• After Uvalde, a Kindergarten Teacher Trains to Carry a Gun In School - The New York Times
    https://www.nytimes.com/2022/07/31/us/teachers-guns-schools.html

    A decade ago, it was extremely rare for everyday school employees to carry guns. Today, after a seemingly endless series of mass shootings, the strategy has become a leading solution promoted by Republicans and gun rights advocates, who say that allowing teachers, principals and superintendents to be armed gives schools a fighting chance in case of attack.

    At least 29 states allow individuals other than police or security officials to carry guns on school grounds, according to the National Conference of State Legislatures. As of 2018, the last year for which statistics were available, federal survey data estimated that 2.6 percent of public schools had armed faculty.

    The count has likely grown.

    #états-unis #armes #folie_furieuse

  • Non c’è recessione per il mercato delle armi: nuovi contratti tra Turchia e Nigeria, affari per la #Leonardo

    La Turchia consegnerà elicotteri d’attacco alle forze armate della Nigeria ma a fregarsi le mani con Erdogan & C. ci sono pure i manager e gli azionisti di Leonardo SpA.

    Temel Kotil, direttore di #TAI#Turkish_Aerospace_Industries –, la principale azienda pubblica del comparto militare-industriale turco ha reso noto l’esportazione alla Nigeria di sei elicotteri da combattimento avanzato #T-129#Atak”. Ignoto ad oggi il valore della commessa.

    Il velivolo da guerra T-129 “Atak” viene costruito su licenza dell’azienda italo-britannica #AgustaWestland, interamente controllata dal gruppo italiano Leonardo. Si tratta di un bimotore di oltre 5 tonnellate, molto simile all’A129 “Mangusta” in possesso dell’Esercito italiano.

    Nel 2007 AgustaWestland e Turkish Aerospace Industries hanno firmato un memorandum che prevede lo sviluppo, l’integrazione, l’assemblaggio degli elicotteri in Turchia, demandando invece la produzione dei sistemi di acquisizione obiettivi, navigazione, comunicazione, computer e guerra elettronica agli stabilimenti del gruppo italiano di Vergiate (Varese).

    Gli elicotteri T129 “Atak” sono stati acquisiti dalle forze armate turche e utilizzati in più occasioni per sferrare sanguinosi attacchi contro villaggi e postazioni delle milizie kurde nel Kurdistan turco, siriano e irakeno.

    Nel giugno del 2020 TAI ha presentato una versione ancora più micidiale dell’elicottero “cugino” del “Mangusta”: con nuovi sistemi avanzati di individuazione e tracciamento dei bersagli e sofisticati di sistemi per la guerra elettronica, il nuovo velivolo è armato con razzi non guidati da 70 mm e missili anti-carro a lungo raggio #L-UMTAS.

    Sei #T-129 per un valore di 269 milioni di dollari sono stati venduti lo scorso anno alle forze armate delle Filippine; due velivoli sono stati già consegnati mentre i restanti quattro giungeranno a Manila entro la fine del 2023.

    La conferma della commessa degli elicotteri alla Nigeria giunge un paio di giorni dopo la missione in Turchia del Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare nigeriana, il generale Oladayo Amao.

    Incontrando il comandante delle forze aeree di Ankara, il generale Hasan Kucukakyuz, Amao ha espresso l’intenzione di rafforzare la cooperazione industriale-militare con la controparte “in vista del miglioramento dell’efficienza operativa nella lotta al terrorismo, così come stanno facendo in questi mesi i due Paesi”.

    Nigeria e Turchia si sono impegnati, in particolare, a scambiarsi le esperienze nell’impiego dei velivoli a pilotaggio remoto nelle operazioni anti-terrorismo e a moltiplicare le esercitazioni militari congiunte, a partire da quella multinazionale Anatolia Eagle che si svolge annualmente in Turchia. “I due paesi potranno beneficiare enormemente dello scambio di studenti militari durante i programmi di addestramento”, ha dichiarato il Capo di Stato maggiore nigeriano. “Chiediamo inoltre il supporto dell’Aeronautica militare turca per potenziare e modernizzare le piattaforme aeree e sviluppare programmi formativi per le forze speciali e per il personale nigeriano impiegato nelle tecnologie di intelligence e telecomunicazione”.

    Prima di lasciare la Turchia, lo staff dell’Aeronautica nigeriana ha effettuato un tour presso le maggiori industrie militari: TAI – Turkish Aerospace Industries, Aselsan, Havelsan, Manatek, BNW Group, Fly BVLOS – Airways Group ed Express Technics.

    La Nigeria si è rivolta ad Ankara pure per potenziare il dispositivo navale. Nel novembre dello scorso anno la Marina militare nigeriana ha sottoscritto un contratto con i cantieri navali Dearsan di Istanbul per la consegna di due pattugliatori d’altura tipo OPV-76 da completarsi entro tre anni.

    Secondo il capo di Stato maggiore della marina, l’ammiraglio Awwal Gambo, le due unità da guerra verranno utilizzate per le operazioni di interdizione marittima, sorveglianza e per il supporto alle forze speciali e alle unità terrestri. “I pattugliatori OPV-76 saranno anche in grado di svolgere attività di ricerca e salvataggio, anti-pirateria, anti-traffici e anti-droga e operazioni di pronto intervento in caso di disastri naturali”.

    Le due unità navali avranno una lunghezza di 76.8 metri e un dislocamento di oltre 1.100 tonnellate e ospiteranno a bordo 43 militari.

    Grazie a due potenti motori diesel esse raggiungeranno una velocità massima di 28 nodi con un raggio di azione di 3.000 miglia nautiche. Anche con i due pattugliatori d’altura si prospettano ottimi affari per Leonardo SpA e le aziende controllate: i sistemi d’arma che saranno impiegati a bordo comprendono infatti i cannoni da 76 mm Super Rapid e quelli “leggeri” da 40 mm (produzione Oto Melara/Leonardo) e i sistemi missilistici superficie-aria a corto raggio Simbad-RC (produzione MBDA).

    https://www.africa-express.info/2022/07/29/non-ce-recessione-per-il-mercato-delle-armi-nuovi-contratti-militar
    #armes #armement #commerce_d'armes #Turquie #Nigeria #Philippines #Anatolia_Eagle #Dearsan #OPV-76 #Super_Rapid #Oto_Melara #Simbad-RC #MBDA

  • À Dallas, les élèves devront porter des sacs à dos transparents Sarah Rahmouni

    Le district scolaire de Dallas, comme d’autres au Texas, a adopté lundi de nouvelles mesures de sécurité à la suite du massacre d’Uvalde en mai dernier : à compter de l’année scolaire 2022-2023, une grande partie de ses élèves devront utiliser des sacs à dos transparents ou en filet à l’école.

    Ces nouvelles règles s’appliqueront aux élèves de la 6e à la 12e année — de la dernière année du primaire à la dernière année du secondaire, donc. Les autres types de sacs ne seront plus autorisés.


    Les élèves pourront toutefois avoir dans leur sac à dos une pochette non transparente d’une taille maximale de 14 cm par 21 cm (5,5 po par 8,5 po) — l’équivalent d’une feuille de papier pliée en deux — pour y transporter des objets personnels, comme un téléphone portable, de l’argent ou des produits d’hygiène. . . . . . . .

    https://www.ledevoir.com/monde/etats-unis/735516/les-eleves-de-dallas-devront-porter-des-sacs-a-dos-transparents

    #armes #massacre #etats-unis #violence #tuerie #racisme #usa #massacre #états-unis #tueries

  • Tic tac. 62 décharges marines d’armes, parfois chimiques, sont laissées à l’abandon le long des côtes de la Manche et atlantiques. Comme ces obus, fréquemment observés par les plongeurs à l’île de Groix. Mais face au risque, l’État oppose le « secret défense ». Une enquête d’Actu.fr sur les décharges d’armes chimiques au large des côtes françaises : une « bombe à retardement ».
    https://splann.org/glane-pour-vous-dans-la-presse-en-juin-2022
    Enquête. Des décharges d’armes chimiques au large des côtes françaises : une "bombe à retardement" | Enquêtes d’actu
    https://actu.fr/societe/des-decharges-d-armes-chimiques-au-large-des-cotes-francaises-une-bombe-a-retar

    Des décharges marines d’armes parfois chimiques polluent les océans depuis un siècle. Le risque de destruction de toute vie est réel. L’État oppose le « secret-défense ».


    #splann #tic_tac

  • Course poursuite entre #Sospel et #Nice : la personne blessée par le tir d’un policier est décédée (16 juin 2022)

    Une personne est décédée jeudi 16 juin après avoir été atteinte par le tir d’un policier qui a tenté de stopper la fourgonnette avec laquelle des passeurs venaient de forcer un barrage depuis l’Italie, quatre autres migrants à leur bord.

    (#paywall)
    https://www.nicematin.com/faits-divers/course-poursuite-entre-sospel-et-nice-la-personne-blessee-par-le-tir-dun-

    #Italie #France #frontière_sud-alpine #migrations #réfugiés #frontières #décès #mort #mourir_aux_frontières #Vintimille

    #Omar_El-Khoury #Omar_Elkhouli
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    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Nice : un migrant blessé par #balles lors d’une #course_poursuite de 40 kilomètres avec la police

      Le conducteur du fourgon qui transportait les deux migrants blessés cette nuit lors d’une poursuite avec la police, est en fuite ainsi que deux autres passagers.

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      Précision : dans une précédente version de cet article, nous indiquions que deux migrants avaient été blessés par balles. Mais, si les deux ont été pris en charge, seul un migrant a été touché par les tirs, l’autre a été victime d’un malaise.
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      Une personne a été blessée par balles dans la nuit du mardi 14 au mercredi 15 juin à l’issue d’une course poursuite avec la #police à Nice dans le quartier des #Moulins (Alpes-Maritimes), selon une source policière révélée par franceinfo. Touchée à la tête, elle est hospitalisée dans un état grave, précise le procureur de la République de Nice dans un communiqué.

      Il s’agit d’un migrant âgé de 35 ans et de nationalité égyptienne. Il faisait partie des passagers d’une camionette frigorifique qui a foncé sur des policiers. Avec lui, quatre autres migrants ont été interpellés. L’un d’eux a été pris en charge également, victime d’un malaise, selon des précisions apportées par France Bleu Azur. L’IGPN est saisie, a-t-on appris de source judiciaire. Trois hommes, dont le conducteur, sont en fuite.

      Selon les informations de franceinfo, tout a commencé vers deux heures du matin, lors d’une opération conjointe de police franco-italienne à la frontière sur la commune de Sospel (Alpes-Maritimes) à la frontière italienne. Le fourgon transportait cinq migrants, plus trois personnes dont le conducteur, a-t-on appris de source judiciaire. Le véhicule a d’abord refusé d’obtempérer au contrôle de la police. Une course poursuite de 40 kilomètres s’est alors engagée jusqu’à Nice, au quartier des Moulins.

      La police a tiré sur le véhicule qui les chargeait

      Le fourgon s’est arrêté avant de redémarrer et a foncé sur les policiers de la #police_aux_frontières (#PAF). Ces derniers ont fait usage de leurs #armes et ont tiré à quatre reprises. Deux personnes, des migrants, à bord du véhicule ont été blessés, l’une grièvement par balles, l’autre prise d’un malaise. Le conducteur et deux autres passagers ont réussi à s’enfuir, laissant sur place les cinq migrants.

      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/info-franceinfo-nice-deux-migrants-blesses-par-balles-lors-d-une-course

    • La véritable histoire d’#Omar_Elkhouli, tué par un #tir policier à la frontière italienne

      Cet Égyptien a été tué par balle mi-juin après une course-poursuite entre les policiers et la camionnette où il se trouvait, avec d’autres sans-papiers. Présenté comme un « migrant », il vivait en fait en France depuis 13 ans, et s’était rendu en Italie pour tenter d’obtenir une carte de séjour.

      L’histoire d’Omar Elkhouli est emblématique de la violence aux frontières et des risques encourus par les exilé·es qui tentent d’éviter les contrôles de police. Elle est aussi symptomatique des difficultés administratives que rencontrent les étrangères et étrangers en France, en préfecture, pour obtenir des papiers.

      « Omar vivait en France depuis 13 ans », souffle Mohamed, installé dans le salon de sa maison à Carrières-sur-Seine (Yvelines). Il le connaissait à peine, mais c’est lui qui a dû rechercher les proches d’Omar en Égypte, afin de leur apprendre la nouvelle de son décès.

      Âgé de 35 ans, Omar Elkhouli a été blessé par balle à la tête dans la nuit du 14 au 15 juin, à la frontière franco-italienne, alors qu’il se trouvait dans une camionnette conduite par des passeurs. Le véhicule a d’abord été pris en chasse par la police italienne, puis par la police aux frontières (PAF) française, qui a ouvert le feu.

      Omar Elkhouli est mort mercredi 15 juin en fin de journée. « Le migrant égyptien est décédé », titrent alors des médias français. Personne n’imagine qu’il était en réalité établi en France depuis de longues années, et n’aspirait, ce soir-là, qu’à rentrer chez lui.

      « On était juste allés en Italie pour tenter d’avoir une carte de séjour », expliquent Momein et Elmatwely, deux passagers de la fourgonnette, rencontrés par Mediapart au domicile de Mohamed le 26 juin.

      « On leur rend la vie tellement impossible ici que même quand ils ont des années de présence en France, qu’ils travaillent et qu’ils ont des promesses d’embauche sérieuses, ils se retrouvent à faire appel à des entremetteurs qui proposent de leur faire des documents par le biais de trafics », surenchérit Mohamed en extirpant un épais dossier du buffet.

      Depuis 2018, Mohamed regroupe tous les documents permettant de prouver la présence de Momein en France, en vue de déposer une demande de régularisation auprès de la préfecture de Seine-Saint-Denis. « Je suis insomniaque, je me lève presque toutes les nuits pour tenter de lui trouver un rendez-vous pour le dépôt du dossier, mais il n’y en a jamais », dit-il, conscient de ce que son pays inflige aux personnes étrangères.

      Momein et Mohamed se sont rencontrés en 2016, alors que le premier réalisait des travaux chez la sœur du second – beaucoup d’exilés égyptiens travaillent dans le BTP. « On a tout de suite sympathisé, il est devenu un ami. » Un jour, Momein lui explique vouloir aller en Italie avec son ami Omar, pour rencontrer un intermédiaire, qui fournit de faux documents aux sans-papiers, afin de leur permettre d’obtenir une carte de séjour italienne.

      Mohamed les aide à acheter leur billet de train de Paris à Milan, et suit leur trajet « en direct », pour être certain que tout se passe bien. « J’ai encore le billet d’Omar dans nos échanges WhatsApp », glisse-t-il avant de cliquer sur sa photo de profil. « Il était si jeune. » Momein et Omar prennent le train samedi 11 juin au matin et parviennent à déposer leur dossier en préfecture en Italie, grâce au dossier monté par le trafiquant.
      Un rabatteur et une plongée en enfer

      Lorsqu’ils veulent rentrer en France, mardi 14 juin, où plusieurs chantiers en cours les attendent, il n’y a plus de train pour Paris depuis Vintimille. Ils sont approchés par un rabatteur, qui propose de les aider à traverser la frontière. « Il nous a dit qu’il y avait la police à la gare et que c’était risqué de rester là. On s’est dit que c’était une solution », raconte Momein, qui enchaîne les allers-retours au jardin pour griller une cigarette. « Il ne fumait que très occasionnellement avant, commente Mohamed en le voyant se lever. Mais depuis son retour, il n’arrête pas. »

      Le rabatteur trouve Elmatwely, le troisième passager égyptien, marchant sur le bord de la route tout près de la gare. Ce dernier venait d’arriver à Vintimille, il était minuit passé. « Il m’a dit qu’il y avait deux autres Égyptiens pour me mettre en confiance. Je connais bien cette frontière pour l’avoir passée plusieurs fois. Je savais que je risquais un contrôle », raconte-t-il à Mediapart.

      Elmatwely, qui s’était rendu en Italie pour renouveler son titre de séjour expiré, avait déjà été arrêté à deux reprises à la gare, et ramené en Italie. Cette fois, il marche 500 mètres avec Momein et Omar pour rejoindre un parking, où trois passeurs et un camion frigorifique les attendaient.

      « On a donné 50 euros chacun au rabatteur, et les passeurs nous ont dit qu’on les paierait 200 euros à notre arrivée à Nice », poursuit Momein.

      Le camion démarre aux alentours de 0 h 50 et s’arrête peu de temps après, sans doute pour faire le plein d’essence, présument les deux rescapés. « La police française nous a montré une vidéo où l’on voit les trois passeurs à une station essence », précise Momein. Leur dialecte lui laisse penser qu’ils sont algériens, ce que Mediapart n’a pas pu confirmer auprès du parquet de Nice. « Ils étaient jeunes. Pas plus de 30 ans. »

      Les sirènes de la police italienne retentissent 15 minutes après leur départ. Deux Algériens sont aussi à l’arrière du véhicule, parmi les passagers clandestins.

      « On demandait aux passeurs de s’arrêter mais ils accéléraient. Ils prenaient des virages serrés, on se cognait les uns contre les autres. À un moment donné, c’était tellement agité qu’Omar s’est retrouvé à ma place [à l’arrière droite du camion] et moi à la sienne », se remémore Momein.

      La scène dure environ 45 minutes. La police italienne a-t-elle ouvert le feu ? Momein et Elmatwely ne parviennent pas à se mettre d’accord. « Non », dit l’un. « Si, rétorque l’autre, mais ils visaient le châssis de la voiture. » C’est plus tard, durant la course-poursuite avec la PAF qu’Omar reçoit une balle à l’arrière de la tête.

      « Si on n’avait pas été bousculés à l’arrière, c’est moi qui l’aurais reçue », soupire Momein, la mâchoire serrée. Pour stopper l’hémorragie, ce dernier retire sa veste et appuie sur la plaie autant qu’il le peut. Mais Omar perd trop de sang.

      « Omar était encore conscient et priait Dieu », assure Elmatwely en mimant son geste. « Mais il y avait tellement de sang… », ajoute Momein, qui s’arrête brusquement de parler pour ravaler des larmes.

      Malgré leurs supplications, les passeurs refusent de s’arrêter. « On frappait sur la paroi de séparation en hurlant que l’un de nous était blessé à la tête, mais ils continuaient à accélérer. Un des passagers algériens a même appelé le rabatteur au téléphone pour qu’il dise au conducteur de s’arrêter. On a tous cru qu’on allait mourir. »

      « Il s’agissait d’un fourgon frigorifique, il n’y avait donc pas de fenêtres ou de portes à l’arrière pour permettre aux migrants de s’échapper », complète Me Zia Oloumi, leur avocat, qui s’est battu pour obtenir leur libération, une fois le cauchemar terminé.

      À leur arrivée à Nice, vers 2 heures du matin, plusieurs véhicules de police les attendent. Les passeurs « s’évaporent dans la cité », qu’ils semblaient « bien connaître », selon Elmatwely. Une fois la portière ouverte, Momein fait une crise d’angoisse et perd connaissance.

      « Des policiers lui mettaient des coups de pied pour voir s’il réagissait. Ils ont mis 15 minutes à prendre en charge Omar, poursuit son compagnon. Une policière était en état de choc en découvrant la scène, j’ai essayé de l’interpeller en plongeant mes mains dans le sang d’Omar tant elle ne réagissait pas », poursuit-il.

      Omar, puis Momein, sont conduits à l’hôpital. Les autres sont amenés au commissariat. « Les ambulanciers avaient déchiré mes vêtements, pleins de sang, mais quand ils ont vu que je n’étais pas blessé à l’hôpital, la police est venue me chercher. Ils m’ont emmené au poste en boxer », se souvient Momein. Une humiliation.

      En état de choc, Elmatwely estime avoir été « pressé comme un citron », interrogé sans même pouvoir se concentrer, sans avoir pu se changer, ni manger ou, dans un premier temps, boire. À leur sortie du commissariat, en début de soirée le 15 juin, les passagers de la camionnette sont placés en rétention, et se voient délivrer une obligation de quitter le territoire français (OQTF). Sans suivi psychologique particulier.

      Elmatwely et Momein, qui se disent aujourd’hui « liés par la mort », n’ont plus goût à la vie. « On n’arrive plus à se projeter. On est venus ici pour se construire un avenir, pas pour vivre ce genre de choses. » L’avocat Zia Oloumi a réussi à les faire sortir lundi 20 juin, grâce à une décision de la cour d’appel d’Aix-en-Provence au vu de leur « vulnérabilité », de leur « état psychologique » et des « circonstances particulières de l’affaire ».

      « Le premier juge des libertés et de la détention, qui a pourtant tellement l’habitude de prolonger la durée de rétention qu’on le surnomme “Bonjour 28 jours”, avait déjà considéré qu’il y avait atteinte au droit à la santé et avait demandé leur sortie de rétention, détaille l’avocat. Mais le parquet a fait appel. Le préfet s’est battu pour maintenir ces personnes en rétention malgré le drame qu’ils avaient vécus. »
      La vie tranquille d’Omar Elkhouli en région parisienne

      À leur sortie de rétention, les deux Égyptiens ont porté plainte contre X et contre la police pour « mise en danger de la vie d’autrui ».

      Contacté par Mediapart, le parquet de Nice indique que deux enquêtes sont ouvertes : l’une, contre X, confiée à un juge d’instruction, pour les chefs « d’aide à l’entrée et à la circulation en France d’étrangers en situation irrégulière dans des conditions incompatibles avec la dignité humaine », « refus d’obtempérer aggravé par la mise en danger d’autrui », « tentative d’homicide sur personne dépositaire de l’autorité publique » ; l’autre, sous l’autorité du parquet, confiée à l’IGPN (Inspection générale de la police nationale), des chefs « d’homicide volontaire » concernant la victime du tir policier. Selon nos informations, le corps d’Omar Elkhouli devait être rapatrié en Égypte vendredi 1er juillet.

      Depuis Paris, Mohamed a activé son réseau pour retrouver la famille d’Omar dans la région de Gharbeya. Il est finalement parvenu à joindre un de ses cousins vivant en France, auquel il a demandé de se manifester au plus vite auprès de la justice pour permettre le rapatriement du corps.

      Ce cousin s’est aussi rendu au domicile d’Omar en région parisienne, pour récupérer son passeport égyptien et d’autres documents nécessaires aux démarches. Ses colocataires, Ibrahim, Mahmoud et Rezk, que Mediapart a retrouvés, n’arrivent toujours pas à y croire Omar vivait là depuis quatre ans, après avoir vécu avec Ibrahim dans un autre logement à Aubervilliers.

      « On a passé dix ans ensemble, jour et nuit. C’était mon frère », dit ce dernier lorsque nous les rencontrons dans leur appartement à Sarcelles (Val-d’Oise), lundi 27 juin. Les trois colocataires ont laissé sa chambre telle quelle : un lit, un canapé et une armoire occupent l’espace, des calligraphies coraniques décorent les murs ; le tapis sur lequel Omar priait repose encore sur son lit.

      « Omar était quelqu’un de pieux », appuient-ils. Il était aussi passionné d’haltérophilie, entretenant un compte TikTok où il publiait pléthore de vidéos où l’on peut le voir s’entraîner ou coacher des adhérents. Ibrahim se souvient de leur première rencontre, à son arrivée en France dix ans plus tôt.

      « Je suis arrivé sans rien. Je venais de traverser la mer et j’avais des claquettes aux pieds. Un ami en Égypte m’a donné son contact en me disant qu’il pourrait peut-être m’aider. Il m’a hébergé, m’a trouvé du boulot et m’a prêté 100 euros. » À vrai dire, il les a tous aidés. Mahmoud, qui errait dans les rues de Paris sans aucun contact en arrivant en France, a fini par être mis en relation avec lui.

      « Nos propres frères ne nous ont pas aidés comme il l’a fait », résument-ils, ajoutant qu’il organisait aussi des collectes d’argent pour les personnes endeuillées et dans le besoin en Égypte. « On veut que le monde entier sache qu’il n’était pas un “migrant”. Il vivait en France, il n’avait jamais eu d’ennuis avec la police. Il ne méritait pas de mourir ainsi. » Grâce à ses chantiers dans le BTP, Omar envoyait de l’argent à ses proches restés en Égypte chaque mois. Avant cela, il avait vécu deux ans à Dubaï, où il était cuisinier.

      « Pourquoi on nous traite comme ça ? Parce qu’on est des Arabes ? Dites-moi qui veut se lever tous les jours à 5 heures du matin pour aller travailler sur les chantiers ! », clame Mahmoud. « Omar avait des rêves d’Europe et avait choisi de rejoindre un pays de liberté », souligne Ibrahim. Mais après treize années de présence en France, Omar s’est trouvé face à un mur administratif.

      « Il savait qu’il serait impossible de prouver son existence sur treize ans. Mais surtout, il savait qu’il était impossible d’avoir un simple rendez-vous en préfecture. Un de mes amis, Égyptien également, travaille en étant déclaré et a accumulé plus de 40 fiches de paie. Cela fait trois ans qu’il n’arrive pas à prendre rendez-vous en préfecture. En entendant cette histoire, Omar a été totalement découragé », relate Ibrahim.

      Lorsqu’il apprend, en même temps que Momein, qu’un intermédiaire peut aider à obtenir une carte de séjour en Italie, Omar se raccroche à cette hypothèse. « Il voulait juste pouvoir retourner en Égypte voir ses proches. Notre hantise est de ne pas les revoir avant qu’ils ne décèdent », confie Ibrahim, qui n’a jamais revu ses parents et son épouse, aujourd’hui décédés. Et d’ajouter : « Omar voulait se fiancer. Il voulait pouvoir faire des allers-retours librement. » La phrase résonne dans la chambre du défunt, résumant à elle seule les conséquences de politiques migratoires injustes et mortifères.

      Le drame a bousculé Rezk, dont la décision est prise. Il rentrera en Égypte dès cet été. « Je ne peux plus rester ici », souffle cet ancien artisan du marbre, qui n’avait pas pour objectif l’Europe : lui et Ibrahim s’étaient d’abord exilés en Libye, où ils travaillaient et gagnaient « bien mieux », mais la guerre les a ensuite poussés au départ.

      Omar était aussi très impliqué dans la vie de son quartier, allant régulièrement rendre visite à deux personnes âgées vivant non loin de là. « Il avait même les clés de l’appartement de l’une d’elles et ses enfants l’appelaient pour prendre des nouvelles de leur mère », complète Ibrahim, qui vient tout juste de reprendre le travail tant la nouvelle l’a affecté. « J’ai voulu aller à la salle de sport où on allait ensemble tous les soirs, mais je me suis arrêté net devant la porte sans pouvoir entrer. »

      Avec qui ira-t-il au travail, au marché ou à la poste ?, énumère-t-il à l’entrée de leur immeuble, en montrant le nom d’Omar sur la boîte aux lettres. Un voisin lui présente ses condoléances. Le bail de location et les factures d’électricité, qui étaient à son nom, devront être modifiés. « Les choses ne seront plus jamais comme avant. On ne va rien faire de sa chambre pour l’instant, on verra plus tard, dit Ibrahim. On sait qu’on ne rencontrera plus jamais quelqu’un comme lui. »

      https://www.mediapart.fr/journal/france/030722/la-veritable-histoire-d-omar-elkhouli-tue-par-un-tir-policier-la-frontiere

    • Nice : un migrant blessé par balle par la police

      Un migrant a été grièvement blessé dans la nuit de mardi à mercredi à Nice. L’homme se trouvait dans un fourgon dont le conducteur avait forcé un premier barrage de police à Sospel, à la frontière franco-italienne, avant d’engager une course-poursuite jusqu’à Nice. Les forces de l’ordre ont alors ouvert le feu.

      Vers 2h du matin dans la nuit de mardi 14 à mercredi 15 juin, un fourgon transportant plusieurs migrants a forcé un barrage dans la commune de Sospel, située près de la frontière franco-italienne, dans la vallée de la Roya.

      Une course-poursuite s’est alors engagée sur 40 km jusqu’à Nice. Selon France Bleu Azur, la voiture se serait alors arrêtée avant de redémarrer et de foncer sur des agents de la police aux frontières (PAF), dans le quartier niçois sensible des Moulins.

      Le conducteur et ses deux acolytes auraient ensuite pris la fuite à pied, abandonnant les cinq exilés à bord. Les policiers ont fait usage de leurs armes et ont tiré à quatre reprises.
      L’IGPN a été saisie

      Parmi les cinq migrants découverts dans le fourgon, un a été blessé par balle et son « pronostic vital était engagé dans la nuit », a précisé la Direction départementale de la sécurité publique (DDSP) à l’AFP. Un autre a été pris en charge par les secours pour un malaise.

      L’inspection générale de la police nationale (IGPN) a été saisie de ce dossier, comme c’est systématiquement le cas lorsqu’un policier fait usage de son arme de service, a indiqué le procureur de la République de Nice.

      https://twitter.com/cestrosi/status/1537022125906722816

      Le maire de la ville, Christian Estrosi, proche du parti présidentiel, a apporté sur Twitter son soutien aux forces de l’ordre. « Je déplore bien évidemment les blessures occasionnées dans le fourgon mais elles sont le résultat d’un acte criminel auquel il était nécessaire de mettre un terme pour la sécurité de nos policiers et gendarmes afin d’éviter d’autres drames », a-t-il écrit.
      Au moins 30 morts à la frontière depuis 2015

      Des milliers de migrants tentent chaque année de franchir la frontière franco-italienne pour pénétrer sur le sol français, au péril de leur vie. Les exilés prennent tous les risques pour essayer de traverser la frontière, très surveillée. Ils montent sur le toit des trains ou empruntent des sentiers dangereux à travers la montagne pour éviter d’être repérés par les forces de l’ordre.

      En février, le corps carbonisé d’un homme avait été retrouvé sur le toit d’un train régional qui reliait la ville italienne de Vintimille à la France. En novembre, le cadavre d’un migrant africain, en état de décomposition avancée, avait été découvert dans une gorge, non loin de Vintimille. La personne avait probablement chuté en tentant de rejoindre la France.

      Selon les associations, au moins 30 exilés sont décédés à la frontière franco-italienne depuis 2015.

      https://www.infomigrants.net/en/post/41219/nice--un-migrant-blesse-par-balle-par-la-police

    • Un autre meurtre par la police, une autre violence pour la frontière.

      Le 16 juin 2022, un homme est décédé des suites d’une blessure à la tête causée par un tir policier. La raison sous-jacente est que, dans le véhicule, il y avait des personnes sans papiers et que le conducteur a refusé d’obtempérer.

      La police tue, la frontière aussi

      Le 16 juin 2022, un homme est décédé des suites d’une blessure à la tête causée par un tir policier. A part quelques articles de presse , ce qu’il s’est produit à la frontière franco-italienne le 15 juin 2022 est passé inaperçu. Pourtant, cela s’inscrit dans dans la continuité d’une série d’épisodes similaires et dans le débat qu’ils ont suscités sur l’usage de la violence par la police face à des refus d’obtempérer face à des automobilistes.

      Ce que l’on sait :

      Selon le communiqué du procureur de la République de Nice, la PAF aurait reçu de la part de ses homologues italiens le signalement d’une camionnette transportant des personnes en situation irrégulière, se dirigeant de la Vallée de la Roya vers Nice, en passant par Fanghetto (Italie) et Sospel (France). C’est l’une des voies de passage bien connues de la zone. Dans le PV de l’enquête (que nous avons pu consulter), la PAF admet que le contrôle effectué cette nuit là s’est effectué dans le cadre de la réintroduction des contrôles aux frontières intérieures de l’espace Schengen (cf. infra). Repérée en amont, la camionnette aurait donc refusé d’obtempérer une première fois entre Fanghetto et Sospel, dans une route de col en lacet. S’enclanche alors une course-poursuite de 40 kilomètres sur des routes de montagne sinueuses. A Cantaron, dans les hauteurs de Nice la police aurait de nouveau tenté de bloquer la route, et c’est là que, le conducteur forçant de nouveau le passage, la police aurait tiré à 4 reprises en justifiant d’une situation de légitime défense. L’une des personnes qui était à l’arrière du camion a alors reçu une balle à la tête. La camionnette a continué sa fuite, suivie jusqu’au quartier des Moulins à Nice (une vingtaine de kilomètres plus loin par l’autoroute)où le véhicule aurait été abandonné et le conducteur ainsi que 2 personnes assises a l’avant auraient pris la fuite. Le blessé et 4 autres passagers auraient été retrouvés sur place par la police. 2 impacts de balles au niveau des feux avant et des roues ont été constatés par le procureur, l’un ayant transpercé la carrosserie. Suite à cela le blessé grave (et un autre blessé léger en état de choc) a été transporté à l’hôpital où il a succombé à ses blessures le lendemain. Alors que le blessé agonisait à l’hôpital, les autres passagers, ont été arrêtés puis conduits au Centre de Rétention Administrative (CRA) de Nice.
      Le lendemain, le 17 juin 2022, malgré la décision de libération prise par le Juge des Libertés et de la Détention (JLD), le Procureur s’acharne et s’obstine en faisant appel de la décision, prolongeant ainsi la double-peine infligée aux victimes, encore sous le choc. Celles-ci risquent désormais un mois de détention suivi d’un éloignement du territoire.

      La frontière tue

      En 2015 la France suspend unilatéralement l’application du Code Frontière Schengen d’abord pour cause formelle de COP21, puis d’antiterrorisme (suite au bataclan). Depuis 2020, le coronavirus est le dernier argument en date venu renforcer encore plus le mythe d’une frontière étanche à tous les maux du monde. Mais en réalité, les habitants du territoire savent très bien que le dispositif cible bien autre chose que le terrorisme ou le Covid. Dans la pratique, il cible les exilé.e.s arrivant d’Italie. C’est d’ailleurs ce qui force ces derniers à trouver d’autres voies de passage plus dangereuses ou coûteuses, et ce qui explique la prolifération des passeurs depuis lors à la frontière franco-italienne. Bien que le code frontières Schengen autorise les Etats-membres à réintroduire des contrôles systématiques à leurs frontières intérieures, cette mesure ne peut en aucun cas dépasser un délai de 2 ans selon ce même code. Or, la France a maintenu ces contrôles de 2015 à aujourd’hui. Le dispositif dans lequel s’inscrit l’opération ayant conduit à la mort d’un migrant est donc illégal au regard du droit européen, comme l’a encore rappelé la Cour de Justice de l’Union Européenne (CJUE) le 26 avril dernier.

      Vu qu’il perdure depuis 5 ans, rien d’étonnant à ce que ce type de contrôle, pourtant illégal au regard du droit européen, reste indiscuté dans l’opinion publique. De même, rien d’étonnant à ce que le degré de violence dont la PAF ait fait preuve ne soit pas mesuré à l’aune du délit initial dont ils ont été averti dès le début par leur homologues italiens : l’aide à l’entrée et au séjour irrégulier. Pour un délit toute somme « banal », la police a donc fait usage d’armes à feu au moins à quatre reprises.

      Faut-il s’étonner qu’une telle violence à nos frontière ne choque personne ? Ce n’est pas la première fois qu’un exilé meurt des balles de la police à cette frontière. En 1995 déjà,Todor, un enfant bosniaque, fut tué, toujours à Sospel et dans des conditions similaires. A l’époque, cela avait suscité un vif émoi. Si c’est la seconde fois qu’un.e exilé.e.s meurt directement des balles de la police, ce sont pas moins de 47 personnes qui ont péri en tentant de franchir la frontière franco-italienne depuis 2015. Alors oui, il semble ce qui choquait hier s’est banalisé.

      La police tue

      Ce drame vient, encore une fois, rappeler que la police tue, et qu’elle tue en toute impunité. Les parallèles avec la succession d’affaires récentes impliquant l’usage d’armes à feu face à des refus d’obtempérer est évidente. On pense à l’affaire du pont neuf, le meurtre de Souheil en août dernier dans le 3ème arrondissement de Marseille, celui tout récent de Raiana, ou encore ce qu’il s’est encore reproduit dans le même quartier du 18ème arrondissement de Paris le 17 juin.
      Dans tous ces cas, le refus d’obtempérer de la part d’un chauffeur semble avoir été suffisant pour justifier, aux yeux des tireurs, de la justice, de la presse et d’une part de l’opinion publique, l’usage « proportionné » de la force : une salve ininterrompue de tirs à balle réelle. Dans tous ces cas, on ne comprend donc pas bien comment les conducteurs aient pu à la fois « foncer sur le véhicule de police » et « prendre la fuite ». Soit le véhicule de police aurait du être percuté, soit en cas de fuite, la légitime défense ne se justifie pas. En d’autres termes, les témoignages des policiers se contredisent eux-mêmes. Dans tous ces cas, on ne comprend pas bien, vu que le conducteur cherchait à contourner le contrôle, son intérêt à braquer son volant sur les policiers. En revanche, on peut très bien imaginer l’intérêt des forces de l’ordre d’établir une telle version, de sorte à pouvoir plaider la légitime défense.

      Pour revenir à ce qu’il s’est passé dans les Alpes Maritimes, le communiqué de presse du Procureur nous apprend que deux enquêtes auraient été ouvertes. L’une contre les conducteurs/passeurs, pour aide à l’entrée et au séjour irréguliers, refus d’obtempérer "aggravé par la mise en danger d’autrui", et tentative d’homicide sur PDAP. L’autre, auprès de l’IGPN, contre les flics meurtriers, pour « violences volontaires avec arme par personne dépositaire de l’autorité publique suivie d’une incapacité supérieure à 8 jours ». Nous parlons ici d’un homme, simple passager, décédé d’une blessure à la tête des suites d’un tir policier. Et le Procureur parle d’une ITT de 8 jours. Tentative d’homicide volontaire pour un homme qui de toute vraisemblance a cherché à contourner (et non pas écraser) un barrage de police, violence volontaire ayant entraîné 8 jours d’ITT pour l’homme qui a porté le coup fatal et qui est sorti libre après quelques heures de garde à vue. Deux poids deux mesures.

      Les quatre personnes arrêtées ont été libérées suite à une audience le lundi 21 juin devant la Cour d’appel d’Aix.

      https://mars-infos.org/un-autre-meurtre-par-la-police-une-6421

    • "On veut que le monde entier sache qu’il n’était pas un « migrant »" : l’histoire d’Omar, tué par la police après une #course-poursuite entre Sospel et Nice

      Omar Elkhouli, un sans-papier égyptien, est décédé le 16 juin après avoir été atteint par le tir d’un policier, à la suite d’une course-poursuite entre Sospel et Nice. Ses proches, rencontrés par Mediapart, racontent son histoire.

      « On sait qu’on ne rencontrera plus jamais quelqu’un comme lui. » Les colocataires d’Omar Elkhouli pleurent la disparition de leur ami, survenue le 16 juin.

      Ce jour-là, Omar essaye de rentrer en France après s’être rendu en Italie pour obtenir une carte de séjour. Il est approché par un rabatteur, qui lui propose de lui faire passer la frontière dans un camion frigorifique avec d’autres personnes sans-papiers, dont l’un de ses amis, Momein.

      « On a donné 50 euros chacun au rabatteur et les passeurs nous ont dit qu’on les paierait 200 euros à notre arrivée à Nice », raconte l’Egyptien à Mediapart.
      « On demandait aux passeurs de s’arrêter »

      Dans le camion, se trouvent trois passeurs et cinq migrants. Une quinzaine de minutes après leur départ, la police italienne les repère.

      « On demandait aux passeurs de s’arrêter mais ils accéléraient, se souvient Momein. Ils prenaient des virages serrés, on se cognait les uns contre les autres. À un moment donné, c’était tellement agité qu’Omar s’est retrouvé à ma place [à l’arrière droite du camion] et moi à la sienne. »

      La police italienne aurait ouvert le feu, en visant le châssis de la voiture, puis la police aux frontières (PAF) française prend le relais. C’est là qu’Omar reçoit une balle à l’arrière du crâne.

      « On frappait sur la paroi de séparation en hurlant que l’un de nous était blessé à la tête mais ils [les passeurs] continuaient à accélérer. Un des passagers algériens a même appelé le rabatteur au téléphone pour qu’il dise au conducteur de s’arrêter. On a tous cru qu’on allait mourir. »

      En arrivant à Nice, dans le quartier des Moulins, les passeurs arrêtent la camionnette et s’enfuient. Les cinq passagers clandestins sont directement interpellés par la police.

      « Des policiers mettaient des coups de pied [à Omar] pour voir s’il réagissait », raconte à Mediapart un des migrants. « Ils ont mis 15 minutes à le prendre en charge », poursuit Momein.

      Omar est finalement conduit à l’hôpital, où il décède quelques heures après des suites de ses blessures, tandis que les autres migrants sont placés en rétention avant d’être relâchés le 20 juin, grâce à une décision de la cour d’appel d’Aix-en-Provence, en raison de leur « vulnérabilité », « état psychologique » et des « circonstances particulières de l’affaire ».
      Il travaillait et vivait en France depuis 13 ans

      Omar, 35 ans, vivait en France depuis 13 ans, selon ses proches, retrouvés par Mediapart. Depuis quatre ans, il logeait à Sarcelles, dans une colocation avec trois autres hommes.

      « Omar était quelqu’un de pieux. Nos propres frères ne nous ont pas aidés comme il l’a fait », assurent-ils. L’Egyptien travaillait sur des chantiers dans le BTP, il envoyait de l’argent tous les mois à ses proches restés en Égypte.

      Il était très impliqué dans la vie de son quartier, où il rendait régulièrement visite à deux personnes âgées. Le soir, Omar allait à la salle de sport, où il se filmait pour son compte TikTok.

      « Il savait qu’il serait impossible de prouver son existence sur 13 ans. Mais surtout, il savait qu’il était impossible d’avoir un simple rendez-vous en préfecture. Un de mes amis, Égyptien également, travaille en étant déclaré et a accumulé plus de 40 fiches de paie. Cela fait trois ans qu’il n’arrive pas à prendre rendez-vous en préfecture. En entendant cette histoire, Omar a été totalement découragé », relate Ibrahim, un de ses colocataires, très impacté par la mort de son ami.

      "On veut que le monde entier sache qu’il n’était pas un « migrant ». Il vivait en France, il n’avait jamais eu d’ennuis avec la police. Il ne méritait pas de mourir ainsi."

      (#paywall)
      https://www.nicematin.com/faits-de-societe/on-veut-que-le-monde-entier-sache-quil-netait-pas-un-migrant-lhistoire-do

  • Rebecca Rambar sur Twitter
    https://twitter.com/RebeccaRambar/status/1531485051631767553

    Russie : Reportage vidéo d’un média d’état russe qui montre "le travail de l’équipage russe du drone Orlan-10. Le drone est contrôlé avec la manette de jeu Logitech F310.

    Le jeu vidéo s’invite dans l’armée. Ici, une manette de jeu.

    #guerre #propagande #russie #ukraine #drone #drone_orlan-10 #armée #armes #jeu_vidéo #jeux_vidéo #joypad #manette #logitech

  • fil photos de Gabriele Galimberti : “The Ameriguns” où des "vrais gens" comme on dit à la TV se mettent en scène avec leurs flingues.

    Joey R Johnson 👨‍👨‍👦🏳️‍🌈 sur Twitter : “Parker, 33, his wife, Jalyn, 29, and their children in Poseyville, Indiana. Parker is the local pastor. https://t.co/eMT62hfa3E” / Twitter
    https://twitter.com/Johnson__joey/status/1530500001402609665

    • La guerre se fabrique près de chez nous

      L’Observatoire des armements publie un nouveau rapport sur l’impact des entreprises d’armement de la #Région_Auvergne-Rhône-Alpes sur les #conflits. Il documente notamment 11 sociétés qui alimentent les guerres et répressions actuelles : Palestine, Yémen, Égypte, République démocratique du Congo... À chacun·e de nous de se mobiliser et à nos décideurs d’agir pour éliminer l’empreinte de la région sur les violations de droits humains.

      Cette étude rédigée par Tony Fortin avec Patrice Bouveret est téléchargeable gratuitement ou disponible en version papier (www.obsarm.org/IMG/pdf/fabrique_de_la_guerre_aura_mai_2022_web.pdf).

      La guerre en Ukraine est venue raviver la crainte d’une guerre généralisée en Europe, une crainte sur laquelle capitalise le secteur de l’armement pour développer et vendre de nouveaux équipements. Déjà, la guerre au Yémen avait replacé au premier plan ces dernières années la responsabilité de la France par rapport à l’utilisation des armes qu’elle vend. Les multiples enquêtes d’ONG et de journalistes ont pointé le rôle des majors du secteur (Thales, Safran, Dassault…). Peu d’informations existent en revanche sur les myriades de petites et moyennes entreprises réparties sur l’ensemble du territoire. Or, à partir du moment où une entreprise « habite » un lieu, son rôle — si les conséquences de son activité posent de graves problèmes humains — ne doit-il pas être connu de tous et débattu par les habitants ? Où et à qui leurs armes sont-elles vendues ? Sont-elles si inodores et incolores sur le plan de la préservation de la paix et du respect des droits humains ?

      Notre nouveau rapport apporte une première pierre à ce projet en documentant le rôle d’un panel d’entreprises d’armement et de maintien de l’ordre établies dans la région Auvergne-Rhône-Alpes. Onze sociétés, parmi les plus significatives, ont ainsi été identifiées. La conclusion de cette étude l’établit sans fard : certaines entreprises du terroir local sont bel et bien associées aux guerres et répressions actuelles.

      Entre autres exemples :

      - des hélicoptères modernisés ont été cédés au Togo qui réprime sa propre population (#Ares basée dans la Drôme) :
      - des blindés fabriqués pour partie en région lyonnaise sont en guerre contre les mouvements sociaux au Chili, Liban, Sénégal, Égypte (#Arquus en région lyonnaise) ;
      – des drones ont été livrés à des compagnies minières décriées en Australie, Ghana, Afrique du Sud (#Delta_Drone en région lyonnaise) ;
      - des fusils de précision sont utilisés en Égypte et Israël (#PGM_Précision en Savoie) ;
      - des flash-ball stéphanois ont servi contre l’opposition sociale en République démocratique du Congo et en France (#Verney-Carron à Saint-Étienne), etc.

      Un tel impact doit interpeller nos décideurs locaux qui attribuent des aides publiques au secteur de l’armement : n’est-il pas temps de réajuster le plan de développement économique de nos collectivités à l’aune des droits humains ? Ou d’engager a minima un audit mesurant l’empreinte de nos entreprises régionales sur les conflits internationaux et les violations de droits humains ?

      Ce dossier contient également différentes pistes d’initiatives pour chacun·e d’entre nous, habitant·e·s, citoyen·ne·s, élu·e·s, journalistes, membres d’associations, etc., pour en faire un sujet politique. Pourquoi ne pas organiser une discussion publique ? Engager le débat sur les pistes de reconversion possible de ces entreprises vers d’autres secteurs socialement utiles ?

      http://www.obsarm.org/spip.php?article383

      #armes #armement #industrie_de_l'armement #France #rapport #Auvergne-Rhône-Alpes

      ping @karine4

  • Guerre en Ukraine : du matériel militaire français accusé d’avoir servi dans le massacre de Boutcha
    https://disclose.ngo/fr/article/des-equipements-militaires-francais-impliques-dans-le-massacre-de-boutcha

    Des caméras thermiques de Thales ont été retrouvées sur un char russe capturé par l’armée ukrainienne. Elles pourraient avoir été utilisées lors de crimes de guerre en Ukraine. Lire l’article

  • Rapid Response : Decolonizing Italian Cities

    Anti-racism is a battle for memory. Enzo Traverso well underlined how statues brought down in the last year show “the contrast between the status of blacks and postcolonial subjects as stigmatised and brutalised minorities and the symbolic place given in the public space to their oppressors”.

    Material traces of colonialism are in almost every city in Italy, but finally streets, squares, monuments are giving us the chance to start a public debate on a silenced colonial history.

    Igiaba Scego, Italian writer and journalist of Somali origins, is well aware of the racist and sexist violence of Italian colonialism and she points out the lack of knowledge on colonial history.

    “No one tells Italian girls and boys about the squad massacres in Addis Ababa, the concentration camps in Somalia, the gases used by Mussolini against defenseless populations. There is no mention of Italian apartheid (…), segregation was applied in the cities under Italian control. In Asmara the inhabitants of the village of Beit Mekae, who occupied the highest hill of the city, were chased away to create the fenced field, or the first nucleus of the colonial city, an area off-limits to Eritreans. An area only for whites. How many know about Italian apartheid?” (Scego 2014, p. 105).

    In her book, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città (2014), she invites us to visually represent the historical connections between Europe and Africa, in creative ways; for instance, she worked with photographer Rino Bianchi to portray Afro-descendants in places marked by fascism such as Cinema Impero, Palazzo della Civiltà Italiana and Dogali’s stele in Rome.

    Inspired by her book, we decided to go further, giving life to ‘Decolonizing the city. Visual Dialogues in Padova’. Our goal was to question ourselves statues and street names in order to challenge the worldviews and social hierarchies that have made it possible to celebrate/forget the racist and sexist violence of colonialism. The colonial streets of Padova have been re-appropriated by the bodies, voices and gazes of six Italian Afro-descendants who took part in a participatory video, taking urban traces of colonialism out of insignificance and re-signifying them in a creative way.

    Wissal Houbabi, artist “daughter of the diaspora and the sea in between“, moves with the soundtrack by Amir Issa Non respiro (2020), leaving her poetry scattered between Via Cirenaica and Via Libia.

    “The past is here, insidious in our minds, and the future may have passed.

    The past is here, even if you forget it, even if you ignore it, even if you do everything to deny the squalor of what it was, the State that preserves the status of frontiers and jus sanguinis.

    If my people wanted to be free one day, even destiny would have to bend”.

    Cadigia Hassan shares the photos of her Italian-Somali family with a friend of hers and then goes to via Somalia, where she meets a resident living there who has never understood the reason behind the name of that street. That’s why Cadigia has returned to via Somalia: she wants to leave traces of herself, of her family history, of historical intertwining and to make visible the important connections that exist between the two countries.

    Ilaria Zorzan questions the colonial past through her Italo-Eritrean family photographic archive. The Italians in Eritrea made space, building roads, cableways, railways, buildings… And her grandfather worked as a driver and transporter, while her Eritrean grandmother, before marrying her grandfather, had been his maid. Ilaria conceals her face behind old photographs to reveal herself in Via Asmara through a mirror.

    Emmanuel M’bayo Mertens is an activist of the Arising Africans association. In the video we see him conducting a tour in the historic center of Padova, in Piazza Antenore, formerly Piazza 9 Maggio. Emmanuel cites the resolution by which the municipality of Padova dedicated the square to the day of the “proclamation of the empire” by Mussolini (1936). According to Emmanuel, fascism has never completely disappeared, as the Italian citizenship law mainly based on jus sanguinis shows in the racist idea of ​​Italianness transmitted ‘by blood’. Instead, Italy is built upon migration processes, as the story of Antenor, Padova’s legendary founder and refugee, clearly shows.

    Mackda Ghebremariam Tesfau’ questions the colonial map in Piazza delle Erbe where Libya, Albania, Ethiopia and Eritrea are marked as part of a white empire. She says that if people ignore this map it is because Italy’s colonial history is ignored. Moreover, today these same countries, marked in white on the map, are part of the Sub-saharan and Mediterranean migrant routes. Referring then to the bilateral agreements between Italy and Libya to prevent “irregular migrants” from reaching Europe, she argues that neocolonialism is alive. Quoting Aimé Césaire, she declares that “Europe is indefensible”.

    The video ends with Viviana Zorzato, a painter of Eritrean origin. Her house, full of paintings inspired by Ethiopian iconography, overlooks Via Amba Aradam. Viviana tells us about the ‘Portrait of a N-word Woman’, which she has repainted numerous times over the years. Doing so meant taking care of herself, an Afro-descendant Italian woman. Reflecting on the colonial streets she crosses daily, she argues that it is important to know the history but also to remember the beauty. Amba Alagi or Amba Aradam cannot be reduced to colonial violence, they are also names of mountains, and Viviana possesses a free gaze that sees beauty. Like Giorgio Marincola, Viviana will continue to “feel her homeland as a culture” and she will have no flags to bow her head to.

    The way in which Italy lost the colonies – that is with the fall of fascism instead of going through a formal decolonization process – prevented Italy from being aware of the role it played during colonialism. Alessandra Ferrini, in her ‘Negotiating amnesia‘,refers to an ideological collective amnesia: the sentiment of an unjust defeat fostered a sense of self-victimisation for Italians, removing the responsibility from them as they portrayed themselves as “brava gente” (good people). This fact, as scholars such as Nicola Labanca have explained, has erased the colonial period from the collective memory and public sphere, leaving colonial and racist culture in school textbooks, as the historian Gianluca Gabrielli (2015) has shown.

    This difficulty in coming to terms with the colonial past was clearly visible in the way several white journalists and politicians reacted to antiracist and feminist movements’ request to remove the statue of journalist Indro Montanelli in Milan throughout the BLM wave. During the African campaign, Montanelli bought the young 12-year-old-girl “Destà” under colonial concubinage (the so‑called madamato), boasting about it even after being accused by feminist Elvira Banotti of being a rapist. The issue of Montanelli’s highlights Italy’s need to think critically over not only colonial but also race and gender violence which are embedded in it.

    Despite this repressed colonial past, in the last decade Italy has witnessed a renewed interest stemming from bottom-up local movements dealing with colonial legacy in the urban space. Two examples are worth mentioning: Resistenze in Cirenaica (Resistances in Cyrenaica) in Bologna and the project “W Menilicchi!” (Long live Menilicchi) in Palermo. These instances, along with other contributions were collected in the Roots§Routes 2020 spring issue, “Even statues die”.

    Resistenze in Cirenaica has been working in the Cyrenaica neighbourhood, named so in the past due to the high presence of colonial roads. In the aftermath of the second world war the city council decided unanimously to rename the roads carrying fascist and colonial street signs (except for via Libya, left as a memorial marker) with partisans’ names, honouring the city at the centre of the resistance movement during the fascist and Nazi occupation. Since 2015, the collective has made this place the centre of an ongoing laboratory including urban walks, readings and storytelling aiming to “deprovincialize resistances”, considering the battles in the ex-colonies as well as in Europe, against the nazi-fascist forces, as antiracist struggles. The publishing of Quaderni di Cirene (Cyrene’s notebooks) brought together local and overseas stories of people who resisted fascist and colonial occupation, with the fourth book addressing the lives of fighter and partisan women through a gender lens.

    In October 2018, thanks to the confluence of Wu Ming 2, writer and storyteller from Resistenze in Cirenaica, and the Sicilian Fare Ala collective, a public urban walk across several parts of the city was organized, with the name “Viva Menilicchi!”. The itinerary (19 kms long) reached several spots carrying names of Italian colonial figures and battles, explaining them through short readings and theatrical sketches, adding road signs including stories of those who have been marginalized and exploited. Significantly, W Menilicchi! refers to Palermitan socialists and communists’ battle cry supporting king Menelik II who defeated the Italian troops in Aduwa in 1896, thus establishing a transnational bond among people subjected to Italian invasion (as Jane Schneider explores in Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, South Italy underwent a socio-economic occupation driven by imperial/colonial logics by the north-based Kingdom of Italy) . Furthermore, the urban walk drew attention to the linkage of racist violence perpetrated by Italians during colonialism with the killings of African migrants in the streets of Palermo, denouncing the white superiority on which Italy thrived since its birth (which run parallel with the invasion of Africa).

    These experiences of “odonomastic guerrillas” (street-name activists) have found creative ways of decolonising Italian history inscribed in cities, being aware that a structural change requires not only time but also a wide bottom-up involvement of inhabitants willing to deal with the past. New alliances are developing as different groups network and coordinate in view of several upcoming dates, such as February 19th, which marks the anniversary of the massacre of Addis Ababa which occurred in 1937 at the hands of Italian viceroy Rodolfo Graziani.

    References:
    Gabrielli G. (2015), Il curriculo “razziale”: la costruzione dell’alterità di “razza” e coloniale nella scuola italiana (1860-1950), Macerata: Edizioni Università di Macerata.
    Labanca, N. (2002) Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna: Il Mulino.
    Scego, I. (2014) Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Roma: Ediesse.
    Schneider J (ed.) (1998) Italy’s ‘Southern Question’: Orientalism in One Country, London: Routledge.

    https://archive.discoversociety.org/2021/02/06/rapid-response-decolonizing-italian-cities

    #décolonisation #décolonial #colonialisme #traces_coloniales #Italie #Italie_coloniale #colonialisme_italien #statues #Padova #Padoue #afro-descendants #Cadigia_Hassan #via_Somalia #Ilaria_Zorzan #Emmanuel_M’bayo_Mertens #Mackda_Ghebremariam_Tesfau #Piazza_delle_erbe #Viviana_Zorzato #Via_Amba_Aradam #Giorgio_Marincola #Alessandra_Ferrini

    ping @postcolonial @cede

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    ajouté à la métaliste sur l’Italie coloniale :
    https://seenthis.net/messages/871953

    • #Negotiating_Amnesia

      Negotiating Amnesia is an essay film based on research conducted at the Alinari Archive and the National Library in Florence. It focuses on the Ethiopian War of 1935-36 and the legacy of the fascist, imperial drive in Italy. Through interviews, archival images and the analysis of high-school textbooks employed in Italy since 1946, the film shifts through different historical and personal anecdotes, modes and technologies of representation.

      https://vimeo.com/429591146?embedded=true&source=vimeo_logo&owner=3319920



      https://www.alessandraferrini.info/negotiating-amnesia

      En un coup d’oeil, l’expansion coloniale italienne :

      #amnésie #film #fascisme #impérialisme #Mussolini #Benito_Mussolini #déni #héritage #mémoire #guerre #guerre_d'Ethiopie #violence #Istrie #photographie #askaris #askari #campagna_d'Africa #Tito_Pittana #Mariano_Pittana #mémoire #prostitution #madamato #madamisme #monuments #Romano_Romanelli #commémoration #mémoriel #Siracusa #Syracuse #nostalgie #célébration #Axum #obélisque #Nuovo_Impero_Romano #Affile #Rodolfo_Graziani #Pietro_Badoglio #Uomo_Nuovo #manuels_scolaires #un_posto_al_sole #colonialismo_straccione #italiani_brava_gente #armes_chimiques #armes_bactériologiques #idéologie

    • My Heritage ?

      My Heritage? (2020) is a site-specific intervention within the vestibule of the former Casa d’Italia in Marseille, inaugurated in 1935 and now housing the Italian Cultural Institute. The installation focuses on the historical and ideological context that the building incarnates: the intensification of Fascist imperial aspirations that culminated in the fascistization of the Italian diaspora and the establishment of the Empire in 1936, as a result of the occupation of Ethiopia. As the League of Nations failed to intervene in a war involving two of its members, the so-called Abyssinian Crisis gave rise to a series of conflicts that eventually led to the WW2: a ‘cascade effect’. On the other hand, the attack on the ‘black man’s last citadel’ (Ras Makonnen), together with the brutality of Italian warfare, caused widespread protests and support to the Ethiopian resistance, especially from Pan-African movements.

      Placed by the entrance of the exhibition Rue d’Alger, it includes a prominent and inescapable sound piece featuring collaged extracts from texts by members of the London-based Pan-African association International African Friends of Ethiopia - CLR James, Ras Makonnen, Amy Ashwood Garvey - intertwined with those of British suffragette Sylvia Pankhurst and Italian anarchist Silvio Corio, founders of the newspaper New Times and Ethiopian News in London.

      Through handwritten notes and the use of my own voice, the installation is a personal musing on heritage as historical responsibility, based on a self-reflective process. My voice is used to highlight such personal process, its arbitrary choice of sources (related to my position as Italian migrant in London), almost appropriated here as an act of thinking aloud and thinking with these militant voices. Heritage is therefore intended as a choice, questioning its nationalist uses and the everlasting and catastrophic effects of Fascist foreign politics. With its loudness and placement, it wishes to affect the visitors, confronting them with the systemic violence that this Fascist architecture outside Italy embodies and to inhibit the possibility of being seduced by its aesthetic.



      https://www.alessandraferrini.info/my-heritage

      #héritage

    • "Decolonizziamo le città": il progetto per una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana

      Un video dal basso in cui ogni partecipante produce una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana

      Via Eritrea, Viale Somalia, Via Amba Aradam, via Tembien, via Adua, via Agordat. Sono nomi di strade presenti in molte città italiane che rimandano al colonialismo italiano nel Corno d’Africa. Ci passiamo davanti molto spesso senza sapere il significato di quei nomi.

      A Padova è nato un progetto che vuole «decolonizzare la città». L’idea è quella di realizzare un video partecipativo in cui ogni partecipante produca una riflessione attraverso forme artistiche differenti, come l’arte figurativa, la slam poetry, interrogando questi luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. Saranno coinvolti gli studenti del laboratorio “Visual Research Methods”, nel corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale” dell’Università di Padova e artisti e attivisti afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      «Stavamo preparando questo laboratorio da marzo», racconta Elisabetta Campagni, che si è laureata in Sociologia a marzo 2020 e sta organizzando il progetto insieme alla sua ex relatrice del corso di Sociologia Visuale Annalisa Frisina, «già molto prima che il movimento Black Lives Matter riportasse l’attenzione su questi temi».

      Riscrivere la storia insieme

      «Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole», si legge nella presentazione del laboratorio, che sarà realizzato a partire dall’autunno 2020. «C’è una rimozione grandissima nella nostra storia di quello che ricordano questi nomi, battaglie, persone che hanno partecipato a massacri nelle ex colonie italiane. Pochi lo sanno. Ma per le persone che arrivano da questi paesi questi nomi sono offensivi».

      Da qui l’idea di riscrivere una storia negata, di «rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati», affermano le organizzatrici.

      Le strade «rinarrate»

      I luoghi del video a Padova saranno soprattutto nella zona del quartiere Palestro, dove c’è una grande concentrazione di strade con nomi che rimandano al colonialismo. Si andrà in via Amba Aradam, il cui nome riporta all’altipiano etiope dove nel febbraio 1936 venne combattuta una battaglia coloniale dove gli etiopi vennero massacrati e in via Amba Alagi.

      Una tappa sarà nell’ex piazza Pietro Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia. In Italia il dibattito si è concentrato sulla statua a Indro Montanelli, ma la toponomastica che ricorda il colonialismo è molta e varia. Oltre alle strade, sarà oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, ma che passa spesso inosservata.

      Da un’idea di Igiaba Scego

      Come ci spiega Elisabetta Campagni, l’idea nasce da un libro di Igiaba Scego che anni fa ha pubblicato alcune foto con afrodiscendenti che posano davanti ai luoghi che celebrano il colonialismo a Roma come la stele di Dogali, vicino alla stazione Termini, in viale Luigi Einaudi.

      Non è il primo progetto di questo tipo: il collettivo Wu Ming ha lanciato la guerriglia odonomastica, con azioni e performance per reintitolare dal basso vie e piazze delle città o aggiungere informazioni ai loro nomi per cambiare senso all’intitolazione. La guerriglia è iniziata a Bologna nel quartiere della Cirenaica e il progetto è stato poi realizzato anche a Palermo. Un esempio per il laboratorio «Decolonizzare la città» è stato anche «Berlin post colonial», l’iniziativa nata da anni per rititolare le strade e creare percorsi di turismo consapevole.

      Il progetto «Decolonizzare la città» sta raccogliendo i voti sulla piattaforma Zaalab (https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova), con l’obiettivo di raccogliere fondi per la realizzazione del laboratorio.

      https://it.mashable.com/cultura/3588/decolonizziamo-le-citta-il-progetto-per-una-riflessione-collettiva-sull

      #histoire_niée #storia_negata #récit #contre-récit

    • Decolonizzare la città. Dialoghi Visuali a Padova

      Descrizione

      Via Amba Alagi, via Tembien, via Adua, via Agordat. Via Eritrea, via Libia, via Bengasi, via Tripoli, Via Somalia, piazza Toselli… via Amba Aradam. Diversi sono i nomi di luoghi, eventi e personaggi storici del colonialismo italiano in città attraversate in modo distratto, senza prestare attenzione alle tracce di un passato che in realtà non è ancora del tutto passato. Che cosa significa la loro presenza oggi, nello spazio postcoloniale urbano? Se la loro origine affonda le radici in un misto di celebrazione coloniale e nazionalismo, per capire il significato della loro permanenza si deve guardare alla società contemporanea e alle metamorfosi del razzismo.

      Il dibattito sul passato coloniale italiano è stato ampiamente ignorato nei dibattiti pubblici e troppo poco trattato nei luoghi di formazione ed educazione civica come le scuole. L’esistenza di scritti, memorie biografiche e racconti, pur presente in Italia, non ha cambiato la narrazione dominante del colonialismo italiano nell’immaginario pubblico, dipinto come una breve parentesi storica che ha portato civiltà e miglioramenti nei territori occupati (“italiani brava gente”). Tale passato, però, è iscritto nella toponomastica delle città italiane e ciò ci spinge a confrontarci con il significato di tali vie e con la loro indiscussa presenza. Per questo vogliamo partire da questi luoghi, e in particolare da alcune strade, per costruire una narrazione dal basso che sia frutto di una ricerca partecipata e condivisa, per decolonizzare la città, per reclamare una lettura diversa e critica dello spazio urbano e resistere alle politiche che riproducono strutture (neo)coloniali di razzializzazione degli “altri”.

      Il progetto allora intende sviluppare una riflessione collettiva sulla storia coloniale italiana, il razzismo, l’antirazzismo, la resistenza di ieri e di oggi attraverso la realizzazione di un video partecipativo.

      Esso è organizzato in forma laboratoriale e vuole coinvolgere studenti/studentesse del laboratorio “Visual Research Methods” (corso di laurea magistrale “Culture, formazione e società globale”) dell’Università di Padova e gli/le artisti/e ed attivisti/e afrodiscendenti, legati alla diaspora delle ex-colonie italiane e non.

      Il progetto si propone di creare una narrazione visuale partecipata, in cui progettazione, riprese e contenuti siano discussi in maniera orizzontale e collaborativa tra i e le partecipanti. Gli/Le attivisti/e e artisti/e afrodiscendenti con i/le quali studenti e studentesse svolgeranno le riprese provengono in parte da diverse città italiane e in parte vivono a Padova, proprio nel quartiere in questione. Ognuno/a di loro produrrà insieme agli studenti e alle studentesse una riflessione attraverso forme artistiche differenti (come l’arte figurativa, la slam poetry…), interrogando tali luoghi e con essi “noi” e la storia italiana. I partecipanti intrecciano così le loro storie personali e familiari, la storia passata dell’Italia e il loro attivismo quotidiano, espresso con l’associazionismo o con diverse espressioni artistiche (Mackda Ghebremariam Tesfaù, Wissal Houbabi, Theophilus Marboah, Cadigia Hassan, Enrico e Viviana Zorzato, Ilaria Zorzan, Ada Ugo Abara ed Emanuel M’bayo Mertens di Arising Africans). I processi di discussione, scrittura, ripresa, selezione e montaggio verranno documentati attraverso l’utilizzo di foto e filmati volti a mostrare la meta-ricerca, il processo attraverso cui viene realizzato il video finale, e le scelte, di contenuto e stilistiche, negoziate tra i diversi attori. Questi materiali verranno condivisi attraverso i canali online, con il fine di portare a tutti coloro che sostengono il progetto una prima piccola restituzione che renda conto dello svolgimento del lavoro.

      Le strade sono un punto focale della narrazione: oggetto dei discorsi propagandistici di Benito Mussolini, fulcro ed emblema del presunto e mitologico progetto di civilizzazione italiana in Africa, sono proprio le strade dedicate a luoghi e alle battaglie dove si sono consumate le atrocità italiane che sono oggi presenze fisiche e allo stesso tempo continuano ad essere invisibilizzate; e i nomi che portano sono oggi largamente dei riferimenti sconosciuti. Ripercorrere questi luoghi fisici dando vita a dialoghi visuali significa riappropriarsi di una storia negata, rinarrare delle vicende che nascondono deportazioni e uccisioni di massa, luoghi di dolore, per costruire narrazioni dove i protagonisti e le protagoniste sono coloro che tradizionalmente sono stati messi a tacere o sono rimasti inascoltati.

      La narrazione visuale partirà da alcuni luoghi – come via Amba Aradam e via lago Ascianghi – della città di Padova intitolati alla storia coloniale italiana, in cui i protagonisti e le protagoniste del progetto daranno vita a racconti e performances artistiche finalizzate a decostruire la storia egemonica coloniale, troppo spesso edulcorata e minimizzata. L’obiettivo è quello di favorire il prodursi di narrazioni dal basso, provenienti dalle soggettività in passato rese marginali e che oggi mettono in scena nuove narrazioni resistenti. La riappropriazione di tali luoghi, fisica e simbolica, è volta ad aprire una riflessione dapprima all’interno del gruppo e successivamente ad un pubblico esterno, al fine di coinvolgere enti, come scuole, associazioni e altre realtà che si occupano di questi temi sul territorio nazionale. Oltre alle strade, saranno oggetto di discussione la mappa dell’impero coloniale italiano situata proprio nel cuore della città, in Piazza delle Erbe, e l’ex piazza Toselli, ora dedicata ai caduti della resistenza, che ci interroga sul legame tra le forme di resistenza al fascismo e al razzismo, che unisce le ex-colonie all’Italia.

      Rinarrare la storia passata è un impegno civile e politico verso la società contemporanea. Se anche oggi il razzismo ha assunto nuove forme, esso affonda le sue radici nella storia nazionale e coloniale italiana. Questa storia va rielaborata criticamente per costruire nuove alleanze antirazziste e anticolonialiste.

      Il video partecipativo, ispirato al progetto “Roma Negata” della scrittrice Igiaba Scego e di Rino Bianchi, ha l’obiettivo di mostrare questi luoghi attraverso narrazioni visuali contro-egemoniche, per mettere in discussione una storia ufficiale, modi di dire e falsi miti, per contribuire a dare vita ad una memoria critica del colonialismo italiano e costruire insieme percorsi riflessivi nuovi. Se, come sostiene Scego, occupare uno spazio è un grido di esistenza, con il nostro progetto vogliamo affermare che lo spazio può essere rinarrato, riletto e riattraversato.

      Il progetto vuole porsi in continuità con quanto avvenuto sabato 20 giugno, quando a Padova, nel quartiere Palestro, si è tenuta una manifestazione organizzata dall’associazione Quadrato Meticcio a cui hanno aderito diverse realtà locali, randunatesi per affermare la necessita’ di decolonizzare il nostro sguardo. Gli interventi che si sono susseguiti hanno voluto riflettere sulla toponomastica coloniale del quartiere Palestro, problematizzandone la presenza e invitando tutti e tutte a proporre alternative possibili.

      https://cinemavivo.zalab.org/progetti/decolonizzare-la-citta-dialoghi-visuali-a-padova

      https://www.youtube.com/watch?v=axEa6By9PIA&t=156s

  • Drone Terror from Turkey. Arms buildup and crimes under international law - with German participation

    In Kurdistan, Libya or Azerbaijan, Turkish “#Bayraktar_TB2” have already violated international law. Currently, the civilian population in Ethiopia is being bombed with combat drones. Support comes from Germany, among others.

    For almost two decades, companies from the USA and Israel were the undisputed market leaders for armed drones; today, China and Turkey can claim more and more exports for themselves. Turkey is best known for its “Bayraktar TB2,” which the military has been using since 2016 in the Turkish, Syrian and now also Iraqi parts of Kurdistan in violation of international law. In the four-month #Operation_Olive_Branch in Kurdish #Rojava alone, the “TB2” is said to have scored 449 direct hits four years ago and enabled fighter jets or helicopters to make such hits in 680 cases. It has a payload of 65 kilograms and can remain in the air for over 24 hours.

    The Turkish military also flies the “#Anka”, which is also capable of carrying weapons and is manufactured by #Turkish_Aerospace_Industries (#TAI). In a new version, it can be controlled via satellites and thus achieves a greater range than the “#TB2”. The “Anka” carries up to 200 kilograms, four times the payload of its competitors. The newest version of both drones can now stay in the air for longer than 24 hours.

    Drone industry is dependent on imports

    The “Anka” is also being exported, but the “TB2” is currently most widely used. The drone is manufactured by #Baykar, whose founder and namesake is #Selçuk_Bayraktar, a son-in-law of the Turkish president. The “TB2” also flew attacks on Armenian troops off #Nagorno-Karabakh, for the Tripoli government in Libya and for Azerbaijan; there it might have even - together with unmanned aerial vehicles of Israeli production - been decisive for the war, according to some observers.

    The aggressive operations prompted further orders; after Qatar, Ukraine, Morocco, Tunisia and Turkmenistan, Baykar is the first NATO country to sell the drone to Poland. About a dozen countries are said to have already received deliveries, and about as many are said to be considering procurement. Interest is reportedly coming from as far away as Lithuania and even the United Kingdom.

    The comparatively young Turkish drone industry is able to produce many of the components for its unmanned aerial vehicles itself or buy them from domestic suppliers, but manufacturers are still dependent on imports for key components. This applies to engines, for example, which are also produced in Turkey but are less powerful than competing products. For this reason, the “TB2” flew with Rotax engines from Austria, among others. Following Turkey’s support for the Azerbaijani war of aggression, the company stopped supplying Baykar.

    Canada imposes export ban

    According to the Kurdish news agency ANF, Baykar has also made purchases from Continental Motors, a U.S. corporation partly based in Germany that took over Thielert Aircraft Engines GmbH eight years ago. A cruise control system made by the Bavarian company MT-Propeller was found in a crashed “TB2”. According to the Armenian National Committee of America, a radar altimeter manufactured by SMS Smart Microwave Sensors GmbH and a fuel filter made by Hengst were also installed in the drone.

    However, exports of these products are not subject to licensing, and sales may also have been made through intermediaries. Hengst, for example, also sells its products through automotive wholesalers; the company says it does not know how the filter came into Baykar’s possession.

    Originally, the “TB2” was also equipped with a sensor module from the Canadian manufacturer Wescam. This is effectively the eye of the drone, mounted in a hemispherical container on the fuselage. This so-called gimbal can be swiveled 360° and contains, among other things, optical and infrared-based cameras as well as various laser technologies. Wescam also finally ended its cooperation with Baykar after the government in Ottawa issued an export ban on the occasion of the war over Nagorno-Karabakh. The country had already imposed a temporary halt to deliveries following Turkish operations in the Kurdish region of Rojava in North Syria.

    “Eye” of the drone from Hensoldt

    Selçuk Bayraktar commented on the decision made by the Canadian Foreign Minister, saying that the required sensor technology could now also be produced in Turkey. In the meantime, the Turkish company Aselsan has also reported in newspapers close to the government that the sensor technology can now be produced completely domestically. Presumably, however, these devices are heavier than the imported products, so that the payload of small combat drones would be reduced.

    Hensoldt, a German company specializing in sensor technology, has been one of the suppliers. This was initially indicated by footage of a parade in the capital of Turkmenistan, where a freshly purchased “TB2” was also displayed to mark the 30th anniversary of the attainment of independence in Aşgabat last year. In this case, the drone was equipped with a gimbal from Hensoldt. It contains the ARGOS-II module, which, according to the product description, has a laser illuminator and a laser marker. This can be used, for example, to guide a missile into the target.

    Hensoldt was formed after a spinoff of several divisions of defense contractor Airbus, including its radar, optronics, avionics and electronic device jamming businesses. As a company of outstanding security importance, the German government has secured a blocking minority. The Italian defense group Leonardo is also a shareholder.

    Rocket technology from Germany

    The ARGOS module is manufactured by Hensoldt’s offshoot Optronics Pty in Pretoria, South Africa. When asked, a company spokesman confirmed the cooperation with Baykar. According to the company, the devices were delivered from South Africa to Turkey in an undisclosed quantity “as part of an order”. In the process, “all applicable national and international laws and export control regulations” were allegedly complied with.

    The arming of the “TB2” with laser-guided missiles was also carried out with German assistance. This is confirmed by answers to questions in the German Bundestag reported by the magazine “Monitor”. According to these reports, the German Foreign Ministry has issued several export licenses for warheads of an anti-tank missile since 2010. They originate from the company TDW Wirksysteme GmbH from the Bavarian town of Schrobenhausen, an offshoot of the European missile manufacturer MBDA.

    According to the report, the sales were presumably made to the state-owned Turkish company Roketsan. Equipment or parts for the production of the missiles are also said to have been exported to Turkey. The TDW guided missiles were of the “LRAT” and “MRAT” types, which are produced in Turkey under a different name. Based on the German exports, Roketsan is said to have developed the “MAM” missiles for drones; they are now part of the standard equipment of the “TB2”. These so-called micro-precision munitions are light warheads that can be used to destroy armored targets.

    Export licenses without end-use statement

    Roketsan sells the MAM guided missiles in three different versions, including a so-called vacuum bomb. Their development may have been carried out with the cooperation of the Bavarian company Numerics Software GmbH, according to ANF Deutsch. Numerics specializes in calculating the optimal explosive effect of armor-piercing weapons. According to the German Foreign Ministry, however, the company’s products, for which licenses have been issued for delivery to Turkey, are not suitable for the warheads in question.

    When the German government issues export licenses for military equipment, it can insist on a so-called end-use declaration. In the case of Turkey, the government would commit to obtaining German permission before reselling to a third country. The Foreign Ministry would not say whether such exchanges on missiles, sensors or other German technology have taken place. In total, export licenses for goods “for use or installation in military drones” with a total value of almost 13 million euros have been issued to Turkey, according to a response from last year.

    Deployment in Ethiopia

    As one of the current “hot spots”, the “Bayraktar TB2” is currently being deployed by Ethiopia in the civil war with the Tigray People’s Liberation Front (TPLF). As recently as December, the Tigrinese rebels were on the verge of entering the capital Addis Ababa, but the tide has since turned. Many observers attribute this to the air force. The Ethiopian military has 22 Russian MiG-23 and Sukhoi-27 fighter jets, as well as several attack helicopters.

    But the decisive factor is said to have been armed drones, whose armament allows far more precise attacks. “There were suddenly ten drones in the sky”, the rebel general Tsadokan Gebretensae confirmed to the New York Times in an interview. In a swarm, these had attacked soldiers and convoys. The Reuters news agency quotes a foreign military who claims to have “clear indications” of a total of 20 drones in use. However, these also come from China and Iran.

    Evidence, meanwhile, shows that the Turkish combat drones are used as before in Kurdistan and other countries for crimes under international law. On several occasions, they have also flown attacks on civilians, including in convoys with refugees. Hundreds of people are reported to have died under Turkish-made bombs and missiles.

    After the “TB2” comes the significantly larger “Akıncı”

    In the future, the Turkish military could deploy a significantly larger drone with two engines, which Baykar has developed under the name “Akıncı”. This drone will be controlled via satellites, which will significantly increase its range compared to the “TB2”. Its payload is said to be nearly 1.5 tons, of which 900 kilograms can be carried under the wings as armament. According to Baykar, the “Akıncı” can also be used in aerial combat. Unarmed, it can be equipped with optical sensors, radar systems or electronic warfare technology.

    Baykar’s competitor TAI is also developing a long-range drone with two engines. The “#Aksungur” is said to have capabilities comparable to the “#Akıncı” and was first flown for tests in 2019.

    http://kurdistan-report.de/index.php/english/1282-drone-terror-from-turkey-arms-buildup-and-crimes-under-interna
    #Turquie #Kurdistan #Kurdistan_turque #drones #armes #Allemagne #drones_de_combat #drones_armés #industrie_militaire #Rotax #Continental_Motors #SMS_Smart_Microwave_Sensors #Hengst #Wescam #Aselsan #technologie #ARGOS-II #Airbus #Optronics_Pty

  • Exterminez toutes ces brutes (1/4). La troublante conviction de l’ignorance

    Dans une puissante méditation en images, Raoul Peck montre comment, du génocide des Indiens d’Amérique à la Shoah, l’impérialisme, le colonialisme et le suprémacisme blanc constituent un impensé toujours agissant dans l’histoire de l’Occident.

    « Civilisation, colonisation, extermination » : trois mots qui, selon Raoul Peck, « résument toute l’histoire de l’humanité ». Celui-ci revient sur l’origine coloniale des États-Unis d’Amérique pour montrer comment la notion inventée de race s’est institutionnalisée, puis incarnée dans la volonté nazie d’exterminer les Juifs d’Europe. Le même esprit prédateur et meurtrier a présidé au pillage de ce que l’on nommera un temps « tiers-monde ».

    Déshumanisation
    Avec ce voyage non chronologique dans le temps, raconté par sa propre voix, à laquelle il mêle celles des trois auteurs amis qui l’ont inspiré (l’Américaine Roxanne Dunbar-Ortiz, le Suédois Sven Lindqvist et Michel-Rolph Trouillot, haïtien comme lui), Raoul Peck revisite de manière radicale l’histoire de l’Occident à l’aune du suprémacisme blanc. Tissant avec une grande liberté de bouleversantes archives photo et vidéo avec ses propres images familiales, des extraits de sa filmographie mais aussi des séquences de fiction (incarnées notamment par l’acteur américain Josh Hartnett) ou encore d’animation, il fait apparaître un fil rouge occulté de prédation, de massacre et de racisme dont il analyse la récurrence, l’opposant aux valeurs humanistes et démocratiques dont l’Europe et les États-Unis se réclament. « Exterminez toutes ces brutes », phrase prononcée par un personnage du récit de Joseph Conrad Au cœur des ténèbres, et que Sven Lindqvist a choisie comme titre d’un essai, résume selon Raoul Peck ce qui relie dans un même mouvement historique l’esclavage, le génocide des Indiens d’Amérique, le colonialisme et la Shoah : déshumaniser l’autre pour le déposséder et l’anéantir. De l’Europe à l’Amérique, de l’Asie à l’Afrique, du XVIe siècle aux tribuns xénophobes de notre présent, il déconstruit ainsi la fabrication et les silences d’une histoire écrite par les vainqueurs pour confronter chacun de nous aux impensés de sa propre vision du passé.

    https://www.arte.tv/fr/videos/095727-001-A/exterminez-toutes-ces-brutes-1-4

    #film #documentaire #film_documentaire #peuples_autochtones #récit #contre-récit #récit_historique #histoire #Séminoles #extrême_droite #suprémacisme_blanc #racisme #Grand_Remplacement #invasion #colonialisme #puissance_coloniale #extermination #Tsenacommacah #confédération_Powhatan #Eglise #inquisition #pureté_du_sang #sang #esclavage #génocide #colonialisme_de_peuplement #violence #terre #caoutchouc #pillage

    –-> déjà signalé plusieurs fois sur seenthis (notamment ici : https://seenthis.net/messages/945988), je remets ici avec des mots-clé en plus

  • #Ukraine : « La dévastation de l’environnement est une #bombe à retardement »
    https://reporterre.net/Guerre-en-Ukraine-La-devastation-de-l-environnement-est-une-bombe-a-reta

    Le 25 février, au lendemain seulement de l’#invasion_russe, l’Observatoire des conflits et de l’environnement (CEOBS) dressait déjà un premier bilan, non exhaustif, des dégâts. Dans des dizaines de villes — Kalynivka, Krasnopillia, Krivoy Rog, Dnipro, Zhitomir, Hostomel, Chuhuyev, Chernobaevka, etc. —, des incendies sur des infrastructures militaires et des aérodromes ont libéré « une pollution atmosphérique nocive » composée de gaz toxiques, de particules fines et de métaux lourds qui se sont répandus ensuite dans des zones où résident des civils. Sur le long terme, les dommages pourraient être conséquents et les sols durablement contaminés.

    « En #guerre, l’#empoisonnement et la destruction de l’#environnement n’ont rien de marginal, analyse Ben Cramer, chercheur en sécurité environnementale. Elle s’inscrit dans une #stratégie plus générale de l’envahisseur cherchant à déployer ses capacités de nuisance : la #terreur et la #pollution sont des #armes parmi d’autres. »

  • Dominican Republic begins building border wall with Haiti

    The Dominican president said the wall will reduce irregular migration and the smuggling of goods and weapons.

    The government of the Dominican Republic has begun building a wall along its border with Haiti in an effort to stop irregular migration as well as the smuggling of weapons, drugs and goods.

    Dominican President Luis Abinader on Sunday attended an inauguration ceremony where he pushed a button that began the pouring of concrete into the foundations of what will be the wall.

    “The benefit for both nations will be of great importance,” Abinader said from the province of #Dajabon, located some 230 kms (143 miles) northwest of the capital.

    The wall will eventually cover almost half of the 392-kilometre (244-mile) border with Haiti, its only land neighbour.

    The development comes amid a worsening political and economic situation in Haiti in the aftermath of the assassination of President Jovenel Moise last July. Amid a rise in gang violence and political deadlock over the holding of elections, many Haitians have been crossing the border into the Dominican Republic without documentation in search of work in agriculture or in the construction industry.

    Although the two countries share the island of Hispaniola, they are worlds apart in terms of development. Haiti is one of the poorest nations in the Americas while the Dominican Republic is a popular Caribbean tourist destination that has prospered in recent decades.

    The exodus of Haitians dates back to at least 2010, when the island was struck with a huge 7.2 earthquake that killed an estimated 316,000 people and devastated much of the country. Haitians fled to the United States, Chile, Brazil and, in recent months, Mexico, in search of safety and work opportunities.

    But governments in the region have been tightening their border restrictions and making it increasingly more difficult for Haitians to settle in other countries.

    Last September, the US deported the majority of the some 15,000 Haitians who had arrived at its southern border with Mexico hoping to claim asylum. Citing a pandemic-era rule that allows border agents to quickly expel asylum seekers without the chance to file claims, Haitians – many of whom had not lived in Haiti in years – were sent on board deportation flights back to their crisis-stricken island.

    Mexico has also deported dozens of Haitians back to Haiti by plane, and made efforts to keep migrants away from the US-Mexico border.

    Migrant advocates have blasted the US and Mexico’s treatment of Haitian migrants, calling it cruel and a violation of international law.

    Meanwhile Abinader estimated the border wall will reduce the smuggling of commercial goods, weapons and help fight organised crime in both nations.

    He started the project, which aims to build a 164-km- (102-mile)-wall, a week ahead of the anniversary of the Dominican Republic’s independence from Haiti on February 27, 1844.

    Abinader said the first phase of the project will be completed within nine months.

    About 500,000 Haitians and tens of thousands of their descendants live in the Dominican Republic, a Spanish-speaking nation of about 11 million people, according to the most recent immigration survey conducted in 2018.

    The concrete wall topped by a metal mesh will be 3.9 metres (12.8 ft) high and will have fiber optics for communications, movement sensors, cameras, radars and drones.

    The project also includes the construction of 70 watchtowers and 41 access gates for patrolling.

    https://www.aljazeera.com/news/2022/2/21/dominican-republic-begins-building-border-wall-with-haiti
    #République_Dominicaine #Haïti #murs #frontières #barrières_frontalières #migrations #armes #drogue

  • Un fusil semi-automatique destiné aux #enfants crée la controverse aux #États-Unis | La Presse
    https://www.lapresse.ca/international/etats-unis/2022-02-18/un-fusil-semi-automatique-destine-aux-enfants-cree-la-controverse-aux-etats

    C’est « la première de nombreuses #armes qui aideront les adultes à faire découvrir aux enfants le sport de tir en toute sécurité », selon la société WEE1 Tactical, qui salue sur son site internet un fusil « comme l’arme de papa et maman ».

    Le JR-15 (pour « Junior ») mesure en effet seulement 80 cm de long et pèse moins d’un kilo. Livré avec des chargeurs de 5 ou 10 cartouches de calibre 22 long rifle, il a été commercialisé à la mi-janvier à un prix de 389 dollars.

    Le modèle adulte, l’AR-15, est la version civile d’une arme de type militaire qui a été utilisée dans une série de #tueries, notamment en milieu scolaire, qui ont choqué les États-Unis.

    #leadership

  • #EMSA signs cooperation agreements with EU Naval Missions to provide enhanced maritime awareness for operations in Somalia and Libya

    EMSA is supporting EU Naval Force operations – #Atalanta and #Irini – following the signature of two cooperation agreements with EU #NAVFOR-Somalia (#Operation_Atalanta) on the one hand and #EUNAVFOR_MED (#Operation_Irini) on the other. Operation Atalanta targets counter piracy and the protection of vulnerable vessels and humanitarian shipments off the coast of Somalia, while operation Irini seeks to enforce the UN arms embargo on Libya and in doing so contribute to the country’s peace process. By cooperating with EMSA in the areas of maritime security and #surveillance, multiple sources of ship specific information and positional data can be combined to enhance maritime awareness for the #EU_Naval_Force in places of particularly high risk and sensitivity. The support provided by EMSA comes in the context of the EU’s Common Security and Defence Policy.

    EUNAVFOR-Somalia Atalanta

    EMSA has been supporting the EU NAVFOR-Somalia Atalanta operation since April 2011 when piracy off the coast of Somalia was at its peak. The various measures taken to suppress piracy have been successful and the mandate of the operation was not only renewed at the beginning of last year but also expanded to include measures against illegal activities at sea, such as implementing the arms embargo on Somalia, monitoring the trafficking of weapons, and countering narcotic drugs. Through the cooperation agreement, EMSA is providing EU NAVFOR with access to an integrated maritime monitoring solution which offers the possibility of consulting vessel position data, central reference databases and earth observation products. This is integrated with EU NAVFOR data – such as vessel risk level based on vulnerability assessments – creating a specifically tailored maritime awareness picture. The new cooperation agreement extends the longstanding collaboration with EU NAVFOR for an indefinite period and is a great example of how EMSA is serving maritime security and law enforcement communities worldwide.

    EUNAVFOR MED Irini

    The EUNAVFOR MED operation Irini began on 31 March 2020 with the core task of implementing the UN arms embargo on Libya using aerial, satellite and maritime assets. It replaces #operation_Sophia but with a new mandate. While EMSA has been providing satellite AIS data to EUNAVFOR MED since 2015, the new cooperation agreement allows for access to EMSA’s #Integrated_Maritime_Services platform and in particular to the Agency’s #Automated_Behaviour_Monitoring (#ABM) capabilities. These services help EUNAVFOR officers to keep a close eye on Libya’s ports as well as to monitor the flow of maritime traffic in the area and target specific vessels for inspection based on suspicious behaviour picked up by the ABM tool. While the agreement is open ended, operation Irini’s mandate is expected to run until 31 March 2023.

    https://www.emsa.europa.eu/newsroom/press-releases/item/4648-emsa-signs-cooperation-agreements-with-eu-naval-missions-to-provide

    #coopération #Somalie #Libye #mer #sécurité #sécurité_maritime #Agence_européenne_pour_la_sécurité_maritime (#AESM) #piraterie #piraterie_maritime #armes #commerce_d'armes #drogues #trafic_maritime

    ping @reka @fil

  • Féminicides, suicides… les ravages des fusils de chasse
    https://reporterre.net/Feminicides-suicides-les-ravages-des-fusils-de-chasse

    Une fois la sortie en forêt terminée, les armes des chasseurs ne perdent pas leur dangerosité. Ces hommes, en majorité, peuvent les utiliser pour tuer leur femme ou se suicider. Reporterre a épluché la presse pour dresser le bilan 2020 et 2021 de ces morts.

    Alors que les blessés et les morts se multiplient, de plus en plus de voix s’élèvent dans la société civile pour restreindre la chasse. Celle-ci s’invite même dans les débats de la présidentielle [1]. Mais qu’en est-il des ravages causés par les armes des chasseurs une fois le gibier ramené à la maison ? « À Martigues, près de Marseille, un homme a tué sa femme avec un fusil avant de se suicider. » « Landes : trois corps découverts dans une habitation, les victimes tuées par une arme de chasse » « Il n’y a eu ni cri ni pleurs, juste la détonation : il tue sa femme à la carabine à Suresnes. » La presse quotidienne régionale est remplie de ces faits dits « divers », sans que l’on en saisisse l’ampleur.

    #féminicides #suicides #armes_à_feu #chasse

  • Mon pays fabrique des #armes

    Depuis quelques années, les ventes d’armes françaises explosent et notre pays est devenu le troisième exportateur mondial. Pourtant, le grand public sait peu de choses de ce fleuron industriel français, de ses usines, de ses salariés, des régions productrices d’armes et des grandes instances d’État chargées de les vendre.
    Car la France exporte massivement vers le Moyen-Orient. Beaucoup vers l’Arabie Saoudite. Au sein de l’État, qui arbitre lorsqu’il s’agit de vendre à des régimes suspectés de crimes de guerre ? A quoi la realpolitik nous contraint-elle ? Dans le reste de l’Europe, la société civile réagit à cette question. Si les armes sont si cruciales pour l’emploi des Français, si elles participent autant à l’indépendance de notre pays, pourquoi y sont-elles un angle mort du débat public ?

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/54294_1

    #film #film_documentaire #documentaire
    #France #armement #commerce_d'armes #Dassault #Rafale #François_Hollande #Hollande #Inde #Qatar #Egypte #avions #bombes #munitions #missiles #MBDA #Nexter #Bourges #Avord #industrie_militaire #armée #La_Chapelle_Saint-Oursin #emploi #Jean-Yves_Le_Drian #ministère_de_l'armée #hélicoptère_Caïman #Direction_générale_de_l'armement (DGA) #commission_interministérielle_pour_l'étude_des_exportations_de_matériels_de_guerre (#CIEEMG) #Louis_Gautier #guerres #conflits #Cherbourg #CMN #Arabie_Saoudite #Yémen #crimes_de_guerre #ventes_d'armes #Traité_sur_le_commerce_des_armes (#TCA) #justice #contrat_Donas #Jean-Marc_Ayrault #licence_d'exportation #Jean-Charles_Larsonneur #canons_caesar #hypocrisie #impératif_de_vente #armes_de_surveillance #armes_d'interception #ERCOM #chiffrement #nexa_technologies #AMESYS #torture #complicité_d'actes_de_torture #Libye #al-Sissi #écoutes #Emmanuel_Macron #Macron #secret_défense

  • Où sont les milliards de #Kadhafi ?

    Que sont devenus les milliards de dollars que le colonel Kadhafi, peu de temps avant sa chute, a mis à l’abri en Afrique du Sud ? Digne des meilleurs thrillers, une enquête au long cours sur les traces d’un trésor insaisissable.

    Le 20 octobre 2011, après des mois d’affrontements entre ses soutiens et les forces rebelles, Mouammar Kadhafi, qui dirigeait la Libye d’une main de fer depuis plus de quatre décennies, est capturé et abattu. Avant d’être renversé, le dictateur avait pris soin de transférer à l’étranger une grande partie de sa faramineuse fortune, constituée avec les réserves pétrolières du pays. C’est en négociant, pour le compte du gouvernement de transition, un contrat d’armement avec l’Afrique du Sud qu’Erik Goaied, un consultant tunisien, a vent d’une cargaison de 12,5 milliards de dollars libyens arrivée à l’aéroport de Johannesburg fin 2010. Mais où sont passés les conteneurs remplis de billets ? Et pourquoi Kadhafi les a-t-il envoyés ici ? George Darmanovic, un influent agent des services secrets sud-africains, affirme que l’ANC, le parti au pouvoir, dont le leader libyen a soutenu financièrement les dirigeants depuis Mandela jusqu’à Jacob Zuma, aurait fait main basse sur une grande partie de l’argent. Épaulé par Johan Erasmus, un marchand d’armes ayant fait carrière dans le renseignement au temps de l’apartheid, et Fanie Fondse, un ex-membre des forces spéciales, Erik Goaied se met en tête de récupérer le magot. Son entreprise se complique lorsque Darmanovic est assassiné en pleine rue et que le gouvernement libyen le met sur la touche, en confiant l’opération à l’homme d’affaires Taha Buishi. Ce dernier entre en contact avec Tito Maleka, le chef des services de renseignements occultes de l’ANC, qui fait lui-même appel à Jackie Mphafudi, un proche du président Zuma. Alléchées par la commission de 10 % promise par la Libye, les deux équipes se lancent dans une chasse au trésor acharnée…

    https://www.arte.tv/fr/videos/088469-000-A/ou-sont-les-milliards-de-kadhafi
    #film #film_documentaire #documentaire #armes #Afrique_du_Sud #argent #Libye #George_Darmanovic #Jocob_Zuma #Zuma #Erik_Goaied #ANC #Johan_Erasmus #argent_liquide #Fanie_Fondse #Taha_Buishi #Tito_Maleka #Aziz_Pahad #Nelson_Mandela #Thabo_Mbeki #conférence_de_Polokwane #Mathews_Phosa #Brian_Crook #Jackie_Mphafudi #Bashir_Saleh

    déjà signalé par @simplicissimus
    https://seenthis.net/messages/912048

  • I #camalli genovesi in lotta contro le navi della morte

    Genova e il suo porto sono un centro logistico del traffico internazionali di armi. Ogni venti giorni circa le navi della #Bahri - la compagnia nazionale saudita, tra i più grandi armatori del mondo - fa tappa sullo scalo ligure. Nelle sue stive ci sono carri armati, elicotteri, esplosivi e altri armi caricate negli Stati Uniti e in altri porti europei e destinate ad essere impiegate nel conflitto dello Yemen. Di fronte a questa situazione c’è chi dice no. Sono gli attivisti del #Collettivo_Autonomo_Lavoratori_Portuali (#CALP) che da qualche anno si battono contro il transito da Genova di queste navi. La loro è una lotta dura, che solleva molte verità nascoste e dà fastidio, tanto che alcuni militanti sono finiti sotto indagine. Il nostro è un viaggio all’interno del mondo portuale genovese per cercare di capire le origini e il futuro di questa battaglia. Attraverso il racconto di alcuni militanti del CALP, oltre che di un rappresentante dell’ONG Weapon Watch e del console della principale compagnia di lavoratori portuali, abbiamo voluto dare voce ad un movimento che di recente ha ricevuto il sostegno anche di Papa Francesco. Un movimento che non si ferma certo con il nostro reportage: la #Bahri_Hofuf è attesa a Genova in questi giorni dopo che ha imbarcato merci al #Military_Ocean_Terminal di #Sunny_Point, nella Carolina del Nord, uno dei principali terminal militare del mondo. I lavoratori sono sul chi vive e di certo lanceranno l’allarme.

    https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/I-camalli-genovesi-in-lotta-contro-le-navi-della-morte-14877315.html?f=podcast-s
    #Gênes #port #armes #commerce_d'armes #port #Yémen #résistance #Arabie_Saoudite #Genova #Italie #grève

    –—
    Page Facebook du collectif:

    https://fr-fr.facebook.com/CalpGe

  • Opération Sirli - Les mémos de la terreur
    https://egypt-papers.disclose.ngo/fr/chapter/operation-sirli

    e projet de la mission Sirli naît le 25 juillet 2015. Ce jour-là, Jean-Yves Le Drian, alors ministre de la défense de François Hollande, s’envole pour Le Caire en compagnie du directeur du renseignement militaire, le général Christophe Gomart. Il y rencontre son homologue égyptien, le ministre Sedki Sobhi dans un contexte « extrêmement favorable (…) reposant sur les récents succès des contrats Rafale et [frégates] FREMM », souligne une note diplomatique obtenue par Disclose – en avril, l’Egypte a acheté 24 avions de chasse Rafale et deux navires de guerre pour un montant de 5,6 milliards d’euros.

  • Le ministère de l’Intérieur commande 90 véhicules blindés de maintien de l’ordre à la société SOFRAME | Ministère de l’Intérieur
    http://www.interieur.gouv.fr/actualites/communiques/ministere-de-linterieur-commande-90-vehicules-blindes-de-maintien-de-

    À l’issue d’une mise en concurrence initiée en décembre 2020, le ministère de l’Intérieur va acquérir des véhicules blindés de maintien de l’ordre pour la Gendarmerie nationale. La société SOFRAME a remporté le marché, avec le modèle ARIVE ; ce marché a été notifié le 27 octobre

    #police #maintien_de_l'ordre #armes_de_la_police

  • Jeffrey Kaye sur Twitter :

    “This July 1953 Annual Report of the US Chemical Corps (Ft. Detrick) makes clear that even at that time Gain-of-Function experiment to increase deadliness of organisms used in biological warfare were taking place via passage through various insect species. https://t.co/cqlHEhX6D7” / Twitter
    https://twitter.com/jeff_kaye/status/1443386627946999808

    #états-unis #armes_biologiques