer cet ouvrage à la direction départementale des territoires (DDT) de la Haute-Savoie, chargée d’instruire l’arrêté qui encadre la retenue.

    La station de ski a pourtant eu plusieurs opportunités pour indiquer ce prélèvement. Elle aurait pu le faire en 2011, ou en 2014 quand elle a demandé, puis modifié, une autorisation d’extension de la retenue.

    « La commune a parfaitement connaissance de la manière de procéder et aurait pu à cette occasion informer la DDT des modifications d’alimentation en eau de la retenue », pointe l’Office français de la biodiversité. Mais, au contraire, « l’ouvrage de prélèvement de la source du Lachat a été modifié à plusieurs reprises sans aucun accord de la DDT, et à défaut des prescriptions réglementaires. »

    La Clusaz se fiche des milieux naturels

    La Clusaz a exploité la retenue sans détenir aucune autorisation environnementale. Elle s’est ainsi épargnée d’engager des dépenses pour appliquer la séquence « ERC » (éviter, réduire, compenser), qui vise à atténuer les atteintes à l’environnement. Ces coûts sont estimés à 27 000 euros par l’OFB. Ils ne prennent pas en compte ceux de l’étude d’impact qui aurait dû être menée. Sans cette analyse, les dégâts provoquées pendant 23 ans sont impossibles à mesurer.

    En revanche, il est certain que cet accaparement de l’eau a bouleversé les milieux naturels. Durablement : « Lorsqu’ils interviennent en période naturelle de basses eaux tel qu’en période de sécheresse, les prélèvements accélèrent le phénomène de déficit hydrique et en accentuent l’ampleur », souligne le rapport de l’OFB. Avec, pour principales conséquences, « la fragmentation des milieux aquatiques ou la rupture de la continuité écologique, l’élévation de la température de l’eau, la modification physico-chimique de l’eau, la modification de la végétation aquatique et l’assèchement des linéaires ». C’est justement pour ces raisons que les ouvrages qui prélèvent de grandes quantités d’eau sont soumis à des dossiers de déclarations ou d’autorisation. Ils doivent maintenir un débit réservé, autrement dit qui garantit la circulation et la reproduction des espèces aquatiques locales.

    Les prélèvements à La Clusaz impactent le cours d’eau dont l’état écologique est classé « moyen » par le Schéma directeur d’aménagement et de gestion des eaux (le SDAGE) du bassin Rhône-Méditerranée (2022-2027), dont l’objectif est de pouvoir le reclasser à la case « bon ». En prélevant 24 734 m³ d’eau en 2022, La Clusaz « concourt à la non-atteinte des engagements pris par la France dans le cadre de l’atteinte du bon état écologique fixé par la DCE et, en même temps, contribue au déséquilibre du fonctionnement des milieux aquatiques », observe la police de l’eau et des espaces naturels.

    Pas une priorité pour la commune

    Cerise sur la retenue, en tirant l’eau « au point géographique le plus en amont possible », c’est l’ensemble du régime hydrologique et des habitats en aval qui sont affectés. Dont une zone humide créée... par La Clusaz pour compenser l’extension de la retenue du Lachat, réalisée en 2011. « Les installations en place mettent en évidence que le maintien dans un bon état des écosystèmes aquatiques n’est pas une priorité pour la commune », conclut l’enquête judiciaire.

    L’adjoint aux retenues n’y connaît rien

    À la mairie, l’annonce de la mise à jour de cette installation illégale a été prise avec une légèreté déconcertante. Auditionné à plusieurs reprises par l’OFB, Didier Collomb-Gros, l’adjoint en charge de la gestion des retenues collinaires, a fourni des explications lunaires. Élu en 2007, délégataire des retenues collinaires depuis 2020, cet artisan à la retraite - qui loue des appartements meublés - semble découvrir ses fonctions et n’avoir aucune envie d’en parler.

    Venez me chercher avec les menottes

    Convoqué par téléphone à une audition libre, Didier Collomb-Gros « semble très contrarié de notre appel », relève le rapport de l’OFB. L’adjoint s’emporte : « Convoquez-moi, je verrais si je viens » ; « si vous avez rien d’autre à foutre » ; « au pire venez me chercher avec les menottes, on verra bien »...

    Contacté également par Blast, l’élu nous a indiqué « ne pas être habilité » à nous répondre, avant de nous raccrocher au nez.

    L’adjoint bravache s’est finalement rendu au siège de l’OFB le 19 avril 2023. Il y a assuré que l’installation illégale était connue des services techniques de la préfecture depuis l’an 2000. Mais l’élu n’a produit aucun document pour corroborer ces affirmations. Et la mairie est tout simplement incapable de fournir un plan détaillé de la retenue.

    « On doit l’avoir, mais il faut qu’on fasse des recherches », botte en touche l’élu. Et l’OFB observe avec circonspection que, « selon les questions posées en audition », la commune « complète au fur et à mesure le schéma synoptique de fonctionnement des installations ».

    Un tas de questions

    Lors de sa deuxième audition le 9 octobre 2023, plus d’un an après les premières découvertes, Collomb-Gros se montre incapable de répondre aux interrogations des policiers sur l’installation ou sur le montant de ses investissements. « Vous me posez un tas de questions que je ne peux pas répondre (sic). Ces travaux datent de dix ans », évacue-t-il.

    L’audition tourne rapidement au supplice. « À votre prise de fonction en 2020, avez-vous fait des recherches sur la gestion des ouvrages ? », interroge l’OFB. « Aucune », répond l’élu, qui avoue n’avoir pris « aucune décision, ni note » pour s’assurer que la commune respecte l’arrêté d’autorisation de l’installation.

    Et ben, on voit que non

    La suite est proprement stupéfiante. Question : « Comment expliquez-vous les contradictions / approximations dans vos déclarations alors que ça fait un an que les premières constatations ont eu lieu ? » Réponse : « Encore une fois je vais dire que je ne comprends pas la situation » ; Question : « Vous êtes-vous donné les moyens pour comprendre la situation depuis un an ? » Réponse : « Pas de réponse de ma part » ; Question : « Pensez-vous avoir une connaissance suffisante du fonctionnement des installations de prélèvement de la retenue du Lachat pour assurer cette responsabilité ? » Réponse : « Et ben, on voit que non. »…

    Une méconnaissance volontaire

    Forcément, après cette prestation, le verdict de l’OFB est plutôt sec. L’audition, notent les fonctionnaires, « met en évidence une méconnaissance volontaire des prescriptions réglementaires de l’arrêté d’autorisation de la retenue du Lachat et la volonté manifeste de n’en prendre aucune ».

    Interrogée par Blast sur le manque de connaissances techniques des dossiers dont son adjoint à la charge, la commune de La Clusaz botte en touche : « M. Collomb-Gros a des services techniques sur lesquels s’appuyer pour connaître la réglementation. » Est-ce donc... la faute des services techniques ? « Nous n’avons pas dit ça », répond la station.

    Olympisme, menaces pénales et autres retenues

    Cette affaire révélée par Blast tombe au pire moment. En avril 2024, le Comité olympique international (CIO) était en visite pendant 5 jours dans les Alpes françaises pour étudier leur candidature à l’organisation des JO d’hiver de 2030. Les membres de la délégation ont fait notamment une halte à La Clusaz, sur le site qui doit accueillir l’épreuve de fond.

    Le suspens doit prendre fin en principe la semaine prochaine avec une décision attendue le 24 juillet, à l’occasion de la tenue à Paris de la 142è session du CIO, à la veille de l’ouverture des Jeux de Paris. Officiellement, la question environnementale - et celle qui va avec de l’acceptabilité par l’opinion publique - est prise en compte dans les critères pour décider de l’attribution. Dans d’autres pays, les populations ont été consultées par référendum ou ces consultations envisagées, comme en Suède et en Suisse (1). Rien de tel en France où le lobby du ski s’est mobilisé d’un seul homme pour s’engouffrer dans l’initiative prise par les présidents de région Laurent Wauquiez (AURA) et Renaud Muselier (PACA). Les Alpes françaises sont seules en lice pour décrocher la timbale.

    De leur côté, Didier Collomb Gros et La Clusaz risquent des amendes pénales de 5e classe (1 500 euros) pour « non-respect du projet fondement de l’autorisation ou de la déclaration d’une opération nuisible à l’eau ou au milieu aquatique » et pour « exercice d’une activité nuisible à l’eau ou au milieu aquatique sans respect des prescriptions de l’arrêté d’autorisation des arrêtés complémentaires ». Ils encourent ainsi jusqu’à 75 000 euros d’amende pour « exploitation sans autorisation d’une installation ou d’un ouvrage nuisible à l’eau ou au milieu aquatique ».

    Le prélèvement illégal sur la source du Lachat enfin stoppé, la station de La Clusaz n’a pourtant pas connu de répit : selon nos informations, des captages irréguliers ont également été découverts en mai, puis juillet 2023 par l’OFB sur les trois autres retenues exploitées par la commune haute-savoyarde. Ceux-là aussi ont été fermés, affirme la collectivité.

    « L’eau est un bien précieux, nous faisons aujourd’hui attention à être irréprochables », assure La Clusaz à Blast. Les promesses n’engagent que ceux qui y croient

    (1) Deux pays que le CIO a finalement préféré écarter.

    https://www.blast-info.fr/articles/2024/info-blast-montagne-comment-la-station-de-la-clusaz-pompe-leau-de-source-
    #ski #stations_de_ski #France #Alpes #Lachat #neige_de_culture #illégalité #industrie_du_ski #ZAD #plateau_de_Beauregard #Didier_Thévenet #justice #remontées_mécaniques

  • Dove sono i metalli rari in Italia

    Se lo sta chiedendo il governo, che ha approvato un decreto per sfruttare vecchi giacimenti e aprire nuove miniere.

    Dopo le sollecitazioni ricevute negli ultimi anni dall’Unione Europea, lo scorso 20 giugno il governo italiano ha approvato un decreto per sostenere la ricerca delle cosiddette “materie prime critiche”, un gruppo di metalli particolarmente necessari per il settore tecnologico e per la transizione energetica. Le materie prime critiche servono soprattutto all’industria dei microchip e dei componenti elettronici o per la produzione di batterie dei veicoli elettrici. Alcune hanno nomi più conosciuti, come il rame, il litio, il silicio e il nichel, altre sono meno note come il bismuto, il boro, il cobalto, il gallio, il germanio, il magnesio e il manganese, la grafite naturale, il titanio e il tungsteno.

    Fino a qualche decennio fa in Italia c’erano diversi giacimenti di questi metalli, miniere via via abbandonate perché dai costi insostenibili soprattutto se paragonati a quelli delle importazioni. Tuttavia negli ultimi anni l’aumento della richiesta dei metalli rari ha invertito questo rapporto: ora comprarli all’estero e importarli è molto costoso, mentre è più vantaggioso e politicamente strategico sfruttare vecchi giacimenti o trovarne di nuovi.

    Con queste premesse il governo ha approvato una serie di misure: semplificare le procedure per consentire alle compagnie minerarie di cercare nuovi giacimenti, finanziare una mappatura più completa delle aree sulla base di studi geologici, realizzare un piano nazionale delle materie prime con una definizione più puntuale dei finanziamenti per questo settore. L’obiettivo è spingere le compagnie a investire nella ricerca di nuovi giacimenti.

    Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha detto che il programma esplorativo dovrà essere pronto entro il 24 maggio 2025. Se ne occuperà l’ISPRA, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, a cui sono stati dati 3,5 milioni di euro per realizzare una mappa dei possibili giacimenti, la nuova carta mineraria dell’Italia. Grazie alla nuova carta potranno essere aggiornati e migliorati i censimenti fatti dall’ISPRA negli ultimi anni.

    Uno degli ultimi censimenti è stato pubblicato nell’atlante dei dati ambientali, aggiornato al 2023, e comprende i giacimenti sfruttati in passato e ora da rivalutare.

    Nel documento dell’ISPRA si legge che l’Italia è «totalmente dipendente» dai mercati esteri, ma anche che sul territorio esistono mille possibili giacimenti: i più interessanti sono nell’arco alpino, in Liguria, nella fascia tirrenica tra Toscana e Campania, in Calabria e in Sardegna. «La coltivazione di minerali metalliferi è stata progressivamente abbandonata a cavallo dei due secoli non per esaurimento delle risorse ma, nella quasi totalità, per le convenienti condizioni economiche dei mercati esteri delle materie prime e per la mancanza di lungimiranza della politica industriale mineraria», dice lo studio.

    Risultano attive soltanto due miniere di fluorite (a Bracciano, in provincia di Roma, e a Silius, in Sardegna) e una ventina di feldspato tra Piemonte, Toscana, Lazio, Calabria e Sardegna. C’è poi un giacimento di titanio in Liguria, uno di cobalto in Piemonte, di litio in Lazio. Negli ultimi anni sono stati dati permessi per cercare zinco, cobalto, titanio e nichel in particolare sull’arco alpino.

    Il decreto prevede anche che le compagnie minerarie titolari delle concessioni, già attive o future, dovranno dare allo Stato tra il 5 e il 7 per cento dei prodotti estratti. Questa sorta di tassa finanzierà il fondo nazionale del Made in Italy per sostenere nuovi investimenti e un’ulteriore ricerca di materie prime critiche.

    In merito all’impatto ambientale, su cui c’è una maggiore sensibilità rispetto al passato, il governo ha incaricato l’ISPRA di vigilare sui progetti di ricerca dei metalli insieme alle soprintendenze dei territori interessati. L’ISPRA potrà bloccare i permessi se verranno rilevate irregolarità, per esempio trivellazioni in punti non consentiti. L’istituto dovrà anche coinvolgere gli enti locali, in particolare i comuni, per spiegare in modo approfondito i lavori previsti, l’impatto delle ricerche e dell’eventuale apertura di nuove miniere.

    https://www.ilpost.it/2024/07/14/mappa-metalli-rari-italia
    #Italie #extractivisme #Alpes #permis #mines #minières #Italie #terres_rares #matières_premières_critiques #transition_énergétique #batteries #extractivisme #décret #matières_premières_critiques #microchip #électronique #lithium #cuivre #cobalt #tungstène #titan #mines #minières #ISPRA #Gilberto_Pichetto_Fratin #matières_premières #concessions #cartographie #visualisation #carte

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    #métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • Résidence de cartographie dans la Vallée de la Roya

    En début d’année 2024 j’ai été contacté par l’association Prévention MAIF pour les accompagner sur une démarche de cartographie sensible dans la Vallée de la Roya. Après plusieurs échanges avec Aveline Carmoi et Angello Smaniotto, j’ai proposé de faire une résidence de cartographie sensible et participative afin de ; 1/ rencontrer les acteurs locaux, m’imprégner des enjeux et des dynamiques locales, 2/ sensibiliser à l’approche de cartographie sensible et participative du territoire et 3/ esquisser une carte participative de la vallée de la Roya avec des acteurs locaux.

    J’ai ainsi résidé la semaine du 23 au 27 avril 2024 au Monastère de Saorge – Centre des monuments nationaux, un magnifique ancien monastère et haut lieu culturel de la vallée.

    Mercredi 24 avril, nous avons organisé une conférence à la salle des fêtes de la Mairie de Saorge intitulée La cartographie sensible/participative, un outil de résilience territoriale ?. Une trentaine de personnes aux profils variés étaient présentes avec lesquels nous avons eu de riches échanges. J’ai conclu ma présentation en expliquant pourquoi, selon moi, la cartographie sensible et participative peut contribuer à la résilience d’un territoire ;

    → Les projets participatifs/communautaires renforcent la résilience territoriale.
    → La connaissance des perceptions des habitant.e.s est un levier d’action publique territoriale.
    → La conscience de son milieu est un levier d’action bénéfiques pour le territoire.
    → Valorisation et émergence de “communs territoriaux”, matériels et immatériels.

    Bilan de la semaine

    Je ressors de cette semaine avec des apprentissages personnels sur les spécificités ce territoire, telles que je les ai perçues. Ainsi, je me suis demandé si la Vallée de la Roya ; ça ne serait pas le monde de demain ?

    Tout d’abord, il m’a semblé que les relations sont parfois fortement conflictuelles avec le Vivant. C’est par exemple le cas avec l’eau ou avec le loup.
    C’est d’ailleurs suite aux immenses dégâts causés par l’inondation créée par tempête Alex (oct 2020) que l’association Prévention MAIF intervient dans ce territoire.

    Ensuite, j’ai été marqué le potentiel de rétro-innovation* agriculturelle (cultures en terrasses, valorisation de la châtaigne…), par la forte solidarité entre les gens et par le fait que les habitant.e.s sont souvent en multi-activité professionnelle.
    * notion développée par Alberto Magnaghi, fondateur de l’École des territorialistes italiens, que j’ai eu l’honneur de croiser à l’institut d’urbanisme de Bordeaux quand j’y étais étudiant. Voir plus ICI ou LA.

    Enfin la vallée m’a aussi paru un lieu caractérisé des rapports humains assez polarisés, une action publique hyper centrée sur les infrastructures et peu d’innovation démocratique institutionnelle. En s’intéressant à la vallée on se rend aussi rapidement compte qu’elle de fait considérée comme un “territoire servant”, c’est à dire que l’état s’y intéresse car la région urbaine de Nice en dépend pour son alimentation en énergie (via les barrages hydro-électriques créés après guerre). C’est aussi le cas concernant l’alimentation et peut-être aussi le tourisme.

    Les ateliers de cartographie

    Le jeudi après-midi et le vendredi après-midi, nous avons organisé des ateliers de cartographie participative de la vallée, en proposant à des expert.e.s des sujets concernés de se mettre autour d’un fond de plan et d’élaborer une carte collectivement.
    Le premier atelier a porté sur l’agriculture dans la vallée.
    Le second a porté sur sur le patrimoine de la vallée, dans les deux dimensions de patrimoine matériel et immatériel.

    Enfin le samedi matin nous avons terminé la semaine par un atelier de cartographie sensible de la vallée, ouvert au public et organisé dans la Librairie du Caïros, un lieu important de convivialité et de culture à Saorge. Pendant ce dernier atelier, nous avons demandé aux participant.e.s, quels étaient selon elles/eux les REPÈRES du territoire, les lieux qu’ils/elles AIMENT, les lieux qu’ils/elles N’AIMENT PAS et ce qui constitue le PATRIMOINE de la vallée.

    Les cartes produites ;

    Une fois les ateliers réalisés, j’ai mis au propre les données récoltées et réalisé les cartes suivantes. Ces cartes peuvent être considérées comme des « communs cartographiques« , c’est à dire des ressources appropriables par tout un chacun.e. De tels document sont à mon sens stratégiques pour qu’un territoire puisse se montrer à lui-même et aux acteurs extérieurs à celui-ci. Ils contribuent à l’identité du territoire, et permettent de mieux comprendre et respecter les spécificités de la vallée.

    Nous avons donc réalisé 4 cartes ;

    → une carte de l’#agriculture dans la vallée

    → une carte du #patrimoine_matériel de la vallée

    → une carte du #patrimoine_immatériel de la vallée

    → une carte subjective de la vallée

    https://quentinlefevre.com/residence-de-cartographie-dans-la-vallee-de-la-roya

    #cartographie #Roya #Vallée_de_la_Roya #cartographie_sensible #Alpes_Maritimes #visualisation #cartographie_subjective #résidence #cartographie_participative #résilience_territoriale #communs_territoriaux #communs #commons #Alberto_Magnaghi #atelier

    via @reka

    cc @_kg_

  • 01.06.2024, #Nfansou_Drame , Ventimiglia, cadavere di un migrante nell’accampamento sul fiume Roja

    Un migrante è stato trovato morto all’interno di una tenda nell’accampamento di fortuna allestito nel greto del torrente Roja, sotto il cavalcavia di via Tenda a Ventimiglia.
    Al momento non si conoscono i motivi del decesso, che sembrerebbe comunque essere dovuto a cause naturali.
    Sul posto sono accorsi carabinieri e polizia, atteso il medico legale per una prima ispezione sulla salma.
    A compiere accertamenti su quanto accaduto saranno i militari dell’Arma.

    https://www.riviera24.it/2024/06/ventimiglia-cadavere-di-un-migrante-nellaccampamento-sul-fiume-roja-868284
    #Ventimille #asile #migrations #réfugiés #frontière_sud-alpine #Italie #France #Alpes_Maritimes #décès #mort #mourir_aux_frontières

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Ventimiglia, identificato il migrante trovato morto sotto il cavalcavia di via Tenda
      https://www.youtube.com/watch?v=4ZwwNho2qes

      Una corona di fiori appassiti posata davanti a una tenda sgualcita nel greto di un fiume in cui vivono ratti e piccioni. E’ un gesto di rispetto e affetto, probabilmente l’unico, nei confronti del giovane trovato morto intorno a mezzogiorno sotto il cavalcavia di via Tenda, a Ventimiglia.

      A dare un nome a quel corpo magro sono stati i carabinieri della compagnia della città di confine, che sono riusciti a identificare l’uomo, nonostante i tanti alias utilizzati dal suo arrivo in Italia. Si tratta di un senegalese di 32 anni, irregolare in Italia e richiedente asilo in Francia. Secondo quanto appurato fino ad ora, anche grazie ad un primo esame esterno del corpo da parte del medico legale Andrea Leoncini, il giovane sarebbe morto per le conseguenze di una malattia.

      Intorno al corpo si è formato un mesto capannello di uomini, tutti giovani africani, che alle forze dell’ordine hanno dichiarato di conoscere il 30enne morto. Qualcuno di loro, per dargli una sorta di saluto, deve aver raggiunto il vicino cimitero di Roverino dove ha trovato una corona di rose ormai vecchie, l’ha presa e l’ha adagiata sull’uscio della tenda dove è stato ritrovato il corpo del giovane.

      Ora gli investigatori cercheranno di rintracciare la famiglia per restituire, oltre alla salma, gli oggetti personali della vittima: uno zainetto, con dentro tutto quello che possedeva.

      https://www.riviera24.it/2024/06/ventimiglia-identificato-il-migrante-trovato-morto-sotto-il-cavalcavia-di-

    • Supporting a family for the loss of a son

      On June 1st, after feeling sick for a day, N. passed away in his tent in Ventimiglia.

      This tragedy is not an isolated incident, but a consequence of structural discrimination against people on the move.

      In theory, everyone has the right to access healthcare. Unfortunately, the reality is that people face numerous obstacles imposed by institutional racism.

      The brother and some friends of N. are now in Ventimiglia, trying to arrange for his body to be sent back to his parents and wife in Senegal. This process is time-consuming and expensive, costing up to 6,000 euros.

      We are reaching out for help to support the family in this difficult situation. There is no consolation for losing a loved one in such an unjust manner. With your donation you can accompany them in their grief.

      Le 1er juin dernier, N. est décédé dans sa tente à Ventimille après avoir été souffrant.

      Ceci n’est pas un cas isolé mais bien l’une des conséquences de la discrimination systémique envers les migrants.

      En théorie, tout un chacun a le droit d’accéder aux soins de santé. Malheureusement, en pratique, des personnes se retrouvent à devoir faire face à de nombreux obstacles mis en place par un racisme ancré et institutionnel.

      Le frère de N. ainsi que certains de ses amis se sont rendus à Ventimille afin de rapatrier le corps de N. au Sénégal, où l’attendent ses parents ainsi que son épouse. Malheureusement, cette procédure requiert beaucoup de temps et d’argent (environ 6 000€).

      Nous faisons donc appel à vous afin d’apporter notre soutien à la famille de N. durant leur deuil. Il n’existe bien évidemment pas de consolation après la perte d’un être cher dans de conditions aussi injustes. Votre donation pourra néanmoins accompagner la famille dans cette dure épreuve qui se présente désormais à elle.

      https://donorbox.org/supporting-a-family-for-the-loss-of-a-son-1

  • “Sotto l’acqua”. Le storie dimenticate dei borghi alpini sommersi in nome del “progresso”

    I grandi invasi per la produzione di energia idroelettrica hanno segnato nei primi decenni del Novecento l’inizio della colonizzazione dei territori montani. #Fabio_Balocco, giornalista e scrittore di tematiche ambientali, ne ha raccolto le vicende in un libro. Un lavoro prezioso anche per comprendere l’attuale dibattito su nuove dighe e bacini a favore di agricoltura intensiva e innevamento artificiale

    Un campanile solitario emerge dalle acque del Lago di Rèsia, in Val Venosta, un invaso realizzato per produrre energia idroelettrica. Quella che per i turisti di oggi è una curiosa attrazione, è in realtà ciò che rimane di una borgata alpina sommersa in nome del “progresso”. Quella del campanile che sorge dalle acque è un’immagine iconica che in tanti conoscono. Ma non si tratta di un caso isolato: molti altri abitati alpini furono sommersi nello scorso secolo, sacrificati sullo stesso altare. Soprattutto nel Piemonte occidentale, dove subirono la sorte le borgate di Osiglia, Pontechianale, Ceresole Reale, Valgrisenche, e un intero Comune come Agàro, nell’Ossola. A raccontare queste storie pressoché dimenticate è il giornalista e scrittore Fabio Balocco nel suo recente saggio “Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi” pubblicato da LAReditore.

    Balocco, perché ha scelto di raccontare queste storie?
    FB Tutto è iniziato con un’inchiesta per la rivista Alp (mensile specializzato in montagna e alpinismo, chiuso nel 2013, ndr) che feci a metà anni Novanta, incentrata proprio su queste storie dei borghi sommersi per produrre energia. Un fenomeno che caratterizzò soprattutto gli anni Venti e Trenta del Novecento per alimentare le industrie della pianura. Sono sempre stato attratto dalle storie “minime”, quelle dei perdenti, in questo caso le popolazioni alpine sacrificate appunto sull’altare dello sviluppo. È quella che io chiamo “la storia con la esse minuscola”. La nascita del libro è dovuta sia al fatto che siamo sulla soglia del secolo da quando iniziarono i primi lavori e sia dal ritorno nel dibattito politico del tema di nuovi invasi. Infine, penso sia necessario parlarne per ricordare che nessuna attività umana è esente da costi ambientali e talvolta anche sociali, come in questi casi che ho trattato.

    Nel libro afferma che l’idroelettrico ha portato ai primi conflitti nelle terre alte, tradendo la popolazione alpina. In che modo è successo?
    FB I grandi invasi per produzione di energia idroelettrica hanno segnato l’inizio della colonizzazione dei territori montani, che fino ad allora non erano stati intaccati dal punto di vista ambientale e sociale da parte del capitale della pianura. Queste opere costituirono l’inizio della colonizzazione di quelle che oggi vengono anche definite “terre alte”, colonizzazione che è proseguita soprattutto con gli impianti sciistici e le seconde case. Vale poi la pensa di sottolineare che almeno due invasi, quello di Ceresole Reale e quello di Beauregard, in Valgrisenche, comportarono la sommersione di due dei più suggestivi paesaggi delle Alpi occidentali.

    Che ruolo hanno avuto le dighe nello spopolamento delle terre alpine?
    FB È bene ricordare che nell’arco alpino occidentale lo spopolamento era già in atto agli inizi del Novecento in quanto spesso per gli abitanti delle vallate alpine era più facile trovare lavoro oltreconfine. Un caso esemplare è quello della migrazione verso la Francia che caratterizzò la Val Varaita, dove fu realizzato l’invaso di Pontechianale. Le dighe non contribuirono in modo diretto allo spopolamento ma causarono l’allontanamento di centinaia di persone dalle loro case che venivano sommerse dalle acque, e molti di questi espropriati non ricevettero neppure un compenso adeguato a comprare un nuovo alloggio, oppure persero tutto il denaro a causa dell’inflazione, come accadde a Osiglia, a seguito dello scoppio Seconda guerra mondiale. Queste popolazioni subirono passivamente le imposizioni, senza mettere in atto delle vere e proprie lotte anche se sapevano che avrebbero subito perdite enormi. Ci furono solo alcuni casi isolati di abitanti che furono portati via a forza. Questo a differenza di quanto avvenuto in Francia, a Tignes, negli anni Quaranta, dove dovette intervenire l’esercito per sgomberare la popolazione. Da noi il sentimento comune fu di rassegnazione.

    Un’altra caratteristica di queste storie è lo scarso preavviso.
    FB Tutto l’iter di approvazione di queste opere avvenne sotto traccia e gli abitanti lo vennero a sapere in modo indiretto, quasi di straforo. Semplicemente si accorgevano della presenza di “stranieri”, spesso tecnici venuti a effettuare lavori di prospezione, e solo con un passaparola successivo venivano a conoscenza dell’imminente costruzione della diga. Anche il tempo a loro lasciato per abbandonare le abitazioni fu di solito molto breve. Le imprese della pianura stavano realizzando degli interessi superiori e non erano interessate a informare adeguatamente le popolazioni coinvolte. Le opere furono realizzate da grandi imprese specializzate che si portavano dietro il loro personale. Si trattava di lavori spesso molto specialistici e solo per le mansioni di bassa manovalanza venne impegnata la popolazione locale. D’altra parte, questo incontro tra il personale delle imprese e i locali portò a conseguenze di carattere sociale in quanto i lavori durarono diversi anni e questa intrusione portò anche alla nascita di nuovi nuclei familiari.

    Differente è il caso di Badalucco, dove negli anni Sessanta gli abitanti riuscirono a opporsi alla costruzione della diga. In che modo?
    FB Badalucco è sempre un Comune alpino, sito in Valle Argentina, in provincia di Imperia e anche lì si voleva realizzare un grande invaso all’inizio degli anni Sessanta. Ma qui le cose andarono in maniera diversa, sicuramente anche perché nel 1959 c’era stata una grave tragedia in Francia quando la diga del Malpasset crollò provocando la morte di quasi 500 persone. A Badalucco ci fu quindi una vera e propria sollevazione popolare guidata dallo stesso sindaco del Comune, sollevazione che, anche attraverso scontri violenti, portò alla rinuncia da parte dell’impresa. L’Enel ha tentato di recuperare il progetto (seppure in forma ridotta) nei decenni successivi trovando però sempre a una forte opposizione locale, che dura tuttora.

    Il governo promette di realizzare nuove dighe e invasi. È una decisione sensata? Che effetti può avere sui territori montani?
    FB A parte i mini bacini per la produzione di neve artificiale nelle stazioni sciistiche, oggi vi sono due grandi filoni distinti: uno è il “vecchio” progetto “Mille dighe” voluto da Eni, Enel e Coldiretti con il supporto di Cassa depositi e prestiti, che consiste nella realizzazione di un gran numero di piccoli invasi a sostegno soprattutto dell’agricoltura, ma anche per la fornitura di acqua potabile. Poi vi sono invece i progetti di nuovi grandi sbarramenti, come quello previsto lungo il torrente Vanoi, tra Veneto e Trentino, o quelli di Combanera, in Val di Lanzo, e di Ingria, in Val Soana, in Piemonte. Come dicevo, oggi l’esigenza primaria non è tanto la produzione di elettricità quanto soprattutto l’irrigazione e, in minor misura, l’idropotabile. Si vogliono realizzare queste opere senza però affrontare i problemi delle perdite degli acquedotti (che spesso sono dei colabrodo) né il nostro modello di agricoltura. Ad esempio, la maggior parte dell’acqua utilizzata per i campi finisce in coltivazioni, come il mais, per produrre mangimi destinati agli allevamenti intensivi. Questo senza considerare gli impatti ambientali e territoriali che le nuove opere causerebbero. In buona sostanza, bisognerebbe ripensare il nostro modello di sviluppo prima di tornare a colonizzare nuovamente le terre alte.

    https://altreconomia.it/sotto-lacqua-le-storie-dimenticate-dei-borghi-alpini-sommersi-in-nome-d

    #montagne #Alpes #disparitions #progrès #villages #barrages #barrages_hydro-électriques #énergie_hydro-électrique #énergie #colonisation #industrialisation #histoire #histoires #disparition #terre_alte #Badalucco #Osiglia #Pontechianale #Ceresole_Reale #Valgrisenche #Agàro #Beauregard #Ceresole_Reale #Mille_dighe #Vanoi #Combanera #Ingria

    • Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi

      Circa un secolo fa iniziò, nel nostro paese, il fenomeno dell’industrializzazione. Ma questo aveva bisogno della forza trainante dell’energia elettrica. Si pensò allora al potenziale rappresentato dagli innumerevoli corsi d’acqua che innervavano le valli alpine. Ed ecco la realizzazione di grandi bacini di accumulo per produrre quella che oggi chiamiamo energia pulita o rinnovabile. Ma qualsiasi azione dell’uomo sull’ambiente non è a costo zero e, nel caso dei grandi invasi idroelettrici, il costo fu anche e soprattutto rappresentato dal sacrificio di intere borgate o comuni che venivano sommersi dalle acque. Quest’opera racconta, tramite testimonianze, ricordi e fotografie, com’erano quei luoghi, seppur limitandosi all’arco alpino occidentale. Prima che se ne perda per sempre la memoria.

      https://www.ibs.it/sotto-acqua-storie-di-invasi-libro-fabio-balocco/e/9791255450597

      #livre

  • Déprise glaciaire
    https://www.terrestres.org/2024/04/19/deprise-glaciaire

    Pour accompagner comme il se doit la sortie de « Premières secousses », le livre collectif des Soulèvements de la terre, nous en publions un extrait : le puissant récit, en mots et en photographies, de l’occupation du glacier de la Girose, dans les Hautes-Alpes, en octobre 2023, contre la construction d’un nouveau tronçon de téléphérique. L’article Déprise glaciaire est apparu en premier sur Terrestres.

    #Climat #Grands_projets_inutiles_et_imposés #Luttes #Montagne

  • Infrastructures mortifères. La frontiérisation de la ligne ferroviaire entre Vintimille et Nice
    https://www.visionscarto.net/infrastructure-frontiere

    Il y a des corps qui dérangent. Il y a des morts dont on ne parle pas. Il y a des victimes pour lesquelles on crée des catégories à part quand on essaie d’en comptabiliser le nombre : un carré pour les « accidents », un rond pour les « suicides », un triangle pour les « clandestins ». C’est ce que l’on peut voir dans un schéma tiré d’un dossier sur les « accidents de personnes » sur la ligne ferroviaire Vintimille-Nice compilé par le syndicat CGT des cheminots de la SNCF et confié par un (...) Billets

    #Billets_