• #police #ViolencesPolicières #armes

    🛑 Monde  : les manifestants victimes d’un usage abusif des armes par la police - Amnesty International France

    Lésions oculaires, fractures, mutilations… : des blessures graves, parfois mortelles. Partout dans le monde, les forces de sécurité utilisent de façon abusive des armes de maintien de l’ordre pour réprimer des manifestations pacifiques. Une pratique de plus en plus généralisée. Cette tendance mondiale pose la question, pressante, de la mise en place d’un encadrement de ces armes à létalité réduite afin de protéger le droit de manifester (...)

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  • #police #ViolencesPolicières #armes

    🛑 Maintien de l’ordre  : ces armes dangereuses utilisées en manifestation - Amnesty International France

    Gaz lacrymogènes, grenades explosives, lanceur de balles de défense, matraques… Partout dans le monde, la police utilise ce type d’armes dans le cadre de manifestations. Bien que qualifiées d’armes à létalité réduite, elles blessent et tuent. Et leur commerce est hors de contrôle. Focus sur la dangerosité de ces armes utilisées par la police et sur l’encadrement à adopter à l’échelle internationale (...)

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  • Monde  : les manifestants victimes d’un usage abusif des armes par la police - Amnesty International France
    https://www.amnesty.fr/actualites/droit-de-manifester-monde-les-manifestants-victimes-d-un-usage-abusif-des-ar

    Lésions oculaires, fractures,mutilations… : des blessures graves, parfois mortelles. Partout dans le monde, les forces de sécurité utilisent de façon abusive des armes de maintien de l’ordre pour réprimer des manifestations pacifiques. Une pratique de plus en plus généralisée. Cette tendance mondiale pose la question, pressante, de la mise en place d’un encadrement de ces armes à létalité réduite afin de protéger le droit de manifester.

    Basé sur des recherches menées dans plus de 30 pays au cours de ces cinq dernières années, notre rapport révèle que des milliers de manifestants ont été mutilés et des dizaines d’autres tués suite à l’utilisation souvent inconsidérée et disproportionnée d’armes à létalité réduite comme les balles en caoutchouc et les grenades lacrymogènes lancées directement vers les manifestants. Alors que les armes à létalité réduite sont présentées comme des alternatives moins dangereuses que les armes à feu, elles sont trop souvent utilisées contre des manifestants pacifiques.

    Malgré les risques, le commerce des armes à létalité réduite ne fait l’objet d’aucune réglementation mondiale. Une réglementation doit être mise en place pour garantir la sécurité et les droits des manifestants.

    https://amnestyfr.cdn.prismic.io/amnestyfr/b1ee5d53-19ae-49f4-8d29-4ef51edf9678_MY_EYE_EXPLODED_REPORT_AM

    #police #violences_policières #manifestation #armes #armes_à_létalité_réduite #Amnesty_International

  • Surge in arms imports to Europe, while US dominance of the global arms trade increases

    Imports of major arms by European states increased by 47 per cent between 2013–17 and 2018–22, while the global level of international arms transfers decreased by 5.1 per cent. Arms imports fell overall in Africa (–40 per cent), the Americas (–21 per cent), Asia and Oceania (–7.5 per cent) and the Middle East (–8.8 per cent)—but imports to East Asia and certain states in other areas of high geopolitical tension rose sharply. The United States’ share of global arms exports increased from 33 to 40 per cent while Russia’s fell from 22 to 16 per cent, according to new data on global arms transfers published today by the Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).


    https://www.sipri.org/media/press-release/2023/surge-arms-imports-europe-while-us-dominance-global-arms-trade-increases

    #armes #commerce_d'armes #armement #rapport #SIPRI #2022 #statistiques #chiffres

    • S’impenna l’import di armi in Europa. Gli Stati Uniti dominano il commercio globale

      Nel quinquennio 2018-2022 le importazioni di armi in Europa sono cresciute del 47%, mentre a livello globale è stata registrata una diminuzione del 5,1%. Gli Stati Uniti si confermano il primo esportatore nel mondo, assorbendo il 40% del mercato, la Russia, con il 16%, è staccata. I nuovi dati del Sipri e il ruolo della guerra in Ucraina

      La guerra russa in Ucraina ha spinto il trasferimento internazionale di armamenti e rilanciato la corsa europea al riarmo: nel 2022 Kiev è diventata il terzo maggiore importatore e il quattordicesimo nel quinquennio 2018-2022. È quanto emerge dal report “Trends in international arms transfers, 2022” pubblicato a marzo dall’Istituto indipendente di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) e che evidenzia come, a fronte di un calo globale del trasferimento di armamenti (-5,1% rispetto al quinquennio 2013-2017), l’Europa registri invece un aumento del 47%. Con punte del 65% nei Paesi membri della Nato. Oltre all’Ucraina, nel continente i principali acquirenti sono il Regno Unito (che a livello globale si attesta al tredicesimo posto) e la Norvegia. Quasi il 60% di sistemi d’arma acquistati in Europa sono stati esportati dagli Stati Uniti, al secondo posto si piazza la Russia, con il 5,8% (l’export di Mosca, tuttavia, è limitato alla Bielorussia). “Anche se i trasferimenti di armi sono diminuiti a livello globale, quelli verso l’Europa sono aumentati notevolmente a causa delle tensioni tra la Russia e la maggior parte degli altri Stati europei -ha spiegato Pieter D. Wezeman, ricercatore senior del Programma trasferimenti di armi del Sipri-. Dopo l’invasione dell’Ucraina, i Paesi europei vogliono dunque importare più armi e più velocemente. Ma la competizione strategica continua anche altrove: le vendite di armamenti verso l’Asia orientale sono aumentate e quelle verso il Medio Oriente restano a un livello elevato”.

      Secondo le analisi del Sipri a livello globale le spese militari sono in crescita dal 2013 e nel 2021 (ultimo anno per cui ci sono dati disponibili) e hanno superato la soglia record dei duemila miliardi di dollari (2.113) un valore quasi raddoppiato rispetto a quello raggiunto a fine anni Novanta. In parallelo, però, i trasferimenti di armi sono calati del 5,1% a livello mondiale. A diminuire il proprio import nel periodo 2018-2022 rispetto ai cinque anni precedenti sono stati soprattutto i Paesi dell’Africa (-40%), delle Americhe (-21%), dell’Asia e dell’Oceania (-7,5%) e in Medio Oriente (-8,8%). Mentre a livello locale la vendita di armi è aumentata verso i Paesi coinvolti in scontri e tensioni geopolitiche, come in Ucraina, in Corea del Sud o Giappone.

      Nel periodo 2018-2022 gli Stati Uniti hanno aumentato il proprio peso sul mercato globale passando dal 33% al 40%. Mentre la quota di mercato del secondo grande produttore, la Russia, è passata dal 22% al 16%: negli ultimi cinque anni il Paese ha registrato un calo delle vendite di sistemi d’arma, principalmente a causa del conflitto in Ucraina, e il suo divario verso la Francia (il terzo esportatore globale) si è ridotto. Gli Stati Uniti hanno aumentato i propri trasferimenti del 14% negli ultimi cinque anni rispetto al quinquennio precedente. La Russia, invece, ha diminuito il proprio export del 31%, passando dal 22% al 16% del mercato: dieci dei suoi otto maggiori partner, in particolare l’India, hanno ridotto gli acquisti dal Pese, in controtendenza solo Cina ed Egitto. “È probabile che l’invasione dell’Ucraina limiti ulteriormente le esportazioni militari di Mosca. Questo perché darà la priorità al rifornimento delle proprie forze armate e la domanda da parte di altri Stati rimarrà bassa a causa delle sanzioni commerciali e delle crescenti pressioni da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati per non finanziare i russi”, ha aggiunto Wezeman.

      In parallelo la Francia ha aumentato le proprie esportazioni militari del 44%, dirette soprattutto verso Asia, Oceania e Medio Oriente. L’India, in particolare, ha ricevuto il 30% delle armi vendute da Parigi. “Questa tendenza sembra destinata a continuare, dato che alla fine del 2022 la Francia aveva un numero di ordini in sospeso per l’esportazione di armamenti di gran lunga superiore a quello della Russia”, sottolinea ancora il Sipri.

      Gran parte della corsa al riarmo è stata causata dalla guerra in Ucraina. Ad esempio, tra il 2018 e il 2021 il principale ordine di armamenti da parte della Polonia comprendeva 32 aerei militari e quattro sistemi difensivi terra-aria dagli Stati Uniti. Ma nel 2022 Varsavia ha annunciato l’acquisto di 394 tank, 96 elicotteri da combattimento e 12 sistemi difensivi dagli Usa oltre a mille carri armati e 48 aerei dalla Corea del Sud. La Germania, invece, ha acquistato a fine 2022 35 bombardieri progettati per il trasporto di testate nucleari tattiche e che sostituiranno i precedenti modelli (ne abbiamo scritto a dicembre).

      L’Italia è al 28esimo posto a livello globale per le importazioni di sistemi d’arma, che acquista quasi esclusivamente dagli Stati Uniti (92%) e ha diminuito i trasferimenti del 41%. In nostro Paese, però, è uno dei principali produttori, al sesto posto (con una quota di mercato del 3,8%) e un incremento del 45% rispetto alla media del periodo 2012-2017: Qatar (24% delle vendite), Egitto (23%) e Turchia (12%) sono le prime tre destinazioni delle armi prodotte in Italia. E secondo le analisi del Sipri, le vendite italiane continueranno a crescere: a fine 2022, infatti, Roma aveva ordini in sospeso per 115 aerei ed elicotteri da combattimento, nove navi da guerra e 1.703 veicoli corazzati.

      “A causa delle preoccupazioni sul fatto che la fornitura di aerei da combattimento e missili a lungo raggio avrebbe potuto aggravare ulteriormente la guerra in Ucraina, gli Stati della Nato hanno rifiutato le richieste del Paese nel 2022. Allo stesso tempo, però, hanno fornito tali equipaggiamenti ad altri Stati coinvolti in situazioni di conflitto, in particolare in Medio Oriente e nell’Asia meridionale”, segnala poi il Sipri.

      A livello globale i maggiori importatori restano Asia e Oceania, che hanno ricevuto il 41% dei trasferimenti di armamenti, in queste due regioni infatti si trovano sei dei dieci maggiori acquirenti a livello globale: Australia, Cina, Corea del Sud, Pakistan, India e Giappone. Nell’area le importazioni sono state spinte verso l’alto dalle tensioni tra Corea del Nord e del Sud oltre che dal confronto tra Cina e Giappone. Tra il quinquennio 2013-2017 e il 2018-2022 Seoul ha aumentato del 61% i propri acquisti di sistemi d’arma e mentre nello stesso periodo Tokyo ha registrato un impressionante +171%. Infine l’Australia le ha aumentate del 23%. Anche le tensioni geopolitiche tra India e Pakistan hanno fatto crescere gli acquisti militari di entrambi i Paesi. L’India, nonostante un calo del 10%, rimane il maggior importatore a livello globale mentre il Pakistan risulta all’ottavo posto ricevendo per la maggior parte materiale di fabbricazione cinese.

      In Medio Oriente vi sono tre dei maggiori importatori di materiale bellico, Egitto, Qatar (i due più importanti partner dell’Italia) e l’Arabia Saudita, il secondo acquirente globale dopo l’India. L’Arabia Saudita, sempre tra 2018 e 2022, ha ricevuto 91 aerei da guerra e più di 20mila bombe guidate dagli Stati Uniti. Il Qatar ha quadruplicato le sue importazioni negli ultimi cinque anni, in particolare da Stati Uniti e Italia. Il Paese ha comprato 36 cacciabombardieri dalla Francia e altrettanti dagli Stati Uniti, oltre a tre fregate dall’Italia.

      https://altreconomia.it/simpenna-limport-di-armi-in-europa-gli-stati-uniti-dominano-il-commerci

  • 5 mars 1953 : la mort de Staline, pas du stalinisme
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/03/08/5-mars-1953-la-mort-de-staline-pas-du-stalinisme_540011.html

    Il y a 70 ans mourait Staline. De Hitler à Franco, de Horthy à Salazar, Mussolini et tant d’autres, le 20e siècle abonda en dictateurs écrasant les peuples. Il faut pourtant faire une place à part à #Staline car il dirigea un régime se disant socialiste alors que sa dictature porta, plus qu’aucune autre, des coups terribles au mouvement ouvrier et à son avant-garde révolutionnaire, en #URSS et partout dans le monde.

    Sous Staline, ce fut « minuit dans le siècle » : la trahison des révolutions dans les autres pays, la liquidation du #Parti_bolchevique, la terreur à grande échelle comme moyen de gouverner. Comment cela a-t-il pu arriver quelques années à peine après la #révolution_d’Octobre qui, en instaurant la démocratie des soviets, voulait ouvrir la voie au socialisme mondial ?

    Le « socialisme dans un seul pays » ?

    Si le jeune État soviétique finit par triompher de 4 ans d’une guerre civile effroyable imposée par les Blancs et les armées impérialistes, le pays en sortit exsangue, son économie ravagée et sa population épuisée. Le reflux de la vague révolutionnaire en Europe laissait l’URSS isolée, handicapée par son immense arriération sociale héritée du #tsarisme. Pire : alors que les ouvriers les plus conscients, survivants de la guerre civile, étaient absorbés par les besoins du nouveau pouvoir, la classe ouvrière, déjà très minoritaire avant-guerre, n’était plus en mesure de diriger son État.

    Cela renforça une couche sociale spécialisée dans la gestion de l’État, une bureaucratie que la #classe_ouvrière n’avait plus la force de se soumettre. Lénine avait tenté d’enrayer ce phénomène qui prenait des proportions monstrueuses, mais la mort mit fin à ses efforts. Des dirigeants et militants bolcheviques, qui s’étaient regroupés autour de #Trotsky fin 1923, allaient mener ce combat contre la #dégénérescence de l’État ouvrier et du Parti communiste lui-même.

    Dans la lutte que certains dirigeants avaient engagée pour succéder à #Lénine, la fraction du Parti communiste que Staline représentait au sommet du pouvoir s’appuyait sur les bureaucrates contre les révolutionnaires. Et une foule de cadres petits et grands de l’appareil dirigeant finirent par se reconnaître dans la fraction stalinienne. Prônant le « socialisme dans un seul pays », une aberration pour tout marxiste, Staline levait un drapeau contre Trotsky, resté fidèle à la théorie de la #révolution_permanente, qui avait été au cœur de la politique de Lénine et des #bolcheviks. Il indiquait aussi aux bureaucrates et à la bourgeoisie mondiale qu’avec lui c’en serait fini de la révolution dans tous les pays.

    Sous Staline, les #camps_de_concentration se remplirent de millions de travailleurs forcés : des opposants, réels ou prétendus tels, mais surtout un nombre effroyable d’ouvriers et de kolkhoziens condamnés pour des peccadilles, voire sans raison.

    En même temps, le régime vantait sa Constitution de 1936 comme « la plus démocratique du monde ». Alors que la politique stalinienne avait permis à #Hitler d’accéder au pouvoir en ­Allemagne et qu’ensuite elle avait étranglé la révolution en Espagne, la propagande chantait Staline comme « le défenseur des travailleurs », « l’ami des peuples ». Les Partis de l’Internationale communiste, dont le parti français, applaudissaient aux procès de Moscou, présentant l’URSS comme le paradis des travailleurs.

    Terreur bureaucratique et ordre impérialiste

    La #Deuxième_Guerre_mondiale fut une tragédie pour l’URSS et son peuple. La bureaucratie n’aspirant qu’à profiter en paix de sa position privilégiée, Staline avait cru échapper à la guerre en faisant les yeux doux aux démocraties occidentales, puis à l’Allemagne nazie. Confiant dans son pacte avec Hitler, Staline avait laissé l’#Armée_rouge sans préparation, après avoir décimé ses officiers. L’armée allemande atteignit Moscou et Leningrad en quelques semaines. Finalement, l’URSS put résister à Hitler, et à l’incapacité de la #bureaucratie à assurer sa défense, grâce à l’héroïsme de sa population, au front comme à l’arrière. Elle le paya de 20 millions de morts et d’immenses destructions.

    #Churchill et #Roosevelt ayant associé Staline à leur repartage du monde, celui-ci se chargea de défendre l’ordre mondial, d’empêcher que les peuples se lancent à l’assaut du pouvoir comme en 1917-1923. Il le fit dans l’Europe de l’Est que son armée occupait, et dans les autres pays en mettant les Partis communistes au service de la bourgeoisie, au nom de la « reconstruction nationale ».

    Cela accompli, l’impérialisme n’avait plus autant besoin de Staline. La guerre froide s’engagea, marquée par la constitution de l’#OTAN, une alliance militaire occidentale dirigée contre l’URSS. Face à cette menace, Staline chercha à s’assurer la loyauté des « #pays_de_l’Est » en affermissant son contrôle militaro-­policier, et par une série de procès contre leurs dirigeants.

    En URSS, Staline, qui craignait que la population relève la tête, accentua la #répression. Il fit envoyer en camps un million de soldats, ex-prisonniers en Allemagne, qu’il accusa de s’être laissé capturer. Il fit déporter des peuples entiers, sous l’accusation d’avoir trahi. Puis, il lança une affaire aux relents antisémites, un prétendu « #complot_des_blouses_blanches », prélude à une nouvelle #purge des milieux dirigeants.

    Le #stalinisme après Staline

    Aucun membre du Bureau politique ne pouvait se croire à l’abri. Aussi le 28 février 1953, quand Staline eut une attaque, ses lieutenants le laissèrent agoniser, le temps d’organiser des obsèques grandioses, et surtout sa succession. #Béria, chef de la police politique, donc le plus dangereux des prétendants, fit l’unanimité à ses dépens : il fut arrêté, puis exécuté, avec ses adjoints. #Khrouchtchev, chef du parti, fut le plus habile. Devenu successeur en titre de Staline, il l’accusa en 1956, au 20e congrès du parti, sinon de toutes les tares du régime, en tout cas d’avoir fait exécuter de nombreux « bons staliniens », disait-il en s’adressant aux #bureaucrates.

    Ce que l’on qualifia de « #déstalinisation » n’était guère plus que la promesse faite aux bureaucrates qu’ils pourraient jouir de leurs privilèges sans plus craindre pour leur vie.

    Le régime souleva un peu le couvercle de la #censure, surtout littéraire, un « #dégel » qui permit à l’intelligentsia de voir en Khrouchtchev un libéral. Mais le régime n’avait, sur le fond, rien perdu de son caractère parasitaire, réactionnaire, policier et violemment antiouvrier.

    Il le prouva dès juin 1953, en lançant ses tanks contre les ouvriers de Berlin-Est en grève. Puis il réprima dans la foulée les soulèvements des ouvriers tchèques de ­Plzen, polonais de Poznan et, en octobre-décembre 1956, Khrouchtchev dut s’y reprendre à deux fois pour faire écraser par ses chars la révolution des #conseils_ouvriers de #Hongrie.

    #pacte_germano-soviétique #impérialisme #éphéméride #révolution_russe #marxisme #léninisme #trotskisme #trotskysme #goulag #démocraties_populaires

  • 13 mars 1954 : les combattants vietnamiens attaquent le camp retranché de Diên-Biên-Phu

    À lire sur cet événement ce #chef_d'oeuvre de la #littérature contemporaine : « Une sortie honorable », d’Eric Vuillard (Actes Sud)

    Vuillard, au-delà de l’histoire (par Hugo Pradelle)

    Une sortie honorable, le nouveau livre d’#Éric_Vuillard consacré à l’#Indochine française, se lit avec ses autres récits. C’est d’une relation cohérente de ses livres les uns avec les autres qu’émerge une manière singulière, décalée et obstinée de raconter l’histoire et de penser un geste littéraire et moral assurément fort.

    https://www.en-attendant-nadeau.fr/2022/01/19/vuillard-histoire

    « Une sortie honorable », d’Eric Vuillard (par Camille Laurens)

    « L’histoire est un roman vrai », disait l’historien Paul Veyne. Une telle assertion, floutant la frontière désormais poreuse entre fiction et non-fiction, pourrait justifier la mention « roman » sur le nouveau livre d’Eric Vuillard, Une sortie honorable. Celui-ci lui a pourtant préféré, comme pour ses précédents ouvrages fondés sur des faits historiques, le mot « récit ». Sans doute est-ce pour souligner à la fois la relative brièveté du texte eu égard à l’ampleur des événements racontés – la guerre d’Indochine –, la place qu’y tient l’auteur et le refus de toute invention. Le récit, loin d’une vaste fresque à la Tolstoï, choisit de mettre en perspective quelques journées et personnages en déplaçant la focale et la lumière sur des moments obscurs, néanmoins décisifs. Congo et 14 juillet (Actes Sud, 2012 et 2016) proposaient déjà ce choix narratif, tout comme L’Ordre du jour (Actes Sud, prix Goncourt 2017), qui montrait l’ascension du pouvoir nazi dans les années 1930 à travers différents épisodes méconnus ou apparemment anecdotiques.

    La guerre d’Indochine de 1946 à 1954, rebaptisée « guerre du Vietnam » de 1955 à 1975, très long conflit dans lequel deux grandes puissances mondiales furent vaincues par un tout petit pays, est peu étudiée dans les programmes scolaires. La pédagogie de Vuillard, qu’on sent à l’œuvre – parfois un peu trop –, consiste à expliquer le déroulement des faits en juxtaposant des scènes qui rendent lisibles causes et conséquences. Ainsi, les premières pages décrivent une plantation de caoutchouc en 1928 et la torture de trois coolies, ligotés par un contremaître avec du fil de fer, après avoir tenté d’échapper aux cadences infernales. « C’était une scène d’épouvante », surligne l’auteur. Puis il enchaîne avec la réunion, quelques années plus tard, d’André Michelin et de F. W. Taylor, le théoricien du management industriel. Une troisième scène montre le président de l’Assemblée nationale, Edouard Herriot, rendant hommage à « nos héroïques soldats » en Indochine.

    L’efficacité de ce montage est redoutable. Le dispositif repose essentiellement sur une opposition entre nantis et dominés, soutenue par une idée simple et juste : l’histoire bâtit toujours « cet immense édifice qu’est le pouvoir » grâce à la même « immense communauté de poncifs, d’intérêts et de carrières ». Aussi Vuillard présente-t-il tous les puissants – ceux qui savent qu’ils auront « des rues à [leur] nom » – par une sorte de fiche généalogique où les alliances ont quelque chose d’incestueux et où « un bel héritage est pris pour un destin ». L’une des dernières scènes du récit dépeint les membres du conseil d’administration de la Banque de l’Indochine, le « fil d’or » qui les lie à la fin de la guerre après qu’ils ont « spéculé sur la mort » : « On perdait en gagnant et en gagnant prodigieusement », « le dividende était multiplié par trois. Il était rigoureusement proportionnel au nombre de morts. » [...]

    Reste que la #guerre, d’être décrite en coulisse plus que sur le terrain, froide mécanique d’intérêts, n’en est que plus terrifiante. Certes, à #Dien_Bien_Phu, « on crève de partout. On recule de trou en trou, on empile des cadavres pour se protéger ». Mais « si l’on veut vraiment connaître l’horreur (…), il faudrait pouvoir pénétrer en silence dans le bureau où causent Eisenhower et Dulles ». Vuillard nous invite à prolonger notre réflexion en mettant son tressage subtil en regard des tragédies contemporaines. Car l’histoire n’est pas du passé, c’est d’ailleurs souvent au présent qu’il nous la raconte. Déjà, La Guerre des pauvres (Actes Sud, 2019) suggérait un parallèle entre le soulèvement des paysans allemands au XVIe siècle et le mouvement des « gilets jaunes ». De même, Une sortie honorable, dont le titre ironique reprend un syntagme figé cher aux politiques et aux militaires, interroge tacitement la façon dont la France négocie son retrait de conflits sanglants – au Mali, en Afghanistan… – au mépris de toutes les valeurs humaines et tout particulièrement de l’honneur. Le récit d’Eric Vuillard, par sa force de conviction, tient allumé en nous « ce petit lampadaire qu’on appelle la conscience ».

    https://www.lemonde.fr/livres/article/2022/01/13/une-sortie-honorable-d-eric-vuillard-le-feuilleton-litteraire-de-camille-lau

    #impérialisme #colonialisme #crétinerie #armée_française #Diên-Biên-Phu

    • Dien Bien Phu (Lutte de classe n°61 - 12 mars 1963)

      Le 13 mars 1954, le premier jour de l’attaque du camp retranché de Dien Bien Phu.

      Ce nom, mais personne ne le savait encore, devait devenir le symbole de la défaite de l’impérialisme français par le mouvement de libération nationale du peuple vietnamien. Effectivement, l’imprenable Dien Bien Phu dont l’armée française était si fière devait capituler après 55 jours de combats.

      En fait l’armée française et le commandant de Castries, commandant de la place attendaient cette attaque et même la souhaitaient, persuadés que le Vietminh ne pourrait concentrer suffisamment de forces pour sortir victorieux d’une bataille rangée « classique ».

      C’est délibérément que le commandement français avait choisi la cuvette de Dien Bien Phu dans cet arrière-pays montagneux. Il voulait obliger Giap, commandant les troupes #Vietminh à attaquer de front. Sa cécité politique l’empêchait de voir la croissance de l’armée vietminh. Pour nos militaires bornés, la « guérilla » était la forme spécifique de la guerre révolutionnaire. Dans leur esprit, il suffirait d’obliger les « rebelles » à abandonner cette tactique, à changer de méthodes de combat et alors la supériorité technique de l’armée française les écraserait.

      Mais la « guérilla » n’est pas une tactique relevant d’une idéologie particulière. C’est tout simplement un mode de combat utilisé contre un adversaire plus fort militairement que l’on ne peut affronter directement. Même Duguesclin n’avait pas « inventé » la guérilla.

      Toutes les populations occupées par des forces étrangères ont utilisé la « #guérilla » qui consiste à se battre avec ce qu’on a, à faire de sa faiblesse une force, à attaquer par surprise avec des forces faibles mais rapides, très mobiles, échappant à l’adversaire dès le coup de main réalisé. C’est une tactique de harcèlement qui rend une occupation de territoire invisible lorsque toute la population s’en mêle mais qui n’est pas spécifique des révolutionnaires, tout au plus caractérise-t-elle le début des insurrections populaires en particulier dans les pays coloniaux. Mais dès qu’un mouvement peut disposer d’armées ressemblant à celles de l’adversaire, il le fait. C’est ainsi que le mouvement vietminh essaya de renforcer ses troupes. Dès 1950-51 lorsqu’il eut un peu de matériel du la Chine, notamment des camions, les longs cortèges de coolies-soldats se modernisèrent. Les canons, mortiers, armes lourdes, essentiellement pris dans des coups de main contre l’armée française, plus les armements fabriqués par le Vietmninh dans le pays commencèrent à faire des forces vietminh non plus des corps de guerilleros, mais une armée capable d’attaquer des places fortifiées.

      L’armée vietminh n’avait encore jamais attaqué une place forte de l’importance de Dien Bien Phu, mais, alors que le commandement français s’imaginait avoir construit un piège pour le Vietminh, un observateur attentif aurait pu pressentir la vanité de ce piège. Dien Bien Phu n’était cependant pas si facile à prendre. Et il fallut l’héroïsme et l’enthousiasme des troupes combattant pour leur libération pour vaincre dans un tel combat.

      Dien Bien Phu est une cuvette de 10 km de long et de 3 à 6 km de large, au milieu d’une chaise de très hautes montagnes, bordée de petites collines à la base. Dans la cuvette, le village de Muong Thanh et deux camps d’aviation. Au Nord, trois postes fortifiés avec chacun un bataillon. Au centre et à l’est, deux sous-secteurs, à l’ouest 30 points fortifiés. Au Nord le poste de Him Lambarre l’unique voie carrossable jusqu’à Muong Thanh. Le commandement français comptait essentiellement sur l’aviation.

      Pour le Vietminh il était impossible de ne pas attaquer cette place fortifiée en plein coeur du pays. Et ce fut le long travail de préparation en vue de l’épreuve de force déterminante.

      Les unités vietminh venues du Delta tonkinois durent effectuer 400 km pour approcher du camp. Il fallut quinze nuits de marche, en essayant de perdre le moins d’hommes et d’armement possible. Il y avait des récompenses pour l’unité qui arriverait au complet (un taureau).

      C’était la première campagne où les Viets engageaient des batteries de 105 et de la D.C.A. Les pièces de deux tonnes, remorquées derrière des camions sur roues, devaient, dans les montagnes, être tirées à bras, le poste d’Him Lam barrant la route 41, il fallut creuser à flan de montagne des routes carrossables pour les camions, ceci sur douze kilomètres, en passant trois cols. Il fallut sept nuits pour hisser sur les cols ces tonnes d’acier. La descente des cols fut encore plus pénible et exigea vingt nuits. Comme l’aviation française patrouillait le jour, bombardant et arrosant de Napalm les montagnes, pour les soldats Viets, il fallait rester dans son trou individuel toute la journée pour se protéger des bombardements, et, la nuit, creuser la terre et assurer le camouflage. Ils avançaient de 500 mètres ou un kilomètre par nuit, sur la fin.

      La construction des voies de communication nécessitait un gros effort car pour cela les soldats terrassiers n’avaient pas d’outillage. Pourtant, il fallait combler des rivières de quarante à cinquante mètres, attaquer des parois rocheuses, abattre d’énormes arbres. L’ingéniosité était indispensable. Pour abattre les arbres, ils mettaient à nu les racines puis les tranchaient avec des coupe-coupes, afin que l’arbre déraciné s’abatte tout seul.

      Le ravitaillement posait un gros problème. L’armée Vietminh avait des fourneaux spéciaux brûlant sans fumée pour ne pas être repérables de jour par l’aviation, mais, la nuit, ils l’étaient par la clarté du foyer et sous le bombardement, le riz était consommé cru ou brûlé, mais jamais cuit. L’armée se nourrissait en forêt de racines d’ignames, (les paysans pauvres étaient les « meilleurs spécialistes » pour les trouver). Un chantier de pêche fut créé.

      Pendant ce temps, les troupes françaises pilonnaient et incendiaient les forêts. Des bataillons attaquaient un peu dans toutes les directions. La colline 75 changea onze fois de camp, Mais l’encerclement Vietminh se poursuivait.

      La victoire ne fut arrachée qu’au prix d’énormes travaux de retranchement. Tout le front Vietminh n’était qu’une immense tranchée, Le mot d’ordre était « sans tranchée pas de combat ». Le camouflage posait un gros problème de par les grosses quantités de bois qu’il fallait aller chercher à des kilomètres dans la forêt. Mais, peu à peu, le front Vietminh s’approchait auprès des fortifications françaises, malgré les sorties des paras français, sorties effectuées plusieurs fois par jour, sous la protection des blindés, pour essayer de combler les boyaux ou de les piéger. Malgré cela, l’étau se resserrait de plus en plus.

      Le 13 mars 1954 l’attaque est déclenchée par le vietminh. l’assaut à lieu contre le poste de him lam (béatrice) occupé par le 3e bataillon de la division blindée et de la légion etrangère. c’est un poste clé pour la protection des terrains d’aviation de muong thanh. il comprend trois collines derrière un réseau de barbelés large de trente à quarante mètres. a 16 heures l’armée vietminh ouvre le feu. a la tombée de la nuit les groupes de choc vont avec les explosifs faire sauter les barbelés. après 6 heures de combats hin lam est occupé par le vietminh. doc lap (gabrielle) sera attaquée et occupée le 14 avril. l’ultime assaut sera donné à partir du 18 avril, et le 7 mai, la bataille de dien bien phu prendra fin.

      Dans ce combat où l’inégalité de l’armement et du matériel est frappante, malgré les quelques pièces lourdes de l’armée Vietminh, la participation et le dévouement des masses vietnamiennes fut l’élément déterminant de leur victoire, D’une part, l’armée vietminh était numériquement bien plus importante que les troupes stationnées en Indochine (150 000 hommes) et, d’autre part, chaque paysan et paysanne vietnamien, constituait un soutien à l’armée de libération. L’héroïsme et le dévouement du peuple vietnamien luttant pour son indépendance étaient reconnus même par la presse réactionnaire de métropole.

      Par contre, les troupes françaises, elles, se battaient pour une « sale guerre » vomie par une partie de plus en plus grande de la population française et leur combat était à l’avance désespéré.

      Après Dien Bien Phu l’armée française était loin d’être rejetée à la mer, mais la métropole ne pouvait supporter de transformer son « opération de police » assurée par l’armée de métier et les volontaires en guerre ouverte et y envoyer le contingent,

      Ce fut la raison pour laquelle Dien Bien Phu sonna le glas du colonialisme français.

      https://mensuel.lutte-ouvriere.org/documents/archives/la-revue-lutte-de-classe/serie-1960-1963/article/dien-bien-phu

      #archiveLO

  • « Jean-Marie Le Pen n’a sans doute pas pratiqué la torture en Algérie » : polémique autour d’un podcast de France Inter consacré au fondateur du Front national
    https://www.lemonde.fr/culture/article/2023/03/10/jean-marie-le-pen-n-a-sans-doute-pas-pratique-la-torture-en-algerie-polemiqu

    Dans l’épisode 2 du podcast « Jean-Marie Le Pen, l’obsession nationale » que Philippe Collin consacre à l’ancien leader du Front national, mis en ligne fin février, on peut entendre l’historien Benjamin Stora dire : « Jean-Marie Le Pen n’a sans doute pas pratiqué la torture en Algérie. »

    le soutien de Stora à Macron est allé trop loin.

    #Algérie #torture #histoire

    • Fabrice Riceputi @campvolant
      https://twitter.com/campvolant/status/1633019760509067264
      ·

      Dans le documentaire JM Le Pen, l’obsession nationale, (France Inter), ép. 2, à 21 mn 20, [c’est] Benjamin Stora qui dit : "En fait Jean-Marie-Le Pen, à ma connaissance, quitte l’Algérie au moment où on commence la bataille d’Alger. Et c’est surtout pendant la bataille d’Alger, sous la conduite de Robert Lacoste et du général Massu, bien sûr, que va s’organiser la plus terrible des batailles où sera pratiquée la torture en Algérie. Donc, à ce moment-là, à ma connaissance, Jean-Marie Le Pen n’est pas en Algérie." Le commentateur ajoute : "Donc le soldat Le Pen n’a sans doute pas pratiqué la torture en Algérie."
      Tout est faux. Le Pen, alors député et officier parachutiste réserviste, décide de prendre du service peu après le lancement de l’opération baptisée « bataille d’Alger » (7 janvier 1957). Il est à Alger en mars 1957, date à laquelle un rapport de police (publié par Vidal-Naquet peu après) indique qu’il enlève un Algérien et le "met au tombeau" (torture) à la villa Sésini. Une archive bien connue...


      De plus, plusieurs témoins algériens sont cités par@BeaugeFlorence dans « Algérie, une guerre sans gloire » et racontent de façon très circonstanciée comment Le Pen pratiquait la torture « à domicile », dans la Casbah, notamment celle d’Ahmed Moulay, à l’eau et à l’électricité, devant sa famille, avant de le faire exécuter à la mitraillette. C’est alors qu’il oublia son fameux poignard des Jeunesses hitlériennes, dont l’histoire est bien connue. Plusieurs familles témoignant dans le cadre du projet http://1000autres.org le mentionnent également.
      1000autres.org

      Il faut encore ajouter que la police et l’armée ont torturé avant la « bataille d’Alger » et ont continué à le faire massivement après, jusqu’en 1962.

      Il est consternant que Le Pen soit ainsi exonéré, qui plus est par un universitaire, de son passé de tortionnaire en Algérie et sur le service public.

      J’ajoute que Jean-Marie Le Pen, après avoir reconnu avoir torturé, a attaqué Le Monde qui l’accusait d’avoir torturé en diffamation et qu’il a perdu en 2005 en Cassation. Voir les archives du Monde dès 2000.

      Quatre nouveaux témoins accusent Jean-Marie Le Pen de torture
      https://www.lemonde.fr/archives/article/2002/06/03/quatre-nouveaux-temoins-accusent-jean-marie-le-pen-de-torture_278520_1819218

      Le Pen et la torture pendant la guerre d’Algérie
      https://histoirecoloniale.net/Le-Pen-et-la-torture-pendant-la.html

      #France #armée_française

  • Thread by LChevreuils on Thread Reader App – Thread Reader App
    https://threadreaderapp.com/thread/1632398809010511876.html

    L’anniversaire de la mort de Staline me rappelle un épisode de l’histoire des Arméniens du Liban. En 1947, des émissaires ont parcouru la diaspora pour convaincre les Arméniens de s’installer en RSS d’Armenie. On leur a fait miroiter boutique, logement, etc.

    Au Liban, le gros de la communauté s’était installé 20 ans avant, après les nouveaux massacres en Cilicie, et avait commencé à urbaniser la rive droite du fleuve, Borj Hammoud, contre l’avis des Français qui voulaient plutôt les envoyer dans des colonies rurales, bref.
    La vie n’était pas simple, le lieu était un trou de boue et la communauté était divisée entre les partis hentchak, communiste, et tachnak, antisovietique (social-nationaliste, disons pour être charitable). Le hentchak a épousé la cause de la RSSA. Y avait moyen le choix.
    Notons , c’est important, que ces Arméniens étaient très majoritairement originaires de Cilicie, depuis quelque chose comme le 14e siècle. Le Caucase ne leur était pas familier du tout, leur truc, c’était Marash, Adana et la Méditerranée.
    Il faut imaginer les familles ravagées par le genocide, les orphelins qui grandissent, la vie qu’on commence à reconstruire, les solidarités locales dans les associations de villages qui construisaient collectivement les différents quartiers de Borj-Hammoud…
    Les émissaires de Staline arrivent et forcément, séduisent pas mal d’hommes actifs qui galèrent dans la boue à Beyrouth. D’autres sont radicalement opposés au départ. Le hentchak fait pression pour partir, le tachnak fait pression pour rester.
    Pression, ça veut dire que dans certaines familles on enlève des enfants pour obliger tout le monde à partir, ou qu’on les séquestre pour obliger tout le monde à rester. Grosses tensions violentes, certaines blessures datant de cette période sont encore ouvertes.
    Finalement, les militants hentchak partent en masse et comme vous vous y attendez, en guise de boutiques gratuites et de logements modernes, beaucoup se retrouvent envoyés directement en camps de rééducation politique et les liens se perdent avec les membres restés au Liban.
    Au Liban, la gauche arménienne en sort durablement détruite, autodétruite, en fait, et le tachnak exerce depuis lors une hégémonie que je qualifierai de profondément toxique sur la communauté.
    Voilà la petite histoire. Comment Staline a ajouté du malheur au malheur dans une population déjà écrasée par l’exil et le génocide. Il a fait ça partout dans le monde arabe.

    Crève encore, camarade.

    https://twitter.com/LChevreuils/status/1632398809010511876

    #Arménie #Liban

  • Pendant ce temps-là, les puissances occidentales mettent en ordre de bataille les esprits et transforment à vitesse accélérée leurs économies en «  économies de guerre  »

    Contre la guerre en Ukraine et sa généralisation
    https://mensuel.lutte-ouvriere.org/2023/02/25/contre-la-guerre-en-ukraine-et-sa-generalisation_521781.html

    Poutine, qui nie jusqu’à l’existence d’une nation ukrainienne, aura, par son sanglant mépris des peuples, contribué à ce que s’affirme le sentiment d’appartenir à l’Ukraine, alors qu’il peinait à prendre corps malgré les efforts du pouvoir et des nationalistes.

    L’échec relatif de Poutine résulte, entend-on souvent, de la mobilisation d’un peuple dressé pour défendre sa patrie, rien de tel ne motivant les soldats russes. Certes. Mais ce n’est qu’une partie de la réalité. Si l’Ukraine a tenu bon, malgré une industrie et une armée a priori moins fortes que celles du Kremlin, elle le doit avant tout à la trentaine de membres de l’OTAN, dont les États-Unis, l’Allemagne, la Grande-Bretagne, la France, qui l’ont armée, financée et soutenue de bien des façons. Et ils ne cessent de surenchérir en ce domaine, tel Biden encore le 20 février à Kiev.

    Quand les pays de l’OTAN livrent à l’Ukraine des armements de plus en plus sophistiqués, de plus en plus efficaces, ils poursuivent un objectif immédiat proclamé  : éviter la défaite de l’Ukraine et faire durer la guerre afin d’affaiblir la Russie, et si possible la mettre à genoux.

    Cela pour montrer au monde entier ce qu’il en coûte de ne pas s’incliner devant l’ordre impérialiste. Les propos de Biden à Varsovie  : «  L’Ukraine ne sera jamais une victoire pour la Russie  », son refus affiché de toute négociation avec Poutine, le fait que les dirigeants occidentaux ont tous adopté la même posture et le même langage ces derniers temps, tout cela va dans le même sens.

    Le conflit en cours n’est pas la principale raison d’une escalade que l’Occident mène tambour battant. Il fait aussi office de toile de fond pour une mise en ordre de bataille des esprits, ne serait-ce que par la banalisation d’une guerre qui s’installe pour durer, dans une Europe qui n’en avait plus connu depuis 1945, exception faite des bombardements de la Serbie par l’OTAN, il y a un quart de siècle.

    Une mise sur le pied de guerre qui vaut aussi pour les économies de chaque pays, dans un monde capitaliste qui s’enfonce dans la crise sans que ses dirigeants y voient d’issue. Certes, les dirigeants du monde capitaliste n’ont pas encore choisi la fuite en avant vers une conflagration généralisée, comme celle qui conduisit à la Première et à la Deuxième Guerre mondiale, mais rien ne garantit que le conflit ukrainien ne risque pas, à tout moment, de précipiter l’humanité dans une nouvelle guerre mondiale.

    Le conflit en Ukraine sert déjà de terrain d’entraînement aux États impérialistes pour préparer l’éventualité d’un affrontement dit de haute intensité, que les états-majors militaires et politiques envisagent explicitement. Il sert aussi aux chefs de file de l’impérialisme à renforcer des blocs d’États alliés, avec leurs réseaux de bases sur le pourtour de la Russie et de la Chine.

    sommant les autres États de se rallier à ces alliances militaires et d’adopter des trains de sanctions contre la Russie, même quand cela va à l’encontre de leurs intérêts et de ceux, sonnants et trébuchants, de leurs capitalistes. On le constate pour l’arrêt des importations de gaz et de pétrole russes, l’interdiction de commercer avec la Russie, d’y maintenir des activités industrielles, ce qui pénalise des pays européens, dont l’Allemagne et la France, mais profite aux États-Unis.

    Si un fait nouveau, capital pour l’avenir de l’humanité, s’est fait jour au feu de cette guerre, c’est l’évolution rapide de la situation mondiale dans le sens de sa #militarisation.

    Poutine a répondu de façon monstrueuse à la pression continue de l’impérialisme en Europe de l’Est en lançant ses missiles et ses tanks sur l’Ukraine le 24 février 2022. Mais c’est l’impérialisme qui s’est préparé depuis longtemps à aller à la confrontation.

    ... à plonger tôt ou tard l’Ukraine dans la guerre, donc à faire de ses habitants les otages d’une rivalité qui les dépasse, car elle oppose le camp mené par les États-Unis à la Russie, avec son dictateur, ses bureaucrates et ses oligarques pillards. D’un côté ou de l’autre, il n’y a nulle place pour le droit des peuples à décider de leur destinée, même si on veut nous le faire croire.

    L’ex-chancelière Angela Merkel n’en croit rien. Elle le dit dans une interview où elle revient sur la crise qui s’ouvrit en février 2014, quand le président ukrainien d’alors, contesté par la rue et surtout lâché par des secteurs de la bureaucratie et de l’oligarchie, dut s’enfuir. Le pouvoir issu du #Maïdan s’alignant sur les États-Unis, Poutine récupéra alors la #Crimée et poussa le Donbass à faire sécession. Les accords de Minsk, que Merkel parrainait avec Hollande et auxquels avaient souscrit Moscou et Kiev, devaient régler pacifiquement le différend, prétendait-elle à l’époque. Elle avoue désormais qu’il s’agissait d’un leurre. «  Poutine, explique-t-elle, aurait [alors] pu facilement gagner. Et je doute fortement que l’OTAN aurait eu la capacité d’aider l’Ukraine comme elle le fait aujourd’hui. […] Il était évident pour nous tous que le conflit allait être gelé, que le problème n’était pas réglé, mais cela a justement donné un temps précieux à l’Ukraine.  » Et à l’OTAN pour préparer l’affrontement avec Moscou.

    Le conflit couvait depuis l’effondrement de l’#URSS en 1991. Dès ce moment-là, États-Unis et Union européenne furent à la manœuvre pour aspirer l’Europe de l’Est dans l’orbite de l’OTAN. Des conseillers de la Maison-Blanche expliquaient qu’il fallait détacher l’Ukraine de la Russie, pour que celle-ci n’ait plus les moyens de redevenir une grande puissance.

    Or, après les années Eltsine (1991-1999), d’effondrement économique, d’éclatement de l’État et de vassalisation humiliante du pays par l’Occident, Poutine et la bureaucratie russe voulaient restaurer la #Grande_Russie.

    Une première tentative de l’Occident pour aspirer l’Ukraine eut lieu en 2004 sous l’égide du tandem ­Iouchtchenko­-­Timochenko, tombeur du pro-russe Ianoukovitch. Elle tourna court, la population, dégoûtée, finissant par rappeler Ianoukovitch. Elle allait le chasser à nouveau en 2014. Cette fois fut la bonne pour le camp occidental et signifiait la guerre  : dans le #Donbass, que l’armée de Kiev et des troupes d’extrême droite disputaient aux séparatistes, elle fit 18 000 morts et des centaines de milliers de réfugiés. Huit ans plus tard, tout le pays bascula dans l’horreur.

    Les dirigeants américains et européens savaient que Moscou ne pouvait accepter une Ukraine devenue la base avancée de l’OTAN. Ils savaient quels risques mortels leur politique impliquait pour les Ukrainiens, et pour la jeunesse russe que Poutine enverrait tuer et se faire tuer. Cette guerre, l’OTAN l’avait rendue inéluctable depuis 2014, en armant, entraînant, conseillant l’#armée_ukrainienne et les troupes des nationalistes fascisants.

    Les dirigeants occidentaux n’en avaient cure, car faire la guerre avec la peau des peuples est une constante de la politique des puissances coloniales, puis impérialistes. On le vérifie encore une fois dans le sang et la boue des tranchées en #Ukraine, dans les ruines des HLM de #Kharkiv, #Kherson ou #Donetsk que les missiles des uns ou des autres ont fait s’effondrer sur leurs habitants. N’en déplaise aux médias d’ici qui ressassent la fable d’un conflit soudain opposant le petit David ukrainien isolé et désarmé qu’agresserait sans raison le grand méchant Goliath russe.

    À l’occasion du premier l’anniversaire de l’invasion de l’Ukraine, on a eu droit au rouleau compresseur d’une #propagande sans fard dans les #médias. Il y aurait le camp du Mal (la Russie, l’Iran et surtout la Chine), face au camp du Bien, celui des puissances qui, dominant la planète, y garantissent la pérennité du système d’exploitation capitaliste au nom de la démocratie ou de la sauvegarde de pays comme l’Ukraine, dès lors qu’ils leur font allégeance.

    Cette propagande massive vise à s’assurer que l’opinion publique adhère sans réserve à ce qu’on lui présente comme la défense d’un peuple agressé, en fait, à la guerre que mènent les grandes puissances par Ukrainiens interposés. Car, au-delà de ce qu’il adviendra de la Russie et du régime de Poutine – une des préoccupations contradictoires des États impérialistes, qui disent vouloir la victoire de Kiev tout en craignant qu’une défaite de Poutine déstabilise de façon incontrôlable la Russie et son «  étranger proche  » – ces mêmes États visent un objectif au moins aussi important pour eux. Ils veulent enchaîner à leur char de guerre leur propre population, dans le cadre ukrainien, tout en ayant en vue des conflits plus larges à venir.

    En fait, le conflit ukrainien a tout du prologue d’un affrontement plus ou moins généralisé, dont politiques, généraux et commentateurs désignent déjà la cible principale  : la Chine. Ainsi, Les Échos du 15 février a mis à sa une un article qui titrait  : «  Pour l’Amérique, la Chine redevient l’ennemi numéro un  », après que «  la guerre en Ukraine [avait un temps détourné son attention] de la confrontation  » avec la Chine.

    Déjà, les steppes, les villes et le ciel d’Ukraine servent autant aux états-majors et industriels occidentaux à affronter la #Russie, par soldats ukrainiens interposés, qu’à tester sur le vif leurs #blindés, pièces d’#artillerie, #systèmes_de_commandement, de communication, d’interception, de renseignement, et à en tirer les leçons voulues. Ils y voient aussi une aubaine pour se débarrasser de #munitions et d’engins plus ou moins anciens que les combats vont consommer . Conséquence favorable pour eux, cela justifie l’escalade des livraisons d’armes et, de ce fait, l’explosion des #budgets_militaires afin de doper les #industries_de_guerre.

    Cette conjoncture permet à des États d’engranger des commandes, parfois énormes, de pays dépendants de protecteurs plus puissants et des leaders des marchés de l’#armement.

    Ainsi, Varsovie a envisagé de donner à Kiev des vieux Mig-29 de conception soviétique pour les remplacer par des F-16 américains, et promis de lui livrer d’anciens chars Leopard, qu’elle remplacera par de nouveaux modèles. Évidemment, cela ne fait l’affaire ni de Dassault ni du char Leclerc français qui peine à trouver preneur. C’est que, même alliés au sein de l’OTAN, voire soucieux d’afficher leur unité, comme Biden l’a souligné lors de la promesse que lui et Scholtz ont voulue simultanée de livrer des tanks à Kiev, les États impérialistes restent rivaux sur ce terrain, comme sur d’autres. Les États-Unis se réservent la part du lion, avec des commandes d’armement qui ont doublé en 2022, à la mesure de leur puissance industrielle, de leur suprématie militaire… et des guerres à venir.

    Ces commandes d’armes pour l’Ukraine, qui s’ajoutent à celles que l’on dit destinées à remettre à niveau chaque armée occidentale, servent autant à tenir la dragée haute à #Poutine qu’à transformer à vitesse accélérée les #économies occidentales en «  #économies_de_guerre  », selon les termes même du programme que se sont fixé les ministres de la Défense des pays de l’#OTAN, lors de leur sommet des 14-15 février à Bruxelles. Depuis des mois, les dirigeants politiques occidentaux et plus encore les chefs de leurs armées discutent publiquement et concrètement d’une guerre généralisée qu’ils savent s’approcher. Ainsi, à Brest, l’#amiral_Vandier, chef d’état-major de la Marine, a lancé à la nouvelle promotion d’élèves-­officiers  : «  Vous entrez dans une Marine qui va probablement connaître le feu à la mer.  » Certains avancent même une date pour cela, tel le général Minihan, chef des opérations aériennes aux #États-Unis  : «  J’espère me tromper, mais mon intuition me dit que nous nous affronterons en 2025  » avec la #Chine.

    Ukraine  : un effroyable bilan humain, social et économique

    En attendant, la guerre en Ukraine a déjà tué ou blessé 180 000 militaires russes, à peine moins de soldats ukrainiens, et tué plus de 30 000 civils, estime le chef de l’armée norvégienne, membre de l’OTAN. 7,5 millions d’Ukrainiens ont trouvé refuge en Pologne, Slovaquie, Autriche, etc., et en Russie. Parmi eux se trouvent une écrasante majorité de femmes et d’enfants, car les hommes de 18 à 60 ans, mobilisables, ont l’interdiction de quitter le territoire. Il y a aussi plusieurs millions de déplacés dans le pays même.

    De nombreuses villes, grandes ou petites, ont été bombardées, parfois rasées, les infrastructures énergétiques partout frappées, ce qui a plongé la population dans l’obscurité et le froid. Le montant des destructions de routes, ponts, voies ferrées, ports, aéroports, entreprises, écoles, hôpitaux, logements… atteignait 326 milliards de dollars, selon ce qu’estimait le Premier ministre en septembre dernier. Ce montant, déjà colossal, n’a pu que croître depuis, ne serait-ce que parce qu’il s’accompagne d’énormes détournements qu’ont effectués et que vont effectuer ministres, généraux, bureaucrates et oligarques ukrainiens.

    Zelensky a reconnu la corruption de l’appareil d’État jusqu’au sommet quand il a limogé une partie de son gouvernement, dont les ministres de la Défense et de la Reconstruction, et plusieurs très hauts dirigeants. Cela ne change rien à la nature d’un État qui, source principale des nantis comme en Russie, est l’un des plus corrompus au monde  : plus que l’État russe, dit-on, ce qui n’est pas rien. En fait, Zelensky n’avait pas le choix  : une commission américaine de haut niveau avait débarqué à Kiev pour vérifier ce que devenait l’aide colossale fournie par l’oncle d’Amérique. Après tout, même si l’État américain est richissime, il a aussi ses bonnes œuvres (industriels de l’armement, financiers, capitalistes de haut vol) et ne veut pas qu’une trop grosse part des profits de guerre file dans poches des bureaucrates, oligarques et maffieux ukrainiens.

    Et puis, au moment même où l’Occident annonçait fournir des tanks à l’État ukrainien, il ne s’agissait pas que le régime apparaisse pour ce qu’il est  : celui de bandits prospérant sur le dos de la population. Cela s’adressait moins à l’opinion occidentale, qui ne connaît de la situation que ce qu’en disent les médias, qu’à la population ukrainienne.

    Victime des bombardements et exactions de l’armée russe, elle se rend compte qu’elle est aussi la victime des parasites de la haute bureaucratie, des ministres véreux ou des généraux voleurs. Et l’union sacrée n’a pas fait disparaître les passe-droits qui permettent aux nantis de profiter en paix de leur fortune à l’étranger, tandis que leurs sbires de la police raflent les hommes, valides ou pas, pour le front. Les résistances que cela provoque ici ou là n’ont rien pour étonner dans un tel contexte, d’autant que, si l’armée a d’abord pu compter sur des volontaires, ceux qu’elle mobilise maintenant n’en font, par définition, pas partie.

    Tout à leurs commentaires dithyrambiques sur un régime censé incarner la démocratie et l’unité d’un peuple derrière ses dirigeants, les médias français préfèrent tirer un voile pudique sur des faits qui pourraient gâcher leur tableau mensonger.

    [...] Le régime de la bureaucratie russe et de ses oligarques milliardaires, lui-même bien mal en point socialement et économiquement, corrompu, policier et antiouvrier, ne peut représenter aucun avenir pour la population ukrainienne, même russophone.

    Quant au régime qu’incarne Zelensky, ce chargé de pouvoir des grandes puissances et de leurs trusts qui lorgnent sur les richesses agricoles et minières de l’Ukraine ainsi que sur sa main-d’œuvre qualifiée, afin de l’exploiter avec des salaires misérables , ce qui a commencé dès 2014, le conflit lui a sans doute sauvé la mise, au moins dans un premier temps. Comme dans toute guerre, la population s’est retrouvée bon gré mal gré derrière un pouvoir qui se faisait fort de la défendre. Mais gageons que de larges pans des classes populaires n’ont pas oublié pour autant ce qu’avait fini par leur inspirer cet acteur devenu président, qui avait joué au «  serviteur du peuple  » pour mieux préserver les intérêts des nantis.

    S’affrontant sur le terrain par peuples interposés, les dirigeants occidentaux, représentants d’une bourgeoisie impérialiste qui domine le monde, les dirigeants russes, représentants des parasites qui exploitent les travailleurs de Russie, les dirigeants ukrainiens, représentants de leurs oligarques autant que des trusts occidentaux, sont tous des ennemis des classes populaires, de la classe ouvrière.

    Et les travailleurs, où qu’ils se trouvent, quelle que soit leur nationalité, leur langue ou leur origine, n’ont aucune solidarité à avoir, sous quelque prétexte que ce soit, avec «  l’ennemi principal qui est toujours dans notre propre pays  », comme disait le révolutionnaire allemand Karl Liebknecht en 1916, en pleine Première Guerre mondiale.

    Partout, la marche à une économie de guerre

    Le 6 février, Antonio Guterres, secrétaire général de l’ONU [...] : «   Le monde se dirige les yeux grand ouverts [vers] une guerre plus large .  »

    On vient d’en avoir la confirmation au sommet des ministres de la Défense des membres de l’OTAN. Il leur a été demandé, selon Les Échos, «  de passer en #économie_de_guerre  », de relancer et activer la #production_d’armements, et d’abord d’#obus, de #chars et de pièces d’artillerie, pour faire face à «  une #guerre_d’usure  » en Ukraine. Et de préciser que si, il y a dix ans, les États-Unis demandaient à leurs alliés de monter leurs #dépenses_militaires à 2 % de leur produit intérieur brut, ce chiffre est désormais considéré comme un plancher que beaucoup ont dépassé. La conférence sur la sécurité en Europe qui a suivi, à Munich, a réuni la plupart des dirigeants européens et mondiaux pour aller dans le même sens.

    C’est ce qu’ils font en cherchant à persuader leur population de l’inéluctabilité de la guerre  ; en lui désignant comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine  ; en déployant une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers  ; en mettant l’accent sur la préparation de la #jeunesse à servir «  sa  » nation, à la défendre, sans jamais dire qu’il s’agira de la transformer en #chair_à_canon pour les intérêts des classes possédantes. Le gouvernement français s’en charge avec son #Service_national_universel, qui vise à apprendre à des jeunes à marcher au pas, avec des reportages télévisés plus ou moins suscités sur le service à bord de navires de guerre, sur des régions sinistrées (Saint-Étienne) où la reprise de la production d’armes ferait reculer le chômage. Le nouveau ministre allemand de la Défense se situe sur le même terrain, lui qui veut rétablir le service militaire et faire de la Bundeswehr la première armée du continent grâce aux 100 milliards de hausse de son #budget.

    En juin dernier, Macron avait annoncé la couleur avec son plan Économie de guerre doté par l’État de 413 milliards sur sept ans. Il fallait «  aller plus vite, réfléchir différemment sur les rythmes, les montées en charge, les marges, pour pouvoir reconstituer plus rapidement ce qui est indispensable pour nos #armées, pour nos alliés ou pour celles [comme en Ukraine] que nous voulons aider  ». Et, s’adressant aux dirigeants de l’organisme qui regroupe les 4 000 entreprises du secteur militaire, il leur avait promis des décisions et, surtout, des #investissements. Pour les #profits, la guerre est belle…

    Bien au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial, qui va s’aggravant sans que quiconque dans les milieux dirigeants de la bourgeoisie en Europe et en Amérique sache comment y faire face.

    Comme à chaque fois que le monde se trouve confronté à une telle situation, la bourgeoisie et ses États en appellent à l’industrie d’armement pour relancer l’économie. Car, grâce au budget militaire des États, elle échappe à la chute de la demande qui affecte les secteurs frappés par la baisse du pouvoir d’achat des couches populaires et, en dopant le reste de l’économie par des commandes de machines, de logiciels, de matériaux, de matières premières, etc., la bourgeoisie peut espérer que cela l’aidera à maintenir le taux de profit général.

    [...] même quand certains prétendent chercher une solution de paix à une guerre que leur politique a suscitée, la logique de leur politique d’armement continu de l’un des deux camps sur le terrain, celle de la militarisation de l’économie de nombreux pays sur fond d’une crise générale dont l’évolution leur échappe, tout cela fait que, de la guerre en Ukraine à un conflit plus large, la distance pourrait être bien plus courte qu’on ne le croit.

    Contrairement à ce qu’affirme Guterres, ce n’est pas toute l’humanité qui avance vers l’abîme les yeux grands ouverts. Les dirigeants politiques de la bourgeoisie ne peuvent pas ne pas voir ce qu’ils trament, eux, et dans quels intérêts, ceux de la bourgeoisie. Cela, ils le discernent en tout cas bien mieux que les masses du monde entier, auxquelles on masque la réalité, ses enjeux et son évolution qui s’accélère.

    Oui, en Ukraine, en Russie, comme partout ailleurs, le niveau de la conscience et de l’organisation de la classe ouvrière est très en retard sur cette course à la guerre dans laquelle la bourgeoisie engage l’humanité. Et plus encore au regard de ce qu’il faudrait pour l’enrayer, la transformer en guerre de classe pour l’émancipation des travailleurs du monde entier.

    C’est ce que firent les bolcheviks en Russie en 1917, en pleine guerre mondiale. C’est sur cette voie qu’il faut que s’engagent, en communistes révolutionnaires et internationalistes, en militants de la seule classe porteuse d’avenir, le prolétariat, toutes celles et tous ceux qui veulent changer le monde avant qu’il ne précipite à nouveau l’humanité dans la barbarie. Alors, pour paraphraser ce que Lénine disait de la révolution d’Octobre  : «  Après des millénaires d’esclavage, les esclaves dont les maîtres veulent la guerre leur [répondront]  : Votre guerre pour le butin, nous en ferons la guerre de tous les esclaves contre tous les maîtres.  »

    #guerre_en_ukraine #capitalisme #crise

    • Royaume-Uni : hausse significative du budget militaire

      A l’occasion de la mise à jour de sa doctrine de politique étrangère, le Royaume-Uni a annoncé son intention de porter à terme son #budget_défense à 2,5 % du PIB.

      Face aux « nouvelles menaces », le #Royaume-Uni va investir cinq milliards de livres supplémentaires dans sa politique de défense. Cette rallonge va porter ce budget à 2,25 % du PIB à horizon 2025, un redressement jamais vu depuis la guerre froide.
      Cette enveloppe doit permettre de « reconstituer et de renforcer les stocks de #munitions, de moderniser l’entreprise nucléaire britannique et de financer la prochaine phase du programme de #sous-marins_Aukus », a souligné Downing Street dans un communiqué, le jour même de la signature à San Diego du contrat entre l’Australie, les Etats-Unis et le Royaume-Uni. A terme, l’objectif est de revenir à des dépenses militaires équivalentes à 2,5 % du PIB, bien au-dessus de l’engagement pris au niveau de l’#Otan (2 % du PIB).

      Ces annonces interviennent au moment où le Royaume-Uni met à jour sa doctrine de politique étrangère dans un document de 63 pages qui fait la synthèse des principaux risques pour la sécurité du pays. La dernière mouture, publiée il y a trois ans, exposait les ambitions de la « Global Britain » de Boris Johnson au lendemain du Brexit. La #Russie y était identifiée comme la principale menace pour la sécurité. La #Chine était qualifiée de « défi systémique » et le document annonçait un « pivot » du Royaume-Uni vers l’axe Indo-Pacifique.
      Les tendances observées sont toujours les mêmes, mais « elles se sont accélérées ces deux dernières années », observe cette nouvelle revue. « Nous sommes maintenant dans une période de risques renforcés et de volatilité qui va probablement durer au-delà des années 2030 », note le rapport.

      (Les Échos)

      #militarisation #impérialisme

    • Les importations d’armes en Europe en forte hausse

      Les #achats_d'armement ont quasiment doublé l’an dernier sur le sol européen

      Depuis le début de la guerre en Ukraine, l’Europe s’arme massivement. C’est ce que confirme le dernier rapport de l’#Institut_international_de_recherche_sur_la_paix_de_Stockholm (Sipri), publié lundi. Hors Ukraine, les #importations_d'armements sur le Vieux Continent se sont envolées de 35 % en 2022. En intégrant les livraisons massives d’#armes à l’Ukraine, elles affichent une hausse de 93 %.

      […] Sur la période 2018-2022, privilégiée par le #Sipri pour identifier les tendances de fond, les importations d’armes européennes affichent ainsi une hausse de 47 % par rapport aux cinq années précédentes, alors qu’au niveau mondial, les transferts internationaux d’armes ont diminué de 5,1 % sur cette période. Un contraste majeur qui témoigne de la volonté des Européens d’« importer plus d’armes, plus rapidement », explique Pieter ​Wezeman, coauteur du rapport.
      Dans cette optique, outre les industriels locaux, les Européens comptent sur les #Etats-Unis. Sur la période 2018-2022, ces derniers ont représenté 56 % des #importations_d'armes de la région. Le premier importateur en #Europe a été le Royaume-Uni, suivi de l’#Ukraine et de la Norvège.
      […]

      En France, #Emmanuel_Macron a proposé une augmentation de 100 milliards d’euros pour la loi de programmation militaire 2024-2030 par rapport à la période 2019-2025. Le Premier ministre britannique, #Rishi_Sunak, vient pour sa part d’annoncer que le #Royaume-Uni allait investir 5 milliards de livres (5,6 milliards d’euros) supplémentaires dans la défense, dans un contexte de « nouvelles menaces venues de #Russie et de #Chine ». Plus symbolique encore, l’Allemagne du chancelier #Olaf_Scholz a annoncé, en mai 2022, le lancement d’un fonds spécial de 100 milliards pour moderniser son armée et rompre avec des décennies de sous-investissement.

      (Les Échos)

      #militarisation

    • La France s’apprête à relocaliser sur son sol une vingtaine de productions industrielles militaires , révèle mardi franceinfo. Ces relocalisations sont une déclinaison de « l’économie de guerre » réclamée par l’Élysée.

      Le mois dernier, on a appris que la France s’apprêtait à relocaliser la production de #poudre pour ses obus d’artillerie (de 155mm). Selon nos informations, en tout, il y aura une vingtaine de relocalisations stratégiques en France.

      Dans le détail, la France va donc de nouveaux produire sur son territoire des #coques de bateaux produites jusqu’à présent dans les pays de l’Est, des explosifs pour gros calibres produits en Suède, Italie ou encore Allemagne, mais, surtout, des pièces jugées « critiques » pour certains moteurs d’hélicoptères. On parle ici précisément des disques des turbines haute-pression des bi-moteurs RTM322. Jusqu’à présent, ces pièces étaient élaborées aux Etats-Unis puis forgées en Angleterre. Bientôt, l’élaboration et la forge seront faites en France dans l’usine #Aubert_et_Duval située dans le Puy-de-Dôme. […]

      (France Info)

      #militarisation #relocalisation #industrie_de_la_défense

    • Emmanuel Chiva est à la tête (de l’emploi) de la direction générale de l’armement (DGA). Son sale boulot : mettre en œuvre l’« économie de guerre » voulue par Macron.

      Un type qui pratique au quotidien "l’argent magique" et un "pognon de dingue" (public) au service des capitalistes de l’armement. Le principe : un vol à grande échelle des fruits du travail de millions de travailleurs pour produire en masse du matériel de destruction massive.

      Pour nous en faire accepter les conséquences (les futures baisses du pouvoir d’achat, les hôpitaux fermés, les écoles surchargées, les enseignants en sous-effectif, les transports dégradés, un budget de l’État écrasé par la dette, etc.), Le Monde lui tend ses colonnes : « Nous sommes entrés dans l’économie de guerre »
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/03/15/emmanuel-chiva-dga-nous-sommes-entres-dans-l-economie-de-guerre_6165595_3210

    • La marche vers un économie de guerre
      https://lutte-ouvriere.be/la-marche-vers-un-economie-de-guerre

      [...] Les USA augmentent fortement leur budget militaire, l’Allemagne débloque 100 milliards pour l’armée, la France annonce plus de 400 milliards de budget pour les prochaines années et en Belgique, 14 milliards de dépenses guerrières supplémentaires sont prévues d’ici 2030.

      Pour faire accepter l’envolée des dépenses militaires, alors que partout les besoins des populations sont criants, les dirigeants des pays capitalistes cherchent à persuader de l’inéluctabilité de la guerre. Ils désignent comme ennemis certains pays, au premier rang desquels la Russie et la Chine, et déploient une propagande insidieuse mais permanente dans les médias autour de thèmes guerriers.

      Les gouvernements mettent aussi l’accent sur la préparation de la jeunesse qu’ils comptent utiliser comme chair à canon. L’Etat belge s’en est chargé en ouvrant cette année, dans 13 écoles de la fédération Wallonie Bruxelles, une option « métiers de la Défense et de la sécurité » dans laquelle des jeunes sont préparés à devenir agent de sécurité, policier ou militaire, à partir de la quatrième secondaire technique !

      Au-delà du conflit ukrainien, la cause profonde de l’envolée des budgets militaires est à chercher dans la crise du système capitaliste mondial qui ne fait que s’aggraver.

    • Vers un doublement du budget militaire / Le Japon tourne la page du pacifisme
      https://www.monde-diplomatique.fr/2023/03/POUILLE/65605

      Ce samedi 27 novembre 2021, le premier ministre japonais Kishida Fumio effectue une visite matinale des troupes de défense terrestre sur la base d’Asaka, au nord de Tokyo. Après un petit tour en char d’assaut, il prononce un discours de rupture : « Désormais, je vais envisager toutes les options, y compris celles de posséder des capacités d’attaque de bases ennemies, de continuer le renforcement de la puissance militaire japonaise. » Selon le chef du gouvernement, « la situation sécuritaire autour du Japon change à une vitesse sans précédent. Des choses qui ne se produisaient que dans des romans de science-fiction sont devenues notre réalité ». Un an plus tard, M. Kishida annonce le doublement des dépenses de #défense et débloque l’équivalent de 315 milliards de dollars sur cinq ans. Le #Japon va ainsi disposer du troisième budget militaire du monde derrière ceux des États-Unis et de la Chine. Il représentera 2 % du produit intérieur brut (PIB), ce qui correspond à l’engagement pris en 2014 par les vingt-huit membres de l’Organisation du traité de l’Atlantique nord (#OTAN)… dont il ne fait pourtant pas partie.

      Ces décisions — qui s’inscrivent dans le cadre de la nouvelle « stratégie de sécurité nationale » dévoilée en août 2022 — changent profondément les missions des forces d’autodéfense, le nom officiel de l’#armée_nippone. Elles ne s’en tiendront plus, en effet, à défendre le pays mais disposeront des moyens de contre-attaquer. Et même de détruire des bases militaires adverses.

      Cette #militarisation et cette imbrication renforcée avec les États-Unis sonnent, pour la presse chinoise, comme dune dangereuse alerte. Certes, les rapports sino-japonais s’étaient déjà dégradés quand Tokyo avait acheté, le 11 septembre 2012, trois des îles Senkaku/Diaoyu à leur propriétaire privé et que, dans la foulée, Pékin avait multiplié les incursions dans la zone (8). Les visites régulières d’Abe au sanctuaire Yasukuni, qui honore la mémoire des criminels de guerre durant la seconde guerre mondiale, n’avaient rien arrangé.

      Mais le climat s’était plutôt apaisé dans la dernière période. « J’étais parvenu à un consensus important [avec Abe] sur la construction de relations sino-japonaises répondant aux exigences de la nouvelle ère (9) », a même témoigné le président chinois après l’assassinat de l’ex-premier ministre, en juillet 2022. Depuis l’annonce de la nouvelle stratégie de défense, le ton a changé.

      [...] en tournant le dos brutalement à sa politique pacifiste, le Japon se place en première ligne face à Pékin et éloigne tout espoir d’autonomie vis-à-vis des États-Unis. Cette impossible entrée dans l’après-guerre froide cohabite pourtant avec un dynamisme régional haletant où, de Hanoï à Colombo, ce pays vieillissant a construit les leviers de sa future croissance. Il y est en concurrence directe avec la Chine, très présente. Déjà, la plupart des pays asiatiques refusent de choisir entre Pékin et Washington, qui leur promet la sécurité. Et avec Tokyo ?

      (Le Monde diplomatique, mars 2023)

      #budget_militaire

    • Le géant de l’armement Rheinmetall surfe sur la remilitarisation de l’Europe (Les Échos)

      L’entrée au DAX, lundi, du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe consacre le retour en force des combats conventionnels terrestres. Après une année 2022 record, Rheinmetall s’attend à faire mieux encore en 2023.

      Ce lundi, Armin Papperger, le patron de Rheinmetall, se fera un plaisir de sonner la cloche de la Bourse de Francfort pour marquer l’entrée de son groupe dans le Dax après une année record. Son cours a doublé et sa valorisation avoisine 10,5 milliards d’euros. « Le changement d’ère et la guerre en Europe ont ouvert une nouvelle page pour #Rheinmetall », a-t-il déclaré jeudi, lors de la présentation des résultats du premier producteur de munitions et constructeur de chars en Europe.

      Le retour des combats conventionnels terrestres a dopé le résultat net de ce dernier : il a bondi de 61 %, à 469 millions d’euros pour un chiffre d’affaires record de 6,4 milliards d’euros, en hausse de 13,25 %. Le résultat opérationnel (Ebit hors effets exceptionnels) a, lui, progressé de 27 %, à 754 millions d’euros. Et ce n’est qu’un début : « Je m’attends à ce que l’année 2023 soit de loin la meilleure année de l’histoire de l’entreprise en termes de commandes », a annoncé Armin Papperger.

      Carnet de commandes record

      Il a plusieurs fois loué devant la presse l’efficacité du nouveau ministre de la Défense Boris Pistorius, qui devrait, selon lui, permettre de débloquer enfin les 100 milliards du fonds de modernisation de l’armée allemande. Sur cette enveloppe, le patron de Rheinmetall estime pouvoir capter 38 milliards d’euros d’ici à 2030, dont 20 milliards répartis à parts équivalentes entre les chars et la numérisation des forces terrestres, et 8 milliards pour les munitions. A ces montants s’ajoute la hausse prévisible du budget de la défense allemande : Boris Pistorius a réclamé 10 milliards de plus par an et il faudrait même 10 milliards supplémentaires pour atteindre les 2 % du PIB. Un objectif pour tous les membres de l’Otan qui devrait rapidement devenir un prérequis minimum. Le réarmement généralisé des pays de l’Alliance atlantique ne peut donc que profiter à Rheinmetall. Il vient en outre d’élargir sa palette en s’invitant dans la fabrication du fuselage central du F-35 américain qui devrait lui rapporter plusieurs milliards d’euros. Le groupe, qui affichait déjà l’an dernier un carnet de commandes record de 24 milliards d’euros, estime avoir les capacités pour faire bien davantage.

      600.000 obus

      En Ukraine, Rheinmetall assure ainsi pouvoir livrer un peu moins de la moitié des besoins de la production d’artillerie. Avec l’achat du fabricant espagnol Expal Systems, qui devrait être bouclé dans l’année, la capacité annuelle du groupe passe à environ 450.000 obus, voire 600.000 d’ici à deux ans.

      Rheinmetall est en train d’agrandir une usine en Hongrie et souhaite en ouvrir une de poudre en Saxe avec la participation financière de Berlin. Selon Armin Papperger, l’intégration verticale de l’entreprise, qui produit elle-même ses composants, la met par ailleurs à l’abri d’un chantage éventuel de la Chine sur les matières premières. Quant à la main-d’oeuvre, elle ne manquerait pas : le groupe se dit « inondé de candidatures », il a recruté 3.000 personnes l’an dernier et compte en faire autant cette année. Toutes les planètes sont donc alignées aux yeux de Rheinmetall pour pousser les feux. Le groupe vise un chiffre d’affaires de 7,4 à 7,6 milliards d’euros en 2023, ce qui représenterait une nouvelle hausse de 15,5 % à 18,7 %. Sa marge opérationnelle devrait passer de 11,8 % à 12 % environ.

      #militarisation #militarisme #capitalisme #troisième_guerre_mondiale

    • La guerre en Ukraine accélère la militarisation

      La guerre en Ukraine accélère la militarisation de l’Europe. Tragédie pour les populations ukrainienne et russe qui ont déjà payé cette guerre de 30 000 morts, elle est une aubaine pour les militaires et les marchands d’armes. Première guerre dite «  de haute intensité  » en Europe depuis 1945, sur un front de plus de 1 000 kilomètres, elle permet aux militaires de tester leurs matériels, de valider ou adapter leurs doctrines d’utilisation. Elle offre un marché inespéré pour les marchands d’armes appelés à fournir munitions et missiles, drones ou chars détruits en grande quantité. Elle accélère la hausse des budgets militaires de tous les États.

      Une militarisation engagée avant la guerre en Ukraine

      La hausse des dépenses militaires dans le monde était engagée avant l’invasion russe de l’Ukraine. Selon le dernier rapport du Sipri, l’Institut international pour la paix de Stockholm, publié le 25 avril, les dépenses militaires dans le monde ont dépassé en 2021, pour la première fois, la barre des 2 000 milliards de dollars, avec 2 113 milliards de dollars, soit 2,2 % du PIB mondial. C’est la septième année consécutive de hausse des dépenses militaires dans le monde selon ce rapport, qui précise  : «  Malgré les conséquences économiques de la pandémie de Covid-19, les dépenses militaires mondiales ont atteint des niveaux records.  »

      Si la Russie, présentée comme le seul agresseur et va-t-en-guerre, a augmenté son budget militaire en 2021, qui atteint 66 milliards de dollars et 4 % de son PIB, elle n’arrive qu’en cinquième position dans le classement des puissances les plus dépensières, derrière les États-Unis, la Chine, l’Inde et la Grande-Bretagne.

      En Grande-Bretagne, avec 68,3 milliards de dollars, les dépenses militaires sont en hausse de 11,1 %. Après le Brexit, Boris Johnson a multiplié les investissements, en particulier dans la marine. Peu avant sa démission, il affirmait vouloir restaurer l’impérialisme britannique en tant que «  première puissance navale en Europe  » et marquait à la culotte les autres puissances impérialistes du continent. Il a été l’un des premiers dirigeants européens à se rendre à Kiev pour afficher son soutien à Zelensky. Toute une brochette de politiciens britanniques milite pour que les dépenses militaires augmentent plus vite encore dans les années à venir. Ainsi, Nile Gardiner, ancien collaborateur de Thatcher, affirmait en mars au Daily Express : «  Les dépenses de défense devraient doubler, de deux à quatre pour cent [du PIB] dans les années à venir si la Grande-Bretagne veut sérieusement redevenir une puissance mondiale.  »

      Johnson a renforcé par divers canaux sa coopération militaire avec les États-Unis. Ces liens étroits entre les impérialismes britannique et américain ont été illustrés par l’alliance #Aukus (acronyme anglais pour Australie, Royaume-Uni et États-Unis) contre la Chine. Cette alliance s’est concrétisée par la commande australienne de huit sous-marins à propulsion nucléaire, pour la somme de 128 milliards de dollars. Déjà en hausse de 4 % en 2021 par rapport à 2020, les dépenses militaires de l’Australie sont donc appelées à augmenter. C’est aussi la politique occidentale agressive vis-à-vis de la Chine, et les pressions américaines, qui ont poussé le Japon à dépenser 7 milliards de dollars de plus en 2021 pour ses armées, la plus forte hausse depuis 1972.

      Selon le rapport du #Sipri, dès 2021, donc avant la guerre en Ukraine, huit pays européens membres de l’#Otan avaient porté leurs dépenses militaires à 2 % de leur PIB, ce que réclament depuis longtemps les États-Unis à leurs alliés. Avec 56,6 milliards de dollars (51 milliards d’euros) dépensés en 2021, la France est passée de la huitième à la ­sixième place des États pour leurs dépenses en armement. La loi de programmation militaire 2019-2025 avait déjà prévu un budget de 295 milliards d’euros sur six ans, pour arriver à plus de 2,5 % du PIB en 2025.

      La guerre en Ukraine a donc éclaté dans ce contexte d’augmentation générale des dépenses d’armement, qu’elle ne peut qu’accélérer et renforcer.

      Les leçons de la guerre en Ukraine

      Pour les états-majors et les experts, la #guerre_en_Ukraine n’est pas une tragédie mais d’abord un formidable terrain d’expérimentation des matériels de guerre et des conditions de leur mise en œuvre. Chaque épisode – offensive contrariée des armées russes au début de la #guerre, retrait du nord de l’#Ukraine puis offensive dans le #Donbass, destruction méthodique des villes – et les diverses façons d’utiliser l’artillerie, les drones, l’aviation, les moyens de communication et de renseignement sont étudiés pour en tirer le maximum de leçons. Depuis six mois, des milliers d’experts et d’ingénieurs chez #Thales, #Dassault, #Nexter, MBDA (ex-Matra), #Naval_Group ou chez leurs concurrents américains #Lockheed_Martin, #Boeing ou #Northrop_Grumman, étudient en détail comment cette guerre met en lumière «  la #numérisation du champ de bataille, les besoins de munitions guidées, le rôle crucial du secteur spatial, le recours accru aux drones, robotisation, cybersécurité, etc.  » (Les Échos du 13 juin 2022). Ces experts ont confronté leurs points de vue et leurs solutions technologiques à l’occasion de l’immense salon de l’#armement et de la sécurité qui a réuni, début juin à Satory en région parisienne, 1 500 #marchands_d’armes venus du monde entier. Un record historique, paraît-il  !

      Les leçons de la guerre en Ukraine ne sont pas seulement technologiques. Comme l’écrivait le journal Les Échos du 1er avril 2022, «  la guerre entre grands États est de retour en Europe. » Cette guerre n’a plus rien à voir avec «  les “petites guerres” comme celles de Bosnie ou du Kosovo, ni les opérations extérieures contre des groupes terroristes (Al Qaida, Daech) ou des États effondrés (Libye, 2011)  ». Pour les militaires, cette guerre n’est plus «  une guerre échantillonnaire mais une guerre de masse  », tant du point de vue du nombre de soldats tués ou blessés au combat que du nombre de munitions tirées et du matériel détruit.

      Entre février et juin, selon les estimations réalisées malgré la censure et les mensonges de chaque camp, cette guerre aurait fait 30 000 morts russes et ukrainiens, plusieurs centaines par jour. L’Ukraine rappelle que la guerre est une boucherie, que les combats exigent sans cesse leur chair à canon, avec des soldats qui pourrissent et meurent dans des tranchées, brûlent dans des chars ou sont tués ou estropiés par des obus et des missiles. Leur guerre «  de haute intensité  », c’est avant tout des morts, parmi les militaires comme les civils. Préparer les esprits à accepter de «  mourir pour nos valeurs démocratiques  », autre déclinaison du «  mourir pour la patrie  », est l’un des objectifs de la #propagande des gouvernements occidentaux qui mettent en scène la guerre en Ukraine.

      Côté matériel, les armées russes ont perdu plusieurs centaines de chars. Les États-Unis et leurs alliés ont livré plusieurs dizaines de milliers de missiles sol-sol ou sol-air de type Javelin ou Stinger, à 75 000 dollars pièce. Une semaine après le début de l’invasion russe, le colonel en retraite Michel Goya, auteur d’ouvrages sur les guerres contemporaines, écrivait  : «  L’#armée_de_terre française n’aurait plus aucun équipement majeur au bout de quarante jours  » (véhicules de combat, pièces d’artillerie…). La conclusion de tous ces gens-là est évidente, unanime  : il faut «  des forces plus nombreuses, plus lourdement équipées [qui] exigeront des budgets de défense accrus  » (Les Échos, 1er avril 2022). Augmenter les budgets militaires, drainer toujours plus d’argent public vers l’industrie militaire ou sécuritaire, c’est à quoi s’emploient les ministres et les parlementaires, de tous les partis, depuis des années.

      Des complexes militaro-industriels concurrents

      La guerre en Ukraine, avec l’augmentation spectaculaire des #budgets_militaires qu’elle accélère, est une aubaine pour les marchands d’armes. Mais elle intensifie en même temps la guerre que se livrent ces industriels. L’annonce par le chancelier allemand, fin février, d’un emprunt de 100 milliards d’euros pour remettre à niveau la #Bundeswehr, autrement dit pour réarmer l’Allemagne, a déclenché des polémiques dans l’#Union_européenne. Le journal Les Échos du 30 mai constatait avec dépit  : «  L’#armée_allemande a annoncé une liste de courses longue comme le bras, qui bénéficiera essentiellement aux industries américaines  : achat de #F-35 à Lockheed Martin, d’hélicoptères #Chinook à Boeing, d’avions P8 à Boeing, de boucliers antimissiles à Israël, etc.  » Au grand dam des militaristes tricolores ou europhiles, le complexe militaro-industriel américain profitera bien davantage des commandes allemandes que les divers marchands de mort européens.

      Il en est ainsi depuis la naissance de l’Union européenne  : il n’y a pas une «  #défense_européenne  » commune car il n’y a pas un #impérialisme européen unique, avec un appareil d’État unique défendant les intérêts fondamentaux d’une #grande_bourgeoisie européenne. Il y a des impérialismes européens concurrents, représentant des capitalistes nationaux, aux intérêts économiques complexes, parfois communs, souvent opposés. L’#impérialisme_britannique est plus atlantiste que les autres puissances européennes et très tourné vers son vaste ex-­empire colonial. L’#impérialisme_français a développé ses armées et sa marine pour assurer sa mainmise sur son pré carré ex-colonial, en particulier en Afrique. L’impérialisme allemand, qui s’est retranché pendant des décennies derrière la contrition à l’égard des années hitlériennes pour limiter ses dépenses militaires, en se plaçant sous l’égide de l’Otan et des #États-Unis, a pu consacrer les sommes économisées à son développement économique en Europe centrale et orientale. Les interventions militaires ou diplomatiques n’étant que la continuation des tractations et des rivalités commerciales et économiques, il n’a jamais pu y avoir de défense européenne commune.

      Les rivalités permanentes entre Dassault, Airbus, #BAE, #Safran ont empêché la construction d’un avion de combat européen. La prépondérance des États-Unis dans l’Otan et leur rôle majeur en Europe de l’Est et dans la guerre en Ukraine renforcent encore les chances du #secteur_militaro-industriel américain d’emporter les futurs marchés. Ces industriels américains vendent 54 % du matériel militaire dans le monde et réalisent 29 % des exportations. L’aubaine constituée par les futures dépenses va aiguiser les appétits et les rivalités.

      Bien sûr, les diverses instances européennes s’agitent pour essayer de ne pas céder tout le terrain aux Américains. Ainsi, le commissaire européen au Commerce et ex-ministre français de l’Économie, Thierry Breton, vient de débloquer 6 milliards d’euros pour accélérer le lancement de 250 satellites de communication de basse orbite, indispensables pour disposer d’un réseau de communication et de renseignement européen. Jusqu’à présent, les diverses armées européennes sont dépendantes des États-Unis pour leurs renseignements militaires, y compris sur le sol européen.

      À ce jour, chaque pays européen envoie en Ukraine ses propres armes, plus ou moins compatibles entre elles, selon son propre calendrier et sa volonté politique. Les champs de bataille du Donbass servent de terrain de démonstration pour les canons automoteurs français Caesar, dont les journaux télévisés vantent régulièrement les mérites, et les #chars allemands Gepard, anciens, ou Leopard, plus récents. La seule intervention commune de l’Union européenne a été le déblocage d’une enveloppe de financement des livraisons d’armes à l’Ukraine, d’un montant de 5,6 milliards sur six ans, dans laquelle chaque État membre peut puiser. C’est une façon de faciliter l’envoi d’armes en Ukraine aux pays de l’UE les moins riches. Avec l’hypocrisie commune aux fauteurs de guerre, les dirigeants de l’UE ont appelé cette enveloppe «  la facilité européenne pour la paix  »  !

      Vers une économie de guerre  ?

      Pour passer d’une «  guerre échantillonnaire  » à une «  guerre de masse  », la production d’armes doit changer d’échelle. Pour ne parler que d’eux, les fameux canons Caesar de 155 millimètres sont produits en nombre réduit, une grosse dizaine par an, dans les usines #Nexter de Bourges, pour la somme de 5 millions d’euros l’unité. Pour en livrer une douzaine à l’Ukraine, le gouvernement a dû les prélever sur la dotation de l’armée française, qui n’en a plus que 64 en service. Juste avant le début de la guerre en Ukraine, Hervé Grandjean, le porte-parole des armées, rappelait les objectifs de l’armée française pour 2025  : «  200 chars Leclerc, dont 80 rénovés, 135 #blindés_Jaguar, 3 300 #blindés_légers, 147 hélicoptères de reconnaissance et d’attaque dont 67 Tigre, 115 #hélicoptères de manœuvre, 109 #canons de 155 et 20 drones tactiques notamment  ». En comparaison, et même si les chars des différentes armées n’ont ni les mêmes caractéristiques ni la même valeur, en trois mois de guerre en Ukraine, plus de 600 chars russes ont été détruits ou mis hors service.

      La guerre en Ukraine devrait donc permettre aux militaires d’obtenir davantage de coûteux joujoux. Ils ont reçu le soutien inconditionnel du président de la Cour des comptes, l’ex-socialiste Pierre Moscovici, pour qui «  l’aptitude des armées à conduire dans la durée un combat de haute intensité n’est pas encore restaurée  ». Et dans son discours du 14 juillet, Macron a confirmé une rallonge de 3 milliards d’euros par an pour le budget de l’armée. Mais pour rééquiper en masse les armées européennes, il faut que les capacités de production suivent. Le 13 juin, Le Monde titrait  : «  Le ministère de la Défense réfléchit à réquisitionner du matériel du secteur civil pour refaire ses stocks d’armes  », et précisait  : «  L’État pourrait demander à une PME de mécanique de précision qui ne travaille pas pour le secteur de la défense de se mettre à disposition d’un industriel de l’armement pour accélérer ses cadences.  » Et comme toujours, l’État s’apprête à prendre en charge lui-même «  les capacités de production de certaines PME de la défense, en payant par exemple des machines-outils  ». Les capitalistes n’étant jamais si bien servis que par eux-mêmes, le chef de l’UIMM, le syndicat des patrons de la métallurgie, est désormais #Éric_Trappier, le PDG de Dassault.

      Produire plus massivement du matériel militaire coûtera des dizaines, et même des centaines, de milliards d’euros par an. Il ne suffira pas de réduire encore plus les budgets de la santé ou de l’école. Les sommes engagées seront d’un tout autre niveau. Pour y faire face, les États devront s’endetter à une échelle supérieure. Les gouvernements européens n’ont peut-être pas encore explicitement décidé un tel tournant vers la production en masse de ce matériel militaire, mais les plus lucides de leurs intellectuels s’y préparent. L’économiste et banquier Patrick Artus envisageait dans Les Échos du 8 avril le passage à une telle «  #économie_de_guerre  ». Pour lui, cela aurait trois conséquences  : une hausse des #dépenses_publiques financées par le déficit du budget de l’État avec le soutien des #banques_centrales  ; une forte inflation à cause de la forte demande en énergie et en métaux parce que les #dépenses_militaires et d’infrastructures augmentent  ; enfin la rupture des interdépendances entre les économies des différents pays à cause des ruptures dans les voies d’approvisionnement.

      Avant même que les économies européennes ne soient devenues «  des économies de guerre  », les dépenses publiques au service des capitalistes ne cessent d’augmenter, l’inflation revient en force, aggravée par la spéculation sur les pénuries ou les difficultés d’approvisionnement de telle ou telle matière première. L’#économie_capitaliste est dans une impasse. Elle est incapable de surmonter les contradictions qui la tenaillent, et se heurte une fois de plus aux limites du marché solvable et à la concurrence entre capitalistes, qui engendrent les rivalités entre les puissances impérialistes  ; à la destruction des ressources  ; et à son incapacité génétique d’en planifier l’utilisation rationnelle au service de l’humanité. La course au militarisme est inexorable, car elle est la seule réponse à cette impasse qui soit envisageable par la grande bourgeoisie. Cela ne dépend absolument pas de la couleur politique de ceux qui dirigent les gouvernements. Le militarisme est inscrit dans les gènes du capitalisme.

      Le #militarisme, une fuite en avant inexorable

      Il y a plus d’un siècle, #Rosa_Luxemburg notait que le militarisme avait accompagné toutes les phases d’accumulation du #capitalisme  : «  Il est pour le capital un moyen privilégié de réaliser la plus-value.  » Dans toutes les périodes de crise, quand la rivalité entre groupes de capitalistes pour s’approprier marchés et matières premières se tend, quand le marché solvable se rétrécit, le militarisme a toujours représenté un «  champ d’accumulation  » idéal pour les capitalistes. C’est un marché régulier, quasi illimité et protégé  : «  L’#industrie_des_armements est douée d’une capacité d’expansion illimitée, […] d’une régularité presque automatique, d’une croissance rythmique  » (L’accumulation du capital, 1913). Pour la société dans son ensemble, le militarisme est un immense gâchis de force de travail et de ressources, et une fuite en avant vers la guerre généralisée.

      Pour les travailleurs, le militarisme est d’abord un vol à grande échelle des fruits de leur travail. La production en masse de matériel de destruction massive, ce sont des impôts de plus en plus écrasants pour les classes populaires qui vont réduire leur pouvoir d’achat, ce sont des hôpitaux fermés, des écoles surchargées, des enseignants en sous-effectif, des transports dégradés, c’est un budget de l’État écrasé par la charge de la dette. Pour la #jeunesse, le militarisme, c’est le retour au service militaire, volontaire ou forcé, c’est l’embrigadement derrière le nationalisme, l’utilisation de la guerre en Ukraine pour redonner «  le sens du tragique et de l’histoire  », selon la formule du chef d’état-major des armées, Thierry Burkhard.

      L’évolution ultime du militarisme, c’est la #guerre_généralisée avec la #mobilisation_générale de millions de combattants, la militarisation de la production, la #destruction méthodique de pays entiers, de villes, d’infrastructures, de forces productives immenses, de vies humaines innombrables. La guerre en Ukraine, après celles en Irak, en Syrie, au Yémen et ailleurs, donne un petit aperçu de cette barbarie. La seule voie pour éviter une barbarie plus grande encore, qui frapperait l’ensemble des pays de la planète, c’est d’arracher aux capitalistes la direction de la société.

      Un an avant l’éclatement de la Première Guerre mondiale, #Rosa_Luxemburg concluait son chapitre sur le militarisme par la phrase  : «  À un certain degré de développement, la contradiction [du capitalisme] ne peut être résolue que par l’application des principes du socialisme, c’est-à-dire par une forme économique qui est par définition une forme mondiale, un système harmonieux en lui-même, fondé non sur l’accumulation mais sur la satisfaction des besoins de l’humanité travailleuse et donc sur l’épanouissement de toutes les forces productives de la terre.  » Ni Rosa Luxemburg, ni #Lénine, ni aucun des dirigeants de la Deuxième Internationale restés marxistes, c’est-à-dire communistes, révolutionnaires et internationalistes, n’ont pu empêcher l’éclatement de la guerre mondiale et la transformation de l’Europe en un gigantesque champ de bataille sanglant. Mais cette guerre a engendré la plus grande vague révolutionnaire de l’histoire au cours de laquelle les soldats, ouvriers et paysans insurgés ont mis un terme à la guerre et menacé sérieusement la domination du capital sur la société. L’issue est de ce côté-là.

    • France. Militaires et industriels doutent d’être suffisamment gavés

      Les « promesses déjà annoncées : une hausse de 5 milliards d’euros pour combler le retard dans les drones, un bond de 60 % des budgets des trois agences de renseignement, une relance des commandes dans la défense sol-air , la reconstitution des stocks de munitions. Il a aussi promis plus de navires et de satellites pour l’Outre-Mer, des avancées dans la cyberdéfense, le spatial, la surveillance des fonds marins, le doublement du budget des forces spéciales, et enfin une progression de 40 % des budgets pour la maintenance des équipements, afin d’en accroître les taux de disponibilité.

      Ajouter à cette liste un doublement de la réserve, une participation potentiellement accrue au service national universel, la promesse de dégager 10 milliards pour l’innovation... « Toutes les lignes budgétaires vont augmenter, sauf la provision pour les opérations extérieures », a déclaré le ministre. Selon lui, les dépenses pour aider l’armée ukrainienne ne seront pas imputées sur le budget des armées. Ce dont beaucoup de militaires doutent. Un partage des frais entre ministères est plus probable.

      (Les Échos)

    • Pour eux, la guerre n’est pas une tragédie, mais une aubaine.

      Entre 2018 et 2022, la France a vu sa part dans les ventes mondiales d’armes passer de 7 à 11 %.

      Actuellement 3e sur le marché de l’armement, elle se rapproche de la 2e place. Un record qui contribue à la surenchère guerrière, en Ukraine et ailleurs, et qui alimente les profits des marchands d’armes.

    • La nouvelle #loi_de_programmation_militaire a été présentée en Conseil des ministres ce mardi 4 avril. Un budget de la défense en hausse de 40 % par rapport à la #LPM 2019-2025. Un montant historique

      D’autant que la LPM 2024-2030 n’inclura pas le montant de l’aide militaire à l’#Ukraine

      La politique de l’actuel président de la République contraste avec celle de ses prédécesseurs. Comme beaucoup de ses voisins, la France a vu ses dépenses de défense diminuer depuis la fin de la #guerre_froide

      Réarmement spectaculaire de la #Pologne par le biais de la Corée du Sud

      « Ce pays est en première ligne et sera potentiellement une grande puissance militaire en 2030 », a affirmé Bruno Tertrais, directeur adjoint de la Fondation pour la recherche stratégique lors de son audition au Sénat. Le 30 janvier dernier, le Premier ministre polonais a ainsi annoncé que le budget de la défense atteindrait 4 % du PIB en 2023.

      #militarisation #budget_de_la_défense

    • On ne prépare une guerre qu’à la condition de pouvoir la gagner. Et en l’état, les occidentaux commencent tout juste à comprendre que ce qu’ils pensaient assuré (première frappe nucléaire et bouclier ABM) de la part des américains, n’est finalement pas du tout si assuré que cela et que même, ma foi, la guerre est peut-être déjà perdue.

    • En l’état, ce n’est pas la guerre. Mais, oui, ils s’y préparent.

      Et cette nouvelle guerre mondiale ne sera pas déclenchée nécessairement quand ils seront certains de « pouvoir la gagner ».

    • L’Union européenne et ses obus : un petit pas de plus vers une économie de guerre
      https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/05/10/lunion-europeenne-et-ses-obus-un-petit-pas-de-plus-vers-une-

      Mercredi 3 mai, le commissaire européen Thierry Breton a présenté son plan pour produire un million de munitions lourdes par an. Les industries d’armement européennes ne sont plus adaptées au rythme de production nécessaire pour des guerres de « haute intensité », ou même simplement telle que celle en Ukraine.

      Alors que l’armée ukrainienne tire 5 000 obus d’artillerie par jour de combat, la production annuelle du fabricant français Nexter ne permettrait de tenir ce rythme... que huit jours. Thierry Breton a annoncé une enveloppe de 500 millions d’euros pour stimuler dans ce sens les industriels de l’Union européenne. Elle fait partie d’un plan de deux milliards d’euros annoncé fin mars pour fournir des obus à l’armée de Kiev, sous prétexte « d’aider » l’Ukraine. Il s’agit d’abord de puiser dans les stocks nationaux, puis de passer des commandes, et enfin de remplir les caisses des industriels pour qu’ils produisent plus vite.

      Les sommes déployées par l’UE sont très marginales par rapport aux dépenses faites par chaque puissance impérialiste pour financer son propre armement et enrichir ses capitalistes de l’armement. Ainsi, la programmation militaire française a augmenté de 100 milliards d’euros, tandis que le gouvernement allemand promet, lui, 100 milliards pour moderniser son armée.

      L’annonce européenne vise sans doute surtout à afficher à l’échelle du continent, donc aux yeux d’un demi-milliard d’Européens, que l’on va vers une économie de guerre et qu’il faut s’y adapter dès maintenant. Dans ce qu’a déclaré Thierry Breton, il y a aussi l’idée de s’attaquer à tous les goulots d’étranglement qui bloquent cette marche vers une économie de guerre. Il prévoit des dérogations aux règles européennes, déjà peu contraignantes, sur le temps de travail, c’est-à-dire de donner carte blanche aux patrons pour allonger la journée de travail dans les usines concernées. Le flot d’argent public dépensé en armement, que ce soit au niveau des États ou de l’Union européenne, sera pris sur la population d’une façon ou une autre. Chaque milliard en plus pour les obus signifiera un hôpital en moins demain.

  • #violencespolicières #armes #police #manifestation...

    🛑 Maintien de l’ordre  : ces armes dangereuses utilisées en manifestation... - Amnesty International France

    Gaz lacrymogènes, grenades explosives, lanceur de balles de défense, matraques… partout dans le monde, la police utilise ce type d’armes dans le cadre de manifestations. Bien que qualifiées d’armes à létalité réduite*, elles blessent et tuent. Et leur commerce est hors de contrôle. Focus sur la dangerosité de ces armes utilisées par la police et sur l’encadrement à adopter à l’échelle internationale (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/maintien-de-l-ordre-ces-armes-dangereuses-utilisees-en-manifestation

  • Bruits de bottes
    https://www.lutte-ouvriere.org/en-regions/occitanie/breves/bruits-de-bottes-526153.html

    Le 27 février les habitants de #Sète et de #Frontignan se sont réveillés avec une opération amphibie, le #débarquement de 700 hommes et de 140 véhicules accompagnés par la présence de deux porte-hélicoptères dans le cadre de l’#opération_Hemex-Orion, « un #entraînement_à_haute_intensité ».

    Sur le port de Frontignan, il s’agit de « créer la confusion chez l’ennemi pour qu’il ne s’attende pas à l’endroit où on va débarquer » affirme un officier, de nouveaux combats pour de faux, sont prévus à Sète jeudi 2 mars.

    L’#armée met en scène une coalition pour soutenir un Etat nommé « Arnland » contre un Etat doté de la bombe nucléaire nommé « Mercure ». Bien que #Patricia_Mirallès, secrétaire d’Etat en charge des Anciens Combattants, interrogée dans le Midi Libre, assure que cet exercice a été programmé antérieurement à la #guerre_en_Ukraine elle tient à rappeler que la France est « la première armée d’Europe » et qu’elle démontre l’ampleur de ses capacités militaires pour conclure « Nos armées doivent être prêtes ». Même si la France est un #impérialisme de seconde zone, elle entend garder ce statut et n’hésite pas à montrer les muscles pour entretenir l’illusion qu’elle a les moyens de ses ambitions.

    Toute la panoplie des #engin_de_mort sera déployée dans ce qui est le plus grand exercice jamais organisé sur le territoire français, avec de 7 à 12 000 #soldats dans la région et qui se terminera début mai L’objectif donc : se préparer à intervenir potentiellement dans un conflit comme celui qui se déroule actuellement en #Ukraine mais aussi mobiliser le « tissu civil », c’est-à-dire évaluer la capacité de la société civile à soutenir les armées en cas de conflit majeur. Cela concerne la logistique, le ravitaillement ou encore le soin des troupes mais aussi l’obtention d’information.

    Cela nous rappelle qu’en cas de conflit, ceux qui ne sont pas aux combats ne seront pas épargnés. Il faudra se plier aux besoins de l’armée et à ceux des industriels de l’armement. C’est bien ce que Macron entend quand il parle d’#économie_de_guerre, en plus des aides à fond perdu pour fabriquer des armes, il faudra marcher au pas pour l’union sacrée dont ils commencent déjà à nous rebattre les oreilles.

    Entre chair à canon et chair à profit, c’est sur les travailleurs que va retomber la catastrophe que nous préparent les exploiteurs et leurs serviteurs. Seuls les travailleurs conscients de leurs intérêts peuvent faire taire cette escalade guerrière et les bruits de bottes qui l’accompagnent. Sans eux, il n’y a ni arme, ni armée ni profit.

    #capitalisme #barbarie

    • Exercice Hemex-Orion 2023 : la France assume la guerre de repartage
      https://agauche.org/2023/02/27/exercice-hemex-orion-2023-la-france-assume-la-guerre-de-repartage

      Cela signifie que la guerre pour le repartage de l’ordre mondial issu de la deuxième guerre mondiale est entièrement assumé par la France, comme le décrit le service communication des armées dans sa petite vidéo de présentation de l’exercice :

      « Orion consitute le premier jalon d’un nouveau cycle d’exercice triennal des armées. Le contexte international est marqué par la durcissement de la compétition entre grandes puissances, le réarmement et la déshinibition de certaines puissances régionales, la multiplication des foyers de crises et l’expansion de la menace terroriste. »
      https://www.youtube.com/watch?v=dxn2jE8W8sA


      Ce qui est clair, c’est que la France prépare activement la guerre et cela fait échos à une citation des Comités de la paix des Usines Schneider de 1952 reprise par la gazette anti-guerre Rosa dans son numéro 11 :

      " Les ouvriers pensent et disent que ce n’est pas tellement sûrs que la guerre soit une fatalité, car une fatalité qui a un plan et qui a des crédits, n’en est pas une ."

      A l’instar de la France « nation-cadre » en Roumanie, c’est-à-dire puissance dirigeante et coordonnatrice de plusieurs armées pour le compte de l’Otan, l’exercice #Hemex-Orion n’est là que pour préparer la France à manier un déploiement militaire sophistiqué par et pour l’Otan.

      Car derrière cet exercice où prennent part des soldats allemands, belges, italiens, grecs, américains, anglais, etc., la France ne vise pas directement à assurer la défense nationale, mais bien plutôt à montrer sa crédibilité envers l’Otan.

      C’est un signal envoyé aux États-Unis comme quoi la France reste dans la course pour la guerre de repartage qui s’annonce, ou plutôt qui a déjà commencé avec la guerre contre la Russie.

      C’est une preuve une fois de plus que la France n’est qu’une puissance de second ordre qui tente, tant bien que mal, de conserver sa place au soleil en tirant profit du mieux qu’elle peut de l’ordre international garanti par l’Otan depuis les années 1950. Car il faut bien comprendre que mobiliser 12 000 hommes, c’est tout à la fois rien au regard de ce qui se passe justement en Ukraine et déterminant si l’on se place sur le plan de la coalition Otan.

      Il faut donc prendre cet exercice pour ce qu’il signifie historiquement : la France est un protagoniste majeur du militarisme occidental qui se prépare à maintenir le statu quo mondial qui lui est favorable.

      Quiconque ne le conteste pas est de facto dans le camp du militarisme français.

  • The lost nuclear bombs that no one can find - BBC Future
    https://www.bbc.com/future/article/20220804-the-lost-nuclear-bombs-that-no-one-can-find


    Once the missing Palomares weapon had been recovered, a bomb disposal team had to find a way to deactivate it
    (Credit: Getty Images)

    The US has lost at least three nuclear bombs that have never been located – they’re still out there to this day. How did this happen? Where could they be? And will we ever find them?

  • In Chicago, a Socialist Teacher Takes on the Entrenched Political Machine
    https://jacobin.com/2023/02/chicago-11th-ward-alderman-election-ambria-taylor-dsa

    Die Probleme der kleinen Leute sind überall die gleichen: Besser Schulen, bezahlbare Wohnungen, funktionierende öffentliche Einrichtungen und Transportmittel und die Beseitigung von Gewalt und Verbrechen. Der Süden von Chicago ist wie eine viel härtere Ausgabe der härtesten Ecken von Berlin Neukölln.

    In der Southside ist die Wahlkampagne einer Sozialistin Teil der Bewegung für einen gemeinsamen Kapf der Einwohner um eine Stadtverwaltung ohne die traditionelle Korruption und Vetternwirtschaft. Bis heute wird die Stadt wie der Erbhof einer Bügermeisterdynastie verwaltet. Damit soll jetzt Schluß sein.

    24.2.2023 by Caleb Horton - An interview with Ambria Taylor

    Chicago’s 11th Ward is the heart of the old “Chicago machine,” one of the largest, longest-running, and most powerful political forces in US history. For most of the twentieth century, the Chicago machine organized the political, economic, and social order of America’s second city. Patronage rewards like plum city jobs were awarded to lieutenants who could best turn out the vote for the Democratic Party, which in turn provided funds, connections, and gifts to the ruling Daley family and their inner circle.

    Mayor Richard J. Daley, often called “the last big city boss,” ruled Chicago from 1955 until his death in 1976. Daley spearheaded infrastructure and urban renewal projects that physically segregated white and black parts of the city with expressways and housing blocks and drove black displacement from desirable areas. He tangled with Martin Luther King Jr over school and housing desegregation, sicced the cops on antiwar protestors at the 1968 Democratic National Convention, and gave “shoot to kill” orders during the uprisings following King’s assassination.

    The Chicago machine’s glory days are past, but the legacy of the Daleys lives on. Relatives and friends of Mayor Daley still hold office throughout Chicago, and his nephew, Patrick Daley-Thompson, had a strong hold over City Council as the 11th Ward alderman until July 2022, when he was convicted of tax fraud and lying to federal bank regulators and forced to resign.

    Although the Daley family has lost direct control over the 11th Ward, their presence is still felt in the neighborhood of Bridgeport. While racial segregation is not explicitly enforced, the neighborhood still has a reputation among many older black residents as a “no-go zone,” and throughout the 2020 protests over the murder of George Floyd, white gangs roamed the streets with weapons questioning anyone who looked “out of place” — a callback to the racist mob violence perpetrated by the Hamburg Athletic Club, of which a teenage Daley was a member a whole century prior.

    So what is Ambria Taylor, a socialist public school teacher, doing running for office in the backyard of this entrenched political fiefdom? Jacobin contributor Caleb Horton sat down with Taylor to discuss why she chose to run at this time and in this place, and how she is building a movement that can overturn the power of one of the nation’s most notorious political dynasties.

    Taylor launched her campaign in October 2021, when Daley-Thompson was still in office. After a few months of campaigning, the 11th Ward began to undergo major changes. First Daley-Thompson was arrested and then convicted of fraud, and then the ten-year ward remap took place, removing parts of the old 11th Ward and adding parts of Chinatown and McKinley Park.

    In just a few short months, Taylor was facing a newly-appointed incumbent, a new map, and six other candidates for alderman. Taylor is the only progressive in the race.

    Caleb Horton

    Why did you decide to run for office?

    Ambria Taylor

    Growing up, I experienced poverty and homelessness in rural Illinois. I moved to Chicago when I was seventeen to escape that. I slept on my brother’s floor, shared an air mattress with my mom.

    Chicago saved my life in a lot of ways. Urban areas have public transportation, they have dense development where you can walk to get what you need, where you can get to a job without a car. Public goods help people survive.

    Experiencing all that defined me. It’s why I’m so committed to protecting public goods like affordable public transportation and affordable housing. It’s why I’m a socialist. It’s why I got my master’s degree and became a teacher.

    I had a chance to grow up and live a decent life thanks to the strong public goods and services available in Chicago, but unfortunately that’s all been under attack due to neoliberalism, the hollowing out of the public sphere, and the assaults on unions.

    That’s why I’m running. We deserve a city that works for everyone like it worked for me. We deserve a city that, in the richest country in the history of the world, provides for the people who live here and make it run. And here in Chicago we have been building the movement for the city we deserve through making the ward office a space for people who are marginalized to build power.

    Caleb Horton

    What do you want to do when you’re in office?

    Ambria Taylor

    In Chicago the local ward office has a lot of local power. The alderman is kind of like a mini-mayor of their district. They have power to make proposals for spending taxpayer money, and they each get a budget of discretionary funds of about $1.5 million annually for ward projects.

    Aldermen have influence in the committee that oversees Tax Increment Financing (TIF) districts. On TIFs, we gave $5 million in taxpayer money to Pepsi and $1.5 million to Vienna Beef.

    We shouldn’t be taking money away from our schools to fund giveaways to megacorporations, period. But if we’re going to have TIFs, residents should have democratic input into how those funds are spent. We have dozens of empty storefronts in what should be our commercial hubs — why not fund small businesses providing needed services and quality of life to residents?

    My dream is to, for one thing, involve the public in development decisions. But most of all, I want to ensure that money goes to things that benefit residents. Things they can see and experience, like cleaning alleys or tree trimming or sidewalk maintenance. In this ward, there’s a history of “the deal is made, and then they have a public meeting about it.” I want things to be the other way around.

    I’m excited for the potential of what we could do here if there’s a ward office that’s open and collaborative and is genuinely trying to do things that benefit the most vulnerable.

    Caleb Horton

    Could you talk a little bit about the ward’s political history, and why it has been such an “insiders’ club” of decision makers?

    Ambria Taylor

    We are on the Near South Side of Chicago. This ward now includes Bridgeport, Chinatown, and parts of a few neighborhoods called Canaryville, Armor Square, and McKinley Park.

    The Daley family is from this area. The home that’s been in the family for generations is here. The family has been powerful here for a really long time. They were also involved in various clubs and associations, like the Hamburg Athletic Club that took part in the racist white riots in 1919.

    The 11th Ward is well known for being an enclave of extremely aggressive anti-black racism. In the 1990s there was a young black boy who dared cross over here from Bronzeville to put air in his bicycle tires from a place that had free air, and he was put into a coma by teenage boys.

    One of those boys was well connected to the Mafia here. Potential witnesses for the trial who knew this boy and were present when it happened weren’t willing to come forward. This happened in the 1990s. Think about how old the fourteen-, fifteen-, sixteen-year-old boys would be now. Many people who are influential now were alive during that time and were wrapped up in that culture. This was considered a sundown town, and to some people still is.

    Things are changing rapidly. People move to the suburbs, new people move in, things change over time. There still is a vocal conservative contingent here, but this is also a place where Bernie Sanders won the Democratic primary two times. Because of where we stand at this moment amid all those contradictions, we have the chance to make monumental change.

    There’s always been dissatisfaction with the machine, but we’ve started to cohere that dissatisfaction and the latent progressive energy into an organized base. We’ve brought together a base of people around progressive issues that many have said couldn’t exist here. We’re proving them wrong and proving the narrative about this part of the city wrong.

    As socialists, narratives are often used against us. It’s that narrative of what’s possible. The “Oh, we love Bernie, but he could never win. . . .” We say that a better world is possible. And what we’re seeing on the doors is that people are very excited to see a democratic socialist on the ballot. As far as I know, I’m the only person in the city running for office who has “socialist” on their literature. That’s big whether or not we win.

    Caleb Horton

    In what ways is this a movement campaign?

    Ambria Taylor

    We launched this campaign very early. We launched in October 2021 with an election at the end of February 2023. We did this because we needed time to organize.

    We started by holding community meetings for months. We brought communities together to articulate their desires for the city — like for streets and sanitation, public safety, the environment — and made those our platform planks.

    We engaged people with what they want to see happen in the ward: “How do you want an alderman to be working toward making those things happen? Let’s talk about how the city council works. Let’s talk about how the ward office operates and what budget it has.”

    Our residents have an appetite to get into the nitty-gritty about what an alderman can actually do to make progress on the things they want to see in this community and for Chicago. They want to take ownership over their own affairs.

    This is what political education can look like in the context of an aldermanic race. The people ask questions, articulate their needs, and we try to put that through the lens of what we can do as an aldermanic office and as organized communities.

    One thing we’ve found impactful is coming together for creative events. For instance, we had a huge block party with the owner and staff of a business called Haus of Melanin. This is a black-owned beauty bar that was vandalized twice in the months after they started up. A hair salon for black people? You can see why that might piss racists off.

    So we stepped in and built a relationship with them. We threw this huge block party, bringing a bunch of people together to say, “We’re going to celebrate that there are going to be black people in this neighborhood. There are going to be black-owned businesses that cater to black people.” And a lot of people came out in this neighborhood to say, “We support this business, we love that it’s here, and nobody is going to scare our neighbors away.”

    The business owner had talked about leaving. She had stylists leave because of the vandalism that happened. Haus of Melanin might have been chased out if the community didn’t turn out to say that these racists don’t represent us and we’re not going to take it. All of that is what a movement campaign looks like.

    Caleb Horton

    This is the city’s first Asian-majority ward, and the current alderperson is the city’s first Chinese American alderperson. Some people have said that this is an office that should go to an Asian American or a Chinese American person — that you as a white person shouldn’t be running for this office. How do you respond to that?

    Ambria Taylor

    We do remaps based on the census every ten years or so, and there was a big push to remap the 11th Ward to include Chinatown. Before the remap, the 11th Ward was 40 percent Asian, mostly Chinese. I think the biggest thing this remap did is unite a center politically that is already mapped culturally.

    The incumbent I’m running against was appointed by an unpopular mayor and is backed by the Daley family. Her father worked for Mayor Richard M. Daley. Richard M. Daley and John Daley sent out a letter backing our current alderman.

    It’s really exciting for this Asian-majority ward to have the opportunity to elect a representative they trust will fight for their interests.

    My team has worked hard to do everything on the campaign the way we plan to run our ward office. We have made the campaign a space to build power for people who are marginalized. We have a huge campaign team that includes canvassers who speak Mandarin, Cantonese, and Taishanese. Just today we used all three languages while we were at the doors.

    We make sure that people who are multilingual are present at our community meetings. Also every single piece of lit we’ve printed has been translated into three languages: English, Simplified Chinese, and Spanish.

    This election is not just about the candidate as a representative, but about electing someone who is going to focus on issues that matter to the people of this ward. This is bigger than one person, and we have been able to build a lot of meaningful connections.

    For example, we’ve made deep connections with Chinese-language newspapers, and that relationship is going to go a long way. We’ve had Chinese-language newspapers commenting on union rallies I was going to, my Democratic Socialists of America (DSA) endorsement, and so on, and we want to continue to nurture that relationship.

    Caleb Horton

    How has your experience as a Chicago Public Schools teacher influenced your politics?

    Ambria Taylor

    Teaching in Chicago Public Schools was really hard. I kind of expected that, but you have to live it for it to truly sink in.

    After a year of student teaching, I started my first lead teaching position in the 2019–2020 year. A month and a half later, we went on strike for almost two weeks. We came back to the classroom, and just as I was trying to get back into the swing of things, COVID hit.

    I became a remote teacher of middle schoolers, and things were really difficult. We had to eventually juggle hybrid learning and lack of staff. I became the union delegate for our school and experienced horrible retaliation from my principal. But through that, I learned to organize people in my building around workplace issues even if they had different politics than me.

    I saw how the workplace can unite us — it gives you something to convene around, and it’s hard to have anything interfere with that because your reality is informing it all. Public education is in a lot of trouble, and I firsthand experienced these schools unraveling at the seams.

    The city allocates money to bullshit while lead paint flakes off the walls and our buildings fall apart. As teachers, we face the struggle of trying to get through the day while kids are being put in the auditorium a few classes at a time because there is not enough staff to supervise them.

    That influenced me because a huge part of my campaign as a socialist is to fight against neoliberalism, austerity, and private interests’ attempt to narrow what the public sector does by choking these various public services and then saying, “It doesn’t work!”

    What is happening with Chicago Public Schools is happening everywhere — at the Chicago Public Library, in our transit system. My dream is being part of a movement that will help save our public sector.

    Caleb Horton

    The Chicago political machine faced an unsuccessful challenger in the 11th Ward four years ago. What makes your campaign different?

    Ambria Taylor

    There have been other challengers to the machine politicians in the 11th Ward. Usually it’s a person who has a few volunteers, and they raise less than $5,000. We’ve been able to raise over $90,000, and we have had over a hundred people volunteer for us. That’s something that challengers haven’t been able to muster up, and understandably so — it’s not an easy thing to do.

    The people of the ward want to support this kind of effort, and despite their modest fundraising, we’ve seen previous small campaigns still give the machine a run for its money. We had a guy take Patrick Daley to a runoff election, and he raised less than $5,000. What that shows is that a strong campaign stands a chance, and we’ve made a strong effort here.

    Caleb Horton

    What are the biggest issues facing the 11th Ward?

    Ambria Taylor

    Environmental issues are huge here. Our air quality is eight to nine times worse than northern parts of the city. Our city is very segregated. The further north you get the whiter it gets, and you will notice that the South Side has way worse air quality and way more heavy — or “dirty” — industry that pollutes our air and our soil.

    We used to have a Department of Environment that ticketed polluters that were breaking the rules and causing toxic contamination. That department is gone now, and the ticketing has gone down. When ticketing does happen, it happens on the North Side.

    So there is a lot we can do here, like reestablishing the Department of Environment and working with the Illinois Environmental Protection Agency to make sure that the polluters in this area are being held to the standards they should be held to; also, when it comes to developments, saying, “No, I will not support new dirty industry coming to this region which is already severely overburdened.”

    Caleb Horton

    Public safety has come up a lot this election. What do you believe the 11th Ward could be doing about this?

    Ambria Taylor

    Public safety has become a major talking point this year. That’s not to say that everything is safe and everything is fine: we have carjackings, shootings, and assaults. People experiencing violence is unacceptable.

    However, a lot of people have given in to saying, “I’m the alderman and I love the police.” What that does is absolve our leadership of any responsibility. We’ve had police officers responding to forty thousand mental health calls a year. There’s been a big movement in Chicago to shift things like mental health and domestic violence calls to other city workers instead of the police.

    What we’ve seen is poverty and austerity are on the rise, and when you have high poverty, you have high crime. We need resources for young people, better social services, housing, and mental health care. A lot of people who we’ve canvassed agree that police are not enough and we need to address violence holistically.

    Caleb Horton

    What about affordable housing? Where do you stand on that?

    Ambria Taylor

    Here in the 11th Ward, there has been a push for affordable housing, but it’s really hit or miss as far as enforcement goes. Also, when it comes to affordability, we need to be stricter on how we define it. Right now, developments can say there are affordable units in a building even if they are not truly affordable and are just a little cheaper than other units in the building.

    We want affordable housing, and we want to hold developers’ feet to the fire as far as prices go. Having a resident-led ward gives us the opportunity to ask developers, “What do you plan to charge for the units?” and get them to commit to something truly affordable for people to live in.

    We must also expand public housing. Chicago has lots of money for it, yet we’re selling land that belongs to the housing authority off to private interests. That needs to stop. I’m interested in partnering with residents who live in public housing to make sure it improves and expands.

    I also support just cause for evictions and lifting the ban on rent control in Illinois. We have a ban on passing rent control — we can’t even introduce a bill on it. I very much support the effort to overturn that.

    Caleb Horton

    What are your plans for this progressive base that you’re building?

    Ambria Taylor

    From here on out, if I’m the next alderman, we will continue to organize through the ward office and institute participatory budgeting and resident-led zoning and development boards. We will make serious changes to how the ward office is engaging with the people who live here.

    And if we don’t win, we have movement institutions: we have the 11th Ward Independent Political Organization, we have DSA. We need to make sure we’re actually organizing people into groups where we can continue to grow what we’re doing. I’m really interested in where we are going to take this.
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    Filed Under
    #United_States #Politics #Cities #racism #democratic_socialists_of_america #Chicago_City_Council

    A Live Chat with Ambria Taylor, 11th Ward Alderperson Candidate!
    https://www.youtube.com/watch?v=P9VYjSzwN_Q

    6 Candidates Are Challenging Ald. Nicole Lee In 11th Ward Race
    https://blockclubchicago.org/2023/01/11/six-candidates-are-challenging-ald-nicole-lee-in-the-11th-ward

    Two teachers, a veteran police officer, a firefighter and an attorney are among the challengers looking to unseat Lee, who was appointed to the City Council seat in 2022.

    Ambria Taylor | Chicago News | WTTW
    https://news.wttw.com/elections/voters-guide/2023/Ambria-Taylor

    Chicago DSA Endorses Ambria Taylor and Warren Williams
    https://midwestsocialist.com/2023/01/11/chicago-dsa-endorses-ambria-taylor-and-warren-williams-post-petiti

    #USA #Chicago #southside #Rassismus #Armut #Gewalt #Korruption #Sicherheit #Politik #Organizing

  • Aucun soutien à leur sale guerre ! Non à l’union sacrée derrière Biden et Macron

    https://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/aucun-soutien-leur-sale-guerre-513304.html

    #EditorialLO du 20 février 2023

    Cela fait un an que l’armée russe a envahi l’#Ukraine. Un an que les bombes tombent indistinctement sur des immeubles d’habitation et sur des sites stratégiques. Un an, avec toujours plus de destructions, de morts et de drames. C’est une tragédie, un immense retour en arrière pour l’Ukraine, et aussi pour la Russie.

    Chaque jour, des dizaines ou des centaines de soldats meurent tant du côté ukrainien que russe dans la boue des tranchées, sous des tirs d’artillerie ou dans des corps à corps qui rappellent les atrocités de la guerre de 1914. Et livraison d’armes après livraison, tout est mis en œuvre pour que cette boucherie dure des mois, sinon des années.

    Il ne faut pas l’accepter. Cette guerre n’a rien d’une guerre juste. Les Ukrainiens sont devenus, à leur corps défendant, les instruments, les otages et les victimes d’une rivalité qui les dépasse : celle qui oppose le #camp_impérialiste, mené par les États-Unis, à la Russie.

    L’invasion de l’Ukraine par l’#armée_russe a été la réponse monstrueuse de Poutine à l’avancée politique, économique et militaire des puissances occidentales à l’est de l’Europe. Car, depuis la chute de l’Union soviétique, les États-Unis et l’Union européenne sont à la manœuvre pour placer cette région dans leur orbite. C’est pour cette raison que la guerre fait rage au #Donbass depuis 2014. Celle-ci opposait, déjà, des indépendantistes pro-russes et des forces ukrainiennes armées et entraînées par les États-Unis.

    Jusqu’ici, Biden a fermé la porte à toute négociation avec Poutine. Il l’a encore montré lors de sa visite surprise à Kiev où il s’est engagé à livrer des armes de plus en plus sophistiquées pour affaiblir la Russie et, si possible, la mettre à genoux. Et les États-Unis y parviendront peut-être sans avoir à compter leurs morts au combat, puisqu’ils sont ukrainiens !

    Les Ukrainiens servent de masse de manœuvre dans une #guerre qui ne leur apportera pas la liberté et qu’ils paieront de multiples façons. Et c’est ce qui nous attend, nous aussi, si nous marchons dans cette guerre. Le #militarisme a pris une ampleur inégalée depuis des décennies. L’affrontement entre les #États-Unis et la #Chine menace de plus en plus. Les deux pays se livrent déjà une guerre économique féroce à l’échelle du monde. Que se passera-t-il si la Chine décide de livrer des armes à la #Russie ?

    La guerre en Ukraine peut, à tout moment, faire basculer le monde vers une #troisième_guerre_mondiale. La propagande va-t-en guerre nous pousse déjà à diviser le monde entre démocraties et autocraties, entre forces de paix et agresseurs fous furieux. Mais les États-Unis ou la France n’ont jamais hésité à intervenir militairement quand leurs intérêts étaient en jeu.

    Ces dernières années, ils sont allés jusqu’à détruire l’Irak et la Libye pour se débarrasser de régimes qui leur résistaient. Aujourd’hui, ils ferment les yeux sur les entreprises de colonisation de l’État d’Israël contre les Palestiniens.

    Les puissances occidentales posent en pacifistes parce que, la plupart du temps, elles n’ont pas besoin d’intervenir militairement pour leur brigandage international : la puissance de leur capital et de leurs dollars leur suffit à corrompre et soumettre bien des dirigeants. Mais la misère et le dénuement qu’elles provoquent ne font pas moins de morts et de drames que les bombes.

    Les grandes puissances se portent toujours volontaires pour « libérer » les peuples opprimés… par leurs concurrents. Dans les faits, elles constituent un front unique contre les exploités. Quand Poutine est un dictateur qui défend, à la tête d’un appareil d’État répressif, les intérêts de la bureaucratie et des milliardaires russes, Biden et Macron défendent les intérêts de leurs capitalistes et Zelensky protège ceux des oligarques ukrainiens.

    Les travailleurs n’ont à se ranger ni dans un camp, ni dans un autre. La seule porte de sortie qui puisse garantir que le conflit prenne fin et ne recommence pas demain, c’est que les travailleurs refusent de servir de chair à canon et se retournent contre leurs propres dirigeants.

    Sans les travailleurs, rien ne peut se produire. Rien ne peut s’échanger, rien ne peut fonctionner. Même pour faire la guerre, produire les armes et les acheminer, les gouvernements ont besoin de nous. Sans notre consentement, il n’y a pas de guerre possible.

    Alors, préparons-nous à refuser l’union sacrée derrière Biden et Macron. Reprenons le mot d’ordre de #Marx : prolétaires de tous les pays, unissons-nous contre la classe capitaliste qui nous exploite. Unissons-nous contre ses politiciens qui dressent les peuples les uns contre les autres et nous mènent à la guerre !

    #guerre_en_Ukraine #impérialisme #Joe_Biden #Emmanuel_Macron

  • « Socialisme ou barbarie ? » (Barta, 20 février 1944)

    AVERTISSEMENT

    La guerre est devenue le mal chronique de notre époque. On se propose ici d’exposer aux ouvriers conscients, soucieux de l’avenir de leur classe, les causes réelles de ce fléau et les moyens dont dispose le prolétariat pour y mettre fin.

    Pour bien comprendre l’origine de la guerre, et pour en tirer les déductions indispensables à l’action de classe du prolétariat, il est nécessaire de connaître les causes économiques qui la déterminent ; c’est pourquoi, malgré notre souci constant d’écrire de façon claire et à la portée de tout ouvrier sérieux (même n’ayant pas une éducation politique étendue) notre sujet nous a obligés à nous étendre parfois sur des questions que l’on a rarement l’occasion d’étudier sérieusement et qui exigent, pour être bien comprises, toute l’attention du lecteur.

    Mais seuls les démagogues et les fascistes s’imaginent qu’on peut mener la « masse » (pour laquelle ils ont un profond mépris) avec des mots d’ordre « simples », c’est-à-dire mensongers ; les marxistes au contraire s’assignent pour tâche d’aider la classe ouvrière à dissiper ses illusions entretenues par la bourgeoisie et à prendre conscience du système qui l’opprime et l’exploite.

    L’histoire du mouvement ouvrier a montré que, malgré les difficultés qu’ils rencontrent du fait que le prolétariat, en tant que classe opprimée, manque d’une instruction suffisante, les ouvriers animés du profond désir de créer un monde meilleur, à eux, sont capables de s’élever jusqu’aux plus hautes généralisations théoriques.

    Certes, aujourd’hui, après les défaites subies par la classe ouvrière, et dans les conditions terribles que nous impose la bourgeoisie (journée de 10 heures et sous-alimentation), la majorité des travailleurs a perdu l’habitude de se préoccuper directement et systématiquement de ses intérêts de classe. Mais seuls des ouvriers non-conscients se refuseraient à prêter un minimum d’attention soutenue à une question aussi vitale pour le prolétariat, dans des circonstances où la bourgeoisie saigne chaque jour un peu plus les masses.

    A ceux-là n’est pas destinée cette brochure : nous nous adressons aux ouvriers conscients, et nous leur demandons de nous lire jusqu’au bout.

    20 Février 1944

    *

    QUELLE ÉPOQUE VIVONS-NOUS ?

    Chacun se rend compte que nous vivons une période exceptionnelle de l’histoire du genre humain. Depuis le début du siècle, une série de guerres et de révolutions a continuellement bouleversé de fond en comble la vie des peuples du monde entier, empêchant les hommes de vivre d’une façon normale :

    1904 : guerre impérialiste russo-japonaise ;

    1905 : première #Révolution_russe ;

    1912 : #guerre_balkanique ;

    1914-18 : première guerre impérialiste mondiale, suivie de la série de révolutions qui l’ont endiguée ;

    1917 (Février et Octobre) : Révolution russe ;

    1918 (Novembre) : #Révolution_allemande et écroulement de l’empire austro-hongrois ; révoltes dans l’armée française.

    Puis révolutions et contre-révolutions d’après-guerre :

    1919 : en Hongrie ; 1919-22 : en Italie ;

    1923 : en Allemagne ; 1924 : en Bulgarie ;

    1925-27 : en Chine ...

    A partir de #1929 la #crise_mondiale ouvre la voie vers une deuxième guerre impérialiste, à travers une nouvelle série de conflits intérieurs dans les différents pays capitalistes, conflits qui se terminent par la victoire de la bourgeoisie.

    1931 : chute de la royauté en Espagne ;

    1933 : victoire du #fascisme en Allemagne ;

    1934 (Février) : insurrection des ouvriers de Vienne ;

    1934-38 : grèves générales en France ;

    1936 (Juillet) : Révolution prolétarienne en Espagne.

    Et, 20 ans après la première guerre mondiale, annoncée par la #guerre_Italo-Ethiopienne (1935) et la #guerre_Sino-Japonaise (1937) a commencé en 1939 une deuxième guerre impérialiste dont on ne voit pas encore la fin.

    Comme le montre ce tableau des principaux événements contemporains, dans l’intervalle de deux générations, la courbe des conflits a monté d’une façon vertigineuse. Il ne s’agit plus aujourd’hui de querelles dynastiques, d’appétits de conquêtes de tel ou tel pays, de sécurité des frontières, de guerres laissant la société, en dépit des malheurs et de la misère, suivre sa marche en avant ; le caractère tout à fait spécial de notre époque est qu’à l’intérieur des nations comme à l’extérieur, la société se déchire de plus en plus profondément à travers des bouleversements ininterrompus qui détruisent les richesses et la culture accumulées par l’humanité, saignent et affament les masses et les réduisent à un asservissement moyenâgeux. On dirait que le monde ayant perdu son centre de gravité va retomber avec fracas dans la chaos ; l’humanité entière ne peut plus retrouver l’équilibre et la paix, si ce n’est dans les cimetières...

    D’après les curés de toutes les religions, cette rupture d’équilibre, ces guerres de plus en plus meurtrières, seraient « la punition de nos péchés » ; et déjà les représentants de la bourgeoisie, qui en 14-18 ont mené les peuples au massacre pour la « der des der » et ont sacrifié plus de 10 millions d’hommes depuis Août 1939 pour « la démocratie » ou pour « l’espace vital », parlent d’une troisième guerre mondiale. Ainsi, la guerre à l’échelle mondiale serait un phénomène naturel inhérent à l’existence de la société humaine.

    Mais, des années avant la 1ère guerre mondiale, notre époque d’agonie et de mort a été caractérisée par tous les partis et les syndicats ouvriers comme l’effet du capitalisme dans sa dernière phase, l’impérialisme : « Le capitalisme porte en lui la guerre comme la nuée porte l’orage » (Jaurès).

    En effet, depuis le début du siècle, la capitalisme a profondément modifié sa structure. Fini le capitalisme de libre concurrence, le « laisser-faire, laisser-passer », qui, malgré les crises, les conflits et le chômage temporaires, accomplissait l’équipement industriel du territoire (construction de machines, d’usines, de chemins de fer, de routes, de canaux, de bateaux etc...) et facilitait de plus en plus la vie on développant les forces productives, c’est-à-dire la puissance de l’homme sur la nature ; la supériorité de la grande industrie sur la petite a engendré, par la ruine de cette dernière, le monopole capitaliste. Cette modification de structure du capitalisme lui a enlevé tout caractère progressif et l’a rendu profondément réactionnaire ; les plus grandes inventions, loin d’être utilisées pour accroître la puissance de l’homme sur la nature, et par conséquent son bien-être, servent à la destruction et à la mort, pour le maintien d’un régime condamné.

    Et l’on a pu voir, dans une société soi-disant civilisée, des millions de chômeurs et leurs familles souffrir la misère et la faim tandis que, pour maintenir les prix, les capitalistes procédaient à la destruction systématique des récoltes : aux Etats-Unis on élevait des hannetons pour ravager les plantations de coton ; l’Amérique du Sud brûlait du blé et du café dans les locomotives ; en France on offrait des primes aux vignerons pour arracher les vignes, et les pêcheurs devaient rejeter leur poisson à la mer !...

    Pourquoi l’impérialisme (capitalisme monopoleur) provoque-t-il la destruction des richesses accumulées, la fin de la civilisation et de la culture ; pourquoi la guerre est-elle son mode d’existence, et la paix seulement « une trêve entre deux guerres » (Lénine) ? Nous demandons un peu de patience à notre lecteur ouvrier pour les explications qui suivent : il s’agit de bien comprendre ce qu’est l’impérialisme si l’on ne veut pas tomber dans les pièges de la bourgeoisie et se laisser saigner par elle à l’aide de slogans qui ne veulent rien dire.

    CAPITALISME DE LIBRE CONCURRENCE ET CAPITALISME DE MONOPOLE (IMPERIALISME).

    Jusqu’à la fin du 19ème siècle, les marchés, et en premier lieu le marché national, offraient des possibilités d’écoulement à tous les produits : dans les différentes branches de la production (métallurgie, tissages, etc...) les capitalistes, – grands, moyens et petits – , existaient et « travaillaient » indépendamment les uns des autres ; c’était le capitalisme de libre concurrence.

    Cependant, la concurrence oblige chaque capitaliste à ajouter constamment les profits réalisés (sauf une partie nécessaire à ses dépenses personnelles) au capital initial, pour les réinvestir dans l’industrie (perfectionnements techniques, achat de machines, etc...). Or, l’extension constante de la production de chaque capital individuel augmente à tel point la quantité des marchandises à écouler, que le marché n’est plus capable d’absorber la production de tous les capitalistes. Ceux qui n’arrivent pas à vendre leurs marchandises font faillite ; mais dans cette lutte à mort, ce n’est pas la chance qui décide des survivants : les entreprises ne sont pas de grandeur égale, et le prix de revient est d’autant plus petit que la production est grande. C’est donc la grande entreprise qui possède l’avantage décisif dans la concurrence capitaliste, concurrence de plus en plus acharnée qui aboutit à la ruine des plus faibles au profit des plus forts.

    C’est ainsi que, peu à peu, avec des péripéties diverses, la libre concurrence engendre inévitablement la concentration des capitaux et aboutit à la domination despotique du marché par un seul capital monopoleur.

    Du point de vue de la nouvelle structure du capitalisme, il importe peu que le capital monopoleur (qui domine un, plusieurs ou tous les marchés sans concurrence) appartienne à un seul ou à plusieurs capitalistes, ou à une masse d’actionnaires : l’essentiel est la disparition de l’élément de progrès du système, la concurrence entre les capitalistes d’une même branche.

    On pourrait croire, à première vue, que le capitaliste monopoleur peut « se contenter » de sa position assurée de monopoleur et « renoncer » à gagner des positions capitalistes nouvelles. Mais le capitaliste ne produit pas pour la société : il « travaille » pour réaliser des profits. Et même s’il devenait tout à coup « vertueux » et voulait mettre en pratique la charité chrétienne, du point de vue économique, il le peut encore moins que dans le capitalisme de libre concurrence (où le danger n’était pas de tous les instants, et où les périodes de prospérité pouvaient au contraire lui faire croire qu’il y avait de la place pour tout le monde). La concurrence entre capitalistes indépendants d’une même branche fait place à un antagonisme de tous les instants, cent fois plus âpre, et qui, loin d’être une source de progrès provoque le dépérissement de l’économie, avec la misère et la guerre pour les masses.

    Par exemple, le capitaliste qui monopolise les transports par chemins de fer entre en une lutte de tous les instants avec celui qui monopolise les transports par route ; d’autre part, deux sociétés monopoleuses dont les produits s’écoulent dans le monde entier – les pétroles par exemple – entrent en conflit mortel pour la possession des sources anciennes ou nouvelles de matières premières ; enfin, « la course pour le dollar du consommateur » est un autre élément d’antagonismes entre les monopoles (le consommateur ayant un budget à peu près fixe, il s’agit de savoir comment il répartira ses dépenses : achètera-t-il un livre, ira-t-il au cinéma, ou restera-t-il à la maison pour économiser de quoi s’acheter une bicyclette ?).

    Donc, à peine arrivé au monopole comme terme d’une lutte entre capitalistes indépendants pour accaparer le marché, le capitalisme plonge l’économie entière dans une anarchie encore plus grande qui finalement mène à la ruine de la société.

    En effet, pour se renforcer contre les monopoles qui le menacent, le capitaliste monopoleur est obligé de conquérir des positions capitalistes de plus en plus fortes, et pour cela il doit réinvestir les profits et surprofits réalisés ; or, le processus de concentration s’étant poursuivi dans presque toutes les branches de la production dans les vieux pays capitalistes, ceux-ci n’offrent plus de débouchés pour de nouveaux investissements : les capitaux sont donc exportés au dehors, surtout dans des pays arriérés et aux colonies où les conditions d’une économie retardataire (équipement industriel pour l’exploitation et l’exportation des ressources du pays, matières premières et main-d’œuvre aux plus bas prix) permettent de réaliser des bénéfices fabuleux sur le dos de la population coloniale ou semi-coloniale.

    Ainsi la lutte prend un aspect entièrement nouveau. Il ne s’agit plus d’une concurrence purement économique se terminant par la faillite des capitalistes les plus faibles, comme dans la libre concurrence, mais bien d’une compétition internationale pour la conquête du marché mondial (qui n’est plus extensible) et pour la main-mise sur les branches de production, les sources de matières premières et de main-d’œuvre à bon marché.

    La crise dans le capitalisme du monopole n’est plus un arrêt temporaire de la production (mévente des marchandises) se terminant par une reprise économique puissante : elle devient un élément chronique de la vie économique, provoquant non seulement la destruction volontaire des richesses produites, mais aussi la limitation des moyens de production mis en fonction. La partie décisive des moyens de production, l’industrie lourde, ne trouve plus d’autre « marché » que la guerre, c’est-à-dire la destruction pure et simple de la puissance de production de l’industrie moderne.

    Cet antagonisme à l’échelle mondiale divise le capital monopoleur en groupes financiers : les trusts industriels créent des banques ; les banques créent des trusts d’exploitation ; les groupes fusionnent avec d’autres groupes ; et ainsi se crée tout un réseau de grosses industries et de banques travaillant dans toutes les branches. Voilà comment l’économie mondiale est tombée sous la domination d’une oligarchie capitaliste : les 200 familles en France, les 60 familles aux U.S.A., les Big Five en Angleterre, les Konzern en Allemagne, les Nitsui et les Mitsubishi au Japon, etc...

    Entre ces groupes financiers qui luttent à mort les uns contre les autres, les alliances se font et se défont : c’est là qu’il faut chercher, le secret des alliances et ruptures d’alliances consacrées par les pactes diplomatiques.

    Disposant des richesses du pays qui constitue la base de leur puissance, ainsi que de leurs rapines sur d’autres continents, les capitalistes détiennent tous les leviers de l’Etat, c’est-à-dire non seulement l’armée, la police, les prisons et la justice, mais encore la radio, la presse, l’école et les églises.

    Tous ces moyens leur servent à duper les peuples et à les entraîner dans leurs conflits à l’aide de traditions, de mots d’ordre, et de toute une propagande appropriée. Et de même que, pour défendre ses intérêts, le capitaliste ferme « son » usine comme si c’était sa tabatière, jetant sur le pavé les ouvriers affamés, de même la bourgeoisie, pour défendre ses positions menacées, jette « son » peuple dans le massacre ; car la guerre, qui n’apporte aux masses que la misère et la mort, se solde pour elle par des super-bénéfices.

    En effet, tandis que les ouvriers et les paysans de tous les pays s’entre-tuent soi-disant pour la « der des der », la « démocratie », la « défense des petites nations » ou de l’Empire pour « l’ordre nouveau », « l’espace vital », « le sang contre l’or » et la « défense de la patrie », les champs de bataille sont en réalité un débouché exceptionnel, qui consomme en peu de temps des quantités énormes de « marchandises » (matériel de guerre). C’est ainsi que les masses entraînées dans la course sans fin pour le partage et le repartage du globe, croyant mourir pour la patrie, meurent pour les capitalistes !

    SUPPRESSION DES CONTRADICTIONS DU CAPITALISME
    Les méfaits de la domination économique des trusts, Konzern, banques, ententes et monopoles de toutes portes sur la société, sont depuis longtemps devenus évidents pour les larges masses. Les scandales financiers, la ruine des petites gens et des paysans, l’exploitation féroce et concertée des travailleurs, – qui n’ont plus affaire à un patron dont le sort est lié à celui de l’entreprise, mais au patronat disposant des ressources du capital financier, – ont soulevé contre les capitalistes monopoleurs la haineet la volonté de lutte de tous les exploités.

    Devant la volonté commune de toutes les classes pauvres de museler les banques et les trusts, menace mortelle, la bourgeoisie ne put se sauver qu’on trompant les masses : Mussolini en Italie, Hitler en Allemagne, Roosevelt aux Etats-Unis et Blum en France ont présenté leur politique comme « la fin de la toute-puissance des trusts ». Et même dans la « respectable » Angleterre, gouvernée par les conservateurs, certains ministres du Travail sont parfois obligés d’agiter des projets de « réformes de structure », Pourtant, les trusts n’ont jamais aussi bien prospéré que sous les gouvernements de Mussolini, Hitler, Blum, Roosevelt et Churchill.

    Pourquoi ? Parce que le monopole, le grand capital, n’est pas une excroissance d’un organisme sain, qu’on pourrait couper, ou un abus qu’on pourrait réformer, brider ou contenir : les 200 familles sont le couronnement du système capitaliste, son fruit naturel, comme la poire est le fruit du poirier.

    Il faut donc, pour remettre la société d’aplomb, pour en finir avec les crises permanentes, le chômage permanent, la guerre permanente, détruire le mal à la racine, c’est-à-dire détruire le système capitaliste qui les engendre.

    Qu’est-ce qui caractérise le capitalisme ? C’est la #propriété_privée_des_moyens_de_production : les usines, le sol et le sous-sol, les moyens de transport, les moyens d’échange (banques), les locaux, en un mot tout ce dont l’homme a besoin pour assurer son existence, se trouvent entre les mains d’une petite minorité de bourgeois richissimes qui disposent à leur gré du sort de dizaines de millions d’hommes séparés des moyens de production, prolétarisés.

    A cette contradiction essentielle qui oppose le système capitaliste aux besoins de la société, contradiction entre la production SOCIALE et la propriété PRIVEE s’en ajoute une seconde : le morcellement de l’économie mondiale en fractions soi-disant nationales (en réalité, à part quelques rares exceptions où les frontières délimitent en même temps la nation, presque toutes les frontières (90 %) découpent la même nation en plusieurs tronçons – l’Allemagne de 1918, les Balkans, l’Europe Centrale, l’Irlande, etc... – ou font « vivre » ensemble plusieurs nations antagonistes – l’Allemagne de 1939, les Empires coloniaux d’Afrique et d’Asie, etc...). En fait, ce morcellement de l’économie mondiale n’est qu’un système de frontières et de douanes correspondant au rapport de forces changeant entre les groupes financiers (les 200 familles, les 60 familles, les Konzern, etc...)

    Production SOCIALE et appropriation PRIVÉE capitaliste, économie MONDIALE et son MORCELLEMENT en « fiefs » du capital financier, telles sont donc les causes qui provoquent la ruine de la société.

    La suppression de ces contradictions ne consiste pas en un retour en arrière à un soi-disant « âge d’or », mais dans une audacieuse marche en avant vers le socialisme.

    Le mode de propriété est périmé, mais le mode de production est définitif : il faut donc les harmoniser en abolissant la propriété privée des moyens de production pour restituer ces derniers à la société entière par la DICTATURE DU PROLETARIAT et LA GESTION DIRECTE DES USINES PAR LES TRAVAILLEURS.

    La suppression de la propriété privée des moyens de production n’est pas la suppression de toute propriété : la petite propriété paysanne continuera à exister. Les petits paysans garderont leur terre aussi longtemps qu’ils voudront, jusqu’au moment ou d’eux-mêmes ils estimeront plus avantageuse la grande culture industrialisée.

    Cette révolution économique et sociale ne peut pas éclater et vaincre simultanément dans le monde entier. Elle commence dans le cadre d’un ou plusieurs Etats, mais elle ne peut aboutir à une société harmonieuse que par la victoire de la classe ouvrière dans le monde entier : les ressources de tout le globe sont nécessaires pour bâtir une société sans aucune contradiction économique. Les travailleurs ont pu remarquer au cours de cette guerre qu’aucun pays, si riche qu’il soit en ressources naturelles (comme les Etats-Unis ou l’URSS) ne peut produire à lui seul tout ce que l’homme a découvert ou inventé pour assurer sa domination sur la nature.

    Donc, l’abolition de la propriété privée, le socialisme, implique également la suppression des frontières capitalistes (douanes, passeports, etc...), c’est-à-dire la création des ETATS-UNIS SOCIALISTES DU MONDE.

    STRATEGIE ET TACTIQUE OUVRIERES CONTRE LA GUERRE.

    Aujourd’hui, depuis 5 ans, la guerre ravage les continents, ruine l’économie, sépare les peuples par un fossé de sang, et risque en se prolongeant de ramener la société entière à une nouvelle barbarie sociale.

    Au premier plan de la lutte ouvrière se trouve donc la lutte contre la guerre.

    Mais la guerre, malgré tous les prétextes et les masques que la bourgeoisie utilise pour en camoufler les véritables causes, n’est au fond qu’une lutte entre les différentes bourgeoisies pour les monopoles (guerre pour « l’espace vital » du côté de l’Axe et pour la « défense de l’Empire » du côté des alliés) : AUSSI, LA LUTTE CONTRE LA GUERRE NE PEUT-ELLE ETRE SEPAREE DE LA LUTTE CONTRE LE CAPITALISME. Telle est l’idée fondamentale dont doivent partir les ouvriers conscients qui veulent réellement en finir avec les massacres qui recommencent tous les 20 ans.

    Bien avant la première guerre mondiale, en 1907, la IIème Internationale dénonça au Congrès de Stuttgart le caractère impérialiste de la guerre qui venait. Les délégués des Partis ouvriers de France, d’Allemagne, de Russie, d’Italie, etc..., qui participèrent à ce Congrès, savaient que les différences politiques entre les pays qu’ils représentaient n’étaient pour rien dans les dangers qui menaçaient la paix du monde. Ils prirent la résolution suivante : « Au cas où la guerre éclaterait néanmoins, ils (les représentants ouvriers) ont le devoir de s’entremettre pour la faire cesser promptement et d’utiliser de toutes leurs forces la crise économique et politique créée par la guerrepour agiter les couches populaires les plus profondes et précipiter la chute de la domination capitaliste ».

    En 1912, au Congrès de Bâle, ils réaffirmèrent : « LES TRAVAILLEURS CONSIDERENT COMME UN CRIME DE TIRER LES UNS SUR LES AUTRES POUR LE PROFIT DES CAPITALISTES... »

    Pourtant, quand la guerre éclata « néanmoins », les chefs de la IIème Internationale, pourris par l’opportunisme, non préparés à une lutte dans des conditions entièrement nouvelles (illégalité, lutte extraparlementaire, etc...), cédèrent à la pression de la bourgeoisie et trahirent la classe ouvrière. C’est alors seulement qu’ils découvrirent les prétextes politiques et « idéologiques » qui devaient justifier la cause infâme de leur bourgeoisie : les « socialistes » français appelèrent à la lutte de la « démocratie » (alliée au tsarisme !) contre le « militarisme prussien » et les « socialistes » de l’Allemagne impériale à la lutte contre le knout tsariste...

    Mais ces arguments en faveur de l’union sacrée, mis en avant du jour au lendemain par des chefs aux abois n’étaient que des mensonges.

    La forme politique ne peut pas influencer ou améliorer la structure IMPERIALISTE de l’économie ; tout au contraire, c’est la structure impérialiste de l’économie qui commande les actes de tout gouvernement bourgeois, démocratique, militariste ou fasciste.

    La première guerre mondiale et la présente guerre nous montrent que dans tout conflit impérialiste, c’est précisément la démocratie qui est la première victime. Dans tous les pays impérialistes sans aucune exception s’établit le même régime de militarisation, de contrainte, de terreur policière, de censure, avec suppression de tous les droits ouvriers, pour donner aux trusts l’entière liberté d’action.

    Tandis que les chefs social-patriotes se vautraient dans l’union sacrée et les ministères, les chefs ouvriers restés fidèles au socialisme – Lénine, #Rosa_Luxembourg et Karl Liebkecht en tête – prirent une voie toute opposée.

    Ils dénoncèrent la guerre comme « une guerre impérialiste pour un repartage des richesses du globe entre les forbans capitalistes ». Rejetant l’union sacrée et les crédits de guerre, ils appelèrent les travailleurs de leur pays à fraterniser avec ceux du pays « d’en face » et à renverser leur propre bourgeoisie.

    Nous savons aujourd’hui que c’est eux qui voyaient juste et qu’ils représentaient les véritables aspirations des masses opprimées, car leurs principes et leur action ont conduit à la première victoire prolétarienne (Révolution d’Octobre 1917) et à la formation de la IIIème Internationale (l’Internationale Communiste).

    Quels furent donc leurs principes et leur tactique ?

    #Karl_Liebknecht nous a laissé la meilleure formule de l’internationalisme ouvrier pendant la guerre : « L’ENNEMI DE CHAQUE PROLETARIAT EST DANS SON PROPRE PAYS » ; la tâche des travailleurs est de « balayer chacun devant leur propre porte ».

    Pour #Lénine il s’agissait de « transformer la guerre impérialiste en guerre civile » ; car « si cette guerre n’est pas suivie d’une série de révolutions victorieuses, elle sera suivie à bref délai d’autres guerres ».

    Que celui-ci avait raison, cela a été prouvé non seulement par le fait que les travailleurs russes conquirent la paix grâce à la guerre civile, en renversant la bourgeoisie, mais surtout par le fait que le maintien de la domination impérialiste sur les 5/6ème du globe, a amené une 2ème guerre impérialiste mondiale. Dans un monde où subsistent les liens et les contradictions impérialistes, la paix ne peut être qu’ « une trêve entre deux guerres »...

    La #guerre_civile n’est pas un moyen désespéré auquel on n’a recours qu’à la dernière extrémité : c’est la résolution inébranlable du prolétariat, appuyé sur les masses populaires, d’en finir avec la guerre impérialiste en renversant la bourgeoisie et son Etat (police, justice, corps des officiers, etc...) Sans cette résolution inébranlable de riposter à la guerre impérialiste par la guerre civile, les travailleurs ne doivent pas espérer que c’est la bourgeoisie qui fera quoi que ce soit pour desserrer l’étau qui étouffe les masses ou qui reculera devant n’importe quelle infamie. Tout au contraire, grâce à la guerre impérialiste toujours plus meurtrière, elle mène à l’intérieur sa propre guerre civile destinée à paralyser et à écraser le prolétariat.

    Le mot d’ordre des travailleurs est : A BAS LA GUERRE IMPERIALISTE, VIVE LA GUERRE CIVILE !

    Devant les hésitations de certains chefs « internationalistes » qui étaient paralysés dans leur action pratique par la peur que la lutte révolutionnaire « n’affaiblît le front », Lénine proclama que la défaite de leur propre impérialisme était « un moindre mal » pour les ouvriers.

    Il suffit en effet de comparer le sort de la France après 1918, victorieuse grâce à l’union sacrée, et celui de la Russie révolutionnaire, vaincue et dépouillée de vastes territoires aussi bien par l’impérialisme allemand que par l’impérialisme « allié » : les ouvriers français n’ont plus jamais retrouvé leur niveau de vie d’avant 14, tandis que les travailleurs russes ont créé un pays entièrement nouveau et élevé la Russie arriérée au niveau des pays industriels les plus avancés.

    Mais la défaite de Juin 40 ? La défaite de Juin 40 ne fut pas la conséquence de l’affaiblissement du front par les luttes révolutionnaires dans le pays, mais l’effondrement de l’impérialisme français, entraînant dans sa chute l’ensemble des classes laborieuses.

    Si le prolétariat de France avait pu, grâce à une politique ouvrière juste, mettre à profit la débâcle de son impérialisme en Mai-Juin 40 pour s’emparer du pouvoir, le sort, non seulement du peuple français, mais encore de tous les peuples du monde, aurait été complètement changé, mais le prolétariat n’avait pas été préparé à une telle éventualité par les partis ouvriers.

    Le parti socialiste d’après 1918 était resté définitivement un parti de collaboration et d’union sacrée ; la IIIème Internationale et le Parti communiste français avaient depuis longtemps abandonné la stratégie et la tactique qui avaient permis la victoire des ouvriers et des paysans russes en 1917 et qui avaient mis fin à la 1ère guerre mondiale. L’isolement de la Révolution d’Octobre dans un monde capitaliste a provoqué en URSS l’affaiblissement du prolétariat soviétique, centre de gravité de la IIIème Internationale. Il s’y forma une bureaucratie dirigeante analogue à celle des partis et des syndicats ouvriers occidentaux. Sous son influence, la IIIème Internationale rompit avec l’internationalisme ouvrier : reconnaissance de la « défense nationale » on France (pacte Laval-Staline de 1935, vote des crédits de guerre de Daladier en 1935), pacte Hitler-Staline pour le dépècement de la Pologne, nouvelle « alliance » avec les impérialismes « démocratiques » pour la défense de la « démocratie » contre le fascisme, etc…

    L’abandon de la stratégie et de la tactique révolutionnaires par les chefs de la IIème Internationale en Août 1914 permirent à la bourgeoisie de se maintenir sur les 5/6ème du globe, tandis que le capitalisme n’était renversé par l’internationalisme prolétarien que dans la sixième partie.

    L’abandon des mêmes principes par les chefs soviétiques de la IIIème Internationale a permis à la bourgeoisie de déclencher une nouvelle guerre impérialiste qui est entrée dans sa cinquième année.

    Comme dans la première guerre impérialiste, la seule issue est dans l’application dans la lutte prolétarienne de la stratégie et de la tactique de Liebknecht de Lénine.

    C’EST CETTE TACHE QUE CONTINUE LA IVème INTERNATIONALE !

    LA QUATRIEME INTERNATIONALE ET LA GUERRE
    La lutte de la IVème Internationale contre la guerre continue celle que menèrent la IIème et la IIIème Internationales avant d’être brisées par l’impérialisme mondial.

    Dans tous les pays impérialistes en guerre – quelle que soit leur forme politique (démocratie ou fascisme) – le but fondamental de la IVème Internationale est la FRATERNISATION DES OUVRIERS ET DES PAYSANS SOUS L’UNIFORME. « Refuser de tirer les uns sur les autres pour le profit des capitalistes », fraterniser, voilà l’arme essentielle que possèdent les exploités de tous les pays contre leurs exploiteurs.

    Toute autre attitude, toute réserve ou équivoque à ce sujet, est une trahison pure et simple de la classe ouvrière internationale et des masses laborieuses.

    Mais les pays en guerre ne sont pas tous des pays impérialistes ; menant sa lutte contre la guerre sous le signe de la fraternisation et de l’internationalisme (UNITE DES INTERETS DE TOUS LES PEUPLES CONTRE LA BOURGEOISIE IMPERIALISTE DE TOUS LES PAYS), la IVème Internationale propose aux travailleurs des tâches immédiates différentes SELON LA NATURE IMPERIALISTE OU NON IMPERIALISTE des pays (et non pas selon les formes politiques).

    Là où la guerre met aux prises 2 armées impérialistes soumises au corps des officiers instrument des groupes financiers (par exemple la guerre de 39-40 entre la France et l’Allemagne, ou la guerre actuelle entre les Anglo-Américains et l’Allemagne), la IVème Internationale appelle les travailleurs des deux armées en lutte à cesser de s’entretuer et à fraterniser. Pratiquement, cette fraternisation n’est possible que par la lutte directe des soldats contre leur propre Etat-major et implique donc un affaiblissement du front (impérialiste) de l’armée la plus avancée dans la voie révolutionnaire ; cependant, comme cela a été expliqué au chapitre précédent, la défaite est un moindre mal quand elle est provoquée par la lutte révolutionnaire des ouvriers et des paysans : car pour pouvoir lutter contre l’impérialisme d’un autre pays, les travailleurs d’un pays impérialiste doivent d’abord liquider leur propre impérialisme, QUI NE LEUR EPARGNE PAS CE QUE L’ IMPERIALISME ADVERSE LEUR RESERVE.

    Mais là où la guerre met aux prises une armée impérialiste et une armée non-impérialiste, comme par exemple la guerre entre l’Allemagne et l’URSS, le Japon et la Chine, ou un conflit entre les alliés et « leurs » colonies (Inde, Maroc, etc…), la fraternisation n’implique pas un affaiblissement du front de l’armée non-impérialiste : la IVème Internationale appelle les travailleurs de ces pays (non-impérialistes : URSS ou colonies) à se défendre DE TOUTES LEURS FORCES, malgré leur méfiance ou leur haine pour leur propre gouvernement, contre les armées impérialistes, qui ouvrent la voie au capital financier. Car dans les pays non-impérialistes, les travailleurs qui réussissent à écarter la menace impérialiste, peuvent, de ce fait même, lutter avec succès contre leur propre gouvernement réactionnaire.

    Cette attitude de défense de la part des travailleurs d’un pays non-impérialiste nuit-elle à la fraternisation avec les ouvriers et paysans de l’armée impérialiste qui les a attaqués ?

    NULLEMENT, si leur lutte apparaît clairement à ces derniers comme une lutte pour les intérêts communs des travailleurs de tous les pays contre le capitalisme.

    S’il ne s’est encore rien produit de pareil sur le front germano-soviétique, c’est seulement parce que aux yeux des soldats allemands, le gouvernement soviétique, par son langage et par ses actes (mort aux Boches ! ), ne diffère en rien d’un quelconque gouvernement allié fauteur de la paix impérialiste de Versailles.

    Pour vaincre définitivement l’impérialisme, les travailleurs soviétiques doivent renverser la bureaucratie réactionnaire dirigeante et présenter aux peuples du monde entier leur véritable visage prolétarien.

    Contre la guerre impérialiste mondiale actuelle, la IVème Internationale lutte avec les mots d’ordre suivants :

    Contre la politique chauvine et impérialiste des partis « socialistes » et « communistes » qui divise les travailleurs et sert les intérêts de la bourgeoisie, VIVE L’INTERNATIONALISME OUVRIER !

    A BAS LES « BUTS DE GUERRE » IMPERIALISTES, la Charte de l’Atlantique, « l’ordre nouveau », etc... VIVE LE DROIT DE TOUS LES PEUPLES A DISPOSER D’EUX-MEMES jusque et y compris la séparation de l’État qui les opprime !

    A BAS LA DIPLOMATIE ET LES PACTES SECRETS !

    DÉFENSE DE L’URSS en tant qu’Etat ouvrier PAR LA VICTOIRE DE L’ARMEE ROUGE ET LA REVOLUTION PROLETARIENNE dans tous les pays impérialistes (Allemagne, Angleterre, France, etc...).

    DÉFENSE DE LA CHINE en tant que pays semi-colonial contre le Japon, PAR LA VICTOIRE DE L’ARMEE CHINOISE ET LA REVOLUTION PROLETARIENNE AU JAPON et dans le monde. DÉFENSE DE TOUTES LES COLONIES ET SEMI-COLONIES CONTRE L’IMPERIALISME QUI LES OPPRIME : de l’Inde contre l’Angleterre, de l’Afrique contre les impérialismes alliés, etc...

    A bas l’autarchie européenne de « l’ordre nouveau », à bas la main-mise du capital américain sur l’Europe, VIVENT LES ÉTATS-UNIS SOCIALISTES D’EUROPE ! Seuls les Etats-Unis socialistes assurent la véritable égalité, entre les nations, grandes ou petites.

    Contre la domination du monde entier par deux grandes puissances, VIVENT LES ETATS-UNIS SOCIALISTES DU MONDE !
    LA LUTTE DES TRAVAILLEURS FRANÇAIS CONTRE LA GUERRE

    La déclaration de guerre en Septembre 1939 et la mobilisation, la censure, la défense passive, les réquisitions et la répression qui l’ont marquée, ont réveillé dans les masses la méfiance et l’hostilité contre les dirigeants capitalistes : les travailleurs n’avaient pas oublié les leçons de la première guerre impérialiste, les misères et les souffrances qu’ils avaient endurées pour le seul bénéfice de la bourgeoisie.

    Mais la lutte des masses contre les mesures de dictature et de terreur de #Daladier et #Reynaud (camps de concentration, emprisonnements de milliers de militants ouvriers, dissolution du PC et des groupements internationalistes, mise au pas des syndicats, peine de mort pour la propagande communiste) ne trouva pas un guide dévoué exclusivement aux intérêts des travailleurs : la politique du PC obéissait aux intérêts diplomatiques de la bureaucratie soviétique, et ses tournants décontenançaient périodiquement les masses et les militants. Quant aux éléments internationalistes, ils étaient trop faibles numériquement pour exercer une influence efficace.

    C’est pourquoi, bien que favorable à la révolution, l’attitude des masses (qui repoussèrent d’instinct l’idéologie nationaliste-"démocratique" ou fasciste) ne provoqua pas la chute de la bourgeoisie. Quand l’impérialisme français chancela sous les coups de l’impérialisme allemand, la classe ouvrière, sans direction, ne songea pas à créer les organes d’un Etat ouvrier (Conseils d’ouvriers et soldats), mais se dispersa sur les routes de France...

    L’exode mit fin pour les masses à l’expérience de la guerre « démocratique ». Mais la défaite de l’impérialisme français ne mit pas fin à la guerre. LA GUERRE NE FAISAIT QUE COMMENCER et prit un développement mondial pesant de plus en plus lourdement sur les couches populaires du monde entier. L’économie des pays mêlés à la guerre fut soumise à une rude épreuve. Toutes les ressources furent raflées en vue de la guerre.

    Le pillage de la France par l’impérialisme allemand imposa aux masses une série de souffrances inouïes qui plongèrent brusquement le peuple français dans des conditions de vie insupportables.

    Mais comme la guerre sous la conduite de nos propres impérialistes (la « drôle de guerre ») n’avait pas eu le temps d’engendrer des maux à une si grande échelle, l’état d’esprit, des masses changea par rapport à celui du début de la guerre : les malheurs qui s’abattaient sur le peuple français n’étaient pas dus à la guerre elle même, à la GUERRE TOTALE, dans laquelle victoire ou défaite engendrent les mêmes maux, mais à l’occupation étrangère, aux « Boches ». Les masses crurent d’autant plus facilement les slogans venus de Londres, qu’à partir du début de la guerre entre l’URSS et l’impérialisme allemand le Parti « communiste » se mit à tenir le même langage que les impérialistes alliés.

    Voilà comment aujourd’hui, après quatre années et demie de guerre la classe ouvrière se trouve complètement dépourvue d’une perspective propre et est à la remorque de la bourgeoisie pour une soi-disant guerre de « libération ».

    Que vaut cette politique ? Pour la classe ouvrière, c’est accepter les pires souffrances non pas pour changer définitivement l’ordre des choses, mais dans l’espoir de revenir à la situation qui a précédé la guerre et qui nous y a menés.

    Cependant, quelles seraient les conditions économiques et politiques créées par une victoire alliée ? Peu de travailleurs se font des illusions sur les capitalistes anglais et américains. Mais ils espèrent que leur victoire déterminerait une amélioration de leur niveau de vie et ramènerait le respect des libertés ouvrières.

    Mais cette guerre, comme la première, est une #guerre_impérialiste pour le repartage du monde entre les groupes financiers et pour renforcer l’#exploitation_capitaliste sur les masses. Si les capitalistes anglais et américains luttent contre l’Allemagne impérialiste ce n’est pas pour les peuples, mais pour évincer un concurrent. Ce concurrent n’est pas l’Allemagne seule, mais l’industrie, le capital financier européen (l’Allemagne, la France, l’Italie, la Hollande, la Belgique, etc...).

    Cela signifie que les conditions économiques instaurées par « l’ordre nouveau » (appauvrissement de tous les pays européens au profit des capitalistes allemands) seraient maintenues et aggravées par une victoire des impérialistes alliés : l’Europe entière réduite à la portion congrue constituerait pour les États-Unis un « hinterland » économique.

    En effet, à eux seuls, les #États-Unis, dont la production dans les principales branches représente de 60 à 80 % de la production mondiale, regorgent de capitaux et ont besoin du monde entier pour résoudre leurs propres contradictions économiques et sociales. C’est pour cela que leurs dirigeants les ont précipités dans la guerre. C’est donc s’exposer à de terribles désillusions que de croire que les États-Unis, où le chômage atteignit à un moment donné 12 à 13 millions d’hommes – 10% de la population totale ! – et où les « marches de la faim », le vagabondage et toutes les tares politiques et sociales (persécution des Noirs, associations secrètes du type fasciste bien avant la naissance de Hitler) ont marqué plus que partout ailleurs la décomposition du capitalisme, peuvent assurer la prospérité de l’Europe.

    La ruine irrémédiable de l’Europe peut bien soulager partiellement le capitalisme américain par l’écoulement d’une partie de ses produits industriels sur le continent dévasté. Mais les masses européennes plongées dans la misère, resteront devant l’abondance américaine sans avoir les moyens nécessaires pour payer.

    Et dans ces conditions d’aggravation des contradictions économiques, la #lutte_sociale s’aggraverait aussi : il n’y aura pas de place pour les libertés ni pour un développement pacifique des organisations et des droits ouvriers.

    Comment l’ouvrier conscient doit-il donc orienter la lutte des travailleurs contre la guerre et le capitalisme ?

    Les aspirations profondes des masses, après quatre ans et demi de guerre, de misère et de terreur politique de la bourgeoisie, sont la PAIX, le PAIN et la LIBERTE. Il s’agit d’orienter ces aspirations des ouvriers, de la population pauvre des villes, et des petits paysans VERS DES SOLUTIONS PROLETARIENNES, seules capables de les réaliser.

    Le souci quotidien des travailleurs, c’est le pain. La lutte des ouvriers pour le pain doit être menée avant tout dans les usines, par une lutte pour l’augmentation des salaires. Il faut à chaque occasion tendre à l’unification des mouvements revendicatifs, éviter que les ouvriers des différents ateliers présentent isolément leurs revendications. C’est la grève qui constitue l’arme essentielle de la lutte revendicative. ET LA LUTTE GRÉVISTE POUR L’#AUGMENTATION_DES_SALAIRES CONSTITUE EN MEME TEMPS UN DES MOYENS LES PLUS EFFICACES DE LUTTE CONTRE LA MACHINE DE #GUERRE.

    Mais la situation des ouvriers et des masses laborieuses ira toujours en s’aggravant (jusqu’à la famine) si le ravitaillement continue à se faire par les voies actuelles. Les liens entre la ville et la campagne ont été rompus par la guerre. Les #réquisitions de l’armée d’occupation et l’accaparement du trafic par les gros requins du marché noir avec la complicité des organes d’Etat, grugent les petits paysans et affament les villes. C’est la tâche directe des masses exploitées de la ville et de la campagne de rétablir les liens économiques entre elles. Le seul moyen d’améliorer la situation alimentaire est donc LE CONTRÔLE DU RAVITAILLEMENT PAR LES #COMITES_D'USINE (élus par les ouvriers) ET PAR LES COMITES DE QUARTIER (élus par les ménagères).

    Mais une solidarité définitive entre la ville et la campagne ne peut être établie que si les travailleurs peuvent fournir aux paysans, en échange des produits alimentaires, des produits industriels qui leur sont indispensables.

    Les travailleurs doivent dénoncer à toute la population paysanne et pauvre l’incapacité et la bestialité de la bourgeoisie qui a ruiné le pays pour maintenir sa domination. Ils doivent leur expliquer que seul le PLAN OUVRIER, qui orienterait l’industrie vers les véritables besoins des populations (des tracteurs agricoles et non pas des tanks !) peut mettre un terme aux maux actuels. Ils doivent donc mettre en avant la revendication du RETOUR AUX FABRICATIONS DE PAIX et du #CONTROLE_OUVRIER_SUR_LA_PRODUCTION.

    Or toute tentative d’arracher à la bourgeoisie le morceau de pain quotidien doit inévitablement se heurter aux organes de répression de l’#impérialisme_français et allemand. C’est pourquoi une lutte sérieuse pour le pain pose au premier plan la lutte politique pour le renversement du #régime_de_Vichy et de la #Gestapo.

    Les travailleurs doivent mettre en avant la lutte pour la reconquête des droits de grève, de réunion, d’association et de presse.

    Une telle perspective exige une politique internationaliste visant à obtenir l’appui ou la neutralité des soldats allemands, sans lesquels il n’est pas possible de renverser le régime PAR LES FORCES PROLETARIENNES ET AU PROFIT DES OPPRIMES.

    Mais la lutte contre la dictature politique de la bourgeoisie exige la CREATION DE #MILICES_OUVRIERES EN VUE DE L’ARMEMENT DU PROLETARIAT. Cette tâche peut être réalisée par les travailleurs à condition qu’ils se pénètrent de la nécessité de ne compter que sur eux-mêmes et de ne pas faire confiance à la bourgeoisie française et alliée.

    La réalisation de l’#armement du prolétariat peut faire un grand pas en avant si les travailleurs réfractaires réfugiés dans le maquis, déjà partiellement armés, parviennent à se soustraire au contrôle de l’impérialisme gaulliste et allié par l’élection démocratique des chefs.

    L’orientation de la lutte en ce sens n’a pas une importance vitale seulement pour le présent : Il s’agit avant tout de préparer l’avenir.

    En effet, dans les conditions crées par la guerre et désagrégation de l’économie, tout gouvernement qui s’appuierait sur les organes de l’État bourgeois (corps des officiers, police, haute administration, haute magistrature), se comporterait automatiquement (quelle que soit sa phraséologie) comme celui de Vichy. A travers les luttes pour les objectifs immédiats, les travailleurs conscients doivent donc lutter CONTRE LES ILLUSIONS DU PARLEMENTARISME et APPELER A LA CREATION D’ORGANES VERITABLEMENT DEMOCRATIQUES, LES CONSEILS (SOVIETS) OUVRIERS ET PAYSANS, élus à l’échelle locale, régionale et nationale par les masses en lutte contre l’Etat bourgeois.

    S’appuyant sur ces Comités, le Gouvernement ouvrier et paysan est le gouvernement du peuple par le peuple lui-même. Seul il peut résoudre les problèmes posés par la guerre ; seul il peut punir les criminels qui ont plongé la France dans la IIème guerre mondiale, qui ont détruit les organisations et les libertés ouvrières, qui ont organisé la déportation en Allemagne et fait emprisonner, torturer et tuer des dizaines de milliers de militants ouvriers.

    SEULE LA DICTATURE DU PROLETARIAT PEUT ASSURER AUX MASSES LE PAIN, LA PAIX ET LA LIBERTÉ !

    A BAS LA REPUBLIQUE « DEMOCRATIQUE » ! VIVE LA REPUBLIQUE SOVIÉTIQUE !

    LA NOUVELLE INTERNATIONALE

    Comme nous l’avons vu, les conditions économiques de notre époque rendent nécessaire une lutte prolétarienne unifiée à l’échelle internationale. Les travailleurs d’un pays ne peuvent en aucune façon séparer leur sort des ouvriers des autres pays. Cela, non seulement en vue de l’émancipation sociale par le socialisme, mais même simplement du point de vue de la lutte économique quotidienne des ouvriers. Le niveau de vie des travailleurs de France, de Belgique, d’Allemagne, de Hollande, etc... a son influence sur le niveau de vie des travailleurs de Grande-Bretagne, de même que le niveau de vie des travailleurs de Grande-Bretagne, d’Allemagne, etc... a ses répercussions sur les travailleurs de France et ainsi de suite.

    Il faut donc à la classe ouvrière un Etat-Major international : l’INTERNATIONALE. Mais successivement les travailleurs, entre 1914 et 1933, ont assisté à l’écroulement de la IIème et de la IIIème Internationale. Aussi beaucoup d’ouvriers se demandent-ils avec inquiétude : à quoi bon une nouvelle Internationale ? Ferait-elle mieux que les précédentes ? Faudra-t-il toujours recommencer ?

    Mais la faillite des vieilles internationales n’a rien de décourageant. Aussi longtemps que le #capitalisme n’est pas définitivement renversé, les organisations créées parle prolétariat en vue de la lutte contre la bourgeoisie s’usent dans le combat ; il faut alors en créer de nouvelles.

    La IIème et la IIIème Internationale ont laissé derrière elles une œuvre durable. La #IIème_Internationale a répandu la doctrine socialiste parmi des millions d’ouvriers du monde entier, enracinant ainsi pour toujours la doctrine marxiste comme théorie du mouvement ouvrier. Quant à la #IIIème_Internationale, elle a montré, leçon irremplaçable, comment on renverse la #bourgeoisie et a créé une économie planifiée sur 1/6 du globe. A la IVème Internationale incombe d’achever le travail de la IIème et de la IIIème Internationale en instaurant LA #DICTATURE_DU_PROLÉTARIAT ET LE SOCIALISME DANS LE MONDE ENTIER.

    Que les fatigués et les sceptiques, restent à l’écart les jeunes et les militants ouvriers qui ne veulent pas capituler devant l’impérialisme se mettront à l’école des idées de la IVème Internationale.

    Il faut reconstituer de nouveaux partis ouvriers communistes, sections de la IVème Internationale dans chaque pays. Déjà des milliers d’ouvriers sur tous les continents, dans presque tous les pays, de l’URSS à l’Amérique, et de l’Afrique à la Chine, luttent sous le drapeau de la #IVème_Internationale.

    Car l’#avant-garde_prolétarienne n’est pas faite de militants indépendants de la classe ouvrière. LE PARTI OUVRIER EST L’ŒUVRE DE LA CLASSE OUVRIERE ELLE-MEME, qui se regroupe et prend conscience de sa force et de ses tâches. Dès maintenant, les ouvriers doivent surmonter les terribles conditions dans lesquelles ils vivent et trouver le temps nécessaire pour se consacrer au travail politique révolutionnaire. Dans la confrontation de leurs idées et de leur action, ils feront leur propre éducation démocratique, exerceront leur esprit critique et choisiront les meilleurs d’entre eux pour coordonner leur action et multiplier les liaisons sur une échelle de plus en plus large.

    La classe ouvrière a pour elle le nombre, la place indispensable qu’elle occupe dans la production, et l’incapacité de la bourgeoisie de faire vivre plus longtemps la société. De plus « SA LIBERATION EST CELLE DE L’HUMANITÉ ENTIERE »

    Celle-ci se trouve aujourd’hui devant cette unique alternative : ou bien LA BARBARIE, c’est-à-dire que le prolétariat sera incapable de remplir sa mission historique et alors « le sang et les sueurs des classes laborieuses couleront éternellement dans les vases d’or d’une poignée de riches odieux » (Babeuf), ou bien LE SOCIALISME, c’est-à-dire que le prolétariat SOUS LA CONDUITE DE SON PARTI QU’IL FORGERA A TRAVERS SES EPREUVES, accomplira sa mission par la #révolution_socialiste qui, une fois commencée, se répandra d’un pays à l’autre avec une force irrésistible ; dans ce cas : « Par l’exemple et avec l’aide des nations avancées, les nations arriérées seront emportées aussi dans le grand courant du socialisme. Les barrières douanières entièrement pourries tomberont. Les contradictions qui divisent le monde entier trouveront leur solution naturelle et pacifique dans le cadre des Etats-Unis socialistes, en Europe comme dans les autres parties du monde. L’HUMANITE DELIVREE S’ELEVERA JUSQU’A SA PLEINE HAUTEUR ». (#Léon_Trotsky).

    #révolution_mondiale #deuxième_guerre_mondiale #barbarie #stalinisme #nazisme #impérialisme #communisme #lutte_de_classe #marxisme #léninisme #trotskisme #communisme_révolutionnaire

  • « L’ennemi principal est dans notre propre pays » (Lutte Ouvrière Belgique, 14 février 2023)

    https://lutte-ouvriere.be/lennemi-principal-est-dans-notre-propre-pays

    Les chefs de gouvernement européens réunis à Bruxelles pour un sommet extraordinaire ont engagé une nouvelle étape dans la #guerre qui oppose les pays de l’#OTAN à la #Russie sur le territoire de l’Ukraine. Les dirigeants d’#Allemagne, #France, Belgique, etc, derrière les USA, accentuent leur intervention militaire en Ukraine, avec la livraison prochaine de chars lourds. Et ils discutent maintenant ouvertement de livrer des avions de chasse, avec le risque d’intervenir au-delà des frontières ukrainiennes.

    Ces décisions, pourtant extrêmement graves, sont prises sans le consentement des populations, par des généraux, des industriels de l’#armement, des diplomates, des agents secrets… Mais ces dirigeants veulent entraîner tout le monde dans leurs perspectives guerrières.

    Alors Zelensky a pris la parole au parlement de Bruxelles. Sous les ovations des parlementaires et journalistes, l’ancien acteur de série télé, ami des oligarques corrompus, s’est adressé directement à la population européenne, saluant policiers, enseignants, ouvriers, patrons et même les syndicalistes qui, en Europe, admire-t-il, ont le droit de manifester. Et de nous exhorter à suivre les #Macron, #Scholz ou de Croo, dont la politique anti-sociale est connue, pour accentuer la guerre en Ukraine dans le but de défendre « le mode de vie européen » contre le mode de vie autoritaire « russe ».

    Oui, Poutine c’est la dictature, et les oligarques russes sont corrompus, autant que leurs semblables ukrainiens. Un système brutal qui pèse sur la population russe, entraînée dans une guerre qu’elle n’a pas choisi !

    Et en Europe, de quel « mode de vie » parle-t-il, de quelle liberté ? Du mode de vie des familles populaires « libres » de baisser le chauffage pour pouvoir payer leurs factures qui explosent ? Ou du mode de vie des politiciens grassement payés pour sauvegarder la liberté des actionnaires des groupes capitalistes de s’enrichir en spéculant sur l’énergie et la nourriture ? De la liberté des capitalistes de licencier ou de fermer des usines et condamner des milliers de #travailleurs au chômage ?

    Quant aux « #libertés_syndicales », Zelensky fait vraiment fort en matière d’hypocrisie. Lui, qui a supprimé jusqu’aux conventions collectives en Ukraine, et vendu les travailleurs ukrainiens aux groupes capitalistes occidentaux qui se précipitent pour soi-disant « reconstruire » le pays ! Une hypocrisie surpassée par celle des dirigeants européens qui exigent que soient virés les principaux oligarques ukrainiens corrompus avant d’accepter l’Ukraine dans l’Union européenne. C’est que les capitalistes européens veulent profiter de la main-d’œuvre ukrainienne bon marché sans être gênés par des concurrents locaux !

    Il n’y a pas de « mode de vie européen » valable pour tout le monde. Il y a ceux qui doivent travailler pour vivre, pour beaucoup sans même profiter de la retraite, et il y a ceux qui s’enrichissent sur leur dos ! Par contre, les problèmes et les besoins de tous les travailleurs, européens, russes, ukrainiens, américains, turcs, marocains, africains, asiatiques sont les mêmes : un travail correct, un salaire qui permette de vivre, une éducation et des soins, bien sûr un logement et une nourriture suffisante. Et cela tous les travailleurs et travailleuses ne l’ont pas, même dans un pays riche comme la #Belgique.

    L’unité nationale entre les travailleurs et les capitalistes est un piège. Pour nous faire accepter le chômage, les salaires insuffisants et demain la guerre. Ceux qui sacrifient aujourd’hui nos pensions, nos conditions de travail et nos droits aux soins et à l’éducation pour augmenter leurs profits, seront prêts demain à sacrifier nos vies pour leurs guerres !

    La #guerre_en_Ukraine n’est pas dans l’intérêt des travailleurs, pas plus que ne l’étaient celles en Irak, Afghanistan, Syrie, Libye et tant d’autres. Plus de 250 000 Ukrainiens seraient morts ou blessés. Des centaines de milliers d’autres ont tout perdu. Au nom de la patrie, pour la liberté et la paix future ? Non, en réalité pour l’enrichissement des capitalistes des pays de l’OTAN et des #oligarques ukrainiens.

    Le mirage de l’unité nationale commence à se fissurer en Ukraine. Alors qu’aux sommets de l’État, des proches de #Zelensky se sont rempli les poches en profitant des marchés de la guerre, les hommes meurent au front ou de froid ! Des hommes commencent à résister à l’#embrigadement_militaire.

    Les ennemis des travailleuses et travailleurs, ce sont d’abord les capitalistes de leur propre pays, qu’on soit russe, ukrainien, belge, français, allemand ou autre. La folie guerrière en #Ukraine et dans le monde cessera quand les travailleurs se mettront à riposter contre leurs propres exploiteurs, contre leurs propres généraux, en se donnant la perspective de les renverser pour un monde sans frontières et sans exploiteurs !

    * #Karl_Liebknecht, révolutionnaire allemand et compagnon de lutte de #Rosa_Luxembourg, en 1915 en pleine guerre mondiale, 3 ans avant la #révolution qui a fait tomber l’empereur allemand

    #impérialisme #lutte_de_classe #internationalisme #nationalisme

  • 4 - 11 février 1945, la conférence de Yalta : peur de la révolution et partage du monde

    https://journal.lutte-ouvriere.org/2015/02/18/fevrier-1945-la-conference-de-yalta-peur-de-la-revolution-et

    Du 4 au 11 février 1945, le président américain Roosevelt, le Premier ministre britannique Winston Churchill et le dirigeant de l’URSS Staline se réunissaient à Yalta, en Crimée, alors que la fin de la guerre était proche, pour décider du sort de l’Europe. Ce ne fut qu’une des conférences qui jalonnèrent la guerre, après celle de Téhéran en novembre 1943, et avant celle de Potsdam en juillet 1945, sans compter les multiples rencontres bilatérales, ou tripartites, entre chefs d’État ou ministres. Mais Yalta allait rester le symbole d’un accord de partage du monde.

    L’entente entre ces #Alliés contre l’#Allemagne était une collaboration non seulement pour gagner la guerre, mais aussi pour s’opposer à tout mouvement révolutionnaire. Ils n’avaient pas oublié que de la Première Guerre mondiale était sortie une révolution qui, partie de la Russie en 1917, avait ébranlé le monde.

    Alliés… contre le danger d’explosion révolutionnaire

    Les représentants de l’#impérialisme, en la personne de #Roosevelt et de #Churchill, se méfiaient de #Staline. Il était certes un dictateur, ce qui ne pouvait que les rassurer, à la tête d’un État gangrené par la #bureaucratie dont il était le représentant. Mais cet État était issu d’une révolution ouvrière, celle d’octobre 1917. Et si les travailleurs russes n’avaient plus le pouvoir politique en #URSS, l’économie, elle, restait collectivisée. De ce fait, les représentants américains et anglais de l’impérialisme n’auraient pas vu d’un mauvais œil que l’URSS soit vaincue par Hitler. Mais il n’en fut pas ainsi.

    Roosevelt et Churchill durent donc collaborer avec un allié dont la fidélité ne leur paraissait pas assurée. En réalité, Staline était tout autant qu’eux décidé à éviter l’explosion d’une révolution en Europe. Celle-ci aurait pu secouer la #classe_ouvrière soviétique, lui donner l’envie et la force de renverser le #régime_bureaucratique de Staline. Mais celui-ci n’en dut pas moins prouver aux Alliés impérialistes sa volonté de maintenir l’ordre établi.

    La crainte d’une révolution engendrée par la guerre, la misère et l’instabilité, conséquence de la destruction des appareils d’État, n’était pas seulement fondée sur le souvenir des révolutions passées, mais sur les événements révolutionnaires qui agitaient alors l’Italie et la Grèce.

    Italie, Grèce, Allemagne, la peur de révoltes ouvrières

    En Italie, dès le début du mois de mars 1943, en plein conflit mondial, et alors que #Mussolini était au pouvoir depuis vingt et un ans, une #grève contre la vie chère, partie de l’usine #Fiat de #Turin, s’étendit aux autres villes industrielles, du nord jusqu’au sud du pays. Au total, 300 000 ouvriers firent grève contre les bas salaires, mais aussi et surtout parce qu’ils en avaient assez de la guerre et de la dictature. Cette vague de grèves allait contribuer à l’écroulement du régime de Mussolini, et réveiller l’espoir des opprimés.

    Cette agitation, dans laquelle la classe ouvrière joua un rôle prépondérant, continua après le débarquement des troupes anglo-américaines en juillet 1943, après l’arrestation de Mussolini et la mise en place d’un nouveau régime qui ressemblait beaucoup à l’ancien.

    Un an plus tard, en mars 1944, toute l’Italie du Nord connut de nouveau une vague de grèves qui toucha 1 200 000 travailleurs. Mais le dirigeant du #Parti_communiste_italien (#PCI), #Togliatti, de retour d’URSS, assura les Alliés anglo-américains qu’ils n’avaient rien à craindre. Il déclara que le PCI, loin d’envisager une révolution, apportait son appui à « un gouvernement fort, capable d’organiser l’effort de guerre », et dans lequel il y avait, selon lui, « place pour tous ceux qui veulent se battre pour la liberté de l’Italie ».

    Cela incluait entre autres le roi, compromis jusqu’à la moelle avec le fascisme. Le 22 avril 1944, se constitua un gouvernement d’union nationale reconnaissant l’autorité du roi, avec Togliatti comme vice-président !

    Cette politique d’alliance dans des Fronts de résistance, allant des PC à des partis d’extrême droite et à des forces politiques qui s’étaient déjà compromises au pouvoir, fut appliquée partout.

    En #Grèce, comme en Italie, la population se révoltait contre la guerre et la misère. Mais le Parti communiste, qui avait organisé la résistance à l’occupation allemande, accepta de négocier avec les représentants de la dictature honnie de Metaxas et le roi, qui tous avaient fui en exil à Londres, et fit passer ses milices sous le commandement militaire anglais. Le 12 octobre 1944, les troupes allemandes évacuaient Athènes, et trois jours plus tard, les troupes britanniques y faisaient leur entrée. Début décembre, à l’occasion d’une manifestation à Athènes, Churchill donna pour consignes au commandement britannique de ne pas hésiter « à agir comme si vous vous trouviez dans une ville conquise où se développe une rébellion locale ». Le commandement britannique imposa la loi martiale et continua jusqu’au 5 janvier 1945 à réprimer la population qui se révoltait contre le retour de ces politiciens haïs.

    Au travers des événements en Italie et en Grèce, les Alliés purent vérifier la loyauté de Staline et son soutien total à la mise au pas de la population. Mais le danger révolutionnaire n’était pas écarté pour autant. Plus encore que la Grèce et l’#Italie, c’était la possibilité que les classes ouvrières allemande et japonaise réagissent qui inquiétait les dirigeants américains et anglais, et aussi Staline. Leur politique, initiée par les gouvernements américain et anglais dès 1941, fut de terroriser la population ouvrière, de la disperser, par des #bombardements massifs et systématiques des grandes villes, comme ceux qui, à #Dresde, rasèrent littéralement la ville, du 13 au 15 février 1945.

    La même terreur fut appliquée contre la population au #Japon. En 1945, cent villes furent bombardées et 8 à 10 millions de leurs habitants durent les fuir, avant même les bombes atomiques que les États-Unis allaient larguer sur #Hiroshima et #Nagasaki en août 1945.

    Le partage de l’Europe

    La #conférence_de_Yalta se tint trois mois avant la fin de la guerre, mais les futurs vainqueurs discutaient depuis déjà longtemps des zones d’influence qui leur reviendraient. Ces marchandages, se basant sur les rapports de force militaires existant sur le terrain, n’étaient alors pas favorables aux Occidentaux. L’#armée_soviétique, qui avançait à grands pas en Europe de l’Est, n’était déjà qu’à une centaine de kilomètres de Berlin.

    C’est dans ce contexte que se discuta le sort qui serait fait à l’Allemagne, une fois celle-ci définitivement vaincue. Roosevelt, Churchill et Staline tombèrent vite d’accord pour imposer le démantèlement du pays. L’Allemagne fut divisée en trois zones d’occupation, anglaise au nord-ouest du pays, américaine au sud-ouest, soviétique à l’est, auxquelles s’ajouta une zone d’occupation française prélevée sur les zones occidentales. La capitale, Berlin, fut elle aussi divisée en quatre zones. C’est en fait toute l’Europe qui allait être divisée en une zone contrôlée par l’URSS à l’est, et une autre à l’ouest contrôlée principalement par les États-Unis.

    Une fois le danger de révolution écarté avec certitude, l’entente entre les représentants de l’impérialisme et de la bureaucratie allait vite voler en éclats pour faire place à la #guerre_froide – froide seulement parce qu’elle ne dégénéra pas en guerre mondiale – opposant l’impérialisme américain à l’URSS.

    L’alliance militaire entre les États impérialistes et l’URSS stalinienne pour vaincre les #puissances_de_l’Axe se doubla ainsi d’un accord politique pour empêcher, à la fin de la guerre, toute révolution ouvrière qui aurait pu renverser le système capitaliste. La fin de la boucherie impérialiste ne fut pas celle du système économique qui l’avait engendrée. Soixante-dix ans après, l’humanité entière paye très cher cette survie d’un ordre social qui ne cesse d’engendrer crises, guerres et massacres.

    #éphéméride

  • En exportant des armes, la France et l’Allemagne alimentent le conflit entre la Grèce et la Turquie [mars 2022]
    https://www.investigate-europe.eu/fr/2022/exportations-armes-france-allemagne-conflit-grece-turquie

    En 2021, au cœur de la récession provoquée par la pandémie, la #Grèce a consacré 3,8% de son PIB à la #défense. En relatif, le budget le plus élevé de tous les États membres de l’Otan… Le petit État du sud de l’Europe, a dépensé davantage que les États-Unis - 3,5% de leur PIB. « Nous ne sommes pas un grand pays, nous n’avons pas non plus la plus grande économie d’Europe », expliquait ainsi le ministre grec des affaires étrangères, en janvier dernier. « Pourtant, nous avons plus de chars d’assaut que l’Allemagne et la France réunies. Nous avons l’une des plus grandes, sinon la plus grande, force aérienne de l’UE. Nous avons plus de 250 avions de combat ».

    [...] Au cours des 40 dernières années, les États-Unis, l’Allemagne et la France ont été les principaux exportateurs d’#armes vers la Grèce et la #Turquie. [...] La France, elle, a souvent choisi le camp de la Grèce, quant à l’Allemagne, elle a plutôt préféré celui de la Turquie. Au fil des années, les deux grandes alliées de l’UE, ont alimenté une course à l’armement qui semble sans limite.

    [...] En septembre 2021, c’est au tour de la France de soutenir la Grèce, avec la signature d’une clause d’assistance mutuelle en matière de défense. Cet accord, poussé par la diplomatie grecque depuis des années, stipule que la France viendra en aide à la Grèce si elle est attaquée par un autre pays, y compris… la Turquie. La protection française s’est monnayée chère, le “partenariat stratégique” inclut l’achat de 24 avions Rafale et d’ « au minimum trois frégates Belharra », le ministre grec de la défense laissant entendre qu’il serait prêt à monter jusqu’à 40 Rafales.

  • Behördenchaos: Was man erlebt, wenn man das neue „Berlin Ticket S“ benötigt
    https://www.berliner-zeitung.de/open-source/soziales-armut-buergergeld-bvg-ersatzverfahren-fuer-ermaessigte-ein

    9.2.2023 von Michael Hellebrand - Der Berlin-Pass wurde abgeschafft. Unser Autor, selbst armutsbetroffen, kritisiert: Das Ersatzverfahren für ermäßigte Eintritte und Fahrkarten ist unzureichend.

    Ich schreibe diesen Text als armutsbetroffener Mann, stellvertretend für alle finanziell schwachen Menschen in Berlin. Einige von uns sind im Stadtbild deutlich sichtbar und können nicht mehr ignoriert werden. Dies sind die allerärmsten Menschen. Ohne Wohnung hausen sie im Freien und die Geflüchteten in Sammelunterkünften, manchmal auf 3 Quadratmetern pro Person. Die meisten von uns Armen sind jedoch unsichtbar. Es sind Arbeitslose, Minijobber, Aufstocker, Rentner oder BU-Rentner oder einfach nur arme oder kranke Menschen. Aber dieser Personenkreis hat meistens zumindest (noch) eine Wohnung und zusätzlich die Grundsicherung von circa 503 Euro pro Monat zum „Leben“.

    Mit diesen Zeilen möchte ich Sie darauf aufmerksam machen, dass auch in Berlin hinter jedem der circa 500.000 Bezieher von Bürgergeld mindestens ein Mensch steht. Ein Mensch mit Gefühlen und einer Restwürde. Eben diese Menschenwürde wird immer öfter in Abrede gestellt, offensichtlich weil wir angeblich nichts mehr leisten und als Konsumenten für den Überwachungskapitalismus uninteressant und nicht mehr zu gebrauchen sind. Unnütz, ausgesondert, lästig.

    Einschlägige Medien hetzen sogar pauschal gegen uns. Dort werden wir als Schmarotzer, Faulpelze, Tunichtgute oder Wirtschaftsflüchtlinge diffamiert. Natürlich möchte kaum jemand mit solchen Menschen zu tun haben oder gar selbst dazugehören. Die Angst, als arm stigmatisiert zu werden, scheint riesig zu sein. Wenn es doch so ist, wird es geleugnet, denn unnütz beziehungsweise auf staatliche Unterstützung angewiesen zu sein, gilt als der vielleicht größte Makel. Das brauche ich wohl niemandem erklären.

    Scheinbar instinktiv verhalten sich die meisten Menschen folgerichtig. Sie schämen sich, werden depressiv, bleiben zu Hause und isolieren sich. Dort sitzen sie viel zu oft und viel zu lange einen Winter lang alleine, oft mit unterdessen gedrosselter Heizung und ohne Licht vor dem Fernseher. Etwas anderes können sie sich ohnehin nicht leisten. Und ihr Winter ist lang. Oft für den Rest ihres Rentnerlebens.

    Um hin und wieder doch der Einsamkeit entfliehen zu können, gab es bis Ende 2022 den sogenannten Berlinpass. Damit konnte man sich bisher bei Veranstaltungen, im Theater oder im Schwimmbad ausweisen, um seinen Anspruch auf eine Ermäßigung geltend zu machen. Dieser Ausweis wurde nach der Vorlage eines entsprechenden Leistungsbescheides von den Bürgerämtern einfach und unbürokratisch ausgestellt. Während der Pandemie jedoch ausnahmslos schriftlich – ohne Publikumsverkehr. Bei der Umstellung auf das Bürgergeld wurde von der Verwaltungsbehörde diese temporäre Vorgehensweise offensichtlich als Vorlage genommen, um diesen lästigen Verwaltungsakt endgültig ganz loszuwerden.

    Mit Hand geklebte QR-Codes statt Berlinpass

    Die Umstellung auf das Bürgergeld steckt bis jetzt in einer „Übergangsphase“ fest, die alle Berechtigten ohne weitere Informationen lässt. Offensichtlich gab es einen viel zu kurzen Vorlauf, um den betroffenen Personenkreis zu informieren und die notwendigen Änderungen in der Verwaltung durchzuführen. Die Infos in den Medien müssen reichen. Auch die dort angekündigten, neuen „Berechtigungsnachweise“ der Bürgerämter sind bis heute nicht bei allen Berechtigten angekommen. Und wenn doch, dann funktionieren diese auf der entsprechenden Homepage der BVG oft nicht.

    Soll heißen: Viele Grundsicherungsberechtigte warten auf ein Schreiben, auf welchem von den Mitarbeitern des Amtes zuvor „händisch“, also per Hand, ein QR-Code aufgeklebt worden ist. Dieser individuelle Code soll zusammen mit den Daten des Personalausweises, des Leistungsbescheides der Leistungsbehörde und einem Foto auf der entsprechenden Internetseite der BVG eingescannt und hochgeladen werden. Wer dazu nicht in der Lage ist, ist schon mal raus, denn es ist derzeit der einzige Weg, um an eine VBB-Kundenkarte zu kommen. Ab dem 01.04.2023 soll es dann auch einen schriftlichen Papierweg geben, wenn es kein Aprilscherz ist. Stellt man den Antrag dann ab dem 1. April schriftlich, ist man bis zur Bearbeitung der BVG ganz ohne gültigen „Berechtigungsnachweis“.

    Die Bearbeitung der Online-Anträge seitens der BVG nimmt dann wiederum Zeit in Anspruch. Man wartet also und in dieser Zeit fragt man sich, was gerade die BVG zu so einer – vom Datenschutz wohl kaum gedeckten – Stellvertreter-Aufgabe berechtigt, warum sie dafür ausgewählt worden ist und warum sie diese so bereitwillig übernimmt. Als hätte die BVG nicht genug mit sich selbst zu tun.

    Die Berliner Bürgerämter sind bekanntermaßen durch den massiven Stellenabbau seit 2001 (arm, aber sexy) vollkommen überlastet. Haben sie vielleicht gegen diesen Verwaltungsakt rebelliert? Das könnte naheliegen. Nun müssen sie jedoch stattdessen eine Wahlwiederholung und die Handarbeit des QR-Codes stemmen. Und das dauert eben. Aus dem einfachen Ausstellen des bisherigen Nachweises ist ein datenschutzrechtlich bedenkliches, behördliches und vor allem vollkommen überflüssiges Wirrwarr mit einem großen Aufwand entstanden.

    Das Resultat: Wirrwarr mit großem Aufwand

    Aber dies ist nur ein weiteres sehr typisches Beispiel vom Durcheinander in der Berliner Verwaltung. Niemand möchte die Verantwortung tragen. Wer zerschlägt nur endlich den Gordischen Knoten in der Verwaltung, anstatt diese immer mehr zu verkomplizieren. Jetzt sollen sich die bedürftigen Bürger bei der BVG legitimieren und sensible Daten preisgeben? Ja, sitzen denn im Senat von Berlin und den Behörden keine Fachleute, die dieses datenrechtlich unhaltbare Dilemma im Vorfeld hätten erkennen sollen; ja hätten erkennen und stoppen müssen? Aber Bürokratie schafft sich selbst niemals ab, das ist Gesetz. Und so wächst das Krebsgeschwür Bürokratie weiter und immer weiter.

    Ein Telefonat mit den zuständigen Datenschützern in Moabit brachte mir die Erkenntnis, dass dort viele gut bezahlte Mitarbeiter sitzen und ohnmächtig auf die Antworten der verschiedenen beteiligten Behörden warten. Und dies teilweise bereits schon seit über einem halben Jahr. Der betreffende Mitarbeiter bestätigte meinen Eindruck von der Unrechtmäßigkeit der derzeitigen Einbindung der BVG in diesen Akt. „Immerhin haben wir erreicht, dass man alle Daten bis auf den Namen auf dem Personalausweis schwärzen darf“, teilte mir dieser Herr mit. Er erschien mir ziemlich hilflos und – zumindest in dieser Angelegenheit – sehr machtlos zu sein.

    Könnte es sein, dass dies genau das Grundproblem unserer Verwaltung darstellt? Zu viele Beteiligte und Unbeteiligte mit zu vielen unklaren Vorgaben und/oder zu wenigen Kompetenzen warten und warten. Warten in gut geheizten Büros. Auch ein Leben lang. Aber immerhin in einem festen, gut bezahlten, unbefristeten und unkündbaren Arbeitsverhältnis. In der heutigen Zeit der Jackpot.

    Ich mutmaße und wünsche mir als Betroffener, dass die Wiederkehr des alten Berlinpasses bevorsteht. Dies wäre wohl die einfachste Lösung. Aber wir sind in Berlin. Einfach? Doch nicht mit uns – den Unsichtbaren.

    Dieser Beitrag unterliegt der Creative Commons Lizenz (CC BY-NC-ND 4.0).

    #Berlin #Armut #Verkehr

  • « Et le sabotage de Nordstream ça visait à quoi ? »

    L’aide humanitaire et militaire que fournissent les États-Unis et l’Europe à l’Ukraine vise à garantir la sécurité et le respect des frontières européennes.
    Pour que l’Europe reste un endroit où la liberté et la démocratie prospèrent, 🇺🇦 l’Ukraine doit l’emporter.

    https://video.twimg.com/amplify_video/1623223245888421890/vid/720x720/A_fHV7NYhE0DIk1b.mp4?tag=16

    https://seenthis.net/messages/989862
    https://www.thetimes.co.uk/article/us-bombed-nord-stream-gas-pipelines-claims-investigative-journalist-seym

    Le bombardement des gazoducs sous-marins Nord Stream : une opération secrète ordonnée par la Maison Blanche et menée par la CIA affirme Seymour Hersh, prix Pulitzer pour ses révélations sur les crimes de guerre américains au Vietnam.

    • Que l’impérialisme se cache derrière des discours à dormir debout sur la démocratie et la liberté, pas étonnant. Ils nous refont à chaque fois le coup. La réalité, naturellement, est d’une autre nature. Maintenant, ce que raconte Seymour, même si ces dires n’ont rien d’étonnant, il faut s’en méfier un brin – le type a glissé dans le conspirationnisme depuis un petit moment...

      La #guerre qui ravage l’#Ukraine, que les classes populaires ukrainiennes et russes paient au prix fort, n’est donc pas seulement une agression du dictateur du Kremlin contre un voisin plus petit. Elle est le dernier épisode en date de trois décennies de pressions incessantes des États-Unis et de leurs alliés de l’Otan sur la Russie, pour réduire sa #zone_d’influence en faisant basculer dans la leur le maximum de territoires issus de l’URSS. À ce titre, l’offensive en cours déclenchée par Poutine s’inscrit dans une stratégie défensive de la Russie face à la poussée de l’#impérialisme.

      Mais, comme Roosevelt et Staline en leur temps, Biden et Poutine se comportent en bandits à la fois rivaux et complices. Malgré la campagne politico-médiatique du monde occidental qui présente Poutine comme un dictateur sanguinaire, les dirigeants impérialistes, s’ils cherchent effectivement à affaiblir la Russie, ne cherchent pas à se passer de celui qui la dirige. Ils ont besoin de son régime à poigne, qui assume un rôle irremplaçable de gardien de l’ordre mondial et de la stabilité sociale sur une portion de la planète, y compris au-delà des frontières de la #Fédération_de_Russie. Ainsi, ils n’ont rien trouvé à redire quand, en janvier dernier, #Poutine a envoyé ses parachutistes pour aider le dictateur du #Kazakhstan à mater une révolte ouvrière. Il est significatif que, lorsque le président des #États-Unis, venu à la fin mars passer en revue les troupes américaines stationnées en Pologne, a déclaré  : «  Cet homme ne peut pas rester au pouvoir  », son entourage l’a immédiatement recadré, affirmant que le départ de Poutine n’était pas leur objectif. Mais en même temps, bien sûr, ils veulent un État russe suffisamment faible pour qu’il ne puisse pas entraver les affaires de leurs capitalistes ni contrer les manœuvres de leurs diplomates et services secrets dans cette même région. Le secrétaire d’État à la Défense, #Lloyd_Austin, l’a explicité le 24 avril, depuis Kiev  : «  Nous voulons maintenant voir la Russie affaiblie à un point tel qu’elle ne puisse pas recommencer des choses comme envahir l’Ukraine.  »

      Jusqu’à quel point les dirigeants américains veulent-ils affaiblir la #Russie  ? Que sont-ils prêts à concéder à Poutine, y compris sur le dos de l’Ukraine, qui fournit la chair à canon tandis que l’Amérique fournit les #armes  ? Le Kremlin a envahi l’Ukraine avec un objectif affiché  : obtenir sa neutralité et la garantie que l’#Otan n’y installera aucune base. Après avoir échoué à faire tomber Kiev et le gouvernement #Zelensky, quel compromis Poutine est-il prêt à accepter  ? La réponse à ces questions dépendra du rapport de force sur le terrain, de la réussite ou de l’échec de la nouvelle offensive russe centrée sur le Donbass. Pour les dirigeants américains, affaiblir la Russie, cela signifie prolonger la guerre en renouvelant les stocks de munitions et en augmentant encore les livraisons d’armes.

      https://mensuel.lutte-ouvriere.org//2022/05/02/ukraine-une-guerre-russo-americaine-et-un-tournant_301279.ht

  • « Vingt ans après l’invasion de l’Irak, la guerre est dans toutes les têtes, et tout le monde vient de Mars »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/01/11/vingt-ans-apres-l-invasion-de-l-irak-la-guerre-est-dans-toutes-les-tetes-et-

    C’était il y a vingt ans. A la veille de l’invasion de l’Irak par les troupes des Etats-Unis, le prolifique géopoliticien Robert Kagan publiait un livre retentissant inspiré par un article écrit quelques mois plus tôt par la revue du cercle de réflexion conservateur américain Heritage Foundation. Il y faisait le constat d’une fracture qu’il redoutait irrémédiable entre les deux rives de l’Atlantique, saisie par une formule volontairement caricaturale promise à la postérité : les Américains venaient de Mars, assurait-il, et les Européens de Vénus.

    Les premiers considéraient la guerre comme contingente de la puissance, alors que les seconds s’en remettaient aux liens du commerce et aux règlements internationaux pour chasser le conflit armé de la grammaire des relations internationales. Ces derniers rêvaient de la paix perpétuelle inspirée par Emmanuel Kant, quand les autres s’en tenaient froidement à leur vision hobbesienne d’un monde naturellement anarchique où un ordre libéral, dans le sens anglo-saxon, ne pouvait être garanti en dernier recours que par la force militaire.

    Vingt ans plus tard, la guerre est dans toutes les têtes, et tout le monde vient de Mars.

    #états-unis #leadership #guerres

  • Pas coconstruire, Seulement Nous Utiliser : le SNU et l’éducation populaire, un rendez-vous raté – L’allume feu
    https://allume-feu.tila.im/index.php/2023/01/30/pas-coconstruire-seulement-nous-utiliser-le-snu-et-leducation-popula

    La recette pour un SNU réussi selon le gouvernement ? On prend des gens qui n’ont pas du tout la même fonction, ni le même but, ni la même culture, et qui ne travaillent jamais ensemble, on mélange tout ça sans préparation et… PAF ! ça fait n’importe quoi. J’ai été témoin d’incompréhensions, de contradictions, de disputes mêmes, en pleine réunion, de ces différents acteurs, chacun voulant faire comme il a l’habitude de faire et ne comprenant pas la même chose des objectifs du SNU.

    Par exemple, alors que je tentais de me faire recruter comme chef de centre (directeur de séjour de cohésion) pour le compte de mon association, je passe en entretien d’embauche. Je suis reçu par une fonctionnaire de la jeunesse et des sports, un militaire, et le recteur d’académie de l’Éducation nationale. En vient une discussion sur la pédagogie à appliquer.

    Ayant bien révisé mes circulaires (et étant issu de l’éducation populaire), je sais que le gouvernement a demandé de réduire au minimum les activités en pédagogie descendante, pour préférer des pédagogies participatives ou par le jeu. Je défends donc cette conception et, puisqu’elle vient d’un document du ministère, ne me doutant pas une minute de la controverse que j’allais soulever. En effet, le militaire n’est pas d’accord : le séjour de cohésion doit être uniforme partout en France et donc on ne peut pas se permettre de pédagogies autres que descendantes. Je vois l’horreur sur le visage de la fonctionnaire de la jeunesse et des sports, qui tente de nuancer ses propos. Le militaire ne l’accepte pas et rebondit. S’en est suivi un dialogue de sourds à la limite de la dispute durant 5 bonnes minutes entre les deux gestionnaires du projet, devant un candidat à l’embauche. Pour ceux qui se demanderaient quel était l’avis du recteur d’académie, il était à moitié en train de dormir sur son bureau. La fonctionnaire de la jeunesse et des sports me rappelle quelques jours après pour me signifier que je ne suis pas pris… et me précise que c’est bien dommage car c’est le militaire tout seul qui n’a pas voulu ! Quelle formidable synergie entre collègues !

    #snu #armée #militaire #éducation