• AUU: deve essere riconosciuto anche a chi è in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno
    https://www.meltingpot.org/2023/11/auu-deve-essere-riconosciuto-anche-a-chi-e-in-attesa-del-rinnovo-del-per

    Continuano la segnalazioni di persone straniere che si vedono in modo del tutto illegittimo sospendere l’erogazione dell’Assegno Unico Universale (AUU) in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. ASGI spiega che «tale prassi è assolutamente illegittima in quanto la regolarità del soggiorno permane per tutto il periodo del rinnovo del permesso, fino alla comunicazione di eventuali motivi ostativi. Questa prassi dell’INPS, oltre ad essere contraria alla normativa in materia di permessi di soggiorno (e in particolare l’art. 5 co 9 bis del TUI), contrasta con le stesse indicazioni dell’Istituto fornite con il Messaggio n. 2951 del 25 luglio 2022 secondo cui (...)

    #Giurisprudenza_italiana #Guida_legislativa #ASGI_-_Associazione_per_gli_Studi_Giuridici_sull’Immigrazione

  • Nessuno vuole mettere limiti all’attività dell’Agenzia Frontex

    Le istituzioni dell’Ue, ossessionate dal controllo delle frontiere, sembrano ignorare i problemi strutturali denunciati anche dall’Ufficio europeo antifrode. E lavorano per dispiegare le “divise blu” pure nei Paesi “chiave” oltre confine

    “Questa causa fa parte di un mosaico di una più ampia campagna contro Frontex: ogni attacco verso di noi è un attacco all’Unione europea”. Con questi toni gli avvocati dell’Agenzia che sorveglia le frontiere europee si sono difesi di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Il 9 marzo, per la prima volta in oltre 19 anni di attività (ci sono altri due casi pendenti, presentati dalla Ong Front-Lex), le “divise blu” si sono trovate di fronte a un giudice grazie alla tenacia dell’avvocata olandese Lisa-Marie Komp.

    Non è successo, invece, per le scioccanti rivelazioni del rapporto dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf) che ha ricostruito nel dettaglio come l’Agenzia abbia insabbiato centinaia di respingimenti violenti: quell’indagine è “semplicemente” costata la leadership all’allora direttore Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022, ma niente di più. “Tutto è rimasto nel campo delle opinioni e nessuno è andato a fondo sui problemi strutturali -spiega Laura Salzano, dottoranda in Diritto europeo dell’immigrazione presso l’Università di Barcellona-. C’erano tutti gli estremi per portare l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia e invece nulla è stato fatto nonostante sia un’istituzione pubblica con un budget esplosivo che lavora con i più vulnerabili”. Non solo l’impunità ma anche la cieca fiducia ribadita più volte da diverse istituzioni europee. Il 28 giugno 2022 il Consiglio europeo, a soli due mesi dalle dimissioni di Leggeri, dà il via libera all’apertura dei negoziati per portare gli agenti di Frontex in Senegal con la proposta di garantire un’immunità totale nel Paese per le loro azioni.

    A ottobre, invece, a pochi giorni dalla divulgazione del rapporto Olaf -tenuto segreto per oltre quattro mesi- la Commissione europea chiarisce che l’Agenzia “si è già assunta piena responsabilità di quanto successo”. Ancora, a febbraio 2023 il Consiglio europeo le assicura nuovamente “pieno supporto”. Un dato preoccupante soprattutto con riferimento all’espansione di Frontex che mira a diventare un attore sempre più presente nei Paesi chiave per la gestione del fenomeno migratorio, a migliaia di chilometri di distanza dal suo quartier generale di Varsavia.

    “I suoi problemi sono strutturali ma le istituzioni europee fanno finta di niente: se già è difficile controllare gli agenti sui ‘nostri’ confini, figuriamoci in Paesi al di fuori dell’Ue”, spiega Yasha Maccanico, membro del centro di ricerca indipendente Statewatch.

    A fine febbraio 2023 l’Agenzia ha festeggiato la conclusione di un progetto che prevede la consegna di attrezzature ai membri dell’Africa-Frontex intelligence community (Afic), finanziata dalla Commissione, che ha permesso dal 2010 in avanti l’apertura di “Cellule di analisi del rischio” (Rac) gestite da analisti locali formati dall’Agenzia con l’obiettivo di “raccogliere e analizzare informazioni strategiche su crimini transfrontalieri” oltre che a “sostenere le autorità nella gestione dei confini”. A partire dal 2021 una potenziata infrastruttura garantisce “comunicazioni sicure e istantanee” tra le Rac e gli agenti nella sede di Varsavia. Questo è il “primo livello” di collaborazione tra Frontex e le autorità di Paesi terzi che oggi vede, come detto, “cellule” attive in Nigeria, Gambia, Niger, Ghana, Senegal, Costa d’Avorio, Togo e Mauritania oltre a una ventina di Stati coinvolti nelle attività di formazione degli analisti, pronti ad attivare le Rac in futuro. “Lo scambio di dati sui flussi è pericoloso perché l’obiettivo delle politiche europee non è proteggere i diritti delle persone, ma fermarle nei Paesi più poveri”, continua Maccanico.

    Un gradino al di sopra delle collaborazioni più informali, come nell’Afic, ci sono i cosiddetti working arrangement (accordi di cooperazione) che permettono di collaborare con le autorità di un Paese in modo ufficiale. “Non serve il via libera del Parlamento europeo e di fatto non c’è nessun controllo né prima della sottoscrizione né ex post -riprende Salzano-. Se ci fosse uno scambio di dati e informazioni dovrebbe esserci il via libera del Garante per la protezione dei dati personali, ma a oggi, questo parere, è stato richiesto solo nel caso del Niger”. A marzo 2023 sono invece 18 i Paesi che hanno siglato accordi simili: da Stati Uniti e Canada, passando per Capo Verde fino alla Federazione Russa. “Sappiamo che i contatti con Mosca dovrebbero essere quotidiani. Dall’inizio del conflitto ho chiesto più volte all’Agenzia se queste comunicazioni sono state interrotte: nessuno mi ha mai risposto”, sottolinea Salzano.

    Obiettivo ultimo dell’Agenzia è riuscire a dispiegare agenti e mezzi anche nei Paesi terzi: una delle novità del regolamento del 2019 rispetto al precedente (2016) è proprio la possibilità di lanciare operazioni non solo nei “Paesi vicini” ma in tutto il mondo. Per farlo sono necessari gli status agreement, accordi internazionali che impegnano formalmente anche le istituzioni europee. Sono cinque quelli attivi (Serbia, Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, Moldova) ma sono in via di sottoscrizione quelli con Senegal e Mauritania per limitare le partenze (poco più di 15mila nel 2022) verso le isole Canarie, mille chilometri più a Nord: accordi per ora “fermi”, secondo quanto ricostruito dalla parlamentare europea olandese Tineke Strik che a fine febbraio ha visitato i due Stati, ma che danno conto della linea che si vuole seguire. Un quadro noto, i cui dettagli però spesso restano nascosti.

    È quanto emerge dal report “Accesso negato”, pubblicato da Statewatch a metà marzo 2023, che ricostruisce altri due casi di scarsa trasparenza negli accordi, Niger e Marocco, due Paesi chiave nella strategia europea di esternalizzazione delle frontiere. “Con la ‘scusa’ della tutela della riservatezza nelle relazioni internazionali e mettendo la questione migratoria sotto il cappello dell’antiterrorismo l’accesso ai dettagli degli accordi non è consentito”, spiega Maccanico, uno dei curatori dello studio. Non si conoscono, per esempio, i compiti specifici degli agenti, per cui si propone addirittura l’immunità totale. “In alcuni accordi, come in Macedonia del Nord, si è poi ‘ripiegato’ su un’immunità connessa solo ai compiti che rientrano nel mandato dell’Agenzia -osserva Salzano-. Ma il problema non cambia: dove finisce la sua responsabilità e dove inizia quella del Paese membro?”. Una zona grigia funzionale a Frontex, anche quando opera sul territorio europeo.

    Lo sa bene l’avvocata tedesca Lisa-Marie Komp che, come detto, ha portato l’Agenzia di fronte alla Corte di giustizia dell’Ue. Il caso, su cui il giudice si pronuncerà nei prossimi mesi, riguarda il rimpatrio nel 2016 di una famiglia siriana con quattro bambini piccoli che, pochi giorni dopo aver presentato richiesta d’asilo in Grecia, è stata caricata su un aereo e riportata in Turchia: quel volo è stato gestito da Frontex, in collaborazione con le autorità greche. “L’Agenzia cerca di scaricare le responsabilità su di loro ma il suo mandato stabilisce chiaramente che è tenuta a monitorare il rispetto dei diritti fondamentali durante queste operazioni -spiega-. Serve chiarire che tutti devono rispettare la legge, compresa l’Agenzia le cui azioni hanno un grande impatto sulla vita di molte persone”.

    Le illegittimità nell’attività dei rimpatri sono note da tempo e il caso della famiglia siriana non è isolato. “Quando c’è una forte discrepanza nelle decisioni sulle domande d’asilo tra i diversi Paesi europei, l’attività di semplice ‘coordinamento’ e preparazione delle attività di rimpatrio può tradursi nella violazione del principio di non respingimento”, spiega Mariana Gkliati, docente di Migrazione e Asilo all’università olandese di Tilburg. Nonostante questi problemi e un sistema d’asilo sempre più fragile, negli ultimi anni i poteri e le risorse a disposizione per l’Agenzia sui rimpatri sono esplosi: nel 2022 questa specifica voce di bilancio prevedeva quasi 79 milioni di euro (+690% rispetto ai dieci milioni del 2012).

    E la crescita sembra destinata a non fermarsi. Frontex nel 2023 stima di poter rimpatriare 800 persone in Iraq, 316 in Pakistan, 200 in Gambia, 75 in Afghanistan, 57 in Siria, 60 in Russia e 36 in Ucraina come si legge in un bando pubblicato a inizio febbraio 2023 che ha come obiettivo la ricerca di partner in questi Paesi (e in altri, in totale 43) per garantire assistenza di breve e medio periodo (12 mesi) alle persone rimpatriate. Un’altra gara pubblica dà conto della centralità dell’Agenzia nella “strategia dei rimpatri” europea: 120 milioni di euro nel novembre 2022 per l’acquisto di “servizi di viaggio relativi ai rimpatri mediante voli di linea”. Migliaia di biglietti e un nuovo sistema informatico per gestire al meglio le prenotazioni, con un’enorme mole di dati personali delle persone “irregolari” che arriveranno nelle “mani” di Frontex. Mani affidabili, secondo la Commissione europea.

    Ma il 7 ottobre 2022 il Parlamento, nel “bocciare” nuovamente Frontex rispetto al via libera sul bilancio 2020, dava conto del “rammarico per l’assenza di procedimenti disciplinari” nei confronti di Leggeri e della “preoccupazione” per la mancata attivazione dell’articolo 46 (che prevede il ritiro degli agenti quando siano sistematiche le violazioni dei diritti umani) con riferimento alla Grecia, in cui l’Agenzia opera con 518 agenti, 11 navi e 30 mezzi. “I respingimenti e la violenza sui confini continuano sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime così come non si è interrotto il sostegno alle autorità greche”, spiega la ricercatrice indipendente Lena Karamanidou. La “scusa” ufficiale è che la presenza di agenti migliori la situazione ma non è così. “Al confine terrestre di Evros, la violenza è stata documentata per tutto il tempo in cui Frontex è stata presente, fin dal 2010. È difficile immaginare come possa farlo in futuro vista la sistematicità delle violenze su questo confine”. Su quella frontiera si giocherà anche la presunta nuova reputazione dell’Agenzia guidata dal primo marzo dall’olandese Hans Leijtens: un tentativo di “ripulire” l’immagine che è già in corso.

    Frontex nei confronti delle persone in fuga dal conflitto in Ucraina ha tenuto fin dall’inizio un altro registro: i “migranti irregolari” sono diventati “persone che scappano da zone di conflitto”; l’obiettivo di “combattere l’immigrazione irregolare” si è trasformato nella gestione “efficace dell’attraversamento dei confini”. “Gli ultimi mesi hanno mostrato il potenziale di Frontex di evolversi in un attore affidabile della gestione delle frontiere che opera con efficienza, trasparenza e pieno rispetto dei diritti umani”, sottolinea Gkliati nello studio “Frontex assisting in the ukrainian displacement. A welcoming committee at racialised passage?”, pubblicato nel marzo 2023. Una conferma ulteriore, per Salzano, dei limiti strutturali dell’Agenzia: “La legge va rispettata indipendentemente dalla cornice in cui operi: la tutela dei diritti umani prescinde dagli umori della politica”.

    https://altreconomia.it/nessuno-vuole-mettere-limiti-allattivita-dellagenzia-frontex

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    • I rischi della presenza di Frontex in Africa: tanto potere, poca responsabilità

      L’eurodeputata #Tineke_Strik è stata in Senegal e Mauritania a fine febbraio 2023: in un’intervista ad Altreconomia ricostruisce lo stato dell’arte degli accordi che l’Ue vorrebbe concludere con i due Paesi ritenuti “chiave” nel contrasto ai flussi migratori. Denunciando la necessità di una riforma strutturale dell’Agenzia.

      A un anno di distanza dalle dimissioni del suo ex direttore Fabrice Leggeri, le istituzioni europee non vogliono mettere limiti all’attività di Frontex. Come abbiamo ricostruito sul numero di aprile di Altreconomia, infatti, l’Agenzia -che dal primo marzo 2023 è guidata da Hans Leijtens- continua a svolgere un ruolo centrale nelle politiche migratorie dell’Unione europea nonostante le pesanti rivelazioni dell’Ufficio europeo antifrode (Olaf), che ha ricostruito nel dettaglio il malfunzionamento nelle operazioni delle divise blu lungo i confini europei.

      Ma non solo. Un aspetto particolarmente preoccupante sono le operazioni al di fuori dei Paesi dell’Unione, che rientrano sempre di più tra le priorità di Frontex in un’ottica di esternalizzazione delle frontiere per “fermare” preventivamente i flussi di persone dirette verso l’Europa. Non a caso, a luglio 2022, nonostante i contenuti del rapporto Olaf chiuso solo pochi mesi prima, la Commissione europea ha dato il via libera ai negoziati con Senegal e Mauritania per stringere un cosiddetto working arrangement e permettere così agli “agenti europei” di operare nei due Paesi africani (segnaliamo anche la recente ricerca pubblicata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione sul tema).

      Per monitorare lo stato dell’arte di questi accordi l’eurodeputata Tineke Strik, tra le poche a opporsi e a denunciare senza sconti gli effetti delle politiche migratorie europee e il ruolo di Frontex, a fine febbraio 2023 ha svolto una missione di monitoraggio nei due Paesi. Già professoressa di Diritto della cittadinanza e delle migrazioni dell’Università di Radboud di Nimega, in Olanda, è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019 nelle fila di GroenLinks (Sinistra verde). L’abbiamo intervistata.

      Onorevole Strik, secondo quanto ricostruito dalla vostra visita (ha partecipato alla missione anche Cornelia Erns, di LeftEu, ndr), a che punto sono i negoziati con il Senegal?
      TS La nostra impressione è che le autorità senegalesi non siano così desiderose di concludere un accordo di status con l’Unione europea sulla presenza di Frontex nel Paese. L’approccio di Bruxelles nei confronti della migrazione come sappiamo è molto incentrato su sicurezza e gestione delle frontiere; i senegalesi, invece, sono più interessati a un intervento sostenibile e incentrato sullo sviluppo, che offra soluzioni e affronti le cause profonde che spingono le persone a partire. Sono molti i cittadini del Senegal emigrano verso l’Europa: idealmente, il governo vuole che rimangano nel Paese, ma capisce meglio di quanto non lo facciano le istituzioni Ue che si può intervenire sulla migrazione solo affrontando le cause alla radice e migliorando la situazione nel contesto di partenza. Allo stesso tempo, le navi europee continuano a pescare lungo le coste del Paese (minacciando la pesca artigianale, ndr), le aziende europee evadono le tasse e il latte sovvenzionato dall’Ue viene scaricato sul mercato senegalese, causando disoccupazione e impedendo lo sviluppo dell’economia locale. Sono soprattutto gli accordi di pesca ad aver alimentato le partenze dal Senegal, dal momento che le comunità di pescatori sono state private della loro principale fonte di reddito. Serve domandarsi se l’Unione sia veramente interessata allo sviluppo e ad affrontare le cause profonde della migrazione. E lo stesso discorso può essere fatto su molti dei Paesi d’origine delle persone che cercano poi protezione in Europa.

      Dakar vede di buon occhio l’intervento dell’Unione europea? Quale tipo di operazioni andrebbero a svolgere gli agenti di Frontex nel Paese?
      TS Abbiamo avuto la sensazione che l’Ue non ascoltasse le richieste delle autorità senegalesi -ad esempio in materia di rilascio di visti d’ingresso- e ci hanno espresso preoccupazioni relative ai diritti fondamentali in merito a qualsiasi potenziale cooperazione con Frontex, data la reputazione dell’Agenzia. È difficile dire che tipo di supporto sia previsto, ma nei negoziati l’Unione sta puntando sia alle frontiere terrestri sia a quelle marittime.

      Che cosa sta avvenendo in Mauritania?
      TS Sebbene questo Paese sembri disposto a concludere un accordo sullo status di Frontex -soprattutto nell’ottica di ottenere un maggiore riconoscimento da parte dell’Europa-, preferisce comunque mantenere l’autonomia nella gestione delle proprie frontiere e quindi non prevede una presenza permanente dei funzionari dell’Agenzia nel Paese. Considerano l’accordo sullo status più come un quadro giuridico, per consentire la presenza di Frontex in caso di aumento della pressione migratoria. Inoltre, come il Senegal, ritengono che l’Europa debba ascoltare e accogliere le loro richieste, che riguardano principalmente i visti e altre aree di cooperazione. Anche in questo caso, Bruxelles chiede il mandato più ampio possibile per gli agenti in divisa blu durante i negoziati per “mantenere aperte le opzioni [più ampie]”, come dicono loro stessi. Ma credo sia chiaro che il loro obiettivo è quello di operare sia alle frontiere marittime sia a quelle terrestri.
      Questo a livello “istituzionale”. Qual è invece la posizione della società civile?
      TS In entrambi i Paesi è molto critica. In parte a causa della cattiva reputazione di Frontex in relazione ai diritti umani, ma anche a causa dell’esperienza che i cittadini senegalesi e mauritani hanno già sperimentato con la Guardia civil spagnola, presente nei due Stati, che ritengono stia intaccando la sovranità per quanto riguarda la gestione delle frontiere. È previsto che il mandato di Frontex sia addirittura esecutivo, a differenza di quello della Guardia civil, che può impegnarsi solo in pattugliamenti congiunti in cui le autorità nazionali sono al comando. Quindi la sovranità di entrambi i Paesi sarebbe ulteriormente minata.

      Perché a suo avviso sarebbe problematica la presenza di agenti di Frontex nei due Paesi?
      TS L’immunità che l’Unione europea vorrebbe per i propri operativi dispiegati in Africa non è solo connessa allo svolgimento delle loro funzioni ma si estende al di fuori di esse, a questo si aggiunge la possibilità di essere armati. Penso sia problematico il rispetto dei diritti fondamentali dei naufraghi intercettati in mare, poiché è difficile ottenere l’accesso all’asilo sia in Senegal sia in Mauritania. In questo Paese, ad esempio, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) impiega molto tempo per determinare il loro bisogno di protezione: fanno eccezione i maliani, che riescono a ottenerla in “appena” due anni. E durante l’attesa queste persone non hanno quasi diritti.

      Ma se ottengono la protezione è comunque molto difficile registrarsi presso l’amministrazione, cosa necessaria per avere accesso al mercato del lavoro, alle scuole o all’assistenza sanitaria. E le conseguenze che ne derivano sono le continue retate, i fermi e le deportazioni alla frontiera, per impedire alle persone di partire. A causa delle attuali intercettazioni in mare, le rotte migratorie si stanno spostando sulla terra ferma e puntano verso l’Algeria: l’attraversamento del deserto può essere mortale. Il problema principale è che Frontex deve rispettare il diritto dell’Unione europea anche se opera in un Paese terzo in cui si applicano norme giuridiche diverse, ma l’Agenzia andrà a operare sotto il comando delle guardie di frontiera di un Paese che non è vincolato dalle “regole” europee. Come può Frontex garantire di non essere coinvolta in operazioni che violano le norme fondamentali del diritto comunitario, se determinate azioni non sono illegali in quel Paese? Sulla carta è possibile presentare un reclamo a Frontex, ma poi nella pratica questo strumento in quali termini sarebbe accessibile ed efficace?

      Un anno dopo le dimissioni dell’ex direttore Leggeri ritiene che Frontex si sia pienamente assunta la responsabilità di quanto accaduto? Può davvero, secondo lei, diventare un attore affidabile per l’Ue?
      TS Prima devono accadere molte cose. Non abbiamo ancora visto una riforma fondamentale: c’è ancora un forte bisogno di maggiore trasparenza, di un atteggiamento più fermo nei confronti degli Stati membri ospitanti e di un uso conseguente dell’articolo 46 che prevede la sospensione delle operazioni in caso di violazioni dei diritti umani (abbiamo già raccontato il ruolo dell’Agenzia nei respingimenti tra Grecia e Turchia, ndr). Questi problemi saranno ovviamente esacerbati nella cooperazione con i Paesi terzi, perché la responsabilità sarà ancora più difficile da raggiungere.

      https://altreconomia.it/i-rischi-della-presenza-di-frontex-in-africa-tanto-potere-poca-responsa

    • «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare». La missione di ASGI in Senegal e Mauritania

      Lo scorso 29 marzo è stato pubblicato il rapporto «Un laboratorio di esternalizzazione tra frontiere di terra e di mare» (https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania), frutto del sopralluogo giuridico effettuato tra il 7 e il 13 maggio 2022 da una delegazione di ASGI composta da Alice Fill, Lorenzo Figoni, Matteo Astuti, Diletta Agresta, Adelaide Massimi (avvocate e avvocati, operatori e operatrici legali, ricercatori e ricercatrici).

      Il sopralluogo aveva l’obiettivo di analizzare lo sviluppo delle politiche di esternalizzazione del controllo della mobilità e di blocco delle frontiere implementate dall’Unione Europea in Mauritania e in Senegal – due paesi a cui, come la Turchia o gli stati balcanici più orientali, gli stati membri hanno delegato la gestione dei flussi migratori concordando politiche sempre più ostacolanti per lo spostamento delle persone.

      Nel corso del sopralluogo sono stati intervistati, tra Mauritania e Senegal, più di 40 interlocutori afferenti a istituzioni, società civile, popolazione migrante e organizzazioni, tra cui OIM, UNHCR, delegazioni dell’UE. Intercettare questi soggetti ha consentito ad ASGI di andare oltre le informazioni vincolate all’ufficialità delle dichiarazioni pubbliche e di approfondire le pratiche illegittime portate avanti su questi territori.

      Il report parte dalle già assodate intenzioni di collaborazione tra l’Unione Europea e le autorità senegalesi e mauritane – una collaborazione che in entrambi i paesi sembra connotata nel senso del controllo e della sorveglianza; per quanto riguarda il Senegal, si fa menzione del ben noto status agreement, proposto nel febbraio 2022 a Dakar dalla Commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson, con il quale si intende estendere il controllo di Frontex in Senegal.

      L’obiettivo di tale accordo era il controllo della cosiddetta rotta delle Canarie, che tra il 2018 e il 2022 è stata sempre più battuta. Sebbene la proposta abbia generato accese discussioni nella società civile senegalese, preoccupata all’idea di cedere parte della sovranità del paese sul controllo delle frontiere esterne, con tale accordo, elaborato con un disegno molto simile a quello che regola le modalità di intervento di Frontex nei Balcani, si legittimerebbe ufficialmente l’attività di controllo dell’agenzia UE in paesi terzi, e in particolare fuori dal continente europeo.

      Per quanto riguarda la Mauritania, si menziona l’Action Plan pubblicato da Frontex il 7 giugno 2022, con il quale si prospetta una possibilità di collaborare operativamente sul territorio mauritano, in particolare per lo sviluppo di governance in materia migratoria.

      Senegal

      Sin dai primi anni Duemila, il dialogo tra istituzioni europee e senegalesi è stato focalizzato sulle politiche di riammissione dei cittadini senegalesi presenti in UE in maniera irregolare e dei cosiddetti ritorni volontari, le politiche di gestione delle frontiere senegalesi e il controllo della costa, la promozione di una legislazione anti-trafficking e anti-smuggling. Tutto questo si è intensificato quando, a partire dal 2018, la rotta delle Canarie è tornata a essere una rotta molto percorsa. L’operatività delle agenzie europee in Senegal per la gestione delle migrazioni si declina principalmente nei seguenti obiettivi:

      1. Monitoraggio delle frontiere terrestri e marittime. Il memorandum firmato nel 2006 da Senegal e Spagna ha sancito la collaborazione ufficiale tra le forze di polizia europee e quelle senegalesi in operazioni congiunte di pattugliamento; a questo si aggiunge, sempre nello stesso anno, una presenza sempre più intensiva di Frontex al largo delle coste senegalesi.

      2. Lotta alla tratta e al traffico. Su questo fronte dell’operatività congiunta tra forze senegalesi ed europee, la normativa di riferimento è la legge n. 06 del 10 maggio 2005, che offre delle direttive per il contrasto della tratta di persone e del traffico. Tale documento, non distinguendo mai fra “tratta” e “traffico”, di fatto criminalizza la migrazione irregolare tout court, dal momento che viene utilizzato in maniera estensiva (e arbitraria) come strumento di controllo e di repressione della mobilità – fu utilizzato, ad esempio, per accusare di traffico di esseri umani un padre che aveva imbarcato suo figlio su un mezzo che poi naufragato.

      Il sistema di asilo in Senegal

      Il Senegal aderisce alla Convenzione del 1951 sullo status de rifugiati e del relativo Protocollo del 1967; la valutazione delle domande di asilo fa capo alla Commissione Nazionale di Eleggibilità (CNE), che al deposito della richiesta di asilo emette un permesso di soggiorno della durata di 3 mesi, rinnovabile fino all’esito dell’audizione di fronte alla CNE; l’esito della CNE è ricorribile in primo grado presso la Commissione stessa e, nel caso di ulteriore rifiuto, presso il Presidente della Repubblica. Quando il richiedente asilo depone la propria domanda, subentra l’UNHCR, che nel paese è molto presente e finanzia ONG locali per fornire assistenza.

      Il 5 aprile 2022 l’Assemblea Nazionale senegalese ha approvato una nuova legge sullo status dei rifugiati e degli apolidi, una legge che, stando a diverse associazioni locali, sulla carta estenderebbe i diritti cui i rifugiati hanno accesso; tuttavia, le stesse associazioni temono che a tale miglioramento possa non seguire un’applicazione effettiva della normativa.
      Mauritania

      Data la collocazione geografica del paese, a ridosso dell’Atlantico e delle isole Canarie, in prossimità di paesi ad alto indice di emigrazione (Senegal, Mali, Marocco), la Mauritania rappresenta un territorio strategico per il monitoraggio dei flussi migratori diretti in Europa. Pertanto, analogamente a quanto avvenuto in Senegal, anche in Mauritania la Spagna ha proceduto a rafforzare la cooperazione in tema di politiche migratorie e di gestione del controllo delle frontiere e a incrementare la presenta e l’impegno di attori esterni – in primis di agenzie quali Frontex – per interventi di contenimento dei flussi e di riammissione di cittadini stranieri in Mauritania.

      Relativamente alla Mauritania, l’obiettivo principale delle istituzioni europee sembra essere la prevenzione dell’immigrazione lungo la rotta delle Canarie. La normativa di riferimento è l’Accordo di riammissione bilaterale firmato con la Spagna nel luglio 2003. Con tale accordo, la Spagna può chiedere alla Mauritania di riammettere sul proprio territorio cittadini mauritani e non solo, anche altri cittadini provenienti da paesi terzi che “si presume” siano transitati per la Mauritania prima di entrare irregolarmente in Spagna. Oltre a tali interventi, il report di ASGI menziona l’Operazione Hera di Frontex e vari interventi di cooperazione allo sviluppo promossi dalla Spagna “con finalità tutt’altro che umanitarie”, bensì di gestione della mobilità.

      In tale regione, nella fase degli sbarchi risulta molto dubbio il ruolo giocato da organizzazioni come OIM e UNHCR, poiché non è codificato; interlocutori diversi hanno fornito informazioni contrastanti sulla disponibilità di UNHCR a intervenire in supporto e su segnalazione delle ONG presenti al momento dello sbarco. In ogni caso, se effettivamente UNHCR fosse assente agli sbarchi, ciò determinerebbe una sostanziale impossibilità di accesso alle procedure di protezione internazionale da parte di qualsiasi potenziale richiedente asilo che venga intercettato in mare.

      Anche in questo territorio la costruzione della figura del “trafficante” diventa un dispositivo di criminalizzazione e repressione della mobilità sulla rotta atlantica, strumentale alla soddisfazione di richieste europee.
      La detenzione dei cittadini stranieri

      Tra Nouakchott e Nouadhibou vi sono tre centri di detenzione per persone migranti; uno di questi (il Centro di Detenzione di Nouadhibou 2 (anche detto “El Guantanamito”), venne realizzato grazie a dei fondi di un’agenzia di cooperazione spagnola. Sovraffollamento, precarietà igienico-sanitaria e impossibilità di accesso a cure e assistenza legale hanno caratterizzato tali centri. Quando El Guantanamito fu chiuso, i commissariati di polizia sono diventati i principali luoghi deputati alla detenzione dei cittadini stranieri; in tali centri, vengono detenute non solo le persone intercettate in prossimità delle coste mauritane, ma anche i cittadini stranieri riammessi dalla Spagna, e anche le persone presenti irregolarmente su territorio mauritano. Risulta delicato il tema dell’accesso a tali commissariati, dal momento che il sopralluogo ha rilevato che le ONG non hanno il permesso di entrarvi, mentre le organizzazioni internazionali sì – ciò nonostante, nessuna delle persone precedentemente sottoposte a detenzione con cui la delegazione ASGI ha avuto modo di interloquire ha dichiarato di aver riscontrato la presenza di organizzazioni all’interno di questi centri.

      La detenzione amministrativa risulta essere “un tassello essenziale della politica di contenimento dei flussi di cittadini stranieri in Mauritania”. Il passaggio successivo alla detenzione delle persone migranti è l’allontanamento, che si svolge in forma di veri e propri respingimenti sommari e informali, senza che i migranti siano messi nelle condizioni né di dichiarare la propria nazionalità né di conoscere la procedura di ritorno volontario.
      Il ruolo delle organizzazioni internazionali in Mauritania

      OIM riveste un ruolo centrale nel panorama delle politiche di esternalizzazione e di blocco dei cittadini stranieri in Mauritania, tramite il supporto delle autorità di pubblica sicurezza mauritane nello sviluppo di politiche di contenimento della libertà di movimento – strategie e interventi che suggeriscono una connotazione securitaria della presenza dell’associazione nel paese, a scapito di una umanitaria.

      Nonostante anche la Mauritania sia firmataria della Convenzione di Ginevra, non esiste a oggi una legge nazionale sul diritto di asilo nel paese. UNHCR testimonia come dal 2015 esiste un progetto di legge sull’asilo, ma che questo sia tuttora “in attesa di adozione”.

      Pertanto, le procedure di asilo in Mauritania sono gestite interamente da UNHCR. Tali procedure si differenziano a seconda della pericolosità delle regioni di provenienza delle persone migranti; in particolare, i migranti maliani provenienti dalle regioni considerate più pericolose vengono registrati come rifugiati prima facie, quanto non accade invece per i richiedenti asilo provenienti dalle aree urbane, per loro, l’iter dell’asilo è ben più lungo, e prevede una sorta di “pre-pre-registrazione” presso un ente partner di UNHCR, cui segue una pre-registrazione accordata da UNHCR previo appuntamento, e solo in seguito alla registrazione viene riconosciuto un certificato di richiesta di asilo, valido per sei mesi, in attesa di audizione per la determinazione dello status di rifugiato.

      Le tempistiche per il riconoscimento di protezione, poi, sono differenti a seconda del grado di vulnerabilità del richiedente e in taluni casi potevano condurre ad anni e anni di attesa. Alla complessità della procedura si aggiunge che non tutti i potenziali richiedenti asilo possono accedervi – ad esempio, chi proviene da alcuni stati, come la Sierra Leone, considerati “paesi sicuri” secondo una categorizzazione fornita dall’Unione Africana.
      Conclusioni

      In fase conclusiva, il report si sofferma sul ruolo fondamentale giocato dall’Unione Europea nel forzare le politiche senegalesi e mauritane nel senso della sicurezza e del contenimento, a scapito della tutela delle persone migranti nei loro diritti fondamentali. Le principali preoccupazioni evidenziate sono rappresentate dalla prospettiva della conclusione dello status agreement tra Frontex e i due paesi, perché tale ratifica ufficializzerebbe non solo la presenza, ma un ruolo legittimo e attivo di un’agenzia europea nel controllo di frontiere che si dispiegano ben oltre i confini territoriali comunitari, ben oltre le acque territoriali, spingendo le maglie del controllo dei flussi fin dentro le terre di quegli stati da cui le persone fuggono puntando all’Unione Europea. La delegazione, tuttavia, sottolinea che vi sono aree in cui la società civile senegalese e mauritana risulta particolarmente politicizzata, dunque in grado di esprimere insofferenza o aperta contrarietà nei confronti delle ingerenze europee nei loro paesi. Infine, da interviste, colloqui e incontri con diretti interessati e testimoni, il ruolo di organizzazioni internazionali come le citate OIM e UNHCR appare nella maggior parte dei casi “fluido o sfuggevole”; una prospettiva, questa, che sembra confermare l’ambivalenza delle grandi organizzazioni internazionali, soggetti messi innanzitutto al servizio degli interessi delle istituzioni europee.

      Il report si conclude auspicando una prosecuzione di studio e analisi al fine di continuare a monitorare gli sviluppi politici e legislativi che legano l’Unione Europea e questi territori nella gestione operativa delle migrazioni.

      https://www.meltingpot.org/2023/05/un-laboratorio-di-esternalizzazione-tra-frontiere-di-terra-e-di-mare

    • Pubblicato il rapporto #ASGI della missione in Senegal e Mauritania

      Il Senegal e la Mauritania sono paesi fondamentali lungo la rotta che conduce dall’Africa occidentale alle isole Canarie. Nel 2020, dopo alcuni anni in cui la rotta era stata meno utilizzata, vi è stato un incremento del 900% degli arrivi rispetto all’anno precedente. Il dato ha portato la Spagna e le istituzioni europee a concentrarsi nuovamente sui due paesi. La cosiddetta Rotta Atlantica, che a partire dal 2006 era stata teatro di sperimentazioni di pratiche di contenimento e selezione della mobilità e di delega dei controlli alle frontiere e del diritto di asilo, è tornata all’attenzione internazionale: da febbraio 2022 sono in corso negoziazioni per la firma di un accordo di status con Frontex per permettere il dispiegamento dei suoi agenti in Senegal e Mauritania.

      Al fine di indagare l’attuazione delle politiche di esternalizzazione e i loro effetti, dal 7 al 13 maggio 2022 un gruppo di socз ASGI – avvocatз, operatorз legali e ricercatorз – ha effettuato un sopralluogo giuridico a Nouakchott, Mauritania e a Dakar, Senegal.

      Il report restituisce il quadro ricostruito nel corso del sopralluogo, durante il quale è stato possibile intervistare oltre 45 interlocutori tra istituzioni, organizzazioni internazionali, ONG e persone migranti.

      https://www.asgi.it/notizie/rapporto-asgi-della-senegal-mauritania
      #rapport

    • Au Sénégal, les desseins de Frontex se heurtent aux résistances locales

      Tout semblait devoir aller très vite : début 2022, l’Union européenne propose de déployer sa force anti-migration Frontex sur les côtes sénégalaises, et le président Macky Sall y semble favorable. Mais c’était compter sans l’opposition de la société civile, qui refuse de voir le Sénégal ériger des murs à la place de l’Europe.

      Agents armés, navires, drones et systèmes de sécurité sophistiqués : Frontex, l’agence européenne de gardes-frontières et de gardes-côtes créée en 2004, a sorti le grand jeu pour dissuader les Africains de prendre la direction des îles Canaries – et donc de l’Europe –, l’une des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Cet arsenal, auquel s’ajoutent des programmes de formation de la police aux frontières, est la pierre angulaire de la proposition faite début 2022 par le Conseil de l’Europe au Sénégal. Finalement, Dakar a refusé de la signer sous la pression de la société civile, même si les négociations ne sont pas closes. Dans un climat politique incandescent à l’approche de l’élection présidentielle de 2024, le président sénégalais, Macky Sall, soupçonné de vouloir briguer un troisième mandat, a préféré prendre son temps et a fini par revenir sur sa position initiale, qui semblait ouverte à cette collaboration. Dans le même temps, la Mauritanie voisine, elle, a entamé des négociations avec Bruxelles.

      L’histoire débute le 11 février 2022 : lors d’une conférence de presse à Dakar, la commissaire aux Affaires intérieures du Conseil de l’Europe, Ylva Johansson, officialise la proposition européenne de déployer Frontex sur les côtes sénégalaises. « C’est mon offre et j’espère que le gouvernement sénégalais sera intéressé par cette opportunité unique », indique-t-elle. En cas d’accord, elle annonce que l’agence européenne sera déployée dans le pays au plus tard au cours de l’été 2022. Dans les jours qui ont suivi l’annonce de Mme Johansson, plusieurs associations de la société civile sénégalaise ont organisé des manifestations et des sit-in à Dakar contre la signature de cet accord, jugé contraire aux intérêts nationaux et régionaux.

      Une frontière déplacée vers la côte sénégalaise

      « Il s’agit d’un #dispositif_policier très coûteux qui ne permet pas de résoudre les problèmes d’immigration tant en Afrique qu’en Europe. C’est pourquoi il est impopulaire en Afrique. Frontex participe, avec des moyens militaires, à l’édification de murs chez nous, en déplaçant la frontière européenne vers la côte sénégalaise. C’est inacceptable, dénonce Seydi Gassama, le directeur exécutif d’Amnesty International au Sénégal. L’UE exerce une forte pression sur les États africains. Une grande partie de l’aide européenne au développement est désormais conditionnée à la lutte contre la migration irrégulière. Les États africains doivent pouvoir jouer un rôle actif dans ce jeu, ils ne doivent pas accepter ce qu’on leur impose, c’est-à-dire des politiques contraires aux intérêts de leurs propres communautés. » Le défenseur des droits humains rappelle que les transferts de fonds des migrants pèsent très lourd dans l’économie du pays : selon les chiffres de la Banque mondiale, ils ont atteint 2,66 milliards de dollars (2,47 milliards d’euros) au Sénégal en 2021, soit 9,6 % du PIB (presque le double du total de l’aide internationale au développement allouée au pays, de l’ordre de 1,38 milliard de dollars en 2021). « Aujourd’hui, en visitant la plupart des villages sénégalais, que ce soit dans la région de Fouta, au Sénégal oriental ou en Haute-Casamance, il est clair que tout ce qui fonctionne – hôpitaux, dispensaires, routes, écoles – a été construit grâce aux envois de fonds des émigrés », souligne M. Gassama.

      « Quitter son lieu de naissance pour aller vivre dans un autre pays est un droit humain fondamental, consacré par l’article 13 de la Convention de Genève de 1951, poursuit-il. Les sociétés capitalistes comme celles de l’Union européenne ne peuvent pas dire aux pays africains : “Vous devez accepter la libre circulation des capitaux et des services, alors que nous n’acceptons pas la libre circulation des travailleurs”. » Selon lui, « l’Europe devrait garantir des routes migratoires régulières, quasi inexistantes aujourd’hui, et s’attaquer simultanément aux racines profondes de l’exclusion, de la pauvreté, de la crise démocratique et de l’instabilité dans les pays d’Afrique de l’Ouest afin d’offrir aux jeunes des perspectives alternatives à l’émigration et au recrutement dans les rangs des groupes djihadistes ».

      Depuis le siège du Forum social sénégalais (FSS), à Dakar, Mamadou Mignane Diouf abonde : « L’UE a un comportement inhumain, intellectuellement et diplomatiquement malhonnête. » Le coordinateur du FSS cite le cas récent de l’accueil réservé aux réfugiés ukrainiens ayant fui la guerre, qui contraste avec les naufrages incessants en Méditerranée et dans l’océan Atlantique, et avec la fermeture des ports italiens aux bateaux des ONG internationales engagées dans des opérations de recherche et de sauvetage des migrants. « Quel est ce monde dans lequel les droits de l’homme ne sont accordés qu’à certaines personnes en fonction de leur origine ?, se désole-t-il. À chaque réunion internationale sur la migration, nous répétons aux dirigeants européens que s’ils investissaient un tiers de ce qu’ils allouent à Frontex dans des politiques de développement local transparentes, les jeunes Africains ne seraient plus contraints de partir. » Le budget total alloué à Frontex, en constante augmentation depuis 2016, a dépassé les 754 millions d’euros en 2022, contre 535 millions l’année précédente.
      Une des routes migratoires les plus meurtrières

      Boubacar Seye, directeur de l’ONG Horizon sans Frontières, parle de son côté d’une « gestion catastrophique et inhumaine des frontières et des phénomènes migratoires ». Selon les estimations de l’ONG espagnole Caminando Fronteras, engagée dans la surveillance quotidienne de ce qu’elle appelle la « nécro-frontière ouest-euro-africaine », entre 2018 et 2022, 7 865 personnes originaires de 31 pays différents, dont 1 273 femmes et 383 enfants, auraient trouvé la mort en tentant de rejoindre les côtes espagnoles des Canaries à bord de pirogues en bois et de canots pneumatiques cabossés – soit une moyenne de 6 victimes chaque jour. Il s’agit de l’une des routes migratoires les plus dangereuses et les plus meurtrières au monde, avec le triste record, ces cinq dernières années, d’au moins 250 bateaux qui auraient coulé avec leurs passagers à bord. Le dernier naufrage connu a eu lieu le 2 octobre 2022. Selon le récit d’un jeune Ivoirien de 27 ans, seul survivant, le bateau a coulé après neuf jours de mer, emportant avec lui 33 vies.

      Selon les chiffres fournis par le ministère espagnol de l’Intérieur, environ 15 000 personnes sont arrivées aux îles Canaries en 2022 – un chiffre en baisse par rapport à 2021 (21 000) et 2020 (23 000). Et pour cause : la Guardia Civil espagnole a déployé des navires et des hélicoptères sur les côtes du Sénégal et de la Mauritanie, dans le cadre de l’opération « Hera » mise en place dès 2006 (l’année de la « crise des pirogues ») grâce à des accords de coopération militaire avec les deux pays africains, et en coordination avec Frontex.

      « Les frontières de l’Europe sont devenues des lieux de souffrance, des cimetières, au lieu d’être des entrelacs de communication et de partage, dénonce Boubacar Seye, qui a obtenu la nationalité espagnole. L’Europe se barricade derrière des frontières juridiques, politiques et physiques. Aujourd’hui, les frontières sont équipées de moyens de surveillance très avancés. Mais, malgré tout, les naufrages et les massacres d’innocents continuent. Il y a manifestement un problème. » Une question surtout le hante : « Combien d’argent a-t-on injecté dans la lutte contre la migration irrégulière en Afrique au fil des ans ? Il n’y a jamais eu d’évaluation. Demander publiquement un audit transparent, en tant que citoyen européen et chercheur, m’a coûté la prison. » L’activiste a été détenu pendant une vingtaine de jours en janvier 2021 au Sénégal pour avoir osé demander des comptes sur l’utilisation des fonds européens. De la fenêtre de son bureau, à Dakar, il regarde l’océan et s’alarme : « L’ère post-Covid et post-guerre en Ukraine va générer encore plus de tensions géopolitiques liées aux migrations. »
      Un outil policier contesté à gauche

      Bruxelles, novembre 2022. Nous rencontrons des professeurs, des experts des questions migratoires et des militants belges qui dénoncent l’approche néocoloniale des politiques migratoires de l’Union européenne (UE). Il est en revanche plus difficile d’échanger quelques mots avec les députés européens, occupés à courir d’une aile à l’autre du Parlement européen, où l’on n’entre que sur invitation. Quelques heures avant la fin de notre mission, nous parvenons toutefois à rencontrer Amandine Bach, conseillère politique sur les questions migratoires pour le groupe parlementaire de gauche The Left. « Nous sommes le seul parti qui s’oppose systématiquement à Frontex en tant qu’outil policier pour gérer et contenir les flux migratoires vers l’UE », affirme-t-elle.

      Mme Bach souligne la différence entre « statut agreement » (accord sur le statut) et « working arrangement » (arrangement de travail) : « Il ne s’agit pas d’une simple question juridique. Le premier, c’est-à-dire celui initialement proposé au Sénégal, est un accord formel qui permet à Frontex un déploiement pleinement opérationnel. Il est négocié par le Conseil de l’Europe, puis soumis au vote du Parlement européen, qui ne peut que le ratifier ou non, sans possibilité de proposer des amendements. Le second, en revanche, est plus symbolique qu’opérationnel et offre un cadre juridique plus simple. Il n’est pas discuté par le Parlement et n’implique pas le déploiement d’agents et de moyens, mais il réglemente la coopération et l’échange d’informations entre l’agence européenne et les États tiers. » Autre différence substantielle : seul l’accord sur le statut peut donner – en fonction de ce qui a été négocié entre les parties – une immunité partielle ou totale aux agents de Frontex sur le sol non européen. L’agence dispose actuellement de tels accords dans les Balkans, avec des déploiements en Serbie et en Albanie (d’autres accords seront bientôt opérationnels en Macédoine du Nord et peut-être en Bosnie, pays avec lequel des négociations sont en cours).

      Cornelia Ernst (du groupe parlementaire The Left), la rapporteuse de l’accord entre Frontex et le Sénégal nommée en décembre 2022, va droit au but : « Je suis sceptique, j’ai beaucoup de doutes sur ce type d’accord. La Commission européenne ne discute pas seulement avec le Sénégal, mais aussi avec la Mauritanie et d’autres pays africains. Le Sénégal est un pays de transit pour les réfugiés de toute l’Afrique de l’Ouest, et l’UE lui offre donc de l’argent dans l’espoir qu’il accepte d’arrêter les réfugiés. Nous pensons que cela met en danger la liberté de circulation et d’autres droits sociaux fondamentaux des personnes, ainsi que le développement des pays concernés, comme cela s’est déjà produit au Soudan. » Et d’ajouter : « J’ai entendu dire que le Sénégal n’est pas intéressé pour le moment par un “statut agreement”, mais n’est pas fermé à un “working arrangement” avec Frontex, contrairement à la Mauritanie, qui négocie un accord substantiel qui devrait prévoir un déploiement de Frontex. »

      Selon Mme Ernst, la stratégie de Frontex consiste à envoyer des agents, des armes, des véhicules, des drones, des bateaux et des équipements de surveillance sophistiqués, tels que des caméras thermiques, et à fournir une formation aux gardes-frontières locaux. C’est ainsi qu’ils entendent « protéger » l’Europe en empêchant les réfugiés de poursuivre leur voyage. La question est de savoir ce qu’il adviendra de ces réfugiés bloqués au Sénégal ou en Mauritanie en cas d’accord.
      Des rapports accablants

      Principal outil de dissuasion développé par l’UE en réponse à la « crise migratoire » de 2015-2016, Frontex a bénéficié en 2019 d’un renforcement substantiel de son mandat, avec le déploiement de 10 000 gardes-frontières prévu d’ici à 2027 (ils sont environ 1 500 aujourd’hui) et des pouvoirs accrus en matière de coopération avec les pays non européens, y compris ceux qui ne sont pas limitrophes de l’UE. Mais les résultats son maigres. Un rapport de la Cour des comptes européenne d’août 2021 souligne « l’inefficacité de Frontex dans la lutte contre l’immigration irrégulière et la criminalité transfrontalière ». Un autre rapport de l’Office européen de lutte antifraude (Olaf), publié en mars 2022, a quant à lui révélé des responsabilités directes et indirectes dans des « actes de mauvaise conduite » à l’encontre des exilés, allant du harcèlement aux violations des droits fondamentaux en Grèce, en passant par le refoulement illégal de migrants dans le cadre d’opérations de rapatriement en Hongrie.

      Ces rapports pointent du doigt les plus hautes sphères de Frontex, tout comme le Frontex Scrutiny Working Group (FSWG), une commission d’enquête créée en février 2021 par le Parlement européen dans le but de « contrôler en permanence tous les aspects du fonctionnement de Frontex, y compris le renforcement de son rôle et de ses ressources pour la gestion intégrée des frontières et l’application correcte du droit communautaire ». Ces révélations ont conduit, en mars 2021, à la décision du Parlement européen de suspendre temporairement l’extension du budget de Frontex et, en mai 2022, à la démission de Fabrice Leggeri, qui était à la tête de l’agence depuis 2015.
      Un tabou à Dakar

      « Actuellement aucun cadre juridique n’a été défini avec un État africain », affirme Frontex. Si dans un premier temps l’agence nous a indiqué que les discussions avec le Sénégal étaient en cours – « tant que les négociations sur l’accord de statut sont en cours, nous ne pouvons pas les commenter » (19 janvier 2023) –, elle a rétropédalé quelques jours plus tard en précisant que « si les négociations de la Commission européenne avec le Sénégal sur un accord de statut n’ont pas encore commencé, Frontex est au courant des négociations en cours entre la Commission européenne et la Mauritanie » (1er février 2023).

      Interrogé sur les négociations avec le Sénégal, la chargée de communication de Frontex, Paulina Bakula, nous a envoyé par courriel la réponse suivant : « Nous entretenons une relation de coopération étroite avec les autorités sénégalaises chargées de la gestion des frontières et de la lutte contre la criminalité transfrontalière, en particulier avec la Direction générale de la police nationale, mais aussi avec la gendarmerie, l’armée de l’air et la marine. » En effet, la coopération avec le Sénégal a été renforcée avec la mise en place d’un officier de liaison Frontex à Dakar en janvier 2020. « Compte tenu de la pression continue sur la route Canaries-océan Atlantique, poursuit Paulina Bakula, le Sénégal reste l’un des pays prioritaires pour la coopération opérationnelle de Frontex en Afrique de l’Ouest. Cependant, en l’absence d’un cadre juridique pour la coopération avec le Sénégal, l’agence a actuellement des possibilités très limitées de fournir un soutien opérationnel. »

      Interpellée sur la question des droits de l’homme en cas de déploiement opérationnel en Afrique de l’Ouest, Paulina Bakula écrit : « Si l’UE conclut de tels accords avec des partenaires africains à l’avenir, il incombera à Frontex de veiller à ce qu’ils soient mis en œuvre dans le plein respect des droits fondamentaux et que des garanties efficaces soient mises en place pendant les activités opérationnelles. »

      Malgré des demandes d’entretien répétées durant huit mois, formalisées à la fois par courriel et par courrier, aucune autorité sénégalaise n’a accepté de répondre à nos questions. « Le gouvernement est conscient de la sensibilité du sujet pour l’opinion publique nationale et régionale, c’est pourquoi il ne veut pas en parler. Et il ne le fera probablement pas avant les élections présidentielles de 2024 », confie, sous le couvert de l’anonymat, un homme politique sénégalais. Il constate que la question migratoire est devenue, ces dernières années, autant un ciment pour la société civile qu’un tabou pour la classe politique ouest-africaine.

      https://afriquexxi.info/Au-Senegal-les-desseins-de-Frontex-se-heurtent-aux-resistances-locales
      #conditionnalité #conditionnalité_de_l'aide_au_développement #remittances #résistance

    • What is Frontex doing in Senegal? Secret services also participate in their network of “#Risk_Analysis_Cells

      Frontex has been allowed to conclude stationing agreements with third countries since 2016. However, the government in Dakar does not currently want to allow EU border police into the country. Nevertheless, Frontex has been active there since 2006.

      When Frontex was founded in 2004, the EU states wrote into its border agency’s charter that it could only be deployed within the Union. With developments often described as the “refugee crisis,” that changed in the new 2016 regulation, which since then has allowed the EU Commission to negotiate agreements with third countries to send Frontex there. So far, four Balkan states have decided to let the EU migration defense agency into the country – Bosnia and Herzegovina could become the fifth candidate.

      Frontex also wanted to conclude a status agreement with Senegal based on this model (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t). In February 2022, the EU Commissioner for Home Affairs, Ylva Johansson, announced that such a treaty would be ready for signing by the summer (https://www.france24.com/en/live-news/20220211-eu-seeks-to-deploy-border-agency-to-senegal). However, this did not happen: Despite high-level visits from the EU (https://digit.site36.net/2022/02/11/status-agreement-with-senegal-frontex-wants-to-operate-in-africa-for-t), the government in Dakar is apparently not even prepared to sign a so-called working agreement. It would allow authorities in the country to exchange personal data with Frontex.

      Senegal is surrounded by more than 2,600 kilometers of external border; like neighboring Mali, Gambia, Guinea and Guinea-Bissau, the government has joined the Economic Community of West African States (ECOWAS). Similar to the Schengen area, the agreement also regulates the free movement of people and goods in a total of 15 countries. Senegal is considered a safe country of origin by Germany and other EU member states like Luxembourg.

      Even without new agreements, Frontex has been active on migration from Senegal practically since its founding: the border agency’s first (and, with its end in 2019, longest) mission started in 2006 under the name “#Hera” between West Africa and the Canary Islands in the Atlantic (https://www.statewatch.org/media/documents/analyses/no-307-frontex-operation-hera.pdf). Border authorities from Mauritania were also involved. The background to this was the sharp increase in crossings from the countries at the time, which were said to have declined successfully under “Hera.” For this purpose, Frontex received permission from Dakar to enter territorial waters of Senegal with vessels dispatched from member states.

      Senegal has already been a member of the “#Africa-Frontex_Intelligence_Community” (#AFIC) since 2015. This “community”, which has been in existence since 2010, aims to improve Frontex’s risk analysis and involves various security agencies to this end. The aim is to combat cross-border crimes, which include smuggling as well as terrorism. Today, 30 African countries are members of AFIC. Frontex has opened an AFIC office in five of these countries, including Senegal since 2019 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/frontex-opens-risk-analysis-cell-in-senegal-6nkN3B). The tasks of the Frontex liaison officer stationed there include communicating with the authorities responsible for border management and assisting with deportations from EU member states.

      The personnel of the national “Risk Analysis Cells” are trained by Frontex. Their staff are to collect strategic data on crime and analyze their modus operandi, EU satellite surveillance is also used for this purpose (https://twitter.com/matthimon/status/855425552148295680). Personal data is not processed in the process. From the information gathered, Frontex produces, in addition to various dossiers, an annual situation report, which the agency calls an “#Pre-frontier_information_picture.”

      Officially, only national law enforcement agencies participate in the AFIC network, provided they have received a “mandate for border management” from their governments. In Senegal, these are the National Police and the Air and Border Police, in addition to the “Department for Combating Trafficking in Human Beings and Similar Practices.” According to the German government, the EU civil-military missions in Niger and Libya are also involved in AFIC’s work.

      Information is not exchanged with intelligence services “within the framework of AFIC activities by definition,” explains the EU Commission in its answer to a parliamentary question. However, the word “by definition” does not exclude the possibility that they are nevertheless involved and also contribute strategic information. In addition, in many countries, police authorities also take on intelligence activities – quite differently from how this is regulated in Germany, for example, in the separation requirement for these authorities. However, according to Frontex’s response to a FOIA request, intelligence agencies are also directly involved in AFIC: Morocco and Côte d’Ivoire send their domestic secret services to AFIC meetings, and a “#Center_for_Monitoring_and_Profiling” from Senegal also participates.

      Cooperation with Senegal is paying off for the EU: Since 2021, the total number of arrivals of refugees and migrants from Senegal via the so-called Atlantic route as well as the Western Mediterranean route has decreased significantly. The recognition rate for asylum seekers from the country is currently around ten percent in the EU.

      https://digit.site36.net/2023/08/27/what-is-frontex-doing-in-senegal-secret-services-also-participate-in-t
      #services_de_renseignement #données #services_secrets

  • Zone di transito : zone di privazione del diritto ? Un report di Asgi per individuare strategie di azione

    #Malpensa e #Fiumicino. In questi due aeroporti Asgi ha condotto un lavoro di monitoraggio (delle prassi utilizzate) e di assistenza legale (dei cittadini stranieri qui trattenuti). Da questo lavoro è nato un report: Le zone di transito aeroportuali come luoghi di privazione arbitraria della libertà e sospensione del diritto.

    In tutti gli aeroporti esistono le cosidette zone di transito, luoghi in cui, come tutte le frontiere, è difficile esercitare appieno i propri diritti. Spiegano i curatori del report: “per “zone di transito” degli aeroporti si intende l’area tra il punto di atterraggio dell’aereo proveniente dall’estero e i controlli doganali […]. Nella gestione delle migrazioni queste aree assumono una rilevanza centrale. La finzione di non ingresso è infatti utilizzata strumentalmentedalle autorità di frontiera per semplificare le procedure di allontanamento dei cittadini stranieri e per mettere in atto meccanismi di selezione informale dei migranti in ingresso“.

    Quel che può accadere in questi luoghi è quindi la lesione dei diritti fondamentali dell’uomo: come l’impossibilità di accedere alla richiesta di asilo politico, il diritto al non-refoulement e l’accesso alla tutela legale. E tutto ciò può accadere (e accade) perché l’unico organismo di controllo è l’autorità di frontiera. Asgi ha sperimentato diverse forme di contrasto alle violazioni osservate nelle zone di transito: dal superamento dei limiti imposti dalle autorità alla disposizione di azioni volte a risarcire le conseguenze dannose di tali atti illegittimi.

    Asgi conclude il report indicando quali sono le strategie da mettere in atto e le urgenze a cui dare una risposta per porre fine alla violazione sistematica dei diritti degli stranieri nelle zone di transito aeroportuali.

    Il report “Le zone di transito aeroportuali come luoghi di privazione arbitraria della libertà e sospensione del diritto. La disciplina giuridica e le strategie di esercizio del diritto alla luce dell’ordinamento italiano” è a cura del Progetto In Limine dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI). Realizzato con la collaborazione della Human Rights and Migration Law Clinic (a.a. 2018-2019) e della Strategic Litigation: International Human Rights Legal Clinic del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torin.

    https://viedifuga.org/zone-di-transito-zone-di-privazione-del-diritto-un-report-di-asgi-per-ind

    #rapport #asgi #zones_de_transit #asile #migrations #réfugiés #aéroports #Italie

    pour télécharger le rapport :
    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2021/01/Report-zdt_InLimine.pdf

    résumé en anglais :
    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2021/01/Report-zdt_abstractEN_InLimine-1.pdf

  • Rapporti di monitoraggio

    Sin dal 2016 il progetto ha pubblicato report di approfondimento giuridico sulle situazioni di violazione riscontrate presso le diverse frontiere oggetto delle attività di monitoraggio. Ciascun report affronta questioni ed aspetti contingenti e particolarmente interessanti al fine di sviluppare azioni di contenzioso strategico.

    Elenco dei rapporti pubblicati in ordine cronologico:

    “Le riammissioni di cittadini stranieri a Ventimiglia (giugno 2015): profili di illegittimità“

    Il report è stato redatto nel giugno del 2015 è costituisce una prima analisi delle principali criticità riscontrabili alla frontiera italo-francese verosimilmente sulla base dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana (Accordo di Chambery)
    #Vintimille #Ventimiglia #frontière_sud-alpine #Alpes #Menton #accord_bilatéral #Accord_de_Chambéry #réadmissions

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887941

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    “Le riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso: profili di illegittimità”

    Il report è stato redatto nell’estate del 2016 per evidenziare la situazione critica che si era venuta a creare in seguito al massiccio afflusso di cittadini stranieri in Italia attraverso la rotta balcanica scatenata dalla crisi siriana. La frontiera italo-svizzera è stata particolarmente interessata da numerosi tentativi di attraversamento del confine nei pressi di Como e il presente documento fornisce una analisi giuridica delle criticità riscontrate.

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887940

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    “Lungo la rotta del Brennero”

    Il report, redatto con la collaborazione della associazione Antenne Migranti e il contributo della fondazione Alex Langer nel 2017, analizza le dinamiche della frontiera altoatesina e sviluppa una parte di approfondimento sulle violazioni relative al diritto all’accoglienza per richiedenti asilo e minori, alle violazioni all’accesso alla procedura di asilo e ad una analisi delle modalità di attuazione delle riammissioni alla frontiera.

    #Brenner #Autriche

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    “Attività di monitoraggio ai confini interni italiani – Periodo giugno 2018 – giugno 2019”

    Report analitico che riporta i dati raccolti e le prassi di interesse alle frontiere italo-francesi, italo-svizzere, italo-austriache e italo slovene. Contiene inoltre un approfondimento sui trasferimenti di cittadini di paesi terzi dalle zone di frontiera indicate all’#hotspot di #Taranto e centri di accoglienza del sud Italia.

    #Italie_du_Sud

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    “Report interno sopralluogo Bosnia 27-31 ottobre 2019”

    Report descrittivo a seguito del sopralluogo effettuato da soci coinvolti nel progetto Medea dal 27 al 31 ottobre sulla condizione delle persone in transito in Bosnia. Il rapporto si concentra sulla descrizione delle strutture di accoglienza presenti nel paese, sull’accesso alla procedura di protezione internazionale e sulle strategie di intervento future.

    #Bosnie #Bosnie-Herzégovine

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    “Report attività frontiere interne terrestri, porti adriatici e Bosnia”

    Rapporto di analisi dettagliata sulle progettualità sviluppate nel corso del periodo luglio 2019 – luglio 2020 sulle diverse frontiere coinvolte (in particolare la frontiera italo-francese, italo-slovena, la frontiera adriatica e le frontiere coinvolte nella rotta balcanica). Le novità progettuali più interessanti riguardano proprio l’espansione delle progettualità rivolte ai paesi della rotta balcanica e alla Grecia coinvolta nelle riammissioni dall’Italia. Nel periodo ad oggetto del rapporto il lavoro ha avuto un focus principale legato ad iniziative di monitoraggio, costituzione della rete ed azioni di advocacy.

    #Slovénie #mer_Adriatique #Adriatique

    https://medea.asgi.it/rapporti

    #rapport #monitoring #medea #ASGI
    #asile #migrations #réfugiés #frontières
    #frontières_internes #frontières_intérieures #Balkans #route_des_balkans

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  • Proceedings of the conference “Externalisation of borders : detention practices and denial of the right to asylum”

    Présentation de la conférence en vidéo :
    http://www.alessiobarbini.com/Video_Convegno_Def_FR.mp4

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    In order to strengthen the network among the organizations already engaged in strategic actions against the outsourcing policies implemented by Italy and Europe, during the work of the conference were addressed the issues of the impact of European and Italian policies and regulations, as well as bilateral agreements between European and African countries. Particular attention was given to the phenomenon of trafficking in human beings and detention policies for migrants and asylum seekers.

    PANEL I – BILATERAL AGREEMENTS BETWEEN AFRICAN AND EU MEMBER STATES AND THEIR CONSEQUENCES ON DETENTION

    Detention and repatriation of migrants in Europe: a comparison between the different Member States of the EU
    Francesca Esposito – Border Criminologies, University of Oxford. Esposito ITA; Esposito ENG.

    The phenomenon of returnees in Nigeria: penal and administrative consequences after return
    Olaide A. Gbadamosi- Osun State University. Gbadamosi ITA; Gbadamosi ENG.

    European externalisation policies and the denial of the right to asylum: focus on ruling no. 22917/2019 of the Civil Court of Rome
    Loredana Leo – ASGI. Leo ITA; Leo ENG.

    PANEL II – THE PHENOMENON OF TRAFFICKING AND THE
    RIGHT TO ASYLUM

    Recognition of refugee status for victims of trafficking
    Nazzarena Zorzella – ASGI. Zorzella ITA; Zorzella ENG; Zorzella FRA.

    Voluntariness in return processes: nature of consent and role of the IOM
    Jean Pierre Gauci – British Institute of International and Comparative Law. Gauci ITA; Gauci ENG; Gauci FRA.

    Conditional refugees: resettlement as a condition to exist
    Sara Creta – Independent journalist. Creta ITA; Creta ENG.

    Resettlement: legal nature and the Geneva Convention
    Giulia Crescini – ASGI. Crescini ITA; Crescini ENG; Crescini FRA.

    PANEL III – THE RISKS ARISING FROM THE REFOULEMENT
    OF TRAFFICKED PERSONS, MEMBER STATES’ RESPONSIBILITIES
    AND LAW ENFORCEMENT ACTIONS

    Introduction of Godwin Morka (Director of research and programme development, NAPTIP) and Omoruyi Osula (Head of Admin/Training, ETAHT). Morka ITA; Morka ENG. Osula ITA; Osula ENG.

    The phenomenon of re-trafficking of women repatriated in Nigeria
    Kokunre Agbontaen-Eghafona – Department of Sociology and Anthropology, University of Benin. Kokunre ITA; Kokunre ENG.

    The phenomenon of trafficking: social conditions before departure from a gender perspective
    R. Evon Benson-Idahosa – Pathfinders Justice Initiative. Idahosa ITA; Idahosa ENG.

    Strategic litigation on externalisation of borders and lack of access to the right to asylum for victims of trafficking
    Cristina Laura Cecchini – ASGI. Cecchini ITA; Cecchini ENG.

    Protection for victims of trafficking in transit countries: focus on Niger. Yerima Bako Djibo Moussa – Head of the Department of Legal Affairs and Compensation at the National Agency for Combating Trafficking in Human Beings in Niger. Yerima ITA; Yerima FRA.

    PANEL IV – LIBERTÀ DI MOVIMENTO

    ECOWAS free movement area: interferences of European policies and remedies
    Ibrahim Muhammad Mukhtar – Law Clinic Coordinator, NILE University. Mukhtar ITA; Mukhtar ENG.

    The consequences of migration policies on freedom of movement: focus on Niger
    Harouna Mounkaila – Professor and Researcher, Department of Geography, Abdou Moumouni University, Niamey. Mounkaila ITA; Mounkaila FRA.

    Identification of African citizens in transit to the European Union: functioning of data collection and privacy
    Jane Kilpatrick – Statewatch. Kilpatrick ITA; Kilpatrick ENG; Kilpatrick FRA.

    EU funding for ECOWAS countries’ biometric data registry systems: level of funding and impact on the population
    Giacomo Zandonini – Journalist. Zandonini ITA; Zandonini ENG.

    The right to leave any country, including his own, in international law
    Francesca Mussi – Research fellow in International Law, University of Trento. Mussi ITA; Mussi ENG; Mussi FRA.

    Human Rights Protection Mechanisms in Africa
    Giuseppe Pascale – Researcher of International Law, University of Trieste. Pascale ITA; Pascale ENG.

    https://sciabacaoruka.asgi.it/en/proceedings-of-the-conference-externalisation-of-borders-detention-practices-and-denial-of-the-right-to-asylum/#smooth-scroll-top

    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #retour_volontaire #renvois #expulsions #détention_administrative #rétention #Nigeria #returnees #droit_d'asile #trafic_d'êtres_humains #IOM #OIM #ASGI #rapport #réinstallation #refoulement #genre #Niger #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation #identification #données #collecte_de_données #biométrie #ECOWAS #droits_humains

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    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation :
    https://seenthis.net/messages/731749

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  • #Plainte contre l’Europe complice des horreurs perpétrées en Libye

    L’UE a violé ses obligations financières en soutenant sa gestion migratoire par la Libye selon plusieurs ONG. Dans une plainte déposée ce 27 avril, celles-ci réclament un audit de la #cour_des_comptes_européenne.

    Détention arbitraire, torture, viol, esclavage, etc. Les sévices dont sont victimes migrants et réfugiés dans la Libye en guerre sont largement documentés. Et la complicité de l’Union européenne qui externalise sa gestion migratoire, fortement dénoncée.

    Les ONG de défense des droits humains ont choisi un nouvel angle d’attaque pour contester la politique européenne de soutien aux autorités libyennes pour qu’elles interceptent en mer et maintiennent coûte que coûte sur leur sol les demandeurs d’asile. Elles ont décidé de frapper au porte-monnaie.

    Trois ONG portent plainte

    Trois organisations spécialisées dans l’expertise juridique et politique des migrations, le #Global_legal_action_network (réseau mondial d’action juridique, #GLAN), l’association pour les études juridiques sur l’immigration (#ASGI) et l’association italienne des loisirs et de la culture (#ARCI) ont déposé une plainte auprès de la cour des comptes européenne ce lundi 27 avril.

    La plainte est étayée par une déclaration de douze ONG de défense des droits humains, tels Amnesty International et la FIDH. Elle porte sur « les infractions aux #règles_financières de l’UE ». Les trois organisations estiment illégal le #soutien_financier européen à la gestion migratoire libyenne et réclament que la cour des comptes lance un audit sur la coopération de l’UE avec la Libye.

    Une plainte « révolutionnaire »

    « Les #lois_budgétaires de l’UE donnent mandat à l’UE de veiller à la bonne utilisation des #fonds_européens_de_développement, notamment en contrôlant et en évaluant en permanence leur impact sur les droits de l’homme. Sans garanties en matière de droits de l’homme, le programme de l’UE en Libye est en violation flagrante des lois européennes et internationales et se rend complice des souffrances humaines causées par le retour des migrants en Libye », fait valoir Valentina Azarova, conseillère juridique pour le GLAN.

    En s’appuyant sur le soutien matériel apporté à la Libye, cette plainte est « révolutionnaire », estime Leslie Piquemal du CIHRS, l’Institut d’études des droits de l’homme du Caire, cosignataire de la déclaration.

    Le respect des droits de l’homme transféré à la Libye

    L’UE a alloué, en juillet 2017, 91,3 millions d’euros au programme « #Gestion_intégrée_des_frontières_et_des_migrations_en_Libye » (#GIF) qui doit durer jusqu’à la fin de 2021. Ce programme a pour objectif « d’améliorer la capacité de la Libye à contrôler ses frontières et à assurer le sauvetage en mer, d’une manière pleinement conforme aux obligations et aux normes internationales en matière de droits de l’homme. » Ces #fonds ont été engagés par le biais du #Fonds_fiduciaire_d’urgence_de_l’Union_européenne_pour_la stabilité_et_la_lutte_contre_les_causes_profondes_des-migrations_irrégulières_et_des personnes_déplacées_en_Afrique (#EUTFA), lui-même principalement financé par le #Fonds_européen_de_développement.

    Si le Fonds européen de développement est soumis à des règles de bonne gestion financière - les projets soutenus doivent notamment être assortis d’un système visant à évaluer, atténuer et contrôler leur impact sur les droits de l’homme - l’EUTFA, lui, en est affranchi. Cette compatibilité avec les droits de l’homme a été transférée aux bénéficiaires des fonds.

    « L’absence de programmes de surveillance des droits et le risque que les fonds de développement soient détournés au profit de programmes de sécurité, comme le montre le #Fonds_fiduciaire_pour_l’Afrique, sont des préoccupations flagrantes que les institutions et les États membres de l’UE devraient chercher à corriger », fait valoir la plainte.

    En 2018, la cour des comptes avait elle-même pointé les faiblesses de l’EUTFA - manque de précision et risque d’#inefficacité -, et soulignait la nécessité de les revoir.

    https://www.la-croix.com/Monde/Migrants-plainte-contre-lEurope-complice-horreurs-perpetrees-Libye-2020-04
    #justice #EU #UE #Europe #Libye #externalisation #asile #migrations #réfugiés #droits_humains

    ping @karine4 @isskein @_kg_

    • Complaint to the European Court of Auditors Concerning the Mismanagement of EU Funds by the EUTrust Fund for Africa’s ‘Support to Integrated Border and Migration Management in Libya’ (IBM) Programme Submitted by Global Legal Action Network (GLAN), Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI), and Italian Recreational and Cultural Association (ARCI)

      https://c5e65ece-003b-4d73-aa76-854664da4e33.filesusr.com/ugd/14ee1a_ae6a20e6b5ea4b00b0aa0e77ece91241.pdf

    • EU: Time to review and remedy cooperation policies facilitating abuse of refugees and migrants in Libya

      One year after the resumption of the armed conflict in Tripoli, and at a time when the humanitarian situation in Libya continues to deteriorate due to further military escalation and the spreading of the Covid-19 virus, Amnesty International, the Italian Recreational and Cultural Association (ARCI), Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI), Avocats Sans Frontières (ASF), Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS), Euro-Mediterranean Human Rights Network (EuroMed Rights), the Global Legal Action Network (GLAN), Human Rights Watch (HRW), International Federation for Human Rights (FIDH), Lawyers for Justice in Libya (LFJL), Oxfam International, Migreurop, and Saferworld are calling on EU institutions to stop any actions trapping people in a country where they are in constant, grave danger.

      EU institutions should review and reform the bloc’s policies of cooperation with Libya on migration and border management and control. During the past three years, these have facilitated the containment of tens of thousands of women, men and children in a country where they have been exposed to appalling abuse.

      The call coincides with the submission by GLAN, ASGI and ARCI of a complaint before the European Court of Auditors (ECA). In their complaint, the three organisations are requesting the body to launch an audit into EU’s cooperation with Libya. Such an audit would seek to determine whether the EU has breached its financial regulations, as well as its human rights obligations, in its support for Libyan border management.

      https://euromedrights.org/publication/eu-time-to-review-and-remedy-cooperation-policies-facilitating-abuse-

    • Stop cooperation with and funding to the Libyan coastguard, MEPs ask

      The EU should stop channeling funds to Libya to manage migration and to train its coastguard, as the violation of human rights of migrants and asylum-seekers continues.

      In a debate in the Civil Liberties Committee with representatives of the Commission, Frontex, UNHCR, the Council of Europe and NGOs, a majority of MEPs insisted that Libya is not a “safe country” for disembarkation of people rescued at sea and demanded that the cooperation with the Libyan coastguard stops.

      Most of the speakers acknowledged the challenges faced by front line countries receiving most of the migrants and asylum-seekers fleeing Libya, namely Italy and Malta, and underlined that the European common asylum system needs to be reshuffled, with a focus on solidarity among member states and respect of international legislation. Others made clear that member states are entitled to protect their borders, especially in the middle of a health crisis such as the current one. Some instead criticised the closure of ports due to the COVID-19 pandemic and stressed that letting people drown cannot be a solution.

      Background

      According to UNHCR, the human rights situation inside Libya is extremely complicated, in the context of intensifying combat, the coronavirus crisis and the high number of economic migrants, refugees and internally displaced people needing material and humanitarian assistance. Around 1,500 people remain in detention centers in appalling conditions, arbitrary detentions continue to take place and resettlement schemes of the most vulnerable people to neighbouring countries have been suspended.

      Since the beginning of the year, 3,277 persons have arrived in Italy by sea and 1,135 in Malta. On 1 April, the EU naval Operation Irini succeeded Operation Sophia, with a focus on enforcing the arms embargo to Libya, in an attempt to contribute to the pacification of the country.

      You can watch the debate again: https://multimedia.europarl.europa.eu/es/libe-committee-meeting_20200427-1600-COMMITTEE-LIBE_vd

      https://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20200427IPR77915/stop-cooperation-with-and-funding-to-the-libyan-coastguard-meps-ask

    • EU : Time to review and remedy cooperation policies facilitating abuse of refugees and migrants in Libya

      One year after the resumption of the armed conflict in Tripoli, and at a time when the humanitarian situation in Libya continues to deteriorate due to further military escalation and the spreading of the Covid-19 virus, Amnesty International, the Italian Recreational and Cultural Association (ARCI), Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI), Avocats Sans Frontières (ASF), Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS), Euro-Mediterranean Human Rights Network (EuroMed Rights), the Global Legal Action Network (GLAN), Human Rights Watch (HRW), International Federation for Human Rights (FIDH), Lawyers for Justice in Libya (LFJL), Oxfam International, Migreurop, and Saferworld are calling on EU institutions to stop any actions trapping people in a country where they are in constant, grave danger.
      EU institutions should review and reform the bloc’s policies of cooperation with Libya on migration and border management and control. During the past three years, these have facilitated the containment of tens of thousands of women, men and children in a country where they have been exposed to appalling abuse.
      The call coincides with the submission by GLAN, ASGI and ARCI of a complaint before the European Court of Auditors (ECA)*. In their complaint, the three organisations are requesting the body to launch an audit into EU’s cooperation with Libya. Such an audit would seek to determine whether the EU has breached its financial regulations, as well as its human rights obligations, in its support for Libyan border management.

      The EU cooperation with Libya on border control and its consequences

      EU Member States and Institutions have long responded to the arrival of refugees and migrants, crossing the central Mediterranean on unseaworthy and overcrowded boats, by cooperating with Libyan authorities to stop departures and ensure that people rescued or intercepted at sea would be disembarked in Libya. In recent years, this policy has been pursued through new and numerous means, including the provision of training, speedboats, equipment and various forms of assistance to Libyan authorities such as the Libyan Coast Guard and Port Security (LCGPS, under the Ministry of Defence) and the General Administration for Coastal Security (GACS, under the Ministry of Interior), both under Libya’s Government of National Accord (GNA).

      EU institutions have played a key role in the definition and execution of this strategy. While significant resources have been invested in projects aimed at alleviating the suffering of refugees and migrants stranded in Libya and remain central to EU public communications on the topic, EU actions have nonetheless facilitated and perpetuated this policy of containment. The contained people have become victims of human rights violations and abuse, including indefinite, arbitrary detention and cruel, inhuman and degrading treatment, which such cosmetic measures have not remedied.

      Indeed, the overall policy of cooperation with the Libyan authorities on border control and management has been designed and consistently implemented at the EU level. It started with the launch of the EU Border Assistance Mission in Libya (EUBAM) in 2013, with the goal to support the Libyan authorities in improving and developing the security of the country’s borders. [1] It continued with the modification of the mandate of naval operation EunavforMed Sophia, tasked since June 2016 [2] to train members of the Libyan Coast Guard. It expanded with the Joint Communication by the European Commission and the High Representative for Foreign Affairs, dated 25 January 2017, indicating action to step up the capacity of the Libyan Coast Guard as a key priority. [3]] The strategy was completed through the Malta Declaration [4], of 3 February 2017, which explicitly indicated “training, equipment and support to the Libyan national coast guard and other relevant agencies” as its first priority. Crucially, this declaration also affirmed the intention to strengthen the mainstreaming of migration within the EU’s official development assistance for Africa, including through the mobilization of resources under the EU Emergency trust fund for stability and addressing root causes of irregular migration and displaced persons in Africa (EUTFA).

      The EU has then concretely implemented this strategy through the funding of specific projects, in particular the project “Support to Integrated border and migration management in Libya” (IBM project), launched in July 2017 and funded by the EUTFA with a total of €91.3m. [5] The project has focused almost entirely on enhancing the operational capacity of Libyan authorities in maritime surveillance : assisting with the supply and maintenance of speedboats ; setting up basic facilities to coordinate operations and planning the establishment of fully-fledged operational rooms ; and supporting the definition of a Libyan Search and Rescue Region, declared by Libya in December 2017. This, notwithstanding the fact that the country cannot be considered a place of safety for the disembarkation of people rescued at sea, a fact that even the Libyan authorities admitted earlier this month. It should also be noted that, despite the assistance provided, Libya has been unable to attend to this rescue area and has benefited from extensive and decisive support from Italy to coordinate maritime operations, including many triggered following sightings by EU assets. [6]

      While this strategy has achieved its objective of drastically reducing the number of people reaching Europe via the central Mediterranean – as well as the absolute number of deaths at sea, given the plummeting departures – it has also led to dramatic human consequences. Following disembarkation in Libya, since 2016 tens of thousands of women, men and children have been transferred to detention centres nominally under the control of the Libyan Ministry of Interior, where people have been detained arbitrarily for an indeterminate period of time, and where inhumane conditions and overcrowding are accompanied by the prevalence of torture and other ill-treatment. Cases of beatings, sexual violence, exploitation, forced labour, unlawful killings, and deaths in custody due to inadequate medical treatment or lack of adequate food, have been widely documented. Even outside of detention centres, refugees and migrants are constantly exposed to the risk of kidnappings, robberies, trafficking and exploitation. [7]

      The already dire humanitarian situation has been compounded, in recent weeks, by newly escalating violence in Tripoli as well as by the spreading of Covid-19 disease. All parties to the conflict, including the GNA and the Libyan National Army (LNA), have committed serious violations of international humanitarian law. Indiscriminate attacks have resulted in deaths among civilians, including dozens of refugees and migrants killed in the bombing of the detention centre of Tajoura, near Tripoli, in July 2019. [8] The risk of an escalation of violence in Libya due to the fragile political situation should have been foreseen by EU decision-makers.

      Many risks were well-known by EU Member States’ and institutions’ officials when designing the cooperation with Libya. In particular, the systematic human rights violations in detention centres – the very centres where Libyan authorities detain people who, with EU support, they intercept at sea – have been documented widely for a number of years, including by UN agencies who have also attempted to respond to such risks through human rights due diligence steps and the adoption of restrictive measures on their programmes. [9]

      While fully conscious of the horrific violations and abuses experienced by refugees and migrants taken to Libya, EU institutions have undertaken to implement the above-mentioned strategy for the past four years.

      The EU has thus contributed to the disembarkation in Libya and transfer to detention centres of tens of thousands of women, men and children. What is more, taking into account the 2012 European Court of Human Rights decision in the case Hirsi Jamaa and Others v. Italy, ruling that maritime pushbacks towards Libya breach the European Convention on Human Rights – this strategy has been designed to circumvent responsibility under international and EU laws, in multiple ways. [10] First, the focus on the capacity-building of the LCGPS is meant to ensure that people are intercepted at sea and subsequently disembarked in Libya by non-European actors – since both international and EU law prohibit the transfer of anyone to a country where their rights and freedoms are at serious risk. Second, EU institutions have tried to minimise the EU’s direct involvement and deflect attention from their responsibility for the serious abuses they have contributed to by focusing on funding projects implemented primarily by Member States. Finally, by transferring European
      development and other aid resources into the EUTFA, a fund that can be used with reduced transparency and limited supervision, and then using those funds to realize projects such as IBM, they have reduced avenues for holding decision-makers to account for the harmful contributions made by such actions.

      The complaint before the European Court of Auditors

      On 27 April 2020, GLAN, ASGI, and ARCI submitted a complaint before the European Court of Auditors, the EU body responsible for auditing the use and management of the EU budget.

      The complaint was drafted based on an expert opinion by academic experts on EU budget and development laws, Prof Dr Phillip Dann and Dr Michael Riegner of Humboldt University and Ms Lena Zagst of Hamburg University, published alongside the complaint. Following close to a year’s efforts to obtain information from various EU institutions about the use of EU funds, the complaint argues that EU funds used to implement the EU’s migration policy have been mismanaged, in breach of EU laws governing the EU budget, and with consequences for the EU and its Member States under international law. The complaint claims that the European Commission has failed to uphold its obligations under EU law to ensure that it is not acquiescing or contributing to serious human rights violations. In particular, it argues that provision of financial means to implement projects resulting in return to and containment in Libya of people at risk of human rights abuse, with knowledge of these consequences and in the absence of any legally required measures to mitigate such risks, engages the responsibility of the EU institutions. The complaint is unique insofar as it specifically addresses the responsibilities of EU institutions relevant to the use of EU funds in such projects, linking their financial disbursements and human rights obligations. Crucially, it is filed in the context of several previous and ongoing litigation efforts before domestic and regional courts and international bodies, including the European Court of Human Rights and the UN Human Rights Committee.

      The complaint calls on the ECA to launch an audit into the IBM programme for the misuse of EU funds and for its harmful impacts on human rights. The complaint argues, based on EU financial legislation, the illegality of the IBM programme due to inconsistency with the permissible funding objectives for development and other underlying funds disbursed by the EUTFA. Specifically, the use of EU funds in the IBM programme contravenes the obligation to follow legal requirements for the use of such funds, to ensure that use ‘does no harm’, and is compliant with EU law regarding sound financial management principles of effectiveness, efficiency and transparency. The arguments are based on the appended legal opinion and supported by information specific to the IBM programme researched and analysed by the groups.

      The human rights impact of the funding is particularly severe due to the fact that the IBM programme, now in its second phase, which is set to last until late 2021, is being implemented without any conditionality or restriction on the use of funding or review of funded activities, and without a human rights review or monitoring of the human rights impact. EU and international law, the complaint argues, requires that the EU and its Member States make the implementation of the programme conditional on the closure of detention centres and the enactment of asylum laws by Libyan authorities, amongst other concrete and verifiable steps.
      The programme should also provide for robust and effective review mechanisms that could result in its suspension if conditions are not respected.

      There is no doubt that EU institutions have been long aware of the risks involved in cooperating with Libyan authorities on border control and management. A recent investigation by The Guardian revealed how in early 2019 the Director of Frontex, Fabrice Leggeri, wrote to Paraskevi Michou, the Director-General of the Directorate-General for Migration and Home Affairs in the European Commission, outlining issues arising from sharing information about the position of boats in distress with Libyan authorities, highlighting how “the Commission and in general institutions may face questions of a political nature as a consequence of the SAR related operational exchanges of information.” [11] Indeed, questions about the lawfulness of the cooperation have previously been asked, not only by members of civil society. As early as March 2017, a review by the UK Independent Commission for Aid Impact noted that the UK and EU work efforts to build the capacity of the LCGPS aimed at increasing the likelihood that refugees and other irregular migrants were intercepted by the LCGPS, and that those intercepted were placed in detention. The body, which reports its findings to the British Parliament, expressed concern that “the programme delivers migrants back to a system that leads to indiscriminate and indefinite detention and denies refugees their right to asylum”, and concluded that the risk of UK aid causing unintended harm to vulnerable migrants, or preventing refugees from reaching a place of safety, had been inadequately assessed. [12] Subsequently, both the UN High Commissioner for Human Rights and the Commissioner for Human Rights of the Council of Europe expressed deep concern about the consequences of European cooperation with Libya on border control. [13]

      In 2018, the ECA opened a first, general audit on the EUTFA, leading to the Special Report “European Union Emergency Trust Fund for Africa : Flexible but lacking focus”. [14] In its conclusions, the ECA found that the fund’s more general established objectives were too broad to efficiently steer action and measure impact ; that the Commission did not comprehensively analyse needs nor the means at its disposal to address them ; that the selection of projects had been fast but not fully consistent and clear ; and that, while projects have started to deliver outputs, their monitoring was deficient. Among other weaknesses, the report highlighted the lack of a specific risk assessment framework, or – in the case of projects for the North of Africa – of any documented criteria for selecting project proposals. The funding of the IBM programme reveals that these concerns have now materialised.

      The “action fiche” for the first phase of the IBM programme – i.e. the document summarizing its objectives and relevant plans and activities – acknowledges that “Under the existing Libyan legislation, once rescued, irregular migrants generally end up in detention centres which generate international concerns.” [15] The action fiche for the second phase of the programme expands on this : “The treatment of migrants in Libyan detention centres is of great concern : there is a lack of food, hygiene is abhorrent and there is a situation of total despair. Equally important is the absence of a clear and verifiable system of the rule of law, which meets the international and human rights standards. Migrants in detention centres have often no access to legal process and cannot address any misuse of power. This situation has led to criticism on the current programs financed by the EU in Libya and influenced the design of this action.” [16]

      Despite such references to human rights and international law, the programme has not provided for any measure adequate to address the role of such funding in contributing to the dire situation of refugees and migrants trapped in Libya. Other measures supposedly adopted to mitigate the human rights impact of the programme, such as trainings and political demarches, either depend on the good will of Libyan authorities, or are tokenistic. While EU officials express concern that the continuation of abuse against refugees and migrants in Libya may “further damage the narrative and reputation of the EU”, the risk of actively facilitating this abuse is not considered in the brief risk analysis provided in the action fiche for the second phase . Notably, most of the project’s impact monitoring is outsourced to the Italian Ministry of Interior, which is also in charge of implementing many of the planned actions and has repeatedly refused to disclose information or even discuss related concerns.

      As the IBM project is set to last until end 2021, it is high time to reassess this project, as well as the implications of the wider strategy adopted by the EU and its Member States to stop irregular crossings in the central Mediterranean. Human rights violations should be stopped and remedied, not encouraged and enabled. At a time when refugees and migrants stuck in Libya, as a result of EU decisions and projects, are exposed not only to serious abuse but also to the risks emerging from intensifying conflict and spreading disease, Europe should ensure the accountability of its own institutions and that any migration cooperation programmes are devised in line with its international obligations, not least in terms of their financial dimension.

      http://www.migreurop.org/article2987

  • Esternalizzazione e diritto d’asilo, un approfondimento dell’ASGI

    Con il documento che si pubblica l’ASGI, facendo uso delle analisi, delle azioni e delle discussioni prodotte nel corso degli ultimi anni, offre una lettura del fenomeno dell’esternalizzazione delle frontiere e del diritto di asilo focalizzando la propria attenzione in particolare sulle politiche di esternalizzazione volte ad impedire o limitare l’accesso delle persone straniere attraverso la rotta del Mare Mediterraneo centrale, nonché nell’ottica della verifica del rispetto delle norme costituzionali, europee ed internazionali che tutelano i diritti fondamentali delle persone e della conseguente ricerca di strumenti giuridici di contrasto alle violazioni verificate.

    L’esternalizzazione del controllo delle frontiere e del diritto dei rifugiati viene definita come l’insieme delle azioni economiche, giuridiche, militari, culturali, prevalentemente extraterritoriali, poste in essere da soggetti statali e sovrastatali, con il supporto indispensabile di ulteriori attori pubblici e privati, volte ad impedire o ad ostacolare che i migranti (e, tra essi, i richiedenti asilo) possano entrare nel territorio di uno Stato al fine di usufruire delle garanzie, anche giurisdizionali, previste in tale Stato, o comunque volte a rendere legalmente e sostanzialmente inammissibili il loro ingresso o una loro domanda di protezione sociale e/o giuridica.

    Nell’ambito del documento è considerato prima il contesto storico della esternalizzazione, dunque quello geopolitico più recente, attinente la rotta del mar Mediterraneo centrale, infine il contesto giuridico nazionale ed internazionale che si ritiene leso da tali politiche. Vengono, dunque, indicate alcune tra le possibili strade affinché sia individuata la responsabilità dei soggetti che determinano la violazione dei diritti umani delle persone conseguenti alle politiche in materia.

    Il documento intende porsi quale strumento di dibattito nell’ambito dell’ evoluzione dell’analisi del diritto di asilo per fornire adeguati strumenti di comprensione e contrasto di un fenomeno che si ritiene particolarmente insidioso e tale da inficiare sostanzialmente la rilevanza di diritti, tra cui innanzitutto il diritto di asilo, pur formalmente riconosciuti alle persone da parte dell’Italia e degli Stati membri dell’Unione europea.

    https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/asilo-esternalizzazione-approfondimento
    #ASGI #rapport #externalisation #Méditerranée_centrale #asile #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #Mer_Méditerranée #droits_fondamentaux #droit_d'asile #Libye #Italie #Trust_Fund #HCR #relocalisation #fonds_fiduciaire_d’urgence #Trust_Fund_for_Africa

    Pour télécharger le rapport:


    https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2020/01/2020_1_Documento-Asgi-esternalizzazione.pdf

    ping @isskein

  • #métaliste (qui va être un grand chantier, car il y a plein d’information sur seenthis, qu’il faudrait réorganiser) sur :
    #externalisation #contrôles_frontaliers #frontières #migrations #réfugiés

    Des liens vers des articles généraux sur l’externalisation des frontières de la part de l’ #UE (#EU) :
    https://seenthis.net/messages/569305
    https://seenthis.net/messages/390549
    https://seenthis.net/messages/320101

    Ici une tentative (très mal réussie, car évidement, la divergence entre pratiques et les discours à un moment donné, ça se voit !) de l’UE de faire une brochure pour déconstruire les mythes autour de la migration...
    La question de l’externalisation y est abordée dans différentes parties de la brochure :
    https://seenthis.net/messages/765967

    Petit chapitre/encadré sur l’externalisation des frontières dans l’ouvrage "(Dé)passer la frontière" :
    https://seenthis.net/messages/769367

    Les origines de l’externalisation des contrôles frontaliers (maritimes) : accord #USA-#Haïti de #1981 :
    https://seenthis.net/messages/768694

    L’externalisation des politiques européennes en matière de migration
    https://seenthis.net/messages/787450

    "#Sous-traitance" de la #politique_migratoire en Afrique : l’Europe a-t-elle les mains propres ?
    https://seenthis.net/messages/789048

    Partners in crime ? The impacts of Europe’s outsourced migration controls on peace, stability and rights :
    https://seenthis.net/messages/794636
    #paix #stabilité #droits #Libye #Niger #Turquie

    Proceedings of the conference “Externalisation of borders : detention practices and denial of the right to asylum”
    https://seenthis.net/messages/880193

    Brochure sur l’externalisation des frontières (passamontagna)
    https://seenthis.net/messages/952016