• Alors que les #Etats-nations (notamment l’#Italie dans ce cas précis) ferment les portes aux exilés, les #villes semblent aujourd’hui faire preuve de #solidarité.

    Il y a eu l’exemple de #Valence, mais #Barcelone et #Berlin se disent prêtes à accueillir les personnes sauvées par les navires des #ONG en #Méditerranée.

    Ici, des liens sur les #villes-refuge :
    http://seen.li/eh64

    Et ci-dessous, dans le fil de la discussion, des liens plus récents.

    #Etat-nation #villes #urban_matter #migrations #réfugiés #asile

    • Barcelona urges Spain to allow migrant ship to dock

      Barcelona Mayor Ada Colau is calling on Spain’s prime minister to grant the city docking rights to help a Spanish aid boat that rescued 60 migrants in the Mediterranean near Libya.

      The Open Arms boat, run by Spanish aid group Proactiva Open Arms, was the cause of a political row Saturday between Italy and Malta, who both rejected taking in the aid boat’s migrants.

      Mr Colau tweeted that Spanish Prime Minister Pedro Sanchez should “save lives” because Barcelona “doesn’t want to be an accomplice to the policies of death of Matteo Salvini,” referring to Italy’s hard-line interior minister.

      Mr Salvini, head of an anti-migrant party in the Italian coalition government, has vowed that no more humanitarian groups’ rescue boats will dock in Italy.

      The Spanish vessel said it rescued the migrants Saturday — including five women, a nine-year-old child and three teenagers — after it spotted a rubber boat patched with duct tape floating in the sea. All the migrants appeared in good health.

      "Despite the hurdles, we continue to protect the right to life of invisible people,’ said Open Arms.

      Mr Salvini quickly declared that the rescue boat “can forget about arriving in an Italian port” and claimed the boat should go to Malta, the nearest port.

      But Malta swiftly pushed back, with its interior minister contending that the tiny Italian island of Lampedusa, south of Sicily, was closer to the boat.

      Earlier this month, Rome rejected the Aquarius ship carrying 630 migrants, forcing it to eventually dock in Spain.

      “For women and children really fleeing the war the doors are open, for everyone else they are not!” Mr Salvini tweeted.

      https://www.thenational.ae/world/europe/barcelona-urges-spain-to-allow-migrant-ship-to-dock-1.745767
      #villes-refuge

    • Migrants rescue boat allowed to dock in Barcelona

      A Spanish rescue boat which plucked 60 migrants from a patched-up rubber dinghy in the Mediterranean Sea near Libya has been given permission to sail to Barcelona, following another political row between Italy and Malta over where the vessel should dock.

      The boat, Open Arms, run by Spanish aid group Proactiva Open Arms, said it rescued the migrants – including five women, a nine-year-old child and three teenagers – after it spotted a rubber boat patched with duct tape floating in the sea. All the migrants appeared in good health.

      Italy’s right-wing interior minister Matteo Salvini quickly declared that the rescue boat “can forget about arriving in an Italian port”, and claimed it should instead go to Malta, the nearest port.

      Malta swiftly pushed back, with its interior minister contending that the tiny Italian island of Lampedusa, south of Sicily, was closer to the boat.

      http://www.itv.com/news/2018-06-30/migrants-rescue-boat-allowed-to-dock-in-barcelona

    • #Palerme:

      La Commission régionale de l’Urbanisme a rejeté le projet de pré-faisabilité du « #hotspot » à Palerme, confirmant l’avis du Conseil municipal de Palerme. L’avis de la Commission régionale reste technique. Le maire de Palerme a rappelé que "la ville de Palerme et toute sa communauté sont opposés à la création de centres dans lesquels la dignité des personnes est violée (...). Palerme reste une ville qui croit dans les valeurs de l’accueil, de la solidarité et des rencontres entre les peuples et les cultures, les mettant en pratique au quotidien. En cela, notre « non » à l’hotspot n’est pas et ne sera pas seulement un choix technique, mais plutôt un choix relatif à des principes et des valeurs".
      > Pour en savoir plus (IT) : http://www.palermotoday.it/politica/hotspot-zen-progetto-bocciato-regione.html

      – Leoluca Orlando, le maire de Palerme, continue de défier le gouvernement et les politiques migratoires de Salvini. La nouvelle querelle fait suite à une circulaire envoyée aux préfets et présidents de commissions sur la reconnaissance de la protection internationale. Matteo Salvini souhaite une accélération de l’examen des demandes et un accès plus strict au titre de séjour pour motif(s) humanitaire(s), un des avantages les plus accordés (cette année, ils représentaient 28% des trois titres de séjour prévus par la loi). La circulaire invite les commissions à être plus rigoureuses dans l’examen de la vulnérabilité.
      > Pour en savoir plus (IT) : www.palermotoday.it/politica/migranti-polemica-orlando-salvini-querela.html ?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

      – 8 Juillet, 18h : manifestation citoyenne des oppressé.es à Palerme.
      > Pour en savoir plus (IT), lien vers l’évènement : http://palermo.carpediem.cd/events/7342024-prima-le-oppresse-e-gli-oppressi-at-piazza-giuseppe-verdi

      –-> Reçu via la mailing-list Migreurop

    • Migranti: parte l’offensiva degli amministratori locali contro la deriva xenofoba e razzista del Governo

      Primo firmatario dell’appello «inclusione per una società aperta» Nicola Zingaretti; tra gli aderenti Sala, Pizzarotti e De Magistris.

      Trentatré episodi di aggressioni a sfondo razzista da quando il governo Salvini - Di Maio si è insediato, tre solo nelle ultime ore; porti chiusi e criminalizzazione delle Ong; ruspe sui campi rom e una narrazione costante e diffusa che parla di invasione, sostituzione etnica, pericolo immigrazione: qualcuno ha deciso di non restare in silenzio e mostrare che esiste anche un’Italia che rifiuta tutto questo, rivendica lo stato di diritto e sostiene l’inclusione sociale come valore assoluto.

      Per questo oggi stato lanciato - e ha già raccolto più di 200 adesioni in tutta Italia - il manifesto «Inclusione per una società aperta», ideato e promosso dai consiglieri regionali del Lazio Alessandro Capriccioli, Marta Bonafoni, Paolo Ciani, Mauro Buschini e Daniele Ognibene e rivolto a tutti gli amministratori locali che rifiutino «la retorica dell’invasione e della sostituzione etnica, messa in campo demagogicamente al solo scopo di ottenere consenso elettorale, dagli imprenditori della paura e dell’odio sociale; rifiutino il discorso pubblico di denigrazione e disprezzo del prossimo e l’incitamento all’odio, che nutrono una narrazione della disuguaglianza, giustificano e fanno aumentare episodi di intolleranza ed esplicito razzismo», col fine di costruire «una rete permanente che, dato l’attuale contesto politico, affronti il tema delle migrazioni e dell’accoglienza su scala nazionale a partire dalle esperienze e dalle politiche locali, con l’obiettivo di opporsi fattivamente alla deriva sovranista e xenofoba che sta investendo il nostro paese», come si legge nell’appello diffuso quest’oggi.

      «In Italia viviamo una situazione senza precedenti», ha spiegato Alessandro Capriccioli, capogruppo di +Europa Radicali durante la conferenza stampa di lancio dell’appello insieme ai colleghi Paolo Ciani, Marta Bonaforni e Marietta Tidei. «Attraverso una strategia quasi scientifica è stato imposto un racconto sull’immigrazione che alimenta l’odio e lo sfrutta per ottenere consensi. Questo manifesto si rivolge agli amministratori locali che affrontano sul campo il tema dell’immigrazione con risultati virtuosi che spesso smentiscono quel racconto, ed è uno strumento per formare una rete istituzionale che potrà diventare un interlocutore autorevole e credibile in primo luogo di questo Governo, dettando indicazioni, strategie e proposte».

      Paolo Ciani, capogruppo di Centro Solidale, ha sottolineato come «questa narrazione distorta sta portando a un imbarbarimento della nostra società. Gli episodi di questi giorni rappresentano solo la punta dell’iceberg di un atteggiamento diffuso: sappiamo tutti che esistono degli istinti bassi che appartengono a tutti gli esseri umani e che, se trovano una loro legittimazione nelle istituzioni, diventano un problema». Marietta Tidei, consigliera regionale del Pd ha posto l’attenzione sul fatto che «oggi viene raccontato solo il brutto dell’immigrazione, ma noi siamo qui per dire che c’è anche molto che ha funzionato: il programma Sprar è un esempio virutoso», mentre la capogruppo della Lista Civica Zingaretti Marta Bonafoni ha sottolineato come ciò che conta sia «la quantità e la pronta risposta che stiamo avendo: la distribuzione geografica ci dice che c’è un’altra italia, che con questo appello diventa una rete istituzionale che si pone come interlocutrice del Governo».

      Oltre al Presidente della regione Lazio hanno già sottoscritto l’appello Beppe Sala, sindaco di Milano, Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e più di 200 tra assessori e consiglieri regionali, sindaci, presidenti di municipi e consiglieri comunali e municipali da ogni parte d’Italia.

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2018/08/03/news/migranti_parte_l_offensiva_degli_amministratori_locali_contro_la_deriva_x
      #xénophobie #racisme #anti-racisme

    • Espagne : #Bilbao accueille de plus en plus de migrants

      Dernière étape avant la France ou une autre destination, Bilbao accueille de plus en plus de migrants débarqués sur les plages du sud de l’Espagne. Le Pays basque, connu pour être doté d’un réseau de solidarité citoyenne très développé, prend en charge le sort de ces migrants en transit. C’est le cas de l’association #Ongi_Etorri_regugiak - « Bienvenue réfugié » - qui depuis trois mois aide un groupe de 130 subsahariens livrés à eux-mêmes.

      Dans la cour de récréation, une vingtaine d’Africains jouent au football en attendant l’heure du dîner. C’est dans cette ancienne école primaire du quartier populaire de Santuxtu, transformée en centre social, que sont hébergés ces migrants âgés de plus de 18 ans. Tous ont débarqué en zodiac sur les côtes espagnoles, puis ont été transportés jusqu’à Bilbao dans des bus affrétés par les autorités espagnoles. Mais à leur arrivée, ils sont très vite livrés à eux-mêmes.

      La solidarité d’une centaine de personnes a permis d’aider ces migrants et de prendre la relève des autorités locales comme le souligne Martha, une des volontaires. « On a ouvert ce dispositif entre personnes qui n’ont aucun moyen économique, c’est autofinancé, et on apprend sur le tas un peu de tout, explique-t-elle. Il y a des gens qui restent dormir pour voir si tout se passe bien. On est là pour les accompagner, pour créer aussi le lien avec les gens d’ici, avec la ville. C’est très émouvant de voir comment s’est créée une chaîne de solidarité entre différents quartiers peu à peu, qui ne devrait pas s’arrêter là et on espère qu’elle ne va pas se rompre ».

      Parmi ces migrants, Zacharia, un Camerounais de 29 ans, désigné chef cuisinier. C’est lui qui prépare les repas pour les 130 personnes avec les vivres donnés par les habitants du coin. Il espère l’obtenir l’asile politique, mais il va devoir attendre six mois pour avoir son premier rendez-vous avec les autorités, ce qui le préoccupe.

      Les autorités basques ont promis de se pencher sur le sort de ces migrants, mais d’ordinaire, ils sont très peu à choisir de rester au Pays basque. La plupart décident de continuer leur périple vers le nord de l’Europe avec ou sans aide.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/11498/espagne-bilbao-accueille-de-plus-en-plus-de-migrants

    • #Atlanta says NO to detention and YES to increased legal services and support for family reunification:

      Mayor Keisha Lance Bottoms Issues Executive Order to Permanently End City of Atlanta Receiving ICE Detainees

      Mayor Keisha Lance Bottoms has signed an Executive Order directing the Chief of the Atlanta City Department of Corrections to take the necessary action to permanently stop receiving U.S. Immigration and Customs Enforcement (ICE) detainees under the current agreement with the United States Marshals Service.


      https://t.co/9jZoIICiIi
      #détention_administrative #rétention

      #USA #Etats-Unis

    • How Cities Are Demanding a Greater Voice on Migration

      Cities are developing their own solutions to help fast-growing migrant and refugee populations in urban areas. Cities expert Robert Muggah describes the swell of initiatives by urban leaders and what it will take to overcome the barriers ahead.

      Most refugees and internally displaced people live in cities. Yet urban leaders are regularly excluded from international discussions about refugee response.

      Robert Muggah, cofounder of the Brazil-based think-tank the Igarape Institute and Canadian risk consultancy The SecDev Group, is among a growing chorus of city and migration experts calling for that to change. His recent paper for the World Refugee Council describes how cities are developing their own solutions and offers a blueprint for better cooperation.

      “Cities will need resources to scale up their activities,” Muggah told Refugees Deeply. “This may require changes in laws so that cities can determine their own residence policies and keep tax revenues generated by migrants who move there.”

      Refugees Deeply talked to Muggah about how city leaders are championing new approaches to displacement and the barriers they’re trying to overcome.
      Refugees Deeply: Are the global compacts on refugees and migration a missed opportunity for a smarter international approach to urban refugees and migrants?

      Robert Muggah: The international response to the urbanization of displacement has been woefully inadequate. The U.N. High Commissioner for Refugees (UNHCR), in particular, was remarkably slow to empower cities to assume a greater role in protecting and assisting refugees and other groups of concern. And while it has made some modest improvements, the UNHCR’s strategic plan (2017–21) makes just one reference to urban refugees – acknowledging that they constitute the majority of the agency’s caseload – but offers no vision or concrete recommendations moving forward.

      The global compacts on migration and refugees were never going to be revolutionary. But so far they have been a disappointment seen from the vantage point of cities. While still under review, the new compacts only tangentially address the central role of urban authorities, businesses and civic associations in supporting displaced populations. While they offer a suite of sensible-sounding proposals to ensure a more predictable approach to protection and care and “regularize” population movements more generally, they are silent on the role of cities. The global compact on refugees mentions the word “urban” just four times and “cities” just once. These omissions have not gone unnoticed: cities and inter-city networks are agitating for a greater voice.

      The global compacts on migration and refugees were never going to be revolutionary. But so far they have been a disappointment seen from the vantage point of cities.
      Refugees Deeply: What are some of the main political and institutional blockages to better equipping cities around the world to protect and care for migrants and refugees?

      Muggah: For most of the 20th and 21st centuries, nation states have actively resisted giving cities more discretion in responding to issues of cross-border and internal population displacement. Cities will not find recourse in international law, and the Sustainable Development Goals (SDGs) also have nothing to say about urban displacement. More positively, the nonbinding New Urban Agenda offers more concrete direction on cooperation between national and subnational authorities to address the needs of refugees and internally displaced people.

      Cities have also received comparatively limited support from international organizations to support urban refugees and displaced people. On the contrary – the UNHCR has instead emphasized the need to reduce assistance and promote self-reliance. Under immense pressure from U.N. member states, and host states in particular, the UNHCR sought to limit refugees from moving to cities where possible. UNHCR made tentative gestures to move beyond the minimalist approach and advocate for refugee rights in cities in the 2000s, but a camp-based model prevailed. There were concerns that the focus on refugees in cities could antagonize host countries, many of whom saw displaced people as a threat to domestic and international security.
      Refugees Deeply: What are some of the factors common to the most proactive and innovative cities on these issues?

      Muggah: A growing number of cities are demanding a greater voice on issues of migration and displacement. Earlier in 2018 a small delegation of cities – led by New York – sent recommendations to improve the overall wording and content of the Global Compact. Likewise, in 2017, the International Organization for Migration, together with the United Cities and Local Government (UCLG), assembled 150 cities to sign the Mechelen Declaration demanding a seat at the decision-making table. And in 2015, Eurocities also issued a statement on refugees in the wake of the influx of refugees from the Middle East and North Africa. They set up Solidarity Cities, which provides support to help cities deliver services and identify effective long-term solutions to protect social cohesion and integration.

      Cities are also getting on with developing legislative and policy frameworks to welcome refugees and promote protection, care and assistance. Good examples include more than 100 “welcoming cities” in the U.S. that have committed to promoting integration, developing institutional strategies for inclusion, building leadership among new arrivals and providing support to refugees. Meanwhile, some 500 jurisdictions describe themselves as “sanctuary cities.” Despite threats of cuts to funding, they are resisting federal efforts to enforce immigration law and are on the front line of supporting refugees. In the U.K., at least 80 “cities of sanctuary” offer another approach to providing compassionate solutions for refugees. Large and medium-sized cities across Europe are also adopting similar strategies, in cooperation with Eurocities – a network of major European cities founded in 1986.

      While it can generate tension with federal counterparts, these city-level responses can help contribute to greater safety and economic progress in the long run. Cities, states and countries with sanctuary policies tend to be safer and more prosperous than those without them. Sanctuary cities can build trust between law enforcement agencies and migrant communities. Likewise, the economies of sanctuary cities, towns and counties are largely more resilient than nonsanctuary counterparts, whether measured in terms of the population’s income, reliance on public assistance or labor force participation.
      Refugees Deeply: Many cities face financial and political limitations on their ability to respond to refugee crises. Where have you seen good examples of devolution of power and resources helping cities to respond better?

      Muggah: There are countless examples of cities strengthening their protection and care for urban refugees in a time of austerity. In New York, for example, city authorities launched ActionNYC, which offers free, safe legal assistance for migrants and refugees in multiple languages. In Barcelona, the SAIER (Service Center for Immigrants, Emigrants and Refugees) program provides free advice on asylum and return, while Milan works with the UNHCR and Save the Children to offer services for unaccompanied minors.

      Montreal established the BINAM (Bureau d’integration des nouveaux arrivants a Montreal) program to provide on-the-job training and mentoring to new arrivals, and Sao Paulo has created municipal immigration councils to help design, implement and monitor the city’s policies. Likewise, cities such as Atlanta and Los Angeles are requiring that migrants – in particular, refugees – have equal access to city facilities, services and programs regardless of their citizenship status.

      Cities are also banding together, pooling their resources to achieve greater influence on the urban refugee agenda. Today there are more than 200 intercity networks dedicated to urban priorities, ranging from governance and climate change to public safety and migration. Several of them have dedicated guidelines on how cities can protect and care for refugees. For example, the Global Parliament of Mayors, established in 2016, focuses on, among other things, promoting inclusive cities for refugees and advocating on their behalf. The International Coalition of Inclusive and Sustainable Cities and the UCLG are others, having teamed up with think-tanks and international agencies to strengthen information-sharing and best practices. Another new initiative is Urban20, which is promoting social integration, among other issues, and planning an inaugural meeting in October 2018.
      Refugees Deeply: Most cities at the forefront of refugee crises are in the Global South. What recommendations would you offer to ensure that international responses to urban displacement do not become too North-centric?

      Muggah: This reality is often lost on Northern policymakers and citizens as they seek to restrict new arrivals and reduce overseas assistance. The Carnegie Mellon University’s Create Lab and the Igarape Institute have developed a range of data visualization tools to highlight these trends, but a much greater effort is required to educate the public. These outreach efforts must be accompanied with a dramatic scaling-up of assistance to redressing the “causes” of displacement as well as supporting front-line cities absorbing the vast majority of the world’s displaced populations.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/09/21/how-cities-are-demanding-a-greater-voice-on-migration

    • Création de l’#association_nationale des #villes et #territoires accueillants

      À l’heure où l’échec des politiques migratoires européenne et nationale entraîne une montée des populismes tout en restreignant les droits humains fondamentaux, nous, élu.e.s de villes et collectivités, décidons de nous unir sous une bannière commune : celle de l’accueil inconditionnel.

      Nous demandons ainsi que l’Etat assume ses missions et assure les moyens pour créer des solutions d’accueil, d’hébergement et d’accompagnement plus nombreuses et plus qualitatives que celles existantes aujourd’hui. Cela doit passer par la mise en place d’une stratégie nationale d’accueil afin de répartir et d’accompagner l’effort de solidarité.

      Nous l’enjoignons à respecter le droit et ses engagements internationaux (Protocole de Quito de l’ONU, Convention de Genève), européens (Pacte d’Amsterdam) et nationaux (Code des Familles et de l’Action Sociale)

      Néanmoins, dépositaires d’une tradition d’accueil et de valeurs humanistes, nous, élu.e.s locaux et territoriaux, mettons en oeuvre et expérimentons déjà sur nos territoires, au quotidien, des réponses aux impératifs de l’urgence humanitaire et d’inclusion de tout un chacun, même quand l’Etat est défaillant.
      Surtout, nous agissons en responsabilité, conformément à nos obligations règlementaires et législatives.

      L’association que nous avons constituée à Lyon 1er le 26 septembre 2018, rassemble tout.e.s les élu.e.s promouvant l’hospitalité, source de politiques inclusives et émancipatrices. Fort.e.s de notre expérience, animé.e.s par la volonté d’agir collectivement, nous donnerons à voir que des solutions dignes sont possibles et adaptées à chaque situation locale. Il n’y a pas UNE politique d’accueil, mais autant que de particularismes locaux.

      Elle permettra de mettre en avant toutes les réussites locales en matière d’accueil sur notre
      territoire et les réussites que cela engendre lorsque chacun assume ses responsabilités.
      Elle permettra aussi, la mise en commun de bonnes pratiques, l’accompagnement de territoires volontaires, la mobilisation autour d’enjeux liés aux politiques migratoires, la proposition de mesures adaptées. En partenariat avec toutes les forces vives volontaires : acteurs associatifs, citoyen.ne.s, universitaires, juristes, militant.e.s, etc.

      Nous souhaitons la bienvenue aux élu.e.s de tous horizons et de tout territoire, qui, partageant nos valeurs humanistes et notre volonté politique, veulent rejoindre notre association.

      Damien CARÊME, Maire de #Grande-Synthe, Président de l’Association
      Catherine BASSANI, Représentante de la ville de #Nantes
      Philippe BOUYSSOU, Maire d’#Ivry-Sur-Seine
      Marie-Dominique DREYSSE, Maire-adjointe de #Strasbourg
      Gérard FROMM, Maire de #Briançon
      Corinne IEHL, Elue de #Lyon 7ème arrondissement
      Myriam LAÏDOUNI-DENIS, Elue de la #Région_Auvergne-Rhône-Alpes
      Bernard MACRET, 4ème Adjoint aux Solidarités Internationales, #Grenoble
      Halima MENHOUDJ, Adjointe au Maire de #Montreuil
      Jaklin PAVILLA, 1ère Adjointe au Maire de #Saint-Denis
      Nathalie PERRIN-GILBERT, Maire du 1er arrondissement de Lyon
      Eric PIOLLE, Maire de #Grenoble
      Laurent RUSSIER, Maire de #Saint-Denis
      Bozena WOJCIECHOWSKI, Adjointe au Maire d’Ivry-sur-Seine

      https://blogs.mediapart.fr/fini-de-rire/blog/280918/creation-de-l-association-nationale-des-villes-et-territoires-accuei
      #villes_accueillantes #territoires_accueillants #France
      #ANVITA

    • How Cities Can Shape a Fairer, More Humane Immigration Policy

      National governments do not have all the answers on immigration says Bristol mayor Marvin Rees. Ahead of a mayors’ summit he outlines a better city-led response.

      People have always been on the move, both within nations and across borders, but increasingly migrants tend to settle in cities. This puts cities and their responses at the heart of the conversation, something we are looking to highlight at the Global Parliament of Mayors (GPM) Summit here in Bristol.

      There is a steady upward trend in the number of people who have left their homelands voluntarily for economic or other reasons, or who are forced to leave their homes as refugees or displaced persons for reasons of conflict or environmental disaster. Population diversity in most developed countries can be attributed to international migration, whereas in developing nations it is mostly internal migration that contributes to this diversity.

      This is an important moment in the United Kingdom’s approach to the issue of migration. The upcoming Immigration Bill, expected toward the end of this year, will bring unprecedented reform of U.K. immigration policy. At the same time, the scandal over the treatment of the Windrush generation has brought to public consciousness the impact of this government’s “hostile environment” policy and the burdensome bureaucracy the Home Office is inflicting on individual human lives. A fairer, more compassionate system is needed, one in which no one is detained without knowing why and when they will be released. It is everyone’s legitimate right to enjoy a family life with loved ones and to realize the aspiration to provide for oneself and one’s family and contribute to society through employment.

      However, national governments clearly do not have all the answers. Around the world, it is cities that are increasingly collaborating nationally and across borders, learning from each other and replicating good practice. Cities’ experiences have to be included in the national debate on how to take advantage of the full potential of migration and drive a change in policies and mind-set to ensure that migration is embraced as an opportunity rather than seen solely as a challenge.

      That is why this will be high on the agenda at the GPM summit opening on October 21, with almost 100 mayors representing both developed and emerging states in attendance. Cities are where migrants interact with communities, society and, if only indirectly, with the host country. The social, economic, political and cultural activities in a city can play a crucial role in countering the anxiety and fears associated with migration, and help integration and inclusivity. Where the right policies and practices are in place, migration can bring huge benefits to communities and cities, fueling growth, innovation and entrepreneurship.
      City Responses

      City responses to migration and refugees have been varied and multifaceted but they are characterized by the theme of inclusion, with city leaders attempting to design and implement policies that allow newcomers to contribute to, and benefit from, the flourishing of their new communities. These responses are rooted in an approach that is both principled and pragmatic – seeking to uphold human rights and dignity while at the same time identifying practical solutions to the challenges affecting local residents. At a time when, at national and international level, migration has been used by some as a political weapon to stoke resentment and tension, this city perspective has never been more vital in bringing both humanity and reality back into public discourse.

      In seeking to develop inclusive solutions on migration, cities across the globe are innovating and developing new models of best practice.

      Amsterdam has adopted a programme called “Everyone’s Police,” which encourages the reporting of crimes in the interest of more effective policing and community engagement.

      New York City has created the I.D. NYC scheme, a government-issued identification card available to all residents regardless of immigration status that enables people to access a variety of services and discounts in the city.

      Barcelona supports children and families applying for family reunification by providing comprehensive and personalized guidance on the legal, practical and psychological aspects of the process.

      Sao Paulo has established the Coordination of Policies for Migrants’ Unite within its municipal structures to promote city policies for migrants across departments and disciplines and in a participative manner.

      Amman has welcomed almost 2 million migrants and refugees in the last two decades as a result of conflicts in neighboring countries. And cities in Uganda have played a key role in implementing national policies designed to allow refugees to own land and set up businesses.

      These are just a handful of examples of the great work already being done by many cities on these issues. These innovations will be examined in detail at the GPM summit, with city representatives sharing their valuable learning and experience.

      A number of initiatives and networks have been established to support and catalyze such innovations and share best practice across different city contexts, from the World Economic Forum Global Future Council on Migration to the Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD) Champion Mayors for Inclusive Growth – and many more. Together these networks provide a wealth of resources and insight for cities seeking to make inclusion a reality.
      A Voice for Cities on the Global Stage

      Despite this vital work on the ground, cities remain underrepresented on the global stage when it comes to key decision-making on migration and refugee issues. This is the challenge the GPM summit will address.

      The GPM has already been actively engaged in the negotiations on the United Nations global compacts on migration and refugees. As the mayor of Bristol I become the first city leader to speak in the deliberations on the compact on migration in May 2018.

      At the summit we will debate and decide how, collectively, we can take a leadership role for cities in the implementation of the global compacts. We will hear from other key international stakeholders, as well as from mayors with direct and varied experience. And we will agree on practical steps to enable cities to implement the compacts in their areas of influence.

      The price of inaction is huge – a critical global diplomatic process could once again largely pass cities by and leave national-level politicians bickering over watered-down commitments. The potential prize is just as significant – a recognized seat at the table for cities to review and implement global compacts, and a range of practical resources to maximize the contributions that migrants and refugees can bring to our communities.

      Our conversations in Bristol represent a critical opportunity to better grasp the key issues for cities related to migration and integration, and to amplify the voice of city leaders in international policymaking relating to migrants and refugees.


      https://www.newsdeeply.com/refugees/community/2018/10/19/how-cities-can-shape-a-fairer-more-humane-immigration-policy

    • Migranti, «Venite al porto di Napoli, vi accogliamo»

      E sul fronte migranti: «Io faccio una proposta ai timonieri di navi: la prossima volta che avete un problema per le autorizzazioni avvicinatevi alle acque territoriali di una città povera ma dalla grande dignità. Avvicinatevi al porto di Napoli. Noi disponiamo di due gommoni come Comune, un po’ malandati ma funzionanti. Vi assicuro che ci sono pescatori democratici e tanta gente in grado di remare e venire a prendere. E mi metto io nella prima barca, voglio vedere se ci sparano addosso».

      https://napoli.repubblica.it/cronaca/2018/12/01/news/incontro_con_de_magistris_a_roma_nasce_terzo_fronte_-213118777/?ref=fbpr

    • Italie : #Palerme, l’exception

      En juin, il a été l’un des premiers à proposer d’accueillir l’Aquarius et ses passagers indésirables : Leoluca Orlando, le maire de Palerme, s’affiche comme l’un des plus farouches opposants à la politique migratoire du gouvernement italien. Il milite entre autres, pour la disparition du permis de séjour et la libre-circulation des personnes.

      Ces trois dernières années, la capitale sicilienne a accueilli des dizaines de milliers de migrants. Ils sont nombreux à y être restés et, parmi eux, beaucoup de mineurs isolés. Pour les prendre en charge, une multitude d’associations travaillent main dans la main avec le soutien de la mairie.
      Reportage à Palerme, où les initiatives se multiplient, à contre-courant de la politique du ministre de l’intérieur, Mateo Salvini.

      https://www.arte.tv/fr/videos/084352-000-A/italie-palerme-l-exception

      signalé par @sinehebdo
      https://seenthis.net/messages/743236

    • Le temps est venu pour des villes solidaires...


      https://twitter.com/seawatchcrew/status/1078595657051574272?s=19

      Stuck at Sea for over 6 days – the New Year for the rescued on Sea-Watch 3 must start ashore!

      Already on Saturday, the crew of the Sea-Watch 3 has saved 32 people from drowning, including four women, three unaccompanied minors, two young children and a baby. Five countries (Italy, Malta, Spain, Netherlands, Germany) refused to take responsibility and grant the rescued a port of safety for Christmas.
      In Germany only, more than 30 cities and several federal states have declared themselves to be safe havens and are willing to accept those rescued from distress at sea.

      https://sea-watch.org/en/stuck-at-sea-for-over-6-days-without-port-of-safety

    • NYC to Fund Health Care for All, Including the Undocumented, Mayor Says

      New York Mayor Bill de Blasio proposed a $100 million plan that he said would provide affordable “healthcare for all,” reaching about 600,000 people, including undocumented immigrants, low-income residents not enrolled in Medicaid and young workers whose current plans are too expensive.

      The plan, which de Blasio dubbed “NYC Care,” will offer public health insurance on a sliding price scale based on income, the mayor said during an interview Tuesday morning on MSNBC. It will begin later this year in the Bronx and will be available to all New Yorkers in 2021, and would cost at least $100 million once it reaches full enrollment, according to the mayor’s office.

      The proposed city-funded health insurance option would assign a primary care doctor to each plan participant and help patients find specialists if needed. De Blasio said the plan, which would be financed out of the city’s public health budget, would ultimately be cost effective by reducing hospital emergency room visits by uninsured patients and by improving public health.

      The program builds upon the city’s $1.6 billion a-year Department of Public Health and Mental Hygiene budget and the separately funded public hospital system, which already serves 475,000 under-insured and uninsured patients annually, including undocumented immigrants, in more than 11 hospitals and 70 neighborhood clinics. The city already has an insurance plan, MetroPlus, that will be used as the template for the coverage. The program may take two years to get “to full strength,” de Blasio said.

      https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-01-08/nyc-to-fund-health-care-for-all-including-the-undocumented

      #NYC #New_York

    • Avec la « ville-refuge », ce serait un nouveau concept de Ville qui pourrait émerger, un autre droit d’asile, une autre hospitalité qui transformerait le droit international

      Intervenant devant le Parlement international des écrivains pour répondre à un appel lancé en 1995 pour constituer un réseau de villes-refuges susceptibles d’accueillir un écrivain persécuté, Jacques Derrida s’interroge sur les implications de cette proposition. Une Ville peut-elle se distinguer d’un Etat, prendre de sa propre initiative un statut original qui, au moins sur ce point précis, l’autoriserait à échapper aux règles usuelles de la souveraineté nationale ? Peut-elle contribuer à une véritable innovation dans l’histoire du droit d’asile, une nouvelle cosmopolitique, un devoir d’hospitalité revisité ? Inventer cela peut être considéré comme une utopie, mais c’est aussi une tâche théorique et critique, urgente dans un contexte où les violences, les crimes, les tragédies, les persécutions, multiplient les réfugiés, les exilés, les apatrides et les victimes anonymes.

      Le droit d’asile est un vestige médiéval, qui a survécu aux guerres du 20ème siècle. Appeler les villes à renouer avec cette tradition en accueillant les réfugiés comme tels, sans leur proposer ni la naturalisation, ni le retour dans leur région d’origine, implique de déborder les limites fixés par les traités entre Etats souverains. On peut imaginer une nouvelle figure de ville, une ville franche qui bénéficierait d’un statut d’exemption, d’immunité, comparable à celui qui est encore parfois attaché à certains lieux, religieux ou diplomatiques.

      On trouve la notion de ville-refuge dans la bible, chez certains stoïciens grecs, chez Cicéron, Saint Paul (qui la sécularise), dans la tradition médiévale et religieuse (les églises comme lieu de « sauveté »). Les Lumières en héritent et Kant, dans son Article définitif en vue de la paix perpétuelle, en donne une formulation rigoureuse mais restrictive : (1) il limite l’hospitalité au droit de visite, excluant le droit de résidence ; (2) il la fait dépendre du droit étatique. Pour faire progresser le droit, il faut analyser ces restrictions. D’une part l’hospitalité selon Jacques Derrida est une Loi, un droit inconditionnel offert à quiconque, un principe irréductible ; mais d’autre part il faut répondre à l’urgence, à la violence et à la persécution. Cela peut ouvrir la possibilité d’une expérimentation - dans la pratique et dans la pensée, d’une autre idée du cosmopolitisme et de la démocratie à venir.

      En France, le droit d’asile est assez récent. La constitution de 1946 ne l’accorde qu’aux pesonnes persécutées à cause de leur action « en faveur de la liberté », une définition élargie en 1954 (par suite de l’adhésion à la Convention de Genève de 1951) à ceux dont la vie ou la liberté se trouve menacée « en raison de leur race, de leur religion ou de leurs opinions politiques ». L’application de cette Convention n’a été élargie aux personnes hors d’Europe et aux événements survenus après 1951 qu’en 1967. Mais les Etats-nations n’acceptent, en pratique, d’accorder ce droit que sous des conditions qui le rendent parfois presque impossible. En France, il faut que l’exilé ne puisse attendre aucun bénéfice économique de son immigration. Souvent, devant l’imprécision des règles, on laisse la police faire la loi - une confusion inquiétante, voire ignoble, comme le dénonçait Walter Benjamin, quand les limites de l’action de la police deviennent insaisissables, indéterminées. Le droit d’asile implique une subordination stricte de toutes les administrations policières au pouvoir politique.

      https://www.idixa.net/Pixa/pagixa-1308210805.html
      via @nepthys

    • #Jacques_Derrida und die Idee der Zufluchtsstädte

      Nach islamistischen Anschlägen in Algerien Anfang der 90er-Jahre flohen viele Kulturschaffende aus dem Land. Zusammen mit anderen internationalen Intellektuellen initiierte der französische Philosoph Jacques Derrida von Staaten unabhängige Zufluchtsorte für Verfolgte. Welche Kraft hat diese Idee heute?

      Der Exodus arabischer Intellektueller in den Westen hat eine lange Tradition. Vor über 20 Jahren wütete der islamistische Furor in Algerien. Viele Journalisten wurden damals ermordet, den Überlebenden blieb nur die Flucht ins westliche Ausland. Dieses Horrorszenario wiederholt sich heute in Syrien. Karim Chamoun, ein in Mainz lebender Radiojournalist, gibt den syrischen Flüchtlingen eine Stimme. Seine Landsleute informiert er über die eskalierenden Zustände in der Heimat. Offenbar – so berichtet Chamoun – läuft dem regierenden Assad-Clan die noch verbliebene Bildungselite davon:

      „In den letzten 18 Monaten sind sehr viele Pro-Assad-Intel­lektuelle ausgewandert und sind in Deutschland gelandet. Viele sind in der jetzigen Zeit ausgewandert, vor Angst, vor Terror. Die haben keine Organisation, die sie vereint.“

      Das Medieninteresse für Syrien lässt vergessen, dass schon vor über 20 Jahren islamistische Fanatiker eine tödliche Hetzjagd auf Journalisten und Künstler veranstalteten. Der Algerier Tahar Djaout war in den 80er-Jahren bekannt für seine Kommentare im Wochenmagazin Algérie-Actualité. Anfang 1993 gründete Djaout Ruptures – „Brüche“ –, eine Zeitschrift, die sich als Stachel im Fleisch einer autoritär regierten Gesellschaft verstand. Die Redakteure fürchteten allerdings nicht nur die Zensur, sie bangten um ihr Leben, da die „Islamische Heilsfront“ ihnen offen den Kampf angesagt hatte. Im Mai 1993 wurde Tahar Djaout vor seiner Haustür in Algier ermordet. Der Journalist war nicht das erste Opfer der Islamisten, aber das prominenteste. Unzählige andere folgten.

      Tahar Djaouts Ermordung war ein Fanal für die französische Intelligenz. Nicht länger wollte man sich auf den mutlosen internationalen PEN verlassen. Der Philosoph Jacques Derrida und der Soziologe Pierre Bourdieu, die lange Zeit in Algerien gelebt hatten, fühlten sich den Algeriern, den Opfern eines langen, erbitterten Bürgerkrieges gegen die französische Kolonialmacht, eng verbunden. Sie wollten den „Terrainverlust“ der Intellektuellen, einer Elite ohne Macht, wettmachen.
      Die Öffentlichkeit wachrütteln

      Christian Salmon, Gründer des Straßburger Zirkels „Carrefour de littérature“, startete eine Unterschriftenaktion. Weltweit verbündeten sich namhafte Schriftsteller mit den verfolgten Algeriern. Salmon schrieb:

      „Algerische Journalisten und Schriftsteller, die glücklich einem Attentat entkommen sind, müssen sich verbergen, während sie vergeblich auf ein Visum warten. Sie harren ungeduldig vor unseren Grenzen. Hunderte algerische Intellektuelle, dem Hass islamistischer Attentäter ausgeliefert, verdanken ihr Überleben entweder purem Glück oder der Überbeschäftigung der Henker. (…) Wir sagen jetzt: Es reicht! Genug der Morde in Algerien! Schriftsteller, Künstler und Intellektuelle zeigen ihren Widerstand. In aller Deutlichkeit sagen wir: Keine Demokratie ohne Solidarität, keine Zivilisation ohne Gastfreundschaft.“

      Aus Solidarität mit den algerischen Kollegen kamen im November 1993 im Straßburger „Carrefour de littérature“ zahlreiche internationale Autoren zusammen, um die Öffentlichkeit wachzurütteln. 200 Schriftsteller unterzeichneten den Appell. Bei einer rituellen Aktion wollte man es aber nicht belassen: Unter der Leitung des indischen Autors Salman Rushdie, der seit der Fatwa Ayatollah Chomeinis von den iranischen Häschern verfolgt wurde, gründeten sie das Internationale Schriftsteller-Parlament. Währenddessen rief Rushdie, zusammen mit Straßburgs Bürgermeisterin Catherine Trautmann und dem Generalsekretär des Europarats, zur Gründung von Zufluchtsstädten auf – von „villes- refuges“, um verfolgten Schriftstellern und Künstlern Asyl zu gewähren. Salman Rushdie schrieb das Gründungsdokument:

      „Heute widersetzt sich die Literatur ein weiteres Mal der Tyrannei. Wir gründeten das Schriftsteller-Parlament, damit es sich für die unterdrückten Autoren einsetzt und gegen ihre Widersacher erhebt, die es auf sie und ihre Werke abgesehen haben. Nachdrücklich erneuern wir die Unabhängigkeitserklärung, ohne die Literatur unmöglich ist, nicht nur die Literatur, sondern der Traum, nicht nur der Traum, sondern das Denken, nicht nur das Denken, sondern die Freiheit.“
      Kommunen können schneller auf neue Situationen reagieren

      Catherine Trautmann stellte später die Initiative der „villes-refuges“ vor, die zuvor vom Internationalen Schrift­steller-Parlament beschlossen wurde:

      „Es kommt darauf an, dass multikulturell sich verstehende Städte bereit sind, Gedankenfreiheit und Toleranz zu verteidigen. Die in einem Netz verbundenen Städte können etwas bewirken, indem sie verfolgte Künstler und Schriftsteller aufnehmen. Wir wissen, dass Euro­pa ein Kontinent ist, wo über alle Konflikte hinweg Intellektuelle leben und schreiben. Dieses Erbe müssen wir wach halten. Die bedrohten Intellektuellen müssen bei uns Bürgerrecht erhalten. Zu diesem Zweck sollte ein Netz der Solidarität geschaffen werden.“

      Das Projekt der „villes-refuges“ war anfangs äußerst erfolgreich: 1995 beschlossen Vertreter von mehr als 400 europäischen Städten die „Charta der villes-refuges“. Eine Resolution des Europäischen Parlaments förderte ein weltweites Netz von „villes-refuges“. Straßburg und Berlin gehörten zu den ersten „Zu­fluchts­städten“, es folgten Städte wie Venedig und Helsinki.

      Die Skepsis gegenüber den nationalen und überstaatlichen Organisationen wächst. Kommunen, die politische Macht auf lokaler Ebene ausüben, seien imstande, wesentlich schneller und flexibler auf neue, unvorgesehene Situationen zu reagieren, meint der amerikanische Politikwissenschaftler Benjamin Barber:

      „Der Unterschied zu Staaten liegt in der Eigenart der Städte: Sie sind zutiefst multikulturell, partizipatorisch, demokratisch, kooperativ. Städte interagieren und können viel erreichen, während Staaten eigensinnig sind und gemeinsames Handeln behindern. Die Welt globaler Demokratie führt uns nicht zu Staaten, sondern zu Städten. Demokratie entstand in der griechischen polis. Sie könnte ein weiteres Mal in der globalen kosmopolis entstehen.“

      Jacques Derrida ist im Oktober 2004 gestorben. Angesichts der unlösbar scheinenden Flüchtlingsprobleme wäre der Philosoph heutzutage ein verantwortungsvoller und sachkundiger Diskussionspartner. Vielleicht würde er darauf hinweisen, dass sich die Gesetze der Gastfreundschaft keineswegs geändert haben. Denn auch heute müssen Pflichten und Rechte, Grenzen und Freiheiten neu austariert werden. Im Interesse beider – der Gäste und der Gastgeber.

      https://www.deutschlandfunkkultur.de/villes-refuges-jacques-derrida-und-die-idee-der.976.de.html?dr
      #Derrida
      via @nepthys

    • #ICORN

      The #International_Cities_of_Refuge_Network (ICORN) is an independent organisation of cities and regions offering shelter to writers and artists at risk, advancing freedom of expression, defending democratic values and promoting international solidarity.

      Writers and artists are especially vulnerable to censorship, harassment, imprisonment and even death, because of what they do. They represent the liberating gift of the human imagination and give voice to thoughts, ideas, debate and critique, disseminated to a wide audience. They also tend to be the first to speak out and resist when free speech is threatened.

      ICORN member cities offer long term, but temporary, shelter to those at risk as a direct consequence of their creative activities. Our aim is to be able to host as many persecuted writers and artists as possible in ICORN cities and together with our sister networks and organisations, to form a dynamic and sustainable global network for freedom of expression.

      https://icorn.org
      #réseau #art #artistes #liberté_d'expression #écrivains

    • #New_Sanctuary_Coalition

      The New Sanctuary Coalition of #NYC is an interfaith network of congregations, organizations, and individuals, standing publicly in solidarity with families and communities resisting detention and deportation in order to stay together. We recognize that unjust global and systemic economic relationships and racism form the basis of the injustices that affect immigrants. We seek reform of United States immigration laws to promote fairness, social and economic justice.

      http://www.newsanctuarynyc.org
      #New_York

    • #Eine_Stadt_für_Alle

      Eine Stadt, aus der kein Mensch abgeschoben wird, in der sich alle frei und ohne Angst bewegen können, in der kein Mensch nach einer Aufenthaltserlaubnis gefragt wird, in der kein Mensch illegal ist. Das sind die grundlegenden Vorstellungen von einer Solidarity City. In einer solchen Stadt der Solidarität sollen alle Menschen das Recht haben zu leben, zu wohnen und zu arbeiten. Alle Menschen soll der Zugang zu Bildung und medizinischer Versorgung gewährt werden. Alle Menschen sollen teilhaben und das Stadtleben mitgestalten können – unabhängig von Aufenthaltsstatus, finanziellen Möglichkeiten, Hautfarbe, Geschlecht, Sexualität, Religion,…
      In vielen Städten in Deutschland, Europa und der ganzen Welt ist der Prozess, eine Solidarity City zu werden schon in vollem Gang.

      https://solidarity-city.eu/de
      #solidarity_city

    • The Cities Refugees Saved

      In the cities where the most refugees per capita were settled since 2005, the newcomers helped stem or reverse population loss.

      Mahira Patkovich was eight years old in 1997 when her family left Bosnia. After a long and complicated war, Muslim families like hers had found themselves without jobs, food, and any semblance of safety. So they sought refuge in America.

      The first year in their new home in Utica, New York, Patkovich felt uprooted—torn from her childhood and everything she knew, and thrust into an alien environment. She knew no one and didn’t speak English. But as time went by, she began to acclimate.

      “The next thing you know, you’re home,”she says in a recent mini-documentary by New American Economy, a bipartisan immigration reform group, and Off Ramp Films. “This is home.”

      Patkovich, the film shows, is now thriving. She works at the office of the Oneida County Executive, owns a small business, and is on her way to a master’s degree. She is also pregnant, and excited to raise her first-born in a community she loves.

      Utica—it’s clear—saved Patkovich and her family. But the truth is: They’re helping to save this town as well. Like many Rust Belt cities, Utica suffered enormously in the second part of the 20th century, losing jobs and bleeding out residents as major employers like General Electric and Lockheed Martin shuttered or left the Mohawk Valley.

      Adam Bedient, director of photography and editor at Off Ramp Films grew up in the nearby town of Clinton in the 1980s and ’90s. He wasn’t tracking Utica’s trajectory too closely then, in part, because not much was happening there. What he remembers of Utica in that era is a typical fading factory town, a place where shuttered storefronts and exposed bricks belied neglect. “Foundationally, there were beautiful things there, they just didn’t look cared for,” he says.

      Now, he’s working on a full-length feature about the refugee communities in Utica, and when he drives through town, he finds it simmering with new life. Old buildings are getting refurbished. Construction cranes bob up and down. And at the center of town is a long-vacant historic Methodist church that has been renovated and converted into a beautiful mosque—a symbol of the new Utica.

      Without its new Bosnian community, Utica would have faced a 6 percent population drop.

      “It’s really symbolic—it was previously a church that was going to be torn down,” Bedient told CityLab. “The Bosnian community bought it from the city, and now it’s a part of the skyline.”

      For CityLab, NAE crunched the numbers on the 11 cities that have resettled the most refugees per capita between 2005 and 2017 to gauge how welcoming these newcomers affected overall population. In almost all cases, refugee resettlement either stemmed population loss or reversed it completely. Without its new Bosnian community, for example, Utica would have faced a 6 percent population drop. With them, the city saw a 3 percent gain.

      But what Andrew Lim, NAE’s director of quantitative research, found surprising was that this list didn’t just include industrial towns hungry for newcomers—places like Syracuse, New York, and Springfield, Massachusetts; it also features places in the South and Sunbelt. Take Clarkston, Georgia, for example, a diverse Atlanta exurb of 13,000 (whose young mayor you may recognize from a recent episode of Queer Eye). Since the 1970s, Clarkston has taken in tens of thousands of refugees from various parts of Asia, the Middle East, Africa, and Europe. In Bitter Southerner, Carly Berlin recently explained how it gained its nickname as the “Ellis Island of the South.”

      As many white residents fled farther out to more fashionable developing Atlanta suburbs, Clarkston became perfect for refugees, with its hundreds of vacated apartments and access to public transportation, a post office, and a grocery store, all within walking distance. The little city became one of now 190 designated resettlement communities across the country.

      Using the data NAE extracted from the Census Bureau and from the Department of Homeland Services, CityLab’s David Montgomery created this nifty chart to show exactly how much refugees boosted or stabilized population in these 11 cities:

      But the pipeline that funneled refugees into cities like Utica is being closed up. In 2018, the Trump administration lowered the maximum number of refugees it takes in for the third year in a row—to 30,000, which is the lowest in three decades. Resettlement agencies, from Western Kansas to Florida, are having to close shop.

      Some places are already seeing the effects. In cities with large concentrations of refugees and refugee services, recent arrivals have been waiting for loved ones to join them. Because of the slash in numbers being accepted, some of these people have been thrust into uncertainty. Muslim refugees from countries listed in the final travel ban have been doubly hit, and may not be able to reunite with their families at all.

      But the effects of the Trump-era refugee policy don’t just affect individual families. In Buffalo, New York—another Rust Belt city that has been reinvigorated by new residents from refugee communities—medical clinics have closed down, housing developments have stalled, and employers have been left looking for employees, The Buffalo News reported. The loss for refugees hoping to come to America appears to also be a loss for the communities they might have called home

      The biggest argument for refugee resettlement is that it is a moral imperative, many advocates argue. Refugees are human beings fleeing terrible circumstances; assisting them is just the right thing to do. Foes of taking refugees—most notoriously, White House advisor Stephen Miller, who is quoted as saying that he would “be happy if not a single refugee foot ever touched American soil again” in a new book by a former White House communication aide—point to the perceived costs and dangers of taking in more. Past analyses shows little basis to that fear. In fact, cities with large refugee populations have seen drops in crime, per a previous NAE’s analysis. And according to NBC News, an intelligence assessment that included inputs from the FBI concluded that refugees did not pose a major national security threat. The Trump administration dismissed its findings.

      https://www.citylab.com/equity/2019/01/refugee-admissions-resettlement-trump-immigration/580318
      #USA #Etats-Unis #démographie

  • La #fratrie est une figure symbolique ancestrale. Il était donc tentant de suivre le parcours des frères #Boltanski, l’un #sociologue, l’autre #artiste plasticien, dont la notoriété est réelle…

    https://sms.hypotheses.org/11760

    #Boltanski, #sociologie, #sociologue, #artiste, #plasticien, #fratrie, #frère, #notoriété, #biographie, #proximité, #parcours, #héritage, #construction, #famille, #lien

  • Les artistes français et la cause palestinienne
    Itzhak Goldberg, Le journal des arts, le 27 février 2017
    https://www.lejournaldesarts.fr/creation/les-artistes-francais-et-la-cause-palestinienne-131812

    La présentation d’une soixantaine d’œuvres données par des artistes occidentaux, essentiellement français, pour le futur Musée national d’art moderne et contemporain de Palestine se tient actuellement à l’Institut du Monde Arabe. Le choix des œuvres a été coordonné par Ernest Pignon-Ernest dont on connaît l’engagement en faveur des palestiniens.

    Il n’est donc pas surprenant que parmi les artistes - Gérard Fromanger, Hervé Télémaque, Vladimir Velickovic, Henri Cueco ou Jan Voss - nombre d’entre eux fassent partie de la même génération, celle des années soixante...

    Quelqu’un aurait accès à l’article en entier ?

    #Palestine #France #Artistes #Paywall

  • How #blockchain Can Help Artists’ Resale Rights
    https://hackernoon.com/how-blockchain-can-help-artists-resale-rights-8178f4e058e1?source=rss---

    By Jacqueline O’Neill, Executive Director at Blockchain #art Collective. Originally published on Quora.Resale rights already exist in a number of creative industries.To use a song in a commercial, a company has to license it and pay royalties to the musician. Every time a book is purchased, the author gets a small percentage of the sales.But for many visual artists, once they’ve created and sold a work of art, that’s the last they ever hear about it. Their resale rights are essentially non-existent. If the piece is sold for a few thousand dollars, and then goes for several hundred thousand a decade later, the artist is out of luck.Fortunately, that’s starting to change. The blockchain is making waves in the art world, and artist resale rights is one area where those waves may end up having an (...)

    #blockchain-artist #artists-resale-rights #quora-partnership

    • How and Why We Invented the CryptoSeal

      “We can now put a tiny computer chip with cryptographic identity into a slim adhesive seal strip form factor to secure a package,” said one of our software engineers, Maksym Petkus, “enabling mathematically- and cryptographically-closed loop integration with the blockchain and secure high-value assets with this tamper-evident technology.”

      Today, at the ID Tech Expo in Santa Clara, we announced the release of our CryptoSeal prototype, representing a major step forward in immutable supply chain provenance and the secure movement of physical assets.
      What is a CryptoSeal?

      The first in what will be a line of blockchain-registered and tamper-evident hardware products, CryptoSeals each contain a Near Field Communication (NFC) chip embedded with unique identity information. This identity data is then immutably registered and verified on a blockchain (we currently offer support for Ethereum and plan to expand to other blockchains, including Bitcoin, Zcash, Hyperledger, and Symbiont).

      The tamper-evident form factor, developed in collaboration with Cellotape Smart Products, registers not only the identity of an object onto the blockchain, but also records the identity of its registrant and packaging or asset metadata. And, with their customizable size allowing application to a variety of packages, from envelopes to shipping containers, CryptoSeals have the ability to securely verify sender identity and timestamp shipment deliveries, and provide a secure chain of custody in the supply chain.
      Why do you need a blockchain?

      Our CEO, Ryan Orr, likes to compare the CryptoSeal to the King’s Signet Ring: “you can think of it like the old system of the Signet Ring stamping a wax seal on a letter. The signet holder is analogous to the registrant of the CryptoSeal, the wax to the chip inside of the seal, and the stamping of the signet is like the signing of the CryptoSeal to the Blockchain. On its own each component, from the cryptographic chips to the tamper evident seals and blockchain registration, is necessary but insufficient to solve the problem. Together the three technologies create a strong solution.”
      Who can benefit from using CryptoSeals?

      Our CryptoSeals can be affixed to any physical item, guaranteeing its identity and authenticity in an unforgeable way. There are more than a handful of business use cases for our new product, which combines the best of blockchain technology and Internet of Things (or Everything, as we like to call it): medical equipment, fine art, electronics, cold chain, and forensic evidence tracking, to name a few. Individual consumers also benefit in being able to verify and protect their artistic creations, secure luggage, ship high-value items internationally, as well as prove authenticity of items they buy and sell on secondary markets.

      One of the most exciting use cases of the CryptoSeal for us at Chronicled is pharmaceutical tracking, where a secure chain of custody and immutable provenance are needed but often lacking. The high monetary value, along with the human suffering, associated with fraudulent pharmaceuticals necessitates new solutions for tracking authenticity. According to Interpol, Operation Pangea, their pharmaceutical investigation, seized 2.4M fraudulent pills in 2011; four years later, in 2015, that skyrocketed to 20.7M.

      The estimated monetary value? $81M USD.

      We can directly address this problem. Chronicled’s CryptoSeals can be customized to fit and seal shipments of pharmaceuticals, including individual cartons and containers. If the antenna in the adhesive seal is broken at any time, it will be impossible to verify the chip inside the CryptoSeal, ensuring that patients have confidence when they receive legitimate, untampered-with pharmaceuticals.
      When will CryptoSeals be available?

      Our CryptoSeals will begin entering the market late this year with standard offerings and unique solutions, with customizable sizing and adhesives, for clients.

      You can learn more on our website or contact us! And, to stay up to date with our work, sign up for our mailing list below.

      https://blog.chronicled.com/how-and-why-we-invented-the-cryptoseal-6577d8633a2

  • #NEUZZ : LE #STREET-ART #MEXICAIN INSPIRÉ DES #AZTÈQUES
    Aussi lugubre que Munch, aussi coloré que Warhol

    https://www.opnminded.com/2017/02/28/neuzz.html
    publié le 28/02/2017 à 13h00
    consulté le 03/06/2018

    Migues Mejia, plus connu sous son nom d’artiste Neuzz, est un #artiste_de_rue qui sévit principalement à #Mexico. Il est d’ailleurs titulaire d’un diplôme en design graphique à l’Universidad del Valle de Mexico.

    Connu pour ses œuvres colorées représentant des symboles rappelant les arts traditionnels de la culture pré-hispanique, associés à des figures faisant forcément penser aux #masques du #Jour_des_Morts. Le tout combiné aux couleurs de la #culture_pop contemporaine donne un mélange de formes ancestrales funestes et de couleurs très actuelles et enjouées.

    Dans une interview pour le site thewynwoodwalls.com, Neuzz explique :
    « J’ai commencé à utiliser le concept du masque pour son esthétique, une image qui a beaucoup d’impact, presque ténébreuse pour moi. Les masques mexicains sont un moyen de communication spirituelle avec les animaux, les forces de la nature et le monde magique et les esprits. Si un personnage semble porter un masque dans mes dessins ou mes illustrations, cela signifie que c’est un esprit fantôme. »

    Mon commentaire sur cet article :
    Cet article est relativement court, mais les images parlent d’elles-mêmes : à travers des œuvres aussi immenses que magnifiques, offertes à la vue de tous, l’artiste mexicain Neuzz combine modernisme et culture traditionnelle. Ici, l’art permet d’affirmer une réelle identité culturelle, un véritable atout pour le rayonnement mondial du pays. L’art ne permet donc pas directement une forme de développement, mais il ouvre la possibilité d’une cohésion nationale à travers la construction d’une « identité » culturelle et traditionnelle.

  • #ARTISTE ET #HUMANITAIRE : L’#ART COMME AIDE AU #DÉVELOPPEMENT HUMAIN ?

    On associe souvent la question du développement humain à celle du développement économique d’un pays, bien que la notion se soit étendue au sens plus général de « bien être ». Or, de toutes les activités diverses qui fleurissent dans nos sociétés, l’art est sans aucun doute celle que l’on juge la plus inutile car associée au loisir. Peut-on alors légitimement considérer qu’il existe un rapport entre le développement humain, le développement économique d’une société et son développement artistique ?

    https://photos.app.goo.gl/FLvev8bJBJ6Pv0aG2
    J’ai réalisé cette carte à la main : les informations qui sont présentées ne sont par conséquent pas très lisibles.
    Je n’ai volontairement pas indiqué le détail des éléments, ce qui aurait rendu la carte d’autant plus illisible (je reporterai en fin d’article les sources qui m’ont permis de réaliser ce travail).

    Si l’on ne distingue pas précisément la localisation et le nombre des activités artistiques représentées, il n’est cependant pas difficile de distinguer trois « pôles » : Les États-Unis d’Amérique, l’Europe de l’ouest et le Japon (bien que ce dernier soit largement dépassé par les deux autres). Excepté au Brésil et en Chine, on observe à l’inverse l’absence des activités représentées en Amérique du sud, en Asie et, surtout, en Afrique, dont les IDH sont, pour la plupart, inférieurs à 0,8, voire à 0,6.
    À titre d’exemple, il existe 59 studios d’animation dans le monde, dont la production de seulement deux d’entre eux, situés aux États-Unis d’Amérique, dépasse 50 films. Ainsi, 436 films sont produits dans les 21 studios d’Amérique du nord, dont 18 sont situés aux États-Unis (125 films étant réalisés par le studio Walt Disney Pictures, 301 films ont été produits dans les 17 autres studios). En Europe, 27 studios d’animation ont produit 111 films, dont 88 proviennent des 16 studios français. Le Japon possède 7 studios et a produit en tout 71 films. Le seul studio du reste de l’Asie est possédé par la Chine, qui a produit 4 films. Les 2 studios d’animation australien sont à l’origine de la production de 6 films. En Afrique, enfin, seule l’Afrique du Sud possède un studio d’animation à l’origine de la production de 3 films.

    Ainsi, sans pour autant en tirer de conclusions hâtives, dans la mesure où la source de des informations est essentiellement européenne, nous pouvons supposer que « l’art est un luxe », comme l’affirme Gustave Flaubert. En outre, si nous ne pouvons pas tirer des information présentées la certitude du lien entre la censure (ou la guerre) et l’absence d’activités artistiques, l’Histoire nous a cependant montré à plusieurs reprises à quel point l’Art était objet de liberté. Censuré et strictement contrôlé, en premier lieu, par toute dictature, il est également, dans de nombreux cas, privilégié comme moyen de résistance, c’est-à-dire comme affirmation de la liberté de penser.

    Nous remarquons donc que les pays les plus artistiquement actifs disposent d’un niveau plutôt élevé de développement humain, ainsi que d’une censure faible. Mais l’art est-il seulement une conséquence du développement humain ? Ne peut-il pas également en être l’une des causes ?
    C’est à cette question que je tenterai de répondre tout au long de mon travail de curation.

    Sources :
    https://www.google.com/search?q=carte+dictatures+monde&client=firefox-b-ab&source=lnms&tbm=isch&sa= :
    https://www.google.fr/search?q=carte+idh&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwi558jf16XbAhUEIpoKHTV :
    https://www.google.fr/search?tbm=isch&sa=1&ei=rogKW9ncOMOH6AT9wKj4BQ&q=limite+nord+sud&oq=limite+n& :
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Sept_Merveilles_du_monde
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Sept_nouvelles_merveilles_du_monde
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_des_Expositions_universelles
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Liste_des_mus%C3%A9es_d%27art_les_plus_visit%C3%A9s_au_monde
    http://www.filmsanimation.com/studio
    http://www.toptoptop.fr/top-20-des-livres-les-plus-vendus-au-monde.html
    http://10meilleurs.fr/les-10-operas-les-plus-connus
    https://www.geoado.com/actus/musique-artistes-plus-ecoutes-monde

  • Entrepreneur, une autre façon d’être artiste
    http://www.lemonde.fr/campus/article/2018/05/13/entrepreneur-une-autre-facon-d-etre-artiste_5298194_4401467.html

    « Le jour où je me suis retrouvée seule dans mon atelier à ­attendre un rendez-vous qui n’est jamais venu, je me suis dit que c’était la dernière fois que je demandais quoi que ce soit à quiconque », explique l’artiste ­Myriam Mechita. Courir les vernissages pour côtoyer les professionnels du milieu de l’art, attendre qu’une galerie, un critique d’art, un collectionneur ou un commissaire d’exposition s’intéresse à leur travail ?
    Ne plus jouer le jeu du milieu de l’art

    Certains artistes n’acceptent pas ou plus de jouer le jeu du milieu de l’art. Scrutant les interstices du marché du travail dans lesquels leurs œuvres pourraient se glisser, ils se consacrent au développement de leur propre système économique. Parce que les projets artis­tiques nécessitent du temps pour devenir économiquement viables, tous ont dû faire preuve d’opiniâtreté et de patience.

    Dès la fin des années 1980, Fabrice ­Hyber s’est posé en artiste entrepreneur. « Le premier wagon des artistes subventionnés par l’Etat était déjà passé, rappelle-t-il. Si je voulais réaliser des choses, je ­devais aller dans les lieux où il y avait des moyens : les entreprises. J’ai ensuite créé en 1994 la société UR afin de transformer les collectionneurs, principalement des chefs d’entreprise, en producteurs d’œuvres. »
    Avec sa société UR, Fabrice ­Hyber veut « transformer les chefs d’entreprise collectionneurs en producteurs d’œuvres ».

    Bertrand Planes s’est, lui aussi, ­engagé dans un projet artistique entrepreneurial. Dès sa troisième année à l’Ecole supérieure d’art de Grenoble, il a fondé un label alternatif en partenariat avec Emmaüs France. Ses ­défilés performances ont attiré médias nationaux, galeristes et institutions. ­Devenu un artiste enseignant exposé à travers le monde, il doit la majeure partie de ses projets aux contacts réalisés à cette période.
    Transmission de compétences

    De son côté, Emilie Benoist, qui explore dans ses sculptures et dessins l’impact de l’homme sur son environnement, a ­contacté il y a huit ans Amnesty International pour participer à une action militante. Sans savoir que l’association ­humanitaire souhaitait s’engager dans l’écologie. Après quelques années de ­bénévolat ponctuel, elle est maintenant partie prenante de l’association française et est rémunérée pour ses productions visuelles régulières.

    Certains artistes s’orientent vers la transmission de leurs compétences et de leur regard sur le monde. « J’ai choisi ­d’enseigner afin de m’engager localement et, même si ce n’était pas mon but premier, de ne pas être uniquement dépendant des ventes », explique Bruno Peinado, ancien étudiant de l’Ecole supérieure des beaux-arts de Lyon, puis de Nantes qui enseigne à l’Ecole supérieure d’art de Quimper. ­Myriam Mechita a, elle, organisé pendant huit ans des ateliers ­artistiques hebdomadaires dans un hôpital psychiatrique, avant de rejoindre l’Ecole des beaux-arts de Caen comme enseignante. Ce poste lui permet de ne plus avoir à courir après les ventes.

    Pourtant, lorsque cette activité professionnelle n’est pas salariée, elle doit ­souvent être complétée, comme le ­confirme Marion Brosse. « En parallèle des ateliers artistiques qui se tiennent dans mon atelier galerie, Champsecret, je vends mes œuvres, je loue l’espace et je suis illustratrice », dit celle qui est ­devenue une vraie auto-entrepreneuse, à l’instar de ces artistes qui, sans être soutenus par une galerie ou un agent, créent, développent et communiquent autour de leur pratique.

    Lire aussi : Apprendre à investir l’espace public par la culture
    « Nous sommes des faiseurs »

    Tony Regazzoni, lui, a choisi de devenir assistant d’artiste. Libre dans son emploi du temps, travaillant à la réalisation des œuvres de Xavier Veilhan, qui représentait en 2017 la France à la Biennale de ­Venise, il peut continuer à développer son art. Ce point leur semble à tous indispensable. Avant de se lancer dans une formation de designer textile, l’artiste autodidacte Julien Colombier vivait ainsi de petits boulots chronophages. Lorsqu’il a pu se consacrer pleinement à sa pratique pendant cette année de formation, son style, le dessin à la craie appliqué sur une surface noire, s’est affirmé. Il a alors lancé un salon de design textile et, de fil en aiguille, a développé des rencontres et des collaborations avec Chanel, les Galeries Lafayette ou l’Hôtel Bienvenue à Paris.

    « Nous sommes des faiseurs », affirme Myriam Mechita. Produire des œuvres, monter des expositions, leur donner de la visibilité, développer des lieux asso­ciatifs, organiser un défilé, une rencontre… « Faire » leur est primordial. « Il ne faut pas attendre mais faire au mieux ce que l’on désire », dit Bruno Peinado, pour « échapper à cette machinerie qui prône la nouveauté et broie les artistes ».

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    La reference à Fabrice Hyber m’a fait pensé à ce texte recu il y a peu dans ma boite mail :

    Lettre de démission de Rémy Aron de la présidence de la Maison des Artistes. 28 avril 2018

    Depuis 1980 je suis engagé bénévolement, pour une très grande partie de mon temps et de mon énergie dans l’action collective.

    J’ai cru que l’action pouvait aider à faire bouger le cheminement chaotique de nos arts en tentant de rassembler les forces représentatives des artistes pour agir et promouvoir une nouvelle politique culturelle, basée sur la liberté et la diversité bienveillante. La diversité des expressions, la diversité des esthétiques, la diversité des natures, la diversité des artistes et des désirs, devrait être acceptée et encouragée par les pouvoirs politiques. C’est une conviction que j’ai voulue défendre jusqu’à maintenant avec persévérance et humilité dans le quotidien militant.

    L’élection de Fabrice Hyber à l’Académie des beaux-arts est, pour moi, une très importante désillusion quant à la capacité des artistes à anticiper et à gérer les affaires qui les concernent. Avoir élu comme membre de la prestigieuse Académie des beaux-arts l’inventeur du « plus grand savon du monde » me paraît, une profonde injure à l’idéal et la trahison absurde et inutile de l’assemblée de l’élite de nos pairs.

    Vous pouvez le croire je n’ai aucune acrimonie envers les personnes ou des artistes que je ne connais pas directement pour la plupart ; et en outre je n’aurais pas l’outrecuidance de revendiquer pour moi-même une qualité artistique personnelle, cela d’ailleurs ne regarde que le secret de mon cœur. Je ne veux donner de leçons à personne.

    Néanmoins, je pouvais penser que cette assemblée de praticiens d’art du « bâtiment », que je respectais, se devait d’avoir une éthique professionnelle collective et que l’Académie des beaux-arts devait avoir une mission fondamentale. Elle devrait se concentrer sur le service de la création artistique avec une certaine hauteur de vue et un respect pour les langages spécifiques de chacune des disciplines artistiques représentées en son sein avec une conscience de la continuité et de la permanence.

    Comme les devoirs de mon mandat à la Maison des artistes me contraignent à la réserve, fatigué et attristé une fois encore par le résultat de l’action collective alors qu’il faudrait continuer à avoir la foi et être sur la brèche en permanence, je démissionne de la présidence de notre grande association de solidarité. Je souhaite bien entendu que du sang neuf reprenne le flambeau. Défendre la diversité a des limites – les armes sont inégales – et je souhaite le dire et recouvrer ma pleine liberté de parole et d’action après treize années bridées, à la présidence de La Maison des Artistes.

    Je ne crois pas à la rupture dans l’histoire de l’art et ne veux plus que peindre – admirer les maîtres que j’aime et la nature. Mais je dois dire que je suis vraiment atteint car nous assistons avec cet événement, à une accablante constatation : il s’est manifesté à cette occasion un signe symbolique fort de la décomposition intellectuelle de notre société. Cela met en évidence quelque chose de grave sur l’état de conscience de la France de notre temps et sur le rôle pédagogique et la responsabilité éducative de ses institutions officielles vis -à-vis de la société tout entière.

    Enfin, je pouvais espérer que l’élection de Jean-Marc Bustamante se soit inscrite dans une stratégie préméditée à cause de ses fonctions à l’Ecole des beaux-arts de Paris. Mais cela ne fait plus aucun doute, la section de peinture et avec elle, tous les membres – électeurs votant à bulletin secret – de l’Académie des beaux-arts, de l’Institut de France, ont capitulé en rase campagne devant la collusion de l’Institution étatique et de l’art financier globalisé. Ce mariage ne dit que le « snobisme/fashion » occidental de cette époque, mais il pervertit en profondeur le silence nécessaire à la contemplation et à la compréhension des choses de l’art.

    Pour moi, cette élection est injustifiable, mais l’« Histoire » – si cela a encore un sens – jugera !

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    Par rapport au texte de départ, ce genre de discours enrobe le fait que les artistes veulent être artistes, pas prof, pas "transformateur·rices de chefs d’entreprise en producteurs d’œuvres", pas artisan·nes, pas décorateur·ices d’interieur, pas illustrateur·rices... Si je voulais être illustratrice, ou ces autres trucs, je l’aurais fait dès le début, pareil pour prof. Si les artises doivent devenir entrepreneur·es c’est que les institution font pression sur elleux pour qu’ils quittent le métier. Par exemple quant mes revenus de vente étaient insuffisants, pour avoir le RSA (car pas de chomage ni congers, ni rien dans le statu d’artiste) il fallait chercher un boulot sérieux, comme faire des cours. Peut etre que certain·nes artistes sont très content·es d’auto-entreprendre, d’enseigner, d’illustré, mais c’est d’autres metiers et compétences qui n’ont pas forcement à étre lié au metier d’artiste.

    Par rapport a ceci « Le jour où je me suis retrouvée seule dans mon atelier à ­attendre un rendez-vous qui n’est jamais venu, je me suis dit que c’était la dernière fois que je demandais quoi que ce soit à quiconque ». Je comprend que c’est enervant, mais les lapins et la dépendance vis à vis des autres ca arrive dans tous les domaines, y compris l’illustration, l’enseignement, l’auto-entreprenariat. En cas de rdv dans mon atelier, en attendant je dessine comme ca si on me sert du lapin j’ai pas perdu mon temps.
    Ce texte ne dit pas les vrai raisons ; dégager de la MDA les artistes au RSA (surtout des femmes) et mettre en avant l’art ultra-capitaliste (à base d’auto-entrepreneur·es surtout masculins, comme Hyber ou ce genre de jeunes opportunistes : https://atlantesetcariatides.wordpress.com/2017/10/08/instant-pleasure-un-long-deplaisir )

    • Aaah, l’entrepreneur, en agriculture en plomberie en artisanat en art ou autre, c’est la stagnation à la petite entreprise de masturbation qui te coûte plus cher en temps et en énergie que n’importe quel salariat, mais c’est la liberté pour tou™fes bien entendu, tu crois choisir de quoi tu crèves. La république de l’entreprenariat avec pour galvaniser les foules, le journal LeMonde dans le rôle de Mr Loyal, ah aha ha une autre façon d’être artiste ? vraiment ? c’est toi Le Monde qui distribue les bons points et décide de qui est artiste ? Faut arrêter de lire cette merde, stp @mad_meg

    • Faut arrêter de lire cette merde, stp @mad_meg

      Non je prefère connaitre mes ennemi·es. Et je ne me suis pas contenté de mettre le texte du monde, je l’ai mis en relation avec d’autres sources et j’y ai ajouté une petite analyse perso, du coup je comprend pas cette demande. Si j’arrete de lire cette merde, qu’est ce que ca change au fait qu’on pousse les artistes à devenir profs, artisan·nes, illustrateur·ices... ?

      D’autre part ca me rappel le discours lu ici sur le fait de se revendiqué « artisan·ne » et non « artiste ». Et la recommandation de prendre ses libertés avec le milieu/marché de l’art en ayant un metier rémunérateur à coté de sa pratique artistique.

      Ce discours anti-bourgeois (car l’artiste est vu comme forcement bourgeois, oisif, privilégié·e en opposition à l’artisan·ne vu comme prolétaire, ouvrier·e, alors qu’il y a beaucoup de bourgeois aujoud’hui qui deviennent artisanıes pour retourner aux sources et pas mal d’artistes qui sont très pauvres, précaires...) est très pratique, ca permet d’errober le « va te chercher un vrai travail rémunérateur et garde tes jolis dessins pour le marché de la création du dimanche » et ca s’accompagne de « on va pas te payé tes dessins qu’on publie car tu as un vrai travail à coté et le dessin c’est juste ton hobbie »...

    • Mais il y a aussi l’idée (et je connais notamment plusieurs cas dans le milieu de la musique plutôt) qui est de ne pas être dépendants du marché pour créer des œuvres.

      Et là c’est donc une critique à la fois de l’artiste dépendant des galeries, subventions, etc, et aussi de l’artiste entrepreneur qui vend à des entreprises, qui crée son propre petit marché et ses contacts.

      Enfin ce n’est pas vraiment une critiques des autres, si d’autres s’en sortent comme ça tant mieux pour elleux, mais plus un besoin pour ces artistes d’être le moins dépendants possible de tout financement de leur art, ce qui compte étant d’être un peu plus libres de créer ce qu’illes veulent, que ce soit bien vendu ou pas ensuite.

      Entre autre je connais au moins trois rappeurs dont c’est le cas (Rocé, JP Manova et Fuzati), qui ont des boulots, les deux premiers faisant de l’interim depuis toujours, manutention etc (donc pas CDI donc pouvoir s’arrêter quand ils veulent pour aller en concert ou autre).

      Là ce n’est pas une critique de l’artiste en tant que bourgeois lui-même, mais par contre en tant que dépendant de l’argent des bourgeois pour faire ses œuvres oui.

    • Quand @rastapopoulos évoque l’argent des bourgeois dont dépendent les artistes, il ne me vient pas spontanément à l’esprit la figure des acheteurs/consommateurs, mais plutôt celles des « organisateurs de marché », ceux qui font de la production artistique une marchandise de façon bien plus déterminante que les clients en bout de chaine.

    • Oui, en premier lieu.

      Même si aussi suivant les œuvres, ça impacte aussi le prix en bout de chaine. Une œuvre picturale est dans de très nombreux cas beaucoup plus chère qu’un CD, donc qui peut acheter l’œuvre finale ça joue aussi.

      J’oubliais un autre rappeur, Lucio Bukowski, qui est bibliothécaire aussi au quotidien. Et je ne vois pas ce qu’il y a de méprisant, ça fait que leurs créations n’est pas (ou en tout cas beaucoup moins) influencé par le formatage commercial. Forcément un⋅e artiste qui ne vit que de ça, dans de nombreux cas doit se plier à plus d’impératif pour passer par les canaux officiels (que ce soit les radios pour la musique, ou les galeries, etc) qui sont tenus par la bourgeoisie et/ou les industries culturelles. Ce n’est pas obligatoire, mais la plupart qui ne le font pas ont alors une vie très précaire, ça fait qu’une très petite minorité arrive à vivre décemment en ayant que ça. Et c’est normal, la masse du peuple peut pas se payer ça régulièrement (et encore plus pour des peintures que pour des CD).

      Quant à la baise du prix, dans de nombreux cas c’est très bien aussi, une œuvre non formaté par le marché de l’industrie culturelle ET qui en plus est moins chère qu’une œuvre commerciale de base, je suis désolé mais ce n’est que du bon pour la culture populaire. Les albums de Lucio sont tous à 10€ en CD, alors que tu prends un album d’un truc de culture de masse, c’est 15 à 20 euros pour un truc qui qualitativement est de la grosse merde.

      Oui s’il y a mépris, c’est mépris de cette culture de masse et qui en plus coûte un bras, et perso je revendique totalement ce mépris, ya aucun soucis. :D

  • « Neige » d’après Maxence Fermine

    Voici quelques nouvelles du front. La présentation du Livre et la représentation de « Laurenzaccio » au Théâtre Blanche de Castille, début mai, se sont très bien passées. Quentin Herlemont, qui faisait le Making Off sur « Phil » est venu filmer... https://www.philippepillavoine.com/leblog/2018/05/13/neige-dapres-maxence-fermine

    #philippe_pillavoine #pillavoine #blog #news #artiste_mime #laurenzaccio #spectacle #neige #festival #charlot #nogent #l_art_du_crime #france_2 #poissy #Quentin_Herlemont #Adeline_de_Preissac #mario_Gonzalez #Maxence_Fermine #Fermine

  • Tutorial for Artists on how to use a Neural Network — Part 2
    https://hackernoon.com/tutorial-for-artists-on-how-to-use-a-neural-network-part-2-4e94e1d2cbe9?

    Originally published at www.jackalope.tech on April 30, 2018.Okay so we’ve installed the Ubuntu partition last week, and now we’re going to install the neural network Deep Style. This is where stuff is probably the most difficult. I’m going to equip you with the tools to solve those problems.What is a CLI?When you use a program such as your internet browser, or Photoshop you are using a Graphical User Interface. GUI. Before GUI there were CLI . Command Line Interface. A GUI allows you to control a program using buttons. A command line interface allows you to control it using written commands. When you tell Siri to navigate you to your friends house, you are in a way using a modern version of a CLI. Siri is much more sophisticated though. It can listen to your voice and translate that into (...)

    #artisits #deep-learning #neural-networks #neural-network-deep-style #artist-neural-network

  • Le mystère Adèle Ferrand, identification d’une artiste réunionnaise - 7 Lames la Mer
    http://7lameslamer.net/le-mystere-adele-ferrand-1569.html

    Qui était la vraie #AdèleFerrand ? Et qui était la fausse ? La vraie était une #artiste #peintre dont l’oeuvre est l’un des trésors du #Musée #LéonDierx. Au cours d’une carrière fulgurante, elle a conquis les critiques jusqu’au Salon Royal du #Louvre. Terrassée à 30 ans par la fièvre #typhoïde, elle meurt le 1er avril 1848 à Saint-Pierre (île de #LaRéunion). A ses côtés, son fils adoré de 16 mois encore au berceau et un portrait inachevé de son père sur le chevalet. Identification d’une femme, farouchement hostile à l’#esclavage, « #Créole par le cœur et par la descendance », écrivait #RaphaëlBarquissau... qui nous a légué une #œuvre immense.

    #LaReunion

  • JERI L. WAXENBERG WOLFSON COLLECTION

    Women Artists in the Modernist Tradition

    http://jlwcollection.com/jlwcollection.com/JLW_Collection.html

    #mary_swanzy Cubist Study of Skyscrapers

    Women Artists in the Modernist Tradition

    I have been collecting women artists in the modernist tradition since 1982. When I began I had a limited art education and a small amount of funds. These reasons alone forced me to seek out the undiscovered, the unknown, and gave me the gift of buying paintings that I responded to on a visceral level. After more than 25 years I now recognize that these paintings carry unifying and significant themes. Some of these themes explore areas that reveal our relationship to nature, some themes turn to a redefining of faith that becomes identified with the study of spirit or life force. Though in theory I’m shaping this collection I continue to find evidence that the collection is shaping me. I’m interested in considering the reasons we connect with these images rather than justifying my reasons for collecting images solely by women artists. For me, a compelling answer lies in the power of these paintings to reveal truths about our connection to nature and to spirit.

    Modernism – Women Artists

    THE ARTISTS

    Alvarez, Mabel

    Andrews, Sybil

    Bracher, Fani

    Berresford, Virginia

    Bernstein, Theresa

    Botke, Jessie Arms

    Bourke-White, Margaret

    Brown, Abigail Keys

    Bubley, Esther

    Caparn, Rhys

    Carrington, Leonora

    Catlett, Elizabeth

    Cuthbert, Virginia

    Dehner, Dorothy

    de Lempicka, Tamara

    Duckworth, Ruth

    Engelhard, Georgia

    Falkenstein, Claire

    Gearhart, Frances Hammel

    Gill, Andrea

    Green, Gertrude

    Grotell, Maija

    Hone, Evie

    Jellett, Mainie

    Kajiwara, Hisako

    Kavin, Zena

    Klien, Erika Giovanna

    Koch-Otte, Benita

    Lee, Doris

    Lum, Bertha

    Lundeberg, Helen

    Nevelson, Louise

    Niguma, Rose

    O’Keeffe, Ida Ten Eyck

    Patterson, Margaret

    Pelton, Agnes

    Pepper, Beverly

    Reeves, Ruth

    Ronget, Elisabeth

    Shore, Henrietta

    Stiebel, Hanna

    Swanzy, Mary

    Takaezu, Toshiko

    Van Horn, Lucretia

    Vezelay, Paule

    Watson, Adele

    Welton, Elise

    Winslade, Dorothy

    Woodman, Betty

    #peintresses #peinture #art #artistes #woman_art

  • L’artiste palestinien Khalil Rabah explore les « géographies vaincues »
    India Stoughton, The National, le 26 février 2018
    http://www.agencemediapalestine.fr/blog/2018/03/05/lartiste-palestinien-khalil-rabah-explore-les-geographies-vainc

    Quatre cartes, chacune un patchwork de broderies complexes et colorées, accueillent les visiteurs à la Galerie Sfeir-Semler de Beyrouth pendant les six semaines à venir. Étendues sur le sol, on trouve : une carte de la Mer morte, capturée dans de riches nuances de bleu et de pourpre ; une carte de la Bande de Gaza dans des tons vifs de rouge et d’orange ; et une carte de la Cisjordanie dans des tons de terre, verts e bruns. Une quatrième carte est accrochée à une barre de métal dépassant du mur de la galerie.

    Intitulées « Hide Geographies », un jeu de mots [intraduisible sur les deux sens en anglais de « hide »] évoquant à la fois les espaces cachés et la peau des animaux traqués, elles représentent des « géographies vaincues » comme l’artiste palestinien Khalil Rabah l’exprime poétiquement. Les quatre cartes font partie des œuvres exposées dans les « Nouveaux sites des départements du musée », ou « quatre lieux pour visiter le ciel », la dernière exposition de Rabah. Chaque carte correspond à l’un des « départements » dans lesquels son travail est disposé.

    Les œuvres font toutes partie d’un ambitieux projet sur lequel Rabah travaille depuis plus de vingt ans, le Musée palestinien d’histoire naturelle et de l’humanité [The Palestinian Museum of Natural History and Humankind].

    Exposition de Khalil Rabah à la Galerie Sfeir-Semler, #Beyrouth, jusqu’au 7 avril, et beaucoup plus de photos là :
    http://www.sfeir-semler.com/beirut/current-exhibition.html

    #Palestine #Liban #Khalil_Rabah #artiste #géographie

  • Is Computer Programming a Form of Art?

    “Since the publication of “The Art of Computer programming” by Donald E. Knuth in 1968, the notion that programs can be considered works of art is familiar to computer scientist, but the general public has taken little notice of such works of art. For example, there are no art reviews where computer programs are presented and evaluated based on their artistic value. This paper, written for the occasion of Donald Knuth’s 80th birthday, attempts to fill this gap. It presents and evaluates three small programs. The selection reflects the personal preferences and taste of the author.”
    http://knuth80.elfbrink.se/wp-content/uploads/2018/01/Ruckert-Knuth80t.pdf

  • crow feeding | TANX sur le crowdfunding
    http://tanx.free-h.fr/bloug/archives/10313

    Ce qu’on oublie avec cette question “pourquoi tu fais pas un crowdfunding ?” c’est le boulot qu’il nécessite, ce que l’éditeur est censé faire, ce qu’est notre travail, ce qu’est notre situation, bref les questions liées à notre position sociale plus largement.

    L’autoédition est un truc vraiment cool, mais je ne comprends pas pourquoi on devrait engraisser des plateformes de crowdfunding avec notre taf si on choisit ce mode de financement au détriment par ex de la souscription old school, ou du fanzinat. Le fanzinat reste une forme tout à fait géniale et qui tend à redevenir un truc honteux semble t-il, et c’est franchement triste.
    Le rêve de succès fait le bonheur des plateformes de financement participatif.

    Et
    http://crowdagger.fr/blog/index.php?post/2017/05/28/Petit-bilan-Tipeee%2C-et-r%C3%A9flexion-sur-son-int%C3%A9r%C3%AAt-pour-de
    et
    http://crowdagger.fr/blog/index.php?post/2017/05/28/R%C3%A9flexion-sur-Tipeee%2C-l-auto-%C3%A9dition-et-les-changements-dans-

    #crowdfunding #financement #art #artiste

  • New status by deylord
    https://mastodon.partipirate.org/users/deylord/statuses/99444772988329531

    [HOMMAGE] Mime MarceauVia SilenceCommunity.com : En présence des filles de Marcel Marceau, Camille et Aurélia, et de leurs invités. Rencontre animée par Franck Lubet, responsable de la programmation de la Cinémathèque.vendredi 22 septembre 2017Captation : Guillaume Tanishttps://www.silencecommunity.com/videos/play/group:657/46826/hommage-mime-marceau #mime #artiste_mime #marcel_marceau #mime_marceau #Camille #Aurélia #Franck_Lubet #septembre_2017 #Cinémathèque_de_Toulouse #Guillaume_Tanis

  • Un nouveau polar médiéval dans la collection #Framabook
    https://framablog.org/2018/01/25/un-nouveau-polar-medieval-dans-la-collection-framabook

    Yann #Kervran continue à rééditer les enquêtes d’Ernaut de Jérusalem chez Framabook, pour notre plus grand plaisir. Nous lui avons demandé de répondre à quelques questions à l’occasion de la publication de son deuxième tome, Les Pâques de sang. Yann, … Lire la suite­­

    #Artiste #Ernaut #Interview #Libres_Cultures #Livre

  • Vous connaissez Tanx ?
    Voilà je suis inscrit à sa newsletter et parfois elle balance des nouvelles
    quelques liens ci-dessous et surement d’autre ailleurs sur @seenthis
    https://seenthis.net/messages/659505
    https://seenthis.net/messages/457595

    elle fait la manche su Tipeee site de #crowfunding ou elle cherche des philanthropes pour assurer sa production.
    https://www.tipeee.com/tanx

    et pour celleux qu’aiment bien les lino, ben y’en a aussi sur son site.
    #artiste #autrice #graveuse #imprimeuse #dessinatrice #fanzineuse des fois #peintresse

    quelques liens pécho dans sa news :
    http://librairie.lapin.org
    https://laminuscule.blogspot.fr
    #tanx

  • Ces années 80 en chansons engagées, par Usul
    https://www.mediapart.fr/journal/france/150118/ces-annees-80-en-chansons-engagees-par-usul

    Avec la disparition de #France Gall, c’est toute une génération qui perd une figure pleine de fougue. Cette génération s’est engagée pour la paix, la solidarité, contre le racisme ou pour faire progresser un certain idéal de métissage et de tolérance qu’on retrouvait dans les chansons populaires de l’époque. Tout cela paraît bien lointain à présent… © Mediapart

    #années_1980 #artistes #Daniel_Balavoine #France_Gall #François_Mitterrand #Johnny_Hallyday #Renaud

  • Working Class Heroic Fantasy, le roman-feuilleton qui vous fera l’année
    https://framablog.org/2018/01/12/working-class-heroic-fantasy-le-roman-feuilleton-qui-vous-fera-lannee

    Gee, notre Simon, l’auteur des bandes dessinées GKND et #Grise_Bouille, que sa plume démange depuis un bon moment comme en témoignent ses nouvelles, se lance dans le roman avec Working Class Heroic Fantasy (notez le jeu de mots, il … Lire la suite­­

    #Artiste #Framabook #Libres_Cultures #CC #Gee #Livre

  • Laurent Danchin - Art ou création ? / Art or creation ? (3/4) - YouTube
    https://www.youtube.com/watch?v=0z0hDuZ695I

    Je découvre un peu tard (il est mort il y a peu) Laurent Danchin dont le discours sur l’art et la création est moins caricatural que ce que j’entends habituellement sur l’art « content pour rien »
    Ici c’est une séquence qui parle de l’éducation et de la scolarité.

    #art #artistes #création #éducation #école

    • En dehors du fait qu’il parle en langue sexiste, j’ai un souci avec son emploi du mot « nature ». Il y aurais des « natures » d’artistes. Je dirais plutot une « personnalité » ou une « individualité » qui a ce coté indépendant de notre volonté mais sans la référence naturaliste.

  • L’APPLICATION DE LA RÉFORME DÉSASTREUSE DU RAAP ET SON USINE À GAZ (3) : COMMENT CALCULER VOTRE COTISATION 2017 ? QUEL TAUX CHOISIR EN 2017 ? DÉCRYPTAGES. - CAAP
    http://caap.asso.fr/spip.php?article541

    Les artistes-auteurs fâchés avec l’IRCEC-RAAP.

    Comme nous le craignions, la mise en application par l’#IRCEC de sa réforme inepte s’avère elle-même calamiteuse : nombreuses bases de calcul erronées, premier paiement non pris en compte, options demandées non prises en compte, envoi massif d’appels cotisation à des personnes qui ne doivent rien (retraité.e.s ou artistes-auteurs en dessous du seuil de cotisation obligatoire), envoi d’appels cotisation en double pour une même personne (erreur de saisie dans le « second » nom ou femmes mariées identifiées deux fois : nom marital + nom de naissance), lettres de « bienvenue » de l’IRCEC à des cotisants habituels comme s’ils étaient nouveaux, etc.

    Beaucoup d’#artistes-auteurs découvrent les incidences concrètes de cette réforme préjudiciable et sont en difficulté pour payer un montant largement augmenté dont ils ignorent s’il est vraiment dû, compte tenu de l’usine à gaz mise en place par les administrateurs du RAAP. Gare à celles et ceux qui se tromperont dans les options provisoires au sein du carcan imaginé par l’IRCEC-RAAP !

    #arrêter_le_travail
    #retraite_obligatoire

    spécial @mad_meg les femmes cotisent deux fois, au nom du père et du fils !

    • Attention ! En effet la nouvelle formulation de l’appel de cotisation laisse croire au destinataire qu’il est redevable d’une cotisation (importante) alors que ce n’est pas forcément le cas. Au verso se trouvent le détail des conditions d’exonération, à chacun de faire son calcul !
      Tout cela à l’heure de l’intelligence artificielle....
      Par ailleurs notez bien qu’à moins de cotiser dans les tranches supérieures il ne faut rien attendre de plus de ce régime complémentaire que quelques pièces jaunes.

    • On doit payer cette cotisation à partir de 8 703 € (c’est précis) de revenus annuels ! Comment peut-on payer cela quand on gagne si peu ? J’ai gagné plus en 2017 mais je ne suis pas imposable, je ne paierai ces cotisations, point. D’autant qu’on a toujours pas validé quatre ans de cotisations !
      @mad_meg en principe c’est la caisse de retraite principale (la MDA) qui informe l’ircec de tes revenus.

    • Depuis j’ai reçu moi aussi le deuxième appel pour verser ces fameux 5% alors que j’ai, comme les années passées, demandé la dispense de cotisation, dont l’Ircec n’a semble-t-il pas tenu compte. ;(

    • Je me suis embourbée parce que je crois me souvenir que j’avais pourtant envoyé une dispense de cotisation, mais depuis juin je suis un peu confuse, j’ai reçu tellement de demandes me faisant croire que c’était obligatoire que je me suis fait bernée et j’ai payé …
      Un pote compositeur reçoit maintenant des demandes d’huissiers envoyés par l’IRCEC, il leur a téléphoné pour dire qu’il ne voulait pas cotiser chez eux et que c’était honteux de forcer ainsi la main.

    • OK J’ai recu un papier qui s’appel « Dispense de précompte » est-ce que ca à un rapport ? Pour les revenus l’année dernière j’ai pas fait 8 703 € mais cette année je devrais les avoir mais j’ai pas encor fait ma déclaration (il me semble que c’est au printemps)...

    • Bon, plusieurs points :
      Pour l’IRCEC, il y a un seuil, un peu (mais pas tout à fait) équivalent au seuil d’affiliation (un peu moins en fait), celui que donne @odilon : en dessous de ce seuil, quand tu reçois l’appel à cotisation de l’IRCEC en début d’année, tu peux demander à ne pas payer de cotisation pour l’année en cours (donc sur tes revenus de l’année précédente, généralement pas toujours connus au moment de l’appel de cotisation de l’IRCEC, qui arrive un poil avant les déclarations de revenus). D’où le fait que ta compta doit être liquidée fin février au plus tard pour donner un chiffre très proche de la réalité à l’IRCEC pour justifier de ta demande.

      Par expérience, je recommande de scanner votre demande de non cotisation avant de l’envoyer : les premières années, l’IRCEC « perdait » systématiquement ce papier et me réclamait des cotisations en juin en insistant lourdement.
      À partir du moment où je leur ai renvoyé leur propre formulaire en leur expliquant qu’ils avaient bien de la chance que j’archive mieux mes courriers qu’eux-mêmes, bizarrement, ils sont cesser de se tromper.

      Attention : si vous n’aviez donné qu’une évaluation de vos revenus pour refuser de payer, mais que dans les déclarations fisc et MDA, vous dépassez le seuil, il n’y a pas de mystère : vous allez devoir payer.

      À partir du moment où vous dépassez le seuil de revenus indiqués par @odilon, vous devez payer.

      Les cotisations à l’IRCEC ne sont donc pas optionnelles et ne dépendent pas de votre bon vouloir : si vous dépassez le seuil, elles sont dues.

      Jusqu’à présent, on achetait des points (très chers et pour une valeur de merde : une belle arnaque) et donc on pouvait choisir sa classe de cotisation. Je crois me souvenir que le moins cher, c’était un peu plus de 600€/an, soit 300€/ appel de cotisation.
      Ce qui, à l’époque, valait 1€/point/an, environ.
      Donc oui, c’est une arnaque. Mais obligatoire. Sauf pour les gueux qui ne valident ainsi aucun trimestre de retraite.

      À parti de maintenant, les cotisations IRCEC sont proportionnelles au revenu, avec une option à 4% la première année et 8% en normal. Enfin, du revenu + 15% (assiette élargie).

      Tout le monde peut payer en proportion de son revenu, mais si l’assiette est inférieure au seuil, ben tu cotises à perte, parce que ça n’ouvre pas de trimestre de retraite. C’est en tout petit en bas du prospectus.
      Donc, si tu es en dessous du seuil, tu continues à avoir intérêt à demander la dispense de cotisation, tout en te choisissant un mari (pas un compagnon !) qui te fera une bonne pension de réversion en claquant…

      Pour ce qui est de la dispense de précompte, non @mad_meg , ça n’a rien à voir avec la retraite IRCEC : c’est le fait que comme tu es en BNC, tu n’as plus à précompter tes clients sur tes factures et du dois leur fournir une copie de ce papier avec chaque facture.