• Against the Party of Insurrection
    A Look at #Appelism in the U.S.
    https://theanarchistlibrary.org/library/against-the-party-of-insurrection-a-look-at-appelism-in-the-us

    At the end of the day, it’s implied, we are all brothers, and our left-right civil war is something we should overcome so we can collectively let capitalism crumble. This essay articulates a vision of left-right unity that is often echoed in appelist media; for example, some Vitalist International person casually sported a gadsden flag in a very strange solidarity video addressed to those fighting in Hong Kong. VI also tweeted the following about a protest organized by Patriot Prayer at the Oregon State Capitol in the weeks before January 6th, 2021: “as protesters skirmish with police to build an autonomous zone at the capitol, the polarization could pivot from left-right to top-bottom [...] Can “patriots” escape identity politics and build common cause with other exploited people?”

    It’s interesting to note the use of the term “identity politics” here. This might as well be a quote from Patriot Prayer leader Joey Gibson, who, in 2018, when pressed to clarify his relationship to white nationalists, said “I would say the same thing to them that I would say to any Black nationalist or Mexican nationalists [sic] group, we have to drop the identity of politics and focus on what is on the inside.” Is VI, like Gibson, arguing that white nationalism is simply another flavor of identity politics? There are obviously salient anarchist critiques to be made of certain leftist engagements with questions of identity, but if you can’t tell the difference between white nationalism and leftist identity politics, you are missing some pretty important details about how race and power work in America.

    • Appelism is an informal strain of authoritarian communism that has been gaining traction on this continent over the past decade or so. Taking up elements of both the revolutionary party structure and insurrectionary anarchism, this tendency rebrands authoritarian communism as something that looks like informal networks but acts like a party.
      Appelists generally do not present themselves as appelists. The term “appelist” refers to The Call (L’Appel in the original French) by the Invisible Committee, written by some of the same authors as the 1999 journal Tiqqun. This is why “ap- pelists” are sometimes also called “tiqqunists.” Both are terms popularized by anarchists to counteract appelists’ claims that they do not have an ideology or established political network.
      Appelists’ dishonesty around this is part of a larger strategy
      of trying to cease being visible as a distinct group or milieu (which they term “opacity”). They then seek to invisibly coordinate various aspects of everyday life towards a form of communism, with an emphasis on building and controlling infrastructure. This is accompanied by a push to intervene decisively in moments of social conflict such that those situations escalate, struggles gain territory, and people are drawn into their infrastructure. Appelists will typically identify themselves as partisans, autonomists, or communists, if at all, though in North America it is more common for them to also selectively call themselves anarchists.
      The most well-known expressions of appelism come from France and are the work of the Invisible Committee, especially The Coming Insurrection (2007) and To Our Friends (2014).
      In the United States, the major proponents of appelism are the publisher Ill Will Editions, the Inhabit program, and social media accounts like Vitalist International. In addition to putting forward their American version of appelism, these projects also translate and republish analysis from Lundi Matin, the main appelist platform in France.

      #appelisme

  • 11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace

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    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    Le 20.09.2023 la défense de #Mimmo_Lucano a prononcé le plaidoyer final dans le cadre de l’#appel à la condamnation de l’ancien maire de #Riace...
    https://seenthis.net/messages/1018103

    #accueil #migrations #solidarité #asile #réfugiés #Italie #criminalisation_de_la_solidarité #acquittement #justice #Xenia

    • La corte d’appello condanna Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi

      La sentenza di primo grado aveva fissato la condanna a 13 anni e due mesi, la procura aveva chiesto 10 anni e 5 mesi. I suoi avvocati volevano l’assoluzione. Lucano non ha mai smesso di lavorare nei progetti per l’accoglienza e in una lettera aveva invitato i giudici ad andare a vedere il Villaggio Globale di Riace

      La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 1 anno e 6 mesi: un decimo di quanto chiesto dalla procura. Le accuse sono state fortemente ridimensionate, e l’esito drasticamente ridotto rispetto alla condanna in primo grado a oltre 13 anni.

      La procura generale aveva chiesto per questo secondo grado di giudizio la condanna a 10 anni e 5 mesi di carcere per l’ex sindaco di Riace e principale imputato del processo “Xenia”, nato da un’inchiesta della guardia di Finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo paese della Locride. Un processo che lo vede alla sbarra insieme ad altre 17 persone. Le accuse erano pesanti: associazione a delinquere e peculato, frode, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa.

      La prima condanna

      Il Tribunale di Locri a settembre del 2021 lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, e 700mila euro di danni per la gestione dei progetti di accoglienza per i migranti (ma c’è anche la gestione dei rifiuti, il mancato pagamento della Siae e altri illeciti amministrativi), nonostante Riace sia stata lodata in tutto il mondo, e gli stessi giudici abbiano descritto i progetti come figli di un’utopia.

      Dal processo è stato dimostrato che Lucano non ha tratto benefici per il suo conto corrente. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici trovavano la colpa nel «comportamento omissivo, che era stato tenuto per bieco calcolo politico».

      E ancora: «Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca», perché, si leggeva, «ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».

      Per i difensori, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, si tratta di un processo politico, in cui sono stati fatti anche errori. Durante il processo d’appello sono state aggiunte nuove intercettazioni e contestate trascrizioni della guardia di finanza da quelle precedenti. Nelle motivazioni d’appello i due legali avevano parlato di «lettura forzata se non surreale dei fatti».

      Dopo la sentenza di primo grado era scaturito in ambito internazionale un appello firmato dal linguista Noam Chomsky, dall’ex capitana Sea Watch Carola Rackete, fino al leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon perché venissero ritirate le accuse a suo carico.
      La lettera

      Alle ultime elezioni regionali si era candidato in appoggio a Luigi de Magistris, ma non è stato eletto. Non ha smesso di lavorare. Il 20 settembre l’ex sindaco di Riace ha consegnato una lettera alla Corte: «Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».

      Lucano ha poi ricordato: «Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali».

      Ma non ha desistito, e ha invitato i giudici ad andare a vedere i risultati del suo lavoro: «Ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

      https://www.editorialedomani.it/politica/italia/mimmo-lucano-sentenza-corte-appello-oooeao9j

    • Non reggono in Appello le accuse monstre a Lucano. L’ex sindaco condannato a un anno e 6 mesi
      https://www.youtube.com/watch?v=qBE1GEzNnow&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

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      La decisione della Corte nel processo al “modello Riace”: assolti 15 imputati su 17. L’accusa aveva chiesto 10 anni 5 mesi per l’ex sindaco. In primo grado la pena comminata era stata di oltre 13 anni

      L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano è stato condannato a un anno e sei mesi (con pena sospesa) dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, pena sensibilmente inferiore rispetto ai 13 anni e due mesi rimediati in primo grado e rispetto alla richiesta della Procura generale (10 anni e 5 mesi). Oggi assente a Reggio Calabria, l’ex primo cittadino ha atteso l’esito della camera di consiglio durata circa sei ore, nel piccolo borgo del “modello” per molti anni simbolo dell’accoglienza e alla sbarra dopo l’inchiesta “Xenia” della procura di Locri. Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione.

      L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari, aveva chiesto per l’ex primo cittadino una condanna di 10 anni e 5 mesi di reclusione. Imputati davanti ai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, (presidente Elisabetta Palumbo, giudici relatori Davide Lauro e Massimo Minniti) Lucano e altre 17 persone.
      Si conclude così il secondo capitolo giudiziario scaturito dall’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza che si basa sull’accusa di aver utilizzato i fondi destinati all’accoglienza dei migranti per “trarre vantaggi personali”. Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste, a vario titolo, le accuse della Procura di Locri che ha attaccato in toto il sistema di accoglienza messo in piedi nel borgo della Locride. In primo grado il Tribunale di Locri aveva condannato Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione, a fronte della richiesta della Procura a 7 anni e 11 mesi.

      Il dibattimento

      Nel corso del dibattimento i legali di Lucano, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, avevano sottolineato come quella di Lucano fosse una «innocenza documentalmente provata» poiché l’obiettivo dell’ex sindaco di Riace «era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’è una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso».
      Nelle motivazioni d’appello i legali avevano sottolineato che in sentenza c’era stato un «uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralità attraverso la tecnica del copia/incolla». Intercettazioni che, in molti casi, secondo gli avvocati, sarebbero inutilizzabili. Nel corso delle arringhe finali i legali di Lucano avevano chiesto alla corte di ribaltare la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva motivato la sentenza in 900 pagine definendo Lucano “dominus indiscusso” del sistema messo in piedi a Riace per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Tanti i sostenitori di Lucano che hanno atteso la decisione dei giudici dentro e fuori la Corte d’appello di Reggio Calabria, tra loro anche Giuseppe Lavorato.
      In tanti di sono recati anche a Riace e hanno aspettato insieme all’ex sindaco l’esito del processo.

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/10/11/non-reggono-in-appello-le-accuse-monstre-a-lucano-lex-sindaco-

    • Lucano: “Finalmente respiro e ora torno in politica. Sogno un’altra Italia”

      Dopo la sentenza che ha cancellato la condanna a 13 anni e due mesi, parla l’ex sindaco del paese dell’accoglienza. “Riace era avanguardia dei diritti e della speranza, torniamo a esserlo”

      Ora respiro, ora respiro di nuovo». Non è facile parlare con l’ex sindaco dell’accoglienza Mimmo Lucano dopo la sentenza che lo ha assolto dall’accusa di aver trasformato la “sua” Riace in un “sistema clientelare” costruito al solo scopo di “ricavarne benefici politici”, sostenevano i giudici del primo grado. “Che assurdità. Proprio io, che non mi sono mai voluto candidare. Ma adesso la verità è stata ristabilita”, dice l’ex sindaco dell’accoglienza mentre dietro di lui si sente il paese in festa e di tanto in tanto la comunicazione salta perché qualcuno l’abbraccia forte.

      Quando ha sentito il giudice leggere la sentenza che ribaltava quella durissima di primo grado che effetto le ha fatto?

      “In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere”.

      È stata dura?

      “È stata dura, è stata lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Ma adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più”.

      In questi anni c’è stato qualcosa che è stato più difficile di altre da sopportare?

      «Il sospetto. Quelle ombre che sono state evocate su di me, l’idea che è stata instillata che avessi fatto tutto per un tornaconto personale. Riace era ed è un’idea di umanità, di rinascita per gli ultimi, per tutti. Adesso la verità è venuta a galla».

      I giudici di primo grado dietro quel modello avevano letto un sistema criminale.

      “Assurdo. La contestazione di associazione a delinquere è quanto di più lontano da quello che il villaggio globale, la comunità che qui avevamo costruito, rappresenta.Noi abbiamo sempre lottato per la fratellanza, perché tutti avessero un’opportunità, questa è l’antitesi alle associazioni criminali, che qui significano mafia. E noi l’abbiamo sempre combattuta. I miei primi passi in politica sono stati proprio contro la mafia”.

      A proposito di politica, cade anche l’interdizione ai pubblici uffici. Pensa di candidarsi nuovamente?

      “È presto, la sentenza è appena arrivata, solo adesso inizio a realizzare, ma ci sto pensando. Sicuramente adesso si apre una fase nuova, di rinascita e di speranza”.

      In che misura?

      “Fin dall’inizio della sua storia Riace è stata un’avanguardia in termini di difesa dei diritti umani, anzi dell’umanità. Abbiamo mostrato concretamente che accoglienza non è un problema di ordine pubblico o motivo di allarme sociale, ma occasione per il territorio che la sperimenta, crescita, rinascita per tutti, per chi c’era e per chi viene accolto”.

      E adesso che l’Italia sembra andare in tutt’altra direzione?

      «In questo momento storico così buio, con i decreti Cutro e Piantedosi che criminalizzano i migranti e chi prova a essere solidale, che i giudici cancellino una sentenza che provava a smentirlo trasforma Riace nuovamente in un’avanguardia».

      Di cosa?

      «Della speranza di un’altra Riace possibile, di un’altra Italia possibile, di un altro mondo possibile. Noi abbiamo sempre lottato per questo».

      Nel frattempo però il “paese dell’accoglienza” è stato distrutto

      «In realtà non del tutto. Paradossalmente la sentenza di primo grado ha scatenato un’ondata incredibile di solidarietà. Associazioni come “A buon diritto” hanno promosso persino una raccolta fondi per aiutarmi a pagare la sanzione pecuniaria che mi era stata inflitta. Ma quando il presidente Luigi Manconi mi ha chiamato, gli ho chiesto di usare quei fondi per altro».

      A cosa sono stati destinati?

      «Qui a Riace vivono ancora tante famiglie di rifugiati, quei fondi sono stati utilizzati per dei progetti di lavoro che adesso impiegano tantissime persone anche in strutture come il frantoio, che inizialmente era stato letto come parte di un progetto criminale ed è speranza per chi è arrivato senza più avere nulla».

      Insomma, l’accoglienza a Riace non è morta.

      «Assolutamente no e questo si deve anche a tutte le persone che in questi anni non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno né a me, né a Riace. Il mio primo pensiero oggi è stato per loro, per i miei legali, l’avvocato Mazzone soprattutto, il primo a credere in me e che adesso non c’è più».

      Al ministro Salvini che in passato l’ha definita uno zero ha pensato?

      «No, ma so che è uno che guarda il calcio. E a lui che ha usato la mia condanna per criminalizzare l’accoglienza direi che i risultati si commentano a fine partita».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2023/10/12/news/lucano_finalmente_respiro_e_ora_torno_in_politica_sogno_unaltra_italia-41

    • Freispruch in Riace

      Dem für gute Flüchtlingsarbeit bekannten italienischen Bürgermeister drohten 13 Jahre Haft. Jetzt hat ihn ein Gericht in zweiter Instanz freigesprochen.

      Mimmo Lucano ist kein Schwerverbrecher. Zu diesem Schluss kam am Mittwochnachmittag das Gericht im süditalienischen Reggio Calabria, das in zweiter Instanz den früheren Bürgermeister der kleinen kalabrischen Gemeinde Riace in fast allen Anklagepunkten freisprach.

      Lucano war mit seiner Politik der ausgestreckten Hand gegenüber Mi­gran­t*in­nen weit über Italien hinaus berühmt geworden, und wurde für sein „Modell Riace“ in den Medien gefeiert und mit Preisen ausgezeichnet, unter anderem mit dem Friedenspreis der Stadt Dresden – bis er im Jahr 2021 in erster Instanz als angeblicher Chef einer kriminellen Vereinigung zu exorbitanten 13 Jahren und 2 Monaten Haft verurteilt wurde.

      Angeblich hatte er, der in den Jahren 2004 bis 2018 Bürgermeister des 1.800-Seelen-Ortes Riace war, sich der Förderung illegaler Einwanderung schuldig gemacht, zahlreiche Delikte wie Betrug, Urkundenfälschung, Unterschlagung begangen, mehr als 700.000 Euro an staatlichen Geldern beiseite geschafft.
      Alles nur Show in Riace?

      Und das Modell Riace? Alles nur Fassade, wenn man Staatsanwaltschaft und Gericht glauben darf, das 2021 in erster Ins­tanz urteilte. Diese „Fassade“ bestand darin, dass Lucano dem Verfall des Dorfkerns von Riace, dem Wegzug jüngerer Menschen etwas entgegensetzen wollte: die Ansiedlung von Migrant*innen, für die Häuser instand gesetzt wurden, und die Schaffung von Arbeit in neu eröffneten Läden und Werkstätten, in denen alteingesessene Bür­ge­r*in­nen gemeinsam mit Neuankömmlingen aus Syrien oder Äthiopien tätig waren. Ende 2017 lebten 470 Mi­gran­t*in­nen in Riace, mehr als ein Viertel der Ortsbevölkerung.

      Doch in den Augen des Innenministeriums in Rom und der Justiz war das alles nur Show. Im Jahr 2017 behauptete der damalige Präfekt von Reggio Calabria, in Riace würden systematisch die staatlichen Zuwendungen für Mi­gran­t*in­nen unterschlagen. 2018 dann erließ das Gericht von Locri Haftbefehl gegen Lucano, der in Hausarrest genommen und seines Amtes enthoben wurde.

      Der damalige Innenminister und Chef der fremdenfeindliche Lega, Matteo Salvini, nutzte diese Steilvorlage, um das Modell Riace von einem Tag auf den anderen zu liquidieren und die dort lebenden Geflüchteten wegzuschaffen.
      Weder persönliche Bereicherung noch politischer Ehrgeiz

      Lucano stand mit 23 Mitangeklagten vor Gericht, und wurde dann zu einer Haftstrafe verurteilt, die eines Mafiabosses würdig gewesen wäre. Dabei mussten auch die Staatsanwaltschaft und das damals urteilende Gericht zugeben, dass auf keinem seiner Konten auch nur ein roter Heller war und ihm keine private Bereicherung nachgewiesen werden konnte. Aber egal: Seine Gegner argumentierten, es sei ihm um „politischen Nutzen“ und den eigenen Ruhm gegangen. Lucano allerdings hatte mehrfach Angebote für Kandidaturen zum Europaparlament und zum nationalen Parlament ausgeschlagen. Viel politischer Ehrgeiz war da nicht zu sehen.

      Zu einer ganz anderen Würdigung kamen denn jetzt auch die Rich­te­r*in­nen in zweiter Instanz. Fast alle Mitangeklagten Lucanos wurden freigesprochen. Er selbst allerdings wurde wegen Urkundenfälschung in einem Verwaltungsakt von 2017 zu 18 Monaten Haft auf Bewährung verurteilt. Dennoch feierten er und seine An­hän­ge­r*in­nen das Verdikt wie einen Freispruch. Die zahlreichen Anwesenden im Gerichtssaal stimmten „Mimmo, Mimmo!“-Sprechchöre an und sangen „Bella Ciao“. Lucano selbst, der das Urteil in Riace abgewartet hatte, brach nach dem Richterspruch in Freudentränen aus. Er sieht seinen guten Ruf wiederhergestellt und erwägt eine Rückkehr in die Politik.

      https://taz.de/Ex-Buergermeister-Mimmo-Lucano/!5962687

    • Mimmo Lucano, ridotta drasticamente la condanna in appello: un urlo liberatorio!

      «La solidarietà non può essere reato»

      La sentenza di appello del processo a carico dell’ex sindaco di Riace, Domenico “Mimmo” Lucano, e dei membri della sua giunta, per un totale di 18 imputati, rovescia completamente il verdetto di primo grado.

      I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, lo hanno condannato a un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, stravolgendo la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio per le iniziative di accoglienza, cooperazione, convivenza pacifica e solidarietà costruite nei tre mandati (tra il 2004 e il 2018) da Sindaco di Riace.

      La Corte ha così assolto Lucano da tutti i reati più gravi e poi tutti gli altri 17 imputati e ha ristabilito una verità dei fatti totalmente diversa da quella, abnorme, disegnata dal primo grado.

      «Ci sarà ora qualcuno che chiederà scusa a Mimmo Lucano per la sistematica attività di diffamazione indirizzata nei suoi confronti» si chiede A Buon Diritto.

      Per il presidente, Luigi Manconi, e per tutta l’associaizone «la soddisfazione per la sentenza di appello è grande».

      «Abbiamo sostenuto fin dal primo momento l’idea di politica dell’accoglienza e dell’ospitalità promossa dalla giunta di Riace e abbiamo sostenuto gli imputati con una sottoscrizione nazionale che ha dato eccezionali risultati. Questa sentenza conferma che eravamo nel giusto quando affermavamo che la solidarietà non può essere criminalizzata», conclude l’associazione alla quale si sono aggiunti in queste ore diversi commenti di personalità e organizzazioni solidali che sono sempre state vicine all’ex Sindaco.

      Intervistato da Repubblica, Mimmo Lucano ha detto: «In pochi secondi tutti i dispiaceri, l’amarezza, i momenti più duri, quelli in cui non credevo di farcela, tutto è stato cancellato. Mi sono sentito rinascere».

      E poi: «È stata dura e lunga, ci sono stati i domiciliari, le misure cautelari che mi hanno tenuto lontano da Riace, poi la sentenza di primo grado, il fango. Adesso è come se tutto fosse sparito, in questo momento non pesa più».

      https://twitter.com/RaffaellaRoma/status/1712154008217854430

      https://www.meltingpot.org/2023/10/mimmo-lucano-ridotta-drasticamente-la-condanna-in-appello-un-urlo-libera

    • C’è un giudice a Reggio Calabria

      Mimmo Lucano, a lungo agli arresti domiciliari e condannato a tredici anni e due mesi dal tribunale di Locri, con una sentenza nella cui motivazione si leggono anche pesanti giudizi etici (un “falso innocente» che avrebbe agito con una «logica predatoria delle risorse pubbliche» per soddisfare «appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica»), ha visto oggi la Corte d’appello di Reggio Calabria assolvere i suoi coimputati (salvo uno) e ridurre drasticamente la condanna a un anno e sei mesi di reclusione.

      Da quel che si può capire dal dispositivo letto oggi in udienza, la condanna dovrebbe riguardare un episodio di abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta di rifiuti. Un reato che a detta del Ministro della giustizia andrebbe abolito perché inutile e fonte di ritardi e costi processuali (9 condanne su 5.000 processi penali).

      Ovviamente, come si suol dire in queste occasioni, aspettiamo di leggere la motivazione, che probabilmente ci riserverà ulteriori piacevoli sorprese. Ma già il dispositivo giustifica alcune valutazioni.

      L’indagine, nata da ispezioni al Comune di Riace disposte dal Prefetto di Reggio Calabria dell’epoca (successivamente nominato da Salvini capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale) e da indagini della Guardia di Finanza, non ha retto al vaglio del giudizio della Corte d’appello. La difesa di Lucano, sostenuta dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, aveva sostenuto, oltre ad alcuni plateali errori delle indagini (un’intercettazione erroneamente trascritta dalla polizia giudiziaria), l’inconsistenza del quadro probatorio dell’accusa e questa linea è stata evidentemente condivisa dalla Corte. Ma insieme all’accusa giuridica necessariamente dovrebbero essere caduti anche i giudizi morali negativi e le feroci critiche al modello di accoglienza realizzato da Lucano. Il “modello Riace” conosciuto e apprezzato nel mondo, sia nelle aule universitarie che nelle più diverse tribune mediatiche.

      E’ difficile però che quel modello, nell’attuale temperie culturale e politica, possa facilmente essere rimesso completamente in piedi. Non ostante la propria personale sofferenza per le accuse ricevute, Lucano, con l’aiuto concreto di alcune associazioni, ha continuato a praticare nel Villaggio Globale di Riace la sua idea di accoglienza. Non è certo il “modello Riace” che vedeva coinvolto l’intero paese, ma è importante che sia rimasto e rimanga in piedi il suo nucleo etico e culturale.

      https://www.articolo21.org/2023/10/ce-un-giudice-a-reggio-calabria

    • La condanna di Mimmo Lucano è stata ridotta in appello a 1 anno e 6 mesi

      In primo grado l’ex sindaco di Riace era stato condannato a oltre 13 anni per la gestione dei migranti, con una sentenza molto contestata

      Mercoledì la Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a un anno e sei mesi di reclusione per reati commessi nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti di Riace, in Calabria. Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni e 6 mesi di carcere, quasi il doppio della pena chiesta dall’accusa, con una sentenza assai contestata dato che la sua gestione dei migranti a Riace era stata raccontata in tutta Europa e nel resto del mondo come un modello di integrazione e solidarietà: il cosiddetto “modello Riace”.

      La sentenza d’appello è arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio e non si sanno ancora le motivazioni della decisione dei giudici. In primo grado, a settembre del 2021, Lucano era stato condannato per 21 reati che includevano associazione a delinquere e una serie di reati tra cui falso in atto pubblico, peculato, abuso d’ufficio e truffa. Nella sentenza di appello i giudici hanno assolto Lucano da quasi tutti i reati, dichiarato il non luogo a procedere per difetto di querela per altri e concesso la sospensione condizionale della pena.

      Lucano è stato invece condannato per falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, e comunque limitatamente a un solo atto, delle decine indicate nella sentenza di primo grado, relativo a un contributo ricevuto per l’accoglienza di alcuni migranti. La procura aveva chiesto una condanna a 10 anni e 5 mesi: insieme a Lucano erano imputate altre 17 persone, tutte assolte a parte una.

      La vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano era iniziata nel 2016, a seguito di alcune rilevazioni di varie irregolarità amministrative da parte di ispettori della prefettura locale. Due anni dopo era stata avviata un’inchiesta, l’operazione Xenia, che nel 2021 aveva portato alla condanna in primo grado da parte del tribunale di Locri. Lucano era stato invece assolto dalle accuse di concussione e immigrazione clandestina.

      In sostanza, secondo i giudici, il sistema organizzato da Lucano, descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di una serie di reati. A dicembre del 2021 erano state pubblicate le motivazioni della sentenza. Secondo i giudici Lucano li aveva compiuti per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica una volta andato in pensione. Gli avvocati di Lucano avevano ritenuto queste accuse insensate, e avevano sostenuto che Lucano avesse gestito Riace col solo scopo di realizzare un sistema ispirato a valori di accoglienza e solidarietà.

      Le critiche alla sentenza avevano riguardato anche il calcolo della pena: i giudici avevano individuato due separati disegni criminosi, ripartendo quindi in due filoni i reati di cui Lucano era accusato e quindi duplicando la pena, con più di 10 anni di reclusione per il primo e più di 2 per il secondo, raddoppiando, come detto, la pena chiesta dall’accusa.

      Lucano e i suoi avvocati avevano fatto ricorso, e a luglio del 2022 c’era stato un ulteriore sviluppo nella vicenda: la Corte d’appello di Reggio Calabria aveva deciso di riaprire l’istruttoria dibattimentale: significa che la corte aveva ammesso un’integrazione alle prove raccolte durante il processo di primo grado. L’integrazione consisteva in 50 pagine di una perizia cosiddetta “pro veritate”, realizzata da un consulente della difesa di Lucano, Antonio Milicia, perito trascrittore. Il perito aveva trascritto cinque intercettazioni. In quattro di queste c’erano differenze, che la difesa aveva definito «fondamentali», tra il testo che presentava Milicia e quello che venne presentato dal perito del processo di primo grado.

      Prossimamente verranno depositate le motivazioni della sentenza d’appello.

      https://www.ilpost.it/2023/10/11/lucano-appello-ridotta-pena

    • Italie : peine allégée pour le maire qui aidait des migrants

      Condamné en première instance à treize ans de prison pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », il a vu l’essentiel des charges portées contre lui être abandonnées.

      Par un cri de victoire et des embrassades avec ses proches, #Domenico_Lucano, dit « #Mimmo », a célébré l’arrêt de la cour d’appel de Reggio de Calabre, mercredi 11 octobre. Les juges lui ont en effet notifié qu’il n’était plus « que » condamné à dix-huit mois de prison avec sursis, en dépit des réquisitions du procureur. Ancien maire de Riace de 2004 à 2018, petite ville d’à peine 2 000 âmes perchée sur les collines calabraises, Mimmo Lucano avait été condamné en première instance, en 2021, à une lourde peine : plus de treize ans de réclusion pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », « pratiques frauduleuses » et « détournements de biens publics ». « Justice a été rendue à un homme qui a toujours travaillé dans le seul et unique intérêt du bien commun et de la défense des plus faibles », ont réagi les deux avocats de l’ancien élu, à la sortie de la cour d’appel.

      « Il s’agissait d’un #procès_politique, les charges pesant sur lui étaient excessives, souligne Gianfranco Schiavone, président du Consortium italien de solidarité (ICS), une plate-forme qui dispense de l’aide juridique aux demandeurs d’asile. Cet épisode restera comme une page sombre de la justice italienne, celle où l’on a cherché à démolir un homme et un #modèle d’accueil. » Car derrière le maire de Riace, c’est bien l’intégration des migrants qui était mise en cause.

      En 1998, Mimmo Lucano accueille pour la première fois des Kurdes échoués sur une plage voisine, et ne s’arrêtera plus de porter secours aux migrants. En vingt ans, il va faire de Riace une commune connue dans le monde entier pour son #accueil_inconditionnel. Des dizaines d’exilés, venus de Somalie, de Tunisie, d’Afghanistan, trouvent refuge dans la bourgade. Une coopérative sociale est créée, tout comme des boutiques. L’école du village rouvre et fait cohabiter petits Calabrais et migrants.

      Cible de Matteo Salvini

      Le « modèle Riace », perçu comme un modèle d’intégration vertueux par le travail permettant, aussi, d’enrayer le déclin d’une Calabre qui se vide, est vanté dans de nombreux pays. En 2016, le magazine américain Fortune classe l’édile au 40e rang des personnes les plus influentes de la planète. La même année, le pape François lui envoie une lettre dans laquelle il exprime son soutien à ses initiatives en faveur des migrants.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/italie-la-cour-d-appel-allege-la-peine-du-maire-calabrais-condamne-pour-avoi

    • Le maire calabrais Mimmo Lucano voit sa peine pour « délit de solidarité » réduite

      En 2021, il avait été condamné, en première instance, à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour délit de solidarité. Le crime de Domenico Lucano, dit Mimmo : avoir mis en place un ambitieux système d’accueil des réfugiés dans le village de Riace, en Calabre, dont il était maire.

      Sa peine a été réduite à un an de prison et 1 400 euros d’amende par la cour d’appel de Locri, en Calabre, qui a rendu son verdict ce mercredi en fin d’après midi. Les 17 autres solidaires assis à ses côtés sur le banc des accusés ont tous été acquittés, alors qu’ils avaient écopé, en première instance, de 1 à 10 ans de prison.

      « C’est une #victoire ! Je viens de l’avoir au téléphone. Il pleurait en remerciant tous ceux qui l’ont soutenu », explique Martine Mandrea, animatrice de son comité de soutien à Marseille.

      https://www.humanite.fr/monde/domenico-lucano/le-maire-calabrais-mimmo-lucano-voit-sa-peine-pour-delit-de-solidarite-redu

    • Cosa insegna la (quasi) assoluzione di Mimmo Lucano

      La quasi-assoluzione in appello di Mimmo Lucano e della sua giunta rappresenta una svolta nella battaglia culturale e politica relativa alla criminalizzazione della solidarietà. La pesante condanna ricevuta in primo grado, oltre tredici anni di carcere, superiore alle richieste della pubblica accusa, appare ora abnorme e immotivata, probabilmente viziata da teoremi pregiudiziali.

      All’ex sindaco di Riace era stata addebitata addirittura l’associazione per delinquere. Già il fatto che magistratura e forze dell’ordine in quel contesto avessero dedicato una quantità ingente di tempo e risorse a indagare sull’accoglienza dei rifugiati, distogliendole necessariamente dalla lotta alla ndrangheta, aveva qualcosa di surreale. Entrando nel merito, nel 2019 la Cassazione aveva criticato la conduzione delle indagini, affermando che poggiavano “sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale sfornito di significativi e precisi elementi”.

      La vicenda Lucano si aggiunge quindi a una serie di casi giudiziari in cui i protagonisti di iniziative di accoglienza verso profughi e migranti sono stati colpiti non solo da veementi campagne politiche e mediatiche, ma anche da accuse che li hanno costretti a difendersi e non di rado a sospendere la loro attività: basti ricordare Carola Rackete e le molte ong finite sotto processo, con le navi ispezionate e sequestrate, ma mai condannate; padre Mussie Zerai, processato perché impegnato ad aiutare i profughi eritrei suoi connazionali; gli attivisti di Baobab a Roma, che rifocillavano i profughi e li aiutavano a ripartire verso la Francia; i coniugi triestini Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che con la loro associazione Linea d’Ombra assistevano i migranti della rotta balcanica.

      Il fenomeno non è solo italiano, giacché, per restare in Europa, in Francia aveva fatto rumore il processo a Cédric Herrou, contadino-attivista che accoglieva in val Roja i profughi provenienti dall’Italia.

      Non è il caso di parlare di un complotto, e tanto meno di rivolgere agli inquirenti accuse di politicizzazione speculari a quelle provenienti, anche in questi giorni, dal fronte della chiusura dei confini. Occorre però vedere in queste ripetute inchieste giudiziarie, quasi sempre destinate al fallimento o a magri risultati, uno dei frutti più tossici di un clima culturale avvelenato: un clima in cui l’accoglienza è esposta al rischio costante di essere scambiata per un atto sovversivo, di attacco alla sovranità statuale e al controllo (selettivo) dei confini. E in cui di fatto si finisce per intimidire e scoraggiare chi si mobilita per soccorrere e aiutare.

      Se vi è un auspicio da trarre da questa vicenda, è che magistratura e forze dell’ordine siano sollecitate a indirizzare le loro energie, non infinite e quindi necessariamente guidate da scelte di priorità, a indagare ben altri luoghi di malaffare, ben altre forme di lesione della legalità, ben altre violazioni della sovranità statuale. E per quanto riguarda noi cittadini, sia lecito sognare un mondo in cui l’accoglienza non sia né di destra, né di sinistra, ma la conseguenza di un’opzione per i diritti umani affrancata da logiche di schieramento.

      https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/mimmo-lucano-assoluzione-criminalizzazione-solidarieta

    • Per Mimmo Lucano ribaltata la sentenza: crollano quasi tutte le accuse

      La Procura generale di Reggio Calabria aveva chiesto 10 anni e 5 mesi di reclusione, mentre per i giudici è rimasto in piedi solo un falso in atto pubblico per un’assegnazione di fondi a cooperative

      Crollano in appello quasi tutte le accuse contestate all’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, infatti, dopo una camera di consiglio di 7 ore, lo hanno condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi, ribaltando la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che gli aveva inflitto 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Assolti altri 16 imputati, collaboratori di Lucano, mentre l’unica altra condanna, a un anno, è per Maria Taverniti.

      Dalla lettura del dispositivo emerge che la Corte, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha condannato Lucano solo per il reato di falso in atto pubblico in relazione ad una determina del 2017 relativa all’assegnazione di fondi pubblici alle cooperative, mentre sono state prescritte altre due accuse tra le quali l’abuso d’ufficio per l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel Comune di Riace a due cooperative sociali prive dei requisiti richiesti dalla legge.

      Tutti gli atti del processo sono stati trasmessi comunque alla Corte dei Conti. Il resto cade, soprattutto l’accusa di essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas. Lucano non era presenta alla lettura della sentenza e ha atteso l’esito nel suo paese.

      Dentro e fuori dall’aula applausi e festeggiamenti per la decisione che smonta le accuse contenute prima nei durissimi rapporti della Prefettura di Reggio Calabria e poi nell’inchiesta “Xenia” della procura di Locri che nel 2018 aveva portato Lucano agli arresti domiciliari. L’inchiesta della procura di Locri e poi la sentenza di primo grado avevano accusato un modello di accoglienza diventato famoso nel mondo e iniziato nel 1998 quando con un gruppo di amici accolse alcuni curdi sbarcati a Riace, da cui il soprannome “Mimmo u’ curdu”.

      Eletto tre volte sindaco, tra il 2004 e il 2018, quando venne sospeso dopo gli arresti domiciliari. «È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto, umiliato, offeso - ha commentato Lucano -. E che mi ha reso agli occhi della gente come un delinquente. Avrò fatto anche degli errori, ma sono stato attaccato, denigrato, anche a livello politico, per distruggere il “modello Riace”, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria». Ma cosa rimane del “modello Riace”? Nulla o poco più. Non esistono più né Cas, né Sprar.

      Il Comune, a guida leghista dopo la caduta di Lucano, non ha più confermato quel sistema. Il nome di Riace però continua ad attrarre. Arrivano ancora immigrati, lo stesso Lucano aiuta a trovare case, ma è accoglienza improvvisata e non ci sono né lavoro né fondi per attività. E proprio per questo hanno chiuso quasi tutte le botteghe e i laboratori di artigianato. Molti i debiti ancora da pagare e comunque nel paese non si vede più quel turismo solidale di allora. Invece purtroppo a Riace marina è comparsa la prostituzione di donne nigeriane. Non è però finito il modello calabrese di accoglienza.

      Proprio nella Locride non sono pochi i comuni che continuano ad ospitare gli immigrati, ormai realtà consolidate, come a Camini, paese confinante con Riace. O come a Roccella Jonica, anche questo confinante, Comune record per sbarchi dalla rotta turca, e dove si accoglie senza tensione. O ancora a Gioiosa Jonica, Benestare, Caulonia, Ardore, Siderno. Tutte località che ancora ospitano Cas e Sai, pur tra non poche difficoltà. Ma senza problemi di irregolarità o bilanci in disordine. Buona accoglienza silenziosa e poco conosciuta. Senza riflettori politici, positivi o negativi. Solo accoglienza e integrazione. Tutta un’altra storia.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/per-lucano-ribaltata-la-sentenza

    • Mimmo Lucano: «Il modello Riace ha spaventato chi non guarda ai migranti con umanità»

      L’ex sindaco a Telesuonano: «Futuro? Tre possibilità, ma ne preferisco una». L’avvocato Daqua: «Grave errore giudiziario che nessuno ripagherà»

      https://www.youtube.com/watch?v=sw2suusH4H8

      «Il mio sogno? È nato un po’ per caso e ho cercato di realizzarlo in maniera inconsapevole. Mi sono interessato di accoglienza, di solidarietà dopo uno sbarco. Ma è vero, man mano che passavano gli anni, ho immaginato in maniera concreta di riscattare la mia terra, la Calabria. Nonostante i luoghi della precarietà, spesso anche dell’abbandono, del silenzio, dell’omertà, abbiamo trasmesso un messaggio al mondo: che almeno siamo grandi per essere vicini a chi subisce le decisioni di guerra, chi subisce scelte di politiche che hanno depredato i territori del cosiddetto terzo e quarto mondo, abbiamo fatto capire che è possibile costruire alternative umane utilizzando i nostri spazi, i nostri luoghi che sono dei luoghi abbandonati. E non c’è voluto nulla, il modello Riace non è altro che l’utilizzo di case in cui prima abitavano i nostri emigranti che per ragione di lavoro hanno cercato altrove possibilità di un sogno per la loro vita». Ha esordito così, con queste parole semplici ma potenti, Mimmo Lucano, ospite nell’ultima puntata di Telesuonano, il format condotto da Danilo Monteleone in onda su L’altro Corriere tv (canale 75). L’ex sindaco di Riace, da poco reduce dalla sentenza di appello “Xenia” che ha fatto cadere quasi tutte le accuse a suo carico (dai 13 e due mesi inflitti a Lucano in primo grado, si è passati a un anno e sei mesi – con pena sospesa – per una «residua ipotesi di falso su una determina»), ha ripercorso il suo viaggio giudiziario, partendo dall’inizio dell’operazione che lo ha coinvolto.
      Dopo la sentenza

      «Quella mattina è stato l’epilogo di qualcosa di strano. Negli ultimi anni della terza legislatura, che corrispondono al 2015-2016, avevo percepito un atteggiamento ostile soprattutto dalla prefettura di Reggio Calabria, e anche a livello centrale con tentativi così ingiustificati di contrastare quello che invece nel piccolo era stata una soluzione per un problema globale come quello della migrazione. Devo dire che il primo ad avere raccontato al mondo che in Calabria esiste un luogo in cui addirittura l’immigrazione, l’arrivo delle persone, non è solo un problema, ma risolve i problemi delle comunità locali, è stato il regista Wim Wenders. Ha detto “questo è un messaggio per il mondo, è un messaggio globale, è stato fatto a livello locale però va molto al di là di questa prospettiva”. E poi quella mattina, quell’epilogo è stata la fine di una favola, è stato di nuovo scendere nella realtà ed è cambiato tutto. Ricordo le persone che mi sono state vicine in maniera molto lucida. Ancora vivo quei momenti, quelle sensazioni, quel bussare alla porta nelle prime ore del mattino, e poi ho visto l’avvocato Antonio Mazzone, Andrea Daqua che per me non sono stati solo avvocati. Hanno lottato insieme a me per un ideale di giustizia, di rispetto, della dignità, della democrazia della nostra terra. Aspettavo questo riscatto, la mia realtà stava vivendo un paradosso. Monsignor Bregantini è venuto a fare il testimone, partendo con il treno da Campobasso e ha detto: “Attenzione, questa non è una storia criminale, è una storia profetica che indica al mondo un’altra soluzione”». Dopo la sentenza di primo grado c’è stato però qualcosa che è riuscito a dare speranza a Lucano. «È durata solo un giorno quella sensazione di sconforto, perché il giorno dopo, eravamo all’inizio di ottobre, perché la sentenza è arrivata il 30 settembre 2021, ho ricevuto una telefonata che mi ha cambiato completamente lo stato d’animo. Non lo so perché, ho avvertito che c’era quasi un raggio di luce in una storia con tante ombre. Luigi Manconi (sociologo ed ex senatore, ndr), mi chiama e mi dice che c’è un’indignazione generale per quella condanna che è una condanna che non è solo verso una persona, ma verso gli ideali che appartengono alla collettività e soprattutto appartengono anche alla dimensione dei nostri luoghi, della nostra terra. Io l’ho sempre vista sotto questo aspetto, io sono stato il tramite, però quello che volevamo contrastare è quel messaggio che dice attenzione, la soluzione umana prevale su quella disumana. La soluzione disumana non porta a nulla, porta solo a guerre, a odi, a razzismi, a commercio di armi. Manconi in quella circostanza si è fatto promotore di una raccolta fondi che era finalizzata al pagamento della mia multa, perché oltre agli anni di reclusione dovevo pagare anche una sanzione pecuniaria. Io mi sono rifiutato, perché non riconoscevo quella giustizia. Ho detto “questi fondi utilizziamoli per riavviare l’accoglienza” e così è stato. Il villaggio globale ha riaperto l’asilo, ha riaperto la mensa sociale, ha riaperto la scuola, il dopo scuola, la scuola per gli adulti, abbiamo riaperto la fattoria sociale che prima addirittura era stata considerata il luogo del reato penale per quanto riguarda il peculato».

      A chi ha dato fastidio Riace?

      «A chi ha dato fastidio Riace? Qualcuno – ha affermato Lucano – ha voluto sintetizzare dicendo così: “noi siamo Riace, loro sono Cutro”. Ecco, ancora oggi si scelgono i percorsi di deportazione per la soluzione dei migranti, di persone che, non dobbiamo mai dimenticarlo, sono vittime delle politiche dei Paesi occidentali e siamo noi che abbiamo imposto regimi, guerre, vendita di armi, abbiamo depredato quei territori, le persone che arrivano non è vero che arrivano per fare un viaggio perché sono migranti economici». Sul primo percorso ispettivo su Riace del governo, che in quella fase era di centrosinistra, Lucano evidenzia come in quel periodo si diceva che appoggiare Riace significava perdere consensi. «Perché, paradossalmente, i consensi li ha chi propone misure di ordine, di disciplina, di chiusura delle frontiere, di chiusura dei porti. Riace non è stato tutto questo, semplicemente ha proposto una soluzione partendo dai luoghi. Ancora oggi io dico, che rispetto alle deportazioni in Albania (Lucano si riferisce all’accordo Italia-Albania, ndr) la soluzione ideale sarebbe quella di riaccendere i paesi abbandonati della Calabria». «Ci sono tanti disoccupati nei nostri paesi – ha proseguito l’ex sindaco –. Addirittura quando io facevo il sindaco non c’era nemmeno il reddito di cittadinanza. C’è una realtà locale di autoctoni che vive condizioni di difficoltà e qual è la soluzione? Quella di andare via, andando via si desertificano i territori che rimangono dei luoghi dove c’è solo il silenzio. L’arrivo delle persone è stato vissuto con la consapevolezza che invece poteva esserci una rigenerazione dei luoghi, qualcuno l’ha definita un’accoglienza dolce che occupa gli spazi che non sono di nessuno. Se tutte le realtà disabitate, soprattutto le aree interne, le aree fragili calabresi, dessero la disponibilità di numeri piccoli, allora non si parlerebbe più di invasione, ma di una straordinaria opportunità. Una cosa che si sarebbe potuta fare in Calabria? Penso alla legge 18 del 2009 che prendeva spunto da questa economia sociale e solidale che in atto a Riace, poteva essere l’occasione per attuare delle politiche in cui l’Europa sarebbe dovuta stare attenta ad avviare dei processi legati al recupero delle aree abbandonate nelle campagne, per una nuova riforma agraria, per attività sulla zootecnica, su quelle che sono le risorse e le vocazioni dei territori».

      Cosa resta oggi del modello Riace?


      «Oggi a Riace non c’è la scuola – ha ricordato Lucano – non c’è l’asilo, c’è di nuovo quell’atmosfera di oblio sociale che prelude poi all’abbandono. Quando le comunità diventano questo, di fronte agli occhi ti appare solo un deserto, paesi fantasmi. Ecco, il mio impegno di questi anni è andato in questa direzione. Poi è arrivata la storia giudiziaria, il voler dire che non c’è altra soluzione se non quella di chiudere le frontiere, chiudere gli spazi, di considerare l’immigrazione solo come un problema, solo come un’invasione, solo come qualcosa che produce la paura, che giustifica misure di sicurezza. Riace è stato il paese pioniere di una nuova visione che ribalta totalmente il paradigma dell’invasione. E secondo me è qui che bisogna cercare il movente giudiziario che mi ha portato ad essere indagato. Credo che il neoliberismo a livello mondiale non gradisca il senso dell’umanità».
      Il futuro di Mimmo Lucano

      Ma c’è davanti a Mimmo Lucano un ritorno all’impegno politico diretto? «Quello che ho davanti – ha detto ancora l’ex sindaco di Riace – è qualcosa che non riguarda solo me, in tanti hanno sostenuto Riace come un’idea in cui si è ritrovata tutta l’Europa. Io sono stato tante volte in Germania, in Francia, in Spagna. Riace non è qualcosa che riguarda solo me, quello che dovrò fare, ma certamente è un messaggio politico. Io non so quello che farò, ma credo dipenderà dal contributo che potrò dare alla collettività ed è una decisione che prenderò insieme alle tante persone che hanno condiviso il mio percorso di sofferenza. Esistono tre possibilità per dedicarsi all’impegno politico e sociale: la prima è fare il sindaco, l’altra è impegnarsi per la Regione, per la nazione e per l’Europa, e poi c’è la militanza, che non prevede ruoli. È quella che mi affascina di più».

      Dopo Mimmo Lucano, nella seconda parte di Telesuonano, è toccato all’avvocato Andrea Daqua ripercorrere in maniera più approfondita la vicenda processionale dell’ex primo cittadino di Riace. «Cosa ho pensato quando ho sentito pronunciare la condanna a 13 anni e due mesi? Con il collega Giuliano Pisapia (ex sindaco di Milano che nel frattempo era diventato difensore di Lucano dopo la morte del professore Antonio Mazzone che aveva seguito dall’inizio la vicenda, ndr), abbiamo immediatamente qualificato quel dispositivo come aberrante, ma non in riferimento soltanto alla quantità smisurata, sproporzionata della pena, ma perché noi che avevamo seguito il processo, avevamo subito intuito che c’era un contrasto evidente tra quel dispositivo e il dato che era invece emerso dall’istruttoria. Poi questa nostra convinzione si è rafforzata quando abbiamo letto la motivazione che era più aberrante del dispositivo e, soprattutto, quando abbiamo ascoltato fonti autorevolissime del diritto italiano, giuristi di primo livello che erano completamente sganciati dal processo e non conoscevano nemmeno Lucano, che hanno spiegato perché quella sentenza era aberrante». Così Andrea Daqua che ha sottolineato come anche nel caso di Lucano, «le cause scatenanti o determinanti di un determinato processo possono essere molteplici, ma noi abbiamo il dovere di attenerci al dato documentale, al dato processuale e sulla base di questo abbiamo dimostrato che Lucano è stato vittima di un gravissimo errore giudiziario. Poi su come sia nato questo errore giudiziario o sulle motivazioni qua potremmo parlare interi giorni». Un errore giudiziario che, come spesso capita, travolge una persona, i suoi familiari e, nel caso di Lucano, una esperienza. Chi ripagherà questo danno? «Nessuno – ha dichiarato Daqua –, l’unico modo secondo il mio modesto parere per dare un senso a questo danno irreparabile che ha subito una persona perbene come Lucano, è quello di leggere le carte, di leggere il processo, di capire il perché di tante anomalie e studiare i rimedi possibili affinché ciò non accada più, perché quello che è successo a Lucano domani potrebbe succedere a chiunque. Allora qui è necessario che gli addetti ai lavori riflettano su questo procedimento e capiscano come anche alcuni strumenti processuali andrebbero rivisti».

      Il ricordo dell’avvocato Antonio Mazzone

      «La fortuna di Mimmo (Lucano, ndr) – ha detto ancora l’avvocato Daqua – è che è stato seguito all’inizio dal professore Mazzone, scomparso da tre anni. Io appena mi sono laureato sono entrato nello studio del professore Mazzone e non ne sono mai uscito, anche se poi ho aperto il mio studio. Però continuare a collaborare con lui, è stata veramente una fortuna perché dove arrivava lui nessuno di noi era in grado di arrivare. Appena Lucano mi ha fatto vedere la prima relazione prefettizia, che era uno dei supporti investigativi su cui si è appoggiato poi il costrutto accusatorio, io, convinto della bontà del suo modello, della sua onestà, gli ho detto: “sindaco io la aiuto, ma qui c’è qualcosa che va oltre. Noi dobbiamo parlare con il prof. Mazzone”. Cosa che da lì a qualche giorno abbiamo fatto e da quel momento in poi tutta la prima parte l’abbiamo seguita insieme. Mazzone è stato convinto dal primo minuto dell’onestà di Lucano e aveva ragione». Ma cosa avrebbe detto Mazzone dopo aver ascoltato le due sentenze? «Nel primo grado – ha risposto sorridendo Daqua – è meglio che io non lo dica. Nel secondo grado, avrebbe detto che giustizia è stata fatta. E’ chiaro che in questo processo il merito è del professore, perché quando lui è venuto a mancare noi eravamo già in una fase istruttoriale avanzata. Poi è intervenuto il collega Pisapia, che ringrazio per il modo con cui lui si è messo a disposizione».

      La precisazione sulla sentenza in Appello

      Sull’ultima sentenza in Appello, Daqua ci ha tenuto a fare una precisazione. «Sento spesso dire che è stata ridotta la condanna – ha affermato il legale – non è proprio così, Lucano è stato assolto per tutti i reati. Per un reato, che è una ipotesi di falso relativa a una determina, c’è stata la condanna. E anche su questa noi siamo assolutamente rispettosi della decisione della Corte, aspetteremo l’esito della motivazione, perché secondo noi anche quella determina è lecita, però chiaramente aspetteremo la valutazione della corte e poi valuteremo. Comunque, nel complesso, possiamo dire che il castello accusatorio si è sbriciolato, sono caduti tutti i reati che erano gravi come il peculato, l’associazione a delinquere e la truffa. Abbiamo dimostrato che diverse intercettazioni erano assolutamente non rispondenti al contenuto della effettiva dichiarazione». «Le intercettazioni – ha continuato Daqua – costituiscono sicuramente uno strumento processuale, ma va assolutamente rivisto in una prospettiva di rispetto verso il principio costituzionale di presunzione di innocenza».

      https://www.youtube.com/watch?v=NzLgnpZvtTk&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.corrieredellaca

      https://www.corrieredellacalabria.it/2023/11/16/mimmo-lucano-il-modello-riace-ha-spaventato-chi-non-guarda-ai-

    • Riace resiste e chiede giustizia per Lucano

      Battuta dal vento Riace aspetta sulla collina. Un piccolo borgo immerso nella Locride calabrese che ha conquistato l’attenzione del mondo intero per ben due volte negli ultimi cinquant’anni, a vederlo oggi sembra davvero che dorma impassibile di fronte alla storia e in attesa di un destino già scritto. Come tanti altri borghi su queste stesse colline, come potrebbe dirsi di tanti altri luoghi delle cosiddette aree interne, Riace sa che in questo modello di sviluppo non ha futuro. Lo avrà forse la Marina del paese, che ambisce a trovare il suo posto almeno per qualche mese l’anno nell’industria del turismo. Qualche anziano nei bar, poche luci accese nel paese. Rimangono aperte le botteghe di un altro mondo possibile, il vasaio di Kabul, le sarte, gli artisti, e attendono, anche se non ci sono passeggiatori pronti a entrare. Un sonno inquieto dove non c’è pace e rassegnazione mista a rabbia si contendono il campo. Il 20 settembre Domenico Lucano, detto Mimmo, detto Mimì Capatosta, tornerà sul banco degli imputati per essere nuovamente giudicato sulla sua condotta da sindaco prima che una piccola restaurazione tornasse a conquistare questo piccolo borgo che ha tentato la rivoluzione. In questa estate torrida un mese di eventi e incontri ha animato il Villaggio globale di Riace sfidando il senso di sconfitta e la ragionevolezza. Un appuntamento per rinsaldare alleanze e rilanciare.

      (#paywall)
      https://left.it/2023/09/07/riace-resiste-e-chiede-giustizia-per-lucano-left

    • Scandale – Procès politique : Mimmo Lucano, jugé pour avoir accueilli des migrants

      Migrants. Au moment où Lampedusa reflète à la fois le durcissement de la politique migratoire de l’Europe et l’urgence de construire des réponses aux guerres, aux dictatures, à l’exploitation capitaliste, au dérèglement climatique qui conduisent à l’exode, qu’est-ce qui peut bien valoir 13 ans de prison aujourd’hui en Italie ? L’hospitalité, ce serait le crime de Domenico Mimmo Lucano, ex-maire de Riace en Calabre. Déjà condamné à 13 ans de prison en septembre 2021 en première instance, son procès en appel se tient ce 20 septembre. Notre article.
      Que reproche-t-on à Mimmo Lucano ?

      En 1998, 200 réfugiés kurdes échouent sur les plages de Riace. Le village, sous l’impulsion du prêtre et de Mimmo Lucano, installe les migrants dans les maisons du village abandonnées du fait de l’exode intérieur calabrais vers le nord de l’Italie ou vers l’Allemagne, voire l’Amérique. Avec l’emprunt contracté auprès d’une banque éthique et l’accord des propriétaires, les maisons du centre-ville sont rénovées. Mimmo Lucano s’engage dans les municipales autour des valeurs d’hospitalité, consubstantielles selon lui de la Calabre, en désignant les réfugiés non pas comme un problème, mais comme la solution à la désertification et à l’appauvrissement de son village. Et ça marche.

      De fait, l’école rouvre ainsi que les petits commerces, des coopératives et des entreprises artisanales, avec la mobilisation citoyenne et l’engagement de l’équipe municipale. Un exemple : le village dans sa partie haute est escarpé et les rues étroites. Le marché du ramassage des ordures ménagères a été attribué à une coopérative de carrioles conduites par des ânes, là où les appels d’offres conduisaient à l’allouer à des entreprises liées à la N’dranghetta, la mafia calabraise, pour une tâche non effectuée. Mimmo est réélu deux fois.

      Il devient regardé dans le monde, cité en exemple par de nombreuses ONGs et par l’ONU, désigné meilleur maire de la planète par ses pairs, de nombreux articles, reportages, films dont un signé par Wim Wenders relatent cette « utopie réalisée ».
      Riace : une zone à mettre en quarantaine pour l’extrême droite italienne

      Dès 2016, les aides économiques du Centre d’accueil extraordinaire sont coupées. En 2018, avec l’arrivée au ministère de l’Intérieur de Matteo Salvini en Italie, les aides du Système de protection pour demandeurs d’asile et réfugiés sont suspendues. Le ministre de l’Intérieur d’extrême droite, venant du parti la Ligue du Nord, le désigne comme un ennemi à abattre. Le 1er octobre 2018, il est arrêté.

      Une décision de justice le bannit de Riace. Le 5 septembre 2019, après 11 mois d’interdiction de séjour dans sa commune, l’ancien maire obtient la révocation de cette décision de justice contre l’avis du procureur, et retourne vivre dans son village après des municipales ayant donné la victoire à la Ligue du Nord. Son procès s’ouvre et en septembre 2021, il est condamné à 13 ans de prison et 500 000 euros d’amendes. Son crime ? Avoir considéré les migrants comme des frères et sœurs en humanité.

      Mimo dit souvent que c’est la réussite et la diffusion de l’exemple de Riace qui a mis le village dans la ligne de mire de la mafia calabraise puis des différents pouvoirs italiens et des néo-fascistes. Au-delà même du point de vue sur la politique migratoire, cette propagation mettait en cause un modèle de pouvoir politique et aussi économique, c’est-à-dire considérer les réfugiés sans-papiers comme de la main d’œuvre bon marché et corvéable pour ramasser les olives.
      L’Italie sous Meloni : la chasse aux migrants

      En Italie, sous Salvini puis Meloni, l’hospitalité est donc punie sous les motifs d’inculpation d’ « escroquerie », « détournement de fonds », » abus de pouvoir », « faux en écriture » et « association de malfaiteurs ». Comme un air des Soulèvements de la Terre qui plaine dans les plaines de Calabre. Autant de supposés délits et infractions attribués au maire, commis dans l’organisation de l’accueil et l’intégration de migrants dans son village de Riace.

      Mimmo Lucano a été condamné en première instance pour avoir favorisé l’immigration illégale et pour détournement de fonds. Il a été aussi condamné pour avoir conclu un contrat avec la coopérative de ramassage des ordures ménagères contre les entreprises mafieuses, décrété la gratuité pour tous – de la demande de certificats municipaux de toutes natures – et la prise en charge municipale du versement de 5 euros à la préfecture. On pourrait ainsi égrener les mille pages du délibéré.

      Le tribunal de Locri, ville siège de la N’dranghetta, reproche au maire d’avoir utilisé les fonds quotidiennement attribués à l’accueil des migrants pour des projets d’intégration à long terme. Plus simple pour le pouvoir italien de financer avec cet argent, des entreprises privées qui bricolent des prisons à migrants. L’ancien maire est aussi condamné pour ne pas avoir respecté les procédures d’attribution des marchés municipaux en favorisant les coopératives locales de migrants et d’habitants de Riace.

      La rumeur parcourt la ville et le tribunal d’une infamante accusation d’association de malfaiteurs. Et d’enrichissement personnel. Un théorème accusatoire auquel manque la pièce maîtresse : l’accusation a été incapable non seulement de démontrer, mais même de repérer quelque forme d’enrichissement personnel ou d’accumulation de patrimoine.

      Au bout de ces deux mandats comme maire à la Mairie de Riace, Mimmo Lucano est resté le même homme, aux revenus modestes et sans patrimoine personnel, qu’il était avant son élection. Et si aucune trace d’enrichissement personnel n’apparaît, la réussite du modèle d’accueil et d’intégration des migrants dans le village de Riace est bien une réalité établie sous les yeux de tous et saluée dans le monde entier. En effet, Mimmo Lucano n’a fait que « tordre » les règles de la bureaucratie pour réussir avec peu un pari contraire au dogme libéral et que d’autres définissent comme utopique.
      Face à l’infâmie, la solidarité s’organise

      Mimmo a plusieurs fois répété que l’exemple est venu de France.

      Le 17 novembre 2021, à l’initiative de deux collectifs citoyens, un meeting de solidarité réunissant 700 personnes se tenait à la Bourse du travail de Paris en présence notamment de Danièle Obono, députée insoumise. Plusieurs villes et villages dont Grabels, Marseille… faisaient du maire de Riace leur citoyen d’honneur.

      Le 21 mars 2022, Jean-Luc Mélenchon signait une lettre adressée au premier ministre Italien Draghi et au président Mattarella dans une coalition de personnalités mondiales dont Ada Colau, maire de Barcelone, Noam Chomsky, linguiste américain, Malin Bjork eurodéputée suédoise, Jeremy Corbyn, député anglais, Yara Hawari, écrivaine palestinienne, Oezlem Demirel députée européenne allemande, Carola Rackete, capitaine de navire en Méditerranée…

      Avec une simple demande : « Abandonnez toutes les charges contre Mimmo Lucano ». Un livre réunissant les contributions inédites de 40 auteurs et 20 graphistes – Terre d’humanité/un chœur pour Mimmo ed Manifestes ! – et le film Un paese di Calabria de Shu Aiello et Catherine Catella servaient d’activeurs à des dizaines de réunions dans des associations, des théâtres, cinémas et librairies.

      Dans un silence médiatique assourdissant.
      Ce 20 septembre, un procès hautement politique

      Aujourd’hui, Mimmo Lucano affronte son procès en appel. Les réquisitions du procureur intervenues en octobre 2022 sont de 10 ans et 5 mois d’emprisonnement. La possibilité de la condamnation de Mimmo est réelle, après l’expérience hospitalière de Riace saluée dans le monde entier, du Haut-commissariat aux réfugiés de l’ONU au Pape. Il serait ainsi « le premier prisonnier politique du gouvernement Meloni-Salvini ». Cela ne peut nous laisser indifférent.

      Mimmo ne se rendra pas à son procès. Autour de quelques amis et soutiens, il tient à profiter encore de sa terre, son village pour ce qui pourrait être ses derniers moments non d’homme libre mais de liberté de mouvement. Il assume la totalité de ses actes et déclare « J’assume d’être sorti de la légalité, mais la légalité et la justice sont deux choses différentes. La légalité est l’instrument du pouvoir et le pouvoir peut être injuste. »

      Il continue la bataille de Riace. Après une interdiction, le moulin à huile d’olive « free N’dranghetta » a été remis en circuit ainsi que des parcelles agricoles. L’association Citta futura réfléchit à comment reprendre le contrôle des maisons, certains propriétaires reprenant la jouissance de leurs biens abandonnés mais restaurés grâce à l’argent public et aux dons, avec l’accord du nouveau maire de la Ligue du nord, pour les louer via AIRbnB. La côte napolitaine étant saturée, les bétonneurs, spéculateurs et autres mafieux visent la Calabre.

      Pendant que des politiques français, de Darmanin à Le Pen pérorent en Italie et y prônent la chasse aux réfugiés comme ils font la chasse aux pauvres en France, de nombreux militants tentent de donner de la visibilité à ce procès. Très vite, on parlera de lui de nouveau à l’occasion de la publication du verdict fin septembre, soit pour fêter sa liberté et reprendre le cours de l’expérience de Riace, soit pour continuer le combat pour Mimmo. Pour un autre monde, fondé sur l’hospitalité et la fraternité.

      Laurent Klajnbaum
      Mise à jour de la rédaction du 20 septembre 2023, 14h07 : à la demande du procureur, la dernière audience du procès de Mimmo a été reportée au 11 octobre.

      https://linsoumission.fr/2023/09/20/scandale-mimmo-migrants

    • Processano Riace, vogliono altre carceri per innocenti

      Processano Riace e Mimmo Lucano, criminalizzano la buona accoglienza e la solidarietà. E puntano tutto su respingimenti, “guerra ai trafficanti” e nuovi e altri centri di detenzione. Il fatto è che il business non è l’accoglienza, come si affanna a strombazzare la destra peggiore. Il business sono i rimpatri e la detenzione.

      di Tiziana Barillà

      Sì, Italia e Unione Europea investono fior di miliardi per spostare oltre le frontiere la loro ferocia, con accordi consolidati come quelli con Libia e Turchia, e nuovi come quello con la Tunisia. Ma i lager e le carceri per innocenti non sono un’esclusiva della Libia, della Turchia o dei paesi terzi a cui appaltiamo la barbarie.

      Le prigioni per innocenti ci sono anche in Italia, e adesso vogliono farne altre 12.

      Torino, Milano, Bari, Brindisi, Macomer, Gradisca d’Isonzo, Roma, Caltanissetta, Palazzo San Gervasio e Trapani. In Italia ci sono 10 Centri di Permanenza per il Rimpatrio: carceri per innocenti dove – attraverso la misura di detenzione amministrativa – vengono trattenute centinaia di persone che hanno l’unica colpa di essere arrivati qui in cerca di un rifugio.

      Non hanno commesso nessun reato – se non quello di attraversare i confini senza documenti – ma vengono privati della libertà e rinchiusi in vere e proprie prigioni, in attesa di essere rimpatriati nei loro Paesi di origine.

      Centri gestiti da privati che sono un vero e proprio fulcro di affari per le multinazionali che gestiscono la detenzione dei migranti: quasi sempre multinazionali che si occupano di carceri.

      Eh sì, è questo il business. A farsi carico della loro gestione non è lo Stato ma cooperative o multinazionali, che hanno trovato nella detenzione amministrativa un business niente male: 44 milioni di euro nel triennio 2018-2021 per gestire circa 400 detenuti, le strutture e il personale di sorveglianza.

      E nel triennio 2021-2023 sono previsti 56 milioni di euro.

      Queste prigioni per innocenti – oltre a essere inaccettabili – non rispettano nemmeno gli standard minimi europei del comitato per la prevenzione della tortura.

      Stanze sovraffollate in condivisione con le blatte, finestre senza vetri, materassi ammuffiti, bagni senza porte

      Niente psicologo, niente mediatori, niente personale sanitario

      I governi, italiano ed europeo, consentono e alimentano il profitto sulla pelle di detenuti innocenti, sacrificano centinaia di vite umane sull’altare del capitalismo criminale e questo mentre chiudono e rendono impossibile la vita ai progetti di buona accoglienza e criminalizzano il suo simbolo, la Riace di Mimmo Lucano

      L’alternativa a questo schifo la conosciamo già: è il modello Riace. Quello infamato e assediato con ogni mezzo: mediatico, politico, giudiziario. Quello che da due anni toglie il sonno a Mimmo Lucano, in attesa di una sentenza che tarda ad arrivare.

      ps. l’udienza per conoscere la sentenza di appello nel processo Xenia – che vede coinvolti Lucano e altri 17 imputati – è stata fissata per l’11 ottobre 2023, alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

      https://www.osservatoriorepressione.info/processano-riace-vogliono-carceri-innocenti

    • Che cosa succede al processo contro Mimmo Lucano? Al processo d’appello, la parola alla difesa

      Salvo sorprese, questo dovrebbe essere il mio ultimo report dalle udienze del processo su Riace e Lucano in corso presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Il 20 settembre si è tenuta l’ultima udienza, dedicata alla difesa dell’ex-sindaco di Riace: gli avvocati difensori, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, che da anni lo difendono a titolo gratuito, hanno illustrato le loro valutazioni critiche della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Locri ormai quasi due anni fa. Al prossimo appuntamento, fissato per l’11 ottobre, si aprirà la Camera di Consiglio per definire la sentenza di secondo grado.

      Con le parole dei difensori di Lucano è riapparso come per incanto il dibattimento. Quel dibattimento che la sentenza di Locri aveva ignorato, tutta schiacciata com’era sulle argomentazioni dell’accusa, al punto da non tener in nessun conto le vicissitudini che avevano subìto nel corso della discussione processuale. La logica della prova, della sua debolezza o della sua mancanza, vibrava di nuovo nell’aria, dopo che quella sentenza l’aveva relegata a indizio, supposizione, pre-giudizio, se non addirittura a gratuiti voli pindarici su intenzioni passate e future.

      Giuliano Pisapia ha voluto mettere a fuoco la figura di Lucano, perché in un processo penale, ha detto, l’elemento soggettivo è fondamentale: vi si giudica una persona, non solo degli atti. E lo ha fatto partendo dalla lettura di una sua lettera ai giudici. “Come tutti gli esseri umani posso aver commesso degli errori, ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture”. Lucano racconta di aver vissuto anni di grande amarezza non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta su di lui e sull’esperienza di Riace. Per questo ha continuato a dedicarsi, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio Globale di Riace che continua a ospitare persone con fragilità. “Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere!”.

      Ecco, dice Pisapia, “io non parlo di un santo. Mi interessa chi è colui che oggi è imputato e al momento ha una sentenza con una condanna esorbitante”. La sentenza di primo grado ha volutamente disconosciuto i valori che hanno ispirato tutta la sua azione pubblica e il carattere ideale di questa sua missione. A questo servono i giudizi morali, le derisioni, i veri e propri insulti che infarciscono la sentenza e che hanno scandalizzato tanti giuristi che vi hanno visto la negazione dell’imparzialità del giudice. Eppure costituiscono un pezzo importante della sentenza: la denigrazione di Lucano fa parte di una strategia di sospetto nei confronti di chiunque agisca in nome di valori, osserva Luigi Ferrajoli, perché dietro non può che esserci un secondo fine, una ricerca di vantaggi personali. Così anche per Lucano si è sostenuto che inseguisse un vantaggio economico. Dalla lettura degli atti processuali, però, risulta che non aveva un soldo sul proprio conto corrente, che ha messo tutto a disposizione degli altri, perfino i premi che ha ricevuto, che vive in condizioni di povertà. “Falcone diceva di seguire i soldi. Vi prego, seguite i soldi di Lucano, non li troverete”.

      Allora, di fronte all’impossibilità di provare il vantaggio economico, si è preteso che Lucano abbia agito per vantaggi politici, per creare un sistema clientelare che gli garantisse una lunga carriera politica. Ma come si fa a dire che ha fatto quello che ha fatto per motivi politici se, come tutti sanno, ha ostinatamente rifiutato di candidarsi per un posto praticamente assicurato al Parlamento Europeo? “Questo dovrebbe già chiudere il processo”, osserva Pisapia, perché manca il dolo e manca la consapevolezza e la volontà di perseguire un vantaggio personale – due fattori essenziali per stabilire un reato penale.

      Lucano è una persona che ha sempre avuto come priorità il bene altrui. Come aveva detto Monsignor Bregantini al Tribunale di Locri, è qualcuno che ha anticipato lo spirito dell’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. Certo, anche chi agisce a fin di bene può arrivare a violare norme, ma questo comporta dei rilievi che vanno chiariti, non rinnega certo la finalità virtuosa dell’azione. Se il sistema di accoglienza a Riace era cresciuto in modo esponenziale, vuol dire che Riace si era messa a disposizione di istituzioni in difficoltà nell’affrontare un problema nazionale. Negare il valore di questo contributo, trasformare l’accoglienza a Riace in un’azione criminale di accaparramento, insinuare che la povertà di Lucano sia un’astuta menzogna, sono modalità proprie di quello che Ferrajoli ha indicato come il processo offensivo, dove il giudice si considera nemico del reo, non cerca prove certe, ma solo conferme di una colpevolezza presunta.

      Dopodiché Pisapia è entrato brevemente nella discussione di alcuni capi d’imputazione, in particolare quelli che riguardano i cosiddetti “lungo permanenti”, le verifiche su rendicontazioni e documentazione da parte delle associazioni, una carta d’identità considerata falsa. Su nessuno di questi capi d’imputazione, ha detto, il dibattimento ha provato in modo certo la responsabilità di Lucano; per questo ne ha chiesto l’assoluzione.

      Si è rivolto direttamente ai giudici: “La vostra sentenza sarà importante perché, specialmente in questo periodo in cui la situazione dei migranti è particolarmente difficile e complicata, avere tante Riace aiuterebbe a risolvere tanti problemi e a evitare situazioni drammatiche che un Paese come il nostro non dovrebbe guardare da lontano, ma dovrebbe essere capace di affrontare”. E ha concluso con una chiosa, evidentemente riferita alla sua esperienza di avvocato e di politico. “Quando la politica entra nelle aule di giustizia, la giustizia scappa inorridita dalla finestra. Per me è qualcosa di insuperabile: un conto è la giustizia e un conto è la politica. Devono avere ognuno i propri ruoli e non devono entrare nei ruoli altrui”.

      A questo punto ha preso la parola l’avvocato Andrea Daqua, per esaminare nel dettaglio i capi d’imputazione su cui la sentenza di primo grado ha costruito la condanna di Lucano a più di tredici anni di reclusione. Per mostrarne debolezze e contraddizioni, è ripartito dalle anomalie delle relazioni su Riace: dalla prima relazione prefettizia fortemente negativa, finita in mano a Il Giornale ancor prima di arrivare al sindaco; alla seconda relazione della Prefettura, sollecitata dallo stesso Lucano, che esprimeva un giudizio positivo dell’accoglienza, che però il Prefetto secretò per circa un anno. Fino all’ispezione congiunta di Prefettura e Sprar, affidata a Sergio Troilo e Enza Papa, con l’obiettivo di svalutare Riace e che portò all’improvvisa chiusura dello Sprar. Il ricorso di Lucano contro quella misura fu accolto, fino alla conferma definitiva da parte del Consiglio di Stato, che definì Riace un “modello encomiabile” e stabilì che lo Sprar doveva essere riaperto. Intanto però era stato chiuso.

      Daqua descrive la sentenza di primo grado come il punto di arrivo di un’indagine unidirezionale che, invece di accertare i fatti, ha eliminato ogni elemento in contrasto con l’impianto accusatorio precostituito da quelle ispezioni. Ne è prova quell’intercettazione a discarico che il tribunale di Locri si era rifiutato di prendere in considerazione e che i giudici d’appello hanno ammesso riaprendo l’istruttoria. In quell’intercettazione, l’ispettore Del Giglio rivelava a Lucano che “lo Stato non vuole il racconto della realtà di Riace [perché] l’obiettivo integrazione è soltanto una parola buttata là” e confessava di ritenere personalmente che “Riace, al di là delle disfunzioni eventuali o delle anomalie amministrative, quindi della burocrazia, abbia realizzato una realtà evidentemente ancora unica sul territorio nazionale. Dovete difenderla”.

      Così, il Tribunale di Locri si è appiattito sull’accusa, ha stravolto i fatti, ignorato la documentazione prodotta dalla difesa e i contributi dei suoi consulenti, travisato il contenuto di testimonianze, distorto il contenuto delle intercettazioni, fino ad assumere un linguaggio che trasuda un fumus denigratorio fuorviante. Daqua ha portato molti esempi per denunciare l’uso distorto delle intercettazioni, realizzato in modo chirurgico e tendenzioso. Frasi inesistenti inserite, errori di trascrizione che cambiano il senso delle parole, interpretazioni stravolte per confermare convinzioni precostituite.

      Esemplare il caso dell’intercettazione ambientale del 10/07/2017 in cui Lucano e Capone parlano del frantoio; il tribunale mette in evidenza il ruolo di Lucano nell’indicare “le false dichiarazioni che avrebbero dovuto rendere concordemente in merito a quelle spese effettuate”, e questo grazie alla frase “E’ per i rifugiati, gli devi dire”. Peccato che le parole “gli devi dire” non esistono nella registrazione audio, compaiono, sì, nella trascrizione della polizia giudiziaria che l’accusa aveva usato nel dibattimento, ma non ci sono nella trascrizione ufficiale fatta dal perito del tribunale. Questo rivela qualcosa di molto grave: l’appiattimento del giudice sulle argomentazioni dell’accusa, fino al punto di contraddire il tribunale stesso e di perdere la sua terzietà.

      Grave anche perché proprio questa intercettazione svolge nella sentenza di Locri un ruolo chiave: secondo il tribunale Lucano, non sapendo ancora di essere indagato, starebbe qui costruendo le false dichiarazioni da diffondere a proposito del frantoio, rivelando così che in realtà da quell’acquisto si aspettava un ritorno economico. Questa interpretazione distorta diventa uno spartiacque: perché per dare valore probatorio a questi elementi, la sentenza esclude tutte quelle intercettazioni da cui si desume invece che il frantoio va effettivamente a vantaggio dei rifugiati considerandole artefatte in quanto, essendo successive a quella data, ormai l’indagine era nota. Quell’intercettazione sarebbe insomma la prova della torsione della verità che Lucano avrebbe astutamente architettato… e non una ricostruzione preordinata che esiste solo nella mente del tribunale.

      In realtà, continua Daqua, il frantoio rappresenta un’attività conforme agli obiettivi e allo spirito dello Sprar, che promuove progetti speciali per l’integrazione e non c’è nessuna prova che si tratti di un’appropriazione privata. Il frantoio è al cuore dell’accusa di distrazione di fondi pubblici, ma il reato di distrazione richiede un uso improprio delle somme distratte e non c’è prova di uso improprio del frantoio. Come non c’è del resto per le altre case che pure rientrano nell’accura di peculato, di cui anzi la difesa ha fornito precisa documentazione, dimostrando che sono state usate per l’accoglienza dei migranti. D’altronde, tutti i fondi che arrivavano ai progetti di Riace confluivano in un unico conto corrente – pubblici, privati, anche rimborsi di progetti precedenti. Siccome il tribunale ha fatto i suoi accertamenti a livello di cassa, era difficile riuscire a distinguere analiticamente quali fondi venivano di volta in volta spesi. E’ stato questo il contributo della consulente Madaffari, che aveva portato il libro mastro contabile del Comune di Riace, dove invece risultava anche la fonte, ma il tribunale ha ignorato del tutto le consulenze prodotte dalla difesa.

      Quanto all’imputazione più grave, l’associazione a delinquere, di cui Lucano sarebbe il capo indiscusso, Daqua riprende dal dibattimento le testimonianze prodotte dalla stessa accusa che escludono il reato associativo. Più volte il Presidente Accurso aveva chiesto al colonnello Sportelli di precisare se c’era in gioco un rapporto collettivo, dei legami di concertazione, una consapevolezza di questi legami; sempre Sportelli aveva risposto negativamente. Enza Papa aveva dichiarato che gli uffici dello Sprar erano messi in difficoltà dalla frammentazione del sistema Riace, con tutte quelle associazioni che non comunicavano fra di loro, ognuna andava per conto proprio, non c’era organizzazione. Non ci sono insomma i presupposti per il reato associativo. Ma il tribunale ricorre come al solito ad un’intercettazione in cui si parla della necessità di coordinarsi e la porta come prova di quel legame, che gli stessi testimoni dell’accusa negano; peccato che il coordinamento di cui si sta parlando sia un coordinamento di tipo funzionale. Un’altra forzatura intollerabile.

      In conclusione, Daqua dichiara che si tratta di una “sentenza ingiusta ed errata per tutti i capi di imputazione”. Per questo, come Pisapia, chiede l’assoluzione di Lucano da tutti i reati a lui ascritti dalla sentenza di primo grado. E incalza i giudici: “Voi avete la possibilità di correggere un macroscopico errore”. Lo faranno?

      https://www.pressenza.com/it/2023/09/che-cosa-succede-al-processo-contro-mimmo-lucano-al-processo-dappello-la-

  • #Lampedusa : ’Operational emergency,’ not ’migration crisis’

    Thousands of migrants have arrived on Lampedusa from Africa this week, with the EU at odds over what to do with them. DW reports from the Italian island, where locals are showing compassion as conditions worsen.

    Long lines of migrants and refugees, wearing caps and towels to protect themselves from the blistering September sun, sit flanked on either side of a narrow, rocky lane leading to Contrada Imbriacola, the main migrant reception center on the Italian island of Lampedusa.

    Among them are 16-year-old Abubakar Sheriff and his 10-year old brother, Farde, who fled their home in Sierra Leone and reached Lampedusa by boat from Tunisia.

    “We’ve been on this island for four days, have been sleeping outside and not consumed much food or water. We’ve been living on a couple of biscuits,” Abubakar told DW. “There were 48 people on the boat we arrived in from Tunisia on September 13. It was a scary journey and I saw some other boats capsizing. But we got lucky.”

    Together with thousands of other migrants outside the reception center, they’re waiting to be put into police vans headed to the Italian island’s port. They will then be transferred to Sicily and other parts of Italy for their asylum claims to be processed, as authorities in Lampedusa say they have reached “a tipping point” in migration management.
    Not a ’migration crisis for Italy,’ but an ’operational emergency’

    More than 7,000 migrants arrived in Lampedusa on flimsy boats from Tunisia earlier this week, leading the island’s mayor, Filippo Mannino, to declare a state of emergency and tell local media that while migrants have always been welcomed, this time Lampedusa “is in crisis.”

    In a statement released on Friday, Italian Prime Minister Giorgia Meloni said her government intends to take “immediate extraordinary measures” to deal with the landings. She said this could include a European mission to stop arrivals, “a naval mission if necessary.” But Lampedusa, with a population of just 6,000 and a reception center that has a capacity for only 400 migrants, has more immediate problems.

    Flavio Di Giacomo, spokesperson for the UN’s International Organization for Migration (IOM), told DW that while the new arrivals have been overwhelming for the island, this is not a “migration crisis for Italy.”

    “This is mainly an operational emergency for Lampedusa, because in 2015-2016, at the height of Europe’s migration crisis, only 8% of migrants arrived in Lampedusa. The others were rescued at sea and transported to Sicily to many ports there,” he said. “This year, over 70% of arrivals have been in Lampedusa, with people departing from Tunisia, which is very close to the island.”

    Di Giacomo said the Italian government had failed to prepare Lampedusa over the past few years. “The Italian government had time to increase the reception center’s capacity after it was set up in 2008,” he said. “Migration is nothing new for the country.”
    Why the sudden increase?

    One of Italy’s Pelagie Islands in the Mediterranean, Lampedusa has been the first point of entry to Europe for people fleeing conflict, poverty and war in North Africa and the Middle East for years, due to its geographical proximity to those regions. But the past week’s mass arrival of migrants caught local authorities off guard.

    “We have never seen anything like what we saw on Wednesday,” said a local police officer near the asylum reception center.

    Showing a cellphone video of several small boats crammed with people arriving at the Lampedusa port, he added, “2011 was the last time Lampedusa saw something like this.” When the civil war in Libya broke out in 2011, many people fled to Europe through Italy. At the time, Rome declared a “North Africa emergency.”

    Roberto Forin, regional coordinator for Europe at the Mixed Migration Centre, a research center, said the recent spike in arrivals likely had one main driving factor. “According to our research with refugees and migrants in Tunisia, the interceptions by Tunisian coast guards of boats leaving toward Italy seems to have decreased since the signing of the Memorandum of Understanding in mid-July between the European Union and Tunisia,” he said. “But the commission has not yet disbursed the €100 million ($106.6 million) included in the deal.”

    The EU-Tunisia deal is meant to prevent irregular migration from North Africa and has been welcomed by EU politicians, including Meloni. But rights groups have questioned whether it will protect migrants. Responding to reporters about the delayed disbursement of funds, the European Commission said on Friday that the disbursement was still a “work in progress.”

    IOM’s Giacomo said deals between the EU and North African countries aren’t the answer. “It is a humanitarian emergency right now because migrants are leaving from Tunisia, because many are victims of racial discrimination, assault, and in Libya as well, their rights are being abused,” he said. "Some coming from Tunisia are also saying they are coming to Italy to get medical care because of the economic crisis there.

    “The solution should be to organize more search-and-rescue at sea, to save people and bring them to safety,” he added. “The focus should be on helping Lampedusa save the migrants.”

    A group of young migrants from Mali who were sitting near the migrant reception center, with pink tags on their hands indicating the date of their arrival, had a similar view.

    “We didn’t feel safe in Tunisia,” they told DW. “So we paid around €750 to a smuggler in Sfax, Tunisia, who then gave us a dinghy and told us to control it and cross the sea toward Europe. We got to Italy but we don’t want to stay here. We want to go to France and play football for that country.”
    Are other EU nations helping?

    At a press briefing in Brussels on Wednesday, the European Commission said that 450 staff from Europol, Frontex and the European Union Agency for Asylum have been deployed to the island to assist Italian authorities, and €40 million ($42.6 million) has been provided for transport and other infrastructure needed for to handle the increase in migrant arrivals.

    But Italian authorities have said they’re alone in dealing with the migrants, with Germany restricting Italy from transferring migrants and France tightening its borders with the country.

    Lampedusa Deputy Mayor Attilio Lucia was uncompromising: “The message that has to get through is that Europe has to wake up because the European Union has been absent for 20 years. Today we give this signal: Lampedusa says ’Enough’, the Lampedusians have been suffering for 20 years and we are psychologically destroyed,” he told DW.

    “I understand that this was done mostly for internal politics, whereby governments in France and Germany are afraid of being attacked by far-right parties and therefore preemptively take restrictive measures,” said Forin. “On the other hand, it is a measure of the failure of the EU to mediate a permanent and sustainable mechanism. When solidarity is left to voluntary mechanisms between states there is always a risk that, when the stakes are high, solidarity vanishes.”

    Local help

    As politicians and rights groups argue over the right response, Lampedusa locals like Antonello di Malta and his mother feel helping people should be the heart of any deal.

    On the night more than 7,000 people arrived on the island, di Malta said his mother called him saying some migrants had come to their house begging for food. “I had to go out but I didn’t feel comfortable hearing about them from my mother. So I came home and we started cooking spaghetti for them. There were 10 of them,” he told DW, adding that he was disappointed with how the government was handling the situation.

    “When I saw them I thought about how I would have felt if they were my sons crying and asking for food,” said Antonello’s mother. “So I started cooking for them. We Italians were migrants too. We used to also travel from north to south. So we can’t get scared of people and we need to help.”

    Mohammad still has faith in the Italian locals helping people like him. “I left horrible conditions in Gambia. It is my first time in Europe and local people here have been nice to me, giving me a cracker or sometimes even spaghetti. I don’t know where I will be taken next, but I have not lost hope,” he told DW.

    “I stay strong thinking that one day I will play football for Italy and eventually, my home country Gambia,” he said. “That sport gives me joy through all this hardship.”

    https://www.dw.com/en/lampedusa-operational-emergency-not-migration-crisis/a-66830589

    #débarquements #asile #migrations #réfugiés #Italie #crise #compassion #transferts #urgence_opérationnelle #crise_migratoire #Europol #Frontex #Agence_de_l'Union_européenne_pour_l'asile (#EUEA #EUAA) #solidarité

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    • The dance that give life’
      Upon Lampedusa’s rocky shore they came,
      From Sub-Saharan lands, hearts aflame,
      Chasing dreams, fleeing despair,
      In search of a life that’s fair.

      Hunger gnawed, thirst clawed, bodies beat,
      Brutality’s rhythm, a policeman’s merciless feat,
      Yet within their spirits, a melody stirred,
      A refuge in humour where hope’s not deferred.

      Their laughter echoed ’cross the tiny island,
      In music and dance, they made a home,
      In the face of adversity, they sang their songs,
      In unity and rhythm, they proved their wrongs.

      A flood of souls, on Lampedusa’s strand,
      Ignited debates across the land,
      Politicians’ tongues twisted in spite,
      Racist rhetoric veiled as right.

      Yet, the common people, with curious gaze,
      Snared in the web of fear’s daze,
      Chose not to see the human plight,
      But the brainwash of bigotry’s might.

      Yet still, the survivor’s spirit shines bright,
      In the face of inhumanity, they recite,
      Their music, their dance, their undying humour,
      A testament to resilience, amid the rumour and hate.

      For they are not just numbers on a page,
      But humans, life stories, not a stage,
      Their journey not over, their tale still unspun,
      On the horizon, a new day begun.

      Written by @Yambiodavid

      https://twitter.com/RefugeesinLibya/status/1702595772603138331
      #danse #fête

    • L’imbroglio del governo oltre la propaganda

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite.

      La tragedia umanitaria in corso a Lampedusa, l’ennesima dalle “primavere arabe” del 2011 ad oggi, dimostra che dopo gli accordi di esternalizzazione, con la cessione di motovedette e con il supporto alle attività di intercettazione in mare, in collaborazione con Frontex, come si è fatto con la Tunisia e con la Libia (o con quello che ne rimane come governo di Tripoli), le partenze non diminuiscono affatto, ed anzi, fino a quando il meteo lo permette, sono in continuo aumento.

      Si sono bloccate con i fermi amministrativi le navi umanitarie più grandi, ma questo ha comportato un aumento degli “arrivi autonomi” e l’impossibilità di assegnare porti di sbarco distribuiti nelle città più grandi della Sicilia e della Calabria, come avveniva fino al 2017, prima del Codice di condotta Minniti e dell’attacco politico-giudiziario contro il soccorso civile.

      La caccia “su scala globale” a trafficanti e scafisti si è rivelata l’ennesimo annuncio propagandistico, anche se si dà molta enfasi alla intensificazione dei controlli di polizia e agli arresti di presunti trafficanti ad opera delle autorità di polizia e di guardia costiera degli Stati con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione “clandestina”. Se Salvini ha le prove di una guerra contro l’Italia, deve esibirle, altrimenti pensi al processo di Palermo sul caso Open Arms, per difendersi sui fatti contestati, senza sfruttare il momento per ulteriori sparate propagandistiche.

      Mentre si riaccende lo scontro nella maggioranza, è inutile incolpare l’Unione europea, dopo che la Meloni e Piantedosi hanno vantato di avere imposto un “cambio di passo” nelle politiche migratorie dell’Unione, mente invece hanno solo rafforzato accordi bilaterali già esistenti.

      Le politiche europee e italiane di esternalizzazione dei controlli di frontiera con il coinvolgimento di paesi terzi, ritenuti a torto “sicuri”, sono definitivamente fallite, gli arrivi delle persone che fuggono da aree geografiche sempre più instabili, per non parlare delle devastazioni ambientali, non sono diminuiti per effetto degli accordi bilaterali o multilaterali con i quali si è cercato di offrire aiuti economici in cambio di una maggiore collaborazione sulle attività di polizia per la sorveglianza delle frontiere. Dove peraltro la corruzione, i controlli mortali, se non gli abusi sulle persone migranti, si sono diffusi in maniera esponenziale, senza che alcuna autorità statale si dimostrasse in grado di fare rispettare i diritti fondamentali e le garanzie che dovrebbe assicurare a qualsiasi persona uno Stato democratico quando negozia con un paese terzo. Ed è per questa ragione che gli aiuti previsti dal Memorandum Tunisia-Ue non sono ancora arrivati e il Piano Mattei per l’Africa, sul quale Meloni e Piantedosi hanno investito tutte le loro energie, appare già fallito.

      Di fronte al fallimento sul piano internazionale è prevedibile una ulteriore stretta repressiva. Si attende un nuovo pacchetto sicurezza, contro i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi “sicuri” per i quali, al termine di un sommario esame delle domande di protezione durante le “procedure accelerate in frontiera”, dovrebbero essere previsti “rimpatri veloci”. Come se non fossero certi i dati sul fallimento delle operazioni di espulsione e di rimpatrio di massa.

      Se si vogliono aiutare i paesi colpiti da terremoti e alluvioni, ma anche quelli dilaniati da guerre civili alimentate dalla caccia alle risorse naturali di cui è ricca l’Africa, occorrono visti umanitari, evacuazione dei richiedenti asilo presenti in Libia e Tunisia, ma anche in Niger, e sospensione immediata di tutti gli accordi stipulati per bloccare i migranti in paesi dove non si garantisce il rispetto dei diritti umani. Occorre una politica estera capace di mediare i conflitti e non di aggravarne gli esiti. Vanno aperti canali legali di ingresso senza delegare a paesi terzi improbabili blocchi navali. Per salvare vite, basta con la propaganda elettorale.

      https://ilmanifesto.it/limbroglio-del-governo-oltre-la-propaganda/r/2aUycOowSerL2VxgLCD9N

    • The fall of the Lampedusa Hotspot, people’s freedom and locals’ solidarity

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000912-464e9464ec/DSC09012.webp?ph=2196af27df

      A few weeks ago, the owner of one of the bars in the old port, was talking about human trafficking and money laundering between institutions and NGOs in relation to what had happened during that day. It was the evening of Thursday 24 August and Lampedusa had been touched by yet another ’exceptional’ event: 64 arrivals in one day. Tonight, in that same bar in the old port, a young Tunisian boy was sitting at a table and together with that same owner, albeit in different languages, exchanging life stories.

      What had been shaken in Lampedusa, in addition to the collapse of the Hotspot , is the collapse of the years long segregation system, which had undermined anypotential encounter with newly arrived people. A segregation that also provided fertile ground for conspiracy theories about migration, reducing people on the move to either victims or perpetrators of an alleged ’migration crisis’.

      Over the past two days, however, without police teams in manhunt mode, Lampedusa streets, public spaces, benches and bars, have been filled with encounters, conversations, pizzas and coffees offered by local inhabitants. Without hotspots and segregation mechanisms, Lampedusa becomes a space for enriching encounters and spontaneus acts of solidarity between locals and newly arrived people. Trays of fish ravioli, arancini, pasta, rice and couscous enter the small room next to the church, where volunteers try to guarantee as many meals as possible to people who, taken to the hotspot after disembarkation, had been unable to access food and water for three days. These scenes were unthinkable only a few days before. Since the beginning of the pandemic, which led to the end of the era of the ’hotspot with a hole’, newly-arrived people could not leave the detention centre, and it became almost impossible to imagine an open hotspot, with people walking freely through the city. Last night, 14 September, on Via Roma, groups of people who would never have met last week danced together with joy and complicity.

      These days, practice precedes all rhetoric, and what is happening shows that Lampedusa can be a beautiful island in the Mediterranean Sea rather than a border, that its streets can be a place of welcoming and encounter without a closed centre that stifles any space for self-managed solidarity.

      The problem is not migration but the mechanism used to manage it.

      The situation for the thousands of people who have arrived in recent days remains worrying and precarious. In Contrada Imbriacola, even tonight, people are sleeping on the ground or on cots next to the buses that will take them to the ships for transfers in the morning. Among the people, besides confusion and misinformation, there is a lot of tiredness and fatigue. There are many teenagers and adolescents and many children and pregnant women. There are no showers or sanitary facilities, and people still complain about the inaccessibility of food and water; the competitiveness during food distributions disheartens many because of the tension involved in queuing. The fights that broke out two days ago are an example of this, and since that event most of the workers of all the associations present in the centre have been prevented from entering for reasons of security and guaranteeing their safety.

      If the Red Cross and the Prefecture do not want to admit their responsibilities, these are blatant before our eyes and it is not only the images of 7000 people that prove this, but the way situations are handled due to an absolute lack of personnel and, above all, confusion at organisational moments.

      https://2196af27df.clvaw-cdnwnd.com/1b76f9dfff36cde79df962be70636288/200000932-250b0250b2/DSC08952-8.webp?ph=2196af27df

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      A police commissioner tried unsuccessfully to get only a few people into the bus. The number and determination to leave of the newly arrived people is reformulating the very functioning of the transfers.

      During transfers yesterday morning, the carabinieri charged to move people crowded around a departing bus. The latter, at the cost of moving, performed a manoeuvre that squeezed the crowd against a low wall, creating an extremely dangerous situation ( video). All the people who had been standing in line for hours had to move chaotically, creating a commotion from which a brawl began in which at least one person split his eyebrow. Shortly before, one of the police commissioners had tried something different by creating a human caterpillar - people standing in line with their hands on their shoulders - in order to lead them into a bus, but once the doors were opened, other people pounced into it literally jamming it (photo). In other words, people are trudging along at the cost of others’ psycho-physical health.

      In yesterday evening’s transfer on 14 September (photo series with explanation), 300 people remained at the commercial dock from the morning to enter the Galaxy ship at nine o’clock in the evening. Against these 300 people, just as many arrived from the hotspot to board the ship or at least to try to do so.

      The tension, especially among those in control, was palpable; the marshals who remained on the island - the four patrols of the police force were all engaged for the day’s transfers - ’lined up’ between one group and another with the aim of avoiding any attempt to jump on the ship. In reality, people, including teenagers and families with children, hoped until the end to board the ship. No one told them otherwise until all 300 people passed through the only door left open to access the commercial pier. These people were promised that they would leave the next day. Meanwhile, other people from the hotspot have moved to the commercial pier and are spending the night there.

      People are demanding to leave and move freely. Obstructing rather than supporting this freedom of movement will lead people and territories back to the same impasses they have regularly experienced in recent years. The hotspot has collapsed, but other forms of borders remain that obstruct something as simple as personal self-determination. Forcing is the source of all problems, not freedom.

      Against all forms of borders, for freedom of movement for all.

      https://www.maldusa.org/l/the-fall-of-the-lampedusa-hotspot-people-s-freedom-and-locals-solidarity

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      #Video: Lampedusa on the 14th September

      –-> https://vimeo.com/864806349

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      #Lampedusa #hotspot #soilidarity #Maldusa

    • Lampedusa’s Hotspot System: From Failure to Nonexistence

      After a few days of bad weather, with the return of calm seas, people on the move again started to leave and cross the Mediterranean from Tunisia and Libya.

      During the day of 12 September alone, 110 iron, wooden and rubber boats arrived. 110 small boats, for about 5000 people in twenty-four hours. Well over the ’record’ of 60 that had astonished many a few weeks ago. Numbers not seen for years, and which add up to the approximately 120,000 people who have reached Italy since January 2023 alone: already 15,000 more than the entire year 2022.

      It has been a tense few days at the Favaloro pier, where people have been crowded for dozens of hours under the scorching sun.

      Some, having passed the gates and some rocks, jumped into the water in an attempt to find some coolness, reaching some boats at anchor and asking for water to drink.

      It pains and angers us that the police in riot gear are the only real response that seems to have been given.

      On the other hand, hundreds of people, who have arrived in the last two days on the Lampedusa coast, are walking through the streets of the town, crossing and finally reclaiming public space. The hotspot, which could accommodate 389, in front of 7000 people, has simply blown up. That is, it has opened.

      The square in front of the church was transformed, as it was years ago, into a meeting place where locals organised the distribution of food they had prepared, thanks also to the solidarity of bakers and restaurateurs who provided what they could.

      A strong and fast wave of solidarity: it seems incredible to see people on the move again, sharing space, moments and words with Lampedusians, activists from various organisations and tourists. Of course, there is also no shortage of sad and embarrassing situations, in which some tourists - perhaps secretly eager to meet ’the illegal immigrants’ - took pictures of themselves capturing these normally invisible and segregated chimeras.

      In fact, all these people would normally never meet, kept separate and segregated by the hotspot system.

      But these days a hotspot system seems to no longer exist, or to have completely broken down, in Lampedusa. It has literally been occupied by people on the move, sleeping inside and outside the centre, on the road leading from the entrance gate to the large car park, and in the abandoned huts around, and in every nook and cranny.

      Basic goods, such as water and food, are not enough. Due to the high number of people, there is a structural lack of distribution even of the goods that are present, and tensions seem to mount slowly but steadily.

      The Red Cross and workers from other organisations have been prevented from entering the hotspot centre for ’security reasons’ since yesterday morning. This seems an overwhelming situation for everyone. The pre-identification procedures, of course, are completely blown.

      Breaking out of this stalemate it’s very complex due to the continuous flow of arrivals : for today, as many as 2000 people are expected to be transferred between regular ships and military assets. For tomorrow another 2300 or so. Of course, it remains unpredictable how many people will continue to reach the island at the same time.

      In reaction to all this, we are not surprised, but again disappointed, that the city council is declaring a state of emergency still based on the rhetoric of ’invasion’.

      A day of city mourning has also been declared for the death of a 5-month-old baby, who did not survive the crossing and was found two days ago during a rescue.

      We are comforted, however, that a torchlight procession has been called by Lampedusians for tonight at 8pm. Banners read: ’STOP DEAD AT SEA’, ’LEGAL ENTRANCE CHANNELS NOW’.

      The Red Cross, Questura and Prefecture, on the other hand, oscillate between denying the problem - ’we are handling everything pretty well’ - to shouting at the invasion.

      It is not surprising either, but remains a disgrace, that the French government responds by announcing tighter border controls and that the German government announces in these very days - even though the decision stems from agreements already discussed in August regarding the Dublin Convention - that it will suspend the taking in of any refugee who falls under the so-called ’European solidarity mechanism’.

      We are facing a new level of breaking down the European borders and border regime by people on the move in the central Mediterranean area.

      We stand in full solidarity with them and wish them safe arrival in their destination cities.

      But let us remember: every day they continue to die at sea, which proves to be the deadliest border in the world. And this stems from a political choice, which remains intolerable and unacceptable.

      Freedom of movement must be a right for all!

      https://www.maldusa.org/l/lampedusas-hotspot-system-from-failure-to-nonexistence

    • « L’effet Lampedusa », ou comment se fabriquent des politiques migratoires répressives

      En concentrant les migrants dans des hotspots souvent situés sur de petites îles, les Etats européens installent une gestion inhumaine et inefficace des migrations, contradictoire avec certains de leurs objectifs, soulignent les chercheuses #Marie_Bassi et #Camille_Schmoll.

      Depuis quelques jours, la petite île de Lampedusa en Sicile a vu débarquer sur son territoire plus de migrants que son nombre d’habitants. Et comme à chacun de ces épisodes d’urgence migratoire en Europe, des représentants politiques partent en #croisade : pour accroître leur capital électoral, ils utilisent une #rhétorique_guerrière tandis que les annonces de #fermeture_des_frontières se succèdent. Les #élections_européennes approchent, c’est pour eux l’occasion de doubler par la droite de potentiels concurrents.

      Au-delà du cynisme des #opportunismes_politiques, que nous dit l’épisode Lampedusa ? Une fois de plus, que les #politiques_migratoires mises en place par les Etats européens depuis une trentaine d’années, et de manière accélérée depuis 2015, ont contribué à créer les conditions d’une #tragédie_humanitaire. Nous avons fermé les #voies_légales d’accès au territoire européen, contraignant des millions d’exilés à emprunter la périlleuse route maritime. Nous avons laissé les divers gouvernements italiens criminaliser les ONG qui portent secours aux bateaux en détresse, augmentant le degré de létalité de la traversée maritime. Nous avons collaboré avec des gouvernements irrespectueux des droits des migrants : en premier lieu la Libye, que nous avons armée et financée pour enfermer et violenter les populations migrantes afin de les empêcher de rejoindre l’Europe.

      L’épisode Lampedusa n’est donc pas simplement un drame humain : c’est aussi le symptôme d’une politique migratoire de courte vue, qui ne comprend pas qu’elle contribue à créer les conditions de ce qu’elle souhaite éviter, en renforçant l’instabilité et la violence dans les régions de départ ou de transit, et en enrichissant les réseaux criminels de trafic d’êtres humains qu’elle prétend combattre.

      Crise de l’accueil, et non crise migratoire

      Revenons d’abord sur ce que l’on peut appeler l’effet hotspot. On a assisté ces derniers mois à une augmentation importante des traversées de la Méditerranée centrale vers l’Italie, si bien que l’année 2023 pourrait, si la tendance se confirme, se hisser au niveau des années 2016 et 2017 qui avaient battu des records en termes de traversées dans cette zone. C’est bien entendu cette augmentation des départs qui a provoqué la surcharge actuelle de Lampedusa, et la situation de crise que l’on observe.

      Mais en réalité, les épisodes d’urgence se succèdent à Lampedusa depuis que l’île est devenue, au début des années 2000, le principal lieu de débarquement des migrants dans le canal de Sicile. Leur interception et leur confinement dans le hotspot de cette île exiguë de 20 km² renforce la #visibilité du phénomène, et crée un #effet_d’urgence et d’#invasion qui justifie une gestion inhumaine des arrivées. Ce fut déjà le cas en 2011 au moment des printemps arabes, lorsque plus de 60 000 personnes y avaient débarqué en quelques mois. Le gouvernement italien avait stoppé les transferts vers la Sicile, créant volontairement une situation d’#engorgement et de #crise_humanitaire. Les images du centre surpeuplé, de migrants harassés dormant dans la rue et protestant contre cet accueil indigne avaient largement été diffusées par les médias. Elles avaient permis au gouvernement italien d’instaurer un énième #état_d’urgence et de légitimer de nouvelles #politiques_répressives.

      Si l’on fait le tour des hotspots européens, force est de constater la répétition de ces situations, et donc l’échec de la #concentration dans quelques points stratégiques, le plus souvent des #îles du sud de l’Europe. L’#effet_Lampedusa est le même que l’effet #Chios ou l’effet #Moria#Lesbos) : ces #îles-frontières concentrent à elles seules, parce qu’elles sont exiguës, toutes les caractéristiques d’une gestion inhumaine et inefficace des migrations. Pensée en 2015 au niveau communautaire mais appliquée depuis longtemps dans certains pays, cette politique n’est pas parvenue à une gestion plus rationnelle des flux d’arrivées. Elle a en revanche fait peser sur des espaces périphériques et minuscules une énorme responsabilité humaine et une lourde charge financière. Des personnes traumatisées, des survivants, des enfants de plus en plus jeunes, sont accueillis dans des conditions indignes. Crise de l’accueil et non crise migratoire comme l’ont déjà montré de nombreuses personnes.

      Changer de paradigme

      Autre #myopie européenne : considérer qu’on peut, en collaborant avec les Etats de transit et de départ, endiguer les flux. Cette politique, au-delà de la vulnérabilité qu’elle crée vis-à-vis d’Etats qui peuvent user du chantage migratoire à tout moment – ce dont Kadhafi et Erdogan ne s’étaient pas privés – génère les conditions mêmes du départ des personnes en question. Car l’#externalisation dégrade la situation des migrants dans ces pays, y compris ceux qui voudraient y rester. En renforçant la criminalisation de la migration, l’externalisation renforce leur #désir_de_fuite. Depuis de nombreuses années, migrantes et migrants fuient les prisons et la torture libyennes ; ou depuis quelques mois, la violence d’un pouvoir tunisien en plein tournant autoritaire qui les érige en boucs émissaires. L’accord entre l’UE et la Tunisie, un énième du genre qui conditionne l’aide financière à la lutte contre l’immigration, renforce cette dynamique, avec les épisodes tragiques de cet été, à la frontière tuniso-libyenne.

      Lampedusa nous apprend qu’il est nécessaire de changer de #paradigme, tant les solutions proposées par les Etats européens (externalisation, #dissuasion, #criminalisation_des_migrations et de leurs soutiens) ont révélé au mieux leur #inefficacité, au pire leur caractère létal. Ils contribuent notamment à asseoir des régimes autoritaires et des pratiques violentes vis-à-vis des migrants. Et à transformer des êtres humains en sujets humanitaires.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/leffet-lampedusa-ou-comment-se-fabriquent-des-politiques-migratoires-repr

    • Pour remettre les pendules à l’heure :

      Saluti dal Paese del “fenomeno palesemente fuori controllo”.


      https://twitter.com/emmevilla/status/1703458756728610987

      Et aussi :

      « Les interceptions des migrants aux frontières représentent 1 à 3% des personnes autorisées à entrer avec un visa dans l’espace Schengen »

      Source : Babels, « Méditerranée – Des frontières à la dérive », https://www.lepassagerclandestin.fr/catalogue/bibliotheque-des-frontieres/mediterraneedes-frontieres-a-la-derive

      #statistiques #chiffres #étrangers #Italie

    • Arrivées à Lampedusa - #Solidarité et #résistance face à la crise de l’accueil en Europe.

      Suite à l’arrivée d’un nombre record de personnes migrantes à Lampedusa, la société civile exprime sa profonde inquiétude face à la réponse sécuritaire des Etats européens, la crise de l’accueil et réaffirme sa solidarité avec les personnes qui arrivent en Europe.

      Plus de 5 000 personnes et 112 bateaux : c’est le nombre d’arrivées enregistrées sur l’île italienne de Lampedusa le mardi 12 septembre. Les embarcations, dont la plupart sont arrivées de manière autonome, sont parties de Tunisie ou de Libye. Au total, plus de 118 500 personnes ont atteint les côtes italiennes depuis le début de l’année, soit près du double des 64 529 enregistrées à la même période en 2022 [1]. L’accumulation des chiffres ne nous fait pas oublier que, derrière chaque numéro, il y a un être humain, une histoire individuelle et que des personnes perdent encore la vie en essayant de rejoindre l’Europe.

      Si Lampedusa est depuis longtemps une destination pour les bateaux de centaines de personnes cherchant refuge en Europe, les infrastructures d’accueil de l’île font défaut. Mardi, le sauvetage chaotique d’un bateau a causé la mort d’un bébé de 5 mois. Celui-ci est tombé à l’eau et s’est immédiatement noyé, alors que des dizaines de bateaux continuaient d’accoster dans le port commercial. Pendant plusieurs heures, des centaines de personnes sont restées bloquées sur la jetée, sans eau ni nourriture, avant d’être transférées vers le hotspot de Lampedusa.

      Le hotspot, centre de triage où les personnes nouvellement arrivées sont tenues à l’écart de la population locale et pré-identifiées avant d’être transférées sur le continent, avec ses 389 places, n’a absolument pas la capacité d’accueillir dignement les personnes qui arrivent quotidiennement sur l’île. Depuis mardi, le personnel du centre est complètement débordé par la présence de 6 000 personnes. La Croix-Rouge et le personnel d’autres organisations ont été empêchés d’entrer dans le centre pour des « raisons de sécurité ».

      Jeudi matin, de nombreuses personnes ont commencé à s’échapper du hotspot en sautant les clôtures en raison des conditions inhumaines dans lesquelles elles y étaient détenues. Face à l’incapacité des autorités italiennes à offrir un accueil digne, la solidarité locale a pris le relais. De nombreux habitants et habitantes se sont mobilisés pour organiser des distributions de nourriture aux personnes réfugiées dans la ville [2].

      Différentes organisations dénoncent également la crise politique qui sévit en Tunisie et l’urgence humanitaire dans la ville de Sfax, d’où partent la plupart des bateaux pour l’Italie. Actuellement, environ 500 personnes dorment sur la place Beb Jebli et n’ont pratiquement aucun accès à la nourriture ou à une assistance médicale [3]. La plupart d’entre elles ont été contraintes de fuir le Soudan, l’Éthiopie, la Somalie, le Tchad, l’Érythrée ou le Niger. Depuis les déclarations racistes du président tunisien, Kais Saied, de nombreuses personnes migrantes ont été expulsées de leur domicile et ont perdu leur travail [4]. D’autres ont été déportées dans le désert où certaines sont mortes de soif.

      Alors que ces déportations massives se poursuivent et que la situation à Sfax continue de se détériorer, l’UE a conclu un nouvel accord avec le gouvernement tunisien il y a trois mois afin de coopérer « plus efficacement en matière de migration », de gestion des frontières et de « lutte contre la contrebande », au moyen d’une enveloppe de plus de 100 millions d’euros. L’UE a accepté ce nouvel accord en pleine connaissance des atrocités commises par le gouvernement tunisien ainsi que les attaques perpétrées par les garde-côtes tunisiens sur les bateaux de migrants [5].

      Pendant ce temps, nous observons avec inquiétude comment les différents gouvernements européens ferment leurs frontières et continuent de violer le droit d’asile et les droits humains les plus fondamentaux. Alors que le ministre français de l’Intérieur a annoncé son intention de renforcer les contrôles à la frontière italienne, plusieurs autres États membres de l’UE ont également déclaré qu’ils fermeraient leurs portes. En août, les autorités allemandes ont décidé d’arrêter les processus de relocalisation des demandeurs et demandeuses d’asile arrivant en Allemagne depuis l’Italie dans le cadre du « mécanisme de solidarité volontaire » [6].

      Invitée à Lampedusa dimanche par la première ministre Meloni, la Présidente de la Commission européenne Von der Leyen a annoncé la mise en place d’un plan d’action en 10 points qui vient confirmer cette réponse ultra-sécuritaire [7]. Renforcer les contrôles en mer au détriment de l’obligation de sauvetage, augmenter la cadence des expulsions et accroître le processus d’externalisation des frontières… autant de vieilles recettes que l’Union européenne met en place depuis des dizaines années et qui ont prouvé leur échec, ne faisant qu’aggraver la crise de la solidarité et la situation des personnes migrantes.

      Les organisations soussignées appellent à une Europe ouverte et accueillante et exhortent les États membres de l’UE à fournir des voies d’accès sûres et légales ainsi que des conditions d’accueil dignes. Nous demandons que des mesures urgentes soient prises à Lampedusa et que les lois internationales qui protègent le droit d’asile soient respectées. Nous sommes dévastés par les décès continus en mer causés par les politiques frontalières de l’UE et réaffirmons notre solidarité avec les personnes en mouvement.

      https://migreurop.org/article3203.html?lang_article=fr

    • Che cos’è una crisi migratoria?

      Continuare a considerare il fenomeno migratorio come crisi ci allontana sempre più dalla sua comprensione, mantenendoci ancorati a soluzioni emergenziali che non possono che risultare strumentali e pericolose
      Le immagini della fila di piccole imbarcazioni in attesa di fare ingresso nel porto di Lampedusa resteranno impresse nella nostra memoria collettiva. Oltre cinquemila persone in sole ventiquattrore, che si aggiungono alle oltre centomila giunte in Italia nei mesi precedenti (114.256 al 31 agosto 2023). Nel solo mese di agosto sono sbarcate in Italia più di venticinquemila persone, che si aggiungono alle oltre ventitremila di luglio. Era del resto in previsione di una lunga estate di sbarchi che il Governo aveva in aprile dichiarato lo stato di emergenza, in un momento in cui, secondo i dati forniti dal ministro Piantedosi, nella sola Lampedusa erano concentrate più di tremila persone. Stando alle dichiarazioni ufficiali, l’esigenza era quella di dotarsi degli strumenti tecnici per distribuire più efficacemente chi era in arrivo sul territorio italiano, in strutture gestite dalla Protezione civile, aggirando le ordinarie procedure d’appalto per l’apertura di nuove strutture di accoglienza.

      Tra il 2017 e il 2022, in parallelo con la riduzione del numero di sbarchi, il sistema d’accoglienza per richiedenti protezione internazionale era stato progressivamente contratto, perdendo circa il 240% della sua capacità ricettiva. Gli interventi dei primi mesi del 2023 sembravano tuttavia volerne rivoluzionare la fisionomia. Il cosiddetto “Decreto Cutro” escludeva i richiedenti asilo dalla possibilità di accedere alle strutture di accoglienza che fanno capo alla rete Sai (Sistema accoglienza migrazione), che a fine 2022 vantava una capacità di quasi venticinquemila posti, per riservare loro strutture come i grandi Centri di prima accoglienza o di accoglienza straordinaria, in cui sempre meno servizi alla persona sarebbero stati offerti. Per i richiedenti provenienti dai Paesi considerati “sicuri”, invece, la prospettiva era quella del confinamento in strutture situate nei pressi delle zone di frontiera in attesa dell’esito della procedura d’asilo accelerata e, eventualmente, del rimpatrio immediato.

      L’impennata nel numero di arrivi registrata negli ultimi giorni ha infine indotto il presidente del Consiglio ad annunciare con un videomessaggio trasmesso all’ora di cena nuove misure eccezionali. In particolare, sarà affidato all’Esercito il compito di creare e gestire nuove strutture detentive in cui trattenere “chiunque entri illegalmente in Italia per tutto il tempo necessario alla definizione della sue eventuale richiesta d’asilo e per la sua effettiva espulsione nel caso in cui sia irregolare”, da collocarsi “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. Parallelamente, anche i termini massimi di detenzione saranno innalzati fino a diciotto mesi.

      Ciò di cui nessuno sembra dubitare è che l’Italia si trovi a fronteggiare l’ennesima crisi migratoria. Ma esattamente, di cosa si parla quando si usa la parola “crisi” in relazione ai fenomeni migratori?

      Certo c’è la realtà empirica dei movimenti attraverso le frontiere. Oltre centomila arrivi in otto mesi giustificano forse il riferimento al concetto di crisi, ma a ben vedere non sono i numeri il fattore determinante. Alcune situazioni sono state definite come critiche anche in presenza di numeri tutto sommato limitati, per ragioni essenzialmente politico-diplomatiche. Si pensi alla crisi al confine greco-turco nel 2020, o ancora alla crisi ai confini di Polonia e Lituania con la Bielorussia nel 2021. In altri casi il movimento delle persone attraverso i confini non è stato tematizzato come una crisi anche a fronte di numeri molto elevati, si pensi all’accoglienza riservata ai profughi ucraini. Sebbene siano stati attivati strumenti di risposta eccezionali, il loro orientamento è stato prevalentemente umanitario e volto all’accoglienza. L’Italia, ad esempio, ha sì decretato uno stato d’emergenza per implementare un piano di accoglienza straordinaria dei profughi provenienti dall’Ucraina, ma ha offerto accoglienza agli oltre centosettantamila ucraini presenti sul nostro territorio senza pretendere di confinarli in centri chiusi, concedendo inoltre loro un sussidio in denaro.

      Ciò che conta è la rappresentazione del fenomeno migratorio e la risposta politica che di conseguenza segue. Le rappresentazioni e le politiche si alimentano reciprocamente. In breve, non tutti i fenomeni migratori sono interpretati come una crisi, né, quando lo sono, determinano la medesima risposta emergenziale. Ad esempio, all’indomani della tragedia di Lampedusa del 2013 prevalse un paradigma interpretativo chiaramente umanitario, che portò all’intensificazione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Nel 2014 sbarcarono in Italia oltre centosettantamila migranti, centocinquantamila nel 2015 e ben centottantamila nel 2016. Questo tipo di approccio è stato in seguito definito come un pericoloso fattore di attrazione per le migrazioni non autorizzate e l’area operativa delle missioni di sorveglianza dei confini marittimi progressivamente arretrata, creando quel vuoto nelle attività di ricerca e soccorso che le navi delle Ong hanno cercato negli ultimi anni di colmare.

      Gli arrivi a Lampedusa degli ultimi giorni sono in gran parte l’effetto della riduzione dell’attività di sorveglianza oltre le acque territoriali. Intercettare i migranti in acque internazionali implica l’assunzione di obblighi e ricerca e soccorso che l’attuale governo accetta con una certa riluttanza, ma consente anche di far sbarcare i migranti soccorsi in mare anche in altri porti, evitando eccessive concentrazioni in un unico punto di sbarco.

      I migranti che raggiungono le nostre coste sono rappresentati come invasori, che violando i nostri confini minacciano la nostra integrità territoriale. L’appello insistito all’intervento delle forze armate che abbiamo ascoltato negli ultimi giorni si giustifica proprio attraverso il riferimento alla necessità di proteggere i confini e, in ultima analisi, l’integrità territoriale dell’Italia. Per quanto le immagini di migliaia di persone che sbarcano sulle coste italiane possano impressionare l’opinione pubblica, il riferimento alla necessità di proteggere l’integrità territoriale è frutto di un grave equivoco. Il principio di integrità territoriale è infatti codificato nel diritto internazionale come un corollario del divieto di uso della forza. Da ciò discende che l’integrità territoriale di uno Stato può essere minacciata solo da un’azione militare ostile condotta da forze regolari o irregolari. È dubbio che le migrazioni possano essere considerate una minaccia tale da giustificare, ad esempio, un blocco navale.

      Se i migranti non possono di per sé essere considerati come una minaccia alla integrità territoriale dello Stato, potrebbero però essere utilizzati come strumento da parte di attori politici intenzionati a destabilizzare politicamente i Paesi di destinazione. Non è mancato negli ultimi tempi chi ha occasionalmente evocato l’idea della strumentalizzazione delle migrazioni, fino alla recente, plateale dichiarazione del ministro Salvini. D’altra parte, questo è un tema caro ai Paesi dell’Est Europa, che hanno spinto affinché molte delle misure eccezionali adottate da loro in occasione della crisi del 2021 fossero infine incorporate nel diritto della Ue. Una parte del governo italiano sembra tuttavia più cauta, anche perché si continua a vedere nella collaborazione con i Paesi terzi la chiave di volta per la gestione del fenomeno. Accusare esplicitamente la Tunisia di strumentalizzare le migrazioni avrebbe costi politico-diplomatici troppo elevati.

      Cionondimeno, insistendo sull’elemento del rischio di destabilizzazione interna, plasticamente rappresentato dalle immagini delle migliaia di persone ammassate sul molo o nell’hotspot di Lampedusa, il governo propone una risposta politica molto simile all’approccio utilizzato da Polonia e Lituania nel 2021, centrato su respingimenti di massa e detenzione nelle zone di frontiera. L’obiettivo è quello di disincentivare i potenziali futuri migranti, paventando loro lunghi periodi di detenzione e il ritorno nella loro patria di origine.

      Gran parte di questa strategia dipende dalla collaborazione dei Paesi terzi e dalla loro disponibilità a bloccare le partenze prima che i migranti siano intercettati da autorità Italiane, facendo di conseguenza scattare gli obblighi internazionali di ricerca e soccorso o di asilo. Una strategia simile, definita come del controllo senza contatto, è stata seguita a lungo nella cooperazione con la Guardia costiera libica. Tuttavia, è proprio il tentativo di esternalizzare i controlli migratori a rendere i Paesi della Ue sempre più vulnerabili alla spregiudicata diplomazia delle migrazioni dei Paesi terzi. In definitiva, sono i Paesi europei che offrono loro la possibilità di strumentalizzare le migrazioni a scopi politici.

      Sul piano interno, il successo di una simile strategia dipende dalla capacità di rimpatriare rapidamente i migranti giunti sul territorio italiano. Alla fine del 2021 la percentuale di rimpatri che l’Italia riusciva ad eseguire era del 15% dei provvedimenti di allontanamento adottati. Gran parte delle persone rimpatriate sono tuttavia cittadini tunisini, anche perché in assenza di collaborazione con il Paese d’origine è impossibile rimpatriare. I tunisini rappresentano solo l’8% delle persone sbarcate nel 2023, che vengono in prevalenza da Guinea, Costa d’Avorio, Egitto, Bangladesh, Burkina Faso. L’allungamento dei tempi di detenzione non avrà dunque nessuna incidenza sulla efficacia delle politiche di rimpatrio.

      Uno degli argomenti utilizzati per giustificare l’intervento dell’Esercito è quello della necessità di accrescere la capacità del sistema detentivo, giudicata dal Governo non adeguata a gestire l’attuale crisi migratoria. Stando ai dati inclusi nella relazione sul sistema di accoglienza, alla fine del 2021 il sistema contava 744 posti, a fronte di una capacità ufficiale di 1.395. Come suggerisce la medesima relazione, il sistema funziona da sempre a capacità ridotta, anche perché le strutture sono soggette a ripetuti interventi di manutenzione straordinaria a causa delle devastazioni che seguono alle continue rivolte. Si tratta di strutture ai limiti dell’ingestibilità, che possono essere governate solo esercitando una forma sistemica di violenza istituzionale.

      Il sistema detentivo per stranieri sta tuttavia cambiando pelle progressivamente, ibridandosi con il sistema di accoglienza per richiedenti asilo al fine di contenere i migranti appena giunti via mare in attesa del loro più o meno rapido respingimento. Fino ad oggi, tuttavia, la detenzione ha continuato ad essere utilizzata in maniera più o meno selettiva, riservandola a coloro con ragionevoli prospettive di essere rimpatriati in tempi rapidi. Gli altri sono stati instradati verso il sistema di accoglienza, qualora avessero presentato una domanda d’asilo, o abbandonai al loro destino con in mano un ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni.

      Le conseguenze di una politica basata sulla detenzione sistematica e a lungo termine di tutti coloro che giungono alla frontiera sono facili da immaginare. Se l’Italia si limitasse a trattenere per una media di sei mesi (si ricordi che l’intenzione espressa in questi giorni dal Governo italiano è di portare a diciotto mesi i termini massimi di detenzione) anche solo il 50% delle persone che sbarcano, significherebbe approntare un sistema detentivo con una capacità di trentottomila posti. Certo, questo calcolo si basa sulla media mensile degli arrivi registrati nel 2023, un anno di “crisi” appunto. Ma anche tenendo conto della media mensile degli arrivi dei due anni precedenti la prospettiva non sarebbe confortante. Il nostro Paese dovrebbe infatti essere in grado di mantenere una infrastruttura detentiva da ventimila posti. Una simile infrastruttura, dato l’andamento oscillatorio degli arrivi via mare, dovrebbe essere poi potenziata al bisogno per far fronte alle necessità delle fasi in cui il numero di sbarchi cresce.

      Lascio al lettore trarre le conseguenze circa l’impatto materiale e umano che una simile approccio alla gestione degli arrivi avrebbe. Mi limito qui solo ad alcune considerazioni finali sulla maniera in cui sono tematizzate le cosiddette crisi migratorie. Tali crisi continuano ad essere viste come il frutto della carenza di controlli e della incapacità dello Stato di esercitare il suo diritto sovrano di controllare le frontiere. La risposta alle crisi migratorie è dunque sempre identica a sé stessa, alla ricerca di una impossibile chiusura dei confini che riproduce sempre nuove crisi, nuovi morti in mare, nuova violenza di Stato lungo le frontiere fortificate o nelle zone di contenimento militarizzate. Guardare alle migrazioni attraverso la lente del concetto di “crisi” induce tuttavia a pensare le migrazioni come a qualcosa di eccezionale, come a un’anomalia causata da instabilità e catastrofi che si verificano in un altrove geografico e politico. Le migrazioni sono così destoricizzate e decontestualizzate dalle loro cause strutturali e i Paesi di destinazione condannati a replicare politiche destinate a fallire poiché appunto promettono risultati irraggiungibili. Più che insistere ossessivamente sulla rappresentazione delle migrazioni come crisi, si dovrebbe dunque forse cominciare a tematizzare la crisi delle politiche migratorie. Una crisi più profonda e strutturale che non può essere ridotta alle polemiche scatenate dai periodici aumenti nel numero di sbarchi.

      https://www.rivistailmulino.it/a/che-cos-una-crisi-migratoria

    • Spiegazione semplice del perché #Lampedusa va in emergenza.

      2015-2017: 150.000 sbarchi l’anno, di cui 14.000 a Lampedusa (9%).

      Ultimi 12 mesi: 157.000 sbarchi, di cui 104.000 a Lampedusa (66%).

      Soluzione: aumentare soccorsi a #migranti, velocizzare i trasferimenti.
      Fine.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1704751278184685635

    • Interview de M. #Gérald_Darmanin, ministre de l’intérieur et des outre-mer, à Europe 1/CNews le 18 septembre 2023, sur la question migratoire et le travail des forces de l’ordre.

      SONIA MABROUK
      Bonjour à vous Gérald DARMANIN.

      GERALD DARMANIN
      Bonjour.

      SONIA MABROUK
      Merci de nous accorder cet entretien, avant votre déplacement cet après-midi à Rome. Lampedusa, Monsieur le Ministre, débordé par l’afflux de milliers de migrants. La présidente de la Commission européenne, Ursula VON DER LEYEN, en visite sur place, a appelé les pays européens à accueillir une partie de ces migrants arrivés en Italie. Est-ce que la France s’apprête à le faire, et si oui, pour combien de migrants ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, non, la France ne s’apprête pas à le faire, la France, comme l’a dit le président de la République la Première ministre italienne, va aider l’Italie à tenir sa frontière, pour empêcher les gens d’arriver, et pour ceux qui sont arrivés en Italie, à Lampedusa et dans le reste de l’Italie, nous devons appliquer les règles européennes, que nous avons adoptées voilà quelques mois, qui consistent à faire les demandes d’asile à la frontière. Et donc une fois que l’on fait les demandes d’asile à la frontière, on constate qu’une grande partie de ces demandeurs d’asile ne sont pas éligibles à l’asile et doivent repartir immédiatement dans les pays d’origine. S’il y a des demandeurs d’asile, qui sont éligibles à l’asile, qui sont persécutés pour des raisons évidemment politiques, bien sûr, ce sont des réfugiés, et dans ces cas-là, la France comme d’autres pays, comme elle l’a toujours fait, peut accueillir des personnes. Mais ce serait une erreur d’appréciation que de considérer que les migrants parce qu’ils arrivent en Europe, doivent tout de suite être répartis dans tous les pays d’Europe et dont la France, qui prend déjà largement sa part, et donc ce que nous voulons dire à nos amis italiens, qui je crois sont parfaitement d’accord avec nous, nous devons protéger les frontières extérieures de l’Union européenne, les aider à cela, et surtout tout de suite regarder les demandes d’asile, et quand les gens ne sont pas éligibles à l’asile, tout de suite les renvoyer dans leur pays.

      SONIA MABROUK
      Donc, pour être clair ce matin Gérald DARMANIN, vous dites que la politique de relocalisation immédiate, non la France n’en prendra pas sa part.

      GERALD DARMANIN
      S’il s’agit de personnes qui doivent déposer une demande d’asile parce qu’ils sont persécutés dans leur pays, alors ce sont des réfugiés politiques, oui nous avons toujours relocalisé, on a toujours mis dans nos pays si j’ose dire une partie du fardeau qu’avaient les Italiens ou les Grecs. S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont, 60 % d’entre eux viennent de pays comme la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison qu’ils viennent…

      SONIA MABROUK
      Ça a été le cas lors de l’Ocean Viking.

      GERALD DARMANIN
      Il n’y a aucune raison. Pour d’autres raisons, c’est des raisons humanitaires, là il n’y a pas de question humanitaire, sauf qu’à Lampedusa les choses deviennent très difficiles, c’est pour ça qu’il faut que nous aidions nos amis italiens, mais il ne peut pas y avoir comme message donné aux personnes qui viennent sur notre sol, qu’ils sont quoiqu’il arrive dans nos pays accueillis. Ils ne sont accueillis que s’ils respectent les règles de l’asile, s’ils sont persécutés. Mais si c’est une immigration qui est juste irrégulière, non, la France ne peut pas les accueillir, comme d’autres pays. La France est très ferme, vous savez, j’entends souvent que c’est le pays où il y a le plus de demandeurs d’asile, c’est tout à fait faux, nous sommes le 4e pays, derrière l’Allemagne, derrière l’Espagne, derrière l’Autriche, et notre volonté c’est d’accueillir bien sûr ceux qui doivent l’être, les persécutés politiques, mais nous devons absolument renvoyer chez eux, ceux qui n’ont rien à faire en Europe.

      SONIA MABROUK
      On entend ce message ce matin, qui est un peu différent de celui de la ministre des Affaires étrangères, qui semblait parler d’un accueil inconditionnel. Le président de la République a parlé d’un devoir de solidarité. Vous, vous dites : oui, devoir de solidarité, mais nous n’allons pas avoir une politique de répartition des migrants, ce n’est pas le rôle de la France.

      GERALD DARMANIN
      Le rôle de la France, d’abord aider l’Italie.

      SONIA MABROUK
      Comment, concrètement ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien d’abord, nous devons continuer à protéger nos frontières, et ça c’est à l’Europe de le faire.

      SONIA MABROUK
      Ça c’est l’enjeu majeur, les frontières extérieures.

      GERALD DARMANIN
      Exactement. Nous devons déployer davantage Frontex en Méditerranée…

      SONIA MABROUK
      Avec une efficacité, Monsieur le Ministre, très discutable.

      GERALD DARMANIN
      Avec des messages qu’on doit passer à Frontex effectivement, de meilleures actions, pour empêcher les personnes de traverser pour aller à Lampedusa. Il y a eu à Lampedusa, vous l’avez dit, des milliers de personnes, 5000 même en une seule journée, m’a dit le ministre italien, le 12 septembre. Donc il y a manifestement 300, 400 arrivées de bateaux possibles. Nous devons aussi travailler avec la Tunisie, avec peut-être beaucoup plus encore d’actions que nous faisons jusqu’à présent. La Commission européenne vient de négocier un plan, eh bien il faut le mettre en place désormais, il faut arrêter d’en parler, il faut le faire. Vous savez, les bateaux qui sont produits à Sfax pour venir à Lampedusa, ils sont produits en Tunisie. Donc il faut absolument que nous cassons cet écosystème des passeurs, des trafiquants, parce qu’on ne peut pas continuer comme ça.

      GERALD DARMANIN
      Quand vous dites « nous », c’est-à-dire en partenariat avec la Tunisie ? Comment vous expliquez Monsieur le Ministre qu’il y a eu un afflux aussi soudain ? Est-ce que la Tunisie n’a pas pu ou n’a pas voulu contenir ces arrivées ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne sais pas. J’imagine que le gouvernement tunisien a fait le maximum…

      SONIA MABROUK
      Vous devez avoir une idée.

      GERALD DARMANIN
      On sait qu’on que tous ces gens sont partis de Sfax, donc d’un endroit extrêmement précis où il y a beaucoup de migrants notamment Africains, Subsahariens qui y sont, donc la Tunisie connaît elle-même une difficulté migratoire très forte. On doit manifestement l’aider, mais on doit aussi très bien coopérer avec elle, je crois que c’est ce que fait en ce moment le gouvernement italien, qui rappelle un certain nombre de choses aux Tunisiens, quoi leur rappelle aussi leurs difficultés. Donc, ce qui est sûr c’est que nous avons désormais beaucoup de plans, on a beaucoup de moyens, on a fait beaucoup de déplacements, maintenant il faut appliquer cela. Vous savez, la France, à la demande du président de la République, c’était d’ailleurs à Tourcoing, a proposé un pacte migratoire, qui consistait très simplement à ce que les demandes d’asile ne se fassent plus dans nos pays, mais à la frontière. Tout le monde l’a adopté, y compris le gouvernement de madame MELONI. C’est extrêmement efficace puisque l’idée c’est qu’on dise que les gens, quand ils rentrent sur le territoire européen, ne sont pas juridiquement sur le territoire européen, que nous regardions leur asile en quelques jours, et nous les renvoyons. Il faut que l’Italie…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe.

      GERALD DARMANIN
      Il faut que l’Italie anticipe, anticipe la mise en place de ce dispositif. Et pourquoi il n’a pas encore été mis en place ? Parce que des députés européens, ceux du Rassemblement national, ont voté contre. C’est-à-dire que l’on est dans une situation politique un peu étonnante, où la France trouve une solution, la demande d’asile aux frontières, beaucoup plus efficace. Le gouvernement de madame MELONI, dans lequel participe monsieur SALVINI, est d’accord avec cette proposition, simplement ceux qui bloquent ça au Parlement européen, c’est le Rassemblement national, qui après va en Italie pour dire que l’Europe ne fait rien.

      SONIA MABROUK
      Sauf que, Monsieur le Ministre…

      GERALD DARMANIN
      Donc on voit bien qu’il y a du tourisme électoral de la part de madame LE PEN…

      SONIA MABROUK
      Vous le dénoncez.

      GERALD DARMANIN
      Il faut désormais être ferme, ce que je vous dis, nous n’accueillerons pas les migrants sur le territoire européen…

      SONIA MABROUK
      Mais un migrant, sur le sol européen aujourd’hui, sait qu’il va y rester. La vocation est d’y rester.

      GERALD DARMANIN
      Non, c’est tout à fait faux, nous faisons des retours. Nous avons par exemple dans les demandes d’asile, prévu des Ivoiriens. Bon. Nous avons des personnes qui viennent du Cameroun, nous avons des personnes qui viennent de Gambie. Avec ces pays nous avons d’excellentes relations politiques internationales, et nous renvoyons tous les jours dans ces pays des personnes qui n’ont rien à faire pour demander l’asile en France ou en Europe. Donc c’est tout à fait faux, avec certains pays nous avons plus de difficultés, bien sûr, parce qu’ils sont en guerre, comme la Syrie, comme l’Afghanistan bien sûr, mais avec beaucoup de pays, la Tunisie, la Gambie, la Côte d’Ivoire, le Sénégal, le Cameroun, nous sommes capables d’envoyer très rapidement ces personnes chez elles.

      SONIA MABROUK
      Lorsque le patron du Rassemblement national Jordan BARDELLA, ou encore Eric ZEMMOUR, ou encore Marion MARECHAL sur place, dit : aucun migrant de Lampedusa ne doit arriver en France. Est-ce que vous êtes capable de tenir, si je puis dire cette déclaration ? Vous dites : c’est totalement illusoire.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur BARDELLA il fait de la politique politicienne, et malheureusement sur le dos de ses amis italiens, sur le dos de femmes et d’hommes, puisqu’il ne faut jamais oublier que ces personnes évidemment connaissent des difficultés extrêmement fortes. Il y a un bébé qui est mort à Lampedusa voilà quelques heures, et évidemment sur le dos de l’intelligence politique que les Français ont. Le Front national vote systématiquement contre toutes les mesures que nous proposons au niveau européen, chacun voit que c’est un sujet européen, c’est pour ça d’ailleurs qu’il se déplace, j’imagine, en Italie…

      SONIA MABROUK
      Ils ne sont pas d’accord avec votre politique, Monsieur le Ministre, ça ne surprend personne.

      GERALD DARMANIN
      Non mais monsieur SALVINI madame MELONI, avec le gouvernement français, ont adopté un texte commun qui prévoit une révolution : la demande d’asile aux frontières. Monsieur BARDELLA, lui il parle beaucoup, mais au Parlement européen il vote contre. Pourquoi ? Parce qu’il vit des problèmes. La vérité c’est que monsieur BARDELLA, comme madame Marion MARECHAL LE PEN, on a compris qu’il y a une sorte de concurrence dans la démagogie à l’extrême droite, eux, ce qu’ils veulent c’est vivre des problèmes. Quand on leur propose de résoudre les problèmes, l’Europe avec le président de la République a essayé de leur proposer de les résoudre. Nous avons un accord avec madame MELONI, nous faisons la demande d’asile aux frontières, nous considérons qu’il n’y a plus d’asile en Europe, tant qu’on n’a pas étudié aux frontières cet asile. Quand le Rassemblement national vote contre, qu’est-ce qui se passe ? Eh bien ils ne veulent pas résoudre les problèmes, ils veulent pouvoir avoir une sorte de carburant électoral, pour pouvoir dire n’importe quoi, comme ils l’ont fait ce week-end encore.

      SONIA MABROUK
      Ce matin, sur les 5 000, 6 000 qui sont arrivés à Lampedusa, combien seront raccompagnés, combien n’ont pas vocation et ne resteront pas sur le sol européen ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, c’est difficile. C’est difficile à savoir, parce que moi je ne suis pas les autorités italiennes, c’est pour ça que à la demande, du président je vais à Rome cet après-midi, mais de notre point de vue, de ce que nous en savons des autorités italiennes, beaucoup doivent être accompagnés, puisqu’encore une fois je comprends que sur à peu près 8 000 ou 9 000 personnes qui sont arrivées, il y a beaucoup de gens qui viennent de pays qui ne connaissent pas de persécution politique, ni au Cameroun, ni en Côte d’Ivoire, ni bien sûr en Gambie, ni en Tunisie, et donc ces personnes, bien sûr, doivent repartir dans leur pays et la France doit les aider à repartir.

      SONIA MABROUK
      On note Gérald DARMANIN que vous avez un discours, en tout cas une tonalité très différente à l’égard de madame MELONI, on se souvient tous qu’il y a eu quasiment une crise diplomatique il y a quelques temps, lorsque vous avez dit qu’elle n’était pas capable de gérer ces questions migratoires sur lesquelles elle a été… elle est arrivée au pouvoir avec un discours très ferme, aujourd’hui vous dites « non, je la soutiens madame MELONI », c’est derrière nous toutes ces déclarations, que vous avez tenues ?

      GERALD DARMANIN
      Je ne suis pas là pour soutenir madame MELONI, non, je dis simplement que lorsqu’on vote pour des gouvernements qui vous promettent tout, c’est le cas aussi de ce qui s’est passé avec le Brexit en Grande-Bretagne, les Français doivent comprendre ça. Lorsqu’on vous dit " pas un migrant ne viendra, on fera un blocus naval, vous allez voir avec nous on rase gratis ", on voit bien que la réalité dépasse largement ces engagements.

      SONIA MABROUK
      Elle a réitéré le blocus naval !

      GERALD DARMANIN
      Le fait est qu’aujourd’hui nous devons gérer une situation où l’Italie est en grande difficulté, et on doit aider l’Italie, parce qu’aider l’Italie, d’abord c’est nos frères et nos soeurs les Italiens, mais en plus c’est la continuité, évidemment, de ce qui va se passer en France, donc moi je suis là pour protéger les Français, je suis là pour protéger les Français parce que le président de la République souhaite que nous le faisions dans un cadre européen, et c’est la seule solution qui vaille, parce que l’Europe doit parler d’une seule voix…

      SONIA MABROUK
      C’est la seule solution qui vaille ?

      GERALD DARMANIN
      Oui, c’est la seule solution qui vaille…

      SONIA MABROUK
      Vous savez que l’Allemagne a changé, enfin elle n’en voulait pas, finalement là, sur les migrants, elle change d’avis, la Hongrie, la Pologne, je n’en parle même pas, la situation devient quand même intenable.

      GERALD DARMANIN
      La France a un rôle moteur dans cette situation de ce week-end, vous avez vu les contacts diplomatiques que nous avons eus, on est heureux d’avoir réussi à faire bouger nos amis Allemands sur cette situation. Les Allemands connaissent aussi une difficulté forte, ils ont 1 million de personnes réfugiées ukrainiens, ils ont une situation compliquée par rapport à la nôtre aussi, mais je constate que l’Allemagne et la France parlent une nouvelle fois d’une seule voix.

      SONIA MABROUK
      Mais l’Europe est en ordre dispersé, ça on peut le dire, c’est un constat lucide.

      GERALD DARMANIN
      L’Europe est dispersée parce que l’Europe, malheureusement, a des intérêts divergents, mais l’Europe a réussi à se mettre d’accord sur la proposition française, encore une fois, une révolution migratoire qui consiste à faire des demandes d’asile à la frontière. Nous nous sommes mis d’accord entre tous les pays européens, y compris madame MELONI, ceux qui bloquent c’est le Rassemblement national, et leurs amis, au Parlement européen, donc plutôt que de faire du tourisme migratoire à Lampedusa comme madame Marion MARECHAL LE PEN, ou raconter n’importe quoi comme monsieur BARDELLA, ils feraient mieux de faire leur travail de députés européens, de soutenir la France, d’être un peu patriotes pour une fois, de ne pas faire la politique du pire…

      SONIA MABROUK
      Vous leur reprochez un défaut de patriotisme à ce sujet-là ?

      GERALD DARMANIN
      Quand on ne soutient pas la politique de son gouvernement, lorsque l’on fait l’inverser…

      SONIA MABROUK
      Ça s’appelle être dans l’opposition parfois Monsieur le Ministre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais on ne peut pas le faire sur le dos de femmes et d’hommes qui meurent, et moi je vais vous dire, le Rassemblement national aujourd’hui n’est pas dans la responsabilité politique. Qu’il vote ce pacte migratoire très vite, que nous puissions enfin, concrètement, aider nos amis Italiens, c’est sûr qu’il y aura moins d’images dramatiques, du coup il y aura moins de carburant pour le Rassemblement national, mais ils auront fait quelque chose pour leur pays.

      SONIA MABROUK
      Vous les accusez, je vais employer ce mot puisque la ministre Agnès PANNIER-RUNACHER l’a employé elle-même, de « charognards » là, puisque nous parlons de femmes et d’hommes, de difficultés aussi, c’est ce que vous êtes en train de dire ?

      GERALD DARMANIN
      Moi je ne comprends pas pourquoi on passe son temps à faire des conférences de presse en Italie, à Lampedusa, en direct sur les plateaux de télévision, lorsqu’on n’est pas capable, en tant que parlementaires européens, de voter un texte qui permet concrètement de lutter contre les difficultés migratoires. Encore une fois, la révolution que la France a proposée, et qui a été adoptée, avec le soutien des Italiens, c’est ça qui est paradoxal dans cette situation, peut être résolue si nous mettons en place…

      SONIA MABROUK
      Résolue…

      GERALD DARMANIN
      Bien sûr ; si nous mettons en place les demandes d’asile aux frontières, on n’empêchera jamais les gens de traverser la Méditerranée, par contre on peut très rapidement leur dire qu’ils ne peuvent pas rester sur notre sol, qu’ils ne sont pas des persécutés…

      SONIA MABROUK
      Comment vous appelez ce qui s’est passé, Monsieur le Ministre, est-ce que vous dites c’est un afflux soudain et massif, ou est-ce que vous dites que c’est une submersion migratoire, le diagnostic participe quand même de la résolution des défis et des problèmes ?

      GERALD DARMANIN
      Non, mais sur Lampedusa, qui est une île évidemment tout au sud de la Méditerranée, qui est même au sud de Malte, il y a 6000 habitants, lorsqu’il y a entre 6 et 8 000 personnes qui viennent en quelques jours évidemment c’est une difficulté immense, et chacun le comprend, pour les habitants de Lampedusa.

      SONIA MABROUK
      Comment vous qualifiez cela ?

      GERALD DARMANIN
      Mais là manifestement il y a à Sfax une difficulté extrêmement forte, où on a laissé passer des centaines de bateaux, fabriqués d’ailleurs, malheureusement….

      SONIA MABROUK
      Donc vous avez un gros problème avec les pays du Maghreb, en l’occurrence la Tunisie ?

      GERALD DARMANIN
      Je pense qu’il y a un énorme problème migratoire interne à l’Afrique, encore une fois la Tunisie, parfois même l’Algérie, parfois le Maroc, parfois la Libye, ils subissent eux-mêmes une pression migratoire d’Afrique, on voit bien que la plupart du temps ce sont des nationalités du sud du Sahel, donc les difficultés géopolitiques que nous connaissons ne sont pas pour rien dans cette situation, et nous devons absolument aider l’Afrique à absolument aider les Etats du Maghreb. On peut à la fois les aider, et en même temps être très ferme, on peut à la fois aider ces Etats à lutter contre l’immigration interne à l’Afrique, et en même temps expliquer…

      SONIA MABROUK
      Ça n’empêche pas la fermeté.

      GERALD DARMANIN
      Que toute personne qui vient en Europe ne sera pas accueillie chez nous.

      SONIA MABROUK
      Encore une question sur ce sujet. Dans les différents reportages effectués à Lampedusa on a entendu certains migrants mettre en avant le système social français, les aides possibles, est-ce que la France, Gérald DARMANIN, est trop attractive, est-ce que notre modèle social est trop généreux et c’est pour cela qu’il y a ces arrivées aussi ?

      GERALD DARMANIN
      Alors, je ne suis pas sûr qu’on traverse le monde en se disant « chouette, il y a ici une aide sociale particulièrement aidante », mais il se peut…

      SONIA MABROUK
      Mais quand on doit choisir entre différents pays ?

      GERALD DARMANIN
      Mais il se peut qu’une fois arrivées en Europe, effectivement, un certain nombre de personnes, aidées par des passeurs, aidées parfois par des gens qui ont de bonnes intentions, des associations, se disent « allez dans ce pays-là parce qu’il y a plus de chances de », c’est ce pourquoi nous luttons. Quand je suis arrivé au ministère de l’Intérieur nous étions le deuxième pays d’Europe qui accueille le plus de demandeurs d’asile, aujourd’hui on est le quatrième, on doit pouvoir continuer à faire ce travail, nous faisons l’inverse de certains pays autour de nous, par exemple l’Allemagne qui ouvre plutôt plus de critères, nous on a tendance à les réduire, et le président de la République, dans la loi immigration, a proposé beaucoup de discussions pour fermer un certain nombre d’actions d’accueil. Vous avez la droite, LR, qui propose la transformation de l’AME en Aide Médicale d’Urgence, nous sommes favorables à étudier cette proposition des LR, j’ai moi-même proposé un certain nombre de dispositions extrêmement concrètes pour limiter effectivement ce que nous avons en France et qui parfois est différent des pays qui nous entourent et qui peuvent conduire à cela. Et puis enfin je terminerai par dire, c’est très important, il faut lutter contre les passeurs, la loi immigration que je propose passe de délit a crime, avec le garde des Sceaux on a proposé qu’on passe de quelques années de prison à 20 ans de prison pour ceux qui trafiquent des êtres humains, aujourd’hui quand on arrête des passeurs, on en arrête tous les jours grâce à la police française, ils ne sont condamnés qu’à quelques mois de prison, alors que demain, nous l’espérons, ils seront condamnés bien plus.

      SONIA MABROUK
      Bien. Gérald DARMANIN, sur CNews et Europe 1 notre « Grande interview » s’intéresse aussi à un nouveau refus d’obtempérer qui a dégénéré à Stains, je vais raconter en quelques mots ce qui s’est passé pour nos auditeurs et téléspectateurs, des policiers ont pris en chasse un deux-roues, rapidement un véhicule s’est interposé pour venir en aide aux fuyards, un policier a été violemment pris à partie, c’est son collègue qui est venu pour l’aider, qui a dû tirer en l’air pour stopper une scène de grande violence vis-à-vis de ce policier, comment vous réagissez par rapport à cela ?

      GERALD DARMANIN
      D’abord trois choses. Les policiers font leur travail, et partout sur le territoire national, il n’y a pas de territoires perdus de la République, il y a des territoires plus difficiles, mais Stains on sait tous que c’est une ville à la fois populaire et difficile pour la police nationale. La police le samedi soir fait des contrôles, lorsqu’il y a des refus d’obtempérer, je constate que les policiers sont courageux, et effectivement ils ont été violentés, son collègue a été très courageux de venir le secourir, et puis troisièmement force est restée à la loi, il y a eu cinq interpellations, ils sont présentés aujourd’hui…

      SONIA MABROUK
      A quel prix.

      GERALD DARMANIN
      Oui, mais c’est le travail…

      SONIA MABROUK
      A quel prix pour le policier.

      GERALD DARMANIN
      Malheureusement c’est le travail, dans une société très violente…

      SONIA MABROUK
      D’être tabassé ?

      GERALD DARMANIN
      Dans une société très violente les policiers, les gendarmes, savent la mission qu’ils ont, qui est une mission extrêmement difficile, je suis le premier à les défendre partout sur les plateaux de télévision, je veux dire qu’ils ont réussi, à la fin, à faire entendre raison à la loi, les Français doivent savoir ce matin que cinq personnes ont été interpellées, présentées devant le juge.

      SONIA MABROUK
      Pour quel résultat, Monsieur le Ministre ?

      GERALD DARMANIN
      Eh bien moi je fais confiance en la justice.

      SONIA MABROUK
      Parfois on va les trouver à l’extérieur.

      GERALD DARMANIN
      Non non, je fais confiance en la justice, quand on…

      SONIA MABROUK
      Ça c’est le principe. On fait tous, on aimerait tous faire confiance à la justice.

      GERALD DARMANIN
      Non, mais quand on moleste un policier, j’espère que les peines seront les plus dures possible.

      SONIA MABROUK
      On va terminer avec une semaine intense et à risques qui s’annonce, la suite de la Coupe du monde de rugby, la visite du roi Charles III, le pape à Marseille. Vous avez appelé les préfets à une très haute vigilance. C’est un dispositif exceptionnel pour relever ces défis, qui sera mis en oeuvre.

      GERALD DARMANIN
      Oui, donc cette semaine la France est au coeur du monde par ces événements, la Coupe du monde de rugby qui continue, et qui se passe bien. Vous savez, parfois ça nous fait sourire. La sécurité ne fait pas de bruit, l’insécurité en fait, mais depuis le début de cette Coupe du monde, les policiers, des gendarmes, les pompiers réussissent à accueillir le monde en de très très bonnes conditions, tant mieux, il faut que ça continue bien sûr. Le pape qui vient deux jours à Marseille, comme vous l’avez dit, et le roi Charles pendant trois jours. Il y aura jusqu’à 30 000 policiers samedi, et puis après il y a quelques événements comme PSG - OM dimanche prochain, c’est une semaine…

      SONIA MABROUK
      Important aussi.

      GERALD DARMANIN
      C’est une semaine horribilis pour le ministre de l’Intérieur et pour les policiers et les gendarmes, et nous le travaillons avec beaucoup de concentration, le RAID, le GIGN est tout à fait aujourd’hui prévu pour tous ces événements, et nous sommes capables d’accueillir ces grands événements mondiaux en une semaine, c’est l’honneur de la police nationale et de la gendarmerie nationale.

      SONIA MABROUK
      Merci Gérald DARMANIN.

      GÉRALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Vous serez donc cet après-midi…

      GÉRALD DARMANIN
      A Rome.

      SONIA MABROUK
      …à Rome avec votre homologue évidemment de l’Intérieur. Merci encore de nous avoir accordé cet entretien.

      GERALD DARMANIN
      Merci à vous.

      SONIA MABROUK
      Et bonne journée sur Cnews et Europe 1

      https://www.vie-publique.fr/discours/291092-gerald-darmanin-18092023-immigration

      #Darmanin #demandes_d'asile_à_la_frontière

    • Darmanin: ’La Francia non accoglierà migranti da Lampedusa’

      Ma con Berlino apre alla missione navale. Il ministro dell’Interno francese a Roma. Tajani: ’Fa fede quello che dice Macron’. Marine Le Pen: ’Dobbianmo riprendere il controllo delle nostre frontiere’

      «La Francia non prenderà nessun migrante da Lampedusa». All’indomani della visita di Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni sull’isola a largo della Sicilia, il governo transalpino torna ad alzare la voce sul fronte della solidarietà e lo fa, ancora una volta, con il suo ministro dell’Interno Gerald Darmanin.

      La sortita di Parigi giunge proprio mentre, da Berlino, arriva l’apertura alla richiesta italiana di una missione navale comune per aumentare i controlli nel Mediterraneo, idea sulla quale anche la Francia si dice pronta a collaborare.

      Sullo stesso tenore anche le dichiarazioni Marine Le Pen. «Nessun migrante da Lampedusa deve mettere piede in Francia. Serve assolutamente una moratoria totale sull’immigrazione e dobbiamo riprendere il controllo delle nostre frontiere. Spetta a noi nazioni decidere chi entra e chi resta sul nostro territorio». Lo ha detto questa sera Marine Le Pen, leader dell’estrema destra francese del Rassemblement National, «Quelli che fanno appello all’Unione europea si sbagliano - ha continuato Le Pen - perché è vano e pericoloso. Vano perché l’Unione europea vuole l’immigrazione, pericoloso perché lascia pensare che deleghiamo all’Unione europea la decisione sulla politica di immigrazione che dobbiamo condurre. Spetta al popolo francese decidere e bisogna rispettare la sua decisione».

      La strada per la messa a punto di un’azione Ue, tuttavia, resta tremendamente in salita anche perché è segnata da uno scontro interno alle istituzioni comunitarie sull’intesa con Tunisi: da un lato il Consiglio Ue, per nulla soddisfatto del modus operandi della Commissione, e dall’altro l’esecutivo europeo, che non ha alcuna intenzione di abbandonare la strada tracciata dal Memorandum siglato con Kais Saied. «Sarebbe un errore di giudizio considerare che i migranti, siccome arrivano in Europa, devono essere subito ripartiti in tutta Europa e in Francia, che fa ampiamente la sua parte», sono state le parole con cui Darmamin ha motiva il suo no all’accoglienza. Il ministro lo ha spiegato prima di recarsi a Roma, su richiesta del presidente Emmanuel Macron, per un confronto con il titolare del Viminale Matteo Piantedosi. Ed è proprio a Macron che l’Italia sembra guardare, legando le frasi di Darmanin soprattutto alle vicende politiche interne d’Oltralpe. «Fa fede quello che dice Macron e quello che dice il ministro degli Esteri, mi pare che ci sia voglia di collaborare», ha sottolineato da New York il titolare della Farnesina Antonio Tajani invitando tutti, in Italia e in Ue, a non affrontare il dossier con «slogan da campagna elettorale».

      Eppure la sortita di Darmanin ha innescato l’immediata reazione della maggioranza, soprattutto dalle parti di Matteo Salvini. «Gli italiani si meritano fatti concreti dalla Francia e dall’Europa», ha tuonato la Lega. Nel piano Ue su Lampedusa il punto dell’accoglienza è contenuto nel primo dei dieci punti messi neri su bianco. Ma resta un concetto legato alla volontarietà. Che al di là della Francia, per ora trova anche il no dell’Austria. Il nodo è sempre lo stesso: i Paesi del Nord accusano Roma di non rispettare le regole sui movimenti secondari, mentre l’Italia pretende di non essere l’unico approdo per i migranti in arrivo. Il blocco delle partenze, in questo senso, si presenta come l’unica mediazione politicamente percorribile. Berlino e Parigi si dicono pronte a collaborare su un maggiore controllo aereo e navale delle frontiere esterne. L’Ue sottolinea di essere «disponibile a esplorare l’ipotesi», anche se la «decisione spetta agli Stati».

      Il raggio d’azione di von der Leyen, da qui alle prossime settimane, potrebbe tuttavia restringersi: sull’intesa con Tunisi l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell, il servizio giuridico del Consiglio Ue e alcuni Paesi membri - Germania e Lussemburgo in primis - hanno mosso riserve di metodo e di merito. L’accusa è duplice: il Memorandum con Saied non solo non garantisce il rispetto dei diritti dei migranti ma è stato firmato dal cosiddetto ’team Europe’ (von der Leyen, Mark Rutte e Meloni) senza l’adeguata partecipazione del Consiglio. Borrell lo ha messo nero su bianco in una missiva indirizzata al commissario Oliver Varhelyi e a von der Leyen. «Gli Stati membri sono stati informati e c’è stato ampio sostegno», è stata la difesa della Commissione. Invero, al Consiglio europeo di giugno l’intesa incassò l’endorsement dei 27 ma il testo non era stato ancora ultimato. E non è arrivato al tavolo dei rappresentanti permanenti se non dopo essere stato firmato a Cartagine. Ma, spiegano a Palazzo Berlaymont, l’urgenza non permetteva rallentamenti. I fondi per Tunisi, tuttavia, attendono ancora di essere esborsati. La questione - assieme a quella del Patto sulla migrazione e al Piano Lampedusa - è destinata a dominare le prossime riunioni europee: quella dei ministri dell’Interno del 28 settembre e, soprattutto, il vertice informale dei leader previsto a Granada a inizio ottobre.

      https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/09/18/darmanin-la-francia-non-accogliera-migranti-da-lampedusa_2f53eae6-e8f7-4b82-9d7

    • Lampedusa : les contrevérités de Gérald Darmanin sur le profil des migrants et leur droit à l’asile

      Le ministre de l’Intérieur persiste à dire, contre la réalité du droit et des chiffres, que la majorité des migrants arrivés en Italie la semaine dernière ne peuvent prétendre à l’asile.

      A en croire Gérald Darmanin, presque aucune des milliers de personnes débarquées sur les rives de l’île italienne de Lampedusa depuis plus d’une semaine ne mériterait d’être accueillie par la France. La raison ? D’un côté, affirme le ministre de l’Intérieur, il y aurait les « réfugiés » fuyant des persécutions politiques ou religieuses, et que la France se ferait un honneur d’accueillir. « Et puis, il y a les migrants », « des personnes irrégulières » qui devraient être renvoyées dans leur pays d’origine le plus rapidement possible, a-t-il distingué, jeudi 22 septembre sur BFMTV.

      « S’il s’agit de prendre les migrants tels qu’ils sont : 60 % d’entre eux viennent de pays tels que la Côte d’Ivoire, comme la Guinée, comme la Gambie, il n’y a aucune raison [qu’ils viennent] », a-t-il en sus tonné sur CNews, lundi 18 septembre. Une affirmation serinée mardi sur TF1 dans des termes semblables : « 60 % des personnes arrivées à Lampedusa sont francophones. Il y a des Ivoiriens et des Sénégalais, qui n’ont pas à demander l’asile en Europe. »
      Contredit par les données statistiques italiennes

      D’après le ministre – qui a expliqué par la suite tenir ses informations de son homologue italien – « l’essentiel » des migrants de Lampedusa sont originaires du Cameroun, du Sénégal, de Côte-d’Ivoire, de Gambie ou de Tunisie. Selon le ministre, leur nationalité les priverait du droit de demander l’asile. « Il n’y aura pas de répartition de manière générale puisque ce ne sont pas des réfugiés », a-t-il prétendu, en confondant par la même occasion les demandeurs d’asiles et les réfugiés, soit les personnes dont la demande d’asile a été acceptée.

      https://twitter.com/BFMTV/status/1704749840133923089

      Interrogé sur le profil des migrants arrivés à Lampedusa, le ministère de l’Intérieur italien renvoie aux statistiques de l’administration du pays. A rebours des propos définitifs de Gérald Darmanin sur la nationalité des personnes débarquées sur les rives italiennes depuis la semaine dernière, on constate, à l’appui de ces données, qu’une grande majorité des migrants n’a pas encore fait l’objet d’une procédure d’identification. Sur les 16 911 personnes arrivées entre le 11 et le 20 septembre, la nationalité n’est précisée que pour 30 % d’entre elles.

      En tout, 12 223 personnes, soit 72 % des personnes arrivées à Lampedusa, apparaissent dans la catégorie « autres » nationalités, qui mélange des ressortissants de pays peu représentés et des migrants dont l’identification est en cours. A titre de comparaison, au 11 septembre, seulement 30 % des personnes étaient classées dans cette catégorie. Même si la part exacte de migrants non identifiés n’est pas précisée, cette catégorie apparaît être un bon indicateur de l’avancée du travail des autorités italiennes.

      Parmi les nationalités relevées entre le 11 et 20 septembre, le ministère de l’Intérieur italien compte effectivement une grande partie de personnes qui pourraient être francophones : 1 600 Tunisiens, 858 Guinéens, 618 Ivoiriens, 372 Burkinabés, presque autant de Maliens, 253 Camerounais, mais aussi des ressortissants moins susceptibles de connaître la langue (222 Syriens, environ 200 Egyptiens, 128 Bangladais et 74 Pakistanais).

      A noter que selon ces statistiques italiennes partielles, il n’est pas fait état de ressortissants sénégalais et gambiens évoqués par Gérald Darmanin. Les données ne disent rien, par ailleurs, du genre ou de l’âge de ces arrivants. « La plupart sont des hommes mais aussi on a aussi vu arriver des familles, des mères seules ou des pères seuls avec des enfants et beaucoup de mineurs non accompagnés, des adolescents de 16 ou 17 ans », décrivait à CheckNews la responsable des migrations de la Croix-Rouge italienne, Francesca Basile, la semaine dernière.

      Légalement, toutes les personnes arrivées à Lampedusa peuvent déposer une demande d’asile, s’ils courent un danger dans leur pays d’origine. « Il ne s’agit pas seulement d’un principe théorique. En vertu du droit communautaire et international, toute personne – quelle que soit sa nationalité – peut demander une protection internationale, et les États membres de l’UE ont l’obligation de procéder à une évaluation individuelle de chaque demande », a ainsi rappelé à CheckNews l’agence de l’union européenne pour l’asile. L’affirmation de Gérald Darmanin selon laquelle des migrants ne seraient pas éligibles à l’asile en raison de leur nationalité est donc fausse.

      Par ailleurs, selon le règlement de Dublin III, la demande d’asile doit être instruite dans le premier pays où la personne est arrivée au sein de l’Union européenne (à l’exception du Danemark), de la Suisse, de la Norvège, de l’Islande et du Liechtenstein. Ce sont donc aux autorités italiennes d’enregistrer et de traiter les demandes des personnes arrivées à Lampedusa. Dans certains cas, des transferts peuvent être opérés vers un pays signataires de l’accord de Dublin III, ainsi du rapprochement familial. Si les demandes d’asile vont être instruites en Italie, les chiffes de l’asile en France montrent tout de même que des ressortissants des pays cités par Gérald Darmanin obtiennent chaque année une protection dans l’Hexagone.

      Pour rappel, il existe deux formes de protections : le statut de réfugié et la protection subsidiaire. Cette dernière peut être accordée à un demandeur qui, aux yeux de l’administration, ne remplit pas les conditions pour être considéré comme un réfugié, mais qui s’expose à des risques grave dans son pays, tels que la torture, des traitements inhumains ou dégradants, ainsi que des « menaces grave et individuelle contre sa vie ou sa personne en raison d’une violence qui peut s’étendre à des personnes sans considération de leur situation personnelle et résultant d’une situation de conflit armé interne ou international », liste sur son site internet la Cour nationale du droit d’asile (CNDA), qui statue en appel sur les demandes de protection.
      Contredit aussi par la réalité des chiffres en France

      Gérald Darmanin cite à plusieurs reprises le cas des migrants originaires de Côte-d’Ivoire comme exemple de personnes n’ayant selon lui « rien à faire » en France. La jurisprudence de la CNDA montre pourtant des ressortissants ivoiriens dont la demande de protection a été acceptée. En 2021, la Cour a ainsi accordé une protection subsidiaire à une femme qui fuyait un mariage forcé décidé par son oncle, qui l’exploitait depuis des années. La Cour avait estimé que les autorités ivoiriennes étaient défaillantes en ce qui concerne la protection des victimes de mariages forcés, malgré de récentes évolutions législatives plus répressives.

      D’après l’Office de protection des réfugiés et apatrides (Ofrpa), qui rend des décisions en première instance, les demandes d’asile de ressortissants ivoiriens (environ 6 000 en 2022) s’appuient très souvent sur des « problématiques d’ordre sociétal […], en particulier les craintes liées à un risque de mariage forcé ou encore l’exposition des jeunes filles à des mutilations sexuelles ». En 2022, le taux de demandes d’Ivoiriens acceptées par l’Ofrpa (avant recours éventuel devant la CNCDA) était de 27,3 % sur 6 727 décisions contre un taux moyen d’admission de 26,4 % pour le continent africain et de 29,2 % tous pays confondus. Les femmes représentaient la majorité des protections accordées aux ressortissants de Côte-d’Ivoire.

      Pour les personnes originaires de Guinée, citées plusieurs fois par Gérald Darmanin, les demandes sont variées. Certaines sont déposées par des militants politiques. « Les demandeurs se réfèrent à leur parcours personnel et à leur participation à des manifestations contre le pouvoir, qu’il s’agisse du gouvernement d’Alpha Condé ou de la junte militaire », décrit l’Ofpra. D’autre part des femmes qui fuient l’excision et le mariage forcé. En 2022, le taux d’admission par l’Ofpra était de 33,4 % pour 5 554 décisions.
      Jurisprudence abondante

      S’il est vrai que ces nationalités (Guinée et Côte-d’Ivoire) ne figurent pas parmi les taux de protections les plus élevées, elles figurent « parmi les principales nationalités des bénéficiaires de la protection internationale » en 2022, aux côtés des personnes venues d’Afghanistan ou de Syrie, selon l’Ofpra. Les ressortissants tunisiens, qui déposent peu de demandes (439 en 2022), présentent un taux d’admission de seulement 10 %.

      La jurisprudence abondante produite par la CNDA montre que, dans certains cas, le demandeur peut obtenir une protection sur la base de son origine géographique, jugée dangereuse pour sa sécurité voire sa vie. C’est le cas notamment du Mali. En février 2023, la Cour avait ainsi accordé la protection subsidiaire à un Malien originaire de Gao, dans le nord du pays. La Cour avait estimé qu’il s’exposait, « en cas de retour dans sa région d’origine du seul fait de sa présence en tant que civil, [à] un risque réel de subir une menace grave contre sa vie ou sa personne sans être en mesure d’obtenir la protection effective des autorités de son pays ».

      « Cette menace est la conséquence d’une situation de violence, résultant d’un conflit armé interne, susceptible de s’étendre indistinctement aux civils », avait-elle expliqué dans un communiqué. Au mois de juin, à la suite des déclarations d’un demandeur possédant la double nationalité malienne et nigérienne, la Cour avait jugé que les régions de Ménaka au Mali et de Tillaberi au Niger étaient en situation de violence aveugle et d’intensité exceptionnelle, « justifiant l’octroi de la protection subsidiaire prévue par le droit européen ».

      D’après le rapport 2023 de l’agence de l’Union européenne pour l’asile, le taux de reconnaissance en première instance pour les demandeurs guinéens avoisinait les 30 %, et un peu plus de 20 % pour ressortissants ivoiriens à l’échelle de l’UE, avec un octroi en majorité, pour les personnes protégées, du statut de réfugié. Concernant le Mali, le taux de reconnaissance dépassait les 60 %, principalement pour de la protection subsidiaire. Ces données européennes qui confirment qu’il est infondé d’affirmer, comme le suggère le ministre de l’Intérieur, que les nationalités qu’il cite ne sont pas éligibles à l’asile.

      En revanche, dans le cadre du mécanisme « de solidarité », qui prévoit que les pays européens prennent en charge une partie des demandeurs, les Etats « restent souverains dans le choix du nombre et de la nationalité des demandeurs accueillis ». « Comme il s’agit d’un mécanisme volontaire, le choix des personnes à transférer est laissé à l’entière discrétion de l’État membre qui effectue le transfert », explique l’agence de l’union européenne pour l’asile, qui précise que les Etats « tendent souvent à donner la priorité aux nationalités qui ont le plus de chances de bénéficier d’un statut de protection », sans plus de précisions sur l’avancée des négociations en cours.

      https://www.liberation.fr/checknews/lampedusa-les-contreverites-de-gerald-darmanin-sur-le-profil-des-migrants

      #fact-checking

    • #Fanélie_Carrey-Conte sur X :

      Comme une tragédie grecque, l’impression de connaître à l’avance la conclusion d’une histoire qui finit mal.
      A chaque fois que l’actualité remet en lumière les drames migratoires, la même mécanique se met en place. D’abord on parle d’"#appel_d'air", de « #submersion », au mépris de la réalité des chiffres, et du fait que derrière les statistiques, il y a des vies, des personnes.
      Puis l’#extrême_droite monte au créneau, de nombreux responsables politiques lui emboîtent le pas. Alors les institutions européennes mettent en scène des « #plans_d'urgence, » des pactes, censés être « solidaires mais fermes », toujours basés en réalité sur la même logique:chercher au maximum à empêcher en Europe les migrations des « indésirables », augmenter la #sécurisation_des_frontières, prétendre que la focalisation sur les #passeurs se fait dans l’intérêt des personnes migrantes, externaliser de plus en plus les politiques migratoires en faisant fi des droits humains.
      Résultat : les migrations, dont on ne cherche d’ailleurs même plus à comprendre les raisons ni les mécanismes qui les sous-tendent, ne diminuent évidemment pas, au contraire ; les drames et les morts augmentent ; l’extrême -droite a toujours autant de leviers pour déployer ses idées nauséabondes et ses récupérations politiques abjectes.
      Et la spirale mortifère continue ... Ce n’est pas juste absurde, c’est avant tout terriblement dramatique. Pourtant ce n’est pas une fatalité : des politiques migratoires réellement fondées sur l’#accueil et l’#hospitalité, le respect des droits et de la #dignité de tout.e.s, cela peut exister, si tant est que l’on en ait la #volonté_politique, que l’on porte cette orientation dans le débat public national et européen, que l’on se mobilise pour faire advenir cet autre possible. A rebours malheureusement de la voie choisie aujourd’hui par l’Europe comme par la France à travers les pactes et projets de loi immigration en cours...

      https://twitter.com/FCarreyConte/status/1703650891268596111

    • Migranti, Oim: “Soluzione non è chiudere le frontiere”

      Il portavoce per l’Italia, Flavio di Giacomo, a LaPresse: «Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa»

      Per risolvere l’emergenza migranti, secondo l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), la soluzione non è chiudere le frontiere. Lo ha dichiarato a LaPresse il portavoce per l’Italia dell’organizzazione, Flavio di Giacomo. La visita della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen a Lampedusa insieme alla premier Giorgia Meloni, ha detto, “è un segnale importante, ma non bisogna scambiare un’emergenza di tipo operativo con ‘bisogna chiudere’, perché non c’è nessuna invasione e la soluzione non è quella di creare deterrenti come trattenere i migranti per 18 mesi. In passato non ha ottenuto nessun effetto pratico e comporta tante spese allo Stato”. Von der Leyen ha proposto un piano d’azione in 10 punti che prevede tra le altre cose di intensificare la cooperazione con l’Unhcr e l’Oim per i rimpatri volontari. “È una cosa che in realtà già facciamo ed è importante che venga implementata ulteriormente“, ha sottolineato Di Giacomo.
      “Organizzare diversamente salvataggi per aiutare Lampedusa”

      “Quest’anno i migranti arrivati in Italia sono circa 127mila rispetto ai 115mila dello stesso periodo del 2015-2016, ma niente di paragonabile agli oltre 850mila giunti in Grecia nel 2015. La differenza rispetto ad allora, quando gli arrivi a Lampedusa erano l’8% mentre quest’anno sono oltre il 70%, è che in questo momento i salvataggi ci sono ma sono fatti con piccole motovedette della Guardia costiera che portano i migranti a Lampedusa, mentre servirebbe un tipo diverso di azione con navi più grandi che vengano distribuite negli altri porti. Per questo l’isola è in difficoltà”, spiega Di Giacomo. “Inoltre, con le partenze in prevalenza dalla Tunisia piuttosto che dalla Libia, i barchini puntano tutti direttamente su Lampedusa”.
      “Priorità stabilizzare situazione in Maghreb”

      Per risolvere la questione, ha aggiunto Di Giacomo, “occorre lavorare per la stabilizzazione e il miglioramento delle condizioni nell’area del Maghreb“. E ha precisato: “La stragrande maggioranza dei flussi migratori africani è interno, ovvero dalla zona sub-sahariana a quella del Maghreb, persone che andavano a vivere in Tunisia e che ora decidono di lasciare il Paese perché vittima di furti, vessazioni e discriminazioni razziali. Questo le porta a imbarcarsi a Sfax con qualsiasi mezzo di fortuna per fare rotta verso Lampedusa”.

      https://www.lapresse.it/cronaca/2023/09/18/migranti-oim-soluzione-non-e-chiudere-le-frontiere

    • Da inizio 2023 in Italia sono sbarcati 133.170 migranti.

      La Ong Humanity1, finanziata anche dal Governo tedesco, ne ha sbarcati 753 (lo 0,6% del totale).
      In totale, Ong battenti bandiera tedesca ne hanno sbarcati 2.720 (il 2% del totale).

      Ma di cosa stiamo parlando?

      https://twitter.com/emmevilla/status/1708121850847309960
      #débarquement #arrivées #ONG #sauvetage

  • Immigration et travail : la grande #hypocrisie française ?

    C’est une tribune parue mardi dans Libération et qui a relancé un éternel débat : “Travailleurs sans papiers, l’appel à régulariser”. Une tribune transpartisane pour dénoncer notre “#hypocrisie_collective” sur la question migratoire.

    Une initiative qui intervient à quelques semaines de la future loi immigration, qui prévoit d’introduire un titre de séjour “#métiers_en_tension”, et qui divise aussi bien à gauche qu’à droite. Les uns craignent un #appel_d’air, la mise en danger de l’#identité française… Les autres dénoncent une vision utilitariste et immorale de l’immigration. Alors comment sortir de la politisation permanente de la question migratoire ? L’immigration est-elle un risque, une opportunité, voire une nécessité pour l’économie française ? Une approche à la fois pragmatique et humaniste est-elle possible ? on en débat avec :

    - Marie-Pierre De La Gontrie, Sénatrice PS de Paris, vice-présidente de la commission des lois constitutionnelles, de législation, du suffrage universel, du règlement et d’administration générale, co-signataire de la tribune "Nous demandons des mesures urgentes, humanistes et concrètes pour la régularisation des travailleurs sans papiers" dans Libération (11.09.23)

    - #Constance_Rivière, Directrice générale du Palais de la Porte Dorée, autrice de "La vie des ombres" aux éditions Stock (06.09.23)

    - #Olivier_Babeau, Essayiste, président de l’Institut Sapiens, professeur en sciences de gestion à l’université de Bordeaux

    - #Sami_Biasoni, Docteur en philosophie de l’École normale supérieure, professeur chargé de cours à l’ESSEC, auteur de "Le statistiquement correct" aux éditions du Cerf (21.09.23)

    - #François_Héran, Démographe, sociologue, professeur au Collège de France, titulaire de la chaire "Migrations et sociétés", auteur de "Immigration : le grand déni" aux éditions du Seuil (03/03/2023)

    https://www.france.tv/france-5/c-ce-soir/saison-4/5204787-immigration-et-travail-la-grande-hypocrisie-francaise.html
    #France #travail #migrations #immigration #sans-papiers #travailleurs_sans-papiers #régularisation #utilitarisme

    ping @karine4 @isskein

    • Loi immigration : « Nous demandons des mesures urgentes, humanistes et concrètes pour la régularisation des travailleurs sans papiers »

      Dans une tribune transpartisane, une trentaine de parlementaires allant du Modem à EE-LV proposent trois mesures pour la régularisation des travailleurs sans papiers, souvent en première ligne dans des secteurs en tension.

      Nous portons un projet humaniste et concret. Nous souhaitons l’adoption de trois mesures urgentes pour l’accès des personnes étrangères au travail.

      Tout d’abord, nous assumons la nécessité d’une régularisation de travailleuses et de travailleurs sans papiers, dans tous ces métiers qui connaissent une forte proportion de personnes placées en situation irrégulière. Ce sont bien souvent ceux que l’on retrouve en première ligne dans les secteurs en tension comme le BTP, l’hôtellerie-restauration, la propreté, la manutention, l’aide à la personne. Des milliers de personnes sont maintenues dans la précarité, a fortiori les vrais-faux indépendants comme auto-entrepreneurs, dans les métiers les plus pénibles comme les plus utiles socialement.

      Ces travailleurs sans papiers contribuent à l’économie et à la vie sociale de notre pays. Sans eux, ces secteurs et des pans entiers de notre pays ne pourraient fonctionner. La France qui se lève tôt, ce sont aussi elles et eux, si utiles, si nécessaires. Et pourtant ils n’ont pas officiellement le droit de travailler faute de pouvoir disposer d’un titre de séjour.

      Si ces immigrés travaillent tout de même, c’est pour survivre et parce que les employeurs ont besoin de salariés. Les pouvoirs publics ferment les yeux ou ignorent leur situation en raison du caractère indispensable de ces travailleurs pour notre économie et pour répondre aux besoins sociaux. Leur précarisation est le résultat d’une hypocrisie collective : ne pas les autoriser légalement à travailler mais continuer à solliciter leurs concours. Sans papiers, sans reconnaissance, ils éprouvent les plus grandes difficultés pour se nourrir, se loger, se soigner et accéder à une vie sociale normale. La clandestinité les invisibilise, les fragilise et les condamne à la précarisation et à la désocialisation. Faute de pouvoir faire valoir leurs droits, ils acceptent de faibles salaires qui pèsent sur le niveau des rémunérations dans certains secteurs.

      A cela s’ajoutent toutes celles et ceux qui sont présents sur le territoire national et qui sont empêchés de travailler faute de papiers. Ils n’ont d’autres solutions que de recourir à l’hébergement d’urgence ou à d’autres solutions de fortune. Alors qu’ils ne demandent qu’à travailler. Ils pourraient le faire directement ou après une formation que de nombreuses branches professionnelles et des centres de formation publics sont prêts à développer. L’accent doit être en particulier mis sur l’accès des femmes étrangères au travail, l’un des plus faibles de l’OCDE.

      La régularisation de leurs situations, demande de longue date des associations qui les accueillent dans la précarité, émane tout autant des organisations syndicales et patronales.

      Il s’agit également de rétablir le droit au travail pour les demandeurs d’asile. La loi leur impose six mois d’attente avant de pouvoir demander une autorisation de travail. Cette règle a pour conséquence d’augmenter à la fois le coût budgétaire de l’allocation pour demandeur d’asile et le recours à l’emploi non déclaré pour pouvoir survivre. Cette logique nuit considérablement à leur autonomie et donc à leurs facultés ultérieures d’intégration.

      Enfin, il faut d’urgence remédier à la situation d’embolie des préfectures qui conduit à fabriquer chaque jour de nouveaux sans-papiers.

      Pas une semaine, pas une journée sans que nos permanences de parlementaires ne soient sollicitées pour un titre de séjour dont le renouvellement est compromis faute de rendez-vous en préfecture. Le rapport de l’Assemblée nationale sur « les moyens des préfectures pour l’instruction des demandes de séjour » de 2021 décrit très précisément une situation qui a encore empiré depuis lors : du jour au lendemain, faute de rendez-vous, des personnes en situation parfaitement régulière, insérées professionnellement et socialement, basculent en situation irrégulière entre deux titres et perdent leurs droits. Leurs employeurs sont quant à eux confrontés à un dilemme : perdre un employé qui répond pourtant à leurs attentes ou basculer dans le travail non déclaré pour garder cet employé. Cette situation kafkaïenne est à l’origine d’un contentieux de masse qui engorge les tribunaux administratifs sous les référés « mesures-utiles » visant à contraindre l’administration à accorder un rendez-vous en préfecture.

      Il est temps de fixer un délai maximal à l’administration pour accorder un rendez-vous en préfecture, comme c’est la règle pour les passeports « talent », et d’augmenter considérablement le nombre de rendez-vous y compris en présentiel en affectant davantage de moyens aux services chargés du séjour des étrangers au sein des préfectures.

      Ces trois mesures sont à la fois urgentes, humanistes et concrètes. Si le gouvernement n’est pas en mesure de les faire rapidement adopter par le Parlement, nous en prendrons l’initiative.

      Avançons.

      Signataires

      Julien Bayou (député EE-LV) ; Mélanie Vogel (sénatrice EE-LV) ; Guillaume Gontard (sénateur EE-LV) ; Sabrina Sebaihi (députée EE-LV) ; Guy Benarroche (sénateur EE-LV) ; Francesca Pasquini (députée EE-LV) ; Maud Gatel (députée Modem) ; Elodie Jacquier-Laforge (députée Modem) ; Erwan Balanant (député Modem) ; Mathilde Desjonquères (députée Modem) ; Eric Martineau (député Modem) ; Jimmy Pahun (député Modem) ; Fabien Roussel (député PCF) ; André Chassaigne (député PCF) ; Marie-Claude Varaillas (sénatrice PCF) ; Stéphane Peu (député PCF) ; Davy Rimane (député PCF) ; Gérard Lahellec (sénateur PCF) ; Boris Vallaud (député PS) ; Marie-Pierre de La Gontrie (sénatrice PS) ; Marietta Karamanli (députée PS) ; Hervé Saulignac (député PS) ; Jean-Yves Leconte (sénateur PS) ; Laurence Rossignol (sénatrice PS) ; Sacha Houlié (député Renaissance) ; Stella Dupont (députée Renaissance et apparentés) ; Bruno Studer (député Renaissance) ; Fanta Berete (députée Renaissance) ; Cécile Rilhac (députée Renaissance) ; Benoît Bordat (député Renaissance et apparentés) ; Jean-Louis Bricout (député Liot) ; Martine Froger (députée Liot) ; Benjamin Saint-Huile (député Liot) ; Laurent Panifous (député Liot) ; David Taupiac (député Liot)
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/loi-immigration-nous-demandons-des-mesures-urgentes-humanistes-et-concret

  • Les universités sommées de faire le #tri dans leurs #formations

    Fermer les #formations_universitaires qui ne collent pas assez aux #besoins_économiques du pays, développer des #indicateurs à cet effet, couper dans les budgets : la feuille de route de rentrée de la ministre de l’Enseignement supérieur, #Sylvie_Retailleau, a des allures de douche froide.

    Après les annonces de #coupes_budgétaires et le discours sur « l’argent qui dort » dans les universités, l’exécutif explique, en cette rentrée, qu’il faut « réfléchir au #modèle_économique des universités ».

    « On souhaite lancer un travail » sur ce sujet, a indiqué ce vendredi la ministre de l’Enseignement supérieur, Sylvie Retailleau, lors de sa conférence de rentrée. L’ancienne présidente de l’université Paris-Saclay, qui avait pris des gants pour annoncer les ponctions à venir sur les fonds de roulement à ses anciens collègues, en fin de semaine dernière, a cette fois été beaucoup plus radicale. « C’est notre responsabilité d’utiliser l’argent qui dort, si on veut des solutions pour le pouvoir d’achat des agents. Avec 1 milliard d’euros non utilisés, il faut réfléchir au modèle économique des universités », a-t-elle lancé.

    « Les universités doivent faire beaucoup mieux »

    Ses propos arrivent après ceux d’Emmanuel Macron, lundi soir, dans son interview au youtubeur Hugo Travers. « Il faut avoir le #courage de revoir nos formations à l’université et de se demander : sont-elles diplômantes ? Sont-elles qualifiantes ? » « Les universités, avec leur budget, doivent #faire_beaucoup_mieux », avait répondu le chef de l’Etat.

    « Elles doivent avoir le courage de dire : ’On ne laisse pas ouvertes ces formations parce qu’on a des profs sur ces formations’, ce qui est un peu le cas parfois. Mais plutôt : ’Est-ce que cette formation permet de former des jeunes et de leur fournir un #emploi ?’ » Trop de formations « se passent dans de mauvaises conditions », poursuivait le chef de l’Etat. « Donc on doit réallouer les choses. » L’exécutif veut clairement faire le #ménage dans les formations, à l’université comme dans la voie professionnelle.

    « Plus de #formations_courtes »

    Emmanuel Macron veut « développer plus de formations courtes, entre un et trois ans, au plus près du terrain, dans des #villes_périphériques où le coût de la vie est moins important ». Les universités sont concernées, mais aussi les écoles d’ingénieurs et de commerce. « Avec les moyens qu’on met, on doit faire beaucoup mieux », soulignait-il lundi dernier en brandissant le chiffre de « 50 % de jeunes inscrits en licence [qui] ne vont pas se présenter à l’examen ». Et en pointant « un énorme problème d’#orientation et une forme de #gâchis_collectif ».

    C’est l’un des axes de la feuille de route de Sylvie Retailleau en cette rentrée. La ministre dit vouloir « une accélération de la transformation de l’#offre_de_formation pour mieux former aux savoirs et aux métiers ». « Nous devons offrir à nos étudiants des parcours qui leur permettent de devenir des #citoyens_éclairés, mais aussi d’intégrer le #monde_professionnel, souligne-t-elle. Nous n’avons pas encore gagné la bataille d’une #orientation_réussie pour le premier cycle universitaire en particulier, nous n’avons pas assez avancé sur la formation tout au long de la vie. »

    Des indicateurs pour toutes les #licences, d’ici juin

    Pour « réindustrialiser le pays, le décarboner et adapter les formations aux besoins de la société », cela passe par l’orientation dès le collège et des filières courtes ou des licences « synonymes d’un #parcours_fluide et d’une #insertion_professionnelle_réussie », complète Sylvie Retailleau.

    Des indicateurs sur les #taux_d'insertion de toutes les licences générales vont se mettre en place d’ici à juin 2024. Ils concerneront ensuite, fin 2024, les écoles d’ingénieurs, de commerce et les doctorats, pour couvrir l’ensemble du champ de l’enseignement supérieur.

    Pour investir dans les filières dites porteuses (alimentation durable, numérique…), l’exécutif mise sur les #appels_à_projet du plan #France_2030, avec « près de 20.000 places de formation [qui] seront proposées sur ces enjeux ». Et aussi sur les nouveaux contrats d’objectifs, de moyens et de performance, qui conditionnent l’argent versé aux établissements à la politique menée. Le gouvernement vient d’annoncer deux nouvelles vagues de #contractualisation.

    Dans l’enseignement supérieur, où le vocable d’« insertion professionnelle » faisait encore bondir il y a dix ans, celui de « #performance » interroge. Certains présidents d’université s’étranglent à l’idée qu’on leur ponctionne leurs fonds de roulement et que l’on sanctionne, disent-ils, leur bonne gestion. L’un d’eux, pourtant favorable à cette logique de « performance », pointe aussi « la schizophrénie d’un Etat centralisateur qui veut tout gérer, tout en tenant un discours sur l’autonomie des universités ».

    https://www.lesechos.fr/politique-societe/societe/les-universites-sommees-de-faire-le-tri-dans-leurs-formations-1976647

    #université #facs #ESR #enseignement_supérieur #filières_porteuses #conditionnalité #employabilité

    • La guerre aux universités est déclarée

      Après le cri d’alarme de France Universités au sujet des mesures de pouvoir d’achat et des augmentations du prix de l’énergie non compensées par l’État alors que l’inflation galope, les démissions collectives des fonctions administratives empêchant toute rentrée dans de nombreux départements universitaires (Rouen, Nantes, Paris Cité, Brest, Créteil, Tarbes, etc.), l’alerte santé et sécurité à Université Grenoble-Alpes, la sonnette d’alarme tirée par l’Assocation des directions de laboratoires (ADL) au sujet du Hcéres ou par des responsables de Départements sur la part majoritaire de l’emploi non-titulaire pour assurer les enseignements, les expulsions locatives brutales des étudiant·es logé·es par le CROUS, récemment dénoncées par la Fondation Abbé Pierre, la mise à l’arrêt administrative du CNRS avec la mise en oeuvre dysfonctionnelle de Notilus, après les multiples attaques contre les sciences humaines et sociales, qualifiés d’ “islamogauchiste” ou de “wokistes” y compris par la Ministre Vidal elle-même, et les attaques perlées de l’extrême-droite depuis plusieurs années, on ne peut comprendre la dernière déclaration de Sylvie Retailleau sur le ponctionnement des fonds de roulement universitaire que pour ce qu’elle est : une nouvelle déclaration de guerre.

      Soyez assis quand vous lirez les extraits que nous publions ci-dessous.

      S’agit-il de mettre en œuvre le programme néolibéral de privatisation du secteur de l’enseignement supérieur dévoilé dans les MacronLeaks ? De fermer des départements entiers de sciences critiques (sciences humaines et sociales, études environnementales ou climatiques), sous le feu de procès-baillons ou du courroux du président de la République lui-même ? D’achever une politique de darwinisme social consistant à affamer les plus modestes ? Sans doute tout cela et plus encore. Comment allons-nous résister ?

      https://academia.hypotheses.org/51758

    • Retailleau et le fonds de roulement des universités dans la farine.

      C’est la petite bombe qui occupe donc cette rentrée universitaire. La ministre de l’enseignement supérieur et de la recherche, #Sylvie_Retailleau, vient d’annoncer toute honte bue, ce que même ses prédécesseurs les plus cyniquement et authentiquement libéraux n’avaient pas osé formuler : elle va aller taper dans le fonds de roulement des universités (pour contribuer à l’effort pour réduire la dette de l’état, hahaha, nous y reviendrons).

      Alors pour bien comprendre à quel point cette annonce est mortifère, et cynique, en plus d’être simplement conne, et super conne même, il faut déjà savoir ce qu’est un fonds de roulement. C’est donc, une fois recettes escomptées et dépenses décomptées, le solde de l’argent disponible pour assurer et couvrir les dépenses courantes liées à l’activité d’une entreprise : payer le salaire des employé.e.s, les frais généraux (loyers, assurances), les factures mais aussi les charges fiscales et sociales.

      [mise à jour du soir] Ils avaient déjà fait le coup en 2015 en ponctionnant le fonds de roulement de plus d’une quarantaine d’universités : https://www.letudiant.fr/educpros/actualite/budget-la-repartition-des-dotations-2015-des-universites.html [/mise à jour]

      Paradoxe de voir qu’alors que depuis le passage à la LRU il y a plus de 10 ans chaque gouvernement somme les universités de fonctionner et d’être gérées comme autant d’entreprises où chaque formation doit être rentable, et que le même gouvernement vient aujourd’hui annoncer qu’il va venir pépouze faire ce que jamais il ne ferait à aucune une entreprise : taper dans la caisse.

      Ce fonds de roulement des universités est estimé par Retailleau à un milliard d’euros. Un milliard forcément c’est un chiffre qui claque. Mais qui doit être divisé par le fait qu’il y a 72 universités en France (parmi au total environ 120 établissements d’enseignement supérieur public). Je vous laisse faire la division (en médiane cela fait 13 millions par université). Ça claque déjà un peu moins. Et ça claque encore moins quand on sait que le budget global d’une université comme celle de Nantes et d’un peu plus de 350 millions d’euros par an, et que dans ce budget, l’état “oublie” de verser environ 290 millions d’euros c’est à dire l’équivalent, pour Nantes, d’environ 400 euros par an et par étudiant.e. Que sur la base de ce constat (largement partagé par l’essentiel des 52 universités françaises), l’actuelle ministre vienne nous expliquer qu’elle va taper dans la caisse du fonds de roulement des universités au motif qu’elles en seraient mauvaises gestionnaires et devraient participer à l’effort national donne quand même envie de lui infliger des trucs que la morale et les émissions pour enfant réprouvent à l’unisson.

      Parce que face à la diminution constante du financement par l’état (voir plus bas), ce fonds de roulement est souvent la dernière poche de survie des universités pour financer les postes “sur ressources propres”, postes qui explosent pour venir compenser ceux que l’état ne crée plus, postes sans lesquels plus aucune université n’est en mesure de fonctionner.

      Ce fonds de roulement c’est également la dernière poche de survie permettant aux universités de financer les mesures bâtimentaires de campus qui souvent tombent en ruine ou sont totalement inadaptés au changement climatique, problématiques dont l’état se contrecogne au motif de “l’autonomie”.

      Voilà donc pour la première salve de celle que l’on imaginait, par contraste avec la précédente, en Oui-Oui Retailleau partageant à chaque Tweet sa vie d’influenceuse campus, et que l’on découvre – sans trop de surprise – en Terminator Retailleau avec un plan de route clair : faire en sorte qu’à la fin du deuxième et dernier mandat d’Emmanuel Macron il ne reste plus que les cendres de ce que fut l’université publique ouverte à toutes et tous. Et c’est là qu’intervient la deuxième lame, balancée dans l’interview que Macron a donné à Hugo Décrypte, interview dans laquelle il annonçait qu’il allait falloir que les universités se concentrent sur les filières rentables et ferment les autres. Et c’est vrai après tout, qu’est-ce que la construction de l’intelligence et du regard critique au regard de l’exercice de la performance et de la rentabilité ?

      Macron veut donc achever l’université publique, la grand remplacer par des formations privées, et limiter le champ des connaissances publiques à quelques cénacles et universités qu’il dit “d’excellence” là où toutes les autres composantes de l’université publique ne tendraient qu’à former cette main d’oeuvre intermédiaire si nécessaire et légitime, mais qu’on ne comprend pas bien de quel droit et au nom de quel projet de société on voudrait priver de la possiblité de s’instruire autrement que dans des compétences purement opérationnelles et définies par les besoins immédiats du Medef. Si Ricoeur était encore vivant et s’il croisait Macron aujourd’hui, il n’en ferait pas son (très provisoire) assistant éditorial mais il le démarrerait illico.

      Le résultat de cette rentrée en mode “défonce-les Sylvie” c’est donc, premier temps : “bon bah on va terminer le travail consistant à vous étrangler financièrement” (ça c’est la ponction dans les fonds de roulement), et le deuxième temps c’est, “bon bah puisque vous n’aviez déjà plus les thunes de l’état permettant de créer des postes, de financer le GVT (Glissement Vieillesse Technicité), et tout un tas d’autres choses initialement “régaliennes”, vous n’aurez pas non plus le peu de liquidités qui vous permettaient de colmater l’immensité des brèches RH, bâtimentaires, stratégiques, et qui achèveront de conduire à votre effondrement.”

      Il y a déjà bien longtemps que l’idée est là, depuis Pécresse et Sarkozy exactement, mais jamais elle n’avait été posée et affirmée publiquement avec autant de cynisme et de mépris.

      Pour Le Monde, cela donne ceci :

      “Mieux gérer leurs fonds et contribuer à réduire la dette publique“. Hahaha, difficile d’être contre. Imaginez : non seulement nous serions forcément mauvais gestionnaires et en plus de cela nous refuserions de contribuer à réduire la dette publique.

      Les Echos font oeuvre journalistique plus sincère en posant le seul et réel enjeu visé par Macron et Retailleau : faire le tri dans les formations.

      Fini de jouer. On garde juste le rentable, le Medefiable, le corvéable et selon des critères définis par … ? Le marché, les intérêts privés, les politiques libérales. Pourquoi pas hein, après tout on ne va pas demander aux libéraux de faire des plans quinquennaux, ni aux étourneaux d’avoir l’acuité des aigles. Nous y voilà, les rentiers et les banquiers sont à table et ne bouffent que du rentable. Et on aura “‘des indicateurs” pour le mesurer. Alors soyons francs, cela fait plus de 25 ans que je suis à l’université, j’ai créé et piloté des formations, j’ai vu et échangé et collaboré avec des collègues pour en créer et en piloter d’autres, il y a toujours eu des indicateurs, et il y en a toujours eu à la pelle. Des études longitudinales sur le taux d’insertion des étudiant.e.s, des indicateurs de “performance” demandés par le ministère ou les conseils d’administration et conseils académiques des universités et concernant, tout à trac, l’adéquation avec le bassin d’emploi, les sources de “flux entrants” d’étudiant.e.s, la redondance avec des formations sur le même sujet, etc. Sans parler des évaluations régulières qui arrivent en moyenne tous les 3 ou 4 ans pour affiner et ajuster la pertinence et l’intérêt des formations publiques. Des indicateurs il y en a donc toujours eu partout à l’université publique surtout depuis la LRU (et même avant), et il faut répondre de ces indicateurs pour ouvrir des formations comme pour les maintenir ouvertes. Là où, rappelons-le aussi, les formations privées à 10 000 euros l’année pour des promotions de 15 étudiant.e.s client.e.s se torchent le cul avec les critères qualité et les constants processus d’audit et d’évaluation auxquels sont soumises les formations publiques. Non franchement, présenter le fait de développer des indicateurs à l’université comme une nouveauté ou comme une solution pour mesurer la pertinence, la légitimité et même l’adéquation au marché de nos formations, c’est déjà être diplômé d’un post-doctorat en foutage de gueule.

      Le problème de cette énième et peut-être ultime attaque frontale contre l’université c’est qu’elle s’aligne avec les différents effondrements déjà vécus par l’université publique depuis l’invention de leur assignation à l’autonomie.

      Effondrement du financement de l’état par étudiant, en baisse de 14% entre 2008 & 2022 (et de 7% rient qu’entre 2017 & 2022).

      Effondrement de la condition étudiante sur le plan du logement, chaque rentrée universitaire désormais des étudiant.e.s dorment à la rue faute de pouvoir se loger.

      Effondrement de la condition étudiante sur le plan alimentaire : les distributions et épiceries solidaires explosent et transforment chaque campus en succursale des restos du coeur. Et l’on voit bien ce qu’il advient aujourd’hui aux restos du coeur. Mais si Terminator Retailleau trouve le temps d’aller prendre la pose en train de bouffer des coquillettes au Resto U, on ne l’a toujours pas aperçue dans une file de distribution alimentaire. L’invitation est lancée : la première de cette année à l’IUT de La Roche-sur-Yon aura lieu le 21 septembre. Pour un petit campus d’une petite ville universitaire on attend encore 250 étudiant.e.s. Comme à chaque fois et comme deux fois par mois, depuis déjà 3 ans. Que la ministre n’hésite pas à y passer nous rencontrer.

      Et que dire de l’effondrement de la santé mentale de nos étudiant.e.s, largement corrélé aux deux effondrement précédents.

      Effondrement aussi de la condition des doctorant.e.s et post-doctorant.e.s, bac +8, bac +12, des CV académiques en face desquels celui de Sylvie Retailleau ressemble à la bibliographie d’un rapport de stage d’étudiant de première année, des années à faire des cours avec un salaire indigne, et à la fin … juste rien. Rien d’autre qu’une précarité toujours plus forte, rien d’autre qu’un mépris toujours plus affirmé.

      Effondrement, même, de ce qui devrait pourtant cocher toutes les cases de ces formations courtes et professionnalisantes et rentables tant mises en avant par ce gouvernement de putains de pénibles pitres. Les IUT sont en train de massivement s’effondrer. Ils ne tiennent pour l’immensité d’entre eux que par les financements liés à l’alternance qui représentent parfois plus de 80% du budget global de ces composantes. La moindre variation dans les aides de l’état à l’alternance (qui sont en réalité des aides directes aux entreprises) et c’est la moitié des IUT de France qui ferment au moins la moitié de leurs formations et des dizaines de milliers d’étudiant.e.s qui se trouvent, du jour au lendemain, sur le carreau. En plus de ce modèle si puissamment fragile, vous n’en avez jusqu’ici pas entendu parler dans les journaux mais un nombre tout à fait inédit d’IUT sont cette rentrée “en mode dégradé” comme la sabir libéral managérial nous a appris à nommer les situations de souffrance, de révolte et de mobilisation. En IUT mais aussi en STAPS, dans un nombre inédit de campus, des milliers d’étudiants ont effectué leur rentrée “en mode dégradé”. Comprenez : ils et elles n’ont pas de cours, et/ou pas d’emplois du temps, et/ou plus de directeur des études, et/ou plus de responsables de formation, et/ou plus de responsables de département.

      Les démissions administratives atteignent un volume tout à fait stupéfiant et inédit qui colle à la fois à l’épuisement de l’ensemble des personnels et à l’inéquité mortifère des “primes” ou des revalorisations salariales auxquels ils et elles peuvent prétendre. Angers, Nantes, Niort, Caen, Toulouse, Lorient, mais aussi Marseille, Lyon, Strasbourg, Lille … Presqu’aucune ville universitaire n’est épargnée par ces rentrées “en mode dégradé”. Demain Lundi 11 septembre a lieu la grande journée de mobilisation de ce qu’on appelle les ESAS (les Enseignant.e.s du Secondaire Affecté.e.s dans le Supérieur). Celle et ceux qui font, avec les vacataires toujours méprisés, tourner tant de filières de formation à l’université. A part quelques articles dans quelques médias locaux, aucun article dans aucun journal national sur cette rentrée universitaire totalement inédite aussi bien dans l’effondrement que dans la mobilisation. A tel point que Terminator Retailleau, pour éteindre un incendie qu’elle sent devenir incontrôlable, se met déjà à balancer des promesses d’aider à hauteur de 14 millions d’euros une quarantaine d’IUT choisis pour être ceux disposant des taux d’encadrement les plus bas. C’est Bernard Arnault et son chèque de 10 millions d’euros aux Restos du coeur. Non seulement cet argent versé (peut-être …) aux IUT leur était dû dans le cadre du passage, “à moyens constants”, d’un diplôme à Bac+2 à un diplôme à Bac+3, non seulement il est largement insuffisant, mais il aurait dû, et de droit, être adressé à l’ensemble des IUT. D’autant que dans le même temps, les universités asséchées sur leurs fonds de roulement annoncent déjà leur intention de venir piquer dans la caisse de l’alternance des IUT non pas “rentables” mais simplement moins misérablement sous-encadrés que les filières non-professionnalisantes. Et c’est là tout le génie libéral d’organiser à tel point ces concurrences délétères au sein d’organismes dont on a construit la fragilité et programmé le délabrement.

      Même les président.e.s d’université. Oui. Même elles et eux, qui sont pourtant à la radicalité ce que Mickey Mouse est aux Snuff Movies, écrivent dans un communiqué que ces annonces se situent entre le rackett et l’escroquerie et appellent l’ensemble des universitaires et des étudiant.e.s à se mobiliser contre cette attaque sans précédent qui pourrait être le coup de grâce, le Big Crunch qui achèvera d’atomiser l’enseignement supérieur public en France. Alors ils le disent certes avec leurs demi-mots de demi-mous adeptes de conversations de salon plus que de Saloon, mais je vous promets que c’est l’idée. Et pour que France Universités (anciennement la CPU, Conférence des Président.e.s d’Université) se fende d’un communiqué de presse critiquant la politique du gouvernement, il faut que celui-ci ait repoussé tous les seuils de la maltraitance et du mépris. Si France Université avait été à bord du Titanic, ils auraient commencé à s’alarmer de la montée du niveau de l’eau le lendemain du naufrage et auraient demandé poliment la création d’un colloque sur l’habitat partagé entre les icebergs et les navires. Qu’ils commencent à gueuler aujourd’hui est peut-être ce qui dit le mieux l’urgence de la mobilisation contre cet effondrement.

      https://affordance.framasoft.org/2023/09/retailleau-et-le-fonds-de-roulement-des-universites-dans-la-fa

  • Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/05/les-demandes-d-asile-dans-l-union-europeenne-la-norvege-et-la-suisse-en-haus

    Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    Les requêtes sont au plus haut depuis 2015-2016, années au cours desquelles l’afflux de réfugiés en Europe dépassait 1,2 million de personnes.
    Le Monde avec AFP
    Les demandes d’asile enregistrées dans les pays de l’Union européenne, la Norvège et la Suisse au premier semestre 2023 ont augmenté de 28 % par rapport aux six premiers mois de 2022, a annoncé l’Agence de l’Union européenne pour l’asile (AUEA), mardi 5 septembre. Quelque 519 000 demandes d’asile ont été déposées dans ces vingt-neuf pays entre janvier et la fin de juin, selon l’agence, qui estime que, « d’après les tendances actuelles, les demandes pourraient excéder 1 million d’ici à la fin de l’année ». Les Syriens, Afghans, Vénézuéliens, Turcs et Colombiens sont les principaux demandeurs, comptant pour 44 % des requêtes.
    Les demandes au premier semestre sont au plus haut à cette période de l’année depuis 2015-2016. Lors de l’afflux de réfugiés en Europe provoqué notamment par l’enlisement du conflit en Syrie, le nombre de demandes d’asile avait atteint 1,3 million (en 2015) et 1,2 million (en 2016). En 2022, elles étaient de 994 945.
    L’Allemagne est le pays qui a reçu le plus de dossiers (30 %). C’est près de deux fois plus que l’Espagne (17 %) et la France (16 %). L’AUEA souligne qu’en raison de cette hausse de nombreux pays européens « sont sous pression pour traiter les demandes », et que le nombre de dossiers en attente de décision a augmenté de 34 % par rapport à 2022. En première instance, 41 % des demandes ont reçu une réponse positive. Par ailleurs, quelque 4 millions d’Ukrainiens fuyant l’invasion de l’armée russe bénéficient actuellement d’une protection temporaire dans l’UE.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#asile#demandeurdasile#AUEA#syrie#afghanistan#venezuela#turquie#colombie#allemagne#espagne#france#ukraine#protection#sante#crisemigratoire#norvege#suisse

  • Une #université a tué une #librairie

    Une université vient de tuer une librairie. Le #libéralisme a fourni l’arme. Les codes des marchés ont fourni la balle. Et l’université, après avoir baissé les yeux, a appuyé sur la détente.

    Cette université c’est “mon” université, Nantes Université. Cette librairie c’est la librairie Vent d’Ouest, une librairie “historique”, présente dans le centre de Nantes depuis près de 47 années et travaillant avec l’université depuis presqu’autant de temps.

    Une université vient de tuer une librairie. Nantes Université travaillait, pour ses #commandes d’ouvrages (et une université en commande beaucoup …) avec principalement deux #librairies nantaises, Durance et Vent d’Ouest. Pour Vent d’Ouest, cela représentait une trésorerie d’environ 300 000 euros par an, 15% de son chiffre d’affaire. Une ligne de vie pour les 7 salariés de la libraire. Et puis Vent d’Ouest perd ce marché. Du jour au lendemain. Sans même un appel, une alerte ou une explication en amont de la décision de la part de Nantes Université.

    À qui est allé ce marché ? Au groupe #Nosoli, basé à Lyon, qui s’auto-présente comme le “premier libraire français indépendant multi-enseignes” (sic) et qui donc concrètement a racheté les marques et magasins #Decitre et #Furet_du_Nord (et récemment Chapitre.com) et dont le coeur de métier est bien davantage celui de la #logistique (#supply_chain) que celui de la librairie.

    Pourquoi Nosoli a-t-il remporté ce #marché ? Et pourquoi Nantes Université va devoir commander à des librairies Lyonnaises des ouvrages pour … Nantes ? Parce que le code des #marchés_publics. Parce que l’obligation de passer par des #appels_d’offre. Parce le code des marchés publics et des appels d’offre est ainsi fait que désormais (et depuis quelques temps déjà) seuls les plus gros sont en capacité d’entrer dans les critères définis. Parce que les critères définis (par #Nantes_Université notamment) visent bien sûr à faire des #économies_d’échelle. À payer toujours moins. Parce que bien sûr, sur ce poste de dépenses budgétaires comme sur d’autres il faut sans cesse économiser, rogner, négocier, batailler, parce que les universités sont exangues de l’argent que l’état ne leur donne plus et qu’il a converti en médaille en chocolat de “l’autonomie”. Parce qu’à ce jeu les plus gros gagnent toujours les appels d’offre et les marchés publics. C’est même pour cela qu’ils sont gros. Et qu’ils enflent encore. [mise à jour] Mais ici pour ce marché concernant des #livres, ce n’est pas le critère du #prix qui a joué (merci Jack Lang et la prix unique) mais pour être parfaitement précis, c’est le critère du #stock qui, en l’espèce et malgré le recours en justice de la librairie Vent d’Ouest, et bien qu’il soit reconnu comme discriminatoire par le ministère de la culture (en page 62 du Vade Mecum édité par le ministère sur le sujet de l’achat de livres en commande publique), a été décisif pour permettre à Nosoli de remporter le marché. [/mise à jour]

    Alors Nosoli le groupe lyonnais a gagné le marché de Nantes Université. Et les librairies nantaises Durance et Vent d’Ouest ont perdu. Et quelques mois après la perte de ce marché, la librairie Vent d’Ouest va fermer.

    On pourrait s’en réjouir finalement, ou même s’en foutre totalement. Après tout, Nantes Université va faire des #économies. Après tout une librairie qui ferme à Nantes et 7 salariés qui se trouvent sur le carreau c’est (peut-être) 7 personnes du service logistique du groupe Nosoli qui gardent leur emploi. Et puis quoi, une librairie qui ferme à Nantes mais il y en a 6 qui ont ouvert sur les deux dernières années à Nantes. Alors quoi ?

    Alors une université vient de tuer une librairie. Et quand on discute avec les gens qui, à Nantes Université, connaissent autrement que comptablement la réalité de ce qu’était le #marché_public passé avec Durance et Vent d’Ouest, et quand on échange avec celles et ceux qui ont l’habitude, à l’université ou ailleurs, de travailler avec le groupe Nosoli, on entend toujours la même chose : rien jamais ne remplacera la #proximité. Parce qu’avec Durance et Vent d’Ouest les échanges étaient souples, réactifs, pas (trop) systématiquement réglementaires, parce que les gens qui dans les bibliothèques de l’université commandaient les ouvrages connaissaient les gens qui dans les librairies les leur fournissaient, et qu’en cas de souci ils pouvaient même s’y rendre et les croiser, ces gens. Et on entend, en plus de l’aberration écologique, logistique, et sociétale, que les commandes avec le groupe Nosoli sont usuellement et comme avec tout grand groupe logistique … complexes, lentes, difficilement négociables et rattrapables, sans aucune souplesse, sans aucune écoute ou connaissance des besoins fins de l’université “cliente”. Voilà ce que l’on entend, entre autres choses plus âpres et plus en colère.

    Une université vient de tuer une librairie. Et ça fait tellement chier. C’est tellement anormal. Tellement schizophrène. Le même jour que celui où j’ai appris l’annonce de la fermeture définitive de la libraire Vent d’Ouest, j’ai aussi reçu un message de Nantes Université m’informant que, champagne, l’université venait – comme 14 autres universités – de remporter un appel à projet de plus de 23 millions d’euros. La cagnotte lancée par la libraire Vent d’Ouest après la perte du marché de Nantes Université lui avait rapporté quelques milliers d’euros qui lui avaient permis de retarder sa fermeture de cinq mois.

    Vivre à l’université, travailler à Nantes Université, c’est être tous les jours, à chaque instant et sur chaque sujet, confronté au même type de #schizophrénie. D’un côté on collecte des dizaines de millions d’euros dans de toujours plus nébuleux appels à projets, et de l’autre on gère la misère et la détresse. Et on ferme sa gueule. Parce que ne pas se réjouir de l’obtention de ces 23 millions d’euros c’est être un pisse-froid et c’est aussi mépriser le travail (et l’épuisement) des équipes qui pilotent (et parfois remportent) ces appels à projets. Oui mais voilà. À Nantes Université on organise des grandes fêtes de rentrée et on donnez rendez-vous à la prochaine #distribution_alimentaire, la #fête mais la #précarité. Et l’on fait ça tous les jours. Toutes les universités françaises organisent ou ont organisé des #distributions_alimentaires, et toutes les universités françaises remportent ou ont remporté des appels à projet de dizaines de millions d’euros. Mais les financements qui permettraient de recruter des collègues enseignants chercheurs ou des personnels techniques et administratifs en nombre suffisant, et de les recruter comme titulaires, pour garantir un fonctionnement minimal normal, ces financements on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient d’éviter de fermer une librairie avec qui l’université travaille depuis des dizaines d’années et d’éviter de mettre 7 personnes au chômage, on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient à tous les étudiant.e.s de manger tous les jours à leur faim, on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient à l’UFR Staps de Nantes Université de faire sa rentrée on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient aux collègues de la fac de droit de Nantes Université de ne pas sombrer dans l’#épuisement_au_prix et au risque de choix mortifières pour eux comme pour les étudiant.e.s on ne les trouve jamais. Mais les financements qui permettraient aux collègues de l’IAE de Nantes Université de ne pas s’enfoncer dans le #burn-out, ces financements on ne les trouve jamais. Il n’y a pas d’appel à projet à la solidarité partenariale. Il n’y a pas d’appel à projet à la lutte contre la #misère_étudiante. Il n’y a pas d’appel à projet pour permettre à des milliers de post-doctorants d’espérer un jour pouvoir venir enseigner et faire de la recherche à l’université. Il n’y pas d’appel à projet pour sauver l’université publique. Il n’y en a pas.

    Il n’y a pas d’appel à projet pour la normalité des choses. Alors Nantes Université, comme tant d’autres, est uniquement traversée par des #régimes_d’exceptionnalité. #Exceptionnalité des financements obtenus dans quelques appels à projets qui font oublier tous les autres appels à projet où l’université se fait retoquer. Exceptionnalité des #crises que traversent les étudiant.e.s, les formations et les #personnels de l’université. Exceptionnalité des mesures parfois prises pour tenter d’en limiter les effets. Dans nos quotidiens à l’université, tout est inscrit dans ces #logiques_d’exceptionnalité, tout n’est lisible qu’au travers de ces #matrices_d’exceptionnalité. Exceptionnalité des financements. Exceptionnalité des crises. Exceptionnalité des remédiations.

    Une université vient de tuer une librairie. Cela n’est pas exceptionnel. C’est devenu banal. Voilà l’autre danger de ces régimes d’exceptionnalité permanents : ils inversent nos #représentations_morales. Ce qui devrait être exceptionnel devient #banal. Et ce qui devrait être banal (par exemple qu’une université publique reçoive des dotations suffisantes de l’état pour lui permettre d’exercer sa mission d’enseignement et de recherche), est devenu exceptionnel.

    Une université vient de tuer une librairie. Dans le monde qui est le nôtre et celui que nous laissons, il n’est que des #dérèglements. Et si celui du climat dicte déjà tous les autres #effondrements à venir, nous semblons incapables de penser nos relations et nos institutions comme autant d’écosystèmes dans lesquels chaque biotope est essentiel aux autres. Nantes Université a tué la libraire Vent d’Ouest. Le mobile ? L’habitude. L’habitude de ne pas mener les combats avant que les drames ne se produisent. L’habitude de se résigner à appliquer des règles que tout le monde sait pourtant ineptes. L’habitude du renoncement à l’attention à l’autre, au plus proche, au plus fragile, dès lors que l’on peut se réjouir de l’attention que nous portent tant d’autres. L’#habitude d’aller chercher si loin ce que l’on a pourtant si près.

    Une université vient de tuer une librairie. Le libéralisme a fourni l’arme. Les codes des marchés ont fourni la balle. L’habitude a fourni le mobile. Et l’université, après avoir baissé les yeux, a froidement appuyé sur la détente.

    https://affordance.framasoft.org/2023/09/une-universite-a-tue-une-librairie

    #ESR #enseignement_supérieur

  • Les épreuves de la frontière
    Cours du 05 avril 2023 : #Rencontres

    Les 3 rencontres, le récit avec une triple voix :

    - un exilé :
    Une famille de #réfugiés_afghans, dont Fassin retrace tout le parcours depuis l’#Afghanistan jusqu’à #Briançon, en passant par la Grèce et les Balkans

    - un policier : (à partir de la min 26’40)
    Fassin raconte l’habitude que les forces de l’ordre ont de demander aux chauffeurs du bus qui fait Oulx-Claviere combien de migrants sont descendus du bus à Claviere. Fassin raconte la militarisation de la frontière (2 escadrons de la #gendarmerie_mobile, 140 militaires + 30 hommes des forces armées sentinelles + 25 réservistes de l’#opération_limes —> presque 200 en plus des policiers). « A quoi sert ce qu’ils font ? » (dès min 29’45) Réponse : « tous les migrants finissent par passer. (...) Ce n’est pas un secret, tout le monde le sait » (min 30’04)... Quel intérêt donc ? (min. 30’28) : « faire du chiffre ». « C’est ce que leur demande le commandant, c’est ce que leur demande la préfète, parce que ce sont des #statistiques qu’on fait remonter au Ministre de l’Intérieur qui peut ensuite s’en féliciter publiquement. C’est beaucoup plus facile d’arrêter des migrants que des passeurs, alors comme son collègue il se satisfait des non-admissions. Quand leur nombre augmente, on les complimente et à la fin de l’année ils ont une meilleure prime ; quand il diminue on les convoque, on les réprimande, on exige de meilleurs résultats ». Fassin observe que pas tout le monde n’est pas satisfait de la situation, il évoque le #suicide d’un brigadier qui commandait une équipe de nuit (min 31’02) : « Un homme gentil, respectueux modeste, correct avec les migrants. La version officielle c’est qu’il avait des problèmes conjugaux, qu’il était séparé de sa femme, qu’il voyait moins ses enfants, qu’il faisait une dépression. C’est surement pas faux, mais il a vu comment son collègue était affecté par la dégradation de l’ambiance au sein de l’institution, les attentes de résultats quantifiés par leur hiérarchie ont généré une compétition entre les équipes à qui ferait le plus d’interpellations. Il avait entendu dire le brigadier que ’plus que la qualité du travail, c’était la quantité qui comptait désormais, quitte à tordre les données. Il n’ignore pas que les performances de l’autre équipe valaient sans cesse à son chef des brimades et des humiliations. D’ailleurs, il a entendu dire qu’avant de se suicider, le brigadier avait laissé une lettre dans laquelle il expliquait les raisons de son geste, évoquant les pressions de sa hiérarchie, qu’il ne supportait plus. Beaucoup le pense, au fond, c’est la #politique_du_chiffre qui l’a tué. La mort de son collègue lui a laissé un goût amer, un vague sentiment de culpabilité, ’n’aurait-il pas fallu se montrer plus solidaires entre eux au lieu d’exacerber la concurrence ?’ (...) N’aurait-il pas fallu comprendre quand il répétait qu’il ne trouvait plus de sens à son travail ? »
    Au poste-frontière de Montgenèvre, la scène d’un médecin (probablement de Médecins du Monde, qui entre pour demander de libérer au de reconduire à la frontière les deux adultes interpellés, car leurs enfants ont été entre temps déjà amenés à Briançon (35’28) : Le policier « accuse le médecin d’organiser comme les autres volontaires des opérations hasardeuses pour aider les migrants à franchir la frontière en les amenant à emprunter des chemins dangereux, ils ne font pas de la mise à l’abri, comme ils le disent, ils les exposent à des risques inconsidérés. Ce sont eux, les policiers et les gendarmes, qui protègent les migrants, déclare-t-il ».
    Min 37’50 : les policiers « pestent contre les maraudeurs » "qui sont en réalité des passeurs" —> la présence de maraudeurs et du refuge comme éléments de l’#appel_d'air

    - le maraudeur (à partir de la min 39’18)

    –—

    Deuxième partie de la conférence (à partir de la min 53’00), Fassin explique comment il a construit la narration avec les trois personnages :

    https://www.youtube.com/watch?v=rkOJJ9jYT8Y


    #conférence #vidéo #Didier_Fassin #frontière_sud-alpine #ethnographie #asile #migrations #réfugiés #parcours_migratoire #Briançonnais #Italie #France #Hautes-Alpes #forces_de_l'ordre #militarisation_des_frontières #opération_sentinelle #pression_des_résultats #refus_d'entrée #PAF #police_aux_frontières #solidarité

  • L’école, Gabriel Attal et la laïcité « geignarde » | Le Club
    https://blogs.mediapart.fr/jean-bauberot/blog/280823/l-ecole-gabriel-attal-et-la-laicite-geignarde

    Je propose que l’on étudie dans les différentes classes, dès la journée de rentrée, les deux premiers articles de la loi de 1905 et les propos d’Aristide Briand, rapporteur de la Commission parlementaire, présentant cette loi : il s’agit, indiquait-il, de proclamer « solennellement que, non seulement la République ne saurait opprimer les consciences ou gêner dans ses formes multiples l’expression extérieure des sentiments religieux, mais encore qu’elle entend respecter et faire respecter la liberté de conscience et la liberté des cultes. »

    Quand au vêtement, Briand s’est montré, à ce sujet, on ne peut plus clair : il a refusé l’interdiction du port de la soutane pour deux raisons : d’abord, fondamentalement, parce que la loi de 1905 est une « loi de liberté » et qu’en conséquence, elle ne doit pas « interdire à un citoyen de s’habiller de telle ou telle manière » ; ensuite, parce que le résultat serait « plus que problématique » : la soutane interdite, on pourrait compter sur « l’ingéniosité combinée des prêtres et des tailleurs » pour créer un « vêtement nouveau ». La loi de 1905 = la liberté de conscience + le refus de jouer au chat et à la souris. Intelligence des principes et intelligence de la stratégie.

    • Pour rappel, l’épisode « piscine » de mes petits à #Montpellier, conséquence totalement crétine de ce jeu du « chat et de la souris » :
      https://seenthis.net/messages/987740

      Les ceusses qui, sur les réseaux, croient qu’on va juger la longueur des jupes en fonction de la religion supposée de l’élève se gourent. C’est effectivement ce qui se faisait déjà, mais maintenant que c’est une règle « officielle » du ministère, rapidement l’aspect raciste sera indéfendable (c’est-à-dire attaqué devant des tribunaux), donc on tentera des définitions « techniques » du vêtement incriminé, et de toute façon on connaît déjà la solution des nostalgiques de l’école idéale du cinéma en noir et blanc : c’est l’uniforme pour tout le monde. Les dog whistle racistes inapplicables ou illégaux, la Macronie a l’habitude, il suffit de revenir quelques temps plus tard sur le thème « on peut jamais rien faire » et donc proposer une mesure plus réactionnaire (quoi que sur ce coup-là, le conseil d’État n’a pas trop de mal à valider les mesures racistes parce que c’est pour ton bien, donc cette histoire d’abaya, si des juges locaux l’invalident, en montant suffisamment haut ça sera validé in fine).

      Encore un ou deux ministres de l’éducation et on y sera, à l’uniforme (avantage de l’idée : en plus ça fout le bordel dans la gauche, bien plus divisée que la droite à ce propos). La Ministre de la jeunesse et du SNU sera simplement rebaptisée « Ministre de la jeunesse en uniforme, bien dégagé derrière les oreilles ».

    • Ce que dit le texte, c’est qu’il n’existe pas d’ultra-laïcité. La laïcité, c’est la liberté de conscience pour les citoyens et l’état neutre vis à vis de la liberté de conscience. Le dévoiement actuel est de considérer que l’élève qui va à l’école fait partie intégrante de l’état, et qu’il doit donc être lui aussi « neutre » (mais pas à la façon de l’état évidemment, qui file quelques milliards à l’enseignement catholique). Ça n’a jamais été l’objet de cette loi, la neutralité des élèves relativement à la liberté de conscience. La loi de 2004 aurait dû être censurée par le CC, pour conflit frontal avec la loi de 1905, mais la loi de 1905 est une loi, et pas un article de la constitution, et donc, pas de possibilité pour le CC de s’engager dans cette voie j’imagine, d’autant qu’il se peut qu’il n’y avait pas non plus de volonté de, évidemment, le CC ne statuant pas forcément en droit, puisque rien ne l’y oblige.

    • L’abaya, l’arbre qui cache la forêt ?
      https://www.cafepedagogique.net/2023/06/15/labaya-larbre-qui-cache-la-foret

      Jean-Fabien Spitz est spécialiste de philosophie politique. Dans cet entretien qu’il accorde au Café pédagogique, il revient sur les récentes polémiques autour du port de l’abaya par certaines élèves et sur le principe des « signes religieux par destination »

      Aujourd’hui, il y a tout un débat sur les tenues vestimentaires par destination. Selon vous, c’est contraire même à l’essence de la loi sur la laïcité. Pourquoi ?

      L’idée même d’un vêtement « religieux » est une absurdité. Dans une république laïque, aucun vêtement n’est musulman, ni juif, ni chrétien. Lors du débat consacré à la loi de 1905, certains députés, qui avaient évoqué la possibilité d’interdire le port de la soutane dans l’espace public se sont attirés cette réponse d’Aristide Briand : « Ce costume n’existe plus pour nous avec son caractère officiel… La soutane devient un vêtement comme un autre, accessible à tous les citoyens, prêtres ou non ». Mais l’idée d’un vêtement religieux « par destination » est deux fois plus absurde. Cela voudrait dire qu’un vêtement changerait de sens en fonction de l’intention de celui qui le porte, ce qui justifierait son interdiction lorsqu’il est avéré que celui ou celle qui le porte a l’intention de lui conférer une signification religieuse. Mais comment s’assurer de la réalité de l’intention si le porteur du vêtement prétend le porter pour des raisons non religieuses, ou si, tout simplement, il refuse, comme il en a le droit, d’être interrogé et jugé sur ses intentions ? Car dans un État qui prétend être respectueux des droits des individus, on ne juge pas les intentions mais les actes. L’idée d’un vêtement religieux par destination conduirait à juger différemment un seul et même acte – le port d’une robe longue – en fonction de l’intention de celle qui l’accomplit. C’est la définition même de l’arbitraire, car un État de droit applique une règle uniforme à des actes extérieurement identiques. C’est aussi la porte ouverte à une dérive sans fin car tout signe, tout vêtement peut devenir « religieux par destination ». Il suffit pour cela que les autorités – le proviseur du lycée, le principal, le législateur – décident qu’ils revêtent une intention dont les autorités elles-mêmes sont les juges en dernière instance. Quel est le recours des citoyens face à un tel abus ?

    • Quand je parle d’ultra laïcité, c’est bien sûr pour pointer le dévoiement et l’instrumentalisation politique de la loi de 1905. Je pourrais aussi parler d’ultra républicanisme ou de national-républicanisme pour désigner en fait ce qu’il convient d’appeler une attitude autoritaire dictée par la complaisance envers les thèses fascisantes de l’extrême-droite pétainiste et de l’intégrisme catholique.
      Dans cette logique, Blanquer n’avait pas hésité à recommander une « tenue républicaine » pour les élèves (surtout au féminin) qui fréquentent l’école publique.

      Et donc #dog_whistle (ou #appel_du_pied) puisque la seule issue de la Macronie est de rassembler lors du deuxième tour de l’élection présidentielle les électeur·rices de la droite la plus molle ou la plus dure.

    • N’ayant aucun rapport avec le culte musulman, avec le Coran, c’est un vêtement venant des pays de culture arabe.

      Les journalistes, même quand ils tentent de piquer un peu les politiques en leur demandant « comment vous ferez la distinction entre une ado qui portent une robe longue, et une ado qui porte une abaya pour la religion ? » ne vont jamais jusqu’au bout alors que c’est clairement l’éléphant au milieu de la salle de classe : c’est pas une loi contre les musulmans, mais bien là encore plus explicitement une loi anti arabe.

      Les chef⋅fes d’établissement vont avoir pour seul protocole : si t’as une tête d’arabe (ou parfois noire), c’est une abaya, si t’es blanche, c’est une robe longue. Point.

      En 2023, on en est encore là, avec la guerre d’Algérie et les décolonisations toujours pas digérées, à faire des lois explicitement racistes et anti-arabes (et qui utilisent les femmes comme instrument pour ça, le dévoilement etc, toujours la même histoire).

    • Et voilà, on est donc déjà arrivés, avec Sabrina Agresti-Roubache (sous-ministre de la ville), à l’idée-qu’elle-est-bonne de coller un uniforme aux gamins :
      https://twitter.com/SabrinaRoubache/status/1696437030488572062

      Pour réduire les inégalités et enlever une charge mentale à tous les parents, je suis favorable à l’expérimentation d’une « tenue scolaire » dans les quartiers prioritaires de la politique de la ville.

      Perso je pense qu’il faudrait réintroduire les coups de règle sur les doigts et différentes formes de punitions corporelles, et autoriser les profs à fumer dans la cours pendant les récrés.

    • Je suis sûr qu’il y aura moyen de porter l’uniforme d’une manière ostentatoire et insupportable.

  • #Search-and-rescue in the Central Mediterranean Route does not induce migration : Predictive modeling to answer causal queries in migration research

    State- and private-led search-and-rescue are hypothesized to foster irregular migration (and thereby migrant fatalities) by altering the decision calculus associated with the journey. We here investigate this ‘pull factor’ claim by focusing on the Central Mediterranean route, the most frequented and deadly irregular migration route towards Europe during the past decade. Based on three intervention periods—(1) state-led Mare Nostrum, (2) private-led search-and-rescue, and (3) coordinated pushbacks by the Libyan Coast Guard—which correspond to substantial changes in laws, policies, and practices of search-and-rescue in the Mediterranean, we are able to test the ‘pull factor’ claim by employing an innovative machine learning method in combination with causal inference. We employ a Bayesian structural time-series model to estimate the effects of these three intervention periods on the migration flow as measured by crossing attempts (i.e., time-series aggregate counts of arrivals, pushbacks, and deaths), adjusting for various known drivers of irregular migration. We combine multiple sources of traditional and non-traditional data to build a synthetic, predicted counterfactual flow. Results show that our predictive modeling approach accurately captures the behavior of the target time-series during the various pre-intervention periods of interest. A comparison of the observed and predicted counterfactual time-series in the post-intervention periods suggest that pushback policies did affect the migration flow, but that the search-and-rescue periods did not yield a discernible difference between the observed and the predicted counterfactual number of crossing attempts. Hence we do not find support for search-and-rescue as a driver of irregular migration. In general, this modeling approach lends itself to forecasting migration flows with the goal of answering causal queries in migration research.

    https://www.nature.com/articles/s41598-023-38119-4

    #appel_d'air #migrations #réfugiés #frontières #sauvetage #pull-factor #facteur_pull #chiffres #statistiques #rhétorique #afflux #invasion #sauvetage_en_mer #démonstration #déconstruction #fact-checking

    –—

    ajouté à la métaliste qui réunit des fils de discussion pour démanteler la rhétorique de l’#appel_d'air en lien avec les #sauvetages en #Méditerranée :
    https://seenthis.net/messages/1012135

    • Sur les #données et le #code qui ont servi à l’étude :

      We document the various data sources used in Table S1 in Supplementary Materials. Though most data sources
      are publicly available—with the exception of the Sabre data on air traffic, we are unable to upload our data set
      to a repository due to data-usage requirements and proprietary restrictions. The data that support the findings
      of this study are available from various sources documented in Table S1 in Supplementary Materials but restrictions
      apply to the availability of these data, which were used under license for the current study, and so are not
      publicly available. Data are however available from the authors upon reasonable request and with permission of
      the various third party owners of the data. The code to construct the data set and perform the various statistical
      analyses is available at https://github.com/xlejx-rodsxn/sar_migration

      https://www.nature.com/articles/s41598-023-38119-4.pdf

    • Migranti, il pull factor non esiste. La prova del nove in uno studio scientifico

      Attraverso l’uso di tecniche statistiche avanzatissime e del machine learning quattro ricercatori hanno incrociato migliaia di dati relativi al decennio 2011-2020 dimostrando che le attività di ricerca e soccorso, istituzionali o delle Ong, non fanno aumentare le partenze dai paesi nordafricani. Come sostenuto per anni dalle destre e non solo.

      Le attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale non costituiscono un fattore di attrazione per i migranti, cioè non li spingono a partire. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, dello stesso gruppo editoriale di Nature sebbene non si tratti della più nota e importante collega. Per la prima volta allo scopo di verificare l’esistenza di questo presunto pull factor sono state utilizzate tecniche statistiche particolarmente avanzate e sistemi di machine learning capaci di far interagire molte banche dati.

      I ricercatori Alejandra Rodríguez Sánchez, Julian Wucherpfennig, Ramona Rischke e Stefano Maria Iacus hanno raccolto informazioni sul decennio 2011-2020 provenienti da diversi ambiti – tassi di cambio, prezzi internazionali delle merci, livelli di disoccupazione, conflitti, condizioni climatiche – e le hanno usate per identificare i fattori che meglio prevedono le variazioni numeriche delle partenze da Tunisia e Libia. La loro attenzione si è concentrata su tre fasi che riflettono cambiamenti sostanziali di natura politica, legale e operativa del fenomeno analizzato: la vasta operazione di salvataggio messa in campo dall’Italia tra il 18 ottobre 2013 e il 31 ottobre dell’anno seguente, cioè Mare Nostrum; l’arrivo delle navi umanitarie delle Ong, a partire dal 26 agosto 2014; l’istituzione della zona Sar (search and rescue) libica e la collaborazione tra Tripoli e Unione Europea, dal 2017, in funzione anti-migranti.

      «Abbiamo comparato il fenomeno delle partenze prima e dopo l’inizio delle attività di ricerca e soccorso, il nostro modello predittivo dice che sarebbe andata allo stesso modo anche se le seconde non fossero intervenute», spiega Rodríguez Sánchez. Il modello è di tipo contro-fattuale: mostra cosa sarebbe successo modificando un certo fattore. In questo caso le operazioni Sar, che dunque non fanno aumentare le traversate.

      La forza del metodo statistico usato è di permettere di investigare non soltanto il terreno della correlazione tra due fenomeni, ma anche quello della presunta causalità di uno rispetto all’altro. La conclusione è che le navi di soccorso non sono il motivo delle traversate, o anche solo del loro aumento, ma esattamente l’opposto: costituiscono una risposta a esse. Sono altri i fattori che spingono le persone a migrare e rischiare la vita nel Mediterraneo, sono estremamente variegati e complessi, riguardano la povertà, la disoccupazione, le persecuzioni politiche, gli effetti del cambiamento climatico.

      Lo studio ha poi rilevato un altro elemento: la cooperazione Libia-Ue ha effettivamente ridotto le traversate, che dal 2017 sono state meno di quelle che si sarebbero dovute verificare secondo il modello predittivo. I ricercatori però avvertono che questo ha avuto un altissimo costo umano e che, in ogni caso, le politiche di esternalizzazione «non incidono sui fattori strutturali che influenzano un certo flusso e potrebbero forzare i potenziali migranti a seguire rotte ancora più pericolose». Se anche producono dei risultati in termini di deterrenza, insomma, ciò avviene esclusivamente a stretto giro, spostando il problema solo un po’ più in là.

      «Questa importante ricerca mostra a livello strutturale che le politiche di salvataggio, anche le più grandi e organizzate, non sembrano far aumentare le traversate. Noi stiamo indagando l’effetto puntuale: cioè se la presenza di singole navi Ong davanti alle coste libiche incida sulle persone che partono», commenta Matteo Villa, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Villa nel 2019 ha pubblicato il primo studio scientifico che smentiva la tesi delle navi Ong come fattore di attrazione. Tra qualche mese uscirà un aggiornamento con una base dati molto più ampia. «Conferma quanto avevamo osservato quattro anni fa – anticipa Villa al manifesto – L’unica correlazione che abbiamo trovato riguarda i mesi più freddi: tra dicembre, gennaio e febbraio ci sono più partenze se le Ong sono in missione. Ma parliamo di numeri irrilevanti: lo scorso anno 300 persone sulle 50mila arrivate dalla Libia».

      La tesi del pull factor è nata nel 2014 quando l’allora direttore di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, Gil Arias-Fernández iniziò a sostenere pubblicamente che le navi di Mare Nostrum stavano facendo aumentare i flussi dal Nord Africa. In una Risk Analysis della stessa agenzia relativa al 2016 l’accusa è stata spostata sulle Ong, intervenute nel frattempo a colmare il vuoto lasciato dalla chiusura dell’operazione italiana. Da allora questa teoria è stata un cavallo di battaglia delle destre ed è tornata in voga dopo l’insediamento del governo Meloni. Lo scorso autunno il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e quello degli Esteri Antonio Tajani, tra gli altri, hanno più volte citato un misterioso rapporto di Frontex che avrebbe ribadito lo stesso assunto per il 2021.

      Di quel rapporto non si è mai saputo nulla, ma ora abbiamo uno studio scientifico che smentisce il pull factor per l’ennesima volta. Intanto questa retorica ha influenzato le scelte dell’attuale esecutivo e anni di politiche migratorie basate sulla criminalizzazione delle Ong e sul disimpegno istituzionale dalla ricerca e dal soccorso davanti alle coste libiche. C’è da sperare che nuove ricercje facciano luce su quante vittime hanno causato simili norme e prassi, slegate da qualsiasi rapporto con la realtà e basate soltanto sulla propaganda.

      https://ilmanifesto.it/il-pull-factor-non-esiste-la-prova-del-nove-in-uno-studio-scientifico

      #propagande

    • Sea rescue operations do not promote migration, study finds

      Rescue operations do not incentivise migrants try to cross the Mediterranean, a recent study has found. Instead conflicts, economic hardship, natural and climate disasters, and the weather are reportedly key drivers of migration.

      Irregular migrant departures from the coasts of North Africa to Europe are not encouraged by search and rescue missions in the Central Mediterranean, a recent study has found. Instead, factors such as conflicts, economic hardship, natural disasters, and weather conditions drive migration.
      Rescue operations are not a ’pull factor’

      The study was published in Scientific Reports by an international research group led by Alejanda Rodríguez Sánchez from the University of Potsdam (Germany). The scientists looked at the number of attempts to cross the Central Mediterranean between 2011 and 2020.

      Through various simulations, the researchers tried to identify factors that can best predict changes in the number of sea crossings. The factors that they looked at included the number of search and rescue missions — both by state authorities and NGOs, as well as the currency exchange rates, the cost of international raw materials, unemployment rates, conflicts, violence, the rates of flight travel between Africa, the Middle East and Europe and meteorological conditions.
      Libya: Pushbacks reduced migration, increased human rights violations

      The study also looked at the increased activities of the Libyan coast guard since 2017, intercepting migrant boats and returning migrants to Libya. Researchers found that this had caused a reduction in the number of departure attempts and might have discouraged migration.

      The authors pointed out that, however, this has coincided with the reports of a worsening of human rights for migrants in Libya — particularly in the detention centers where migrants are being held after being stopped at sea.

      The researchers looked at migration on an “aggregate-level” and did not look at “micro-motives of migrants and smugglers”, they pointed out in the study. They recommended that future studies should do an in-depth analysis of the impact of search and rescue missions at sea on the decisions of individual migrants and human traffickers.

      https://www.infomigrants.net/en/post/50875/sea-rescue-operations-do-not-promote-migration-study-finds

  • Empêcher les migrations : #dissuasion, #répression

    La #politique_migratoire européenne est marquée par la doctrine dite de l’#appel_d’air [...]. Tout s’oriente vers des stratégies de dissuasion pour circonscrire l’entrée comme le séjour dans le territoire de l’Union européenne (UE), les pays usant pour cela de l’arsenal juridique, administratif ou militaro-policier dont ils disposent [...].

    Sont visées principalement, souvent sur une base raciste, les personnes qui tentent de franchir les #frontières, menacées, pourchassées, voire accusées de trafic d’êtres humains et condamnées, alors même qu’elles ne font que s’assister mutuellement. Mais aussi, dans la même logique, celles qui leur viennent en aide, ainsi que, le cas échéant, leurs organisations, toutes motivations confondues.

    Volontiers qualifiées de criminelles en référence à la figure honnie du « passeur », montrées du doigt sinon punies, les unes et les autres font l’objet d’un éreintement multiforme, l’imagination des forces de répression étant sans limite.

    http://migreurop.org/article3195.html?lang_article=fr
    #migrations #asile #réfugiés #Migreurop #criminalisation_de_la_solidarité #passeurs

  • Mort de #Nahel : « Ils sont rattrapés par le réel »

    #Ali_Rabeh, maire de #Trappes, et #Amal_Bentounsi, fondatrice du collectif Urgence, notre police assassine, reviennent dans « À l’air libre » sur la mort de Nahel, 17 ans, tué par un policier à Nanterre, et les révoltes qui ont suivi dans de nombreuses villes de France.

    https://www.youtube.com/watch?v=euw03owAwU8&embeds_widget_referrer=https%3A%2F%2Fwww.mediapart.fr%2

    https://www.mediapart.fr/journal/france/290623/mort-de-nahel-ils-sont-rattrapes-par-le-reel
    #violences_policières #banlieues #quartiers_populaires #naïveté

    • « #Emmanuel_Macron ne comprend rien aux banlieues »

      Ali Rabeh, maire de Trappes (Yvelines), a participé à l’Élysée à la rencontre entre le chef de l’État et quelque 200 maires, le 4 juillet, pour évoquer la révolte des quartiers populaires. Il dénonce sans langue de bois l’incapacité du Président à comprendre ce qui se joue dans les banlieues et son manque de perspectives pour l’avenir.

      Vous avez été reçu mardi 4 juillet à l’Élysée par le président de la République avec des dizaines d’autres maires. Comment ça s’est passé ?

      Ali Rabeh : Le Président a fait une introduction très courte pour mettre en scène sa volonté de nous écouter, de nous câliner à court terme, en nous disant à quel point on était formidable. Puis ça a viré à la #thérapie_de_groupe. On se serait cru aux #alcooliques_anonymes. Tout le monde était là à demander son petit bout de subvention, à se plaindre de la suppression de la taxe d’habitation, de la taille des LBD pour la police municipale ou de l’absence du droit de fouiller les coffres de voiture… Chacun a vidé son sac mais, à part ça et nous proposer l’accélération de la prise en charge par les #assurances, c’est le néant. La question primordiale pour moi n’est pas de savoir si on va pouvoir réinstaller des caméras de surveillances en urgence, ou comment réparer quelques mètres de voiries ou des bâtiments incendiés. Si c’est cela, on prend rendez-vous avec le cabinet du ministre de la Ville ou celui des Collectivités territoriales. Mais ce n’est pas du niveau présidentiel.

      Quand on parle avec le président de la nation, c’est pour cerner les #causes_structurelles du problème et fixer un cap afin d’éviter que ça ne se reproduise. Et là-dessus on n’a eu #aucune_réponse, ni #aucune_méthode. Il nous a dit qu’il avait besoin d’y réfléchir cet été. En fait, Emmanuel Macron voulait réunir une assemblée déstructurée, sans discours commun. Il a préféré ça au front commun de l’association #Ville_&_Banlieue réunissant des maires de gauche et de droite qui structurent ensemble un discours et des #revendications. Mais le Président refuse de travailler avec ces maires unis. Il préfère 200 maires en mode grand débat qui va dans tous les sens, parce que ça lui donne le beau rôle. En réalité, on affaire à des #amateurs qui improvisent. Globalement ce n’était pas à la hauteur.

      Le Président n’a donc rien évoqué, par exemple, de l’#appel_de_Grigny ou des nombreuses #propositions déjà faites par le passé sur les problématiques liées aux #banlieues et qui ne datent quand même pas d’hier ?

      Non. Il a fait du « Macron » : il a repris quelques éléments de ce qu’on racontait et il en fait un discours général. Il avait besoin d‘afficher qu’il avait les maires autour de lui, il nous a réunis en urgence pendant que les cendres sont brûlantes, ce qu’il a refusé de faire avant que ça n’explose. Et ce, malgré nos supplications. Pendant des mois, l’association Ville & Banlieue a harcelé le cabinet de Mme Borne pour que soit convoqué un Conseil interministériel des villes conformément à ce qu’avait promis le Président. Cela ne s’est jamais fait. Macron n’a pas tenu sa parole. On a eu du #mépris, de l’#arrogance et de l’#ignorance. Il n’a pas écouté les nombreuses #alertes des maires de banlieue parce qu’il pensait que nous étions des cassandres, des pleureuses qui réclament de l’argent. C’est sa vision des territoires. Elle rappelle celle qu’il a des chômeurs vus comme des gens qui ne veulent pas travailler alors qu’il suffirait de traverser la route. Emmanuel Macron n’a donc pas vu venir l’explosion. Fondamentalement, il ne comprend rien aux banlieues. Il ne comprend rien à ce qu’il s’est passé ces derniers jours.

      A-t-il au moins évoqué le #plan_Borloo qu’il a balayé d’un revers de main en 2018 ?

      Je m’attendais justement à ce qu’il annonce quelque chose de cet acabit. Il ne l’a pas fait. Il a fait un petit mea-culpa en disant qu’à l’époque du rapport Borloo, sur la forme il n’avait pas été adroit mais il affirme que la plupart des mesures sont mises en œuvre. Il prétend, tout content de lui, qu’il y a plus de milliards aujourd’hui qu’hier et que le plan Borloo est appliqué sans le dire. C’était #grotesque. J’aurais aimé qu’il nous annonce une reprise de la #méthode_Borloo : on fait travailler ensemble les centaines de maires et d’associatifs. On se donne six mois pour construire des propositions actualisées par rapport au rapport Borloo et s’imposer une méthode. Lui a dit : « J’ai besoin de l’été pour réfléchir. » Mais quelle est notre place là-dedans ?

      Dans ses prises de paroles publiques, le Président a fustigé la #responsabilité des #parents qui seraient incapables de tenir leurs enfants. Qu’en pensez-vous ?

      Qu’il faut commencer par faire respecter les mesures éducatives prescrites par les tribunaux. Pour ces mamans qui n’arrivent pas à gérer leurs enfants dont certains déconnent, les magistrats imposent des éducateurs spécialisés chargés de les accompagner dans leur #fonction_parentale. Or, ces mesures ne sont pas appliquées faute de moyens. C’est facile après de les accabler et de vouloir les taper au porte-monnaie mais commençons par mettre les moyens pour soutenir et accompagner les #familles_monoparentales en difficulté.

      Le deuxième élément avancé ce sont les #réseaux_sociaux

      C’est du niveau café du commerce. C’est ce qu’on entend au comptoir : « Faut que les parents s’occupent de leur môme, faut les taper aux allocs. Le problème ce sont les réseaux sociaux ou les jeux vidéo… » Quand on connaît la réalité c’est un peu court comme réponse. On peut choisir d’aller à la simplicité ou on peut se poser la question fondamentale des #ghettos de pauvres et de riches. Pour moi l’enjeu c’est la #mixité_sociale : comment les quartiers « politique de la ville » restent des quartiers « #politique_de_la_ville » trente ans après. Or personne ne veut vraiment l’aborder car c’est la montagne à gravir.

      Vous avez abordé cette question lors de votre intervention à l’Élysée. Comment le Président a-t-il réagi ?

      Il a semblé réceptif quand j’ai évoqué les ghettos de riches et les #maires_délinquants qui, depuis vingt-deux ans, ne respectent pas la #loi_SRU. Il a improvisé une réponse en évoquant le fait que dans le cadre des J.O, l’État prenait la main sur les permis de construire en décrétant des opérations d’intérêt national, un moyen de déroger au droit classique de l’#urbanisme. Il s’est demandé pourquoi ne pas l’envisager pour les #logements_sociaux. S’il le fait, j’applaudis des deux mains. Ça serait courageux. Mais je pense qu’il a complètement improvisé cette réponse.

      En ce moment, on assiste à une #répression_judiciaire extrêmement ferme : de nombreux jeunes sans casier judiciaire sont condamnés à des peines de prison ferme. Est-ce de nature à calmer les choses, à envoyer un message fort ?

      Non. On l’a toujours fait. À chaque émeute, on a utilisé la matraque. Pareil pour les gilets jaunes. Pensez-vous que la #colère est moins forte et que cela nous prémunit pour demain ? Pas du tout. Que les peines soient sévères pour des gens qui ont mis le feu pourquoi pas, mais ça ne retiendra le bras d’aucun émeutier dans les années qui viennent.

      Vous avez été dans les rues de Trappes pour calmer les jeunes. Qu’est-ce qui vous a marqué ?

      La rupture avec les institutions est vertigineuse. Elle va au-delà de ce que j’imaginais. J’ai vu dans les yeux des jeunes une véritable #haine de la police qui m’a glacé le sang. Certains étaient déterminés à en découdre. Un jeune homme de 16 ans m’a dit « Ce soir on va régler les comptes », comme s’il attendait ce moment depuis longtemps. Il m’a raconté des séances d’#humiliation et de #violence qu’il dit avoir subies il y a quelques mois de la part d’un équipage de police à #Trappes. Beaucoup m’ont dit : « Ça aurait pu être nous à la place de Nahel : on connaît des policiers qui auraient pu nous faire ça. » J’ai tenté de leur dire qu’il fallait laisser la justice faire son travail. Leur réponse a été sans appel : « Jamais ça ne marchera ! Il va ressortir libre comme tous ceux qui nous ont mis la misère. » Ils disent la même chose de l’#impunité des politiques comme Nicolas Sarkozy qui, pour eux, n’ira jamais en prison malgré ses nombreuses condamnations. Qui peut leur donner tort ?

      Il se développe aussi un discours politique extrêmement virulent sur le lien de ces #violences_urbaines avec les origines supposément immigrées des jeunes émeutiers. Qu’en pensez-vous ?

      Quand Robert Ménard a frontalement dit, dans cette réunion des maires, que le problème provenait de l’#immigration, le président de la République n’a pas tiqué. Une partie de la salle, principalement des maires LR, a même applaudi des deux mains. Il y a un #glissement_identitaire très inquiétant. Culturellement, l’extrême droite a contaminé la droite qui se lâche désormais sur ces sujets. Ces situations demandent de raisonner pour aller chercher les causes réelles et profondes du malaise comme l’absence d’#équité, la concentration d’#inégalités, d’#injustices, de #frustrations et d’#échecs. C’est beaucoup plus simple de s’intéresser à la pigmentation de la peau ou d’expliquer que ce sont des musulmans ou des Africains violents par nature ou mal élevés.

      Comment ces discours sont-ils perçus par les habitants de Trappes ?

      Comme la confirmation de ce qu’ils pensent déjà : la société française les déteste. Dans les médias, matin, midi et soir, ils subissent continuellement des #discours_haineux et stigmatisant de gens comme Éric Zemmour, Marine le Pen, Éric Ciotti, etc. qui insultent leurs parents et eux-mêmes au regard de leur couleur de peau, leur religion ou leur statut de jeune de banlieue. Ils ont le sentiment d’être les #rebuts_de_la_nation. Quotidiennement, ils ont aussi affaire à une #police qui malheureusement contient en son sein des éléments racistes qui l’expriment sur la voie publique dans l’exercice de leur métier. Ça infuse. Les jeunes ne sont pas surpris de l’interprétation qui est faite des émeutes. En réalité ils l’écoutent très peu, parce qu’ils ont l’habitude d’être insultés.

      D’après vous, que faut-il faire dans l’#urgence ?

      Il faut arrêter de réfléchir dans l’urgence. Il faut s’engager sur une politique qui change les choses sur dix à quinze ans. C’est possible. On peut desserrer l’étau qui pèse sur les quartiers en construisant des logements sociaux dans les villes qui en ont moins. Moi, je ne demande pas plus de subventions. Je veux que dans quinze à vingt ans, on me retire les subventions « politique de la ville » parce que je n’en aurai plus besoin. C’est l’ambition qu’on doit porter.

      Et sur le court terme ?

      Il faut envoyer des signaux. Revenir sur la loi 2017 car cela protégera les policiers qui arrêteront de faire usage de leurs armes à tort et à travers, s’exposant ainsi à des plaintes pour homicide volontaire, et cela protégera les jeunes qui n’auront plus peur de se faire tirer comme des lapins. Il faut aussi engager un grand #dialogue entre la police et les jeunes. On l’a amorcé à Trappes avec le commissaire et ça produit des résultats. Le commissaire a fait l’effort de venir écouter des jeunes hermétiquement hostiles à la police, tout en rappelant le cadre et la règle, la logique des forces de l’ordre. C’était très riche. Quelques semaines plus tard le commissaire m’a dit que ses équipes avaient réussi une intervention dans le quartier parce que ces jeunes ont calmé le jeu en disant « on le connaît, il nous respecte ». Il faut lancer un #cercle_vertueux de #dialogue_police-population, et #jeunesse en particulier, dans les mois qui viennent. La police doit reprendre l’habitude de parler avec sa population et être acceptée par elle. Mettons la police autour de la table avec les jeunes, les parents du quartier, des éducateurs, les élus locaux pour parler paisiblement du ressenti des uns et des autres. Il peut y avoir des signaux constructifs de cet ordre-là. Or là on est dans la culpabilisation des parents. Ça ne va pas dans le bon sens.

      https://www.politis.fr/articles/2023/07/emmanuel-macron-ne-comprend-rien-aux-banlieues
      #Macron #ignorance

    • Entre Emmanuel Macron et les banlieues, le #rendez-vous_manqué

      En 2017, le volontarisme du chef de l’Etat avait fait naître des #espoirs dans les #quartiers_populaires. Malgré la relance de la #rénovation_urbaine, le rejet du plan Borloo comme son discours sur le #séparatisme l’ont peu à peu coupé des habitants.

      Il n’y a « pas de solution miracle ». Surtout pas « avec plus d’argent », a prévenu le chef de l’Etat devant quelque 250 maires réunis à l’Elysée, mardi 4 juillet, sur l’air du « trop, c’est trop » : « La santé est gratuite, l’école est gratuite, et on a parfois le sentiment que ce n’est jamais assez. » Dans la crise des violences urbaines qui a meurtri 500 villes, après la mort du jeune Nahel M. tué par un policier, le président de la République a durci le ton, allant jusqu’à rappeler à l’ordre des parents. Une méthode résumée hâtivement la veille par le préfet de l’Hérault, Hugues Moutouh, sur France Bleu : « C’est deux claques, et au lit ! »

      L’urgence politique, dit-on dans le camp présidentiel, est de rassurer une opinion publique encore sous le choc des destructions et des pillages. « Une écrasante majorité de Français se raidit, avec une demande d’autorité forte, confirme Brice Teinturier, directeur général délégué d’Ipsos. Déjà sous Sarkozy, l’idée dominait qu’on en faisait trop pour les banlieues. Les dégradations réactivent cette opinion. Emmanuel Macron est sur une crête difficile à tenir. »

      Ce raidissement intervient sur fond de #fracture territoriale et politique. « L’opposition entre la France des quartiers et celle des campagnes nous revient en pleine figure. Si on met encore de l’argent, on accentuera la fracture », pense Saïd Ahamada, ex-député de la majorité à Marseille. « Les gens en ont ras le bol, ils ne peuvent plus entendre que ces quartiers sont abandonnés », abonde Arnaud Robinet, maire de Reims, qui abrite sept #quartiers_prioritaires_de_la_politique_de_la_ville (#QPV), et membre du parti d’Edouard Philippe.

      (#paywall)

      https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/07/06/entre-emmanuel-macron-et-les-banlieues-le-rendez-vous-manque_6180759_823448.

  • Ce que Jean-Marc Jancovici ne comprend pas | Mouais, le journal dubitatif

    https://blogs.mediapart.fr/mouais-le-journal-dubitatif/blog/250523/ce-que-jean-marc-jancovici-ne-comprend-pas

    L’air de rien, malgré son apparente approche globale, la pensée de Jancovici est très simple, et même très simpliste. Pour lui, tout se résume aux flux physiques : l’économie, le progrès social et technologique, la marche du monde. Y’a de l’énergie, y’a de la thune, y’a plus d’énergie, y’a plus de thune. « Les faits physiques n’ont pas besoin d’être politisés » (3) dit-il. Quand il répète que « la décroissance, on ne va pas y échapper », c’est finalement par rationalité physique selon lui. C’est largement sous-estimer les fous furieux qui nous gouvernent, prêts à aller aux confins de l’univers chercher de nouvelles sources d’énergie, et surtout, prêts à ce que les trois quarts de l’humanité meurent pendant qu’ils seront bunkérisés dans les derniers endroits viables de la planète. Jancovici, qui n’est d’ailleurs pas un scientifique, il le dit lui-même, martèle un discours qui confère souvent au scientisme, idéologie selon laquelle tous les problèmes qui concernent l’humanité pourraient être réglés suivant le paradigme de la méthode scientifique : « Les lois de la physique et des mathématiques seront respectées de toute façon » (4) prévient JMJ. Bien évidemment que chacun connaît l’irréversibilité de la catastrophe en cours, la dérégulation climatique, ainsi que le réchauffement planétaire. Ce sur quoi sur nous pouvons avoir prise pour s’adapter, prévoir, éviter, c’est le politique, au sens premier du terme, c’est-à-dire l’organisation de la cité.

    Et c’est là où le bât blesse. Ce que Jean-Marc Jancovici ne comprend pas, c’est qu’aucune forme d’avancée écologiste ne sera possible tant que la bourgeoisie, dont il fait partie, sera aux commandes. D’ailleurs l’a-t-on déjà vu soutenir une quelconque lutte écolo ? Car ce n’est que par la lutte et l’organisation que le progrès social advient, que l’on construit des alternatives viables et non par la magie de l’invention machinique ou par la formation scientifique.

  • Termes nautiques
    https://www.annoncesbateau.com/conseils/termes-nautiques

    petit #dictionnaire

    Écrit par : Bénédicte Chalumeau
    ...
    Pour naviguer il est nécessaire d’avoir une compréhension du vocabulaire de la navigation, de la mer et des bateaux. Nous vous présentons ici les termes techniques les plus courants, utilisés dans le monde maritime.

    A
    #Abattre :
    Écarter sa route du lit du vent. Ce mouvement s’appelle une abattée.

    #Abord (en) :
    Sur le côté du bâtiment.

    #Accastillage :
    Objets et accessoires divers équipant un navire.

    #Accoster :
    Placer un bâtiment le long d’un quai ou le long d’un autre navire.

    #Acculée :
    Mouvement en arrière d’un navire, il cule.

    #Adonner :
    Le vent adonne pour un navire à voiles quand il tourne dans un sens favorable à la marche, c’est à dire quand il vient plus à l’arrière. Le contraire est refuser.

    #Affaler :
    Faire descendre, c’est le contraire de hâler. Affaler quelqu’un le long du bord, ou d’un mât, c’est le faire descendre au bout d’un filin.

    #Aiguillots :
    Pivots fixes sur une mèche du gouvernail ou sur l’étambot et tournant dans les fémelots.

    #Aileron :
    Partie de tente qui se place en abord. Prolongements en abord et généralement découverts de l’abri de navigation.

    #Ajut :
    Noeud servant à réunir momentanément deux bouts de cordage.

    #Allure :
    Direction d’un navire par rapport à celle du vent.

    #Amariner :
    Amariner un équipage : l’habituer à la mer.

    #Amarrage :
    Action d’amarrer.

    #Matelotage
     : bout de lusin, merlin, ligne, etc... servant à relier ensemble deux cordages.

    #Amarres :
    Chaînes ou cordages servant à tenir le navire le long du quai.

    #Amener :
    abaisser, faire descendre.

    #Amer :
    Point de repère sur une côte.

    #Amure :
    Manoeuvre qui retient le point inférieur d’une voile du côté d’où vient le vent (voiles carrées). Par extension est synonyme d’allure. Pour les bateaux latins, on continue à dire qu’ils naviguent bâbord ou tribord amures, selon que le vent vient de la gauche ou de la droite.

    #Anguillers :
    Conduits, canaux ou trous pratiqués dans la partie inférieure des varangues des couples pour permettre l’écoulement de l’eau dans les fonds.

    #Anspect :
    Ou barre d’anspect. Levier en bois dur servant à faire tourner un cabestan ou un guindeau. Primitivement, servait à pointer les canons en direction.

    #Aperçu :
    Pavillon signal que l’on hisse pour indiquer que l’on a compris un signal.

    #Apiquer :
    Hisser l’une des extrémités d’un gui ou d’une vergue de manière à l’élever au-dessus de l’autre.

    #Apparaux :
    Ensemble des objets formant l’équipement d’un navire.

    #Appel :
    Direction d’un cordage, de la chaîne de l’ancre.

    #Appuyer :
    Haler, raidir un cordage pour soutenir ou fixer l’objet auquel il aboutit. Appuyer un signal, c’est l’accompagner d’un signal sonore, coup de Klaxon, pour attirer l’attention. Appuyer la chasse : poursuivre obstinément.

    #Araignée :
    Patte d’oie à grand nombre de branches de menu filin qu’on installe sur les funes des tentes et tauds pour permettre de les maintenir horizontaux. Hamac : réseau de petites lignes à oeil placées à chaque extrémité de la toile du hamac pour le suspendre : elles se réunissent à deux boucles métalliques ou organeaux d’où partent les « rabans » de suspension.

    #Arborer :
    Arborer un pavillon, c’est le hisser au mât. En Méditerranée, dans la langue des galères, le mât s’appelait l’arbre.

    #Ardent :
    Un navire est ardent lorsqu’il tend de lui-même à se rapprocher du lit du vent. C’est le contraire du mou.

    #Armement :
    L’armement d’un bâtiment consiste à le munir de tout ce qui est nécessaire à son genre de navigation ; ce terme désigne aussi la totalité des objets dont un navire est muni. Ces objets sont inscrits sur les « feuilles d’armement ». Dans une embarcation, on appelle ainsi son équipage.

    #Armer :
    Armer un navire : le munir de son armement. / Armer un câble : le garnir en certains endroits pour le garantir des frottements.

    #Arraisonner :
    Arraisonner un navire c’est le questionner sur son chargement, sa destination, et toutes autres informations pouvant intéresser le navire arraisonneur.

    #Arrimage :
    Répartition convenable dans le navire de tous les objets composants son armement et sa cargaison.

    #Arrivée :
    Mouvement que fait le navire quand il s’éloigne du lit du vent pour recevoir le vent plus de l’arrière. Synonyme : « abattée ». Contraire : « auloffée ».

    #Arrondir :
    Passer au large d’un cap pour éviter les dangers qui le débordent.

    #Assiette :
    Manière dont le navire est assis dans l’eau, autrement dit sa situation par rapport à la différence de ses tirants d’eau avant et arrière.
    Assiette positive : T AV < T AR
    Assiette négative : T AV > T AR

    #Atterrir :
    Faire route pour trouver une terre ou un port.

    #Attrape :
    Cordage fixé sur un objet de façon à pouvoir en temps utile l’amener à portée de main.

    #Atterrissage :
    Action d’atterrir.

    #Auloffée :
    Mouvement d’un navire tournant son avant vers le lit du vent. Contraire : arrivée abattée (ou abattée).

    #Aveugler :
    Une voie d’eau, obstruer avec des moyens de fortune

    B
    #Bâbord :
    Partie du navire située à gauche d’un observateur placé dans l’axe de ce navire en faisant face à l’avant.

    #Baguer :
    Faire un noeud coulant.

    #Baille :
    Baquet (appellation familière donnée à leur école, par les élèves de l’école Navale).

    #Balancine :
    Manoeuvre partant du haut du mât et soutenant les extrémités d’une vergue ou l’extrémité d’un gui ou d’un tangon.

    #Ballast :
    Compartiments situés dans les fonds du navire et servant à prendre du lest, eau ou combustible.

    #Ballon :
    Défense sphérique que l’on met le long du bord.

    #Bande :
    Inclinaison latérale du navire. Synonyme de gîte. Mettre l’équipage à la bande : l’aligner sur le pont pour saluer un navire ou une personnalité.

    #Barbotin :
    Couronne à empreintes du guideau ou du cabestan sur laquelle les maillons d’une chaîne viennent s’engrener successivement.

    #Base :
    Banc de roche ou de corail formant un bas-fond.

    #Bastaque :
    Hauban à itague employé sur les petits bateaux. Il peut aussi servir à hisser certains objets.

    #Bastingage :
    Autrefois muraille en bois ou en fer régnant autour du pont supérieur d’un navire, couronnée par une sorte d’encaissement destiné à recevoir pendant le jour, les hamacs de l’équipage ; une toile peinte les recouvrait pour les protéger de la pluie et de l’humidité. On emploie aussi ce terme par extension pour désigner les gardes corps ou lisses de pavois.

    #Battant :
    Partie du pavillon qui flotte librement par opposition au guindant qui est le long de la drisse.

    #Bau :
    Poutres principales placées en travers du bateau pour relier les deux murailles de la coque et supporter les bordages de la coque.

    #Beaupré :
    Mât situé à l’avant du bâtiment.

    #Béquiller :
    #Empêcher un navire échoué de se coucher en le maintenant avec des béquilles.

    #Berceau :
    Assemblage en bois ou en fer destiné à soutenir un navire quand il est halé à terre.

    #Berne (en) :
    Mettre le pavillon à mi-drisse en signe de deuil.

    #Bigue :
    Très gros mât de charge maintenu presque vertical et portant à son extrémité supérieure des cordages et des appareils destinés à lever des poids très lourds. On nomme aussi bigues deux mâts placés et garnis comme le précèdent, et dont les têtes sont réunies par une portugaise.

    #Bittes :
    Pièce de bois ou d’acier fixé verticalement sur un pont ou un quai et servant à tourner les aussières.

    #Bitture :
    Partie d’une chaîne élongée sur le pont à l’avant et à l’arrière du guindeau, filant librement de l’écubier aussitôt qu’on fait tomber l’ancre (prendre une bitture).

    #Bollard :
    Point d’amarrage à terre constituée par un gros fût cylindrique en acier coulé, à tête renflée, pour éviter le glissement de l’amarre.

    #Bôme :
    Vergue inférieure d’une voile aurique.

    #Borde :
    #Ensemble des tôles ou des planches formant les murailles d’un navire.

    #Bordée :
    – Distance parcourue par un navire en louvoyant et sans virer de bord.
    – Division : de l’équipage pour faire le quart.

    #Border :
    – ne voile : la raidir en embarquant l’écoute.
    – La côte : la suivre de très près.
    – Un navire : mettre en place le bordé.

    #Bordure :
    Côté inférieur d’une voile ; la ralingue qui y est fixée se nomme ralingue de fond ou de bordure.

    #Bosco :
    Maître de manoeuvre (marine de guerre), Maître d’équipage (marine de commerce)

    B#osse :
    Bout de cordage ou de chaîne fixé par une de ses extrémités et qui, s’enroulant autour d’un cordage ou d’une chaîne sur lesquels s’exerce un effort, les maintient immobile par le frottement.

    #Bossoir :
    – Pièce de bois ou de fer saillant en dehors d’un navire et servant à la manoeuvre des ancres à jas ; par extension coté avant d’un navire. De capon - de traversières : sert à mettre l’ancre au poste de navigation ; d’embarcation ou portemanteau : sert à suspendre et à amener les embarcations.
    – Homme de bossoir : homme de veille sur le gaillard avant.

    #Bouge :
    Convexité transversale entre ponts et faux-ponts des navires.

    #Bouée :
    Corps flottant.

    #Bourlinguer :
    Se dit d’un bateau qui lutte dans une forte mer et d’un marin qui navigue beaucoup.

    #Braie :
    Sorte de collier en toile à voile ou en cuir que l’on applique autour du trou pratiqué dans le pont pour le passage d’un mât, d’une pompe, de la volée d’un canon afin d’empêcher l’infiltration de l’eau à l’intérieur du bateau.

    #Branles :
    Nom ancien des hamacs (d’où « branle-bas »).

    #Brasse :
    Mesure de longueur pour les cordages, 1m83, servant aussi à indiquer la profondeur de l’eau. Ce terme est en usage dans la plupart des nations maritimes mais la longueur en est différente : en France : 1m624, en Angleterre et en Amérique : 1m829 (six pieds anglais).

    #Brasser :
    Orienter les vergues au moyen des manoeuvres appelées bras. - carré : placer les vergues à angle droit avec l’axe longitudinal du navire. Brasser un tangon.

    #Brider :
    Étrangler, rapprocher plusieurs cordages tendus parallèlement par plusieurs tours d’un autre cordage qui les serre en leur milieu ; ou augmente ainsi leur tension.

    #Brigadier :
    Matelot d’une embarcation placé à l’avant pour recevoir les bosses ou les amarres, annoncer les obstacles sous le vent ou aider à accoster avec la gaffe.

    #Brin :
    Mot servant à indiquer la qualité du chanvre d’un cordage ; le meilleur est dit le premier brin. S’emploie aussi pour qualifier un homme remarquable.

    #Bulbe :
    Renflement de la partie inférieure d’une étrave.

    #Bulge :
    Renflement des flancs du navire.

    C
    #Cabaner :
    Chavirer sans dessus dessous en parlant d’une embarcation.

    #Cabestan :
    Treuil vertical servant à actionner mécaniquement ou à bras les barbotins.

    #Cabillot :
    Chevilles en bois ou en métal qui traversent les râteliers et auxquelles on amarre les manoeuvres courantes au pied des mâts ou en abord.

    #Câblot :
    Petit câble d’environ 100 mètres de longueur servant à mouiller les embarcations au moyen d’un grappin ou d’une petite ancre.

    #Cabotage :
    Navigation entre deux ports d’une même côte ou d’un même pays.

    #Caillebotis :
    treillis en bois amovible servant de parquet et laissant écouler l’eau.

    #Calfatage :
    Opération qui consiste à remplir d’étoupe, au moyen d’un ciseau et à coups de maillet, les coutures des bordages ou des ponts en bois d’un navire afin de les rendre étanches. L’étoupe est ensuite recouverte de brai.

    #Calier :
    Homme employé spécialement à la distribution de l’eau douce.

    #Caliorne :
    Gros et fort palan destiné aux manoeuvres de force.

    #Cap de mouton :
    Morceau de bois plat et circulaire percé de trois ou quatre trous dans lesquels passent des rides pour raidir les haubans, galhaubans, etc...

    #Cape (à la) :
    On dit qu’un navire est à la cape quand, par gros temps, il réduit sa voilure ou diminue la vitesse de sa machine en gouvernant de façon à faire le moins de route possible et à dériver le plus possible pour éviter les effets de la mer.

    #Capeler :
    Capeler un mât, c’est faire embrasser la tête du mât par toutes les manoeuvres dormantes qui doivent entourer cette tête et s’y trouver réunies.

    #Capeyer :
    Tenir la cape.

    #Capon :
    Palan qui servait à hisser l’ancre sur les anciens navires (bossoirs de capon).

    #Carène :
    Partie immergée de la coque d’un navire.

    #Caréner (un navire) :
    Nettoyer et peindre sa carène.

    #Cartahu :
    Cordage volant, sans affectation spéciale, destiné à hisser ou amener les objets qu’on y attache. Les cartahus de linge servent à mettre le linge au sec ; ils se hissent parfois entre les mâts de corde.

    #Chadburn :
    Système mécanique employé pour transmettre les ordres de la passerelle aux machines (marine de commerce).

    #Chambre (d’embarcation) :
    Partie libre, à l’arrière de l’embarcation où peuvent s’asseoir les passagers.

    #Chandeliers :
    Barres généralement en acier fixées verticalement en abord d’un pont, autour des panneaux et des passerelles pour empêcher les chutes. Les chandeliers sont percés de trous dans lesquels passent les tringles ou les filières de garde-corps.

    #Chapelle, #Faire_chapelle :
    Se dit d’un navire qui, marchant, sous un vent favorable, vient à masquer par suite, d’une cause quelconque et est obligé de faire le tour pour reprendre les mêmes amures.

    #Charnier :
    Tonneau à couvercle, ayant généralement la forme d’un cône tronqué et dans lequel étaient conservés les viandes et les lards salés pour la consommation journalière de l’équipage (ancien). Par extension réservoir rempli d’eau potable.

    #Chasser (sur son ancre) :
    Entraîner l’ancre par suite d’une tenue insuffisante de fond.

    #Château :
    Superstructure établie sur la partie centrale d’un pont supérieur et qui s’étend d’un côté à l’autre du navire.

    #Chatte :
    Grappin à patte sans oreilles dont on se sert pour draguer les câbles ou les objets tombés à la mer.

    #Chaumard :
    Pièce de guidage pour les amarres solidement fixées sur le pont dont toutes les parties présentent des arrondis pour éviter d’user ou de couper les filins.

    #Chèvre :
    Installation de trois mâtereaux réunis à leur tête pour les manoeuvres de force.

    #Choquer :
    Filer ou lâcher un peu de cordage soumis à une tension.

    #Claire :
    Ancre haute et claire :
    ancre entièrement sortie de l’eau, ni surpattée, ni surjalée. On dira de même :
    manoeuvre claire, pavillon clair.

    #Clan :
    Ensemble formé par un réa tournant dans une mortaise qui peut être pratiquée dans un bordage, une vergue ou un mât.

    #Clapot :
    Petites vagues nombreuses et serrées qui se heurtent en faisant un bruit particulier.

    #Clapotis :
    Etat de la mer qui clapote ou bruit de clapot.

    #Clin :
    Les bordages sont disposés à clin quand ils se recouvrent comme les ardoises d’un toit :
    embarcation à clins.

    #Clipper :
    Nom donné à un
    voilier
    fin de carène, spécialement construit pour donner une grande vitesse (clipper du thé, de la laine).

    #Coaltar :
    Goudron extrait de la houille (protège le bois de la pourriture).

    #Coffre :
    Grosse bouée servant à l’amarrage des navires sur une rade.

    #Connaissement :
    Document où est consigné la nature, le poids et les marques des marchandises embarquées. Cette pièce est signée par le capitaine après réception des marchandises avec l’engagement de les remettre dans l’état où elles ont été reçues, au lieu de destination sauf périls et accidents de mer.

    #Conserve, Naviguer de conserve :
    Naviguer ensemble (un bâtiment est ainsi « conserve » d’un autre).

    #Contre-bord (navire à) :
    Navire faisant une route de direction opposée à celle que l’on suit.

    #Coque :
    Boucle qui se forme dans les cordages.

    #Coqueron :
    Compartiment de la coque souvent voisine de l’étrave ou de l’étambot, servant e soute à matériel.

    #Corde :
    Ce mot n’est employé par les marins que pour désigner la corde de la cloche.

    #Cornaux :
    W-C. de l’équipage consistant en auges inclinées qui découlent dans les conduits aboutissant à la mer ; les cornaux étaient autrefois placés à tribord et à bâbord sur le plancher de la poulaine.

    #Corps-morts :
    Chaînes et ancres disposées au fond de la mer, solidement retenues par des empennelages, et dont une branche qui part dès la réunion des chaînes est nommée itague revient au-dessus de l’eau où elle est portée par un corps flottant (bouée ou coffre).

    #Coupée :
    Ouverture pratiquée dans les pavois ou dans le bastingage permettant l’entrée ou la sortie du bord.

    #Couples :
    Axes de charpente posés verticalement sur la quille.

    #Coursive :
    Terme général pour désigner des passages étroits tels que ceux qui peuvent se trouver entre des chambres ou autres distributions du navire.

    #Crachin :
    Pluie très fine. Crachiner.

    #Crapaud (d’amarrage) :
    Forts crampons pris sur le fond et servant au mouillage des coffres et des grosses bouées.

    #Crépine :
    Tôle perforée placée à l’entrée d’un tuyautage pour arrêter les saletés.

    #Croisillon :
    Petite bitte en forme de croix.

    #Croupiat :
    Grelin de cordage quelconque servant à amarrer l’arrière d’un navire à un quai ou à un bâtiment voisin. Faire croupiat :
    appareiller le navire en s’aidant d’une amarre pour éviter le navire vers la sortie du port ou du bassin.

    #Cul :
    Fond, partie arrière, basse ou reculée, d’un objet.
    – Cul d’une poulie :
    Partie de la caisse opposée au collet.
    – Cul de poule :
    Arrière allongé et relevé.
    – Cul de porc :
    Sorte de noeud.

    #Culer :
    En parlant d’un navire : marche arrière en avant.

    D
    #Dalot :
    Trous pratiqués dans les ponts et laissant s’écouler dans un tuyau placé au-dessous l’eau qui se trouve à la surface du pont.

    #Dames :
    Échancrures du plat-bord d’un canot garnies de cuivre et destinées à recevoir et à maintenir les avirons pendant la nage.

    #Darse :
    Bassin d’un port.

    #Déborder :
    Action de pousser au large une embarcation ou un bâtiment accosté à un navire ou à un quai.

    #Débouquer :
    Sortir d’un canal ou d’une passe pour gagner la mer libre.

    #Décapeler :
    Un mât, une vergue, c’est enlever les cordages qui y sont capelés ; un cordage, entourant un objet quelconque, c’est le dépasser par-dessus cet objet et l’enlever. De façon générale : ôter, décapeler un tricot, etc...

    #Défense :
    Tout objet suspendu contre le bord d’un navire ou d’une embarcation pour préserver la muraille du choc des quais et de toute construction flottante.

    #Déferler :
    Larguer les rabans de ferlage qui tiennent une voile serrée et la laisser tomber sur ses cargues. La lame déferle lorsqu’elle brise en s’enroulant sur elle-même ou en choquant une plage, une roche.

    #Déferler_un_pavillon :
    Peser sur la drisse pour permettre au pavillon de se déployer.

    #Déhaler :
    Déplacer un navire au moyen de ses amarres.

    Se déhaler :
    S’éloigner d’une position dangereuse au moyen de ses embarcations, de ses voiles.

    #Dérader :
    Quitter une rade.

    #Déraper :
    Une ancre : l’arracher du fond. Un navire dérape lorsqu’il enlève du fond sa dernière ancre.

    #Dérive :
    Différence entre le cap vrai du bâtiment et sa route vraie sous l’effet du vent de la mer et du courant.On appelle aussi « dérive » les surfaces que l’on immerge au centre de la coque ou sur les côtés pour s’opposer à la pression latérale du vent ; on devrait dire dans ce cas « contre dérive ». Être en dérive : navire ou objet qui flotte au gré du vent, des lames, des courants.

    #Désaffourcher :
    Relever une des deux ancres qui tiennent un navire affourché.

    #Désarmé :
    Un navire est désarmé lorsqu’il est amarré dans un port sans équipage et qu’il n’y a, en général, que des gardiens à bord.

    #Détroit :
    Ancre installée à la poupe d’un bâtiment.

    #Déventer :
    Une voile : la brasser en ralingue de façon à ce qu’elle fasseye.

    #Dévers :
    Inclinaison de l’étrave et courbure vers l’extérieur des couples de l’avant ayant pour avantage d’éviter l’embarquement des lames, formées par la vitesse du bâtiment.

    #Délester :
    Décharger le lest d’un navire, par exemple, alléger un navire.

    #Démailler :
    Séparer les maillons d’une chaîne, ou l’ancre de sa chaîne.

    #Demande :
    Filer à la demande un cordage qui fait effort, c’est le laisser (à la) filer en n’opposant qu’une faible résistance, mais en se tenant prêt à arrêter le mouvement au besoin.

    #Dépaler :
    Être dépalé : être porté par les courants, en dehors de la route que l’on doit suivre.

    #Déplacement :
    Poids du volume d’eau déplacé par un navire qui flotte. Le déplacement s’exprime en tonnes de 1000 kg.

    #Dévirer :
    (Cabestan, treuil, etc...) : tourner en sens contraire.

    #Dinghy :
    Embarcation en caoutchouc. L’on dit aussi
    zodiac quel que soit le modèle.

    #Double :
    Le double d’une manoeuvre : la partie qui revient sur elle-même dans le sens de la longueur après avoir passé dans une poulie ou autour d’un cabillot ou de tout autre objet. Quart de vin supplémentaire à titre de récompense.

    #Doubler :
    – Au vent : naviguer au vent de, passer au vent de...
    – Un cap : manoeuvrer et faire route de manière à contourner un cap.
    – Un bâtiment : le gagner de vitesse.
    – Les manoeuvres, cordages : les disposer en double en cas de mauvais temps ou autrefois à l’approche du combat.

    #Draille :
    Cordage tendu le long duquel une voile, une tente peuvent courir ou glisser par le moyen d’un transfilage ou d’anneaux.

    #Drisse :
    Cordage ou palan servant à hisser une vergue, une corne, une voile.
    – De flamme : cordage confectionné au moyen d’une machine spéciale, en une tresse ronde avec huit faisceaux, de trois fils à voile non goudronnés et destiné à hisser les signaux.

    #Drome :
    Ensemble des embarcations, des pièces de rechange : mâts, vergues, avirons, etc... embarqués à bord d’un bâtiment.
    – Des embarcations : rassemblement en bon ordre des avirons, mâts, gaffes d’un canot sur les bancs.

    #Drosse :
    Cordage en filin, en cuir, en fil d’acier, ou en chaîne qui sert à faire mouvoir la barre de gouvernail.

    #Drosser :
    Entraîner hors de sa route par les vents et la mer.

    #Ducs d’albe :
    Nom donné à un ou plusieurs poteaux réunis, enfoncés dans le fond d’un bassin ou d’une rivière afin d’y capeler des amarres quand on le déhale d’un navire.

    E
    #Echafaud :
    Planches formant une plate-forme que l’on suspend le long de la coque pour travailler.

    #Echouer :
    Toucher le fond.

    #Ecope :
    Pelle en bois à long manche qui sert à prendre de l’eau à la mer pour en asperger la muraille d’un bâtiment pour la nettoyer. Elle sert également à vider les embarcations.

    #Écoutille :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans le pont pour pouvoir accéder dans les entreponts et dans les cales.

    #Ecubier :
    Conduit en fonte, en tôle ou en acier moulé ménagé de chaque bord de l’étrave pour le passage des chaînes de l’ancre. Ouverture par laquelle passe la chaîne d’une ancre.

    #Elingue :
    Bout de filin ou longue estrope dont on entoure les objets pesants tels qu’une barrique, un ballot, une pièce de machine, etc... A cette élingue, on accroche un palan ou la chaîne d’un mât de charge pour embarquer ou débarquer les marchandises.

    #Embardée :
    Abattée d’un navire en marche en dehors de sa route ou au mouillage ou sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embarder :
    Se dit d’un navire qui s’écarte de sa route à droite ou à gauche en suivant une ligne courbe et irrégulière. On dit aussi qu’un navire, à l’ancre, embarde quand il change constamment de cap sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embellie :
    Amélioration momentanée de l’état de la mer et diminution du vent pendant une tempête ou encore éclaircie du ciel pendant le mauvais temps ou la pluie.

    #Embosser :
    Un navire : mouiller ou amarrer le bâtiment de l’AV et de l’AR, pour le tenir dans une direction déterminée malgré le vent ou le courant.

    #Embouquer :
    S’engager dans un canal, un détroit ou une passe.

    #Embraquer :
    Tirer sur un cordage de manière à le raidir : embraquer le mou d’une aussière.

    #Embrun :
    L’embrun est une poussière liquide arrachée par le vent de la crête des lames.

    #Emerillon :
    Croc ou anneau rivé par une tige dans un anneau de manière à pouvoir tourner librement dans le trou de l’anneau.

    #Empanner :
    Un navire à voile empanne ou est empanné quand il est masqué par le côté de l’écoute de ses voiles.

    #Encablure :
    Longueur employée pour estimer approximativement la distance entre deux objets peu éloignés l’un de l’autre. Cette longueur est de 120 brasses (environ 200 mètres). Longueur normale d’une glène d’aussière. Autre définition de l’encablure : un dixième de mille soit environ 185 mètres.

    #Encalminé :
    Voilier encalminé : quand il est dans le calme ou dans un vent si faible qu’il ne peut gouverner.

    #Engager :
    Un navire est engagé quand il se trouve très incliné par la force du vent, le désarrimage du chargement ou la houle et qu’il ne peut se redresser. Cordage engagé : cordage qui bloque.

    #En grand :
    Tout à fait, sans retenue.

    #Entremise :
    Fil d’acier reliant deux têtes de bossoir et sur lequel sont frappés les tire-veilles. Pièces de bois, cornière, placées dans le sens longitudinal. Elles servent avec les barrots à établir la charpente des ponts, à limiter les écoutilles, etc...

    #Épauler :
    La lame : prendre la mer à quelques quarts de l’AV pour mieux y résister.

    #Epontille :
    Colonne verticale de bois ou de métal soutenant le barrot d’un pont ou d’une partie à consolider.

    #Erre :
    Vitesse conservée par un navire sur lequel n’agit plus le propulseur.

    #Espars :
    Terme général usité pour désigner de longues pièces de bois employées comme mâts, vergues, etc...

    #Essarder :
    Essuyer, assécher avec un faubert ou une serpillière.

    #Etale :
    – Sans vitesse.
    – Étale de marée : moment où la mer ne monte ni ne baisse

    #Etaler :
    Résister à.

    #Étalingure :
    Fixation de l’extrémité d’un câble, d’une chaîne sur l’organeau d’une ancre. - de cale : fixation du câble ou de la chaîne dans la cale ou le puits à chaînes.

    #Etambot :
    Pièce de bois de même largeur que la quille et qui s’élève à l’arrière en faisant avec celle-ci un angle généralement obtus qu’on nomme quête. Il reçoit les fémelots ou aiguillots du gouvernail.

    #Etamine :
    Étoffe servant à la confection des pavillons.

    #Etarquer :
    Une voile : la hisser de façon à la tendre le plus possible.

    #Étrangler :
    Une voile : l’étouffer au moyen de cordages.

    #Etrangloir :
    Appareil destiné à ralentir et à arrêter dans sa course une chaîne d’ancre.

    #Evitage :
    Mouvement de rotation d’un bâtiment sur ses ancres, au changement de marées ou par la force du vent qui agit plus sur lui que sur le courant. Espace nécessaire à un bâtiment à l’ancre pour effectuer un changement de cap, cap pour cap.

    F
    #Fanal :
    Lanterne d’embarcation.

    #Fardage :
    Tout ce qui se trouve au-dessus de la flottaison excepté la coque lisse et offrant de la prise au vent. Dans la marine de commerce, désigne aussi les planches , nattes, etc... que l’on place sur le vaigrage du fond pour garantir les marchandises contre l’humidité.

    #Fatiguer :
    Un bâtiment fatigue lorsque, par l’effet du vent, de la mer, ses liaisons sont fortement ébranlées.

    #Faubert :
    Sorte de balai fait de nombreux fils de caret et dont on fait usage à bord pour sécher un pont après la pluie ou le lavage.

    #Faux-bras :
    Cordage installé le long du bord, pour faciliter l’accostage des embarcations.

    #Femelots :
    Pentures à deux branches embrassant l’étambot ou le gouvernail et représentant des logements pour recevoir les aiguillots.

    #Ferler :
    – Une voile carrée : relever par plis sur la vergue une voile carguée et la fixer au moyen de rabans dits de ferlage qui entourent la voile et la vergue.
    – Un pavillon : le plier et le rouler en le maintenant ensuite avec sa drisse.

    #Filer :
    – Une amarre : laisser aller une amarre dont un des bouts est attaché à un point fixe.
    – La chaîne : augmenter la touée d’une chaîne en la laissant aller de la quantité voulue en dehors du bord.
    – Par le bout, une chaîne ou grelin : laisser aller du navire dans l’eau.

    #Filière :
    Cordage tendu horizontalement et servant de garde-corps ou à suspendre différents objets. - de mauvais temps : cordage qu’on tend d’un bout à l’autre du bâtiment et auquel les hommes se retiennent pendant les forts mouvements de roulis et de tangage.

    #Flux :
    Marée montante.

    #Forain :
    Ouvert : Rade foraine : rade sans abri, exposée au mauvais temps du large (mouillage d’attente).

    Forme :
    – Bassin de radoub, ou cale sèche : bassin de radoub.
    – Formes d’un navire : ses lignes.

    #Fraîchir :
    Se dit du vent qui augmente d’intensité.

    #Frais :
    Désigne la forme du vent : joli frais, bon frais, grand frais.

    #Franc-bord :
    Distance entre le niveau de l’eau à l’extérieur du navire et la partie supérieure du pont principal à la demi-longueur du navire.

    #Fret :
    Somme convenue pour le transport de marchandises par navire. Les marchandises composant le chargement du navire.

    #Fuir :
    Devant le temps ou devant la mer : gouverner de manière à recevoir le vent ou la mer par l’arrière.

    #Fune :
    Grelin qui traîne le chalut. Prolongement de la filière des tentes d’un navire (mettre les tentes en fune).

    G
    #Galhauban :
    Cordage en chanvre ou en acier servant à assujettir par le travers et vers l’arrière les mâts supérieurs.

    #Gambier :
    Changer la position d’une voile à antenne ou au tiers d’un côté à l’autre du navire en faisant passer la vergue de l’autre côté du mât. Synonyme : muder, trélucher.

    #Galipot :
    Sorte de mastic avec lequel on recouvre les pièces métalliques en cas de repos prolongé ou d’exposition à l’arrosage par l’eau de mer. Pâte formée en parties égales de céruse et de suif fondu, étalée à chaud, au pinceau, sur les surfaces à protéger. On l’enlève par grattage et lavage à l’huile. Galipoter (vieux).

    #Gite :
    Synonyme de bande : Giter.

    #Glène :
    De cordage : portion de cordage ployée en rond sur elle-même, c’est à dire lové.

    #Grain :
    Vent violent qui s’élève soudainement généralement de peu de durée. Les grains sont parfois accompagnés de pluie, de grêle ou de neige.

    #Gréement :
    L’ensemble des cordages, manoeuvres de toutes sortes et autres objets servant à l’établissement, à la tenue ou au jeu de la mâture, des vergues et des voiles d’un navire.

    #Guindeau :
    Appareil servant à virer les chaînes, à mouiller et à relever les ancres à bord d’un navire. Son axe de rotation est horizontal.

    H
    #Habitacle :
    Sorte de cuvette ou de caisse cylindrique en bois ou en cuivre recouverte à la partie supérieure d’une glace et qui contient le compas de route et les lampes qui l’éclairent.

    #Hale-bas :
    Petit cordage frappé au point de drisse des voiles enverguées sur des drailles et qui sert à les amener.

    #Haler :
    Remorquer un navire dans un canal ou le long d’un quai au moyen d’un cordage tiré au rivage. Tirer un cordage ou un objet quelconque au moyen d’un cordage sur lequel on fait un effort.

    #Hanche :
    Partie de la muraille d’un navire qui avoisine l’arrière. On relève un objet par la hanche quand il est à 45° par l’arrière du travers.

    #Haut-fond :
    Sommet sous-marin recouvert d’eau peu profonde et dangereux pour la navigation.

    #Hauturière :
    Navigation au large ; contrôlée par l’observation des astres. Long cours.

    I
    #Itague :
    Cordage passant par une poulie simple et sur lequel on agit à l’aide d’un palan pour augmenter la puissance. Chaîne retenant un coffre et maillée au point de jonction des chaînes des ancres de corps-mort.

    J
    #Jambettes :
    Montants, bouts d’allonges qui dépassent le plat-bord d’un bâtiment et sur lesquels on tourne des manoeuvres ou on prend un retour. Pièces de bois ou de fer légèrement inclinées et retenant les pavois.

    #Jarretière :
    Sangle qui sert à saisir une drôme dans une embarcation.

    #Jauge :
    Volume des capacités intérieures des navires exprimé en tonneaux de 2m3.83 ou 100 pieds cubes anglais.

    #Jauge brute :
    Volume de tous les espaces fermés du navire sans exception aucune.

    #Jauge nette :
    Volume des espaces utilisables commercialement.

    #Jaumière :
    Ouverture pratiquée dans la voûte d’un navire pour le passage et le jeu de la partie supérieure de la mèche du gouvernail.

    #Joue :
    Creux des formes de la coque à l’avant d’un navire. Synonyme : épaule. Face extérieure de la caisse d’une poulie.

    #Joute :
    Compétition d’embarcations à l’aviron.

    #Jusant :
    Marée descendante.

    L
    #Laisse :
    – De marée : partie du rivage alternativement couverte et découverte par la mer dans les mouvements de la marée.

    #Laize :
    Chacune des bandes de toile dont se compose une voile.

    #Lamanage :
    Pilotage restreint aux ports, baies, rade et rivières de peu d’importance. Dans la coutume d’Oléron, le pilote s’appelait loman, c’est à dire homme du lof (côté du vent) ; on en a fait laman, puis lamaneur.

    #Larder :
    Voir paillet.

    #Latte :
    – De hauban : patte métallique fixée sur le bordage pour servir de cadène de hauban.

    #Lège :
    Bâtiment lège : bâtiment vide.

    #Lest :
    Matières pesantes arrimées dans les fonds du navire pour en assurer la stabilité.

    #Libre pratique :
    Permission donnée par les autorités sanitaires d’un port à un navire de communiquer librement avec la terre.

    #Loch :
    Appareil servant à mesurer la vitesse du navire.

    #Lumières :
    Petits canaux ou conduits pratiqués sur la face antérieure des varangues et destinés à conduire les eaux de cale au pied des pompes. Synonyme : anguillers

    M
    #Mahonne :
    Chaland de port à formes très arrondies utilisé en Méditerranée.

    #Maille :
    Intervalle entre deux couples voisins d’un navire ou entre deux varangues. Ouverture laissée entre les fils des filets de pêche.

    #Main_courante :
    Barre en métal, ou pièces de bois mince, placées de chaque côté des échelles de dunette, de roof-passerelle, de gaillard, etc... pour servir de rampe.

    #Maistrance :
    (Marine Nationale) - L’ensemble des officiers mariniers de la Marine de guerre française et plus particulièrement ceux de carrière qui constituent le cadre de maistrance proprement dit.

    #Maître_bau :
    Bau situé dans la plus grande largeur du navire.

    #Maître_couple :
    Couple situé de même.

    #Maître_de_quart :
    (Marine nationale) - Gradé du service manoeuvre qui, à bord des bâtiments militaires, seconde l’officier de quart dans le service des embarcations et rend les honneurs du sifflet à l’arrivée et au départ des officiers.

    #Maniable :
    Modéré (vent) ; assez beau (temps).

    #Manifeste :
    Liste complète et détaillée par marque et numéros des colis de marchandises formant la cargaison d’un navire. Cette liste est remise à la Douane du port de destination.

    #Marie-Salope :
    Chaland à saletés.

    #Marnage :
    Synonyme : d’amplitude pour la marée.

    #Maroquin :
    Cordage tendu entre deux mâts pour servir à supporter une ou plusieurs poulies dans lesquelles passent des manoeuvres ou des drisses.

    #Mascaret :
    Phénomène qui se produit dans le cours inférieur d’un fleuve consistant en plusieurs lames creuses et courtes formées par la remontée du flot contre le courant du propre fleuve.

    #Mât_de_charge :
    Espar incliné tenu par des balancines portant des apparaux servant à déplacer des poids.

    #Mâter :
    Mettre un mât en place. Mâter une pièce, une barrique, les avirons : les dresser et le tenir dans une position verticale.

    #Mégaphone :
    Tronc de cône creux et léger servant à augmenter la portée de la voix.

    #Membrure :
    Pièce de bois ou de fer soutenant le bordé et les vaigres sur laquelle viennent se fixer les barrots (Synonyme : couple).

    #Midship :
    Aspirant ou enseigne de vaisseau, en général le plus jeune parmi les officiers. Désigne également des chaussures ouvertes utilisées à bord des bâtiments de la Marine en pays chaud.

    #Mole :
    Construction en maçonnerie, destinée à protéger l’entrée d’un port et s’élevant au-dessus du niveau des plus fortes marées.

    #Mollir :
    Diminuer de violence (vent / mer).

    #Mou :
    Un cordage a du mou quand il n’est pas assez tendu. Donner du mou : choquer une manoeuvre. Un navire est mou quand il a tendance à abattre.

    #Moucheter_un_croc :
    Amarrer un bout entre pointe et dos pour empêcher le décrochage.

    #Mouiller :
    Jeter l’ancre et filer la touée de la chaîne convenable.

    #Mousson :
    Vents périodiques, soufflant avec de légères variations pendant une moitié de l’année dans une direction et pendant l’autre moitié de l’année dans la direction opposée. (Mers de Chine et Océan Indien).

    #Musoir :
    Pointe extrême d’une jetée ou d’un môle ; se dit aussi de l’extrémité d’un quai à l’entrée d’un bassin ou d’un sas.

    N
    #Nable :
    Trou percé dans le fond d’une embarcation servant à la vider lorsque cette embarcation n’est pas à flot. S’obture au moyen d’un bouchon de nable.

    #Nage :
    Mouvement imprimé par l’armement aux avirons d’une embarcation.
    – Chef de nage : Nageurs assis sur le banc arrière dont les mouvements sont suivis par tous les autres.
    – Nage à couple : Quand il y a 2 (canot) ou 4 (chaloupe) nageurs sur chaque banc.
    – Nage en pointe : 1 nageur par banc (baleinière).

    #Natte :
    Nom donné aux paillets et aux sangles qu’on place en divers endroits de la mâture et du gréement qu’on veut garantir du frottement.

    #Nid de pie :
    Installation placée assez haut sur le mât avant de certains navires et dans laquelle se tient l’homme de vigie. A bord des navires polaires, on dit plutôt #nid_de_corbeau.

    O
    #Obéir :
    Un navire obéit bien à la barre quand il en sent rapidement l’action.

    #Obstructions :
    Défenses fixes, d’un port pour en interdire l’accès à un ennemi de surface, sous-marin ou aérien.

    #Oeil :
    Boucle formée à l’extrémité d’un filin.

    #Oeil de la tempête :
    Éclaircie dans le ciel au centre des ouragans.

    #Oeuvres_mortes :
    Partie émergée de la coque.

    #Oeuvres_vives :
    Partie immergée de la coque.

    #Opercule :
    Tape de hublot.

    #Oreilles_d_âne :
    Cuillers en tôle permettant d’augmenter le débit d’air entrant par les hublots.

    P
    #Paille de bitte :
    Tige de fer traversant la tête d’une bitte pour empêcher la chaîne ou l’aussière de décapeler.

    #Paillet :
    Réunion de fils de bitord, torons de cordage, etc... tressés ensemble et formant une sorte de natte. On les emploie pour garnir les manoeuvres dormantes afin empêcher le frottement.

    #Palanquée :
    Colis, ensemble de marchandises groupées dans une élingue ou un filet pour être embarquées ou débarquées en un seul mouvement de grue.

    #Palanquer :
    Agir sur un objet quelconque avec un ou plusieurs palans.

    #Panne (mettre en) :
    Manoeuvre qui a pour objet d’arrêter la marche du navire par le brasseyage de la voilure.

    #Pantoire :
    Fort bout de cordage terminé par un oeil muni d’une cosse.

    #Pantoire_de_tangon :
    Retient le tangon dans le plan vertical.

    #Paravane (un) :
    Deux brins de dragage fixés au brion terminés par des flotteurs divergents. Installation destinée à la protection contre les mines à orin.

    #Paré :
    Prêt, libre, clair, hors de danger.

    #Parer :
    – Un cap : le doubler ; - un abordage : l’éviter.
    – Une manoeuvre : la préparer.
    – Manoeuvres : commandement pour tout remettre en ordre.
    Faire parer un cordage : le dégager s’il est engagé ou empêcher de la faire.

    #Passerelle :
    Petit cordage servant de transfilage ou à passer une manoeuvre plus grosse dans les poulies ou un conduit.
    Aussière ou chaîne passée d’avance sous la coque d’un bâtiment afin de permettre une mise en place rapide d’un paillet makaroff.

    #Pataras :
    Hauban supplémentaire destiné à soulager temporairement à un hauban soumis à un effort considérable - très employé sur les yachts de course, ce hauban mobile appelle largement sur l’arrière.

    #Patente de santé :
    Certificat délivré à un navire par les autorités du port pour attester l’état sanitaire de ce port.

    #Pavois :
    Partie de coque au-dessus du pont formant garde corps.

    #Grand_pavois :
    Pavillon de signaux frappés le long des étais et de l’entremise dans un ordre déterminé.

    #Petit_pavois :
    Pavillons nationaux en tête de chacun des mâts. Au-dessus du pavois : Syn. « de montré » pour un signal par pavillon de 1 signe.

    P#eneau (faire) :
    Tenir l’ancre prête à mouiller par grands fonds après avoir filé une certaine quantité de chaîne pour atténuer la violence du choc sur le fond.

    #Perdant :
    Synonyme : jusant.

    #Perthuis :
    Détroit entre les îles, des terres ou des dangers.
    Ouverture d’accès dans une cale sèche.

    #Phare :
    Construction en forme de tour portant un feu à son sommet.
    Mât avec ses vergues, voiles et gréement. Ex. : phare de misaine, phare de l’avant, phare de l’arrière, phare d’artimon, phare carré.

    #Phoscar :
    Sorte de boîte à fumée et à feu jetée d’un bâtiment afin de matérialiser un point sur la mer.

    #Pic (a pic) :
    Position verticale de la chaîne de l’ancre au moment où celle-ci est sur le point d’être arrachée au fond. A long pic : laisser la chaîne de l’ancre un peu plus longue que pour être à pic.

    #Pied :
    Jeter un pied d’ancre : mouiller avec un peu de touée pour un court laps de temps.
    Mesure de longueur égale à 0,305mètre.

    #Pied_de_biche :
    Pièce de fonte, dans un guindeau.

    #Pied_de_pilote :
    Quantité dont on augmente le tirant d’eau pour être sur de ne pas talonner.

    #Pigoulière :
    Embarcation à moteur assurant à heures fixes à TOULON le service de transport du personnel entre différents points de l’Arsenal.

    #Piloter :
    Assurer la conduite d’un navire dans un port ou dans les parages difficiles de la côte.

    #Piquer_l_heure :
    Sonner l’heure au moyen d’une cloche.

    #Plat-bord :
    – Dans un bâtiment en bois : ensemble des planches horizontales qui recouvrent les têtes des allonges de sommet.
    – Dans un navire en fer : ceinture en bois entourant les ponts.

    #Plein :
    Synonyme : pleine mer.
    – Plus près bon plein : allure de 1 quart plus arrivée que le plus près.
    – Mettre au plein : échouer un bateau à la côte.

    #Poste (amarre de) :
    Aussière ou grelin de forte grosseur fournie par les ports pour donner plus de sécurité et plus de souplesse à l’amarrage des navires et éviter l’usure de leurs propres aussières d’amarrage.

    #Pot_au_noir :
    Zone des calmes équatoriaux caractérisés par des pluies torrentielles.

    #Poulaine :
    Partie extrême avant d’un navire : lieu d’aisance de l’équipage.

    #Poupée_de_guindeau :
    Bloc rond en fonte sur lequel on garnit les amarres que l’on veut virer au guindeau.

    #Prélart :
    Laize de toile à voile souple, cousues ensemble puis goudronnées, destinées à couvrir les panneaux d’une écoutille et empêcher l’accès de l’eau dans les entreponts ou la cale.

    #Puisard :
    Espace compris entre deux varangues et formant une caisse étanche dans laquelle viennent se rassembler les eaux de cale.

    #Pilot_chart :
    Cartes périodiques publiées par l’Office Météo des Etats-Unis fournissant des renseignements sur la direction et la force des vents et des courants probables et la position des icebergs.

    Q
    #Quart :
    32ème partie du tour d’horizon, vaut 11 degrés 15 minutes.
    Synonyme. : de rhumb de compas.

    #Queue _de_rat :
    – Cordage terminé en pointe.
    – D’un grain : rafale violente et subite à la fin d’un grain.
    – Aviron de queue : aviron servant de gouvernail.

    #Quille_de_roulis :
    Plan mince, en tôle, fixé normalement et extérieurement à la coque, dans la région du bouchain, sur une partie de la longueur du navire, et destiné à entraîner l’eau lors des mouvements de roulis pour les amortir plus rapidement.

    R
    #Raban :
    Tresse ou sangle de 8 à 9 mètres de long formée d’un nombre impair de brins de bitord.
    – De hamac : bout de quarantenier servant à suspendre le hamac.
    – De ferlage : cordon ou tresse servant à serrer une voile sur une vergue, un gui, etc...

    #Rabanter :
    Fixer ou saisir un objet à son poste avec les rabans destinés à cet usage.
    – Une voile : la relever pli par pli sur la vergue et l’entourer, ainsi que la vergue, avec les rabans.

    #Radier :
    Maçonnerie sur laquelle on établit les portes d’un bassin et d’une forme.

    #Radoub :
    Passage au bassin d’un navire pour entretien ou réparation de sa coque.

    #Rafale :
    Augmentation soudaine et de peu de durée du vent.

    #Rafiau ou #Rafiot :
    Petite embarcation, mauvais navire.

    #Rafraîchir :
    Un câble, une amarre, c’est en filer ou en embraquer une certaine longueur de manière à ce que le portage ne soit jamais à la même place.

    #Raguer :
    Un cordage rague lorsqu’il s’use, se détériore en frottant sur un objet dur ou présentant des aspérités. Se dit aussi d’un bâtiment frottant contre un quai.

    #Rail :
    Pièce en cuivre vissée sur un mât à pible ou un gui sur laquelle sont enfilés les coulisseaux.

    #Rambarde :
    Garde-corps.
    Synonyme : de main courante.

    #Ras :
    Radeau servant aux réparations à faire à un bâtiment près de sa flottaison.
    Petits appontements flottants.

    #Ratier :
    Argot de bord - Matelot sans spécialité chargé de l’entretien de la coque.

    #Rattrapant :
    Yacht rattrapant. Terme de régate : lorsque deux yachts font la même route ou à peu près, celui qui est en route libre derrière l’autre commence à être considéré comme « yacht rattrapant l’autre » aussitôt qu’il s’en approche assez près pour qu’il y ait « risque de collision » et continue à être tel jusqu’à ce qu’il redevienne en roue libre devant ou derrière, ou s’en soit écarté par le travers jusqu’à écarter le risque de collision.

    #Raz :
    Courant violent dû au flot ou au jusant dans un passage resserré.

    #Reflux :
    Mouvement rétrograde de l’eau après la marée haute.
    Synonyme : jusant, ébe.

    #Refuser :
    Le vent refuse lorsque sa direction vient plus de l’avant. Contraire : adonner.

    #Relâcher :
    Un navire relâche quand par suite du mauvais temps, avaries subies, etc... il est forcé d’interrompre sa mission et d’entrer dans un port qui n’est pas son port de destination.

    #Renard :
    Plateau sur lequel sont pointés les noms des officiers qui descendent à terre.

    #Rencontrer :
    La barre ou simplement rencontrer : mettre la barre du côté opposé à celui où elle était auparavant pour arrêter le mouvement d’abatée du navire.

    #Rendre :
    Un cordage rend lorsqu’il s’allonge. Une manoeuvre est rendue lorsqu’on l’a amenée à son poste en halant dessus. Rendre le mou d’un cordage : tenir le cordage à retour d’un bout tandis qu’on hale de l’autre bout. Rendre le quart : remettre le quart à son successeur.

    #Renflouer :
    Remettre à flot un navire échoué.

    #Renverse :
    Du courant : le changement cap pour cap de sa direction.

    #Ressac :
    Retour violent des lames sur elles-mêmes lorsqu’elles vont se briser sur une côte, un haut-fond.

    #Retenue :
    Cordage en chanvre, en acier ou chaîne servant à soutenir un bout-dehors, un bossoir.

    #Rider :
    Une manoeuvre dormante : c’est la raidir fortement à l’aide de ridoirs ou de caps de mouton.

    #Riper :
    Faire glisser avec frottement.

    #Risée :
    Petite brise subite et passagère.

    #Rocambeau :
    Cercle en fer garni d’un croc, servant notamment à hisser la vergue d’une voile au tiers et à amurer le point d’amure du foc le long de son bout-dehors.

    #Rôle :
    Rôle de combat, rôle d’équipage, etc...

    #Rondier :
    Gradé ou matelot chargé d’une ronde.

    #Roof :
    Superstructure établie sur un pont supérieur et ne s’étendant pas d’un côté à l’autre du navire.

    #Roulis :
    Balancement qui prend le navire dans le sens transversal.

    #Routier :
    Carte marine à petite échelle comprenant

    S
    #Sabaye :
    Cordage avec lequel on hâle à terre un canot mouillé près de la côte.

    ##Sabord :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans la muraille d’un navire.

    Saborder :
    Faire des brèches dans les oeuvres vives d’un navire pour le couler.

    #Safran :
    Surface du gouvernail sur laquelle s’exerce la pression de l’eau pour orienter le navire.

    #Savate :
    Pièce de bois sur laquelle repose un navire au moment de son lancement.

    #Saisine :
    Cordage servant à fixer et à maintenir à leur place certains objets.

    #Sangle :
    Tissu en bitord qui sert à garantir du frottement certaines parties du navire ou du gréement ou à maintenir au roulis des objets suspendus.

    #Sas :
    Partie d’un canal muni d’écluses, destinée à établir une jonction entre deux bassins de niveaux différents. Compartiment en séparant deux autres dont les ouvertures ne peuvent s’ouvrir que l’une après l’autre.

    #Saute_de_vent :
    Changement subit dans la direction du vent.

    #Sauve-Garde :
    Cordages fourrés ou chaînes servant à empêcher le gouvernail d’être emporté s’il vient à être démonté. Ils sont fixés d’un bout sur le gouvernail, de l’autre sur les flancs du bâtiment.

    #Sec (à) :
    Un bâtiment court à sec, est à sec de toile lorsqu’il navigue sans se servir de ses voiles, mais poussé par le vent.

    #Semonce :
    Ordre donné par un navire armé à un autre navire de montrer ses couleurs et au besoin d’arrêter pour être visité.

    #Coup (coup de) :
    Coup de canon appuyant cet ordre.

    #Servir :
    Faire servir : manoeuvre d’un navire à voiles pour quitter la panne et reprendre la route.

    #Seuil :
    Élévation du fond de la mer s’étendant sur une longue distance.

    #Sillage :
    Trace qu’un navire laisse derrière lui à la surface de la mer.

    #Slip :
    Plan incliné destiné à mettre à l’eau ou à haler à terre de petits bâtiments ou des hydravions au moyen d’un chariot sur rails.

    #Soufflage :
    Doublage en planches minces sur le bordé intérieur ou extérieur.

    #Souille :
    Enfoncement que forme dans la vase ou le sable mou un bâtiment échoué.

    #Sous-venté :
    Un voilier est sous-venté quand il passe sous le vent d’un autre bâtiment, d’une terre qui le prive de vent.

    #Spardeck :
    Pont léger au-dessus du pont principal.

    #Suceuse :
    Drague travaillant par succion du fond.

    #Superstructures :
    Ensemble des constructions légères situées au-dessus du pont supérieur.

    #Surbau :
    Tôle verticale de faible hauteur encadrant un panneau, un roof ou un compartiment quelconque.

    #Syndic :
    Fonctionnaire de l’Inscription Maritime remplaçant les Administrateurs dans les sous-quartiers.

    #Syzygie (marée des) :
    Marées correspondant à la nouvelle ou à la pleine lune. Synonyme : marée de vive-eau.

    T
    #Table_à_roulis :
    Table percée de trous.
    Par gros temps, on y met des chevilles appelées violons ou cabillots qui permettent de fixer les objets qui s’y trouvent.

    #Tableau :
    Partie de la poupe située au-dessus de la voûte.
    Dans un canot ou une chaloupe, partie arrière de l’embarcation.

    #Talon_de_quille :
    Extrémité postérieure de la quille sur laquelle repose l’étambot.

    #Talonner :
    Toucher le fond de la mer avec le talon de la quille.

    #Tangon :
    Poutre mobile établie horizontalement à l’extérieur d’un navire, à la hauteur du pont supérieur et perpendiculairement à la coque, sur laquelle on amarre les embarcations quand le navire est à l’ancre.
    – De spinnaker ou de foc : espars servant à déborder le point d’écoute du spinnaker ou du foc au vent arrière.

    #Tangage :
    Mouvement que prend le navire dans le sens longitudinal.

    #Tanker :
    Navire pétrolier.

    #Tape :
    Panneau en tôle ou pièce de bois obturant une ouverture.

    #Taud :
    Abri de grosse toile qu’on établit en forme de toit au-dessus des ponts pour garantir l’équipage contre la pluie. Etui placé sur les voiles serrées pour les garantir de la pluie.

    #Teck :
    Bois des Indes presque imputrescibles aussi fort et plus léger que le chêne ; très employé dans la construction navale.

    #Tenir :
    Navire tenant la mer : se comportant bien dans le mauvais temps.

    #Tenir le large :
    Rester loin de la terre.

    #Tenue :
    Qualité du fond d’un mouillage. Les fonds de bonne tenue sont ceux dans lesquels les pattes des ancres pénètrent facilement et ne peuvent cependant en être arrachées qu’avec difficulté.
    La tenue d’un mât est son assujettissement par les étais et les haubans.

    #Teugue :
    Partie couverte du pont supérieur avant, constituant un gaillard d’avant où les hommes de l’équipage peuvent s’abriter.

    #Tiens-bon ! :
    Commandement à des hommes qui agissent sur un cordage, un cabestan, etc... de suspendre leurs efforts tout en restant dans la position où ils sont (voir « Tenir bon »).

    #Tiers (voile au) :
    Synonyme : de bourcet
    Voiles des canots et chaloupes.

    #Tillac :
    Pont supérieur ou parfois plancher d’embarcation.

    #Tins :
    Pièces de bois carrées placées à des distances régulières sur le fond d’une cale-sèche et destinées à soutenir la quille des navires.

    #Tire-veilles :
    Nom donné à un bout de filin terminé par une pomme à la rambarde au bas de l’échelle de coupée d’un navire et auquel on se tient pour monter à bord ou pour en descendre.
    Bout amarré sur l’entremise des bossoirs d’embarcation et auxquels se tient l’armement d’une embarcation quand on la met à l’eau ou quand on la hisse.

    #Tomber :
    – Sous le vent : s’éloigner de l’origine du vent.
    – Sur un navire, une roche : être entraîné par le vent, le courant ou toute autre cause vers un navire, un rocher, etc...
    – Le vent tombe, la mer tombe : le vent diminue d’intensité, les vagues de force.

    #Tonnage :
    Capacité cubique d’un navire ou de l’un de ses compartiments exprimée en tonneaux. Le tonneau est égal à cent pieds cubes anglais ou à 2,83 mètres cubes (c’est le tonneau de jauge) ; Le tonnage exprime toujours un volume.

    #Tonne :
    Grosse bouée en bois, en fer ou en toile.

    #Top :
    Prendre un top : comparer une pendule réglée avec son chronomètre, ou relever un signal horaire au compteur.

    #Tosser :
    Un navire tosse lorsque, amarré le long d’un quai, sa coque frappe continuellement contre le quai par l’effet de la houle.
    A la mer, le navire tosse quand l’AV retombe brutalement dans le creux des vagues.

    #Touage :
    Remorquage, plus particulièrement en langage de batellerie.

    #Toucher :
    Être en contact avec le fond. Toucher terre : faire escale.

    #Touée :
    Longueur de la remorque avec laquelle on hale un navire pour le déplacer.
    Longueur de la chaîne filée en mouillant une ancre. Par extension : longueur d’une certaine importance d’un câble filé ou d’un chemin à parcourir.

    #Touline :
    Petite remorque et plus généralement lance-amarre.

    #Tourner :
    Une manoeuvre : lui faire faire un nombre de tours suffisant autour d’un point fixe pour l’empêcher de filer ou de lâcher.

    #Traîne :
    Tout objet que l’on file à l’arrière d’un navire à l’aide d’un bout de filin.
    A la traîne : un objet est à la traîne lorsqu’il n’est pas placé à la place qui lui est assignée.

    #Transfiler :
    – Deux morceaux de toile : les rapprocher bord à bord au moyen d’un bout de ligne passant alternativement des oeillets pratiqués dans l’un dans ceux pratiqués dans l’autre.
    – Une voile : la fixer à sa vergue, gui ou corne au moyen d’un filin nommé transfilage et passant d’un oeillet à l’autre en embrassant la vergue, le gui, la corne.

    #Traversier :
    Amarre appelant d’une direction perpendiculaire à l’axe longitudinal.
    Un vent traversier est un vent bon pour aller d’un port à un autre et pour un revenir.

    #Trou_d_homme :
    Ouverture elliptique d’un double fond ou d’un ballast.

    #Tunnel :
    Conduit en tôlerie de dimensions suffisantes pour permettre le passage d’un homme et à l’intérieur duquel se trouve une ligne d’arbres entre la chambre des machines et la cloison de presse-étoupe AR.

    V
    #Va_et_vient :
    Cordage en double servant à établir une communication entre deux navires ou entre un navire et la côte, notamment pour opérer le sauvetage des naufragés.

    #Vadrouille :
    Bouts de cordage défaits, serrés sur un manche et servant au nettoyage. Faubert emmanché.

    #Vague_satellite :
    Soulèvement de la mer produit par le mouvement du navire en marche.

    #Varangue :
    La varangue est la pièce à deux branches formant la partie inférieure d’un couple et placées à cheval sur la quille. La varangue est prolongée par des allonges. Tôle placée verticalement et transversalement d’un bouchain à l’autre pour consolider le petit fond du navire.

    #Vase :
    Terre grasse, noirâtre, gluante. La vase peut être molle, dure mêlée ; elle présente généralement une bonne tenue.

    #Veille (ancre de) :
    Ancre prête à être mouillée.

    #Veiller :
    Faire attention, surveiller. Veiller l’écoute : se tenir prêt à la larguer, à la filer. Veiller au grain : l’observer, le suivre.

    #Vélique :
    Point vélique = centre de voilure de toutes les voiles.

    #Ventre :
    La partie centrale d’un bâtiment surtout lorsque ses couples sont très arrondis.

    #Verine :
    Bout de filin terminé par un croc ou une griffe et dont on fait usage en simple ou en double pour manier les chaînes des ancres.

    #Videlle :
    Reprise faite à un accroc dans une toile.

    #Virer :
    Exercer un effort sur un cordage ou sur une chaîne par enroulement sur un treuil, guindeau ou cabestan.
    – Virer à pic : virer suffisamment le câble ou la chaîne pour amener l’étrave du navire à la verticale de l’ancre.
    – Virer à long pic : virer en laissant la chaîne un peu plus longue que la profondeur de l’eau.

    #Virer_de_l_avant :
    faire avancer un navire en embraquant ses amarres de l’avant au cabestan ou au guindeau.
    – Virer sur la chaîne : rentrer une partie de la chaîne en se servant du cabestan ou du guindeau.
    – Virer de bord : changer les amures des voiles.

    #Vit_de_nulet ou #Vi_de_mulet :
    Tige de métal articulée fixée à une vergue, à un gui, à un mât de charge pour le relier au mât qui porte une douille. Employé en particulier pour les mâts de charge.

    #Vitesse :
    L’unité marine de vitesse est le noeud qui représente un mille marin (1852 mètres) à l’heure. Ne jamais dire un noeud à l’heure.

    #Vive-eau :
    Grande marée.

    #Voie_d_eau :
    Fissure ou ouverture accidentelle dans des oeuvres vives.

    W
    #Wharf :
    Littéralement quai, plus spécialement pour désigner un appontement qui s’avance dans la mer au-delà de la barre sur la côte occidentale d’Afrique.

    Y
    #Youyou :
    Très petite embarcation de service à l’aviron et à la voile.

  • Parce que votre aide est essentielle.

    Nous nous connaissons maintenant depuis de nombreuses années, « Le Bateau Ivre » a en effet fêté ses trente ans cette année, et vous avez pu remarquer que depuis très longtemps nous n’avions plus fait d’appels aux dons, malgré le fait que nous ne soyons que subventionnés par la ville de Melun. Notre crédo, vous le savez, c’est que la culture soit à la portée de tous, nos nouveaux projets étant financés par les anciens. Nous portons un soin particulier aussi à la rémunérations des artistes qui sont le maillon essentiel à une culture et un divertissement de qualité, sans compromission.

    https://www.lebateauivre.info/nous-voulons-continuer-a-partager-avec-le-public

    Parce que la reprise est trop irrégulière.

    Mais le Covid est passé par là et l’inflation par ici et nous voilà dans une impasse. Après plus de deux ans sans pouvoir travailler et une reprise en clair-obscur, nous nous rendons compte que malgré nos efforts nos prestations (animations, stages, cours, spectacles…) sont devenues inabordables pour les structures qui en ont le plus besoin et les particuliers, alors que nous n’avons pas augmenté les prix depuis 2015. Nous sommes dans l’impossibilité de faire plus d’efforts si nous souhaitons garder une rémunération digne pour les artistes et nous sommes dans l’impossibilité de mettre en chantier les nouveaux projets prévus pourtant de longue date qui nous permettraient de continuer notre action pour une vraie éducation populaire par l’artistique.

    C’est pourquoi nous avons besoin de vous afin de rebondir et de réaliser nos objectifs qui sont nombreux en attendant d’à nouveau redevenir autonomes.

    Pour faire quoi ?

    Reproposer un stage de Mime « Tournez dans un film de cinéma muet » pour tous âges confondus cette fois. Celui du mois d’avril ayant été annulé faute d’avoir pu « casser nos prix ».

    Mettre en place notre projet multimédia afin de faire profiter gratuitement toutes et tous d’un art bien vivant mais plus très présent médiatiquement le Mime.

    Remettre sur les rails le spectacle « Laurenzaccio » que le manque de probité de deux structures a mis à mal en laissant de grandes pertes financières pour la compagnie.

    Parce que chaque geste compte.

    Vous avez toujours été là, depuis toutes ces années, afin de nous permettre d’apporter de la culture, de la communication, mais aussi de la joie dans les coins les plus reculés de France et de Navarre. Et c’est votre réussite que ces trente années d’activités qui nous ont permis d’aider à tisser un lien de qualité entres toutes et tous. Ainsi, nous faisons appel à vous pour nous aider au travers d’une participation financière sous forme de don, du montant de votre choix bien évidemment.
    Nous vous remercions pour votre contribution qui sera une aide précieuse dans nos missions quotidiennes. Et partager cette information autour de vous, nous aidera également beaucoup. Alors merci !

    Augustin ARNAULT,
    Président
    17 mai 2023

    Hello Asso : https://www.helloasso.com/associations/-le-bateau-ivre/formulaires/1

    Facile2Soutenir : https://www.facile2soutenir.fr/inscription/?association=42417

    #AppelAuxDons #Appel #Dons #association #culture #art #Théâtre #Mime #HelloAsso #Facile2Soutenir

    • Commémor’action des mort.e.s aux frontières le 6 février 2022

      Depuis 2014, et le massacre de Tarajal, le 6 février est devenu un jour de commémoration pour toutes les personnes décédées ou disparues aux frontières, victimes - sur leur parcours d’exil - de politiques migratoires assassines.
      En plus de la traditionnelle Marche pour la Dignité à Ceuta le 5 février (IXe édition), de nombreux évènements de commémor’action sont prévus en Afrique et en Europe le 6 février pour rendre hommage à ces victimes que nous n’oublions pas, réclamer justice, et rappeler que la migration est un droit.
      Liberté de circulation pour toutes et tous !

      https://migreurop.org/article3082.html?lang_article=fr

      La #liste des lieux de commémoraction :
      https://migreurop.org/IMG/pdf/events_commemoraction_2022.pdf

    • #6_février_2014 : Massacre de #Tarajal

      Le permis de tuer des gardes-frontières

      Aujourd’hui, les familles des victimes et leurs soutiens commémorent, pour la quatrième année consécutive, le massacre de Tarajal. Cette date est devenue l’un des symboles tragiques de politiques migratoires qui portent atteinte aux droits et à la vie des personnes en exil.

      Le 6 février 2014, plus de 200 personnes, parties des côtes marocaines, ont tenté d’accéder à la nage à l’enclave espagnole de Ceuta. Alors qu’elles n’étaient plus qu’à quelques dizaines de mètres de la plage du Tarajal, la Guardia civil a utilisé du matériel anti-émeute – fumigènes et balles en caoutchouc – pour les empêcher d’arriver en « terre espagnole ». Ni la Guardia civil ni les militaires marocains présents n’ont porté secours aux personnes qui se noyaient devant eux. Quinze corps ont été retrouvés côté espagnol, des dizaines d’autres ont disparu, les survivants ont été refoulés, certains ont péri côté marocain.
      Les investigations menées par des journalistes et des militant·e·s européen·ne·s ont permis de produire des images et de récolter des témoignages de survivants et témoins oculaires établissant directement la responsabilité des gardes civils pour ces morts. La juge en charge de l’affaire a elle conclu à l’absence d’irrégularités quant au matériel utilisé par la Guardia civil. Elle a également validé la décision de refouler directement vers le Maroc les 23 personnes qui avaient réussi à atteindre la plage.
      Le 16 octobre 2015, la juge a classé l’affaire et abandonné les poursuites contre les 16 gardes civils mis en examen. Dans son ordonnance, elle allait jusqu’à souligner la responsabilité des victimes : « Les migrants ont assumé le risque d’entrer illégalement sur le territoire espagnol par la mer, à la nage, faisant de plus abstraction des agissements dissuasifs tant des forces marocaines que de la Guardia civil ». L’Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía avait alors répliqué qu’« en aucun cas le droit de migrer n’implique d’assumer le fait que l’on peut mourir pendant son parcours ou à la frontière. Ce qui s’est passé n’est pas un accident et il est nécessaire de faire lumière, de sanctionner les responsables et de garantir que ça ne se reproduise plus » [1].

      En juin 2016, des familles de victimes se sont vu refuser leur demande de visa pour aller identifier le corps de leurs fils à Ceuta. Après que de nombreux vices de procédure ont été soulevés, l’enquête a cependant été rouverte avant d’être à nouveau classée en janvier 2018.
      Pour que ces morts ne sombrent pas dans l’oubli, la société civile espagnole s’est mobilisée et a organisé le 3 février 2018 la cinquième « Marche de la dignité » à Ceuta.

      Migreurop soutient ces mobilisations et toutes les initiatives visant à faire la lumière sur le massacre de Tarajal. À la suite de la condamnation de l’Espagne par la Cour européenne des droits de l’Homme [2], le réseau et ses membres exigent l’arrêt immédiat et définitif des pratiques illégales opérées à cette frontière par la Guardia civil, notamment les refoulements menés en coopération avec les autorités marocaines, tant au niveau des barrières de Ceuta ou Melilla que sur les côtes de ces enclaves.
      La semaine passée, au moins 110 nouvelles personnes, dont une vingtaine parties des côtes marocaines, ont perdu la vie en tentant d’atteindre l’Europe. Elles ont rejoint la liste des plus de 16 000 personnes mortes en Méditerranée depuis 2013. Au travers de la militarisation de ses frontières extérieures, l’Union européenne pratique depuis de nombreuses années une politique du laissez-mourir incarnée notamment dans la criminalisation des actions de secours et de sauvetage [3]. Le massacre de Tarajal rappelle que, sans respect du droit à émigrer, formulé notamment dans l’art. 13 de la Déclaration universelle des droits de l’Homme (DUDH), les politiques de « contrôle des flux » relèvent non seulement de la non assistance à personne en danger mais sont également à l’origine d’atteintes délibérées au droit le plus fondamental, celui à la vie (art. 3 DUDH).

      http://migreurop.org/article2856.html?lang=fr

    • 6 février : journée internationale de CommemorAction des disparu·es aux frontières

      Avec notre terme « Commemor’Action », nous faisons une double promesse : celle de ne pas oublier ceux qui ont perdu la vie et celle de lutter contre les frontières qui les ont tués. Nous offrons un espace de commémoration et nous construirons collectivement quelque chose à partir de notre chagrin. « Leur vie, notre lumière leur destin, notre colère ».

      Leur vie, notre lumière
      leur destin, notre colère"
      ont fait partie des mots choisis à Marseille pour exprimer les émotions face à ces injustices.

      Avec notre terme "Commemor’Action", nous faisons une double promesse : celle de ne pas oublier ceux qui ont perdu la vie et celle de lutter contre les frontières qui les ont tués. Nous offrons un espace de commémoration et nous construirons collectivement quelque chose à partir de notre chagrin. Nous ne sommes pas seul.e.s et nous n’abandonnerons pas. Nous continuerons à lutter pour la liberté de mouvement de toutes et tous dans notre vie quotidienne, nous exigeons la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles.

      Depuis 2020, nous consacrons la journée de 6 février à la Commemor’Action dans différents endroits du monde. (le lien pour une vidéo vers un extrait des différentes mobilisations ici )

      Nous, sommes des parent.e.s, ami.e.s et connaissances de personnes décédées, portées disparues et/ou victimes de disparitions forcées le long des frontières terrestres ou maritimes, en Afrique, en Amérique, en Asie, en Europe et partout dans le monde. Des personnes qui ont survécu à la tentative de traverser les frontières à la recherche d’un avenir meilleur. Des citoyen.e.s solidaires qui assistent et secourent les personnes en mobilité se trouvant dans des situations de détresse. Des pêcheurs, des activistes, des militant.e.s, des migrant.e.s, des académicien.e.s,…etc. Nous sommes une grande famille.

      La Commemor’Action, c’est un mémento chargé d’actions mêlant messages politiques et performances artistiques, mais surtout, mettant en relation les proches en deuil avec le plus grand nombre de personnes possible pour créer ensemble des plateformes et ainsi faire connaître leurs histoires et leurs revendications. Les journées de Commémor’Action sont des moments pour se souvenir de ces victimes et construire collectivement des processus de soutien aux familles dans leurs revendications de vérité et de justice aux noms de leurs êtres chers.

      Les crimes contre l’humanité en mobilité marquent tellement de jours de l’année avec peine et colère qu’il est impossible d’en choisir un seul. La date symbolique du 6 Février fait référence au massacre de 2014 à Tarajal où la Guardia Civil, a tiré des balles en caoutchouc pour dissuader les migrant.e.s tentant de rejoindre les côtes espagnoles. Cet acte criminel et inhumain qui demeure impuni a causé la mort de 15 personnes sous les yeux du système qui les traque et plusieurs disparu.e.s, laissant leurs familles et proches dans l’oubli.

      Nous nous engageons à ne pas les oublier : chaque année, à travers des actions décentralisées dans des horizons différents et contextes variés (Tarajal, Agadez, Berlin, Calais, Dakar, Douala, Marseille, Mexique, Niamey, Oujda, Palerme, Paris, Tunisie, Zarzis…etc.)nous nous réunirons pour protester contre ces régimes assassins.

      A Marseille, en ce 6 février 2023, de nombreuses personnes se sont retrouvées et rencontrées sous l’ombrière du vieux port en début de soirée afin de visibiliser et rendre hommage. Les mots sont difficiles à trouver pour résumer ces quelques heures partagées ensemble mais elles étaient puissantes et importantes. Merci à toutes les personnes qui se sont exprimées. Merci d’avoir parlé de ce qu’il se passe aux portes de nos frontières internes (en France et notamment avec la nouvelle loi contre l’immigration de Darmanin qui va précariser et diviser davantage les personnes en situation d’exile en France, les situations entre l’Italie et la France, entre la France et le Royaume Uni) mais aussi aux portes de l’Europe, sur la route des Balkans, en Méditerranée et bien au delà entre les Etats Unis et le Mexique notamment. . Merci d’avoir abordé la question de l’externalisation des frontières, du fait que les crimes et la répression des états européens commencent déjà bien au Sud, au Sahel, au Niger, en Lybie, au Maroc, en Tunisie et font là aussi de nombreuses victimes et injustices. Merci d’avoir rappelé que les Etats Européens sont responsables et coupables, notamment à l’aide de Frontex, organe assez opaque et pourtant étant celui recevant le + d’argent des pays européens (budget 2022 : 704 703 142 d’euros. 2021 : 499 610 042 d’euros) ( voir campagne Abolish Frontex). Merci aux personnes qui se sont exprimées pour parler de leurs expériences sur diverses routes migratoires pour arriver jusqu’ici, des personnes laissées en chemin, des milliers de kilomètres parcourus, parfois à pieds pour arriver jusqu’ici et faire face à cet accueil, ou plutôt trop souvent ce non-accueil, honteux. Et merci à toutes les personnes qui n’ont pas pu s’exprimer mais que nos coeurs ont honorées, pour lesquelles nos pensées se sont unies et ont rendu hommage à leur silence subi.

      Nous exigeons que ces morts soient reconnues comme des victimes des régimes impérialistes racistes et des états capitalistes. Et parce que nos politiques gouvernementales ne leur rendent pas justice nous construisons ensemble cette justice et nous ne cesserons de lutter pour la faire reconnaître. Nos états ne prennent pas leurs responsabilités, empirent la situation et rendent ce monde de plus en plus inhumain et justifient leurs crimes racistes de manières abjectes et insensée. Nous n’abandonnerons jamais parce que notre objectif est bien plus puissant que les leurs, celui de vivre dans un monde plus juste pour toutes et tous. Et parce que nous ne voulons pas d’un monde qui perpétue le colonialisme et le racisme et dans lequel certaines vies et certaines morts ont davantage de valeur que d’autres.

      Depuis les nombreuses mobilisations qui ont eut lieu dans d’autres villes au Mali, au Togo, en Grèce, en Tunisie, au Sénégal, au Liban, au Maroc, en Allemagne, ailleurs en France, en Espagne, en Italie, à Malte, en Sierra Leone, en Autriche, on a pu lire :

      Des vies pas des nombres !

      Migrer pour vivre, pas pour mourir !

      Ni oubli, ni pardon !

      Combattre le racisme, partout tout le temps.

      Vos frontières, nos morts !

      Ensemble luttons pour la liberté de circulation !

      Pour plus d’informations et soutenir cet engagement noble et pour retrouver la collection des actions menées partout dans le monde :

      Adresse mail : globalcommemoraction@gmail.com

      Facebook : Commemor-Action

      Pages : www.missingattheborders.org ; www.alarmephonesahara.info

      https://blogs.mediapart.fr/clementine-seraut/blog/080223/6-fevrier-journee-internationale-de-commemoraction-des-disparu-es-au

      #2023

    • 6 Février 2021 : Journée internationale de Commémoraction pour les personnes tuées et disparues sur les routes de migration

      Le 6 février 2014, plus de 200 personnes migrantes ont essayé d’entrer dans la ville de Ceuta, enclave espagnole, depuis le territoire marocain à travers la plage de Tarajal. La Guardia Civil espagnole tirait des cartouches de fumée et des balles en caoutchouc sur les personnes dans l’eau pour les empêcher aux personnes d’entrer dans le territoire espagnol. Quinze migrants étaient tués du côté espagnol, des dizaines ont disparu et d’autres sont morts sur le territoire marocain.

      Depuis lors, le 6 février a été déclaré un jour de commémoration pour les personnes migrantes tuées et disparues le 6 février 2014 entre Tarajal et Ceuta et au-delà pour toutes les personnes migrantes et réfugiées tuées et disparues dans les mers, dans les déserts, aux frontières et sur les routes de migration.

      Malgré les conditions difficiles et exceptionnelles imposées par la pandémie de Covid-19, le samedi 6 février 2021, des CommémorActions transnationales pour les mort-e-s de la migration ont eu lieu, entre autres, à Agadez au Niger ; à Sokodé au Togo ; à Oujda et Saidia au Maroc ; à Dakar et Gandiol au Sénégal ; à Madrid et d’autres villes en Espagne, à Bruxelles et à Liège en Belgique et à Berlin et Frankfort en Allemagne.

      https://alarmephonesahara.info/fr/blog/posts/6-fevrier-2021-journee-internationale-de-commemoraction-pour-les

    • 6 février : Journée mondiale de Commémor‘Action pour les mort.e.s, disparu.e.s et les victimes de disparitions forcées en mer et aux frontières !

      Le 6 février 2021, les militant.e.s du réseau Alarm Phone organisent des actions dans différentes villes au Maroc et au Sénégal. “Nous connaissons tout.e.s la tragédie qui s’est produite le 6 février 2014 à Ceuta, sur la plage de Tarajal” explique Babacar Ndiaye, militant du réseau Alarm Phone qui prépare actuellement les activités de commémoration à Dakar, au Sénégal. “La Guardia Civil espagnole a tiré sur des migrants qui tentaient de rejoindre la plage. Par la suite, on a parlé de 14 morts, mais il y en a eu beaucoup d’autres. Depuis nous avons organisé des journées de commémor‘action chaque année. Cette année avec la pandémie, nous nous réunirons en petits groupes dans différentes villes, y compris ici au Sénégal”.

      Abdou Maty, membre de Alarm Phone basé à Laayoune ajoute : “Jusqu’à présent ces décès n’ont pas été reconnus pour ce qu’ils sont : des meurtres. Par nos actions, nous voulons commémorer les vies qui ont été perdues. Luttons pour la justice, pour la liberté de circulation ! Le 6 février, nous nous réunissons pour échanger avec les familles des mort.e.s et des disparu.e.s en mer. Nous rendons visibles nos luttes, la souffrance des personnes qui traversent les frontières. Le 6 février est une journée de commémor‘action mondiale !”

      En raison de la pandémie plusieurs actions décentralisées seront organisées à travers le Maroc au lieu d’un seul grand événement. Parmi les activités prévues figurent une manifestation “Main sur le coeur – Action aux disparus” à Berkane (est du Maroc), une caravane de solidarité sur la plage de Saidia à la frontière maroco-algérienne organisée par Alarm Phone Oujda, une minute de silence avec la communauté des migrant.e.s et un match de football à Tanger, ainsi que des prières et une cérémonie de commémoration dans le port de Laayoune (Sahara Occidental).

      Des activités auront également lieu dans d‘autres pays pour commémorer les mort.e.s en mer. À Dakar, au Sénégal, une manifestation est organisée par les membres de Alarm Phone et d’autres groupes devant la mairie, une liste des naufrages survenus en Méditerranée occidentale et dans l’Atlantique en 2020 sera affichée. À Sokodé, au Togo, des militant.e.s organisent une campagne de sensibilisation et une émission radio ainsi qu’une action symbolique en déposant des fleurs dans le fleuve Na. À Agadez, au Niger, des militant.e.s et des migrant.e.s se réuniront pour écouter les témoignages de ceux qui ont perdu leurs proches à la frontière, projetteront des films et animeront des débats sur le thème des politiques meurtrières de l’Europe. En Espagne, des groupes d’activistes organisent des manifestations et des ateliers en ligne dans de nombreuses villes espagnoles les 5 et 6 février.

      Khady Ciss, membre de Alarm Phone Tanger, veut envoyer un message fort à l’Union européenne : “L’immigration n’est pas un crime ! L’Union européenne et le gouvernement marocain ont des obligations internationales en matière de droits humains, mais leur préoccupation est axée sur la protection de leurs frontières et pas tournée vers les vies humaines qu’ils détruisent ! Nous dénonçons toute forme de racisme, de violence physique et nous demandons justice !”

      Junior Noubissy, également membre de Alarm Phone Tanger, souligne le travail essentiel des organisations de sauvetage en mer : “Sauver des vies en mer n’est pas un crime, mais une nécessité. Notre objectif est de faire du 6 février une date connue dans le monde entier. Nous luttons pour qu’un jour, les migrant.e.s soient des êtres humains libres”.

      Les meurtres du 6 février 2014 ne sont pas le seul incident autour duquel les militants du Alarm Phone s’organisent ces jours-ci. Dans plusieurs villes européennes et en Tunisie, des rassemblements et des manifestations commémoreront le naufrage du 9 février 2020, au cours duquel 91 personnes sont mortes en mer méditerrannée entre la Libye et l’Italie.

      Hommage à tous et à toutes les migrant.e.s mort.e.s et disparu.e.s en mer et aux frontières !

      Toute notre solidarité avec leurs familles et leurs amis !

      Nous ne les oublierons pas !

      https://www.youtube.com/watch?v=K6ucdt8TGvo&source_ve_path=Mjg2NjY&feature=emb_logo

      https://alarmphone.org/fr/2021/02/05/6-fevrier-journee-mondiale-de-commemoraction

    • Tarajal : transformer la douleur en Justice

      Le 6 février 2014, quatorze personnes ont perdu la vie en tentant de rejoindre l’Espagne après avoir été violées avec du matériel anti-émeute par les autorités espagnoles. Leurs familles favoriseraient un processus organisationnel sans précédent pour transformer leur profonde douleur en justice.

      https://i.imgur.com/uq3NV19.png
      LES FAITS

      Le 6 février 2014, nous avons reçu à l’aube un appel d’une personne désespérée alertant d’un « massacre » qui était en train de se perpétrer sur une plage espagnole. Selon ce que les rescapés ont rapporté à l’autre bout du fil, trois cents personnes ont tenté de gagner Ceuta à la nage en essayant de contourner la jetée du Tarajal. C’est alors que des agents de la Guardia civil espagnole ont commencé à tirer du matériel anti-émeute (bombes lacrymogènes et balles en caoutchouc) sur les personnes qui nageaient pour atteindre le rivage.

      De la violence a été exercée à partir de plusieurs points. En effet, on a tiré à bout portant sur les bouées et les corps de ceux qui nageaient à partir des blocs de pierre de la jetée du Tarajal elle-même et au moins d’un bateau et d’une embarcation de type Zodiac avec des agents de la Guardia civil à bord. Par ailleurs, des coups de feu de dissuasion ont été tirés depuis le « mirador » (la tour de contrôle de la Guardia civil espagnole), pour décourager ceux qui protégeaient les corps de leurs compagnons de voyage déjà décédés.

      « Les premières fois ils ont tiré en l’air, mais quand ils ont réalisé que nous avions dépassé la déviation de la jetée et que nous nous approchions de la côte espagnole, ils ont commencé à tirer sur les corps. Dans mon cas, la première balle m’a atteint dans le dos et la seconde dans la mâchoire. »

      « Sanda a appelé à l’aide, a tendu sa main vers le rocher et la Guardia civil l’a frappé et renvoyé dans l’eau. »

      La non-assistance à personne en danger par la Guardia civil espagnole et l’absence de tentatives de réanimation des personnes inconscientes par les forces de l’ordre marocaines ont éliminé toute possibilité de pouvoir sauver la vie de ceux qui étaient en danger et qui ont fini par mourir. Ce sont les migrants eux-mêmes qui ont tenté d’aider leurs compagnons évanouis et qui, avec l’aide des forces marocaines, ont ramené les corps inertes sur la côte marocaine. L’État espagnol a refusé toute collaboration pour repêcher les corps au motif que les décès s’étaient produits sur le territoire marocain. Au moins quinze personnes sont mortes, et le corps de l’une d’entre elles n’a jamais été retrouvé. Au moins seize des survivants arrivés en Espagne ont subi un renvoi immédiat, dont un mineur de dix-sept ans.
      LES FAMILLES

      « Je me suis faite la promesse de voir un jour, avec l’aide de Dieu, l’endroit où repose la dépouille de mon fils, ne serait-ce qu’une fois, et de ramener ses cendres sur la terre de nos ancêtres afin que nous puissions lui organiser des funérailles dignes, conformes à nos traditions africaines. Je vous livre mon témoignage alors que je n’ai toujours pas surmonté le traumatisme causé par la disparition de Larios. Que justice soit faite, au nom de mon fils. »
Ndeubi Marie-Thérèse, mère de Larios Fotio.

      Les familles des victimes nous ont contactés au fur et à mesure qu’elles recevaient des informations sur ce qui s’était passé : elles cherchaient à connaître les faits et à savoir quoi faire pour retrouver le corps de leurs proches décédés. Le premier à le faire était le frère de Larios Fotio. En effet, en voyant que ses amis mentionnaient Helena Maleno sur les réseaux sociaux après la tragédie, il a décidé de nous écrire en même temps qu’il annonçait à sa mère, Ndeubi Marie-Thérèse, la mort de son fils Larios.

      Les familles ont fait confiance à notre collectif pour reconstruire le déroulement des faits qui ont mené à la mort de leurs proches, une tâche qu’aucune institution espagnole n’a daigné réaliser. Le 8 février, nous nous sommes rendus aux morgues de l’hôpital Hassan II à Fnideq et de l’hôpital Mohamed VI à M’diq avec des parents et des amis des victimes. L’ambassade du Cameroun au Maroc a soutenu cette opération et a pris en charge l’enterrement de quatre morts identifiés. Le 25 février, nous avons lancé notre enquête sur les faits et quelques semaines plus tard nous avons publié un rapport inédit reconstituant la tragédie et ses conséquences.

      Pour lever les multiples doutes qui planaient sur l’affaire et répondre au besoin de connaître les détails de ce qui s’est passé, plusieurs visites ont été nécessaires au Cameroun, pays d’origine de plusieurs des défunts. Lors de la première réunion, les familles des victimes nous ont donné leur consentement exprès pour les représenter à travers diverses entités qui se sont présentées en tant qu’accusation populaire lorsqu’en février 2015 la juge d’instruction a convoqué seize agents de la Guardia civil espagnole pour apporter leur témoignage sur ce qui s’était produit.

      Sur le plan judiciaire, « l’affaire Tarajal » a été une suite d’ouvertures et de clôtures d’enquête. Notre collectif a exprimé son désaccord avec la décision de ne pas recueillir les témoignages des survivants, même par vidéoconférence, ainsi qu’avec le refus d’accorder des visas pour que les familles puissent se rendre sur le lieu de décès de leurs proches et leur rendre hommage. Finalement, l’affaire a été classée en octobre 2019, sans que les responsables n’aient été condamnés ni que les familles n’aient été indemnisées pour leurs pertes. Caminando Fronteras parie toujours sur l’accompagnement des familles dans des actions alternatives à la justice européenne afin d’obtenir la vérité, la réparation et des garanties de non-répétition.

      Nous sommes retournés au Cameroun en 2016 dans le but de réaliser un documentaire mettant en avant les proches des victimes. « Tarajal : Transformar el dolor en justicia » (Tarajal : transformer la douleur en justice) (Caminando Fronteras, 2016) a mis en lumière la lutte pour rendre leur dignité aux victimes et le processus communautaire pour y parvenir. En effet, pour la première fois, des familles d’Afrique subsaharienne se sont organisées pour exiger des responsabilités à la suite de morts survenues à la frontière. Cette deuxième visite a abouti à la naissance de « Asociación de Familias de Víctimas de Tarajal » (l’association des familles de victimes du Tarajal).

      « La justice signifie la lumière, connaître les circonstances dans lesquelles les faits se sont produits, « la vérité »… Si on connaît « la vérité », il faut que la culpabilité des personnes impliquées soit établie. La réparation aura lieu lorsque justice sera faite » 24:58 (déclaration du frère d’une des victimes lors de l’assemblée de fondation de l’association).

      En 2017, l’association « Asociación de Familias de Víctimas de Tarajal » a décidé, à l’occasion du troisième anniversaire de la tragédie, d’organiser un hommage aux victimes des frontières à Douala, auquel ont participé des dizaines de familles de morts aux frontières. Au cours de cette rencontre, que nous avons contribué à promouvoir, les proches des victimes ont relaté la violence de la situation aux frontières, ont montré leur inquiétude face au nombre croissant de jeunes qui émigrent et ont expliqué ce que signifiait faire le deuil de leurs proches au milieu de tant d’incertitudes. À la fin de l’hommage, une liaison en direct avec le parlement espagnol a été organisée, après la projection de notre documentaire devant des députés. Bien qu’insuffisant, ce fut le seul acte de réparation par une institution espagnole aux familles, qui ont pu occuper le Parlement de leurs voix pour demander, une fois de plus, justice pour leurs défunts.

      https://caminandofronteras.org/fr/tarajal-transformer-la-douleur-en-justice

    • L’#appel


      À l’approche du 6 février et de la commémoration du massacre de Tarajal, le CRID appelle à soutenir et relayer l’appel de #Global_Commemoraction « 6 février 2023 : migrer est un droit ! », pour une Journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles.

      L’appel :

      Journée mondiale de lutte contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles

      Nous sommes parents, amis et amies de personnes décédées, portées disparues et/ou victimes de disparitions forcées le long des frontières terrestres ou maritimes, en Europe, en Afrique, en Amérique.

      Nous sommes des personnes qui ont survécu à la tentative de traverser les frontières à la recherche d’un avenir meilleur.

      Nous sommes des citoyen.e.s solidaires qui aident les immigré.e.s durant leur voyage en fournissant une aide médicale, de la nourriture, des vêtements et un soutien lorsqu’ils se trouvent dans des situations dangereuses pour que leur voyage ait une bonne fin.

      Nous sommes des activistes qui ont recueilli les voix de ces immigrés et de ces immigrées avant leur disparition, qui s’efforcent d’identifier les corps anonymes dans les zones frontalières et qui leur donnent une sépulture digne.

      Nous sommes une grande famille qui n’a ni frontières ni nationalité, une grande famille qui lutte contre les régimes de mort imposés à toutes les frontières du monde et qui se bat pour affirmer le droit de migrer, la liberté de circulation et la justice globale pour tous et toutes.

      Année après année, nous assistons aux massacres en cours aux frontières et dans les lieux de détention conçus pour décourager les départs des personnes migrantes. Nous ne pouvons pas oublier ces victimes ! Nous ne voulons pas rester silencieux face à ce qui se passe !

      En février 2020, familles et militants se sont réunis à Oujda pour organiser le premier Grand CommémorAction. A cette occasion, nous avons choisi la date du 6 février, jour du massacre de Tarajal, comme date symbolique pour organiser des événements décentralisés dans tous les pays du monde contre la militarisation des frontières et pour la liberté de circulation.

      En septembre 2022, nous nous sommes réunis à Zarzis en Tunisie pour la deuxième Grand CommémorAction et à cette occasion nous avons réaffirmé notre volonté de continuer à construire la date du 6 février comme une journée pour unifier toutes les luttes que de nombreuses organisations mènent chaque jour pour dénoncer la violence mortelle des régimes frontaliers du monde et pour exiger vérité, justice et réparation pour les victimes de la migration et leurs familles.

      Nous demandons à toutes les organisations sociales et politiques, laïques et religieuses, aux groupes et collectifs des familles des victimes de la migration, aux citoyens et citoyennes de tous les pays du monde d’organiser des actions de protestation et de sensibilisation à cette situation le 6 février 2023.

      Nous vous invitons à utiliser le logo ci-dessus, ainsi que vos propres logos, comme élément pour souligner le lien entre toutes les différentes initiatives. Tous les événements qui auront lieu seront publiés sur la page Facebook Commemor-Action

      Migrer pour vivre, pas pour mourir !

      Ce sont des personnes, pas des chiffres !

      Liberté de mouvement pour tous et toutes !

      https://crid.asso.fr/appel-de-global-commemoraction-pour-le-06-fevrier-migrer-est-un-droit

    • Journée de commémoration pour les morts aux frontières : « On veut migrer pour vivre, pas pour mourir »

      Comme dans de nombreuses villes d’Afrique du Nord et d’Europe, une centaine de personnes se sont retrouvées, à Paris, lundi soir, pour la quatrième journée internationale de « CommémorAction ».

      A la lumière du jour qui décline, quelques manifestants se rejoignent près de la fontaine des Innocents, à Paris. Majoritairement issus du secteur associatif, ils commentent, emmitouflés dans leurs vestes d’hiver, le projet de loi sur l’immigration, l’expulsion d’un squat la veille dans le XVe arrondissement ou encore les projets de leurs structures respectives tout en acceptant les bougies que leur tendent les organisateurs. La mobilisation à laquelle ils participent est organisée dans une quarantaine de villes d’Afrique du Nord et d’Europe et rend hommage aux quinze hommes morts le 6 février 2014.

      Ce jour-là, environ 200 personnes ont essayé de traverser à la nage la délimitation entre le Maroc et l’enclave espagnole de Ceuta. Afin de les empêcher d’accéder au territoire européen, la Guardia civil a tiré 145 balles de caoutchouc et cinq fumigènes, selon Amnesty International. Dans une panique générale, quinze hommes se sont noyés et une dizaine ont disparu. Les seize gardes-frontières espagnols assignés en justice pour non-assistance à personne en danger et pour avoir utilisé du matériel anti-émeute ont été acquittés en octobre 2015 et l’affaire a été classée. La mobilisation des familles des victimes, des associations et de journalistes a poussé à la réouverture de l’enquête, qui a été classée à nouveau, en 2018. La commémoration de cet événement tragique est devenue celle de tous les morts et disparus aux frontières notamment françaises.
      « Derrière les noyades, il y a des violences, des os cassés et brisés »

      Dès 2014, des manifestations et des commémorations ont eu lieu en Espagne, au Maroc, au Cameroun, en Guinée, au Mali ou encore au Niger pour honorer la mémoire des défunts et réclamer justice. En 2020, les proches des disparus se sont retrouvés à Oujda (Maroc) pour organiser la première « journée mondiale de CommémorAction contre le régime de mort aux frontières et pour exiger la vérité, la justice et la réparation pour les victimes de la migration et leurs familles ».

      A Paris, devant les portraits alignés des morts de la plage de Tarajal – des carrés noirs ont été accrochés pour ceux dont l’identité n’a pas encore été définie –, un texte commun signé par la liste des associations organisatrices (Coordination des sans-papiers 75, 20 et de Montreuil, le Crid, Emmaüs International, la Cimade…) est lu, avant une prise de parole. Une militante de la Coordination des sans-papiers du 75 évoque la situation de la Tunisie, son pays d’origine. « Derrière les noyades, il y a des violences, des os cassés et brisés. […] On veut migrer pour vivre, pas pour mourir ! » assène-t-elle.
      Bribes de témoignage

      Nayan K. de l’organisation Solidarités Asie France cite, lui, l’exemple de Tonail, 38 ans, originaire du Bangladesh, mort fin 2022 à la frontière turque. Il aurait payé des passeurs plus de 10 000 euros pour arriver en France. C’est son compagnon de route qui le trouvera mort de froid alors qu’ils cherchaient à traverser la frontière turque. Sur la photo que celui-ci a diffusée sur les réseaux sociaux pour pouvoir l’identifier, on voit Tonail vêtu de toutes les couches de vêtements qu’il a pu trouver, allongé dans la neige, immobile, les yeux mi-ouverts. Sa famille, dont il était l’aîné, a pu rapatrier son corps au Bangladesh pour lui offrir des funérailles.

      En France, on pourrait aussi nommer Ibrahima Diallo, originaire du Sénégal, et Abdouraman Bah, de nationalité guinéenne, qui se sont noyés dans le fleuve Bidassoa, à la frontière basque, respectivement le 12 février et le 18 juin 2022, selon l’association d’aide aux migrants Bidasoa Etorkinekin. Ou encore Ullah Rezwan Sheyzad, un garçon de 15 ans qui avait quitté l’Afghanistan en juin 2021 et a été retrouvé mort en février 2022 près d’une voie ferrée à la frontière franco-italienne. Dans son sac à dos, quelques adresses de connaissances à Paris.

      Pour retrouver un proche disparu sur les routes des migrations, les familles peuvent s’adresser à Restoring Family Links, un programme proposé par la Croix-Rouge internationale. Du fait de la longueur des procédures, elles se tournent également vers les associations et ONG présentes dans les pays de sorties et d’arrivées qui collectent le maximum d’informations et de bribes de témoignages possibles. Lors des départs, Alarm Phone, spécialisée dans le sauvetage en mer, peut aussi leur fournir des informations sur la localisation de leurs proches.
      « Ce ne sont pas les frontières qui tuent, c’est leur sécurisation »

      En attendant, parfois, de retrouver le corps d’un proche, « faire son deuil est difficile », affirme Mohammed T., du Collectif des sans-papiers du XXe. Quand des obsèques finissent par être organisées, avec ou sans la dépouille du défunt, elles prennent place dans le pays d’origine de la personne et dans celui où elle est décédée. « On loue une grande salle, et pendant tout le week-end, de 8 heures à 16 heures, des personnes viennent et donnent de l’argent pour la famille », raconte le militant.

      Après quelques chansons écrites en solidarité aux personnes en situation d’exil, la « CommémorAction » s’achève et la foule d’une centaine de personnes se disperse. Orianne S., militante de Paris d’exil, rappelle l’intérêt de ce genre de mobilisations : « Il s’agit d’un espace de témoignage qui permet de ne pas oublier les morts et de tenir les Etats pour responsables de ce qu’ils font. Ce ne sont pas les frontières qui tuent, c’est leur sécurisation. » Une autre militante renchérit : « Il n’y a aucune fatalité, on pourrait reconnaître l’égale valeur des vies humaines en admettant la liberté de circulation et d’installation pour tous. »

      Selon l’Organisation internationale des migrations, plus de 20 000 personnes ont disparu ou ont perdu la vie sur les routes migratoires depuis 2014, dont la moitié en Méditerranée. Pour l’année 2022, l’organisation estime ce bilan humain à 2 000 personnes.

      https://www.liberation.fr/societe/journee-de-commemoration-pour-les-morts-aux-frontieres-on-veut-migrer-pour-vivre-pas-pour-mourir-20230207_6IBCSHNYMRBYRMQ5TB22G2JFPI/?redirected=1

  • « La régularisation des sans-papiers n’induit pas d’appel d’air »

    Alors que le gouvernement envisage de faciliter la régularisation de certains travailleurs sans-papiers, l’économiste espagnol détaille les diverses conséquences d’une telle mesure

    Dans une étude publiée en février 2018 et actualisée en 2022 (https://www.dropbox.com/s/izdbk59busoja78/Spanish_regularization_Rev_v1.pdf?dl=0), les économistes Joan Monras (Réserve fédérale de San Francisco), Elias Ferran (université de Valence) et Javier Vazquez-Grenno (université de Barcelone) ont analysé les conséquences d’une vaste régularisation de 600 000 migrants extra-européens décidée par le gouvernement socialiste espagnol en 2005.

    Vous êtes coauteur d’une étude sur les conséquences de la régularisation de 600 000 personnes en Espagne en 2005. Un des principaux enseignements de ces travaux est qu’une régularisation massive n’induit pas d’appel d’air…

    En 2004, on estimait qu’il y avait presque un million de sans-papiers en Espagne. La mesure de régularisation a bénéficié à environ 600 000 personnes. Mais elle n’a provoqué aucun appel d’air en Espagne. Pour s’en rendre compte, nous nous sommes intéressés aux chiffres des ressortissants extra-européens vivant en Espagne. Et on a constaté que ces chiffres n’avaient pas bougé.

    Par exemple, si on regarde les Equatoriens, il n’y a pas eu de changement, puisque leur nombre total s’établit autour de 400 000, en 2004 comme en 2008. Dans le même intervalle de temps, le nombre de Marocains a augmenté de 150 000, mais sans aucune rupture perceptible dans la tendance après l’adoption de la mesure de régularisation, ce qui laisse penser que d’autres facteurs, indépendants de cette mesure, ont joué.

    On peut expliquer cette absence d’appel d’air notamment par le fait que la mesure de régularisation visait les personnes déjà présentes en Espagne puisque, pour en bénéficier, il fallait remplir des conditions comme être présent depuis déjà au moins six mois dans le pays et avoir un contrat pour au moins les six prochains mois.

    Nous pensons même que la régularisation a pu jouer en défaveur de flux nouveaux, puisqu’elle a été accompagnée d’un renforcement des contrôles de l’inspection du travail visant à combattre le travail au noir, ce qui a pu rendre plus difficile l’embauche de travailleurs sans papiers. Nous restons toutefois prudents sur les effets à long terme de la mesure car, dès 2008, l’Espagne a été touchée par la crise économique, ce qui a pu avoir pour effet de diminuer la demande de travail.

    Des constats similaires ont-ils été faits dans d’autres pays ?

    En 1986, les Etats-Unis ont adopté l’Immigration Reform and Control Act (IRCA), une amnistie qui a permis à quelque trois millions d’immigrés de régulariser leur situation. Des articles de recherche ont regardé si cette loi avait provoqué une augmentation de l’immigration et ils trouvent que non. Ce n’est pas une vérité absolue, cela dépend certainement des contours de la politique mise en œuvre et du contexte économique, mais on a des exemples variés, en Espagne et aux Etats-Unis, qui trouvent que la régularisation n’induit pas d’appel d’air.

    Comment la régularisation peut-elle être un frein au travail au noir ?

    Si la régularisation est accompagnée d’un renforcement des contrôles de l’inspection du travail, cela a pour effet d’augmenter le coût du travail au noir. En outre, en exigeant des personnes un contrat de travail d’au moins six mois pour être régularisées, la mesure décidée par le gouvernement espagnol a incité des travailleurs à sortir du travail au noir. Cela est particulièrement visible dans le secteur du ménage à domicile.

    Beaucoup des personnes qui ont été régularisées étaient des femmes de ménage d’origine extra-européenne qui travaillaient de façon non déclarée au domicile de particuliers. La régularisation a provoqué une hausse très importante du nombre d’entre elles qui étaient déclarées, passé de 60 000 à 160 000.

    Toutefois, à moyen terme, le chiffre dans ce secteur est retombé autour de 110 000. Nous pensons que, une fois régularisées, ces travailleuses ont saisi des opportunités dans d’autres secteurs, notamment dans les hôtels-restaurants ou le nettoyage en entreprise. Mais il est également possible qu’une fraction de ces travailleurs soit retournée sur le marché informel.

    Vous battez aussi en brèche l’idée répandue selon laquelle le recours à la main-d’œuvre immigrée tire les salaires vers le bas…

    La régularisation de travailleurs peut exercer, dans un premier temps, une pression à la baisse sur les salaires puisque l’offre de travail se trouve augmentée mais, dans le même temps, en régularisant leur situation, les immigrés ont accès à plus d’opportunités de travail et cela augmente leur pouvoir de négociation avec les entreprises. Nous estimons que cette capacité de négociation peut leur permettre d’obtenir des niveaux de salaire plus élevés d’environ 20 % en moyenne. A long terme, ces deux effets se conjuguent et il n’y a pas de changement substantiel sur le niveau des salaires. Cela fait écho aux résultats de l’économiste et Prix Nobel d’économie David Card qui s’était intéressé à l’exode depuis le port cubain de Mariel dans les années 1980, lorsque quelque 1 250 000 Cubains avaient rejoint Miami.

    En revanche, vous montrez que les bénéfices sont manifestes pour les finances publiques…

    Nous avons calculé que, pour chaque migrant régularisé, les cotisations patronales ont augmenté de 4 000 euros en moyenne par an. Toutefois, nous avons aussi constaté que le travail au noir n’a pas disparu. Passé une première période au cours de laquelle le travail au noir a reculé, celui-ci reprend car des entreprises cherchent toujours à échapper aux cotisations sociales, et des travailleurs peuvent être intéressés par des salaires plus élevés car non soumis à l’impôt sur le revenu.

    Mais cette réalité dépasse la question des travailleurs migrants. En Espagne, le marché informel est très important et concerne les travailleurs espagnols eux-mêmes, dans des secteurs comme le bâtiment ou le tourisme. En cela, les migrants n’ont pas une attitude différente de celle des natifs.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/04/07/la-regularisation-des-sans-papiers-n-induit-pas-d-appel-d-air_6168644_3232.h
    #sans-papiers #régularisation #migrations #appel_d'air #économie #Espagne #chiffres #statistiques #travail_au_noir #salaires #travail

    ping @karine4

  • Lutter et/ou se faire manipuler au nom d’un lutte ? Soulèvements de la terre versus état : même combat
    https://nantes.indymedia.org/posts/86985/lutter-et-ou-se-faire-manipuler-au-nom-d-une-lutte-soulevements-de

    C’est ça le défi lancé aux manifestant-es du 25 mars, de tenter de procéder à un arrêt définitif du chantier ? Avec des masques FFP2, des écharpes, quelques cocktails molotov, des feux d’artifice et des pierres ? Contre 3200 miliciens armés de grenades explosives, de grenades assourdissantes, de LBD, de famas, certains perchés sur des quads pour pourchasser des gen-tes à pieds ?
    N’est-ce pas prétentieux et terriblement dangereux ?
    Comment une manifestation sur une demi journée, même si des sabotages s’y réalisaient, pourrait- elle mettre un terme définitif à un tel chantier, quand on sait que le lobby de la fnsae, aux manettes, est largement validé par le gouvernement qui va jusqu’à parler de retenues d’eau bénéfiques aux écosystèmes (leur mauvaise foi ne connaît pas de limites). S’il n’y avait pas eu tous ces miliciens, qu’auraient fait les manifestant-es ? Iels auraient saccagé les grilles et la pompe car c’est là tout ce qu’il y avait à saccager, ce qui n’aurait évidemment pas signé l’arrêt définitif du projet. Quel était le niveau d’informations des personnes présentes le samedi matin, quant à la militarisation des lieux et aux armements auxquels elles s’exposaient ? Qui a pu prendre connaissance des lieux bien avant cette action ? Comment les personnes pouvaient-elles mesurer l’opportunité ce jour du 25 de se rendre jusqu’aux points névralgiques compte tenu de l’état des lieux à ce moment là ?
    Qui a tenu les manettes du grand jeu ? Qui a élaboré un plan d’action décliné en notamment 3 cortèges sensés se retrouver autour de cette bassine ? Qui savait que en dehors d’un cratère nu, et d’une pompe, qu’à part une armada de terroristes d’état, il n’y aurait ce jour là pas de moyens pour mettre à sac cette gigantesque structure ?
    Le staff.
    Celui qui va se planquer dans sa base arrière et observer, hors du danger, le déroulement des charges menées contre tou-tes ces civil-es.

    • (...)

      Du rassemblement à Sainte Soline d’octobre 2022, de nombreuses personnes étaient revenues traumatisées par une répression policière à laquelle iels ne s’attendaient pas. Des personnes sont revenues blessées, peu ont témoigné de cette réalité et interrogé évidemment, les pratiques d’état, mais aussi les pratiques organisationnelles à l’œuvre dans cette situation.

      (...)

      Dans le livret base arrière on trouve ça :
      –une équipe prête à l’emploi pour surveiller des violences sexistes/sexuelles ...mais pas les autres violences ?
      –une garderie pour être disponible,
      –des bases arrières soin et juridique,
      –une entité « organisation générale »...par les généraux à n’en pas douter
      Très séduisant. Du prêt à lutter en kit, qui donne l’illusion d’une maîtrise totale de ce qui pourrait se passer à
      l’occasion de cet événement, avec des festivités à la clé pour parfaire le programme qui nous convie à un week-end touristo-militant : du frisson pour se faire un peu peur, et du réconfort pour fêter
      une hypothétique victoire qui finalement se solde de tellement de blessé-es que les organisateur-es et l’état se rejettent la responsabilité du carnage à n’en plus finir...

    • Pourquoi les organisateurs du rassemblement du 25 mars s’insurgent contre une répression forcenée en
      comptant les blessées : « nous sommes outré-es de la violence des crs pour défendre une méga bassine
      vide »... »le gouvernement ne connaît que l’outrance et la répression brutale » ?
      Iels ne sont pas outré-es d’avoir envoyé tant de personnes se faire meurtrir devant un cratère vide ?
      Les généraux des SDLT ne peuvent ignorer que, si iels organisent un mouvement de masse fort bien média-
      tisé, le gouvernement prévoit en parallèle un dispositif répressif à la hauteur de la mobilisation qu’il craint....
      donc ils mettent le paquet, comme ils nous ont mis le paquet à NDDL pour les expulsions en 2018 ou, graves blessures et mutilations ont ponctué nos journées pendant plusieurs semaines....mais iels étaient sans doute chez elleux à lire du damasio, ou bien à la préfecture à se tortiller devant des « officiels » pour obtenir quelques arpents de terre ?

    • énorme point :

      La condamnation parfaitement légitime de ce scandaleux accaparement et gaspillage d’une eau déjà privatisée, ne nous affranchit pas de nous donner les moyens de tenter de mesurer qui est en face, qu’il s’agisse de lobbies, de l’état et de ses milices en freestyle... Ce, afin de construire des modes de réponses opérant tout en réduisant le plus possible le risque de payer extrêmement cher nos besoins de retrouver un horizon

      j’ai envie de dire #toctoc @rezo @colporteur même si la dent est dure...

    • Et si nous n’attendions aucun rassemblement de masse, aucune consigne pour faire ce que nous avons à faire : qu’il s’agisse de l’agro-industrie ou de toute production mortifère, les occasions de saboter sont innombrables car partout

    • à Sainte-Soline par exemple, la question du repli ou d’une autre cible/option et donc de l’adaptation des armes (une mise à distance du dispositif, une réorientation), face à la vue du piège-fortin aurait du, d’emblée, être sérieusement évaluée. La réactivité collective de la VCD [violence collective désorganisée ] est une question particulièrement délicate, et il faut se demander à quels motifs on obéit lorsqu’on fonce un peu tête baissée. Quels seuils d’organisation au sein de la VCD ne doivent pas être dépassés (outillage, chaînes de « commandement », etc), à quelles doses d’organisation est-on prêt(e)s à céder et pour quel impact ?

      https://lundi.am/Le-tabou-du-cock-tail

    • Crapules & Assassins (dans la prairie, 25 mars 23)
      https://nantes.indymedia.org/posts/87532/crapules-assassins-dans-la-prairie-25-mars-23

      Les assassins assassinent. Souvent, ça rate. Et les gueules cassées sont innombrables aujourd’hui et hier. Mais ça ne rate pas toujours. Parfois, les assassins assassinent. Toustes les blessé.e.s, les torturé.e.s et les assassiné.e.s sont à venger. Et on se vengera.

      On ne dira évidemment rien contre les personnes qui décident de s’affronter aux assassins avec des moyens qu’elles choisissent elles-mêmes. Mais on dira des personnes qui programment un assaut en n’y étant pas physiquement elles-mêmes en première ligne, qu’elles sont des crapules.

      [06/03/2023] Jouer à la guerre, jouer au pion
      https://nantes.indymedia.org/posts/87418/06-03-2023-jouer-a-la-guerre-jouer-au-pion

      En octobre dernier, je suis allé à Sainte-Soline à l’appel des Soulèvements de la terre, de la Confédération paysanne et de certains partis politiques. Malgré la présence des démocrates (LFI, EELV, NUPES, CGT, Solidaires, YFC, NPA, …), je m’y suis rendu avec la sincère conviction qu’on allait essayer de saboter le chantier d’une « méga-bassine », d’attaquer les engins, bref, d’empêcher que les travaux puissent reprendre. En fait, les machines n’étaient plus là depuis quelques jours avant notre arrivée. Je suis arrivé le vendredi soir, la manif était prévue le lendemain. On m’a indiqué là où j’avais le droit de poser ma tente et là où je n’avais pas le droit. Le samedi, des tracts ont été distribués, ils expliquaient qu’il y aurait trois cortèges, avec une couleur pour chacun. Le rouge, le vert et le blanc. C’était un peu présenté comme un jeu. On comprenait que le blanc c’était pour les personnes sages, qui voulaient rester tranquilles, et que les deux autres avaient des stratégies différentes. Mais si on n’assistait pas aux réunions très privées et très select, on n’en savait pas plus. Dans ces réunions, c’était pas très clair non plus. Chez les rouges, quelques uns disaient qu’ils donneraient des signaux, et qu’il faudrait les suivre. La stratégie avait l’air déjà pensée. Chez les verts, il n’y avait pas de décideurs apparents. En gros, les blancs allaient tranquillement tout droit, les rouges contournaient par la droite, et les verts par la gauche, pour arriver au même point : la bassine, là-bas, on détruit tout. (Tout = quelques grilles, parce que la bassine, c’est un trou.)

    • Quand les postures bassinent, ou pourquoi tout n’est pas binaire
      https://nantes.indymedia.org/posts/87498/quand-les-postures-bassinent-ou-pourquoi-tout-nest-pas-binaire

      Commençons par un bref retour historique, qui ne se veut pas exhaustif, mais qui prétend remettre quelques choses à leur place.

      L’« Appelisme » et les traumatismes de la ZAD

      Il était une fois un groupe d’étudiant-es parisien-nes, un peu situationnistes, un peu mao-spontex, un peu nostalgiques du temps où la nouvelle gauche faisait trembler l’État, les armes à la main. Ce groupuscule s’est choisi alors un nom sorti d’un imaginaire mystique, Tiqqun, pour produire des textes verbeux, lyriques et passéistes, prophétisant le sabotage et l’insurrection armée [1], dont « L’Appel » qui donnera plus tard leur nom aux « ami-es » de ses auteur-es et aux amateur-ices de leurs écrits. On était alors en 2007.

      #appellisme #anarchisme_individualiste #autonomie

    • Ah mais la base arrière se rebiffe !

      Quelle grossièreté... (Re le dernier texte)

      Au moins un point : il me semble que personne n’a l’équipement pour se protéger des grenades de la police. Personne.

      Et ce truc de victime consentante... Pouah.

      Sinon oui appellimse ça dit pas grand-chose. Mais autoritarisme oui. Et c’est pas comme si ces questions, la mesure de notre engagement je dirais, étaient nouvelles https://m.youtube.com/watch?v=iZpNgSaYWts

    • Bah ce monde est fou oui et c’est justement pour ça que de plus en plus de monde n’en peuvent plus, même physiquement quoi… et voient bien que juste causer ou faire un potager dans son coin ça fait rien depuis des décennies, et donc soit pètent un câble, soit veulent plus de conflit organisé en groupe contre le pouvoir en place… ya une sorte de logique quand même

    • Berdol total en effet.

      Concentré ou diffus l’appelisme est l’idéologie (justificatrice) qui domine parmi bien des révoltés (également sous l’emprise de l’idéologie réellement dominante, capitaliste, patriarcale, raciste). Les minoritaires de cette minorité ? Souvent rageux, clairvoyants par intermittence (?).

      Comment la boue devient claire insistait sur la décision (tactique) en évitant de donner une leçon depuis l’échec subi à Sainte Soline, là où Jouer à la guerre, jouer au pion promeut habilement (un récit, au lieu du vrac que l’on lit dans les autres textes cités ici) le sabotage par des individus ou des groupes affinitaires autonomes, aire embryonnaire dont la coordination pourrait venir après-coup.

      Bref, y a des confrontations sur la question de l’organisation. Pas si pire.

      #organisation #tactique

    • C’était ma manière de reformuler l’argument : tout le monde est venu a Sainte Soline en sachant ce qui les attendaient. Faut pas non plus prendre les gens pour des moutons etc. Je dois dire qu’avec le recul c’est pas exactement une formule bien heureuse..
      J’étais ému. Aujourd’hui j’ai plus de mal à penser que d’aucuns/aucunes ont envoyé sciemment les gens au casse-pipe. Je crois plus a la théorie de la foirade.

  • Le printemps est inexorable ! – #RogueESR
    https://rogueesr.fr/20230406-2

    Nous relayons l’#appel de plusieurs associations et #collectifs_scientifiques_engagés sur les #questions_climatiques_et_environnementales :

    https://rogueesr.fr/wp-content/uploads/2023/04/Appel_inter-collectifs.pdf

    Lors des manifestations de ce jeudi 6 avril, nous montrerons une nouvelle fois la force vive du #mouvement_démocratique avec une solidarité et une détermination sans faille, en portant haut l’espoir et les valeurs qui nous animent.

    L’heure est grave. Quiconque se sentirait trop frappé de sidération pour apprécier la situation peut se référer aux écrits des observateurs des libertés publiques et des droits de l’humain, aux comptes-rendus des journaux progressistes, libéraux et démocrates

    Pour l’ONU, deux fois en une semaine,
    pour le Financial Times,
    pour le New York Times,
    pour Bloomberg,
    pour El País,
    pour le Washington Post,
    pour Il tempo,
    pour le Guardian,
    pour la FAZ,
    pour Human Rights Watch,
    pour la Maison Blanche,
    pour la Commission aux Droits de l’Homme (Conseil de l’Europe),
    pour Amnesty International,
    pour la Wirtschaftswoche,
    pour la défenseure des droits,
    l’heure est grave.

    Le contournement du parlement, l’arbitraire et le déchaînement des violences policières, l’usage permanent du mensonge et du choc, la rhétorique de l’ennemi de l’intérieur, la surdité de l’Élysée devant un quasi-consensus démocratique de rejet d’une (contre)-#réforme_des_retraites qui n’est pas nécessaire : tout cela constitue de graves atteintes à la démocratie et aux libertés publiques. C’est à l’aune de cette fuite en avant qu’il convient d’interpréter les menaces proférées ces derniers jours contre la Ligue des Droits de l’Homme (LDH), qui n’ont pas d’équivalent depuis sa reconstitution en 1944. Vous pouvez adhérer à la #LDH en suivant ce lien :

    https://www.ldh-france.org/adherer

    Pour autant, nous ne sommes pas les spectatrices et les spectateurs d’un désastre en cours. L’isolement et la violence du pouvoir disent aussi sa faiblesse. Ce serait une faute de nous laisser intimider et enfermer dans la stratégie de la tension portée, pour le compte du chef de l’État, par un ministre de l’Intérieur d’extrême-droite. Le mouvement social contre la réforme des retraites a cristallisé une multitude d’autres revendications. Il a été rejoint par les scientifiques et les militants qui entendent juguler le réchauffement climatique et l’effondrement du vivant, désormais criminalisés. Bien au-delà, depuis quelques jours, toutes celles et ceux qui sont attachés aux libertés publiques savent attester concrètement leur solidarité. Nous sommes nombreux, unis, déterminés.

    La place de l’Université et de la recherche dans ce grand mouvement est essentielle. Face à la violence, nous devons montrer plus que jamais notre attachement indéfectible à dire le vrai sur le monde. La temporalité dans laquelle nous nous inscrivons n’est pas celle d’un théâtre où tous les coups médiatiques semblent permis, elle n’est pas commandée par une défense réflexe face aux attaques infondées que nous subissons. Obligés par la jeunesse, obligés par les nouvelles sombres qui viennent des sciences du climat et du vivant, nous portons les valeurs de la libre discussion rationnelle, du lent rassemblement des preuves, de la transmission et de la publicité des savoirs.

    En contre-feu puissant aux pulsions mortifères ou même simplement nihilistes qui tentent d’envahir l’espace public, il s’agit aujourd’hui de nous ouvrir un avenir, en poursuivant le travail d’élaboration collective d’un horizon politique initié il y a un an, et synthétisé en 50 propositions. Par ces temps difficiles, le plus grand des dangers est la sirène du renoncement. Face à l’ampleur de l’enjeu et la noirceur des prévisions, jeter l’éponge pour l’avenir collectif n’est pas une option possible. Alors que d’autres secteurs de la société ont fortement contribué aux premières semaines de mouvement, il est temps que l’Université prenne sa part et pèse de tout son poids. Chaque heure de cours débrayée, chaque démission des tâches administratives, chaque Commission d’Examen des Vœux refusant de contribuer aux classements de Parcoursup va peser dans le bon sens. Chacun doit se poser en conscience la question : la gravité de la situation actuelle ne vaut-elle pas quelques semaines de grève totale ?

    « Le printemps est inexorable ! » Pablo Neruda, J’avoue que j’ai vécu.

  • Immigration : le #mythe de « l’appel d’air »

    Les migrants choisiraient leur pays d’arrivée en fonction de la qualité des prestations sociales, selon le concept d’« appel d’air ». Rien de plus faux, expliquent les chercheurs. Durcir la politique migratoire fixerait même les exilés sur leur terre d’accueil.

    Histoire d’une notion. Avant même que le projet du gouvernement sur l’immigration soit connu, la droite et l’extrême droite ont entonné un refrain qui accompagne, depuis vingt ans, toutes les controverses sur les flux migratoires : si la France améliore ses conditions d’accueil, elle créera un redoutable « appel d’air ». La présence de centres d’hébergement, l’accès aux allocations, la prise en charge des soins médicaux ou la promesse de régularisations encouragent, selon elles, les migrants à rejoindre la France : ces politiques généreuses « aspireraient la misère du monde », résume, en 2019, le philosophe Jérôme Lèbre dans la revue Lignes.

    Repris ces dernières semaines par Eric Ciotti (Les Républicains, LR) ou Jordan Bardella (Rassemblement national, RN), ce « discours connu de la #mythologie d’extrême droite », selon Jérôme Lèbre, s’est imposé dans le débat, y compris à gauche, au début des années 2000, lors des polémiques sur le camp de Sangatte (Pas-de-Calais). Il repose sur l’idée que les migrants se comportent comme les sujets rationnels et éclairés de la théorie libérale classique : informés par la presse, les réseaux sociaux et le bouche-à-oreille, ils pèsent avec soin, avant de quitter leur pays, les avantages et les inconvénients de chaque destination afin de repérer les contrées les plus hospitalières.

    Si cette logique semble inspirée par le bon sens, elle ne correspond nullement à la réalité, et surtout à la complexité, des parcours migratoires. L’appel d’air est un « mythe », constate, en 2021, l’Institut Convergences Migrations, qui rassemble six cents chercheurs en sciences sociales issus de plusieurs institutions : il n’est en rien « corroboré par les travaux de recherche ». Les études internationales consacrées aux déterminants de la migration montrent en effet qu’il n’existe, selon l’institut, « aucune corrélation » entre la qualité des politiques d’accueil et l’orientation des flux migratoires.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/01/11/immigration-le-mythe-de-l-appel-d-air_6157358_3232.html#xtor=AL-32280270-%5B
    #appel_d'air #asile #migrations #réfugiés #vocabulaire #terminologie

  • En #Italie, le gouvernement de Giorgia #Meloni s’en prend aux ONG qui sauvent les migrants en mer

    Un nouveau « #code_de_conduite » pour les #navires_humanitaires est entré en vigueur, mardi. Des #amendes allant de 10 000 à 50 000 euros sont notamment prévues à l’encontre du commandant de bord si les règles ne sont pas appliquées.

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    Durant la campagne électorale à la fin de l’été, Giorgia Meloni, la dirigeante du parti d’extrême droite italien Fratelli d’Italia avait relancé l’idée d’un #blocus_naval pour arrêter les bateaux intervenant en mer pour sauver les migrants. Une solution inapplicable dans les faits, mais payante en termes de communication politique. Désormais installé à la tête du pays, le gouvernement de Mme Meloni a néanmoins mis à exécution sa promesse de réguler les flux migratoires avec une mesure qui ressemble à une déclaration de guerre aux ONG engagées dans le sauvetage des migrants. Le 3 janvier, un nouveau « code de conduite » pour les navires humanitaires est entré en vigueur sous forme de #décret.

    Parmi les nouveautés de ce texte figure notamment la fin des #opérations_de_secours « simultanées ». Dès lors qu’un port de débarquement a été attribué par les autorités italiennes à un navire, il doit être atteint sans délai pour que puisse s’achever l’opération de sauvetage. Plus question désormais, sauf demande spéciale des autorités italiennes, qu’un bateau qui vient de recueillir des réfugiés détourne sa route vers une autre embarcation en perdition tant qu’elle n’a pas touché terre. En somme, la nouvelle réglementation du ministère de l’intérieur entérine un glissement qui constitue une menace claire sur le #droit_de_la_mer et les conventions internationales dont l’Italie est signataire.

    Ce tour de vis sécuritaire a provoqué indignation et inquiétude chez les ONG « Plutôt que de nous assigner un rôle clair de sauver des vies en mer, ce décret tente de limiter notre champ d’action sans proposer aucune solution alternative », se désole Juan Matias Gil, chef des opérations de secours en mer de Médecins sans frontières (MSF). « Il faut s’attendre à une baisse dans nos capacités d’opération de sauvetage, et plus de morts à venir. »

    Les ONG dérangent

    Autre nouveauté, le gouvernement impose désormais aux ONG de recueillir les demandes d’asile à bord des navires de sauvetage, de sorte que la procédure administrative soit prise en charge par le pays dont les navires battent pavillon. Une procédure qui promet de nombreux casse-tête juridiques. Si l’on suit les nouvelles normes, qui empêchera des migrants somaliens de demander l’asile à Rome, s’ils sont recueillis par un navire marchand italien au large de Mogadiscio ?

    La crainte de « l’#appel_d'air », rhétorique habituelle des membres de l’exécutif et de la majorité pour justifier les restrictions, a de nouveau été mise en avant par les responsables politiques convaincus que les navires humanitaires sont des « #taxis_de_la_mer ». Les #statistiques démontrent pourtant le contraire : sur près de 100 000 migrants qui ont débarqué en 2022 sur les côtes italiennes, à peine plus de 10 % ont été recueillis par des ONG.

    Installé en Sicile où il suit les questions migratoires pour Radio Radicale, le journaliste Sergio Scandura effectue une veille permanente des embarcations de migrants en approche des côtes italiennes. « Ce décret est inédit, estime-t-il, personne jusqu’ici n’avait jamais adopté un texte qui va à l’encontre des lois internationales mais aussi des lois européennes. » « La réalité est que les ONG dérangent parce que l’on ne doit pas voir ce qu’il se passe au large de la Libye », dénonce le journaliste.

    « Menace de #sanctions_financières »

    L’Eglise catholique italienne a elle aussi vivement réagi. « Ce décret n’est basé sur rien, il est construit sur un faux sentiment d’insécurité », a tonné Mgr Gian Carlo Perego, président de la commission pour les migrations au sein de la conférence épiscopale italienne. Pour l’archevêque de Ferrare-Comacchio (Nord), « la première considération serait de savoir si ce sont les ONG qui posent un problème de sécurité à l’Italie ou bien si ce sont précisément elles dont les bateaux sauvent des vies ».

    Outre les nouvelles normes, le gouvernement italien a également prévu tout un arsenal de #sanctions en cas de non-respect de la part des navires humanitaires. Des amendes allant de 10 000 à 50 000 euros sont prévues à l’encontre du commandant de bord si les nouvelles règles ne sont pas appliquées. En cas de récidive, les autorités s’arrogent le droit de séquestrer les navires. Un recours est possible mais, autre nouveauté, celui-ci devra être déposé devant le préfet dont les pouvoirs sont élargis. « Il est clair que la menace de sanctions financières est préoccupante », souligne Marco Pisoni, porte-parole de SOS Méditerranée, qui affrète le navire Ocean-Viking. « Les opérations de secours demandent des moyens, et ces amendes pourraient nous mettre en difficulté avec nos donateurs, en Italie mais également dans toute l’Europe. »

    Pour les ONG, le message du gouvernement est clair : non seulement entraver les opérations de secours, mais les éloigner de la Méditerranée centrale, là où les besoins sont les plus forts. Le 31 décembre, avant la parution du décret au journal officiel, l’Ocean-Viking a pu faire débarquer 113 personnes dans le port de Ravenne… à 900 milles nautiques du lieu de sauvetage. Pour Maco Pisoni, la nouvelle politique du gouvernement italien signe « la disparition programmée de la présence des navires dans les zones #SAR [régies par la convention internationale sur la recherche et le sauvetage maritimes] internationales et nationales ».

    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/01/05/en-italie-le-gouvernement-de-giorgia-meloni-s-en-prend-aux-ong-qui-sauvent-l
    #Giorgia_Meloni #sauvetage #Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #mer_Méditerranée

    • Italy’s Anti-Rescue Decree Risks Increasing Deaths at Sea

      New Policy Obstructs Lifesaving Work of Rescue NGOs, Violates International Law
      The latest migration decree by Italy’s government represents a new low in its strategy of smearing and criminalizing nongovernmental organizations saving lives at sea. The government’s goal is to further obstruct the life-saving work of humanitarian groups, meaning that as few people as possible will be rescued in the central Mediterranean.

      The decree prohibits vessels of search and rescue organizations from carrying out multiple rescues on the same voyage, ordering that after one rescue their ships immediately go to the port allocated by Italy and reach it “without delay,” effectively requiring them to ignore any other distress cases at sea.

      The rule, which does not apply to other kinds of vessels, breaches the duty on all captains to give immediate assistance to people in distress under multiple international law provisions, including the UN Convention on the Law of the Sea, the International Convention for the Safety of Life at Sea, the Palermo Protocol against the Smuggling of Migrants, and EU law.

      The negative impact of the new rule is compounded by the government’s recent practice of assigning rescue boats very distant ports of disembarkation in northern and central Italy, requiring up to four days of navigation, in breach of the obligation to make available the nearest port of safety. Ordering rescue ships to sail to distant ports prevents them from saving lives in the central Mediterranean for longer periods of time, forces them to incur significant additional costs in fuel, food, and other expenses, and can increase the suffering of survivors on board.

      The decree also imposes on nongovernmental rescue ships the duty to collect data from survivors onboard, including their intent to claim asylum, and share that information with authorities, in breach of EU laws, including the asylum procedures directive .

      As 20 search and rescue organizations pointed out in a joint statement on January 5, the decree risks adding to the numbers of people already dying in the Mediterranean Sea or returned to horrific abuse in Libya.

      The European Commission should call for the immediate withdrawal of this decree and an end to Italy’s practice of allocating distant ports and take legal enforcement action against rules that blatantly disregard EU legal obligations towards migrants and asylum seekers. Above all, it’s time for a state-led European search and rescue mission to prevent further avoidable deaths at sea.

      https://www.hrw.org/news/2023/01/09/italys-anti-rescue-decree-risks-increasing-deaths-sea

    • Migrants : en Italie, la « guerre » du gouvernement contre les ONG

      Les nouvelles règles font exploser les coûts des sauvetages en mer. Reportage à Ancône, où le « Geo-Barents », le bateau de secours en mer de Médecins sans frontières (MSF), a été aiguillé.

      L’homme est masqué, coiffé d’un gros bonnet gris et enveloppé d’une épaisse couverture rouge qui masque sa silhouette. Il vient de sortir du ventre du Geo-Barents, le bateau de secours en mer de Médecins sans frontières (MSF). Descendu de la passerelle, il pose un pied mal assuré sur le quai 22 du port de commerce d’Ancône. Quatre autres hommes le suivent. Masqués aussi, coiffés de gros bonnets gris, enveloppés d’épaisses couvertures rouges ou blanches. Boitant presque sur la terre ferme après des jours de mauvaise mer, les corps aux visages invisibles, affaiblis, de ces rescapés anonymes attirent tous les regards, dans le matin mouillé de ce jeudi 12 janvier.

      Au bout du quai, on les attend. Le préfet de la province et le chef de la police ont fait le déplacement. Ces jours-ci, la frontière de l’Italie, qui est aussi celle de l’Europe, passe aux yeux de tous par leur ville. Les agents de la police aux frontières sont là, comme les hommes de la Guardia di Finanza, les pompiers, les fonctionnaires de la police scientifique et des membres du groupe cynophile des chasseurs alpins. Sur le quai 22 du port de commerce d’Ancône, il y a l’Etat, donc. Mais pas seulement. Des volontaires de la Croix-Rouge et de Caritas, sous-traitants des services publics italiens, sont déployés près d’une tente blanche. Et enfin, tenus à une distance de quelques dizaines de mètres, des journalistes sont parqués dans un enclos formé par des barrières. Une dizaine d’équipes de télévision filment la scène en direct.

      Le navire est arrivé à quai vers 7 h 30, quand, de l’autre côté du port, la sirène des chantiers navals appelait à leurs postes de travail les centaines d’ouvriers immigrés employés par des sous-traitants de la Fincantieri, qui y construisent deux paquebots de croisière de haut luxe dont les masses blanches et brillantes dominent la baie. Près de deux heures plus tard, les cinq anonymes descendus du bateau ont disparu vers le barnum blanc des autorités. A bord du navire, soixante-huit autres attendent de les rejoindre, majoritairement originaires du Soudan et du Nigeria.

      En touchant terre, ce petit groupe d’hommes, bien inférieur en nombre aux effectifs déployés, sur le quai 22 du port de commerce d’Ancône, est en train de traverser une ligne de front invisible. Car ils sont les derniers en date à faire les frais de la guerre judiciaire et politique que l’Etat italien mène depuis 2016 aux ONG de sauvetage opérant en Méditerranée centrale et portant secours aux migrants qui s’élancent des côtes libyennes en direction de l’Europe à bord d’embarcations de fortune. Et s’ils attirent malgré eux tant d’attention, cinq jours après avoir été secourus au large de Tripoli, c’est que, sous l’impulsion du gouvernement dominé par l’extrême droite de Giorgia Meloni, cette vieille histoire vient d’entrer dans une phase nouvelle.

      Une cible claire et identifiée

      Le voyage de 1 200 kilomètres effectué par le Geo-Barents de MSF, depuis le point perdu dans les flots où les migrants en détresse sont montés à bord, et les quatre journées de navigation supplémentaire qu’il a dû affronter, est en effet le résultat d’une politique. Parallèlement à un nouveau décret limitant l’action des ONG, sous peine de sanctions, à des sauvetages uniques, le gouvernement italien assigne désormais aux navires opérant dans la zone des destinations situées loin au nord des ports méridionaux où ils accostent habituellement. Livourne et Ravenne ont organisé des débarquements en décembre 2022, avant qu’Ancône accueille mardi l’ Ocean-Viking de l’ONG SOS Méditerranée avec trente-sept naufragés à son bord, puis le Geo-Barents.

      L’objectif est de répartir l’effort sur tout le territoire, selon le ministre de l’intérieur Matteo Piantedosi, affilié à la Ligue (extrême droite) et proche du vice-président du conseil Matteo Salvini, qui s’était illustré lorsqu’il occupait le même poste entre 2018 et 2019 par la fermeture des ports italiens aux ONG. « Le gouvernement ne veut pas laisser s’installer des mécanismes de routine dans les trajets de migration » , avait précisé pour sa part, à Ancône, la veille de l’arrivée de l’ Ocean-Viking, le président de l’autorité portuaire, Vincenzo Garofalo. Selon les ONG, cependant, l’objectif réel du gouvernement est autre. En complétant les dispositions du décret par ces éloignements vers le nord des côtes italiennes, il entend rogner leur présence en Méditerranée centrale et, surtout, peser sur leurs finances.

      « Nous avons estimé grossièrement que la volonté du gouvernement de nous faire venir jusqu’à Ancône avait provoqué une augmentation de 100 % de nos dépenses en carburant » , indique ainsi Juan Matias Gil, chef des opérations de secours en mer de MSF, présent sur le port d’Ancône au moment de l’arrivée de l’ Ocean-Viking. Pour l’ONG internationale, une marge d’adaptation existe, et de tels coûts peuvent être absorbés. Ce n’est pas le cas pour des organisations comme SOS Méditerranée, consacrée uniquement au sauvetage en mer. « La guerre que nous mène le gouvernement italien entre dans un tout nouveau chapitre dont il espère que le dénouement passera par notre disparition de la Méditerranée centrale » , indique M. Giltandis que les naufragés sortent du bateau par groupes de cinq avant de disparaître sous la tente médicale.

      « On s’attaque à nous, les ONG, car nous sommes la pointe visible d’un phénomène face auquel le gouvernement ne peut en réalité pas faire grand-chose » , ajoute M. Gil. Comme si la présence des ONG offrait aux pouvoirs publics une cible claire et bien identifiée sur la question migratoire et que la contrainte de ces débarquements dans des ports éloignés de la zone de secours devait fournir l’image d’un flux contrôlé. Certes, l’immigration n’est pas la préoccupation première d’une opinion italienne plus inquiète de l’inflation et des conséquences économiques de la guerre contre l’Ukraine. Elle reste un sujet sur lequel un Etat européen peut mettre en scène son action, même si c’est pour quelques heures, au bout du quai d’un port de commerce mineur.

      Galaxie d’associations

      Après avoir débarqué et traversé les premières formalités administratives de leur parcours en Italie, les 73 naufragés descendus du Geo-Barents, escortés par des policiers, sont montés dans des bus de la marine militaire italienne pour être emmenés plus tard quelque part en Lombardie. Ceux qui étaient arrivés trente-six heures plus tôt à bord de l’ Ocean-Viking ont été orientés vers divers centres d’accueil de la région des Marches, gérés par une galaxie de coopératives issues du monde catholique ou de la gauche associative.

      Les rescapés arrivés sur les deux navires des ONG à Ancône entre mardi et jeudi sont au nombre de 110. Selon le ministère de l’intérieur, le nombre total de migrants arrivés par la mer en Italie, incluant les débarquements autonomes et ceux qui ont été organisés par les gardes-côtes italiens dans les eaux territoriales depuis le début de l’année, s’élevait à 3 819 au 13 janvier. D’eux, pourtant, on ne verra pas même les silhouettes, au loin sur une passerelle.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/01/15/migrants-en-italie-la-guerre-du-gouvernement-contre-les-ong_6157915_3210.htm

  • 7 personnes sont mortes, 3 disparues, des dizaines d’autres gravement blessées mais les chasses à l’homme et la criminalisation de la solidarité continuent dans nos montagnes

    #Communiqué commun dont la LDH est signataire

    Le 21 novembre 2016, Tous migrants lançait sa première alerte face à la dérive de l’Etat, en dénonçant les multiples atteintes aux droits des personnes exilées, en Méditerranée, à Calais, à Paris, dans la vallée de la Roya, à Menton, et dans les Hautes-Alpes. Nous alertions sur l’urgence à :

    ⁃ accueillir dignement les personnes contraintes de fuir leur pays où elles ne sont plus en sécurité ;

    ⁃ refuser de traiter ces personnes comme des criminels ou des animaux nuisibles ;

    ⁃ empêcher que nos mers et nos montagnes se transforment en cimetières.

    6 ans plus tard, nous faisons les mêmes constats. Les violences d’Etat contre les personnes exilées ne cessent de se renforcer jusque dans le #Briançonnais, tandis que les fléaux qui contraignent les populations à fuir leur pays se multiplient. L’exception envers les personnes de nationalité ukrainienne a montré qu’il est possible d’accueillir dignement, tout en dévoilant le caractère discriminatoire de la politique actuelle.

    Ces violations de droits sont documentées et dénoncées par les associations, les organismes indépendants de défense des droits humains, les chercheurs, les journalistes, les parlementaires… Des décisions préfectorales ont été annulées et deux membres de la police aux frontières ont déjà été condamnés par les tribunaux.

    Au lieu de respecter les #droits_fondamentaux, les gouvernements successifs n’ont de cesse de militariser la frontière, pour un coût direct de plusieurs dizaines de millions d’euros par an pour le seul #Briançonnais, soit un gâchis considérable par rapport aux sommes nécessaires à l’accueil digne et au respect du droit.

    Cette politique n’engendre que morts et souffrances supplémentaires, les frontières abiment durablement, physiquement et psychiquement, les personnes. Les risques liés à la traversée notamment en saison hivernale sont bien réels (hypothermie, gelure) et sont accentués par la militarisation de la frontière (fuite, cachette, chute). Pour exemple, la nuit du 19 au 20 novembre 2022, 4 personnes ont été blessées à la suite d’un #contrôle_par_surprise en pleine #montagne et de la #course_poursuite qui a suivi, avec une personne hospitalisée à Briançon. Des pratiques humiliantes ont été également rapportées récemment dans le cadre d’#enfermement à la #police_aux_frontières de #Montgenèvre.

    La #criminalisation_de_la_solidarité perdure. Le #harcèlement, les #intimidations, les #amendes abusives voire mensongères, les #poursuites_judiciaires sont toujours de mise envers les solidaires, et ceci malgré nos multiples signalements aux autorités compétentes.

    Nous ne baissons pas les bras. Nous continuons notre veille active à la frontière pour réduire les risques, témoigner, dénoncer et alerter les autorités dédiées, le tout pour obtenir des avancées sur le respect des droits à la frontière. Des décisions récentes nous confortent dans notre action. Par exemple, le 22 novembre, après la relaxe des 3+4, deux solidaires ayant subi de la prison viennent d’obtenir réparation en justice. Le 23 novembre, la Cour européenne des droits de l’Homme a accepté d’instruire la requête que nous avons déposée au côté de la famille de Blessing Matthew pour que vérité et justice soient faites.

    Nombre de personnes agissent au quotidien de manière humaine, professionnelle et sans discrimination, à l’exemple des personnels soignants de l’hôpital de Briançon, avec discernement à l’exemple de certains membres de force de l’ordre, et même avec courage pour celles et ceux qui osent désobéir à des ordres illégaux, illégitimes, dangereux et barbares.

    Avec les associations et collectifs impliqués et la population solidaire, nous montrons chaque jour qu’un autre accueil est possible, que tout le monde en profite, y compris l’économie locale. Aujourd’hui plus que jamais le Briançonnais est reconnu dans le monde entier comme une #terre_d’accueil.

    Cette renommée n’a rien à voir avec le pseudo « #appel_d’air » que les pouvoirs publics et l’extrême droite agitent comme un épouvantail dont les chercheurs ont démontré la vacuité. Par exemple, par comparaison avec Montgenèvre, le nombre de #refoulements effectués par la PAF est presque deux fois plus élevé à Modane et dix fois plus à Menton, alors qu’il n’y a pas de lieux d’accueil sur ces deux territoires.

    Depuis nos montagnes qui ont toujours été des lieux de passage, d’asile mais aussi d’exil, nous nous unissons pour sensibiliser sur les préjugés tenaces autour de la migration mais également pour changer ces politiques mortifères et à fort relent raciste et xénophobe.

    Dimanche 18 décembre, à l’occasion de la Journée internationale des migrants, des manifestations sont organisées en France, en Europe et au-delà. Opposés à cette politique du rejet, nous avons fait le choix de la dignité et de l’humanité.

    À Briançon, avec toutes les associations et collectifs impliqués dans l’accueil des personnes exilées, nous vous donnons rendez-vous :

    ⁃ à 15h30, devant la médiathèque pour une déambulation en fanfare jusque devant la MJC, avec des prises de parole ;

    ⁃ à partir de 17h, devant la MJC, avec les stands des associations et des boissons chaudes ;

    ⁃ à 18h30, à l’Eden-Studio pour la projection-débat des films documentaires 18 mois, puis à 21h Ceux de la nuit, en présence des réalisatrices et de personnes impliquées.

    Paris, le 13 décembre 2022

    https://www.ldh-france.org/alerte-a-la-population-7-personnes-sont-mortes-3-disparues-des-dizaines-
    #humiliation #frontière_sud-alpine #France #Italie #Briançon

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    Ajouté à la métaliste autour de la situation des exilés dans les Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/733721

  • I dati non mentono

    Ong e #migranti: i dati non mentono.
    Un rapporto Frontex sostiene che le Ong siano state «pull factor» dal 1° gennaio al 18 maggio 2021.
    Così sono andato a controllare.

    Partenze di migranti con Ong in area SAR: 125 al giorno.
    Con nessuna Ong: 135 al giorno.

    https://twitter.com/emmevilla/status/1592422778174861312

    Article publié sur Il Manifesto:
    Il mistero del rapporto di #Frontex sul «pull-factor» citato dal governo
    https://ilmanifesto.it/il-mistero-del-rapporto-di-frontex-sul-pull-factor-citato-dal-governo

    #fact-checking #pull-factor #facteur_pull #appel_d'air #sauvetage #mer #Méditerranée #mer_Méditerranée #chiffres #statistiques

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    ajouté à ce fil de discussion sur les pull-factors:
    https://seenthis.net/messages/788928