• En Sardaigne, le voile se lève sur la mystérieuse civilisation des nuraghes


    Vue aérienne d’un village nuragique, sur le site archéologique Su Nuraxi, à Barumini, en Sardaigne, en Italie. BRIDGEMAN IMAGES

    Durant mille ans, de 1800 à 800 av. J.-C., la culture nuragique a dominé l’île italienne. Ce peuple méconnu, car sans écriture, a laissé peu de traces de son existence, sauf 8 000 grandes tours rondes en pierre, disséminées sur le territoire. A la découverte de cette civilisation des #villages, loin des autres cultures méditerranéennes.

    Au début, on n’y prend pas garde. Et puis, petit à petit, à parcourir en voiture les routes de #Sardaigne sous un soleil qui joue les prolongations d’octobre, le regard s’aiguise, l’œil s’exerce, et l’on finit par les voir partout. Postés au loin comme des sentinelles de pierre, certains encore fièrement dressés, d’autres écroulés mais toujours là, défiant les millénaires. Eux, ce sont les nuraghes. Qu’on ne s’y trompe pas : malgré leur air de tours de château fort, ces édifices monumentaux – dont la silhouette orne des étiquettes de pecorino sarde ou de bouteilles de vin – ne renvoient pas au Moyen Age. Non, ces constructions sont les symboles d’une civilisation mystérieuse bien plus ancienne qui, mille ans durant, de 1800 à 800 av. J.-C., à cheval sur l’âge du bronze et celui du fer, domina la Sardaigne.

    Archéologue en France à l’Institut national de recherches archéologiques préventives, Isabelle Catteddu, de père sarde, a fait ses premières armes ici et y revient tous les étés. Elle, dont le grand-père abritait ses moutons dans l’un des huit mille nuraghes qui subsistent, avait alors pour but de « comprendre comment le territoire avait évolué jusqu’à la période romaine où on a réutilisé les sites nuragiques ».

    .... Quand on monte à l’étage, la vue est dégagée à 180 degrés et l’on peut apercevoir, dans le lointain, la #Méditerranée. Et aussi un autre nuraghe, qui lui-même a vue sur un troisième… Un réseau se dessine et, par endroits, les tours se font écho tous les 500 à 1 000 mètres. « Un peu plus loin, précise Isabelle Catteddu, on a une concentration incroyable, avec deux ou trois nuraghes au kilomètre carré. » Dans cet univers à la fois rural et polycentrique, on est loin des cultures orientales de la même époque, avec villes et pouvoir centralisé.

    .... L’habitat se retrouve à l’extérieur, dans des villages encore lisibles dans le paysage, car leurs « cabanes », comme les archéologues les appellent, rondes, avaient une base en pierre. Au-dessus devait être disposé un toit conique fait de roseaux.
    La vie est donc hors les nuraghes – la mort aussi. Petit détour par le site d’Imbertighe, en pleine campagne, où se trouve une « tombe de géant ». Pourquoi ce nom ? Parce qu’il s’agit d’une immense tombe collective. Au premier plan, un espace cultuel délimité par un muret en forme de deux cornes de taureau au milieu desquelles s’élève une grande porte en pierre d’un seul bloc, qui sépare les vivants des morts. Derrière, ceux-ci reposent dans un long couloir autrefois couvert de dalles. « La technique de dépôt consistait à soulever une dalle et à glisser le défunt dans la tombe, précise Isabelle Catteddu. Ces tombes sont là depuis le début de l’âge nuragique. Elles contiennent parfois plus de cent squelettes. Une population sans distinction de sexe, d’âge ou de classe sociale. » Les tombes individuelles n’apparaîtront qu’à la fin de la civilisation.

    https://www.lemonde.fr/sciences/article/2023/11/06/en-sardaigne-le-voile-se-leve-sur-la-mysterieuse-civilisation-des-nuraghes_6

    https://archive.ph/ZPjZX

    #Nuragiques #nuraghes #archéologie

  • La “geografia” della speculazione che fa il prezzo dei beni agricoli

    La guerra tra Ucraina e Russia non incide sul prezzo dei cereali, che dipende piuttosto dalla strategia dei grandi fondi che possiedono le aziende produttrici, controllano le Borse merci di tutto e scommettono sui rialzi

    Il prezzo dei cereali e in generale dei beni agricoli non dipende certo dal blocco del Mar Nero, come molto spesso si racconta, e neppure da altre circostanze troppo specifiche. La produzione mondiale di cereali, secondo le stime dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), si avvicina ai tremila milioni di tonnellate, di cui i cereali ucraini rappresentano poco più del 2%. Un’inezia rispetto al totale. Inoltre il grano ucraino si dirige in gran parte verso i Paesi limitrofi che hanno a più riprese minacciato e adottato misure protezionistiche, per evitare la concorrenza nei confronti dei propri grani. Alla luce di ciò i cereali del Mar Nero non sono certo in grado di determinare la fame in Africa né l’aumento dei prezzi.

    Considerazioni analoghe sono possibili per la produzione di patate e legumi che è, in media, vicina ai 500 milioni di tonnellate annue; considerata una popolazione mondiale di quasi otto miliardi, ciò significherebbe una disponibilità di 150 grammi per persona al giorno. Aggiungendo ai cereali, alle patate e ai legumi la produzione di tutto ciò che serve per realizzare pasti completi, tra cui sale, zucchero e semi oleaginosi, si arriva a una dotazione alimentare pro-capite di 1,5 chilogrammi al giorno. Appare chiaro allora che i prezzi non salgono perché esiste una condizione di carenza di offerta alimentare globale.

    Le difficoltà di approvvigionamento di vaste parti della popolazione del Pianeta dipendono invece da altro: dalla distribuzione profondamente diseguale delle produzioni complessive, dalla natura delle diete adottate, rispetto alle quali la carne sottrae un’enorme quantità di risorse, dalle dinamiche del commercio internazionale e soprattutto dalle modalità di determinazione dei prezzi.

    A tale riguardo occorre porsi una domanda ineludibile: da che cosa dipendono le periodiche impennate di prezzo dei generi agricoli che causano poi drammatiche crisi alimentari? Per rispondere a un simile quesito, bisogna in sintesi descrivere proprio come si formano tali prezzi. La loro determinazione avviene nelle grandi Borse merci del Pianeta, in particolare in quelle di Chicago, Parigi e Mumbai. Un primo elemento da tenere ben presente è a chi appartengono queste Borse; non si tratta infatti -a partire dal Chicago mercantile exchange (Cme)- di istituzioni “pubbliche”, ma di realtà private i cui principali azionisti sono i più grandi fondi finanziari globali. Nel caso di Chicago, i pacchetti più rilevanti sono in mano a Vanguard, BlackRock, JP Morgan, State Street Corporation e Capital International Investors.

    A questo dato se ne aggiunge un altro fondamentale. Soprattutto nelle Borse di Chicago e di Parigi la stragrande maggioranza degli operatori non è costituita da soggetti che producono e comprano realmente il grano, ma da grandi fondi finanziari e da quelli specializzati nel settore agricolo che, senza aver alcun contratto di compravendita dei beni, scommettono sull’andamento dei prezzi. In altre parole: per ogni contratto reale nelle Borse merci, i fondi finanziari operano centinaia di migliaia di scommesse che sono in grado di determinare poi i prezzi reali. Se le aspettative sono orientate all’aumento dei prezzi, scommettono al rialzo e trascinano così i prezzi a livelli insostenibili per intere popolazioni.

    All’origine dell’inflazione alimentare e della fame, si pongono quindi gli strumenti finanziari che sono prodotti dai fondi. Se prendiamo in esame chi sono questi “scommettitori”, troviamo di nuovo gli stessi soggetti (a partire da Vanguard e BlackRock) che sono, come appena ricordato, i “proprietari” delle Borse stesse. In estrema sintesi: pochissimi fondi sono azionisti del luogo dello scambio e sono i principali player di prezzo, pur non avendo nulla a che fare con la produzione e il commercio reali dei beni agricoli scambiati. Tuttavia, la finanziarizzazione di tali, vitali, processi di determinazione dei prezzi di beni essenziali per la sopravvivenza di intere comunità presenta un ulteriore elemento sconcertante.

    Come detto, nelle Borse, a fronte di tanti fondi finanziari, ci sono pochi produttori. Ma chi sono questi ultimi? Nel caso dei cereali si tratta di quattro grandi società: Archer-Daniels Midland, Bunge, Cargill e Dreyfus. Le prime due in particolare sono possedute dai grandi fondi, Vanguard, BlackRock e State Street, che sono, appunto, i medesimi operatori finanziari nelle Borse merci di Parigi e Chicago. L’intera dinamica della formazione dei prezzi agricoli, su cui incidono molto poco le retribuzioni del lavoro contadino, strutturalmente molto basse, risulta pertanto nelle mani di colossi finanziari che controllano Borse, scommesse e produzione: un gigantesco monopolio mondiale rispetto al quale ogni altra variabile, persino quella dell’offerta complessiva di beni agricoli, appare decisamente secondaria.

    È superfluo dire che con l’inflazione “impazzita” le sole società di produzione dei beni agricoli hanno distribuito oltre 30 miliardi di dollari di dividendi in meno di due anni, destinati in larga parte ai fondi finanziari che le possiedono e che hanno sommato quei miliardi ai profitti giganteschi maturati dalla finanza delle scommesse. La narrazione costruita sulle chiusure del Mar Nero c’entra davvero poco mentre sarebbe utile ricordare quanto sostenuto a più riprese dalla Fao, secondo cui per ogni punto percentuale di aumento dei prezzi dei beni agricoli si generano dieci milioni di nuovi affamati.

    https://altreconomia.it/la-geografia-della-speculazione-che-fa-il-prezzo-dei-beni-agricoli
    #spéculation #alimentation #biens_agricoles #prix #céréales #Ukraine #blé #alimentation #pénurie #viande #commerce_international #bourses #Chicago_mercantile_exchange (#Cme) #fonds_financiers #inflation #famine #faim #Vanguard #BlackRock #financiarisation #Archer-Daniels_Midland #Bunge #Cargill #Dreyfus #prix_agricoles #dividendes #Mer_Noire

  • Confirming a Strike on #Jabalia Refugee Camp as Israeli Forces Approach Gaza City

    A strike on Jabalia Refugee Camp north of #Gaza_City killed dozens on Tuesday, as the #Israel_Defense_Forces (#IDF) continued advancing into the Gaza Strip. Video and satellite analysis by Bellingcat has confirmed a strike on the Jabalia Refugee Camp, and identified several points where IDF forces have gathered on the outskirts of Gaza’s largest city.
    Jabalia Strike Highlights Concerns of Civilian Harm

    Reports began to appear online about 2:30 pm local time that an airstrike had hit the Jabalia Refugee Camp in the northern Gaza Strip.

    Videos and images have also appeared in various Telegram channels showing widespread destruction as well as injured and dead civilians at a location that Bellingcat was able to geolocate to the following coordinates in Jabalia, here: 31.53271, 34.49815.

    Three distinct buildings in the background of a photograph taken by Palestinian photojournalist Anas al-Sharif match up with satellite imagery taken on October 30.

    A Reuters live stream filming towards Jabalia and Gaza City appears to have captured a large explosion at approximately 2:24pm local time, consistent with the earliest reports of the strike on Jabalia.

    By using a technique called intersection, where known points in a view are aligned, we can identify that this explosion matches exactly with the location of the impact at Jabalia.

    At least 40 people were reportedly killed in the strike.

    The IDF confirmed an airstrike was carried out on Jabalia, stating, “The strike damaged Hamas’s command and control in the area, as well as its ability to directly military activity against IDF soldiers operating throughout the Gaza Strip.”

    Asked about civilian casualties on CNN, International IDF spokesman Lt Col Richard Hecht reiterated calls for civilians to “move south” and said the IDF is “doing everything we can to minimise” civilian casualties.

    The UN has urged Israel to reconsider its evacuation order with both humanitarian and medical organisations working in Gaza outlining that it is not possible for all civilians in northern Gaza to evacuate south, as Israel has repeatedly ordered them to do.

    The Jabalia Refugee Camp has been hit by multiple airstrikes in the past month, resulting in scores of casualties. An October 9 airstrike killed 60, an October 19 airstrike killed 18, and an October 22 airstrike killed 30.

    ”More than two million people, with nowhere safe to go, are being denied the essentials for life — food, water, shelter and medical care — while being subjected to relentless bombardment,” said UN Secretary-General António Guterres on October 29, two days prior to the latest strike. “I urge all those with responsibility to step back from the brink.”

    In Gaza City, civilians have also been struggling to access food and basic necessities. A video posted on TikTok on Sunday, October 29 showed a long queue at a bakery in Gaza. Bellingcat confirmed the location of the bakery as the New Sharq Bakery in the Jabalia refugee camp (31.5356, 34.5038).
    Attack on a Vehicle on Salah al-Din Road

    Separately, a video posted Monday morning on Instagram by Youssef Al Saifi, a Palestinian journalist, appears to show an IDF tank firing at a station wagon on Salah al-Din road. Salah al-Din had previously been identified by the IDF as a safe evacuation route for civilians within Gaza City.

    The video was geolocated by Benjamin den Braber, a Senior Investigator at the Centre for Information Resilience, to these coordinates: (31.470545, 34.432676) and independently verified by Bellingcat. The vehicle is travelling north on Salah al-Din road before encountering an IDF tank and an IDF armoured bulldozer. As the vehicle attempts a three-point turn, the tank fires at it.

    The armoured bulldozer in the video appears to be building a roadblock across Salah al-Din road. Bellingcat contacted the IDF Press Office, but they did not respond to a request for comment prior to publication. An IDF spokesperson was previously asked specifically about the tanks at a briefing and declined to give more information.

    Satellite Imagery Reveals Beginnings of a Ground Invasion

    The vehicle attack and camp strike follow an increasing presence of IDF ground troops in the Gaza Strip, which first entered the territory on October 27, according to Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu. Since then, satellite imagery shows the IDF have entered from at least three places: two along the territory’s northern border, and one to the southeast of Gaza City.

    Satellite imagery taken on October 30 reveals more than 50 armoured military vehicles and extensive demolition in the Al-Karama area, located approximately three to five kilometres southwest of the Gaza border.

    Israel’s ground movements have come more slowly than expected. Military specialists told Reuters on Monday that the IDF is possibly proceeding this way to draw Hamas fighters out of tunnels and densely populated areas, while also allowing for more time to negotiate for the release of hostages taken by militants during the October 7 attacks. Other reports have noted some of Israel’s allies, including the US, have advised the country to delay a full invasion.
    Approaching Gaza from the North and South

    Starting on Sunday, October 29, images began to appear on social media showing IDF vehicles and troops in northern Gaza.

    A video showed IDF soldiers raising an Israeli flag over a building geolocated inside Gaza approximately three kilometres south of the border. The geolocation was shared on X by the Geoconfirmed account, and independently confirmed by Bellingcat.

    As Israeli soldiers and vehicles have entered Gaza, some of their activities are visible on satellite imagery.

    One neighbourhood that appears to have been heavily bombed, prior to the ground invasion, was full of IDF vehicles as of October 30.

    Low-resolution satellite imagery reveals at least three major entry points for Israeli ground troops: one along Gaza’s northern border near the Mediterranean Sea, one near the Erez border crossing north of Beit Hanoun, and one southeast of Gaza City.

    Along Gaza’s northern border, imagery from October 26 showed vehicle tracks approximately 1km from the Mediterranean Sea. These tracks were joined on October 28 by a second set of tracks, closer to the sea, stretching 3km south. Satellite imagery on October 30 showed a third set of tracks, 7km to the east near the Erez border crossing towards Beit Hanoun.

    Additional tracks can be seen south-southeast of Gaza City and north of Wadi Gaza in October 28 imagery.

    The latest footage and satellite imagery shows the situation in Gaza continues to deteriorate for civilians, particularly for those located in the northern part of the territory, which remains the focus of Israeli strikes and now the ground invasion.

    Bellingcat will continue to monitor the latest war in Israel-Palestine with the aim of documenting civilian harm.

    https://www.bellingcat.com/news/2023/10/31/confirming-a-strike-on-jabalia-refugee-camp-as-israeli-forces-approach-g
    #Gaza #camp_de_réfugiés #Palestine #Israël #images_satellites #images_satellitaires #destruction #architecture_forensique #armée_israélienne #bombardements #visualisation #cartographie #Al-Karama

  • #Journal du #Regard : Octobre 2023
    https://liminaire.fr/journal/article/journal-du-regard-octobre-2023

    https://youtu.be/DDHqg053ubo

    Chaque mois, un film regroupant l’ensemble des images prises au fil des jours, le mois précédent, et le texte qui s’écrit en creux. « Une sorte de palimpseste, dans lequel doivent transparaître les traces - ténues mais non déchiffrables - de l’écriture “préalable” ». Jorge Luis Borges, Fictions Nous ne faisons qu’apparaître dans un monde soumis comme nous au pouvoir du temps. Dans le silence qui suit la fin du signal de départ. Dans un seul et unique instant. Non pas suites sans principe de (...) #Journal, #Vidéo, #Architecture, #Art, #Écriture, #Voix, #Sons, #Paris, #Mémoire, #Paysage, #Ville, #Journal_du_regard, #Regard, #Dérive, #Paris, #Voyage, #Bruxelles (...)

  • Dans les #lagons polynésiens, les #déchets invisibles du temps du nucléaire

    En trente ans de présence sur le territoire polynésien puis à la suite de son démantèlement, le #Centre_d’expérimentation_du_Pacifique a produit de très nombreux déchets. Si certains ont été enterrés, d’autres ont été jetés dans le lagon. Les #risques que représentent ces déchets contaminés restent difficile à établir.

    Combien de tonnes de déchets gisent au fond des lagons polynésiens ? Difficile à dire. Il existe bien des #chiffres de l’Agence nationale pour la gestion des déchets radioactifs (Andra) : « 3 200 tonnes de déchets radioactifs ont ainsi été immergées dans les eaux territoriales françaises en Polynésie. » Mais prennent-ils réellement en compte l’ensemble des déchets jetés dans l’océan à l’époque des #essais_nucléaires ? Rien n’est moins sûr. Une partie de ces déchets n’ont sans doute pas été comptabilisés car ils n’ont simplement pas été inventoriés.

    Entre 1966 et 1996, 193 essais nucléaires ont été menés en #Polynésie, sur les #atolls de #Moruroa et #Fangataufa, dans l’#archipel_des_Tuamotu. Ces tirs aériens dans un premier temps, puis souterrains à partir de 1975, ont généré une très grande quantité de déchets plus ou moins radioactifs, c’est-à-dire qui ont la particularité d’émettre des rayonnements pouvant présenter un risque pour l’homme et l’environnement. Ces déchets sont très hétérogènes, ce sont à la fois les avions qui récupéraient les #poussières_radioactives dans les nuages, des moteurs d’engins, des matières plastiques, des tenues et des chaussures, des déchets inertes (gravats, terre…).

    Jeter dans le #lagon : une solution rapide et peu coûteuse

    L’immersion des déchets, soit le dépôt sur les #fonds_marins, est, à l’époque, une pratique commune. On parle « d’#océanisation » des déchets. En Polynésie, ces derniers sont ainsi stockés sur plusieurs sites entre les atolls d’#Hao et Moruroa, à partir de 1967. Une fosse de 2 500 mètres de profondeur est d’abord creusée à 8 km de Hao. Selon les chiffres de l’Andra, 310 tonnes de déchets radioactifs conditionnés en fûts de béton et 222 tonnes de #déchets_radioactifs en vrac ont été immergées sur le site nommé #Hôtel. Deux sites (#November et #Oscar) sont utilisés à Moruroa, pour procéder à des immersions de plusieurs tonnes déchets à partir d’hélicoptères et de bateaux.

    Mais pourquoi avoir pollué les eaux polynésiennes ? Selon l’Andra, « l’#évacuation en mer a été un moyen de gestion de tout type de déchets. Les déchets radioactifs n’ont pas fait exception à cette règle. Cette solution était considérée à l’époque comme sûre par la communauté scientifique car la dilution et la durée présumée d’isolement apportées par le milieu marin étaient suffisantes ».

    En l’absence de filière de gestion, l’océanisation apparaît comme la seule solution. L’éloignement des sites explique aussi ce choix, selon Jean-Marie Collin, directeur de la Campagne ICAN en France (Campagne Internationale pour Abolir les Armes Nucléaires) : « Ramener les déchets jusque dans l’Hexagone était une solution plus coûteuse et plus complexe. Creuser un trou dans le désert en Algérie ou jeter par-dessus bord en Polynésie étaient une alternative bien plus simple », regrette-t-il.

    Dans le livre Des bombes en Polynésie, l’historien Renaud Meltz détaille la pratique : « Les militaires tiennent l’inventaire à la Prévert, mois après mois, des quelques tonnes de petits matériels (900 paires de gants, 272 kg ; 883 combinaisons, 618 kg, 200 paires de pataugas 200 kg, etc.) et des milliers de tonnes de gros matériel sont livrés à l’océan. »

    En 1972, la Convention de Londres sur la prévention de la pollution des mers interdit l’immersion de déchets fortement radioactifs. Elle entre en vigueur en août 1975. Mais les Français font fie des réglementations internationales. Alors que l’immersion au large des côtes métropolitaines s’arrête en 1969, elle continue en Polynésie jusqu’en 1986.

    Des conditionnements sommaires

    Mais si ces déchets posent problème c’est aussi parce que leur #conditionnement a souvent été négligé. Pourtant, une procédure impose que « tous les déchets radioactifs doivent être déposés dans des sacs en vinyles soudés ou fermés hermétiquement par bandes adhésives. Ces sacs sont ensuite placés dans des fûts ou autres récipients lestés (ciment ferrailles). »

    En théorie, les déchets doivent donc être conditionnés selon leur #radioactivité. Dans les faits, tous ne le sont pas. « Seuls ceux dont la taille permet d’être entreposé dans des fûts profitent d’un conditionnement, les autres restent en vrac. Aussi, une partie des résidus, produits au fond des puits ou les bombes détonnaient n’ont jamais été remontés », écrit le chercheur spécialiste du nucléaire Teva Meyer dans l’ouvrage Des bombes en Polynésie.

    En 1970, huit fûts provenant des laboratoires de Mahina sont immergés sans conditionnement, après avoir été percés pour éviter l’éclatement. À partir de mars 1975, cinq avions Vautour utilisées pour traverser les nuages des explosions pour récupérer les poussières radioactives, sont coulés.

    En 1982, le rapport de la #mission_Haroun_Tazieff pointe les problèmes liés aux déchets dans le lagon, entraînés par la tempête en mars 1981. En 1988, la #mission_Calypso, dirigé par le commandant Cousteau, indique que Moruroa n’est pas un bon site de #stockage de déchets radioactifs. Ils considèrent qu’« il n’y a aucune raison de croire que si certains critères de confinement semblent nécessaires au stockage des déchets des centrales nucléaires civiles, ils ne soient plus nécessaires pour stocker les déchets des essais nucléaires militaires. » Trop tard, les immersions ont été faites, trop souvent sans protection.

    Quels #risques pour la population ?

    Aujourd’hui, les déchets datant de l’époque du nucléaire n’ont pas disparu des eaux polynésiennes. Représentent-ils un risque pour les populations ? Selon l’Andra, ces 3 200 tonnes de déchets radioactifs immergés représentent une activité totale inférieure à 0,1 TBq (térabecquerel).

    Le département de suivi des centres d’expérimentations nucléaires (DSCEN) en lien avec le Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA) effectue une surveillance radiologique de Moruroa et Fangataufa depuis 1998. « Les #radionucléides d’origine artificielle mesurés dans les échantillons sont présents à des niveaux très faibles et souvent inférieurs ou voisins de la limite de détection des appareils de mesure de la radioactivité. Les concentrations mesurées dans le milieu terrestre et les sédiments marins gardent la trace des essais atmosphériques effectués sur les atolls de Moruroa et Fangataufa. Les niveaux d’activité dans ces compartiments restent stables, voire en légère diminution », note le rapport de 2021 du Ministère des Armées.

    « Mais qu’est-ce qu’un faible taux ? », s’interroge Patrice Bouveret, directeur de l’Observatoire des armements. « Un taux est acceptable lorsqu’il est socialement accepté par la population ? Toute radioactivité a un impact sanitaire sur l’humain, le végétal, l’animal, sur la vie en général ».

    Selon Patrick Bouisset, directeur du laboratoire d’étude et de suivi de l’environnement à l’IRSN (Institut de radioprotection de sûreté nucléaire), les déchets immergés ne représentent pas de risque particulier puisque la radioactivité s’est « diluée dans l’océan ». Quant aux déchets contenus dans des fûts, même « s’ils vont fuir avec le temps car rien n’est hermétique à l’échelle de quelques siècles », ces pollutions ne seront « pas visibles » considère ce physicien, chargé d’évaluer l’exposition radiologique en Polynésie hors des sites de Moruroa et Fangataufa.

    L’#imperméabilité des conditionnements inquiète aussi Bruno Chareyron, ingénieur et directeur du laboratoire de la CRIIRAD (Commission de recherche et d’information indépendantes sur la radioactivité) : « Il est difficile d’anticiper les conséquences de l’immersion des déchets. Ce qui est certain, c’est qu’on aurait dû les conditionner sur des sites capables de garantir le confinement pendant des dizaines et des milliers d’années. Balancer des déchets en mer, sans emballage particulier, comme pour les avions Vautour, ou même en considérant une enveloppe en vinyle, c’est dérisoire pour des éléments à très longue période physique. »

    Une étude indépendante pour confirmer l’absence de danger

    « Le problème c’est qu’on ne connaît pas la quantité exacte de déchets immergés », pointe Jean-Marie Collin qui regrette que les études concernant la radioactivité soient menées par « des instituts qui appartiennent à l’État ». « D’après les études réalisées, il semblerait qu’il n’y a pas de danger concernant ces déchets immergés. Je suppose donc qu’il n’y a pas de danger. Mais il serait intéressant que des études indépendantes soient menées pour corroborer les études existantes et ainsi assurer la sécurité et rétablir la confiance des Polynésiens ».

    Les impacts sanitaires et environnementaux découlant des déchets immergés sont ainsi difficiles à établir. Reste que, Moruroa et Fangataufa demeurent des atolls contaminés, où le plutonium subsiste dans les sols comme en surface. Hao, longtemps considéré comme« la poubelle du CEP » subit aussi d’importantes pollutions aux hydrocarbures.

    Durant plus de trente ans, si une partie des déchets ont été océaniser, les autres ont été enterrés ou abandonnés. Radioactifs ou pas, ces déchets portent « la charge symbolique des essais », estime Teva Meyer. « Ils demeurent souillés, voire ‘nucléaires’ pour certains, qui demandent qu’ils soient traités comme tels ».

    https://outremers360.com/bassin-pacifique-appli/dossier-dans-les-lagons-polynesiens-les-dechets-invisibles-du-temps-du
    #pollution #santé #contamination #France

  • L’horreur boréale photographiée par Mustafah Abdulaziz

    EN IMAGES Depuis dix ans, le photographe américain documente les bouleversements provoqués par le réchauffement climatique. Entre glaciers déclinants et décors industriels, sa série « Artic », consacrée au pôle Nord, rend tangible le spectacle d’un monde engagé sur la voie de l’autodestruction.
    Autrefois, les mineurs emportaient un canari en cage quand ils descendaient sous terre. Si l’oiseau cessait de chanter, les hommes savaient qu’ils devaient remonter à la surface le plus vite possible. Du gaz toxique circulait dans la mine. L’Arctique est aujourd’hui ce canari, qui alerte l’humanité sur l’état de la planète. Nulle part ­ailleurs, les températures ne grimpent aussi vite.

    Ces quarante dernières années, le réchauffement y a été quatre fois plus rapide que dans le reste du monde. Ce n’est qu’un début. Dans les prochaines décennies, le phénomène devrait s’accélérer. En cause, le mécanisme de l’amplification arctique : dans un climat global qui se réchauffe, la banquise et la neige perdent du terrain et ainsi réfléchissent moins les rayons du soleil, dont la chaleur est alors absorbée par la mer. Toutes les études scientifiques sont formelles : d’ici aux années 2030, l’Arctique pourrait être privé de banquise en été.

    Le 13 juillet, une température record de 28,8 °C a été mesurée à Slettnes Fyr, à la pointe nord de la Norvège. Les images attestant les bouleversements dans la région ne manquent pas. Elles montrent des ours polaires maigrichons pataugeant dans l’eau, des glaciers brisés, des autochtones aux modes de vie perturbés et des touristes venus du monde entier en bateaux de croisière voir la banquise avant sa disparition.


    https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2023/10/29/l-horreur-boreale-photographiee-par-mustafah-abdulaziz_6197160_4500055.html
    https://archive.ph/QHhLG

    #banquise #Arctique #réchauffement_climatique #amplification_arctique #photo

    • Et on ne parle encore que de la glace, mais bientôt il faudra s’inquiéter du socle rocheux du Groenland dont on estime qu’il c’est enfoncé au fil du temps de 800 mètres sous le poids des 3000 mètres de glace qui constituent l’inlandsis.
      Quelles conséquences d’une remonté soudaine de la plus grande ile du monde, dans un temps si bref ?
      #inlandsis

  • #Of_Land_and_Bread

    « #B'Tselem – le centre israélien d’information pour les droits de l’homme dans les #territoires_occupés – a promu en 2007 un projet qui consistait à donner des caméras vidéo aux Palestinien.ne.s en Cisjordanie afin qu’ils/elles puissent documenter les violations des droits de l’homme qu’ils étaient contraint.e.s de subir sous l’occupation israélienne. Ces #enregistrements_vidéo bruts capturent de la manière la plus simple et la plus efficace les abus quotidiens et implacables commis à répétition par les colons illégaux et l’armée contre les Palestinien.ne.s. Au fil des ans, tous ces films sont devenus des #archives vivantes et malheureusement en constante expansion des #abus incessants et de la violence dont souffre la population palestinienne et avec lesquels elle doit vivre. Of Land and Bread rassemble certains de ces courts métrages dans un long métrage documentaire qui n’est indéniablement pas facile à regarder. La brutalité des colons et de l’armée n’épargne personne. Et pourtant, il est nécessaire de voir pour bien saisir et comprendre l’ampleur du cycle sans fin des violations des droits de l’homme auxquelles les Palestinien.ne.s sont confronté.e.s, alors que le monde regarde obstinément de l’autre côté. »


    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/59534_0
    #film #documentaire #film_documentaire #Cisjordanie #Palestine #colonisation #Israël #terre #armée_israélienne #violence #humiliations #destruction #brutalité #arrestations_arbitraires #menaces #insultes #provocation #documentation #droits_humains #archive #à_voir

  • #Willy_Muth, militant anarchiste allemand assassiné par les nazis
    https://www.partage-noir.fr/willy-muth-militant-anarchiste-allemand-assassine-par-les-nazis

    Willy Muth est mort. Willy, un des meilleurs camarades allemands, vient d’être sauvagement assassiné par les nazis. Qui ne se rappelle pas de ce camarade dévoué, sincère, avec des idées profondes et humaines ? N’était-il pas un pilier du mouvement anarchiste en Rhénanie. Il a vu les jours héroïques du prolétariat uni, armé, qui voulait, détruire le Capitalisme. Il a aussi connu des temps sombres, lutté comme peu l’ont fait. Peu connu dans l’ensemble du mouvement anarchiste, mais un (...) Partages

    / #Allemagne, #Willy_Muth

    #Archives_Autonomies_
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/lavoixlibertaire-n306.pdf

  • Vichy, Pétain et les juifs : l’historien Robert O. Paxton répond aux polémiques, dans un rare entretien au « Monde »
    https://www.lemonde.fr/societe/video/2021/12/02/vichy-et-les-juifs-l-historien-robert-o-paxton-repond-a-eric-zemmour-dans-un

    VIDÉO Eric #Zemmour [qui se dit gaulliste, ndc] répète depuis 2014 que le régime de Vichy aurait « protégé les #juifs_français et donné les #juifs_étrangers » [#préférence_nationale que c’est l’adn de la France, ndc]. Cible du polémiste, l’historien américain Robert O. Paxton répond, dans une interview vidéo accordée au « Monde » depuis New York. Par Karim El Hadj, Charles-Henry Groult, Elisa Bellanger et Isabel Bonnet, 02 décembre 2021

    Depuis plusieurs années, Eric Zemmour répète dans ses livres et sur les plateaux de télévision son point de vue sur le rôle du #régime_de_Vichy dans le génocide des juifs. Dans son essai Le Suicide français, il dénonçait la « thèse » d’une « malfaisance absolue du régime de Vichy » (page 88) [qui a aussi organisé des camps de vacances, et crée la police nationale]. « Vichy a protégé les juifs français et donné les juifs étrangers », insistait-il sur #Europe_1 le 26 septembre 2021, niant toutefois vouloir « réhabiliter #Pétain »-.

    Qu’en disent les historiens de la seconde guerre mondiale ? Le plus célèbre d’entre eux, l’Américain Robert O. Paxton, a publié en 1973 _La France de Vichy, dont les conclusions ont profondément renouvelé le regard sur la responsabilité de ce régime dans les #persécutions et les #déportations de juifs, français et étrangers. Un travail construit grâce à des #archives françaises et allemandes alors inédites, affiné depuis et complété par d’autres historiens.
    Régulièrement ciblé par Eric Zemmour comme chantre d’une « doxa » anti-Vichy, Robert O. Paxton ne donne plus que de rares interviews. Il a accepté de répondre aux questions du Monde, depuis New York.
    Quelques livres pour en savoir plus :
    La France à l’heure allemande (1940-1944), de Philippe Burrin (Seuil)
    La survie des Juifs en France 1940-1944, de Jacques Semelin et Serge Klarsfeld (CNRS Editions)
    L’Etat contre les juifs, de Laurent Joly (Grasset)

    #Robert_Paxton #lois_d'aryanisation #statut_des_juifs #déchéance_de_nationalité #rafles #étoile_jaune #antisémitisme #histoire

  • Ivan Illich (1926-2002) : la ville conviviale (2013)
    https://theses.hal.science/tel-00849958/document

    Une thèse de doctorat consacrée à l’application des concepts d’Illich aux prolématiques de la ville et de l’urbanisme. De plus d’après l’intro de l’autrice sous l’égide de La ligne d’horizon, les amis de François Partant, donc ça m’inspirait confiance. Pas encore lu, je référence pour feuilleter…

    Je vois dans le sommaire déjà une critique de la résilience et de la transition, en 2013

    Ivan Illich (1926-2002) propose dans ses ouvrages une critique radicale des
    « institutions » (Église, école, hôpital, transports, machines, etc.) qui toutes, à un moment de leur déploiement, se révèlent contre-productives. Peut-on transposer au domaine de l’urbain ses analyses ? Si oui, en quoi contribuent-elles à rendre intelligible ce qui « travaille » les villes à l’ère de l’urbanisation planétaire ? Cette recherche propose une lecture illichienne de « l’entreprise-ville » et suggère des pistes pour sortir de l’impasse productiviste dans laquelle elle est engagée. Elle s’articule autour de deux axes :

    Premièrement, dans le contexte du paradigme économiciste de la rareté et du paradigme cybernétique des systèmes, la Ville a été substituée par une entreprise urbaine contreproductive : une anti-ville. L’urbanisme devient iatrogène. C’est « le grand enfermement ».

    Deuxièmement, les idées d’Ivan Illich projetées sur l’espace habité nourrissent –et très généreusement– un nouveau paradigme pour sortir de l’industrialisme et reconstruire le territoire à travers des processus de réduction / reconduction. C’est la ville conviviale.

    #Ivan_Illich #urbanisme #urban_matters #ville #architecture #convivialité #critique_techno

    @cdb_77 @odilon @tranbert que ça peut intéresser :)

  • #Charles_Benoit
    https://www.partage-noir.fr/charles-benoit

    Suivant à quelques semaines son ami le docteur Pierrot, Charles Benoit est mort à Paris le dimanche 19 mars 1950. Il s’est éteint paisiblement après huit jours d’une résistance étonnante. Il avait soixante-douze ans. On disait : Charles Benoit, des « Temps Nouveaux ». Il avait appartenu à l’équipe de l’« organe communiste anarchiste » qui, sous la direction de Jean Grave et sous l’égide de Kropotkine, fut publié avant 1914 pendant quelque vingt années. Il s’y occupait surtout des tâches administratives, bénévolement, à la manière d’autrefois. Il y consacrait ses dimanches, accomplissant les besognes les plus ingrates avec le sérieux qu’il apportait à toutes choses. Partages

    / Charles Benoit, #Les_Temps_nouveaux, La Révolution prolétarienne , Archives (...)

    #La_Révolution_prolétarienne_ #Archives_Autonomies_
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/larevolutionproletarienne-n037.pdf

  • Alexandre Mairet (1880-1947)
    https://www.partage-noir.fr/alexandre-mairet-1880-1947


    ❝Né le 23 avril 1880 à La Tour-de-Peilz (canton de Vaud, Suisse), mort le 9 février 1947 à Genève. Peintre, graveur, illustrateur de périodiques anarchistes et communistes. #Alexandre_Mairet , #Louis_Bertoni
    #Archives_Autonomies #Le_Maitron_des_anarchistes #Alexandre_Mairet_
    https://maitron.fr/spip.php?article154186

  • En souvenir de l’anarchiste polonaise #Aniela_Wolberg
    https://www.partage-noir.fr/en-souvenir-de-l-anarchiste-polonaise-aniela-wolberg

    Article paru dans #Le_Combat_Syndicaliste n°236 daté du 26 novembre 1937. Le mouvement anarchiste en #Pologne a subi en ces jours une grande perte. Il a perdu une des camarades d’avant-garde. La camarade Aniela Wolberg n’est plus. Le nom d’Aniela fut, pour tous, synonyme de riche et charmante individualité, de camarade sincère et dévouée. Elle nacquit le 14 octobre 1907 de parents aisés ; dès sa première jeunesse, elle démontra une grande passion pour la vérité, la justice et une (...) Partages

    / Aniela Wolberg, Pologne, Le Combat Syndicaliste, Archives Autonomies

    #Partages_ #Archives_Autonomies_
    https://www.partage-noir.fr/IMG/pdf/le-combat-syndicaliste-ns-236.pdf

  • La tour Triangle au regard d’un demi-siècle de débats sur la grande hauteur à #Paris
    https://metropolitiques.eu/La-tour-Triangle-au-regard-d-un-demi-siecle-de-debats-sur-la-grande-

    La mise en chantier du PLU bioclimatique a mis un coup d’arrêt aux projets de #tours à Paris, comme l’illustre le cas de la tour Triangle. Julie Gimbal retrace ici un demi-siècle de rejet de la grande hauteur, une approche typique de la capitale française qui continue à peser sur les décisions. Le projet de construction de la tour Triangle à la porte de Versailles, à Paris, a connu une #histoire chahutée, encore relancée dans le courant de l’été 2022 par un nouvel épisode polémique. Fortement médiatisé, #Essais

    / tours, histoire, Paris, #urbanisme, #architecture

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_gimbal.pdf

  • Millions of archived VOC documents now searchable online, including slavery records | NL Times
    https://nltimes.nl/2023/10/08/millions-archived-voc-documents-now-searchable-online-including-slavery-reco

    From Wednesday, five million scanned documents from the archives of the Dutch East India Company (VOC) will be digitally searchable at the click of a button thanks to a text recognition project by the Huygens Institute and various partners. The GLOBALISE project makes the information in these documents on topics like enslavement and colonial violence much easier to search and read, the Huygens Institute said on Tuesday.

    The documents involved are known as the Transmitted Letters and Papers. They’re from the VOC archives, which have been recognized as UNESCO World Memory since 2003 and contain detailed information about the actions of the VOC in the 17th and 18th centuries. According to the Huygens Institute, these documents bear witness to Dutch colonial history.

    (si tu cherches une bonne raison de te mettre au néerlandais)

    #colonisation #histoire #archives #numérisation

  • Leibniz-Institut für Raumbezogene Sozialforschung - Stadt Raum Geschichte
    https://stadt-raum-geschichte.de

    Das Portal Stadt - Raum - Geschichte des Leibniz-Instituts für Raumbezogene Sozialgeschichte (IRS) in Erkner bei Berlin bietet den Zugriff auf das digitale Archiv der Wissenschaftlichen Sammlungen und ist zugleich ein Fachportal des Forschungsschwerpunkts Zeitgeschichte und Archiv des IRS.

    Der Forschungsschwerpunkt „Zeitgeschichte und Archiv“ des IRS untersucht Themen der Stadt- und Urbanisierungsgeschichte, der transnationale Planungsgeschichte, der DDR-Planungs- und Architekturgeschichte sowie der Transformationsgeschichte des 20. und 21. Jahrhunderts. Die Forschungsansätze sind durch eine interdisziplinäre Vielfalt gekennzeichnet und reichen von der sozial- und politikgeschichtlichen Zeitgeschichte über die Architektur- und Kunstgeschichte bis hin zur Digital History.
    Zum Forschungsschwerpunkt gehört mit den „Wissenschaftlichen Sammlungen zur Bau- und Planungsgeschichte der DDR“ das wichtigste Spezialarchiv zu diesem Thema. Dieses Portal integriert die Findhilfsmittel und digitalisierten Bestände des Archivs mit den Ansätzen, Ergebnissen und Projekten der Forschung im Schwerpunkt.

    Forschungsschwerpunkt ’Zeitgeschichte und Archiv’

    Leibniz-Institut für Raumbezogene Sozialforschung (IRS) e.V.

    Flakenstraße 29-31
    15537 Erkner

    Tel: +49 3362 793 0
    Fax: +49 3362 793 111

    E-Mail (allgemein): kontakt(at)leibniz-irs.de
    E-Mail (Wissenschaftliche Sammlungen): archiv(at)leibniz-irs.de

    #DDR #histoire #urbanisme #architecture #archive #photographie

  • Architecture à Bordeaux : Michel Pétuaud-Létang relance les maisons Boulon en bois pour petits budgets
    https://www.sudouest.fr/societe/logement/architecture-a-bordeaux-michel-petuaud-letang-relance-les-maisons-boulon-en

    Mais sa cible prioritaire reste donc les bailleurs sociaux qu’il est allé démarcher en leur présentant les avantages de ce logement accessible et autonome. « La maison de base coûte aux alentours de 90 000 euros, le modèle à étage, d’une superficie de 89 mètres carrés, environ 130 000 euros. Elle est rapide à construire et elle ne dépense rien en énergie puisqu’elle est autonome. »

    Seule mauvaise surprise pour Pétuaud, le permis de construire n’est délivré que si la maison est raccordée au tout-à-l’égout, ce qui rétrécit son autonomie. Il n’en faudrait pas beaucoup plus pour que l’architecte se mobilise pour une énième campagne, visant à lever cette contrainte.

    Anciennement (années 60) :
    https://www.4a-architectes.fr/projet/maison-boulon

    #architecture #bois #logement #local #maison_boulons

  • Mémoire du communisme libertaire.
    http://anarlivres.free.fr/pages/nouveau.html#memoire

    Depuis son inauguration en janvier 2017, le Fonds d’archives communistes libertaires (FACL), hébergé par le Musée de l’histoire vivante de Montreuil, a bénéficié de nombreux dons et considérablement augmenté ses collections. Il compte maintenant « près de 190 cartons soigneusement classés, inventoriés et numérotés, des collections de journaux, d’affiches, de tracts, des photos, du matériel audiovisuel, le tout couvrant l’activité du courant communiste libertaire (et connexe) dans l’espace francophone de 1944 à nos jours » On se rendra facilement compte de l’importance de ce fonds en parcourant les 176 pages de son (...)

    #FACL #anarchisme #CommunismeLibertaire #Montreuil #HistoireVivante #archives

  • #Journal du #Regard : Septembre 2023
    https://liminaire.fr/journal/article/journal-du-regard-septembre-2023

    https://youtu.be/yHPeghxpUxA

    Chaque mois, un film regroupant l’ensemble des images prises au fil des jours, le mois précédent, et le texte qui s’écrit en creux. « Une sorte de palimpseste, dans lequel doivent transparaître les traces - ténues mais non déchiffrables - de l’écriture “préalable” ». Jorge Luis Borges, Fictions Nous ne faisons qu’apparaître dans un monde soumis comme nous au pouvoir du temps. Dans le silence qui suit la fin du signal de départ. Dans un seul et unique instant. Non pas suites sans principe de (...) #Journal, #Vidéo, #Architecture, #Art, #Écriture, #Voix, #Sons, #Paris, #Mémoire, #Paysage, #Ville, #Journal_du_regard, #Regard, #Dérive, #Paris, #Exposition, #Musée, #Littératube (...)

  • On a marché - Un film sur la Marche Nationale des Sans Papier 19 septembre – 17 octobre 2020
    https://mnsp2020.clouds.gresille.org/index.php/s/3LD4eHR8b4dHA6k

    On a marché est un film documentaire qui propose de retracer une partie de la Marche Nationale des Sans Papier, une grande marche qui a eu lieu du 19 septembre au 17 octobre 2020 à travers toute la France. Durant cette marche des centaines de personnes ont parcouru villes et villages en direction de l’Élysée, certaines d’entre elles marchant pendant 1 mois pour faire entendre leurs revendications : logement digne pour toutes et tous, fermeture des Centres de Rétention Administrative, régularisation de tou.te.s les sans papier !

    La Marche Nationale intervient après plusieurs mobilisations, c’est l’ « Acte 3 » de la lutte des sans papier en France en 2020 en plein contexte de crise sanitaire et confinement :

    Extrait du blog Mediapart de La Marche des Solidarités – 12 août 2020
    https://blogs.mediapart.fr/marche-des-solidarites/blog/120820/19-septembre-17-octobre-marche-nationale-des-sans-papiers

    On marche vers l’Elysée !
    Acte 1 : Le 30 mai des milliers de Sans-Papiers et de soutiens ont bravé l’interdiction de manifester à Paris
    et dans plusieurs autres villes.
    Dans les jours et les semaines qui ont suivi des dizaines de milliers de personnes ont manifesté contre le racisme et les violences policières.
    Acte 2 : Le 20 juin des dizaines de milliers de Sans-Papiers et soutiens ont manifesté à Paris, Marseille, Lyon, Lille, Rennes, Montpellier, Strasbourg et dans de nombreuses autres villes.
    Mais Macron n’a eu aucun mot pour les « premierEs de corvée », aucun mot pour les Sans-Papiers, exploitéEs dans les pires des conditions ou perdant leur emploi sans chômage partiel, retenuEs dans les CRA, vivant à la rue ou dans des hébergements souvent précaires et insalubres. Aucun mot pour les jeunes migrantEs isoléEs. Il n’a eu aucun mot contre le racisme, aucun mot pour les victimes des violences policières.
    Nous disons qu’une société qui refuse l’égalité des droits aux prétextes de la nationalité, l’origine, la couleur de peau sera de plus en plus gangrénée par le racisme et les violences d’Etat.
    Nous disons qu’une société qui accepte l’inégalité des droits, la surexploitation, la répression, l’enfermement, l’expulsion des Sans-Papiers au nom de la crise, sera désarmée face à toutes les attaques sociales.
    Alors nous organisons l’Acte 3 des Sans-Papiers.

    L’équipe du film

    Nous sommes un groupe de quatre réalisateurs et réalisatrices amateures.
    Dans notre groupe, il y a une personne du CSP 75, une personne du CSP Montreuil et deux soutiens de Grenoble. On a toutes et tous participé à la marche, c’est là qu’on s’est rencontrés. On s’est rencontré autour de l’envie de filmer la marche, pour en garder des souvenirs, des traces, créer des archives de la lutte en cours, sans trop savoir, au début, ce qu’on allait en faire. C’est après qu’on a trouvé que ces images étaient si intéressantes, qu’on devait en réaliser un film pour montrer aux gens, comment les sans papiers vivent et comment ils et elles se sont organisés pour faire cette marche._

    Pourquoi avoir fait un documentaire ?

    Nous avons fait cette marche, pour la lutte des sans papier, pour nos droits. Mais les journalistes n’ont pas partager cette lutte, n’ont pas fait entendre et voir ce qu’on a fait. Ce que les journalistes ne voulaient pas faire, on le fera nous-même ! Il ne faut pas que cette marche soit oubliée, alors nous nous sommes organisés ensemble pour trouver des solutions et des moyens pour la rendre publique, visible. On ne nous a pas vu à la télé, et à partir de ce constat, on s’est dit qu’on ne pouvait pas rester comme ça, les bras croisés, sans rien faire. Alors on a eu cette idée de réaliser un film nous-mêmes sur cette marche. On a voulu faire ce film pour que la marche reste dans l’histoire, pour en garder la mémoire, pour qu’elle s’inscrive dans la continuité des luttes des sans papiers pour leurs droits.
    Pour que l’histoire des immigrés reste toujours vivante.
    On a marché, on a filmé, et ça c’est une histoire de #sans_papiers.

    • Comment le film est-il construit ?

    Les images ont été tournées dans le but de faire des archives de la lutte. Il n’y avait pas l’idée de faire un film à la base. Alors c’est après qu’on a essayé de mettre les images les unes avec les autres pour leur faire raconter cette marche.
    Le film est organisé par thématiques et n’est donc pas une chronologie exacte de la marche de son organisation à la grande manifestation du 17 octobre.

    Nous l’avons découpé en 5 chapitres :
    Chapitre 1 : sur l’organisation de la marche
    Chapitre 2 : sur la marche en elle-même, différents moments de celles-ci, les rencontres, la solidarité entre camarades.
    Chapitre 3 : sur les moments plus difficiles de la marche mais aussi et surtout sur la repression et les difficultés rencontrées au quotidien
    Chapitre 4 : sur la manifestation du 17 octobre 2020 à Paris
    Chapitre 5 : mini chapitre sur les luttes d’après

    • Limites

    Ce film est imparfait. Les images que l’on y voit on été tournées sur l’axe Grenoble-Paris. Nous avons bien conscience que de ce fait il a de nombreux manques : nous ne voyons pas tous les collectifs, n’avons pas pu recueillir la diversité des paroles formulées durant cette lutte ni retranscrire l’ambiance réelle de cette marche. Nous n’avons pas eu la chance de rencontrer des personnes de chaque villes de départ, alors certaines peut-être pourraient se sentir invisibilisées, nous en sommes sincèrement navré.es. Idem pour le chapitre sur les « luttes d’après » la marche qui fait un focus sur Grenoble où il nous était plus facile de filmer à ce moment là. Nous n’avons également pas réussi à récupérer les noms de chaque personnes que l’on entend et avons fait de notre mieux pour en retrouver un maximum (n’hésitez pas si vous en avez qui manquent et qu’on pourrait rajouter).
    Nous avons choisi comme langue de diffusion le français, ce qui est un choix discutable nous en avons conscience.
    Ce film est artisanal, amateur et fait avec les moyens du bord, nous espérons malgré ses défauts qu’il saura vous apporter un souvenir ou un aperçu de ce qu’a été la marche nationale des sans papier de l’automne 2020 !

    #luttes #marche #archives #film #documentaire

  • Vies & mort des piscines Tournesol - Exercice — Revue bien urbaine
    https://exercice.co/Vies-mort-des-piscines-Tournesol

    Plus de quarante-cinq ans après avoir été lauréate d’un concours comme on n’en fait plus et construite à plus de 180 exemplaires un peu partout en France, la piscine Tournesol est une particularité architecturale qui renvoie à l’âge d’or de la préfabrication industrielle et du plastique aux couleurs pop. Aujourd’hui, pour de bonnes & de mauvaises raisons, la tendance est au démontage et les Tournesols disparaissent peu à peu. Mais pas toutes.

    #architecture #histoire #piscine #préfabriqué #années_70

  • L’impérialisme français et sa politique indopacifique | Le mensuel
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/09/16/limperialisme-francais-et-sa-politique-indopacifique_726580.

    – L’Indopacifique, une construction politique
    – La modification des rapports de force
    – Les manœuvres américaines
    – Les puissances régionales entre deux feux
    – La troisième voie française, d’abord celle du commerce

    #archiveLO (11 septembre 2023)

  • Mexique  : la prochaine “transformation” sera l’œuvre des travailleurs | Le mensuel
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/09/16/mexique-la-prochaine-transformation-sera-loeuvre-des-travail

    Ce texte est adapté d’un article paru aux États-Unis dans la revue Class Struggle (n° 116, été 2023) publiée par nos camarades du groupe trotskyste The Spark.

    – La troisième transformation  : la révolution mexicaine et ses conséquences, 1910-1940
    – Un développement bourgeois à l’ombre de l’impérialisme
    – Sous la surveillance directe de l’impérialisme
    – La force qui pourrait transformer le Mexique existe

    #archiveLO (27 juillet 2023)