• Les oubliés du droit d’asile

    Plus de 500 personnes ont participé à l’enquête réalisée sur 5 structures d’accueil parisiennes. L’enquête a permis la production d’un rapport final à partir de l’analyse des données quantitatives et qualitatives recueillies.


    Le rapport « Les oubliés du droit d’asile » dresse un constat alarmant sur les conditions d’existence des #hommes_isolés fréquentant les structures sur lesquelles l’enquête a été menée. Ces résultats amènent les associations à formuler des recommandations qui supposent une adaptation réglementaire et législative, l’augmentation des moyens ou l’ajustement des pratiques. Les associations en sont convaincues, les réponses aux difficultés rencontrées par les hommes isolés visés par l’enquête ne pourront se construire qu’en concertation et collaboration entre les associations, les services et agences de l’Etat et les collectivités.

    https://www.youtube.com/watch?v=ScjteUjbWAA

    https://www.actioncontrelafaim.org/publication/les-oublies-du-droit-dasile
    #rapport #France #Paris #asile #migrations #réfugiés #accueil #recommandations #SDF #sans-abris #sans-abrisme #hébergement #conditions_d'accueil #île_de_France #conditions_matérielles_d'accueil #enquête #dispositif_d'accueil #précarisation #allocation_pour_demandeurs_d'asile (#ADA) #accès_aux_droits #faim #santé_mentale

    ping @karine4

    • 95 entretiens poussés , un peu de sérieux , 85 bénévoles combien ça coute ? transmission des résultats aux services publiques , canal habituel ? l’honorable correspondant ? etc ...

  • Ors, la multinazionale della detenzione amministrativa sbarca in Italia

    Con alle spalle denunce di malagestione, la multinazionale arriva in Italia nel 2018 vincendo i primi appalti da società inattiva. Al suo interno, ex politici e imprenditori contribuiscono al suo ruolo come leader nel settore dell’accoglienza. Oggi gestisce il Cpr di Roma, dopo la chiusura di quello di Torino.

    Appena insediatosi come amministratore delegato del gruppo Ors – Organisation for Refugees Services – nel 2017, Jürg Rötheli si trova a dover gestire una situazione complessa. La multinazionale, leader in Europa nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa, ha una presenza consolidata in Svizzera, il Paese natio, ma la perdita di alcuni appalti e una riduzione sostanziale del numero di richiedenti asilo in Svizzera, portano il Ceo a dover ridefinire la strategia del gruppo. Rötheli assume così le vesti di innovatore e avvia un processo strategico per ristrutturare la società e lanciarla verso nuovi mercati, guardando in modo particolare al Mediterraneo e l’Italia.

    «L’assegnazione di appalti a fornitori di servizi privati consente di sgravare notevolmente le strutture statali. L’Italia rappresenta un primo importante passo per la nostra espansione nel Mediterraneo», scrive il gruppo elvetico. Il motto della multinazionale è, come specifica nel proprio sito, «neutrali, flessibili, affidabili». In un’intervista Jürg Rötheli afferma: «Grazie agli standard e ai processi che abbiamo integrato nel nostro sistema di gestione della qualità, possiamo costruire e aprire strutture praticamente durante la notte» (https://www.sqs.ch/de/blog/unser-kollektives-know-how-staendig-und-ueberall-verfuegbar-machen).

    Ors lavora in questo settore da oltre 30 anni e, oltre ad aver gestito centri di accoglienza in un regime quasi di monopolio in Svizzera, ha filiali in Austria, Germania, Spagna e Grecia. Negli anni ‘90 la Svizzera conferisce ai privati l’onere di gestire l’accoglienza e Ors, già attiva dal 1977 con altre denominazioni, si fa trovare pronta. Entra nel settore con Ors Service AG, società creata nel 1992 a Zurigo. Rötheli, prima di prendere la guida di Ors, era stato Ceo della società pubblicitaria elvetica Clear Channel Svizzera, e membro della direzione della principale società di telecomunicazioni del Paese, il Gruppo Swisscom.

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    L’inchiesta in breve

    - Ors è una multinazionale svizzera nata nel 1977 a Zurigo. Dalla fornitura di servizi a pubblico e privato è poi entrata nel mondo dell’accoglienza, espandendosi anche in Germania, Austria e più di recente in Italia e Spagna
    - Dopo diverse denunce di malagestione in centri di accoglienza in Svizzera e Austria, e il calo dei richiedenti asilo nel Paese natio, decide di espandersi nel Mediterraneo e aprire una filiale in Italia nel 2018, Ors Italia srl
    – La società però inizia la sua attività solo nel gennaio 2020, riuscendo comunque ad aggiudicarsi il Cpr di Macomer e il centro di prima accoglienza Casa Malala, pur essendo inattiva, ma il Tar del Friuli Venezia-Giulia revoca l’assegnazione del centro nei pressi di Trieste proprio per il suo stato di inattività
    - Ors è l’unica, tra le società che gestiscono i Cpr in Italia, a essere rappresentata in Parlamento da una società di lobbying, la Telos Analisi e Strategie
    – All’inizio del 2022 Ors Italia inizia la gestione dei Cpr di Roma, che continua ancora oggi, e Torino, chiuso dopo le proteste dei detenuti a febbraio per le condizioni di trattenimento
    - A fine 2022 è stata acquisita dal colosso britannico Serco e può vantare la collaborazione di un comitato consultivo composto da ex politici e imprenditori, come Ruth Metzler, attuale presidente della Fondazione della Guardia svizzera pontificia.

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    I centri gestiti dalla multinazionale, e dalle diverse filiali, sono stati nel tempo oggetto di inchieste e di accuse di mala gestione. Un rapporto di Amnesty International ha denunciato nel 2015 le condizioni inumane in cui le persone migranti erano costrette a vivere nel centro di #Traiskirchen, in Austria (https://www.amnesty.at/media/1928/research-traiskirchen.pdf). La struttura, «progettata per 1.800 persone, era arrivata a ospitarne 4.600». In questo modo Ors, secondo l’Ong, puntava a «un taglio dei costi e alla massimizzazione del profitto con “risparmi” su visite sanitarie, corsi di formazione, cibo e qualità degli alloggi». Un’inchiesta giornalistica del 2018 ha raccontato come Ors avesse ottenuto dal Governo austriaco un finanziamento di circa 250 milioni di euro, in netto rialzo rispetto al passato (https://www.addendum.org/asyl/ors).

    Anche in Svizzera è stato messo in dubbio il corretto operato della multinazionale, che è stata accusata, nel 2016, di non disporre di alimenti per bambini a sufficienza e di attuare punizioni collettive e vessazioni alle persone accolte nel centro federale d’asilo di Aesch (Basilea), allestito in una sorta di bunker, e poi chiuso, alla fine del 2016 (https://www.bazonline.ch/wie-asylsuchende-schikaniert-werden-921469837455).

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    L’assetto societario

    La storia societaria di Ors è molto ramificata. Nel 1977 a Zurigo nasce la casa madre Ors Service SA, con l’obiettivo di offrire servizi generici a pubblico e privato. Cambia nome definitivamente nel 1992 in Ors Service AG, un anno dopo aver preso in carico il primo appalto nel centro di registrazione per richiedenti asilo di Kreuzlingen. Nel 1999 viene creata la OX Holding AG (oggi Ors Group AG) che agisce come società fiduciaria, gestendo beni, titoli e obbligazioni della casa madre. Il 26 giugno 2009 la casa madre viene venduta a un fondo di private equity di Zurigo, la Invision AG, che ha la funzione di finanziare progetti in settori come l’informatica, le telecomunicazioni e i servizi sanitari.

    Nel 2013, viene creato il fondo di private equity OXZ Holding AG che acquista delle azioni della fiduciaria Ors Group AG. In questo modo, la società elvetica consolida lo svolgimento di operazioni speculative per attrarre capitali. Nello stesso momento è la Equistone Partners, una delle più grandi società di investimento di Londra, a finanziare la Ors Group AG, di fatto togliendo la società dalle mani della svizzera Invision. Equistone ha l’obiettivo di acquisire aziende o asset di imprese non quotate attraverso una serie di fondi di private equity a loro volta partecipati da investitori istituzionali come gli americani California State Teachers’ Retirement System e il Maryland State Retirement and Pension System e l’agenzia governativa di previdenza sociale dell’Arabia Saudita. Sarà la società londinese a portare Ors nel mercato tedesco e italiano.

    Oggi, le tre società più grandi del gruppo, Ors Group AG, Ors Service AG e la OXZ Holding AG hanno tutte lo stesso indirizzo a Zurigo, e condividono anche i vertici. Nel settembre del 2022, Equistone ha venduto le sue quote a Serco Group Plc per 44 milioni di franchi svizzeri. Soprannominata “the biggest company you’ve never heard of”, la più grande compagnia di cui avete mai sentito parlare, Serco è un gruppo britannico che fornisce servizi di outsourcing al settore pubblico in tutto il mondo. Ora che è proprietaria del gruppo Ors, la multinazionale inglese si è detta pronta a fornire i suoi servizi anche al nostro Paese.

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    L’espansione nel Mediterraneo

    Per espandersi verso nuovi mercati, Rötheli nomina un gruppo di personalità di alto profilo strategico, tra cui ex politici ed ex membri dei consigli di amministrazione del settore finanziario privato, riunite in un comitato consultivo che avrebbe il compito di raccomandare «soluzioni per la messa in atto della strategia e l’ulteriore sviluppo delle decisioni», si legge nella relazione 2021 (https://www.yumpu.com/it/document/read/66997937/ors-relazione-annuale-2021). A guidare il comitato è Ruth Mezler Arnold, avvocata, esponente per lungo tempo del Partito Popolare Democratico ed ex ministra della Giustizia in Svizzera, nonché dal 2018 presidente della Fondazione della guardia svizzera pontificia del Vaticano.

    La multinazionale approda in Italia il 25 luglio 2018, iscrivendosi al registro delle imprese con il nome di Ors Italia srl, totalmente controllata dalla casa madre. Il momento è favorevole. Il 1 giugno 2018 entra in carica il governo “Giallo-Verde” con Matteo Salvini ministro dell’Interno.

    Il segretario della Lega da anni pone al centro della sua politica il tema migratorio, in nome della chiusura dei confini e della sicurezza. Simbolo della sua azione da ministro, i decreti sicurezza, con cui ha permesso il taglio dei fondi all’accoglienza, l’abolizione della protezione umanitaria e il potenziamento del sistema dei rimpatri. I decreti hanno, ancora una volta, favorito il sistema emergenziale dei Centri di accoglienza straordinaria a scapito del modello virtuoso di accoglienza diffusa, che dovrebbe costituire il sistema principale. La riduzione dei fondi per l’accoglienza «va evidentemente a penalizzare i centri più piccoli e a incentivare quelli medi e soprattutto grandi, per i quali sono possibili economie di scala», si legge nel rapporto del 2019 Centri d’Italia di ActionAid. Una politica che ha creato un terreno fertile per grandi centri di accoglienza gestiti da grandi società che, risparmiando sui servizi offerti, operano con l’obiettivo di fare profitto, creando paradossalmente maggiore insicurezza.

    Il Ceo Rötheli si trova anche ai vertici di Ors Italia srl. Allo stesso modo, un’altra figura con una lunga esperienza nella multinazionale ricopre più di una carica: Maurizio Reppucci, membro del consiglio di amministrazione del gruppo e amministratore delegato della filiale italiana. Reppucci da Managing director di una sussidiaria di Ors, ABS Betreuungsservice AG, per cinque anni si è occupato di rifugiati, programmi di impiego e assistenza. La gestione di Abs è stata però criticata dal quotidiano svizzero Obersee Nachrichten, che ha denunciato le condizioni critiche di alcuni centri. Consigliere del ramo italiano è invece il cugino di Maurizio, Antonio Reppucci, ex sindaco di un paese nella zona di Avellino e in passato assessore ai lavori pubblici, oltre ad essere stato per un periodo consulente del Parlamento italiano.

    L’attività economica di Ors Italia inizierà a gennaio 2020 ma già nel periodo di inattività riesce a vincere importanti appalti: il Centro di permanenza per i rimpatri di Macomer, in Sardegna, e un centro di prima accoglienza in Friuli Venezia Giulia, Casa Malala. Si aggiudicherà poi il centro di accoglienza di Monastir e i Cpr di Roma e Torino. Per essere sicura di imporsi politicamente nel contesto italiano, la nuova srl si serve di una società di lobbying, e della sua agenda di contatti e relazioni: Telos Analisi e Strategie, studio professionale che si occupa di rappresentare gli interessi dei propri assistiti in Parlamento e si posiziona tra le prime 10 società nel campo del lobbismo italiano.

    Nell’accordo firmato nel 2020, la multinazionale elvetica delega alla lobby l’organizzazione di meeting con rappresentanti istituzionali. Lo scopo principale, secondo la relazione annuale di Telos (https://rappresentantidiinteressi.camera.it/sito/legal_32/scheda-persona-giuridica.html), sarebbe quello di «innalzare il livello di consapevolezza dei parlamentari sulle difficoltà nella gestione del Centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Monastir e del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Macomer […]», nonché per sollecitare nel 2021 risposte sull’emergenza Covid nei centri. Su questi temi si sarebbero svolte due videochiamate con due deputati: Marco Di Maio, di Italia Viva, e Andrea Vallascas, all’epoca nel Movimento 5 Stelle, lo stesso che l’anno precedente aveva presentato un’interrogazione al ministero dell’Interno per chiedere conto delle violazioni all’interno del Cpr sardo. Ors è l’unica tra le cooperative e società multinazionali che hanno gestito o gestiscono un Cpr ad avere consulenti come Telos a rappresentare i loro interessi alla Camera dei Deputati.

    In pochi anni la società si aggiudica importanti appalti

    La multinazionale sembra mettere in campo diverse strategie per assicurarsi il maggior numero di appalti in Italia. In una gara indetta dalla Prefettura di Trieste ha dichiarato, infatti, di fronte alle perplessità di un’offerta estremamente bassa, che «l’assestamento nel mercato italiano riveste una maggiore importanza rispetto a un maggiore utile di impresa», dicendo di fatto di essere disposta ad andare in perdita o rinunciare all’utile pur di assicurarsi il mercato italiano, producendo una distorsione della concorrenza. L’appalto in questione era per la gestione di Casa Malala, un centro di prima accoglienza al confine con la Slovenia, fino a quel momento gestito dal Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics) e Caritas, organizzazioni no profit presenti sul territorio da oltre vent’anni.

    Ors Italia il 15 settembre 2020 si aggiudica il centro con un ribasso del 14%. Ics, nel ricorso presentato al Tar del Friuli, ha però evidenziato che al momento del bando, nell’agosto 2019, Ors risultava inattiva, elemento che dovrebbe escludere una società dalla gara pubblica.

    Nella sua offerta, la casa madre svizzera aveva assicurato la «disponibilità piena e incondizionata a sopperire alle mancanze di capacità tecnica e professionale di Ors Italia», tramite la filiale austriaca, senza però indicare quali mezzi e risorse sarebbero state coperte. Dal ricorso emerge poi come sia stato possibile proporre un ribasso del 14%: da un lato, Ors ha inquadrato tutto il personale, compresi gli operatori diurni e notturni, in un contratto collettivo riservato alle «posizioni di lavoro relative all’esecuzione di attività semplici ed elementari di tipo manuale», non prendendo neanche in considerazione le ore potenziali di ferie, malattia e permessi. Dall’altro, nell’offerta della multinazionale i costi per colazione, pranzo, cena, compresi i costi del personale, ammontano a 4,88 euro pro die pro capite. Ics invece per la somministrazione del pranzo e della cena spende 9-10 euro. Il Tar ha accolto il ricorso, stabilendo che «lo stato di inattività di un’impresa è preclusivo alla possibilità di concorrere a una gara per l’aggiudicazione di un pubblico appalto» e affidando la gestione alle due no profit.

    Il primo appalto ottenuto in Italia da Ors, con un ribasso del 3%, è invece il Cpr sardo di Macomer, che ha gestito per un anno da gennaio 2020 al 2021. Inizialmente la multinazionale era arrivata solo seconda alla gara, è però riuscita a vincerla dopo l’intervento della Cabina di regia del ministero dell’Interno. Le varie richieste di Ors alla Prefettura di Nuoro di annullare la gara «per presunte irregolarità nella valutazione dell’offerta presentata dalla ditta» non avevano infatti ottenuto risposta affermativa, fino a che la decisione non è stata demandata al ministero. La Prefettura ha alla fine stipulato il contratto con Ors, per «l’urgenza di attivare il servizio», avvalendosi però della facoltà di risolverlo perché l’informazione antimafia – necessaria per il sistema di prevenzione dell’infiltrazione criminale – era ancora in «fase di istruttoria/verifica», come ha evidenziato anche il deputato Erasmo Palazzotto in un’interrogazione all’allora Ministra dell’interno Luciana Lamorgese. Le verifiche si sono poi concluse in assenza di interdittive antimafia il 28 ottobre 2020, tre mesi prima della scadenza dell’appalto.
    Le condizioni di trattenimento nei Cpr

    L’arrivo di Ors nel Cpr di Macomer è segnato fin da subito da un rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma (https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/b7b0081e622c62151026ac0c1d88b62c.pdf), che effettua una visita al Cpr nell’aprile del 2020, riscontrando un numero inadeguato di lavoratori. Subito dopo, la Prefettura di Nuoro annuncia un incremento dei servizi sanitari nel centro. Solo due mesi dopo, sono gli stessi detenuti a protestare per la qualità dei servizi e la violazione dei diritti fondamentali.

    La rivolta è «scatenata il 18.06.2020 da un gruppo di migranti saliti sul tetto della struttura di Macomer per protestare contro le condizioni di vita all’interno della struttura. Il culmine della ribellione si è verificato quando un uomo si è cucito le labbra ed è stato trasferito in infermeria», scrivono le consigliere regionali Maria Laura Orrù e Laura Caddeo in un’interrogazione dopo una visita nel luglio 2020 (https://www.consregsardegna.it/xvilegislatura/interrogazioni/614). Le consigliere segnalano poi un uso diffuso dei sedativi, confermato anche da un’avvocata che prestava assistenza legale ad alcuni trattenuti, e che ha denunciato il trattenimento di persone affette da gravi forme di diabete. Per finire, l’interrogazione ricorda la violazione del diritto alla difesa, sia perché le comunicazioni sulle nomine dei difensori sarebbero arrivate solo pochi minuti prima delle udienze di convalida, sia per l’assenza di mediatori linguistici durante i colloqui.

    L’esperienza di Ors in Sardegna finisce con l’arrivo del nuovo gestore Ekene a gennaio 2022, ma nello stesso periodo inizia quella a Roma, nel Cpr di Ponte Galeria. A fine novembre era morto Wissem Ben Abdel Latif, un ragazzo tunisino di 26 anni rimasto legato per tre giorni in un corridoio del reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo. Era stato trasferito lì dopo alcuni giorni passati nella struttura detentiva di Roma, diretta da Vincenzo Lattuca che è stato confermato da Ors quando è subentrata nella gestione del centro. Anche nella capitale si lamenta l’insufficienza di operatori, spesso assunti da agenzie interinali, che in alcuni casi si sarebbero licenziati per le condizioni di lavoro estenuanti. A testimoniare problemi molto simili a quelli riscontrati a Macomer, ci sono l’ex Garante delle persone private della libertà personale di Roma Gabriella Stramaccioni, la senatrice Ilaria Cucchi e il deputato Aboubakar Soumahoro. Ors, raggiunta via mail, sui dipendenti ha risposto: «La decisione di accettare o meno un lavoro è a discrezione dell’individuo».

    Di nuovo, ci sarebbero stati trattenimenti di persone non adatte alla vita in comunità ristrette, come il caso di un ragazzo che ha ingoiato un pezzo di vetro durante una visita della garante a ottobre 2022, poi dimesso dal Cpr. O la detenzione, denunciata da Soumahoro, di tre ragazzi minorenni, che secondo la normativa non potrebbero essere reclusi nei centri. Lo stesso Lattuca, direttore del centro, avrebbe confermato al deputato che al momento della visita il 65% delle persone trattenute aveva problemi di tossicodipendenza.

    Ma ciò che rende Ponte Galeria un unicum nella detenzione amministrativa italiana è la sezione femminile. A fine marzo 2023, Cucchi ha denunciato la presenza di cinque donne, nonostante il capitolato d’appalto non menzioni la presenza femminile tra la popolazione detenuta e, di conseguenza, neanche la presenza di personale femminile, necessario per «assicurare l’equilibrio di genere e tenere conto delle esigenze di carattere culturale e religioso», come si specificava nel precedente appalto.
    Le proteste di Torino

    A febbraio 2022 Ors assume la gestione del Cpr di Torino, raccogliendo l’eredità lasciata dalla multinazionale francese Gepsa, segnata dalle morti di Hossain Faisal e Moussa Balde. La multinazionale elvetica tenta un cambio di rotta rispetto alla precedente gestione ma emergono da subito criticità. Il medico convenzionato di Ors segnala, durante una visita della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), a giugno 2022, la presenza di detenuti sottoposti a terapia con metadone, casi di autolesionismo (che a marzo 2022 erano arrivati a quota 10-12 al giorno), abuso di psicofarmaci e tranquillanti. A luglio dello stesso anno, ci è stato permesso di entrare a visitare la struttura, scortati da 11 militari. Durante la nostra permanenza, diversi trattenuti hanno denunciato disagi psicologici: «Hanno sbagliato a chiamarlo centro, questo è il braccio della morte», ha detto uno di loro.

    Passa ancora qualche mese quando, il 4 febbraio di quest’anno, scoppiano le rivolte dei trattenuti. Secondo il blog No Cpr Torino (https://nocprtorino.noblogs.org/articoli), che ha raccolto testimonianze dall’interno, la protesta è partita dalle condizioni di detenzione: «Il cibo è avariato e contiene psicofarmaci, le celle sono fredde, non c’è acqua calda e le sezioni sono piene di spazzatura», si legge. Durante la nostra visita, un trattenuto si è rivolto al funzionario della Prefettura segnalando che lo shampoo e la carta igienica non venivano forniti da due settimane. La visita non ci ha fornito elementi per confermare o smentire le altre violazioni, ma è necessario evidenziare che il nostro ingresso era annunciato da diverse settimane e l’ente gestore era a conoscenza del nostro arrivo.
    Il racconto di No Cpr Torino continua: tre persone sarebbero state portate in ospedale dopo aver subito un pestaggio da parte delle forze dell’ordine. Uno di loro ha raccontato: «Ti colpiscono alla testa. Questo è un luogo pericoloso, qui non picchiano bene. Magari in carcere ti picchiano ma alle gambe. Qui, no. Non arrivano a picchiarti i singoli ma una squadra intera». Le proteste tornano a riaccendersi il 20 febbraio, questa volta per un’epidemia di scabbia secondo quanto riportato da No Cpr Torino, seguite da uno sciopero della fame di circa 20 reclusi.

    https://www.youtube.com/watch?v=qbHsMTNG6_0&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    A inizio marzo il centro viene chiuso perché inagibile. La Commissione Legalità e diritti delle persone private della libertà personale, in seduta congiunta con la Commissione speciale per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo del Comune di Torino, convocano per un’audizione Ors, con l’obiettivo di riferire su quanto si è verificato nel centro, ma l’ente gestore comunica che non avrebbe partecipato. Durante la seduta, il presidente della Commissione Legalità, Luca Pidello, si reputa «non soddisfatto» della relazione e, dopo la notizia sui lavori di ristrutturazione della struttura, scrive:

    «La domanda è […] se abbia senso continuare ad investire in una struttura di questo tipo […] o se magari queste risorse non possano essere impiegate in altro genere di politiche che possano portare ad un livello di integrazione maggiore».

    Dieci giorni dopo, la relazione arriva al Consiglio comunale di Torino. Nella seduta viene approvato un ordine del giorno che auspica la definitiva chiusura del Cpr e impegna il Sindaco e la giunta a farsi portavoci dell’istanza al Governo nazionale (www.comune.torino.it/cittagora/altre-notizie/sala-rossa-non-riapra-il-cpr-le-risorse-per-le-politiche-migratorie.html). Ad oggi, ancora nessuna istanza è stata presentata al Governo da parte dell’amministrazione torinese.

    L’attività di Ors all’estero

    Un anno dopo l’approdo in Italia, nel 2019 il gruppo apre una filiale in Spagna, Ors España Servicios Sociales. Sul sito della multinazionale, il motivo dell’apertura ai Paesi del sud del Mediterraneo è giustificato dal costante aumento dei flussi migratori che apre a sua volta nuove opportunità di mercato. Sempre nel 2019, in un post su Linkedin, Jürg Rötheli pubblicava una foto con l’attuale ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani e annunciava così l’apertura di una rappresentanza di Ors a Bruxelles.

    Ora che la società svizzera è stata venduta al gruppo Serco, anche Jürg Rötheli è entrato a far parte del colosso britannico: è stato nominato direttore operativo della sezione immigrazione. Si prospetta quindi una nuova fase per Ors, forte del sostegno di una multinazionale come Serco.

    Stando ai dati del 2022, Ors gestisce in tutti i Paesi in cui opera 120 strutture, di cui 95 solo in Svizzera, con un fatturato di oltre 173 milioni di franchi, pari a più di 180 milioni di euro. L’arrivo di Rötheli alla guida della società non ha frenato però le accuse di mala gestione. Nel 2018 alcune associazioni svizzere hanno svolto inchieste e successivamente denunciato Ors per le condizioni di vita all’interno delle strutture gestite a Friburgo. I testimoni raccontano di difficoltà o totale mancanza di accesso alle cure, violenze verbali e talvolta fisiche, molestie sessuali e acqua fredda nelle docce in pieno inverno. Nel centro federale di Basilea è stato denunciato l’uso sistematico delle celle di isolamento e di pestaggi nei confronti dei richiedenti asilo. A Boudry, si racconta invece di un «sistema punitivo»: i testimoni parlano di un costante uso dello spray al peperoncino, placcaggi a terra e insulti omofobi.

    Con l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, quasi sei milioni di persone hanno chiesto asilo in Europa e gli appalti di Ors sono aumentati di un terzo: nel 2021 erano 80, con 1.400 dipendenti, 900 in meno dell’anno successivo.

    Come ricorda Rötheli nella relazione annuale del 2022, la Svizzera ha accolto 85.000 rifugiati ucraini e 30.000 richiedenti asilo legati alla migrazione regolare fino al marzo 2023. La maggior parte di loro, specifica il Ceo della società, è stata seguita da Ors. Per questo la perdita di molti appalti in Austria e di 19 centri in Svizzera non sembra preoccupare il gruppo elvetico. Rötheli, all’indomani dell’acquisizione da parte di Serco, ha commentato: «La partnership con Serco ci apre nuove prospettive. Allo stesso tempo, garantiamo continuità ai nostri clienti in tutti i Paesi in cui operiamo e in tutti i settori di attività» (https://it.ors-group.org/press-release-serco-it).

    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-roma-torino-multinazionale-ors
    #CPR #rétention #détention_administrative #Rome #asile #migrations #réfugiés #ORS #privatisation #Jürg_Rötheli #Italie

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    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

  • Signature par le Conseil d’un #accord avec l’#Albanie sur la #coopération avec #Frontex

    Le Conseil a adopté une décision relative à la signature d’un accord avec l’Albanie en ce qui concerne les activités opérationnelles menées par l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes (Frontex). Cet accord permettra l’organisation d’#opérations_conjointes et le déploiement d’équipes de Frontex spécialisées dans la gestion des frontières en Albanie. Le déploiement d’équipes de Frontex aura lieu sous réserve que le pays soit d’accord. La décision a été prise par voie de procédure écrite.

    « La criminalité transfrontière et la gestion de l’immigration constituent des défis importants tant pour les pays de l’UE que pour nos voisins les plus proches. »
    Fernando Grande-Marlaska Gómez, ministre espagnol de l’intérieur par intérim

    Grâce à cet accord, Frontex sera en mesure d’aider l’Albanie à gérer les flux migratoires, et à lutter contre l’immigration clandestine et contre la criminalité transfrontière.

    Contexte

    Depuis l’adoption d’un nouveau règlement relatif à l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes en 2019, Frontex peut prêter assistance aux pays avec lesquels elle signe des accords sur l’ensemble de leur territoire et pas seulement dans les régions limitrophes de l’UE, comme c’était le cas en vertu du mandat précédent. Le règlement permet également au personnel de Frontex d’exercer des pouvoirs d’exécution, comme les vérifications aux frontières et l’enregistrement de personnes.

    Cet accord remplacera l’accord actuel entre l’Albanie et Frontex, qui est entré en vigueur en 2019 (et qui a été conclu avant l’entrée en vigueur du nouveau règlement relatif à l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes).

    Frontex a conclu des accords de coopération en matière de gestion des frontières avec la #Serbie (2020) en vertu des règles précédentes, et avec la #Moldavie (2022), la #Macédoine_du_Nord et le #Monténégro (tous deux en 2023) en vertu des nouvelles règles.

    Prochaines étapes

    Une fois que le Parlement européen aura donné son approbation à l’accord, celui-ci pourra être définitivement conclu par le Conseil.

    L’accord entrera en vigueur le premier jour du deuxième mois suivant la date à laquelle l’Albanie et l’UE se seront notifié l’accomplissement de leurs procédures de ratification.

    - Renforcer les frontières extérieures de l’UE (informations générales) : https://www.consilium.europa.eu/fr/policies/strengthening-external-borders
    - Accord entre l’Union Européenne et la République d’Albanie concernant les activités opérationnelles menées par l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes en République d’Albanie : https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11944-2023-INIT/fr/pdf
    – Décision du Conseil relative à la conclusion de l’accord entre l’Union européenne et la République d’Albanie concernant les activités opérationnelles menées par l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes en République d’Albanie : https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11945-2023-INIT/fr/pdf

    https://www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2023/09/08/council-will-sign-agreement-with-albania-on-frontex-cooperation
    #frontières #migrations #asile #réfugiés #contrôle_frontalier

  • Traversées de la #Manche : la #surveillance du littoral nord de la France va être renforcée par des #drones

    Un arrêté des préfectures du Nord, du Pas-de-Calais et de la Somme autorise pour une durée de trois mois l’usage simultané de 76 #caméras embarquées sur des drones, des hélicoptères et un avion.

    Jusqu’à 76 caméras vont surveiller le #littoral du nord de la France par les airs, notamment via des drones, dans le cadre d’un renforcement de la lutte contre le trafic migratoire vers le Royaume-Uni, a annoncé la préfecture samedi 9 septembre, confirmant une information de La Voix du Nord. Un arrêté des préfectures du Nord, du Pas-de-Calais et de la Somme, publié jeudi, autorise pour une durée de trois mois l’usage simultané de 76 caméras embarquées sur des drones, des hélicoptères et un avion dans ces trois départements.

    Ces caméras, transportées entre autres par des drones de la police aux frontières, des directions départementales de la sécurité publique et de la gendarmerie, pourront surveiller une bande côtière allant jusqu’à cinq kilomètres à l’intérieur des terres, hors agglomération. L’objectif est de lutter contre le trafic d’êtres humains et contre le franchissement irrégulier des frontières, ainsi que de permettre le « secours aux personnes ». « Il n’existe pas de dispositif moins intrusif permettant de parvenir aux mêmes fins » de surveillance des vastes zones de regroupement ou de mise à l’eau des embarcations des migrants près des plages, argue l’arrêté. Quelque 80 000 migrants ont tenté de rejoindre le Royaume-Uni en traversant la Manche en 2022, selon le texte.

    En France, l’utilisation de drones par les forces de l’ordre est encadrée par un décret publié en avril. D’après les termes de ce décret, plusieurs raisons peuvent être invoquées pour filmer avec des drones, parmi lesquelles « la prévention des atteintes à la sécurité des personnes et des biens dans des lieux particulièrement exposés ». La durée d’utilisation d’un drone par les forces de l’ordre sur un périmètre donné est de trois mois maximum, renouvelable sous conditions.

    https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/traversees-de-la-manche-la-surveillance-du-littoral-nord-de-la-france-v
    #militarisation_des_frontières #frontières #asile #migrations #réfugiés #Calais #France

  • I richiedenti asilo senza diritti a Cipro, l’isola divisa in due

    Nel Paese, tagliato dalla Green line, i migranti vivono in condizioni difficili, spesso senza casa, documenti e lavoro. Il governo riconosciuto dall’Ue, con l’aiuto dell’Agenzia Frontex, vuole ridurre gli arrivi e aumentare i rimpatri. A tutti i costi.

    Esele chiude il rasoio a mano libera e spande polvere di talco sul volto appena rasato di John, che si osserva attentamente nello specchio. Al di là della vetrina, sulla strada, lo aspettano Blessing, Ibrahim e Daniel. “Sono bravi questi barbieri -dice quest’ultimo mentre si passa una mano dietro la nuca- io ho finito giusto due minuti fa”. Vengono tutti e quattro dalla Nigeria, hanno 25 anni, sono a Cipro da poco e anche per loro il Dignity center, struttura gestita dalla Ong britannica Refugee support nel centro di Nicosia, è un punto di riferimento per i servizi che offre. Scherzano e parlano del futuro in un fiume di parole: “Voglio andare in Italia, a Napoli -dice Blessing- è bella e ho tanti amici là”. Ma appena chiedi come va a Cipro la risposta è lapidaria: “Bene”.

    A fine giornata la stazione centrale dei bus di Nicosia, in piazza Solomou, è piena di lavoratori stranieri. Un continuo passaggio di tute da lavoro, scarpe antinfortunistiche e pantaloni sporchi di calce e vernice anima la piazza al crepuscolo. Al quarto piano di un palazzo poco lontano, Corina Drousiotou, cipriota di 47 anni, è seduta alla sua scrivania nella sede del Cyprus refugee council, una Ong cipriota attiva nell’advocacy come nel supporto legale, sociale e psicologico. “Cipro è un Paese con poca popolazione, con alto livello di istruzione, e che ha bisogno di manodopera -racconta la donna che è coordinatrice della Ong-. Dal 2004 a oggi infatti le diverse fasi negli arrivi di persone migranti nel Paese si sono alternate a seconda della situazione economica”. Il nuovo esecutivo insediatosi a febbraio dopo le elezioni presidenziali sta seguendo l’indirizzo del precedente governo, che Corina riassume in una breve formula: “Meno arrivi, più rimpatri”.

    A mezz’ora dall’apertura del Dignity center ci sono già una ventina di persone davanti all’ingresso. A Cipro i richiedenti asilo hanno accesso al lavoro e al welfare in caso di disoccupazione, per questo il centro, oltre a distribuire cibo, mettere a disposizione una lavanderia e un servizio settimanale di barbiere, offre anche un aiuto per compilare le pratiche. Paul Hutchings, chief executive di Refugee support, segnala che i tempi della burocrazia da inizio 2023 sono sempre più lunghi: “L’attesa per le richieste di accesso al welfare è triplicata, c’è chi attende tre o quattro mesi”. In fila ci sono anche Dawood e Rahman, due cittadini afghani di circa 30 anni. “Vorrei fare l’insegnante di Ju Jitsu -dice il primo- però ai richiedenti asilo è consentito solo fare alcuni lavori”. Sul tavolo c’è l’elenco ufficiale degli impieghi, e non è certo una lista dei desideri. “Ho sempre fatto il contabile, non ho altra esperienza -spiega Rahman-. Ho provato a fare il cameriere, ma senza formazione, dopo tre giorni mi hanno mandato via senza paga. E se rifiuti sei escluso dai sussidi”.

    “La divisione del Paese -spiega Corina- impatta direttamente sulla condizione dei migranti e anche nel ‘processo’ di asilo”. Dal 1974 Cipro è diviso de facto in due entità statali separate dalla Green line. A Sud la Repubblica di Cipro è parte dell’Unione europea ma è fuori dallo spazio Schengen, anche se dal 25 luglio 2023 è entrata nello Schengen information system, che consente lo scambio di dati tra cui le impronte digitali. A Nord invece la repubblica turca di Cipro del Nord, riconosciuta però solo dalla Turchia.

    La Green line per questo motivo non è considerata come un confine ufficiale, anche se vi sono valichi di accesso con controllo dei documenti, ma solo come linea del cessate il fuoco. Secondo fonti governative l’85% degli ingressi “irregolari” di richiedenti asilo nel 2021 sono avvenuti attraverso la Green line. “Molti arrivano al Nord in aereo con un visto per studio o lavoro, spesso sono vittime di truffe o dei trafficanti -racconta Corina-, il governo ha spesso accusato le autorità del Nord di usare i migranti per esercitare pressione. È chiaro che la questione migratoria giochi un ruolo nei rapporti tra Nord e Sud, ma non è la situazione della Bielorussia nel 2021”. Corina si riferisce a quanto successo sulla frontiera con la Polonia, quando migliaia di persone provarono ad entrare in Europa per chiedere asilo ma fu negato loro l’ingresso, e il rifiuto fu motivato dalla narrazione tossica centrata sulla strumentalizzazione dei migranti da parte di Minsk.

    Tra le persone in fila di fronte al Dignity centre c’è anche Youssef, 24 anni, cittadino iraniano, che è da poco uscito dal centro di prima accoglienza di Pournara: “Era terribile, mancavano le medicine, il cibo faceva star male, le tende troppo affollate”. Racconta che è dovuto scappare dal suo Paese perché è cristiano: “Se fossi rimasto sarei sicuramente morto”. Decine di richiedenti asilo siedono sul muretto, sotto le fronde degli alberi. Ogni mattina vengono alla rotatoria di piazza Oxi sperando che qualcuno li carichi per una giornata di lavoro. “I casi di sfruttamento sono frequenti -dice Corina- viene presentata come una situazione straordinaria, ma i problemi per i migranti sono semplici, gli stessi di tutti: il lavoro e la casa”.

    Nel 2022 sono state presentate 22.182 richieste di asilo a Cipro, tra quelle esaminate vi è stato un tasso di rifiuto del 98,3%. Le persone provengono soprattutto da Siria, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, Camerun e Somalia. Le procedure in genere sono molto lente. Il 2022 si è chiuso infatti con 29.715 richieste d’asilo ancora pendenti, mentre nei primi tre mesi del 2023 erano già state presentate 3.131 nuove richieste. “Gli arrivi hanno iniziato ad aumentare dal 2017”, riprende Corina.

    È in tale contesto che dal 2018 ha cominciato a operare nel Paese anche Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee, che nel solo 2021 ha assistito la Repubblica di Cipro in 104 operazioni di rimpatrio. Human rights watch segnala che Cipro è tra quei Paesi europei dove è attiva Frontex e in cui gli abusi verso richiedenti asilo sono ampiamente documentati. In questo senso anche il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa rileva che vi sono accuse per maltrattamenti nei casi di rimpatri annullati. Nel 2021 inoltre il precedente governo aveva iniziato a disporre filo spinato lungo la Green line e aveva stretto accordi con Israele per implementare la sorveglianza. “È stata una novità per Cipro considerare la Green line come un confine esterno -afferma Corina-. Il nuovo governo sembra però non ritenere utili le recinzioni al fine di fermare gli arrivi. È diffusa la preoccupazione che queste misure portino a un inasprimento della divisione, e i migranti sembrano essere solo un pretesto”.

    Uno dei barbieri dà gli ultimi colpi di scopa sul pavimento. “All’inizio nessuno voleva farsi fare i capelli da me, ma ora c’è la fila -spiega Ride Sadou, cittadino camerunense di 32 anni, che ogni venerdì diventa barbiere al Dignity centre-. La gente ha bisogno di sentirsi bene, in ordine, per sé e per gli altri”. Ora è disoccupato ma ha lavorato per due anni in una piccola fabbrica di alluminio: “Nonostante le mie richieste non mi facevano il contratto e le paghe erano misere. Non ci sono sindacati che si occupano di questi problemi. Allora me ne sono andato, meglio fare le consegne in bici”.

    Fuori dalla finestra diluvia. Corina alla sua scrivania spiega che anche qui “come altrove si attuano politiche che hanno l’obiettivo di far soffrire queste persone per farle scappare”. Il Centro di prima accoglienza di Pournara, dove chi entra “irregolarmente” deve presentare la domanda di asilo, è a circa 20 chilometri dalla capitale. Sarebbe prevista una permanenza di 72 ore ma di solito le persone rimangono lì dai 45 ai 60 giorni e si genera sovraffollamento. Un mese dopo la presentazione della domanda, ormai fuori dal centro, ci si può iscrivere all’Ufficio del lavoro ma serve la residenza. “Ma molti ciprioti non affittano ai richiedenti asilo e questo è un problema -conclude Corina-. Fuori dal centro ci sono addirittura persone che vendono indirizzi”.

    L’auto della polizia si ferma sul ciglio della strada, a cento metri dai cancelli del centro di Pournara. L’agente grida dal finestrino: “Che cosa ci fate qui?”. Scende dal veicolo, controlla i documenti e, senza perdere il piglio autoritario, dice: “Giornalisti? Fate le vostre foto e andate via. Non parlate con nessuno”.

    https://altreconomia.it/i-richiedenti-asilo-senza-diritti-a-cipro-lisola-divisa-in-due

    #Chypre #asile #réfugiés #migrations

  • Telling the story of EU border militarization

    Addressing and preventing European border violence is a huge but necessary strategic challenge. This guide offers framing messages, guiding principles, and suggested language for people and organisations working on this challenge. It emerges from a process of discussion online and in-person between over a dozen organisations working in the European migrant justice space.

    The European Union’s external borders are rapidly becoming more expansive and more dangerous. Europe’s border regime is costing lives, destabilising countries beyond European borders, and driving widespread abuse - and its budget and power is increasing. Meanwhile, the migration justice movement is under-resourced and often necessarily composed of organisations working on a single significant element of the vast EU border regime.

    A key part of successfully challenging Europe’s border regime is being able to describe and expose it, by telling the same story about the dangers it poses across the continent. For the last few months, a number of organisations involved in human rights and migration have worked together to produce this guide; which provides that story, as part of a narrative guide to communicating about border militarisation and its consequences.

    https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/telling-the-story-of-eu-border-militarization
    #ressources_pédagogiques #militarisation_des_frontières #frontières #asile #migrations #réfugiés #brochure #manuel #guide #justice_migratoire #narration #externalisation #Frontex #business #complexe_militaro-industriel #lobby #industrie_militaire #technologie #morts_aux_frontières #mourir_aux_frontières #menace #violence #justification #catégorisation #récit #contre-récit

  • Des centaines d’exilées risquent leur vie pour rejoindre la France depuis le Piémont en Italie

    La montagne-frontière 1/2. Le #Briançonnais est une route migratoire de plus en plus empruntée par des exilées qui cherchent à rejoindre la France depuis le Piémont en Italie. Une véritable chasse à l’homme est menée à la frontière, poussant les exilées à emprunter les chemins les plus périlleux. À Oulx, en Italie, un refuge solidaire tente de s’organiser pour réduire les risques.

    Sur le bord de la Nationale 94 qui relie Montgenèvre à Briançon (Hautes-Alpes), huit agents de police et douaniers encerclent deux hommes originaires d’Afrique Subsahariennes. Les deux hommes assis sur le talus qui borde la route ont l’air exténués. Comme eux, chaque jour, plusieurs dizaines de personnes exilées tentent de traverser la frontière Franco-Italienne à pied pour rejoindre Briançon. Entre 15 et 20 kilomètres d’un périple dangereux, à plus de 1 800 mètres d’altitude, dans les hauteurs de la station de ski de Montgenèvre.

    Un chemin semé d’embuches où les personnes exilées croisent la route de randonneurs interloqués. L’entreprise se termine bien souvent par une interpellation par la police française. Et pour cause, la préfecture a déployé un véritable arsenal à la frontière pour traquer celles et ceux qui tentent de la traverser clandestinement. « Début 2022, ce sont ainsi près de 300 policiers et gendarmes qui sont affectés au contrôle de la frontière. Les deux escadrons de gendarmes mobiles étant désormais dotés d’un état-major sous le commandement d’un colonel », détaillait dans un rapport l’association briançonnaise Tous Migrants, fin 2022.

    Une véritable chasse à l’homme s’organise. Un déploiement toujours plus impressionnant de moyens humains et techniques. Les forces de police n’hésitent pas à recourir à des lunettes thermiques ou des drones pour tenter de repérer les contrevenants. Un dispositif qui se chiffre en millions d’euros d’argent public. Tous Migrants, dans son étude menée entre novembre 2021 et novembre 2022, dénonce des interpellations qui se traduisent par « des procédures expéditives menant aux violations systématiques des droits des personnes, notamment du droit fondamental de demander l’asile à la frontière. » Selon de multiples témoignages, une fois interpellés, les exilé.es sont systématiquement ramené.es à la frontière italienne, sans autre forme de procès.

    Les policiers nous ont ramené à la frontière, puis la Croix rouge est venue nous chercher pour nous ramener au refuge

    « La traversée était extrêmement dure, on a cru qu’on n’allait pas y arriver », relate Aziz* arrivé à Briançon la veille avec sa conjointe Catherine* et un couple d’amis. « On a traversé la frontière la journée, on était obligés d’aller plus haut dans la montagne pour éviter la police », explique le jeune homme, parti du Cameroun en 2019 pour fuir l’insécurité sociale d’un pays où sa vie « était en danger ».

    Tous les quatre sont partis d’Oulx en Italie, à une vingtaine de kilomètres de la frontière. En chemin à huit heures du matin, la traversée leur a pris plus de 10 heures et s’est soldée par un passage à l’hôpital pour Catherine tant ses pieds étaient douloureux à son arrivée. Aziz est tout de même soulagé d’avoir enfin réussi, car il n’en était pas à son coup d’essai. « La première fois, on n’a pas réussi parce qu’on est tombés sur la police, dit-il. Ils nous ont ramené à la frontière, puis la Croix rouge est venue nous chercher pour nous ramener au refuge. »
    Fraternità Massi, un refuge qui offre le gîte et le couvert avant la traversée

    Le lieu en question, c’est le refuge Fraternità Massi à Oulx, dans le Val de Suze, qui fait partie de la métropole de Turin. Un grand bâtiment de quatre étages planté près du clocher d’une église. Huit préfabriqués blancs et bleus sont disposés dans la large cour pour augmenter la capacité d’accueil et permettre l’installation de sanitaires et de locaux pour des visites médicales.

    Il fait presque 30 degrés cet après-midi d’août dans la vallée italienne. Quelques personnes, exténuées, font une sieste à même le sol, à l’ombre d’un préfabriqué ou sous une toile tendue entre ces abris de fortune et les murs de l’église. Le refuge a été inauguré en 2018 et est géré par l’ONG Talita, fondée par un prêtre. Pour faire fonctionner le lieu, se côtoient dedans, travailleurs associatifs, bénévoles, médecins.

    Trois travailleurs et bénévoles racontent les va-et-vient des personnes exilées, qui restent rarement plus d’une nuit au refuge. Les hébergé.es commencent à affluer en fin d’après-midi, quasiment toujours en provenance de Turin pour trouver un toit, un repas chaud, quelques soins et surtout des conseils pour entreprendre la traversée de la frontière sans se mettre en danger. « Le plus important, c’est d’établir un dialogue, affirme Anna, médecin au refuge. Il faut comprendre si les gens qui arrivent ont besoin de soin, de soutien psychologique ou d’aide juridique. »
    Une courte halte avant de prendre la direction de la France

    Les solidaires du lieu ont peu de temps pour apporter de l’aide aux personnes avant qu’elles ne reprennent la route. Le matin, des volontaires accompagnent ceux qui souhaitent entreprendre la traversée à un arrêt de navette touristique qui les conduira à Clavière, à quelques encablures de la frontière. Ils entameront alors la quinzaine de kilomètres à pied qui les sépare de Briançon.

    Celles et ceux qui se font attraper par la police française sont ramenés au poste de la Police aux frontières de Montgenèvre, puis remis aux autoritées italiennes. La police italienne contacte ensuite la Croix rouge qui les ramène au refuge… Avant qu’ils ne retentent leur chance le lendemain.

    Une procédure totalement absurde pour les solidaires de la Fraternità Massi. « C’est une partie de ping-pong entre la France et l’Italie qui se renvoient la balle », s’agace Elena, bénévole au refuge. Adam y voit, lui, « un jeu politique entre pays européens. Mais à ce jeu, ce sont toujours les plus précaires qui trinquent », soupire le médiateur culturel.
    Depuis 2018, une dizaine de personnes sont mortes durant la traversée

    Et pour cause, la chasse à l’homme organisée à la frontière rend la traversée d’autant plus périlleuse. « Certains essaient dix fois avant de parvenir à Briançon », affirme Jean, administrateur au refuge les Terrasses Solidaires dans la ville des Hautes-Alpes. « Plus les personnes exilées seront attrapées par la police et reconduites à la frontière, plus elles prendront de risques et emprunteront des itinéraires compliqués pour venir à bout de la montagne frontière », décrit-il.

    La semaine dernière, un gars a terminé la traversée avec une fracture ouverte du genou, c’est inhumain

    Alors bien souvent, hommes, femmes et enfants arrivent à Briançon dans un triste état. « La semaine dernière, un gars a terminé la traversée avec une fracture ouverte du genou, c’est inhumain », s’insurge Marjolaine, également administratrice aux Terrasses Solidaires. L’issue peut être plus tragique encore. Le lundi 7 août, un jeune Guinéen a été retrouvé mort dans les hauteurs de Montgenèvre, il s’appelait Moussa. Une dizaine de corps sans vie ont ainsi été retrouvés depuis 2018.

    La mort de Blessing Matthew, premier décès répertorié sur cette frontière, a marqué les esprits. Et pour cause, un de ses compagnons de route met en cause les gendarmes qui ont tenté de l’interpeller avant qu’elle ne tombe dans la rivière. Blessing Matthew est morte noyée dans la Durance, la plus longue rivière de Provence.
    Des routes d’exil qui varient selon les périodes

    La traversée est rendue aussi plus dangereuse par la méconnaissance du milieu montagnard. Selon les bénévoles et travailleurs de la Fraternità Massi, jusqu’à noël 2022, les réfugiés qui arrivaient venaient principalement d’Iran et d’Afghanistan. Ils avaient donc emprunté la route des Balkans pour rejoindre l’Italie. « Depuis Noël, c’est presque que des ressortissants du Maghreb ou d’Afrique subsaharienne, constate Elena. Ils sont arrivés en Calabre ou à Lampedusa. Ils n’ont jamais vu la montagne. »

    Au refuge, tout est fait pour tenter de limiter les risques lors du périple. « On essaie de leur donner des conseils, et de leur fournir des habits adaptés, surtout des chaussures pour la montagne », explique Anna, médecin au refuge. « Il n’est pas rare qu’ils arrivent en claquettes, ce n’est pas possible de marcher en montagne comme ça », souligne Elena. Une pièce entière est consacrée au stockage d’habits offerts par des donateurs. « Le problème, c’est qu’on est souvent à court de chaussure », indique Anna en désignant des cartons vides.
    Un été 2023 à flux tendu

    Le problème est particulièrement présent en ce mois d’août où le refuge a du mal à faire face à l’afflux des exilés. « Ici, on est habitué à avoir 50 ou 60 personnes », explique Anna, qui précise que le lieu compte 70 lits. « Mais ça fait 20 jours qu’on a dépassé les 100 personnes, on est même monté à 140 il y a quelques jours. »

    Un phénomène qui peut s’expliquer par la situation en Tunisie selon Adam. « Des gens qu’on a accueillis étaient en Tunisie depuis 5 ou 6 ans, mais la situation s’est tendue, c’est très violent. Les femmes sont systématiquement violées en Tunisie, les hommes sont tués par des groupes de personnes racistes, s’insurge-t-il. C’est la chasse au noir là-bas. »

    Pour les personnes exilées qui réussissent la traversée, le refuge des Terrasses Solidaires de Briançon reste un lieu d’accueil de l’autre côté de la frontière. Mais comme à Oulx, ce refuge fait face un afflux inédit de personnes cet été. Ces refuges sont pleins à craquer et traversent une “crise humanitaire” tout en faisant face au déni des pouvoirs publics.

    https://www.bondyblog.fr/societe/des-centaines-dexilees-risquent-leur-vie-pour-rejoindre-la-france-depuis-l

    via @olaf #merci

    #frontière_sud-alpine #Italie #France #asile #migrations #frontières #Hautes-Alpes #chasse_à_l'homme #Montgenèvre #militarisation_des_frontières #Fraternità_Massi #Oulx #Val_de_Suse

    • « Le problème, c’est qu’on est souvent à court de chaussure », indique Anna.

      Y a peut-être un truc simple (?) à mettre en place entre le refuge de Briançon et celui de Oulx : rapporter les chaussures de montagne « prêtées ».

      Les refuges de Oulx et de Briançon organisent le prêt de chaussures de montagne ; Oulx maintient un stock de différentes pointures, les migrants partent avec des « chaussures de traversée » au pieds et emmènent les leurs dans leur sac ; à l’arrivée au refuge de Briançon, ils « rendent » les « outils de traversée sécurisée » ; Briançon retourne les chaussures de prêt à Oulx, ou propose aux touristes qui traversent vers l’Italie de les retourner « pour la bonne cause ». Y a sans doute moyen de faire pareil pour les habits, chaussettes, chapeaux, gants, sacs à dos.

    • @olaf ça existe déjà...
      et ça a été raconté dans un film (qui malheureusement aurait pu être bien mieux à mon goût), mais voici :
      400 paires de bottes

      Quelque part en Italie, dans les montagnes, non loin de la frontière avec la France, une paire de bottes Decathlon premier prix est chaussée par un homme venu d’Afrique de l’Ouest. Ces chaussures aux pieds, il se lancera dans la traversée nocturne de la frontière, à Montgenèvre, la plus ancienne des stations de sports d’hiver de France. Achetées à Turin par des Italiens solidaires de la cause des migrants, ces bottes auront été portées avant lui par des centaines d’autres hommes à la peau noire. Ramenées en Italie par des Français solidaires, elles seront portées après lui par bien d’autres. Passant de mains en mains, de mains en pieds, et de pieds en mains, la trajectoire circulaire des bottes dévoile un territoire de montagne situé aux confins de la France et de l’Italie, où échanges et liens de solidarité se nouent dans les rigueurs de l’hiver.

      https://www.films-de-force-majeure.com/project/400_paires_de_bottes

      https://www.youtube.com/watch?v=aUEyx1Vws88&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.films-de-force-

    • Migranti respinti al confine francese ’anche con droni’. Pieno il rifugio in Val di Susa ’dormono anche in terra

      Respingimenti di migranti dalla gendarmerie francese verso il Piemonte in Valle di Susa. La denuncia arriva da Rainbow4Africa

      Ancora respingimenti di migrati da parte della Gendarmerie francese verso il Piemonte dal confine verso l’Italia, la scorsa notte, in Valle di Susa (Torino).

      A denunciarlo è il presidente della onlus Rainbow4Africa, Paolo Narcisi, che descrive l’affollamento al rifugio di Oulx, in alta Val di Susa.

      «La situazione ci è stata aggiornata dai volontari della Croce Rossa intervenuti in soccorso- spiega Narcisi - Il rifugio è pieno, stimiamo oltre 180 i migranti ospitati - aggiunge Narcisi - abbiamo deciso di mettere gente a dormire in terra». Questa mattina intorno alle 8, sottolineano dalla onlus, altri 40 migranti sarebbero stati respinti, attraverso i boschi. I migranti, nei loro racconti, parlano «di droni utilizzati dalla Gendarmerie per allontanarli».

      https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/10/01/news/migranti_respinti_al_confine_franceseanche_con_droni_pieno_il_rifu

    • Sulle Alpi è caccia al migrante

      Controlli rafforzati, inseguimenti, respingimenti e fermi. Il giro di vite francese. Intanto una sentenza europea condanna queste pratiche, in un cortocircuito fra Unione Europea e singoli Stati

      La settimana scorsa, la prefettura delle Hautes-Alpes sulle Alpi al confine con l’Italia, ha annunciato l’arrivo, a partire da giovedì 21 settembre, di 84 agenti aggiuntivi destinati a rafforzare i controlli alla frontiera franco-italiana. Da allora gli arresti si sono moltiplicati attorno al confine, fino alla città di Briançon, e anche oltre, a oltre 20 km dal confine, dove la polizia sta rintracciando gli esuli per cacciarli dagli spazi pubblici.

      Le pratiche di controllo sulle persone in transito nella città di Briançon sono cambiate: ogni giorno, più di dieci persone vengono trattenute presso la stazione di polizia, a volte per un’intera notte, a seguito di controlli d’identità nella città stessa, un evento piuttosto raro fino a ora. Le persone vengono inseguiti anche oltre Briançon, in treno, sugli autobus, e fino a Parigi. La presenza della polizia è rafforzata anche a Marsiglia, Gap e Grenoble.

      Nella città di frontiera di Briançon, queste ondate di arresti dissuadono le persone dallo spostarsi, al sicuro solo nell’unica area di accoglienza attualmente aperta, un edificio occupato in autogestione. L’azienda pubblica locale delle acque potabili “Eau Service de la Haute Durance”, il cui presidente altri non è che il sindaco di Briançon, Arnaud Murgia, ha interrotto l’approvvigionamento idrico di questo edificio il 17 agosto. Aggravando la precarietà delle persone ospitate, questa decisione ha forti ricadute sulla salute e sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone. È stato presentato un ricorso contro tale decisione, ma come potete leggere dalla recentissima sentenza del Tribunale amministrativo di Marsiglia (in francese), il ricorso è stato bocciato con giustificazioni burocratiche ( la non effettiva possibilità di accertare chi e come risiede nel centro di accoglienza...)

      Il prefetto ha dato ordine di aumentare la presenza della polizia nella città . L’aumento dei controlli d’identità mirerebbe a prevenire un aumento dell’“inciviltà” legata al contesto di pressione migratoria. La polizia ribadisce che i controlli effettuati nella città alpina sono controlli cosiddetti “Schengen”, possibili in una fascia di 20 km dopo la frontiera, finalizzati alla ricerca e alla prevenzione della criminalità transfrontaliera.

      La Cgue (Corte di giustizia dell’Unione europea) ha ricordato chiaramente nella sua sentenza del 21 settembre (la trovate qui) che la Francia sta attuando pratiche illegali in termini di controlli e confinamento alle frontiere interne e che è tenuta a rispettare i testi europei , cosa che non avviene. La sentenza della Cgue impone la giurisprudenza a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, ma in particolare è rivolta alla Francia, che dal 2015 ha reintrodotto i controlli alle frontiere interne.

      Le associazioni Medici del Mondo e Tous Migrants hanno condotto un sondaggio di una settimana alla fine di agosto e i risultati delle osservazioni confermano ciò che viene documentato da diversi anni: questo sistema di controllo delle frontiere mette in pericolo le persone. Essa non impedisce assolutamente alle persone di entrare in Francia, ma anzi ne aumenta la vulnerabilità rendendo il passaggio più difficile e pericoloso.
      Esemplificative in tal senso le storie di chi attraversa la frontiera: controlli a sorpresa, inseguimenti da parte delle forze dell’ordine, che provocano cadute, con fratture, distorsioni o perdita di coscienza. Camminando in media 10 ore dall’Italia per raggiungere Briançon, le persone segnalano estrema stanchezza, disidratazione e il rischio di perdersi tra le montagne. Alcuni hanno trascorso più di 48 ore in montagna, a volte senza mangiare né bere. Questo ennesimo attraversamento dei confini, con tentativi spesso multipli, si aggiunge a un viaggio migratorio estremamente faticoso: aspetti che possono fare riemergere esperienze traumatiche che potrebbero comportare cambiamenti nella salute mentale. I racconti raccolti nelle ultime settimane e le osservazioni di Medici del Mondo durante gli ambulatori medici confermano queste tendenze.

      La maggior parte delle persone che attraversano il confine provengono da paesi dell’Africa sub-sahariana e, più recentemente, dal Sudan, e hanno diritto all’asilo o alla protezione sussidiaria. Respingerli in Italia in modo sistematico e collettivo ignora i diritti di asilo europei. Allo stesso modo, adottare misure di allontanamento nei loro confronti verso i loro paesi di origine, dove rischiano la morte o la tortura, è contrario al principio di non respingimento (articolo 33 della Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiato).

      La Corte di giustizia europea con la sentenza del 21 settembre (giunta a seguito di un ricorso di varie associazioni francesi fra cui la protestante “La Cimade”) ha stabilito che i Paesi europei non hanno il diritto di rifiutare l’ingresso agli immigrati irregolari, anche se dispongono di controlli alle frontiere.

      Il Paese deve rispettare la «direttiva rimpatri», una legge che stabilisce che a un cittadino extraeuropeo può «essere concesso un certo periodo di tempo per lasciare volontariamente il territorio».

      «Si può decidere di rifiutare l’ingresso ma, quando si chiede l’allontanamento della persona interessata, devono comunque essere rispettate le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva rimpatri», ha dichiarato il tribunale di Lussemburgo.

      Ha inoltre affermato che «l’esclusione dall’ambito di applicazione di questa direttiva dei cittadini stranieri che soggiornano irregolarmente sul territorio» può essere effettuata solo «in via eccezionale».
      Negli ultimi otto anni, tutti i treni che passano per la città costiera francese di Mentone sono stati controllati e la polizia ha monitorato i posti di frontiera e pattugliato le Alpi.

      La decisione del tribunale europeo è arrivata in un momento in cui l’attenzione si è concentrata sul confine italo-francese. In seguito al recente arrivo di un gran numero di persone sull’isola italiana di Lampedusa, il ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, ha annunciato l’invio di 200 agenti di polizia supplementari al confine tra i due Paesi.

      La Francia «non accoglierà i migranti» provenienti dall’isola italiana, ha dichiarato il ministro. Continua il corto circuito fra Unione Europea e singoli Stati.

      Nel frattempo, la direttrice dipartimentale della polizia di frontiera, Emmanuelle Joubert, ha annunciato che più di 3.000 migranti sono stati fermati a Mentone nel giro di due settimane. Questo porta a 32.000 il numero di arresti dall’inizio dell’anno lungo il confine franco-italiano. Di questi, 24.000 sono stati respinti e consegnati alle autorità italiane.

      Joubert ha dichiarato di essere stata informata della sentenza dalla Corte di giustizia europea. «Lo Stato sta effettuando un’analisi, avremo istruzioni più avanti», ha detto, aggiungendo che i migranti arrivati di recente a Lampedusa non dovrebbero arrivare al confine francese prima di «diverse settimane».

      https://riforma.it/it/articolo/2023/10/04/sulle-alpi-e-caccia-al-migrante

  • Il sistema delle “coop pigliatutto”

    Per anni hanno dominato il settore dell’accoglienza in Veneto prima di sbarcare nella detenzione amministrativa. Oggi gestiscono due Cpr, tra cui quello di Gradisca d’Isonzo, dove dalla sua riapertura sono morte quattro persone

    Il 16 dicembre del 2019 il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, riapre, a sei anni dalle proteste che hanno portato alla sua chiusura. Tra i primi trattenuti del nuovo corso, c’è un gruppo di circa settanta persone provenienti dal centro di Bari, dove sono stati bruciati tre degli ultimi quattro moduli rimasti dopo le proteste dei mesi precedenti. Bibudi Anthony Nzuzi è tra coloro che sono stati trasferiti «di punto in bianco», dice, in Friuli. L’accoglienza non è stata delle migliori: «Pioveva, faceva freddo, ci siamo ritrovati i poliziotti in tenuta antisommossa. Non avevamo materassi, non c’erano coperte, non avevamo niente per poterci vestire. Ci siamo ritrovati a dormire al freddo perché non c’era il riscaldamento», racconta.

    Nzuzi è nel Cpr friulano anche tra il 17 e il 18 gennaio 2020, quando muore un trattenuto georgiano di 37 anni, Vakhtang Enukidze. I poliziotti di cui parla Nzuzi stanno sedando una protesta. «Hanno inizialmente pestato tutti, solo che lui [Vakhtang Enukidze] era caduto – racconta – ma continuavano a pestarlo e gli altri ragazzi si sono buttati addosso ai poliziotti e l’hanno tirato via».

    Nzuzi si trova nello stesso reparto di Enukidze ma in un’altra cella. «La sera lui [Vakhtang Enukidze] lamentava dolori, non si sentiva bene – ricorda, ripensando ai momenti dopo che la polizia ha lasciato il Cpr -. È andato a dormire e non si è più risvegliato». Questa versione è stata confermata da alcune testimonianze raccolte dal deputato Riccardo Magi durante due visite ispettive subito dopo il decesso. Non dagli investigatori, però.

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    L’inchiesta in breve

    - Ekene nasce nel 2017 come diretta emanazione di Ecofficina ed Edeco, enti che hanno dominato il mercato dell’accoglienza in Veneto guadagnandosi l’appellativo di “coop pigliatutto”
    - A gestirla è Simone Borile, imprenditore padovano che proviene dal business dei rifiuti. Sebbene non compaia mai nella visura camerale, viene considerato dagli inquirenti di Venezia “amministratore di fatto” delle cooperative
    - Nel 2016, Ecofficina-Edeco si aggiudica due centri di accoglienza, a Cona e Bagnoli. Per la gestione dei due hub, sono nati due processi paralleli a Padova e Venezia, dove sono indagati alcuni funzionari delle due prefetture e i vertici della cooperativa, tra cui Simone Borile. Le accuse, a vario titolo, sono di frode nell’esecuzione del contratto, inadempimento e frode degli obblighi contrattuali, rivelazioni di segreto d’ufficio
    - Con la liquidazione di Edeco nasce Ekene, che segna l’ingresso nel mondo della detenzione amministrativa con l’aggiudicazione dei Cpr di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, e Macomer, in Sardegna
    – Dalla sua riapertura nel gennaio 2019, nel Cpr friulano sono morte quattro persone. Borile è indagato per omidicio colposo per il decesso di Vakhtang Enukidze, lasciato secondo l’accusa per nove ore senza soccorsi
    – Nell’ottobre 2022, la cooperativa veneta ha vinto la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Dopo sette mesi la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici

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    A seguito della morte di Enukidze, la procura di Gorizia ha cominciato a indagare. L’autopsia sul deceduto ha stabilito come causa della morte un edema polmonare e cerebrale dovuto non a un pestaggio, ma a un cocktail di farmaci e stupefacenti. Così a essere riviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo sono stati il direttore del centro, Simone Borile, e il centralinista che era di turno quel giorno. La cooperativa che ha in gestione il Cpr si chiama Ekene. È nata dalle ceneri di Ecofficina ed Edeco, conosciute in Veneto come “coop pigliatutto”, per aver dominato per anni la gestione dell’accoglienza in tutta la regione.

    Secondo la ricostruzione degli inquirenti, Enukidze è stato lasciato senza soccorso per diverse ore, nonostante le richieste di aiuto degli altri trattenuti, prima di essere trasferito in ospedale, dove è morto alle 15:37. La sorella, Asmat, ricorda l’ultima telefonata in cui percepiva una voce diversa: «Sembrava che avesse bevuto. Aveva dei dolori e gli avevano dato qualcosa per calmarlo, un antidolorifico. Stava talmente male che non riusciva nemmeno ad andare all’udienza. Mi diceva di contattare l’ambasciata georgiana, per farlo uscire dal Cpr», racconta. Simone Borile, raggiunto al telefono da IrpiMedia, ha una versione diversa dei fatti: «È stato soccorso immediatamente, appena c’è stata la chiamata», il problema «riguarda il mancato funzionamento del sistema di chiamata. Niente a che vedere con il mancato soccorso».
    L’ascesa di Ecofficina tra le coop dell’accoglienza

    Borile ha cominciato a lavorare con i migranti dai tempi di Ecofficina Educational, cooperativa con sede a Battaglia Terme, in provincia di Padova, fondata il 2 agosto 2011. Il direttore del Cpr di Gradisca non appare nella visura camerale in quanto sarebbe stato un semplice consulente esterno. Gli inquirenti di Venezia e Padova che indagheranno sulla società, sosterranno tuttavia che sia lo stesso Borile l’amministratore di fatto delle “coop pigliatutto”.

    I legami tra Borile e i vertici di Ecofficina sono però evidenti: vicepresidente della cooperativa è la moglie Sara Felpati mentre il presidente del consiglio di amministrazione è Gaetano Battocchio, coinvolto con lui nel processo per bancarotta della società di gestione dei rifiuti della Bassa Padovana, Padova Tre srl, ma poi assolto, al contrario di Borile che a marzo 2023 è stato uno dei due condannati in primo grado a quattro anni e otto mesi per peculato perché avrebbe trattenuto illegalmente un importo di oltre tre milioni di euro.

    È nel dicembre 2014 che per la prima volta il nome di Ecofficina viene accostato a un caso di frode nelle pubbliche forniture e maltrattamenti sugli ospiti. Il processo che ne è scaturito si chiuderà otto anni e mezzo dopo, il 12 luglio 2023, con l’assoluzione dei vertici della cooperativa perché il fatto non sussiste.

    Durante gli anni passati a processo, Ecofficina Educational – che nel 2015 ha ceduto parte dell’azienda a un’altra cooperativa, Ecofficina Servizi – si aggiudica diversi appalti per l’accoglienza migranti in particolare nella provincia di Padova, con un monopolio che comprende l’ex Caserma Prandina di Padova, l’Hotel Maxim’s a Montagnana, lo Sprar del comune di Due Carrare e l’accoglienza di più di 700 migranti nelle province di Venezia, Vicenza e Rovigo.

    Nel caso dello Sprar di Due Carrare, uno dei requisiti fondamentali per partecipare era aver svolto in modo continuativo, e per almeno due anni, l’attività di accoglienza. A gennaio 2016, la cooperativa ha depositato una dichiarazione attestante una convenzione con la Prefettura di Padova che provava l’inizio dell’attività il 6 gennaio 2014, nonostante Ecofficina fosse entrata nel settore solo nel maggio dello stesso anno. Grazie alla documentazione falsa, secondo l’ipotesi degli inquirenti di Padova, Ecofficina avrebbe ottenuto l’aggiudicazione provvisoria delle gare per la gestione di centri di accoglienza. Il processo che è scaturito dall’indagine è ancora in corso, riporta il Mattino di Padova. IrpiMedia non ha ricevuto alcuna risposta a domande di chiarimento rivolte via email alla cooperativa su questo e su altri temi.

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    Cpa, Cas, Sai: le sigle dell’accoglienza

    In Italia il sistema di accoglienza dovrebbe svilupparsi su due binari: a un primo livello ci sono i Centri di prima accoglienza (Cpa) e gli hotspot, e a un secondo il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), strutture gestite dagli enti locali su base volontaria, che dovrebbero rappresentare il sistema ordinario. I Centri di accoglienza straordinaria (Cas), invece, dovrebbero essere individuati e istituiti dalle prefetture nel caso in cui i posti negli altri centri fossero esauriti. La maggior parte delle persone che arrivano sul territorio però sono accolte nei Cas, sintomo di una gestione perennemente emergenziale del fenomeno. In base ai dati del rapporto di Actionaid Centri d’Italia del 2022, i posti nei Cas, dove è ospitato oltre il 65% delle persone, e nei Cpa sono infatti quasi 63 mila, a fronte dei 34 mila posti del Sai.

    I centri di prima accoglienza e gli hotspot sono invece strutture nate per identificare, fotosegnalare e assistere dal punto di vista sanitario le persone appena arrivate in Italia. Dovrebbero fornire anche le prime informazioni legali per la richiesta di protezione internazionale.

    Nel Sai – prima conosciuto come Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e prima ancora come Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) – i servizi assicurati sono solitamente superiori rispetto agli altri centri e mirano ad accompagnare le persone accolte nei loro percorsi di vita e di autonomia: oltre al vitto e all’alloggio, sono infatti assicurate assistenza legale, mediazione linguistica, orientamento lavorativo, insegnamento della lingua italiana, assistenza psicosociale.

    A parte alcune categorie di soggetti, come i minori stranieri non accompagnati, il decreto firmato il 10 marzo 2023 dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha escluso i richiedenti asilo dalla possibilità di essere accolti nel sistema ordinario, riservando loro i pochi servizi di base garantiti dal Cas, ulteriormente ridotti: l’assistenza materiale, sanitaria e linguistica, vitto e alloggio, eliminando i servizi di assistenza psicologica, i corsi di italiano e l’orientamento legale.

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    Gli anni di Edeco

    Dopo le vicende di Ecofficina, la cooperativa cambia nome. Spunta dunque un nuovo attore nel mercato dell’accoglienza in Veneto: Edeco. I vertici però rimangono invariati. La cooperativa inizia a partecipare ai bandi per la gestione dell’accoglienza a partire dal 2016, quando il suo organigramma si arricchisce di nuove figure. Tra queste, Annalisa Carraro, che con Battocchio, Felpati e Borile sarà imputata nel processo di Venezia. Quell’anno in Italia il numero dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) cresce di quasi il doppio rispetto all’anno precedente, con 137 mila strutture dove si concentra il 78% dei richiedenti asilo. In particolare, in Veneto questa tendenza si affianca alla resistenza degli amministratori locali verso il sistema di accoglienza diffusa rappresentato dagli Sprar (oggi Sai).

    È in questo contesto che nascono centri come la tendopoli nell’ex base militare di Cona, in provincia di Venezia, gestita provvisoriamente da Ecofficina fino al luglio del 2016. Quel mese sarà proprio Edeco, in un raggruppamento temporaneo d’imprese con Ecos e Food Service, ad aggiudicarsi il nuovo appalto.

    Le denunce sulle condizioni interne emergono già dal giugno dello stesso anno, quando alcune associazioni effettuano una visita al centro evidenziando il sovraffollamento e la carenza dei servizi essenziali. Le proteste successive dei richiedenti asilo spingono il presidente della Confcooperative del Veneto, Ugo Campagnaro, a prendere la decisione di sospendere Ecofficina-Edeco con queste motivazioni: «Non esiste una legge che impedisca di ospitare e gestire centinaia di profughi in un’unica struttura. Questo però è un sistema che non risponde alle logiche della buona accoglienza […]. Si tratta invece di un modello che guarda soprattutto al business».

    I problemi diventano evidenti quando a gennaio 2017 Sandrine Bakayoko, 25enne ivoriana ospite del centro di Cona, muore per trombosi polmonare. Questo episodio porterà ad alcuni lavori di ristrutturazione e alla riduzione degli ospiti da 1.600 a 1.000, misure comunque non sufficienti a evitare la protesta dei richiedenti asilo, che a novembre si mettono in marcia verso Venezia per ottenere un incontro con il prefetto di Venezia, che alla fine deciderà di spostarli in altre strutture, scrive Internazionale.

    Due anni più tardi la Procura di Venezia chiede il rinvio a giudizio per i vertici di Ecofficina-Edeco. Borile, sempre “amministratore di fatto” a quanto afferma l’accusa, e i suoi colleghi avrebbero impiegato un numero di operatori inferiore agli obblighi contrattuali, un’inadempienza che sarebbe stata coperta dai trasferimenti di personale dall’altro grande centro gestito dalla cooperativa, quello di Bagnoli, in provincia di Padova, e dalla falsificazione dei documenti, che avrebbero fatto apparire un numero di operatori superiore. Inoltre, l’impiego di medici e infermieri con turni e orari inferiori rispetto a quanto previsto dal capitolato d’appalto avrebbe procurato un ingiusto profitto di oltre 200 mila euro. Tutto questo sarebbe stato possibile anche grazie alle informazioni fornite dalla Prefettura. Secondo quanto emerge da alcune intercettazioni contenute nelle carte processuali, ex prefetti e funzionari avrebbero preannunciato e in alcuni casi concordato con i responsabili della cooperativa l’orario e la data delle visite ispettive. Una prassi che avrebbe permesso a Ecofficina-Edeco di organizzarsi in anticipo per coprire eventuali falle.

    Per questo motivo, la giudice per le indagini preliminari ha accolto le richieste di rinvio a giudizio, tra gli altri, anche nei confronti dell’ex prefetto pro tempore di Venezia Domenico Cuttaia e dell’allora vice prefetto vicario Vito Cusumano per rivelazione di segreto d’ufficio.

    Raggiunto al telefono, Simone Borile ha commentato in questo modo: «Non si trattava di ispezioni, ma esclusivamente di una visita di cortesia». Il processo è ancora in primo grado, in fase dibattimentale: nell’ultima udienza, un’ex operatrice ha raccontato che era il personale a firmare il foglio presenze per conto dei richiedenti asilo, in modo da poter ricevere dalla Prefettura la quota diaria per ogni persona accolta, riporta Il Gazzettino.

    Un processo molto simile si sta svolgendo a Padova sulla gestione del Cas di Bagnoli. Tra gli imputati ci sono ancora una volta Sara Felpati, Simone Borile, Gaetano Battocchio, oltre all’ex viceprefetto Pasquale Aversa, il vicario Alessandro Sallusto e una funzionaria della Prefettura. Le accuse a vario titolo sono di turbativa d’asta, frode nelle forniture pubbliche, truffa, concussione per induzione, rivelazione di segreti d’ufficio e falso ideologico. Secondo l’accusa, grazie ai contatti con la Prefettura, Borile, Battocchio e Felpati avrebbero ottenuto informazioni sui concorrenti, partecipando a un bando su misura per Edeco. Anche in questo caso viene contestata la presenza di personale in numero inferiore rispetto al capitolato d’appalto e le chiamate di preavviso della Prefettura prima di alcune ispezioni per permettere alla cooperativa di farsi trovare in regola.
    I danni delle indagini

    Le indagini finiscono per danneggiare la “coop pigliatutto” che alla fine del 2018, anno di chiusura delle strutture di Cona e Bagnoli, avvia una procedura di licenziamento collettivo per 57 lavoratori, a cui se ne aggiungono 71 in scadenza di contratto. Si tratta di addetti alle pulizie e custodia, operai, insegnanti, tecnici, psicologi, educatori che riducono sensibilmente la rosa di Edeco, composta fino ad allora da 228 dipendenti. Nel 2020, Edeco inizia il processo di liquidazione, ma comincia a prendere nuova forma, sempre con lo stesso sistema: la creazione di nuove cooperative.

    Questa volta sono due le cooperative che prendono il testimone di Edeco, segnando l’ingresso nel mondo del trattenimento dei cittadini stranieri: Ekene e Tuendelee. La prima è dedicata quasi esclusivamente alla gestione dei Cpr, la seconda all’attività principale di «pulizia generale (non specializzata) di edifici», oltre a servizi educativi e socio-sanitari come le «attività di prima accoglienza per cittadini stranieri».

    Simone Borile, che di nuovo non compare nelle visure camerali, ha giustificato così a La Nuova Venezia la necessità di creare nuovi soggetti: «Era impossibile continuare a lavorare a causa del danno reputazionale che abbiamo subito». Le stesse persone coinvolte nei processi di Padova e Venezia sono presenti anche nei nuovi organigrammi, come Sara Felpati, prima presidente del Cda di Ekene, ruolo passato poi alla sorella Chiara, e Annalisa Carraro, ex consigliera di Edeco, che oggi ricopre il ruolo di vicepresidente di Ekene e di consigliera in Tuendelee.

    Le controversie del passato non hanno quindi impedito l’aggiudicazione di nuove strutture: nell’agosto del 2019 Edeco ottiene in gestione il Cpr di Gradisca d’Isonzo, poi ceduto due anni dopo a Ekene, e nel dicembre 2021 quello di Macomer. In Friuli, la cooperativa si aggiudica una gara da quasi cinque milioni di euro, grazie al ribasso dell’11,9% rispetto alla base d’asta, dopo l’esclusione delle prime quattro società in graduatoria. Ekene a marzo 2023 vince anche un ricorso al Tar per ottenere la gestione di un centro di accoglienza a Oderzo, nel trevigiano, nell’ex caserma Zanusso.

    Ekene ha poi preso in gestione il Cpr di Macomer dopo l’aggiudicazione della gara del 2021. In una visita, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha riportato criticità simili a quelle emerse nella struttura friulana, come la violazione del diritto alla salute, all’informazione normativa e alla corrispondenza, poiché «neanche i difensori possono contattare i loro assistiti in caso di comunicazioni urgenti se non attraverso il filtro del gestore», si legge nel rapporto. Inoltre, secondo Asgi la visita medica è spesso assente o viene fatta in modo superficiale.

    La cooperativa veneta ha poi vinto, nell’ottobre 2022, la gara per la gestione del Cpr di Caltanissetta. Ma dopo sette mesi, a maggio 2023, la Prefettura ha annullato l’aggiudicazione per i procedimenti a carico dei vertici: nel decreto di esclusione si riconosce esplicitamente Ekene come diretta emanazione di Edeco. Ricordando i gravi reati contestati nei procedimenti penali in corso, la Prefettura afferma di non poter «valutare favorevolmente l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico». Considerazioni diverse rispetto a quelle della Prefettura di Gorizia, che ha permesso a Simone Borile di mantenere il ruolo di direttore del centro di Gradisca d’Isonzo.

    L’imputazione di Borile per omicidio colposo, secondo i verbali della nuova gara indetta dalla Prefettura di Gorizia per la gestione del Cpr, «può avere rilievo solo al fine di considerare l’affidabilità dell’operatore economico sotto la cui gestione è occorso l’evento morte», dato che Borile non ricopre alcun incarico formale in Ekene. Nella stessa gara, la cooperativa Badia Grande è stata esclusa per il rinvio a giudizio del rappresentante legale per diversi reati, tra cui frode nelle pubbliche forniture per la gestione dei Cpr di Trapani e Bari. Dai verbali della prefettura disponibili in rete risulta che la posizione della cooperativa veneta sia ancora in fase di valutazione.
    Morire di Cpr a Gradisca d’Isonzo

    Dalla riapertura del 2019 ad oggi sono morti quattro trattenuti al Cpr di Gradisca d’Isonzo. Dopo Vakhtang Enukidze, Orgest Turia, cittadino albanese di 28 anni, è morto per overdose da metadone quattro giorni dopo essere entrato nel centro, il 10 luglio 2020, in una cella di isolamento, dove si trovava con altre cinque persone per il periodo di quarantena. Andrea Guadagnini, avvocato di Turia, ha scoperto della sua morte proprio in sede di convalida del trattenimento ed esprime perplessità sulla provenienza di quella sostanza. Altre due persone si sono poi tolte la vita nella struttura: Anani Ezzedine era un cittadino tunisino di 44 anni. Anche lui in isolamento per il periodo di quarantena, si è suicidato nella sua cella nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2021. Arshad Jahangir, un ragazzo 28enne di origine pakistana, si è suicidato il 31 agosto 2022 in camera un’ora dopo essere entrato nel Cpr.

    «È chiaro che per noi i Cpr debbano essere chiusi, ma nel frattempo volevamo instaurare delle prassi virtuose per agevolare la tutela dei diritti dei detenuti», afferma Eva Vigato, che insieme ad altre due colleghe, tra dicembre 2019 e novembre 2020 ha svolto il servizio di assistenza legale per l’ente gestore. Sostiene che anche per lei fosse molto difficile intervenire: i diritti dei trattenuti nei Cpr non sono delineati da una legge, ma da un semplice regolamento ministeriale, di cui non possono essere contestate le violazioni.

    https://www.youtube.com/watch?v=xq-OrG9-V7c&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Firpimedia.irpi.eu%2

    «Sono successe delle cose che ci hanno sconvolto», ricorda l’avvocata Vigato. Dopo la morte di Vakhtang Enukidze, Vigato e le sue colleghe hanno assistito a un’altra serie di irregolarità: «Abbiamo deciso di tener duro e ci siamo date come limite la Convenzione di Ginevra – spiega -. Di fronte a una violazione del trattato internazionale avremmo sporto denuncia».

    L’occasione si è presentata a novembre 2020: le legali si sono rese conto che dal Cpr transitavano cittadini tunisini senza che venisse registrato il loro ingresso nel sistema e senza che riuscissero a incontrarli e a informarli dei loro diritti, tra cui la richiesta di asilo, tutelata proprio dalla Convenzione di Ginevra. Le avvocate avevano dunque incaricato formalmente i mediatori di informare i trattenuti della possibilità di chiedere protezione internazionale e di metterlo per iscritto. In risposta, l’ente gestore ha deciso di diminuire le ore di ufficio legale, portando l’avvocata a inviare una segnalazione per denunciare la violazione della Convenzione di Ginevra alla Prefettura e al Garante nazionale. Ha risposto «il prefetto in persona – racconta Vigato – dicendo che non c’era nulla di irregolare ravvisabile nell’operato. Mi domando come abbia fatto, in così pochi giorni e senza un serio controllo, ad affermare una cosa del genere». La sera stessa Edeco ha rimosso Vigato e le sue colleghe dall’incarico.

    Nella segnalazione inviata alle autorità, Vigato ha evidenziato la violazione di molteplici diritti, tra cui quello alla salute e all’assistenza legale. Sostiene ci fosse un abuso di medicine nella struttura: «A un certo punto ci siamo rese conto che non c’era un controllo reale sui farmaci e potevano essere utilizzati anche in modo improprio dai detenuti». Le legali spesso non riuscivano ad accedere alle informazioni sanitarie e, in alcuni casi, non veniva caricato il resoconto delle visite, soprattutto quelle psicologiche. «L’impressione che è uscita sia dal processo Edeco sia dalla mia esperienza nel Cpr – conclude Vigato – è che ci sia una sorta di soluzione di comodo tra l’ente gestore e l’istituzione, per cui va bene così».

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    La storia di Anthony

    Bibudi Anthony Nzuzi è nato in Libano, da genitori congolesi, nel 1983, in piena guerra civile. «Era la fase del bombardamento massiccio», racconta, ma dopo cinque anni «la situazione era diventata veramente insostenibile». Per questa ragione, sua madre ha deciso di mandare i figli fuori dal Paese: due dei tre fratelli più grandi sono emigrati in Congo Brazzaville, ma lui, il più piccolo, è rimasto con lei. Poi sono fuggiti insieme in Siria e, visto che il conflitto si stava avvicinando, in Turchia, ad Ankara e a Istanbul.

    Infine, hanno deciso di venire in Italia per ricongiungersi con il fratello maggiore, che si trovava nel Paese da diversi anni. «Nel 1998 mia madre, dopo anni di duro lavoro, è riuscita a riunire tutta la famiglia qui a Jesi, nelle Marche», dice Anthony, che ha poi studiato come perito elettrotecnico, mentre uno dei fratelli ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con l’Italia nella disciplina delle arti marziali.

    Anthony vive quindi in Italia da quasi trent’anni e ha conosciuto il mondo dei Cpr «per un errore», racconta: «Vivevo a Modena e mi sono fidato di una persona, sbagliando. Mi sono trovato a dover scontare una pena di 11 mesi e 29 giorni in carcere». Mentre era recluso gli è scaduto il permesso di soggiorno senza, sostiene, che gli fosse data la possibilità di rinnovarlo. «A luglio mi è arrivato il foglio di via e il 10 ottobre a mezzanotte sono venuti a prendermi in cella, mi hanno fatto preparare tutte le mie cose perché dovevano espatriarmi in Congo». Ma dopo essere stato trasferito a Fiumicino alle quattro di mattina e alcune ore di attesa, il volo non è partito ed è stato riportato in cella.

    Uscito dal carcere, dopo uno sconto di pena per buona condotta, ha potuto passare un giorno con la famiglia per poi essere recluso in un Cpr. «Era l’unico modo per me per rimanere in Italia – racconta con commozione – non è facile, ma sono riuscito ad andare avanti». È stato portato al Cpr di Bari, ma per la sua avvocata, che esercita nelle Marche, era diventato difficile seguirlo.

    Dopo pochi giorni le condizioni nel centro pugliese erano già critiche: cibo ammuffito, carenze igieniche e, secondo Anthony, negli altri moduli la situazione era anche peggiore. Per questo sono iniziate rivolte interne che hanno reso inagibile la struttura, andata a fuoco. «La mattina dell’incendio ci siamo ritrovati caricati su dei pullman e portati a Gorizia – dice – di punto in bianco».

    Anthony considera il carcere molto meglio del Cpr: «Hai una vita dignitosa, per quanto è possibile. Sei detenuto, ma comunque hai la tua dignità. Nel Cpr ti tolgono tutto, o almeno ci provano». E aggiunge: «Se arrivo a dire una cosa del genere significa che stavo meglio in carcere per davvero. I primi giorni a Gradisca abbiamo patito il freddo, il cibo arrivava gelato e crudo. Non è stato per niente facile».

    Grazie all’assistenza legale della sua avvocata è riuscito a uscire, ma se fosse stato rimpatriato nel Paese di origine dei suoi genitori, dove lui non è mai stato, avrebbe dovuto arrangiarsi senza soldi: «Non mi hanno dato un euro quando sono arrivato in aeroporto», spiega. Anthony rischiava di essere rimpatriato in Congo, dove ha alcuni parenti, «ma non so neanche dove siano, come si chiamino o come contattarli». E, oltre ad avere sempre avuto i documenti in regola, già prima di entrare nel Cpr, aveva un figlio di nazionalità italiana.

    «Metà delle persone che trovi nel Cpr – conclude Anthony – hanno semplicemente voglia di trovare un futuro. Magari c’è chi vorrebbe veramente lavorare, ma non ha possibilità perché lo trattano come un cane. Dagli la possibilità di dimostrarti che può rimanere nel tuo Paese. Non ne vuole tante, gliene basta una».

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    https://irpimedia.irpi.eu/cprspa-coop-ekene-gradisca-isonzo-macomer

    ici aussi : https://seenthis.net/messages/1016060

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  • Comment l’Europe sous-traite à l’#Afrique le contrôle des #migrations (1/4) : « #Frontex menace la #dignité_humaine et l’#identité_africaine »

    Pour freiner l’immigration, l’Union européenne étend ses pouvoirs aux pays d’origine des migrants à travers des partenariats avec des pays africains, parfois au mépris des droits humains. Exemple au Sénégal, où le journaliste Andrei Popoviciu a enquêté.

    Cette enquête en quatre épisodes, publiée initialement en anglais dans le magazine américain In These Times (https://inthesetimes.com/article/europe-militarize-africa-senegal-borders-anti-migration-surveillance), a été soutenue par une bourse du Leonard C. Goodman Center for Investigative Reporting.

    Par une brûlante journée de février, Cornelia Ernst et sa délégation arrivent au poste-frontière de Rosso. Autour, le marché d’artisanat bouillonne de vie, une épaisse fumée s’élève depuis les camions qui attendent pour passer en Mauritanie, des pirogues hautes en couleur dansent sur le fleuve Sénégal. Mais l’attention se focalise sur une fine mallette noire posée sur une table, face au chef du poste-frontière. Celui-ci l’ouvre fièrement, dévoilant des dizaines de câbles méticuleusement rangés à côté d’une tablette tactile. La délégation en a le souffle coupé.

    Le « Universal Forensics Extraction Device » (UFED) est un outil d’extraction de données capable de récupérer les historiques d’appels, photos, positions GPS et messages WhatsApp de n’importe quel téléphone portable. Fabriqué par la société israélienne Cellebrite, dont il a fait la réputation, l’UFED est commercialisé auprès des services de police du monde entier, notamment du FBI, pour lutter contre le terrorisme et le trafic de drogues. Néanmoins, ces dernières années, le Nigeria et le Bahreïn s’en sont servis pour voler les données de dissidents politiques, de militants des droits humains et de journalistes, suscitant un tollé.

    Toujours est-il qu’aujourd’hui, une de ces machines se trouve au poste-frontière entre Rosso-Sénégal et Rosso-Mauritanie, deux villes du même nom construites de part et d’autre du fleuve qui sépare les deux pays. Rosso est une étape clé sur la route migratoire qui mène jusqu’en Afrique du Nord. Ici, cependant, cette technologie ne sert pas à arrêter les trafiquants de drogue ou les terroristes, mais à suivre les Ouest-Africains qui veulent migrer vers l’Europe. Et cet UFED n’est qu’un outil parmi d’autres du troublant arsenal de technologies de pointe déployé pour contrôler les déplacements dans la région – un arsenal qui est arrivé là, Cornelia Ernst le sait, grâce aux technocrates de l’Union européenne (UE) avec qui elle travaille.

    Cette eurodéputée allemande se trouve ici, avec son homologue néerlandaise Tineke Strik et une équipe d’assistants, pour mener une mission d’enquête en Afrique de l’Ouest. Respectivement membres du Groupe de la gauche (GUE/NGL) et du Groupe des Verts (Verts/ALE) au Parlement européen, les deux femmes font partie d’une petite minorité de députés à s’inquiéter des conséquences de la politique migratoire européenne sur les valeurs fondamentales de l’UE – à savoir les droits humains –, tant à l’intérieur qu’à l’extérieur de l’Europe.

    Le poste-frontière de Rosso fait partie intégrante de la politique migratoire européenne. Il accueille en effet une nouvelle antenne de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT), fruit d’un « partenariat opérationnel conjoint » entre le Sénégal et l’UE visant à former et équiper la police des frontières sénégalaise et à dissuader les migrants de gagner l’Europe avant même qu’ils ne s’en approchent. Grâce à l’argent des contribuables européens, le Sénégal a construit depuis 2018 au moins neuf postes-frontières et quatre antennes régionales de la DNLT. Ces sites sont équipés d’un luxe de technologies de surveillance intrusive : outre la petite mallette noire, ce sont des logiciels d’identification biométrique des empreintes digitales et de reconnaissance faciale, des drones, des serveurs numériques, des lunettes de vision nocturne et bien d’autres choses encore…

    Dans un communiqué, un porte-parole de la Commission européenne affirme pourtant que les antennes régionales de la DNLT ont été créées par le Sénégal et que l’UE se borne à financer les équipements et les formations.

    « Frontex militarise la Méditerranée »

    Cornelia Ernst redoute que ces outils ne portent atteinte aux droits fondamentaux des personnes en déplacement. Les responsables sénégalais, note-t-elle, semblent « très enthousiasmés par les équipements qu’ils reçoivent et par leur utilité pour suivre les personnes ». Cornelia Ernst et Tineke Strik s’inquiètent également de la nouvelle politique, controversée, que mène la Commission européenne depuis l’été 2022 : l’Europe a entamé des négociations avec le Sénégal et la Mauritanie pour qu’ils l’autorisent à envoyer du personnel de l’Agence européenne de garde-frontières et de garde-côtes, Frontex, patrouiller aux frontières terrestres et maritimes des deux pays. Objectif avoué : freiner l’immigration africaine.

    Avec un budget de 754 millions d’euros, Frontex est l’agence la mieux dotée financièrement de toute l’UE. Ces cinq dernières années, un certain nombre d’enquêtes – de l’UE, des Nations unies, de journalistes et d’organisations à but non lucratif – ont montré que Frontex a violé les droits et la sécurité des migrants qui traversent la Méditerranée, notamment en aidant les garde-côtes libyens, financés par l’UE, à renvoyer des centaines de milliers de migrants en Libye, un pays dans lequel certains sont détenus, torturés ou exploités comme esclaves sexuels. En 2022, le directeur de l’agence, Fabrice Leggeri, a même été contraint de démissionner à la suite d’une cascade de scandales. Il lui a notamment été reproché d’avoir dissimulé des « pushbacks » : des refoulements illégaux de migrants avant même qu’ils ne puissent déposer une demande d’asile.

    Cela fait longtemps que Frontex est présente de façon informelle au Sénégal, en Mauritanie et dans six autres pays d’Afrique de l’Ouest, contribuant au transfert de données migratoires de ces pays vers l’UE. Mais jamais auparavant l’agence n’avait déployé de gardes permanents à l’extérieur de l’UE. Or à présent, Bruxelles compte bien étendre les activités de Frontex au-delà de son territoire, sur le sol de pays africains souverains, anciennes colonies européennes qui plus est, et ce en l’absence de tout mécanisme de surveillance. Pour couronner le tout, initialement, l’UE avait même envisagé d’accorder l’immunité au personnel de Frontex posté en Afrique de l’Ouest.

    D’évidence, les programmes européens ne sont pas sans poser problème. La veille de leur arrivée à Rosso, Cornelia Ernst et Tineke Strik séjournent à Dakar, où plusieurs groupes de la société civile les mettent en garde. « Frontex menace la dignité humaine et l’identité africaine », martèle Fatou Faye, de la Fondation Rosa Luxemburg, une ONG allemande. « Frontex militarise la Méditerranée », renchérit Saliou Diouf, fondateur de l’association de défense des migrants Boza Fii. Si Frontex poste ses gardes aux frontières africaines, ajoute-t-il, « c’est la fin ».

    Ces programmes s’inscrivent dans une vaste stratégie d’« externalisation des frontières », selon le jargon européen en vigueur. L’idée ? Sous-traiter de plus en plus le contrôle des frontières européennes en créant des partenariats avec des gouvernements africains – autrement dit, étendre les pouvoirs de l’UE aux pays d’origine des migrants. Concrètement, cette stratégie aux multiples facettes consiste à distribuer des équipements de surveillance de pointe, à former les forces de police et à mettre en place des programmes de développement qui prétendent s’attaquer à la racine des migrations.

    Des cobayes pour l’Europe

    En 2016, l’UE a désigné le Sénégal, qui est à la fois un pays d’origine et de transit des migrants, comme l’un de ses cinq principaux pays partenaires pour gérer les migrations africaines. Mais au total, ce sont pas moins de 26 pays africains qui reçoivent de l’argent des contribuables européens pour endiguer les vagues de migration, dans le cadre de 400 projets distincts. Entre 2015 et 2021, l’UE a investi 5 milliards d’euros dans ces projets, 80 % des fonds étant puisés dans les budgets d’aide humanitaire et au développement. Selon des données de la Fondation Heinrich Böll, rien qu’au Sénégal, l’Europe a investi au moins 200 milliards de francs CFA (environ 305 millions d’euros) depuis 2005.

    Ces investissements présentent des risques considérables. Il s’avère que la Commission européenne omet parfois de procéder à des études d’évaluation d’impact sur les droits humains avant de distribuer ses fonds. Or, comme le souligne Tineke Strik, les pays qu’elle finance manquent souvent de garde-fous pour protéger la démocratie et garantir que les technologies et les stratégies de maintien de l’ordre ne seront pas utilisées à mauvais escient. En réalité, avec ces mesures, l’UE mène de dangereuses expériences technico-politiques : elle équipe des gouvernements autoritaires d’outils répressifs qui peuvent être utilisés contre les migrants, mais contre bien d’autres personnes aussi.

    « Si la police dispose de ces technologies pour tracer les migrants, rien ne garantit qu’elle ne s’en servira pas contre d’autres individus, comme des membres de la société civile et des acteurs politiques », explique Ousmane Diallo, chercheur au bureau d’Afrique de l’Ouest d’Amnesty International.

    En 2022, j’ai voulu mesurer l’impact au Sénégal des investissements réalisés par l’UE dans le cadre de sa politique migratoire. Je me suis rendu dans plusieurs villes frontalières, j’ai discuté avec des dizaines de personnes et j’ai consulté des centaines de documents publics ou qui avaient fuité. Cette enquête a mis au jour un complexe réseau d’initiatives qui ne s’attaquent guère aux problèmes qui poussent les gens à émigrer. En revanche, elles portent un rude coup aux droits fondamentaux, à la souveraineté nationale du Sénégal et d’autres pays d’Afrique, ainsi qu’aux économies locales de ces pays, qui sont devenus des cobayes pour l’Europe.

    Des politiques « copiées-collées »

    Depuis la « crise migratoire » de 2015, l’UE déploie une énergie frénétique pour lutter contre l’immigration. A l’époque, plus d’un million de demandeurs d’asile originaires du Moyen-Orient et d’Afrique – fuyant les conflits, la violence et la pauvreté – ont débarqué sur les côtes européennes. Cette « crise migratoire » a provoqué une droitisation de l’Europe. Les leaders populistes surfant sur la peur des populations et présentant l’immigration comme une menace sécuritaire et identitaire, les partis nationalistes et xénophobes en ont fait leurs choux gras.

    Reste que le pic d’immigration en provenance d’Afrique de l’Ouest s’est produit bien avant 2015 : en 2006, plus de 31 700 migrants sont arrivés par bateau aux îles Canaries, un territoire espagnol situé à une centaine de kilomètres du Maroc. Cette vague a pris au dépourvu le gouvernement espagnol, qui s’est lancé dans une opération conjointe avec Frontex, baptisée « Hera », pour patrouiller le long des côtes africaines et intercepter les bateaux en direction de l’Europe.

    Cette opération « Hera », que l’ONG britannique de défense des libertés Statewatch qualifie d’« opaque », marque le premier déploiement de Frontex à l’extérieur du territoire européen. C’est aussi le premier signe d’externalisation des frontières européennes en Afrique depuis la fin du colonialisme au XXe siècle. En 2018, Frontex a quitté le Sénégal, mais la Guardia Civil espagnole y est restée jusqu’à ce jour : pour lutter contre l’immigration illégale, elle patrouille le long des côtes et effectue même des contrôles de passeports dans les aéroports.

    En 2015, en pleine « crise », les fonctionnaires de Bruxelles ont musclé leur stratégie : ils ont décidé de dédier des fonds à la lutte contre l’immigration à la source. Ils ont alors créé le Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique (EUTF). Officiellement, il s’agit de favoriser la stabilité et de remédier aux causes des migrations et des déplacements irréguliers des populations en Afrique.

    Malgré son nom prometteur, c’est la faute de l’EUTF si la mallette noire se trouve à présent au poste-frontière de Rosso – sans oublier les drones et les lunettes de vision nocturne. Outre ce matériel, le fonds d’urgence sert à envoyer des fonctionnaires et des consultants européens en Afrique, pour convaincre les gouvernements de mettre en place de nouvelles politiques migratoires – des politiques qui, comme me le confie un consultant anonyme de l’EUTF, sont souvent « copiées-collées d’un pays à l’autre », sans considération aucune des particularités nationales de chaque pays. « L’UE force le Sénégal à adopter des politiques qui n’ont rien à voir avec nous », explique la chercheuse sénégalaise Fatou Faye à Cornelia Ernst et Tineke Strik.

    Une mobilité régionale stigmatisée

    Les aides européennes constituent un puissant levier, note Leonie Jegen, chercheuse à l’université d’Amsterdam et spécialiste de l’influence de l’UE sur la politique migratoire sénégalaise. Ces aides, souligne-t-elle, ont poussé le Sénégal à réformer ses institutions et son cadre législatif en suivant des principes européens et en reproduisant des « catégories politiques eurocentrées » qui stigmatisent, voire criminalisent la mobilité régionale. Et ces réformes sont sous-tendues par l’idée que « le progrès et la modernité » sont des choses « apportées de l’extérieur » – idée qui n’est pas sans faire écho au passé colonial.

    Il y a des siècles, pour se partager l’Afrique et mieux piller ses ressources, les empires européens ont dessiné ces mêmes frontières que l’UE est aujourd’hui en train de fortifier. L’Allemagne a alors jeté son dévolu sur de grandes parties de l’Afrique de l’Ouest et de l’Afrique de l’Est ; les Pays-Bas ont mis la main sur l’Afrique du Sud ; les Britanniques ont décroché une grande bande de terre s’étendant du nord au sud de la partie orientale du continent ; la France a raflé des territoires allant du Maroc au Congo-Brazzaville, notamment l’actuel Sénégal, qui n’est indépendant que depuis soixante-trois ans.

    L’externalisation actuelle des frontières européennes n’est pas un cas totalement unique. Les trois derniers gouvernements américains ont abreuvé le Mexique de millions de dollars pour empêcher les réfugiés d’Amérique centrale et d’Amérique du Sud d’atteindre la frontière américaine, et l’administration Biden a annoncé l’ouverture en Amérique latine de centres régionaux où il sera possible de déposer une demande d’asile, étendant ainsi de facto le contrôle de ses frontières à des milliers de kilomètres au-delà de son territoire.

    Cela dit, au chapitre externalisation des frontières, la politique européenne en Afrique est de loin la plus ambitieuse et la mieux financée au monde.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/06/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-1-4-fron

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    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (2/4) : « Nous avons besoin d’aide, pas d’outils sécuritaires »

      Au Sénégal, la création et l’équipement de postes-frontières constituent des éléments clés du partenariat avec l’Union européenne. Une stratégie pas toujours efficace, tandis que les services destinés aux migrants manquent cruellement de financements.

      Par une étouffante journée de mars, j’arrive au poste de contrôle poussiéreux du village sénégalais de #Moussala, à la frontière avec le #Mali. Des dizaines de camions et de motos attendent, en ligne, de traverser ce point de transit majeur. Après avoir demandé pendant des mois, en vain, la permission au gouvernement d’accéder au poste-frontière, j’espère que le chef du poste m’expliquera dans quelle mesure les financements européens influencent leurs opérations. Refusant d’entrer dans les détails, il me confirme que son équipe a récemment reçu de l’Union européenne (UE) des formations et des équipements dont elle se sert régulièrement. Pour preuve, un petit diplôme et un trophée, tous deux estampillés du drapeau européen, trônent sur son bureau.

      La création et l’équipement de postes-frontières comme celui de Moussala constituent des éléments clés du partenariat entre l’UE et l’#Organisation_internationale_pour_les_migrations (#OIM). Outre les technologies de surveillance fournies aux antennes de la Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), chaque poste-frontière est équipé de systèmes d’analyse des données migratoires et de systèmes biométriques de reconnaissance faciale et des empreintes digitales.

      Officiellement, l’objectif est de créer ce que les fonctionnaires européens appellent un système africain d’#IBM, à savoir « #Integrated_Border_Management » (en français, « gestion intégrée des frontières »). Dans un communiqué de 2017, le coordinateur du projet de l’OIM au Sénégal déclarait : « La gestion intégrée des frontières est plus qu’un simple concept, c’est une culture. » Il avait semble-t-il en tête un changement idéologique de toute l’Afrique, qui ne manquerait pas selon lui d’embrasser la vision européenne des migrations.

      Technologies de surveillance

      Concrètement, ce système IBM consiste à fusionner les #bases_de_données sénégalaises (qui contiennent des données biométriques sensibles) avec les données d’agences de police internationales (comme #Interpol et #Europol). Le but : permettre aux gouvernements de savoir qui franchit quelle frontière et quand. Un tel système, avertissent les experts, peut vite faciliter les expulsions illégales et autres abus.

      Le risque est tout sauf hypothétique. En 2022, un ancien agent des services espagnols de renseignement déclarait au journal El Confidencial que les autorités de plusieurs pays d’Afrique « utilisent les technologies fournies par l’Espagne pour persécuter et réprimer des groupes d’opposition, des militants et des citoyens critiques envers le pouvoir ». Et d’ajouter que le gouvernement espagnol en avait parfaitement conscience.

      D’après un porte-parole de la Commission européenne, « tous les projets qui touchent à la sécurité et sont financés par l’UE comportent un volet de formation et de renforcement des capacités en matière de droits humains ». Selon cette même personne, l’UE effectue des études d’impact sur les droits humains avant et pendant la mise en œuvre de ces projets. Mais lorsque, il y a quelques mois, l’eurodéputée néerlandaise Tineke Strik a demandé à voir ces études d’impact, trois différents services de la Commission lui ont envoyé des réponses officielles disant qu’ils ne les avaient pas. En outre, selon un de ces services, « il n’existe pas d’obligation réglementaire d’en faire ».

      Au Sénégal, les libertés civiles sont de plus en plus menacées et ces technologies de surveillance risquent d’autant plus d’être utilisées à mauvais escient. Rappelons qu’en 2021, les forces de sécurité sénégalaises ont tué quatorze personnes qui manifestaient contre le gouvernement ; au cours des deux dernières années, plusieurs figures de l’opposition et journalistes sénégalais ont été emprisonnés pour avoir critiqué le gouvernement, abordé des questions politiques sensibles ou avoir « diffusé des fausses nouvelles ». En juin, après qu’Ousmane Sonko, principal opposant au président Macky Sall, a été condamné à deux ans d’emprisonnement pour « corruption de la jeunesse », de vives protestations ont fait 23 morts.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi »

      Alors que j’allais renoncer à discuter avec la police locale, à Tambacounda, autre grand point de transit non loin des frontières avec le Mali et la Guinée, un policier de l’immigration en civil a accepté de me parler sous couvert d’anonymat. C’est de la région de #Tambacounda, qui compte parmi les plus pauvres du Sénégal, que proviennent la plupart des candidats à l’immigration. Là-bas, tout le monde, y compris le policier, connaît au moins une personne qui a tenté de mettre les voiles pour l’Europe.

      « Si je n’étais pas policier, je partirais aussi », me confie-t-il par l’entremise d’un interprète, après s’être éloigné à la hâte du poste-frontière. Les investissements de l’UE « n’ont rien changé du tout », poursuit-il, notant qu’il voit régulièrement des personnes en provenance de Guinée passer par le Sénégal et entrer au Mali dans le but de gagner l’Europe.

      Depuis son indépendance en 1960, le Sénégal est salué comme un modèle de démocratie et de stabilité, tandis que nombre de ses voisins sont en proie aux dissensions politiques et aux coups d’Etat. Quoi qu’il en soit, plus d’un tiers de la population vit sous le seuil de pauvreté et l’absence de perspectives pousse la population à migrer, notamment vers la France et l’Espagne. Aujourd’hui, les envois de fonds de la diaspora représentent près de 10 % du PIB sénégalais. A noter par ailleurs que, le Sénégal étant le pays le plus à l’ouest de l’Afrique, de nombreux Ouest-Africains s’y retrouvent lorsqu’ils fuient les problèmes économiques et les violences des ramifications régionales d’Al-Qaida et de l’Etat islamique (EI), qui ont jusqu’à présent contraint près de 4 millions de personnes à partir de chez elles.

      « L’UE ne peut pas résoudre les problèmes en construisant des murs et en distribuant de l’argent, me dit le policier. Elle pourra financer tout ce qu’elle veut, ce n’est pas comme ça qu’elle mettra fin à l’immigration. » Les sommes qu’elle dépense pour renforcer la police et les frontières, dit-il, ne servent guère plus qu’à acheter des voitures climatisées aux policiers des villes frontalières.

      Pendant ce temps, les services destinés aux personnes expulsées – comme les centres de protection et d’accueil – manquent cruellement de financements. Au poste-frontière de Rosso, des centaines de personnes sont expulsées chaque semaine de Mauritanie. Mbaye Diop travaille avec une poignée de bénévoles du centre que la Croix-Rouge a installé du côté sénégalais pour accueillir ces personnes expulsées : des hommes, des femmes et des enfants qui présentent parfois des blessures aux poignets, causées par des menottes, et ailleurs sur le corps, laissées par les coups de la police mauritanienne. Mais Mbaye Diop n’a pas de ressources pour les aider. L’approche n’est pas du tout la bonne, souffle-t-il : « Nous avons besoin d’aide humanitaire, pas d’outils sécuritaires. »

      La méthode de la carotte

      Pour freiner l’immigration, l’UE teste également la méthode de la carotte : elle propose des subventions aux entreprises locales et des formations professionnelles à ceux qui restent ou rentrent chez eux. La route qui mène à Tambacounda est ponctuée de dizaines et de dizaines de panneaux publicitaires vantant les projets européens.

      Dans la réalité, les offres ne sont pas aussi belles que l’annonce l’UE. Binta Ly, 40 ans, en sait quelque chose. A Tambacounda, elle tient une petite boutique de jus de fruits locaux et d’articles de toilette. Elle a fait une année de droit à l’université, mais le coût de la vie à Dakar l’a contrainte à abandonner ses études et à partir chercher du travail au Maroc. Après avoir vécu sept ans à Casablanca et Marrakech, elle est rentrée au Sénégal, où elle a récemment inauguré son magasin.

      En 2022, Binta Ly a déposé une demande de subvention au Bureau d’accueil, d’orientation et de suivi (BAOS) qui avait ouvert la même année à Tambacounda, au sein de l’antenne locale de l’Agence régionale de développement (ARD). Financés par l’UE, les BAOS proposent des subventions aux petites entreprises sénégalaises dans le but de dissuader la population d’émigrer. Binta Ly ambitionnait d’ouvrir un service d’impression, de copie et de plastification dans sa boutique, idéalement située à côté d’une école primaire. Elle a obtenu une subvention de 500 000 francs CFA (762 euros) – soit un quart du budget qu’elle avait demandé –, mais peu importe, elle était très enthousiaste. Sauf qu’un an plus tard, elle n’avait toujours pas touché un seul franc.

      Dans l’ensemble du Sénégal, les BAOS ont obtenu une enveloppe totale de 1 milliard de francs CFA (1,5 million d’euros) de l’UE pour financer ces subventions. Mais l’antenne de Tambacounda n’a perçu que 60 millions de francs CFA (91 470 euros), explique Abdoul Aziz Tandia, directeur du bureau local de l’ARD. A peine de quoi financer 84 entreprises dans une région de plus d’un demi-million d’habitants. Selon un porte-parole de la Commission européenne, la distribution des subventions a effectivement commencé en avril. Le fait est que Binta Ly a reçu une imprimante et une plastifieuse, mais pas d’ordinateur pour aller avec. « Je suis contente d’avoir ces aides, dit-elle. Le problème, c’est qu’elles mettent très longtemps à venir et que ces retards chamboulent tout mon business plan. »

      Retour « volontaire »

      Abdoul Aziz Tandia admet que les BAOS ne répondent pas à la demande. C’est en partie la faute de la bureaucratie, poursuit-il : Dakar doit approuver l’ensemble des projets et les intermédiaires sont des ONG et des agences étrangères, ce qui signifie que les autorités locales et les bénéficiaires n’exercent aucun contrôle sur ces fonds, alors qu’ils sont les mieux placés pour savoir comment les utiliser. Par ailleurs, reconnaît-il, de nombreuses régions du pays n’ayant accès ni à l’eau propre, ni à l’électricité ni aux soins médicaux, ces microsubventions ne suffisent pas à empêcher les populations d’émigrer. « Sur le moyen et le long termes, ces investissements n’ont pas de sens », juge Abdoul Aziz Tandia.

      Autre exemple : aujourd’hui âgé de 30 ans, Omar Diaw a passé au moins cinq années de sa vie à tenter de rejoindre l’Europe. Traversant les impitoyables déserts du Mali et du Niger, il est parvenu jusqu’en Algérie. Là, à son arrivée, il s’est aussitôt fait expulser vers le Niger, où il n’existe aucun service d’accueil. Il est alors resté coincé des semaines entières dans le désert. Finalement, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) l’a renvoyé en avion au Sénégal, qualifiant son retour de « volontaire ».

      Lorsqu’il est rentré chez lui, à Tambacounda, l’OIM l’a inscrit à une formation de marketing numérique qui devait durer plusieurs semaines et s’accompagner d’une allocation de 30 000 francs CFA (46 euros). Mais il n’a jamais touché l’allocation et la formation qu’il a suivie est quasiment inutile dans sa situation : à Tambacounda, la demande en marketing numérique n’est pas au rendez-vous. Résultat : il a recommencé à mettre de l’argent de côté pour tenter de nouveau de gagner l’Europe.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/07/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-2-4-nous
      #OIM #retour_volontaire

    • Comment l’Europe sous-traite à l’Afrique le contrôle des migrations (3/4) : « Il est presque impossible de comprendre à quoi sert l’argent »

      A coups de centaines de millions d’euros, l’UE finance des projets dans des pays africains pour réduire les migrations. Mais leur impact est difficile à mesurer et leurs effets pervers rarement pris en considération.

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      Au chapitre migrations, rares sont les projets de l’Union européenne (UE) qui semblent adaptés aux réalités africaines. Mais il n’est pas sans risques de le dire tout haut. C’est ce que Boubacar Sèye, chercheur dans le domaine, a appris à ses dépens.

      Né au Sénégal, il vit aujourd’hui en Espagne. Ce migrant a quitté la Côte d’Ivoire, où il travaillait comme professeur de mathématiques, quand les violences ont ravagé le pays au lendemain de l’élection présidentielle de 2000. Après de brefs séjours en France et en Italie, Boubacar Sèye s’est établi en Espagne, où il a fini par obtenir la citoyenneté et fondé une famille avec son épouse espagnole. Choqué par le bilan de la vague de migration aux Canaries en 2006, il a créé l’ONG Horizons sans frontières pour aider les migrants africains en Espagne. Aujourd’hui, il mène des recherches et défend les droits des personnes en déplacement, notamment celles en provenance d’Afrique et plus particulièrement du Sénégal.

      En 2019, Boubacar Sèye s’est procuré un document détaillant comment les fonds des politiques migratoires de l’UE sont dépensés au Sénégal. Il a été sidéré par le montant vertigineux des sommes investies pour juguler l’immigration, alors que des milliers de candidats à l’asile se noient chaque année sur certaines des routes migratoires les plus meurtrières au monde. Lors d’entretiens publiés dans la presse et d’événements publics, il a ouvertement demandé aux autorités sénégalaises d’être plus transparentes sur ce qu’elles avaient fait des centaines de millions d’euros de l’Europe, qualifiant ces projets de véritable échec.

      Puis, au début de l’année 2021, il a été arrêté à l’aéroport de Dakar pour « diffusion de fausses informations ». Il a ensuite passé deux semaines en prison. Sa santé se dégradant rapidement sous l’effet du stress, il a fait une crise cardiaque. « Ce séjour en prison était inhumain, humiliant, et il m’a causé des problèmes de santé qui durent jusqu’à aujourd’hui, s’indigne le chercheur. J’ai juste posé une question : “Où est passé l’argent ?” »

      Ses intuitions n’étaient pas mauvaises. Les financements de la politique anti-immigration de l’UE sont notoirement opaques et difficiles à tracer. Les demandes déposées dans le cadre de la liberté d’information mettent des mois, voire des années à être traitées, alors que la délégation de l’UE au Sénégal, la Commission européenne et les autorités sénégalaises ignorent ou déclinent les demandes d’interviews.

      La Division nationale de lutte contre le trafic de migrants (DNLT, fruit d’un partenariat entre le Sénégal et l’UE), la police des frontières, le ministère de l’intérieur et le ministère des affaires étrangères – lesquels ont tous bénéficié des fonds migratoires européens – n’ont pas répondu aux demandes répétées d’entretien pour réaliser cette enquête.
      « Nos rapports doivent être positifs »

      Les rapports d’évaluation de l’UE ne donnent pas de vision complète de l’impact des programmes. A dessein ? Plusieurs consultants qui ont travaillé sur des rapports d’évaluation d’impact non publiés de projets du #Fonds_fiduciaire_d’urgence_de_l’UE_pour_l’Afrique (#EUTF), et qui s’expriment anonymement en raison de leur obligation de confidentialité, tirent la sonnette d’alarme : les effets pervers de plusieurs projets du fonds sont peu pris en considération.

      Au #Niger, par exemple, l’UE a contribué à élaborer une loi qui criminalise presque tous les déplacements, rendant de fait illégale la mobilité dans la région. Alors que le nombre de migrants irréguliers qui empruntent certaines routes migratoires a reculé, les politiques européennes rendent les routes plus dangereuses, augmentent les prix qu’exigent les trafiquants et criminalisent les chauffeurs de bus et les sociétés de transport locales. Conséquence : de nombreuses personnes ont perdu leur travail du jour au lendemain.

      La difficulté à évaluer l’impact de ces projets tient notamment à des problèmes de méthode et à un manque de ressources, mais aussi au simple fait que l’UE ne semble guère s’intéresser à la question. Un consultant d’une société de contrôle et d’évaluation financée par l’UE confie : « Quel est l’impact de ces projets ? Leurs effets pervers ? Nous n’avons pas les moyens de répondre à ces questions. Nous évaluons les projets uniquement à partir des informations fournies par des organisations chargées de leur mise en œuvre. Notre cabinet de conseil ne réalise pas d’évaluation véritablement indépendante. »

      Selon un document interne que j’ai pu me procurer, « rares sont les projets qui nous ont fourni les données nécessaires pour évaluer les progrès accomplis en direction des objectifs généraux de l’EUTF (promouvoir la stabilité et limiter les déplacements forcés et les migrations illégales) ». Selon un autre consultant, seuls les rapports positifs semblent les bienvenus : « Il est implicite que nos rapports doivent être positifs si nous voulons à l’avenir obtenir d’autres projets. »

      En 2018, la Cour des comptes européenne, institution indépendante, a émis des critiques sur l’EUTF : ses procédures de sélection de projets manquent de cohérence et de clarté. De même, une étude commanditée par le Parlement européen qualifie ses procédures d’« opaques ». « Le contrôle du Parlement est malheureusement très limité, ce qui constitue un problème majeur pour contraindre la Commission à rendre des comptes, regrette l’eurodéputée allemande Cornelia Ernst. Même pour une personne très au fait des politiques de l’UE, il est presque impossible de comprendre où va l’argent et à quoi il sert. »

      Le #fonds_d’urgence pour l’Afrique a notamment financé la création d’unités de police des frontières d’élite dans six pays d’Afrique de l’Ouest, et ce dans le but de lutter contre les groupes de djihadistes et les trafics en tous genres. Or ce projet, qui aurait permis de détourner au moins 12 millions d’euros, fait actuellement l’objet d’une enquête pour fraude.
      Aucune étude d’impact sur les droits humains

      En 2020, deux projets de modernisation des #registres_civils du Sénégal et de la Côte d’Ivoire ont suscité de vives inquiétudes des populations. Selon certaines sources, ces projets financés par l’EUTF auraient en effet eu pour objectif de créer des bases de #données_biométriques nationales. Les défenseurs des libertés redoutaient qu’on collecte et stocke les empreintes digitales et images faciales des citoyens des deux pays.

      Quand Ilia Siatitsa, de l’ONG britannique Privacy International, a demandé à la Commission européenne de lui fournir des documents sur ces projets, elle a découvert que celle-ci n’avait réalisé aucune étude d’impact sur les droits humains. En Europe, aucun pays ne possède de base de données comprenant autant d’informations biométriques.

      D’après un porte-parole de la Commission, jamais le fonds d’urgence n’a financé de registre biométrique, et ces deux projets consistent exclusivement à numériser des documents et prévenir les fraudes. Or la dimension biométrique des registres apparaît clairement dans les documents de l’EUTF qu’Ilia Siatitsa s’est procurés : il y est écrit noir sur blanc que le but est de créer « une base de données d’identification biométrique pour la population, connectée à un système d’état civil fiable ».

      Ilia Siatitsa en a déduit que le véritable objectif des deux projets était vraisemblablement de faciliter l’expulsion des migrants africains d’Europe. D’ailleurs, certains documents indiquent explicitement que la base de données ivoirienne doit servir à identifier et expulser les Ivoiriens qui résident illégalement sur le sol européen. L’un d’eux explique même que l’objectif du projet est de « faciliter l’identification des personnes qui sont véritablement de nationalité ivoirienne et l’organisation de leur retour ».

      Quand Cheikh Fall, militant sénégalais pour le droit à la vie privée, a appris l’existence de cette base de données, il s’est tourné vers la Commission de protection des données personnelles (CDP), qui, légalement, aurait dû donner son aval à un tel projet. Mais l’institution sénégalaise n’a été informée de l’existence du projet qu’après que le gouvernement l’a approuvé.

      En novembre 2021, Ilia Siatitsa a déposé une plainte auprès du médiateur de l’UE. En décembre 2022, après une enquête indépendante, le médiateur a rendu ses conclusions : la Commission n’a pas pris en considération l’impact sur la vie privée des populations africaines de ce projet et d’autres projets que finance l’UE dans le cadre de sa politique migratoire.

      Selon plusieurs sources avec lesquelles j’ai discuté, ainsi que la présentation interne du comité de direction du projet – que j’ai pu me procurer –, il apparaît que depuis, le projet a perdu sa composante biométrique. Cela dit, selon Ilia Siatitsa, cette affaire illustre bien le fait que l’UE effectue en Afrique des expériences sur des technologies interdites chez elle.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/08/comment-l-europe-sous-traite-a-l-afrique-le-controle-des-migrations-3-4-il-e

  • Austrian government wants to outsource asylum procedures to Africa

    The Austrian government aims to outsource applications for asylum procedures to third states such as Rwanda in a move that would reduce migration significantly, Chancellor #Karl_Nehammer told die Welt on Monday.

    In June, EU countries reached a controversial agreement on a new EU migration deal that would tighten European migration rules to reduce migration into the bloc, such as introducing fast-track asylum procedures at EU borders.

    But Austria wants the EU to go one step further.

    “Austria will continue to do its utmost in the EU to create the political and legal conditions for asylum procedures to be carried out already outside the EU. We will not give in,” Nehammer told die Welt on Monday.

    “Corresponding agreements with third countries are possible, as the example of Rwanda shows – the African country has already reached an agreement with Denmark,” Nehammer added.

    Such a move would reduce migration significantly as migrants would not set foot on European soil in the first place and would “no longer be able to go into hiding in the EU or apply for asylum in several European countries at the same time”, the chancellor said.

    A prime example of this shift is the controversial deal the EU struck with Tunisia in July, which aims to reduce migration flows. “The agreement between Tunisia and the EU on limiting illegal migration is groundbreaking,” he stated in the interview.

    However, the deal with Rwanda may not be entirely legal.

    The United Kingdom agreed with Rwanda to pay more than $152 million in development funding, plus processing and integration costs for asylum seekers from the UK. Those seeking to file for asylum in Britain would be sent to Rwanda, processed, and if approved, they would be granted protection in the African state and not allowed to come to the UK.

    However, the British government’s plan has hit several stumbling blocks, not least a legal decision from one of the country’s top courts, which rejected it as unlawful. It is not known how Vienna’s plan will sit with the country and EU laws.

    While member states have already agreed on their position, the final migration deal has yet to be negotiated with the European Parliament. A majority of EU lawmakers already said they would take a softer approach and will oppose some of the more restrictive positions of the member states.

    https://www.euractiv.com/section/politics/news/austrian-government-to-outsource-asylum-procedures-to-africa
    #Autriche #asile #migrations #réfugiés
    #offshore_asylum_processing #externalisation #procédure_d'asile #Afrique

    –---

    Tentative déjà lancée en 2018 :
    Österreich plant mit einigen EU-Ländern Aufnahmelager außerhalb der EU
    https://seenthis.net/messages/701836

    voir aussi la métaliste sur les tentatives d’autres pays européens d’externaliser la #procédure_d'asile :
    https://seenthis.net/messages/900122

  • Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/09/05/les-demandes-d-asile-dans-l-union-europeenne-la-norvege-et-la-suisse-en-haus

    Les demandes d’asile dans l’Union européenne, la Norvège et la Suisse en hausse de 28 % au premier semestre
    Les requêtes sont au plus haut depuis 2015-2016, années au cours desquelles l’afflux de réfugiés en Europe dépassait 1,2 million de personnes.
    Le Monde avec AFP
    Les demandes d’asile enregistrées dans les pays de l’Union européenne, la Norvège et la Suisse au premier semestre 2023 ont augmenté de 28 % par rapport aux six premiers mois de 2022, a annoncé l’Agence de l’Union européenne pour l’asile (AUEA), mardi 5 septembre. Quelque 519 000 demandes d’asile ont été déposées dans ces vingt-neuf pays entre janvier et la fin de juin, selon l’agence, qui estime que, « d’après les tendances actuelles, les demandes pourraient excéder 1 million d’ici à la fin de l’année ». Les Syriens, Afghans, Vénézuéliens, Turcs et Colombiens sont les principaux demandeurs, comptant pour 44 % des requêtes.
    Les demandes au premier semestre sont au plus haut à cette période de l’année depuis 2015-2016. Lors de l’afflux de réfugiés en Europe provoqué notamment par l’enlisement du conflit en Syrie, le nombre de demandes d’asile avait atteint 1,3 million (en 2015) et 1,2 million (en 2016). En 2022, elles étaient de 994 945.
    L’Allemagne est le pays qui a reçu le plus de dossiers (30 %). C’est près de deux fois plus que l’Espagne (17 %) et la France (16 %). L’AUEA souligne qu’en raison de cette hausse de nombreux pays européens « sont sous pression pour traiter les demandes », et que le nombre de dossiers en attente de décision a augmenté de 34 % par rapport à 2022. En première instance, 41 % des demandes ont reçu une réponse positive. Par ailleurs, quelque 4 millions d’Ukrainiens fuyant l’invasion de l’armée russe bénéficient actuellement d’une protection temporaire dans l’UE.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#asile#demandeurdasile#AUEA#syrie#afghanistan#venezuela#turquie#colombie#allemagne#espagne#france#ukraine#protection#sante#crisemigratoire#norvege#suisse

  • From the Sea to the River, the deadly violence of Europe’s borders
    https://visionscarto.net/border-forensics-from-sea-to-river

    Over the last years, investigative practices combining scientific methods, art and architecture have allowed to shed new light on human rights violations. Emerging out of the pioneering London-based agency Forensic Architecture and the Forensic Oceanography research project, in 2021 a new investigative agency – Border Forensics – was established. Border Forensics focuses specifically on documenting and contesting violence related to the existence and management of borders. This article (...) Articles

    #Articles_

  • L’Europe des camps d’enfermement - 2010
    https://visionscarto.net/europe-des-camps

    Titre : L’Europe des camps d’enfermement - 2010 Mots-clés : #migrations #réfugiés #asile #encampement #frontières #UE #Europe #politique_migratoire #politique_d'asile #violence Auteur : Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz Date : Juin 2010 L’Europe des camps d’enfermement Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz, juin 2010. #Collection_cartographique

  • L’avancée des frontières européennes
    https://visionscarto.net/avancee-des-frontieres

    Titre : L’avancée des frontières européennes : la politique de voisinage — 2010 Mots-clés : #frontières #UE #Europe #politique_migratoire #politique_de_voisinage #marges #asile #politique_d'asile Auteur : Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz Date : Juin 2010 L’avancée des frontières européennes Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz, juin 2010. #Collection_cartographique

  • Accords en toile d’araignée sur les migrations
    https://visionscarto.net/migrations-accords-en-toile-d-araignee

    Titre : Accords en toile d’araignée sur les migrations — 2010 Mots-clés : #frontières #UE #Europe #asile #politique_de_voisinage #marges #France #migrations #politique_migratoire #accord_de_réadmission Auteur : Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz Date : Juin 2010 Accords en toile d’araignée sur les migrations Olivier Clochard et Philippe Rekacewicz, juin 2010. #Collection_cartographique

  • PODCAST- FRONTIERA SOLIDALE #MEDU

    Medici per i Diritti Umani presenta Frontiera solidale: un podcast di tre puntate per raccontare, attraverso le voci dei testimoni diretti, il fenomeno epocale delle migrazioni, assumendo come osservatorio una frontiera nel cuore dell’Europa, quella tra l’Italia e la Francia, nell’Alta Val di Susa.

    https://mediciperidirittiumani.org/podcast-frontiera-solidale-medu
    #podcast #audio #Alpes #frontière_sud-alpine #montagne #Italie #migrations #asile #réfugiés #frontières #Val_de_Suse

  • Migrants : Gérald Darmanin demande aux maires RN d’ouvrir des centres de rétention administratifs dans leurs communes
    https://www.cnews.fr/france/2023-08-31/migrants-gerald-darmanin-demande-aux-maires-rn-douvrir-des-centres-de-retentio

    Selon les informations d’Europe 1, le ministre de l’Intérieur et des Outre-mer, #Gérald_Darmanin, a demandé aux maires du Rassemblement national d’ouvrir des centres de rétention administratifs (#CRA) sur le territoire de leur commune.

    Les membres du Rassemblement national sont favorables à la construction de nouveaux centres, mais selon le courrier du ministre de l’Intérieur, aucun maire n’aurait fait une demande officielle pour en accueillir un.

    « Mes services n’ayant reçu à ce jour aucune proposition de la part de communes dirigées par le Rassemblement national, je tenais à vous signaler personnellement l’importance de ce programme de construction pour l’efficacité de notre politique migratoire », aurait écrit Gérald Darmanin dans ce courrier.

    Ce rappel de Gérald Darmanin aux maires RN sur les CRA pour « la maîtrise des flux migratoires » agace
    https://www.huffingtonpost.fr/politique/article/ce-rappel-de-gerald-darmanin-aux-maires-rn-sur-les-cra-pour-la-maitri

    En novembre 2022, alors que la loi LOPMI était en discussion au Parlement, la députée RN Edwige Diaz avait notamment jugé « insuffisant » les 1700 places supplémentaires prévues en CRA. « Ce sont des milliers de CRA qu’il faudrait, et la volonté politique de le faire », déclarait-elle alors.

    Mais les élus RN n’ont guère apprécié ce rappel. « Ce n’est pas de CRA dont la France a besoin mais de #frontières et d’une réforme du #droit d’asile. Plus aucune #demande d’asile ne doit être traitée sur notre sol mais uniquement dans les pays d’origine, comme nous le demandons depuis des années », a cinglé en réponse le maire [danois] de Fréjus David Rachline.

    [...]

    La France comptait 25 de ces centres de rétention en 2022, pour 1936 places disponibles. Le gouvernement espère atteindre 3000 places d’ici 2027 mais les conditions de vie à l’intérieur font régulièrement l’objet de critiques.

    #RN #expulsion #étrangers #LOPMI #asile #racisme #construction_de_centres_de_rétention #extrême_droite #xénophobie_d'État #externalisation_des_demandes_d'asile

  • Bosnia seeks Austrian support for Frontex status agreement

    Bosnia and Herzegovina is hoping to get Austria’s help in signing a status agreement with the border agency Frontex, as Bosnian Interior Minister Nenad Nesic met with Austrian counterpart Gerhard Karner during a working meeting in Vienna on Tuesday.

    Karner praised the good police cooperation between the two countries. “This year alone we were able to arrest 300 traffickers,” he stated, also highlighting the fact that deportations from Bosnia have also been taking place since last year with Austria’s support, APA reported.

    The main topic of the meeting between Karner and Nesic was irregular migration on the Balkan route, the fight against organised crime and smuggling, and the situation in Bosnia and Herzegovina in this regard.

    Bosnia and Herzegovina is now seeking to sign a status agreement with the EU border management agency Frontex, following a cooperation agreement with Europol. Nesic also expects Austria’s help to sign an agreement by the end of the year.

    “Bosnia and Herzegovina wants to be part of the collective European security,” Nesic said. At the same time, he pointed out that the EU must respect Bosnia’s “specific situation” and constitution. He also hopes for help from Karner, “who knows our state structure, not only now but also in the past.”

    “Bosnia and Herzegovina is a reliable partner in the fight against the international smuggling mafia. The Frontex agreement will further strengthen border protection in the region,” Karner stressed.

    Frontex has concluded status agreements with all Western Balkan countries (with the exception of Kosovo, which is not recognised by all EU countries) and Moldova since 2019, which allow Frontex operations on the respective national territory by mutual agreement.

    https://www.euractiv.com/section/politics/news/bosnia-seeks-austrian-support-for-frontex-status-agreement

    #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #Frontex #asile #migrations #Balkans #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #accord

  • Se il contrasto ai flussi via mare diventa un mercato dalle “ottime prospettive”

    A dieci anni dalla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, il Mediterraneo è la rotta più fatale del Pianeta con oltre 30mila morti tra 2014 e metà 2023 (le stime ufficiali sono fortemente al ribasso). I Paesi però non investono su ricerca e soccorso ma sul “contrasto ai flussi”. Un giro d’affari d’oro. Il caso di #Cantiere_Navale_Vittoria.

    Le prospettive economiche del contrasto al “fenomeno della immigrazione illegale” per mare nei prossimi anni sono “ottime”, scrive nel suo ultimo bilancio Cantiere Navale Vittoria, azienda del settore della nautica civile, militare e paramilitare con sede ad Adria (Rovigo), partner strategico del ministero dell’Interno, della Guardia costiera, della Marina militare nonché fornitore, come riporta, dei “principali ministeri e marine del bacino del Mediterraneo”.

    Un mercato dalle “notevoli opportunità” che potrebbe portare a una “pipeline commerciale” superiore a 1,5 miliardi di euro solo per le nuove costruzioni previste nei prossimi anni, sommando commesse nazionali (della Marina, soprattutto) ed estere, tipo Tunisia, Grecia, Oman, Israele, Qatar, Malta, Libia, Romania, Croazia, Algeria.

    Là fuori, intanto, la stagione è terribile, segnata ancora una volta da mancati od ostacolati soccorsi e migliaia di morti nel Mediterraneo: 2.652 solo quelli registrati ufficialmente tra gennaio e metà agosto 2023 dalle Nazioni Unite, che schizzano a oltre 31mila se si fa il conto dal 2014 e si allarga lo sguardo alle diverse direttrici (dalla Libia, dalla Tunisia, dalla Turchia, dal Libano, dall’Egitto, dalla Siria, dai Paesi dell’Africa occidentale, etc.). Una strage -e le cifre dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni sono solo la punta dell’iceberg– che fa in pezzi il “mai più” promesso dai governi dell’Unione europea dieci anni fa, poche ore dopo il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, divenuto poi per legge la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione.

    Scorrere l’ultima relazione sulla gestione del cantiere di Adria adiacente al Canal Bianco, un ramo del Po, fa capire meglio dove vanno le politiche (e gli affari). “L’evoluzione del mercato di riferimento in cui opera la società -scrivono infatti gli amministratori- vede la decisa tendenza da parte di tutte le maggiori marine sovrane del Sud Europa nel volersi dotare di nuove unità destinate al pattugliamento d’altura e sotto costa oltre che a mezzi veloci necessari per contrastare efficacemente il fenomeno della immigrazione illegale”.

    Ecco perché la “linea di business” chiamata “#Fast_patrol_vessel” -cioè le navi da pattugliamento veloci- pesa sui ricavi del 2022 (circa 100 milioni di euro) per quasi il 50%. Un esempio sono i quattro pattugliatori da 38 metri consegnati nel biennio 2021-2022 alla guardia costiera greca, con altri due che potrebbero essere opzionati nel corso del 2023. La stessa guardia costiera che è finita di nuovo sotto accusa per la strage di Pylos del giugno scorso avendo, secondo i testimoni, imprudentemente trainato il peschereccio partito dalla Libia con a bordo oltre 700 persone e provocato così il suo inabissamento.

    La “linea” della ricerca e soccorso non arriva al 20% del fatturato, tallonata da quella del “#refitting”, ovvero la riparazione e rinnovo di assetti già esistenti. “La necessità di provvedere efficacemente al controllo costiero dei mari richiede anche l’ammodernamento delle unità già possedute -si legge ancora nel bilancio- e questo genera aperture molto interessanti nel mercato del refitting che Cantiere Navale Vittoria ha venduto ai propri clienti in anni precedenti”.

    Tipo le cosiddette guardie costiere libiche, che poi con quelle imbarcazioni, cedute con risorse pubbliche italiane ed europee, intercettano e riportano indietro i naufraghi verso il “cimitero più grande” che è il Nord Africa, per usare le parole di papa Francesco, in alcuni casi anche sparando contro le navi delle Ong. O la Guardia nazionale tunisina, per la quale l’azienda sta sistemando sei pattugliatori da 35 metri costruiti nel 2014. Ci sono poi veri e propri prototipi, come la serie di “#intercettori_fluviali_in_alluminio” lunghi dieci metri scarsi studiati per le “dure” condizioni affrontate dalla polizia romena o i due “#innovativi_intercettori” da 20 metri in grado di superare i 70 nodi (130 chilometri all’ora) commissionati dalla polizia reale omanita. Anche se la consegna più importante nell’ultimo anno è stata l’ammiraglia per le “forze armate maltesi”: 75 metri, un ponte di volo e 51,4 milioni di euro di valore. L’ipocrisia è in mezzo al mare.

    https://altreconomia.it/se-il-contrasto-ai-flussi-via-mare-diventa-un-mercato-dalle-ottime-pros

    Les fast patrol vessels (#FPV) :

    The patrol boat is excellent for navies and maritime police today strength: more than 43 knots of maximum sustainable speed, with negligible speed loss up to Beaufort 3, combined with high-level accommodations to maximize crew comfort even on extended missions. Built in a series of four sister ships for the Cyprus Navy and the Maritime Police, the high speed allows rapid deployment even at great distances from the base, while the excellent hull design and motion control capabilities minimize the loss of speed in the open sea.


    https://www.vittoria.biz/en/categoria-nave/defence-and-security-en//#section169

    #migrations #asile #réfugiés #business #complexe_militaro-industriel #contrôles_frontaliers #technologie #navires #frontières #Italie

  • Les épreuves de la frontière
    Cours du 05 avril 2023 : #Rencontres

    Les 3 rencontres, le récit avec une triple voix :

    - un exilé :
    Une famille de #réfugiés_afghans, dont Fassin retrace tout le parcours depuis l’#Afghanistan jusqu’à #Briançon, en passant par la Grèce et les Balkans

    - un policier : (à partir de la min 26’40)
    Fassin raconte l’habitude que les forces de l’ordre ont de demander aux chauffeurs du bus qui fait Oulx-Claviere combien de migrants sont descendus du bus à Claviere. Fassin raconte la militarisation de la frontière (2 escadrons de la #gendarmerie_mobile, 140 militaires + 30 hommes des forces armées sentinelles + 25 réservistes de l’#opération_limes —> presque 200 en plus des policiers). « A quoi sert ce qu’ils font ? » (dès min 29’45) Réponse : « tous les migrants finissent par passer. (...) Ce n’est pas un secret, tout le monde le sait » (min 30’04)... Quel intérêt donc ? (min. 30’28) : « faire du chiffre ». « C’est ce que leur demande le commandant, c’est ce que leur demande la préfète, parce que ce sont des #statistiques qu’on fait remonter au Ministre de l’Intérieur qui peut ensuite s’en féliciter publiquement. C’est beaucoup plus facile d’arrêter des migrants que des passeurs, alors comme son collègue il se satisfait des non-admissions. Quand leur nombre augmente, on les complimente et à la fin de l’année ils ont une meilleure prime ; quand il diminue on les convoque, on les réprimande, on exige de meilleurs résultats ». Fassin observe que pas tout le monde n’est pas satisfait de la situation, il évoque le #suicide d’un brigadier qui commandait une équipe de nuit (min 31’02) : « Un homme gentil, respectueux modeste, correct avec les migrants. La version officielle c’est qu’il avait des problèmes conjugaux, qu’il était séparé de sa femme, qu’il voyait moins ses enfants, qu’il faisait une dépression. C’est surement pas faux, mais il a vu comment son collègue était affecté par la dégradation de l’ambiance au sein de l’institution, les attentes de résultats quantifiés par leur hiérarchie ont généré une compétition entre les équipes à qui ferait le plus d’interpellations. Il avait entendu dire le brigadier que ’plus que la qualité du travail, c’était la quantité qui comptait désormais, quitte à tordre les données. Il n’ignore pas que les performances de l’autre équipe valaient sans cesse à son chef des brimades et des humiliations. D’ailleurs, il a entendu dire qu’avant de se suicider, le brigadier avait laissé une lettre dans laquelle il expliquait les raisons de son geste, évoquant les pressions de sa hiérarchie, qu’il ne supportait plus. Beaucoup le pense, au fond, c’est la #politique_du_chiffre qui l’a tué. La mort de son collègue lui a laissé un goût amer, un vague sentiment de culpabilité, ’n’aurait-il pas fallu se montrer plus solidaires entre eux au lieu d’exacerber la concurrence ?’ (...) N’aurait-il pas fallu comprendre quand il répétait qu’il ne trouvait plus de sens à son travail ? »
    Au poste-frontière de Montgenèvre, la scène d’un médecin (probablement de Médecins du Monde, qui entre pour demander de libérer au de reconduire à la frontière les deux adultes interpellés, car leurs enfants ont été entre temps déjà amenés à Briançon (35’28) : Le policier « accuse le médecin d’organiser comme les autres volontaires des opérations hasardeuses pour aider les migrants à franchir la frontière en les amenant à emprunter des chemins dangereux, ils ne font pas de la mise à l’abri, comme ils le disent, ils les exposent à des risques inconsidérés. Ce sont eux, les policiers et les gendarmes, qui protègent les migrants, déclare-t-il ».
    Min 37’50 : les policiers « pestent contre les maraudeurs » "qui sont en réalité des passeurs" —> la présence de maraudeurs et du refuge comme éléments de l’#appel_d'air

    - le maraudeur (à partir de la min 39’18)

    –—

    Deuxième partie de la conférence (à partir de la min 53’00), Fassin explique comment il a construit la narration avec les trois personnages :

    https://www.youtube.com/watch?v=rkOJJ9jYT8Y


    #conférence #vidéo #Didier_Fassin #frontière_sud-alpine #ethnographie #asile #migrations #réfugiés #parcours_migratoire #Briançonnais #Italie #France #Hautes-Alpes #forces_de_l'ordre #militarisation_des_frontières #opération_sentinelle #pression_des_résultats #refus_d'entrée #PAF #police_aux_frontières #solidarité

  • « En 2080, quand les réfugiés climatiques européens sont refoulés systématiquement par leurs voisins... »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/30/en-2080-quand-les-refugies-climatiques-europeens-sont-refoules-systematiquem

    « En 2080, quand les réfugiés climatiques européens sont refoulés systématiquement par leurs voisins... »
    Tribune François Julien-Laferrière
    professeur émérite de droit public à l’université Paris Saclay
    2080. La Camargue a disparu sous les eaux. Aigues-Mortes (Gard) et Narbonne (Aude) sont redevenues des ports. Sète (Hérault) est réduite au mont Saint-Clair, le reste de la ville a été submergé. Les étangs de Mauguio, du Méjean, de Thau (Hérault), de Sigean (Aude), de Leucate (Aude et Pyrénées-Orientales) ne sont plus que souvenirs. Les Pays-Bas ont perdu près de la moitié de leur superficie, tout comme le Danemark. Le désert couvre la moitié de l’Espagne, le feu a dévoré la forêt portugaise.
    La catastrophe annoncée depuis près d’un siècle est là. Les habitants des zones conquises par les mers fuient. Les uns se réfugient à l’intérieur des terres, pour l’instant épargné. D’autres tentent de gagner des contrées qui devraient être à l’abri de la montée des eaux pendant au moins quelques décennies. L’Ecosse et la Norvège sont les destinations privilégiées. La population de Lyon et de Grenoble double, celle de Toulouse et Strasbourg aussi, tandis que Montpellier et Bordeaux perdent près de la moitié de leurs habitants. Ces migrations internes et internationales causent des tensions. Tout un quartier d’une sous-préfecture de l’est de la France manifeste contre l’ouverture d’un « centre d’accueil pour réfugiés internes » qui doit recevoir douze familles originaires du Languedoc.
    Quant à ceux qui ont cru trouver asile en Scandinavie, ils doivent déchanter. Le Danemark, lui-même profondément affecté, et la Norvège, très sollicitée, se retirent de l’espace Schengen pour ne plus être liés par le principe de libre circulation des personnes. Ils mobilisent leurs gardes-côtes – dont les effectifs sont considérablement augmentés – et refoulent systématiquement les migrants européens qui tentent d’accoster. Et ceux qui ont réussi à gagner la terre ferme sont parqués dans des « camps » spécialement créés pour eux, dotés d’équipements rudimentaires, d’où il est interdit de sortir tant que l’examen de leur demande d’asile n’est pas terminé. Et si l’asile est refusé – ce qui est le cas pour environ 90 % des demandes –, le retour au pays d’origine est la règle, le recours contre cette décision n’étant pas suspensif, sauf raison de santé ou motif « humanitaire ».
    C’est que ces réfugiés d’un nouveau type n’entrent dans aucun des cas prévus par la convention de Genève de 1951 sur le statut des réfugiés, qui ne s’applique qu’aux personnes fuyant leur pays « en raison de leur race, de leur religion, de leur appartenance à un certain groupe social ou de leurs opinions politiques ». C’est pourquoi les gouvernements des pays d’Europe du Sud ont demandé, aussi bien dans le cadre de l’Union européenne que de l’Organisation des Nations unies, l’ouverture de négociations en vue de l’élaboration d’une convention qui s’appliquerait aux « réfugiés climatiques ». Vainement. Les Etats d’Europe du Nord et des deux Amériques, mais aussi certains pays africains, s’y opposent fermement, craignant un effet d’« appel d’air » et une « invasion de migrants ».
    L’une des seules voies qui reste ouverte aux candidats au départ, c’est la traversée de la Méditerranée, puis de l’Afrique du Nord et du Sahel, avec l’espoir de gagner les pays d’Afrique centrale où l’éloignement de la mer et le climat semblent encore permettre de survivre pour quelques générations. Mais, eux aussi, se défendent, dressent des murs et des barbelés dans l’espoir de se protéger de cet afflux – ces hordes – d’Européens, blancs, chrétiens, arrogants, qui risquent de mettre en péril leur économie et leur cohésion nationale déjà si fragile. On recense tous les jours des naufrages d’embarcations surchargées. On trouve dans le désert des cadavres d’hommes, de femmes et d’enfants morts de soif, on en sauve parfois quelques-uns avant l’issue fatale. Mais les autorités de certains pays refusent, notamment à SOS Méditerranée, l’autorisation de débarquer les rescapés ou ferment leur espace aérien aux avions ou hélicoptères effectuant des sauvetages.
    Nul n’est à l’abri de devoir un jour quitter son pays pour trouver la paix, la sécurité, ou tout simplement pour pouvoir survivre ; pas même nous, Français. Alors, ce scénario d’apocalypse est-il totalement absurde ? Imaginer seulement qu’il n’est pas totalement invraisemblable, sans aller jusqu’à le penser probable, ne doit-il pas nous conduire à être davantage accueillants envers ceux qui frappent à nos portes ? Les débats qui vont entourer l’élaboration puis le vote de la future loi « pour contrôler l’immigration, améliorer l’intégration » doivent être l’occasion d’envisager différemment les phénomènes migratoires, de ne pas les regarder qu’avec nos yeux de pays sollicités, mais aussi avec ceux de nos semblables humains qui nous sollicitent.
    François Julien-Laferrière est professeur émérite de droit public à l’université Paris-Saclay, spécialiste du droit des étrangers et de l’asile, ancien juge à la Cour nationale du droit d’asile.

    #Covid-19#migrant#migration#asile#refugieclimatique#refoulement#accueil#immigration#integration#prospective

  • Migration : « Il faut modifier le principe selon lequel les personnes mettant le pied en Europe ont le droit d’y faire traiter leur demande d’asile »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/08/30/migration-il-faut-modifier-le-principe-selon-lequel-les-personnes-mettant-le

    Migration : « Il faut modifier le principe selon lequel les personnes mettant le pied en Europe ont le droit d’y faire traiter leur demande d’asile »
    Tribune
    Kaare Dybvad Bek Ministre danois de l’immigration et de l’intégration
    Peter Nedergaard Professeur à l’université de Copenhague
    Les réfugiés et les migrants en provenance du Moyen-Orient, d’Afrique du Nord et d’autres régions du monde participent chaque année à une course souvent tragique pour rejoindre l’Europe. Après la pandémie de Covid-19, l’afflux vers notre continent s’est violemment intensifié : l’année dernière, près d’un million de demandes d’asile ont été déposées dans l’Union européenne (UE), le rythme s’accélérant encore cette année.
    Un tel phénomène est extrêmement inquiétant à plusieurs niveaux. D’une part parce que des milliers de personnes se noient en Méditerranée dans leur périple, mais aussi parce qu’une grande partie de la population européenne a de plus en plus le sentiment que l’immigration est hors de contrôle. La plupart des pays de l’UE possèdent aujourd’hui des décennies d’expérience en matière d’immigration. Si de nombreux entrants non occidentaux se comportent de manière exemplaire, nombre de nos concitoyens rencontrent des frictions et des conflits culturels dans leur vie quotidienne. Les statistiques mettant en évidence un taux de criminalité élevé et un faible niveau d’emploi parmi les immigrés sont bien connues, et de nombreuses personnes ont le sentiment que leurs préoccupations concernant la radicalisation et la formation de ghettos ne sont pas prises au sérieux, à en juger par les flux de migrants se poursuivant sans relâche vers l’Europe. Cet état de fait est en partie dû à notre système d’asile, qui est à l’origine de certaines dynamiques catastrophiques. En effet, bien que les pays européens acceptent un nombre record de demandeurs d’asile, nous abandonnons les réfugiés les plus vulnérables du monde – femmes, enfants, personnes handicapées ou en mauvaise condition physique. Ces laissés-pour-compte n’ont souvent ni l’argent ni la force nécessaire pour entreprendre le voyage dangereux vers l’Europe, et se retrouvent dans des camps de réfugiés sous-financés.
    Au contraire, nous dépensons d’énormes ressources pour traiter des cas, notamment de jeunes hommes, dont beaucoup n’ont aucun motif légal d’asile, mais qui essaient d’aller en Europe pour des raisons financières, afin d’obtenir de meilleures conditions de vie. Chaque année, les pays de l’UE examinent des milliers de demandes d’asile. L’année dernière, plus de la moitié ont fait l’objet d’un refus en première instance. Il est navrant de penser aux sommes que nous dépensons pour les interprètes, les avocats, l’hébergement et le rapatriement de personnes qui n’auraient jamais dû être ici – alors même que l’Organisation des Nations unies et la Croix-Rouge internationale manquent désespérément de moyens pour faire face à la misère dans certaines zones du monde.
    Rappelons expressément que le droit d’asile est réservé aux personnes victimes de persécutions. Les individus souhaitant vivre en Europe pour d’autres raisons doivent déposer leur dossier par les canaux réglementés, tels que les permis de travail ou les séjours d’études. Si nous ne modifions pas la politique actuelle en matière d’asile et de réfugiés, les accidents mortels se poursuivront, tandis que nous courons le risque de voir les citoyens ordinaires perdre confiance dans les dirigeants et les institutions. A long terme, cela pourrait conduire les électeurs à se tourner vers l’extrême droite européenne, qui ne tentera de résoudre le problème qu’avec des murs plus hauts et des barbelés, sans aucun égard pour l’aspect humanitaire. Le Danemark a l’ambition de faire des propositions concrètes sur ce à quoi pourrait ressembler l’avenir de la politique européenne d’asile et d’immigration. En premier lieu, nous devons effectivement anéantir le modèle commercial cynique des trafiquants d’êtres humains qui spéculent sur la misère des gens. En juin, nous avons vécu l’un des pires naufrages de migrants en Méditerranée : un bateau de pêche surpeuplé avec environ 750 personnes à son bord a chaviré au large des côtes grecques. Une semaine plus tard, un canot pneumatique a coulé en mer lors de sa route vers les îles Canaries, tandis que près de 100 personnes ont disparu dans un accident au large des côtes italiennes en février.
    Les ONG et certains médias accusent souvent les opérations de sauvetage européennes d’être bien trop inefficaces et pressent les dirigeants de l’UE à faire plus pour aider les personnes embarquées dans les canots pneumatiques dangereux. Mais trop peu d’acteurs de ce débat mettent en avant le fait que les accidents continueront jusqu’à ce que nous arrêtions les cerveaux sans scrupule qui font fortune en entraînant les gens dans un voyage souvent mortel. Le gouvernement danois a lancé un projet de réforme du système d’asile qui combattra la traite des êtres humains et veillera à ce que nous fournissions une protection à celles et ceux qui se trouvent éligibles au droit d’asile, tout en maîtrisant l’afflux, afin de ne pas recevoir plus de personnes que nous ne sommes capables d’intégrer. Pour ce faire, il convient de modifier le principe actuel selon lequel les personnes mettant le pied sur le sol européen ont le droit d’y faire traiter leur demande d’asile.
    Si le Danemark et les pays européens doivent continuer à offrir une protection à ceux qui en ont besoin, il est nécessaire que l’UE fasse preuve de diligence raisonnable en trouvant des solutions innovantes pour améliorer le contrôle de l’afflux, dans le respect de nos obligations internationales. Le Danemark a ainsi proposé que les demandeurs d’asile spontanés soient transférés vers un pays partenaire sûr en dehors de l’UE, où les demandes doivent être instruites et une protection potentiellement offerte. Cependant, nous sommes également ouverts à d’autres solutions, telles que des partenariats migratoires avec d’autres pays, sur le modèle du pacte migratoire établi entre l’UE et la Turquie en mars 2016. Les réfugiés devraient venir en Europe sur la base de principes humanitaires et non parce qu’ils ont réussi à entrer clandestinement sur son sol. Nous devons supprimer le droit du plus fort dans la politique d’accueil des réfugiés.
    Le souhait du Danemark est que nous réaffections nos ressources, de sorte que beaucoup plus de moyens soient alloués au soutien des organisations humanitaires qui accomplissent une tâche énorme à proximité des conflits. Il s’agit à la fois de fournir la nourriture, les médicaments, les couvertures et d’autres besoins urgents aux déplacés. Mais il s’agit également de scolariser les enfants, de proposer un emploi aux parents et de soutenir les communautés locales, qui font face à un énorme travail d’intégration.
    Le Danemark a été le premier pays à avoir ratifié la convention de Genève sur les réfugiés, et nous serons le dernier pays à l’abandonner. Cependant, il convient d’adopter une posture différente de sorte que les citoyens puissent continuer à reconnaître leurs propres sociétés.
    Kaare Dybvad Bek est le ministre danois de l’immigration et de l’intégration ; Peter Nedergaard est professeur de sciences politiques, docteur du troisième cycle à l’université de Copenhague

    #Covid-19#migrant#migration#danemark#UE#asile#politiquemigratoire#refugie#pactemigratoire#accueil#postcovid

  • Fermeture des Terrasses solidaires à Briançon : "la situation devient compliquée"

    « La situation devient trop compliquée » : Marjolaine Bert, administratrice aux Terrasses Solidaires, s’exprime après l’annonce de la fermeture de l’établissement d’accueil d’urgence à Briançon

    https://www.bfmtv.com/bfm-dici/replay-emissions/bonsoir-dici-haute-provence/fermeture-des-terrasses-solidaires-a-briancon-la-situation-devient-compliquee

    #asile #migrations #réfugiés #accueil #Briançonnais #Hautes-Alpes #frontière_sud-alpine #Alpes #hébergement #mise_à_l'abri #terrasses_solidaires #refuge_solidaire #refuges_solidaires #frontières #Briançon #France

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    Les alertes sur l’intenabilité de la situation ont pourtant été nombreuses pendant tout l’été :

    A #Briançon, l’accueil des migrants de plus en plus compliqué : « Ce n’est plus gérable »
    https://seenthis.net/messages/1012315

    • "Les bénévoles sont épuisés" : à Briançon, le refuge pour migrants les Terrasses solidaires s’apprête à fermer

      « Il y avait 320 personnes ce matin avant des départs, et encore 250 ce soir, alors que les capacités d’accueil sont de 80 personnes. Nous avons acté lundi soir la fermeture », a expliqué l’administrateur de Refuges Solidaires, l’une des associations membre des Terrasses Solidaires.

      La structure d’accueil de migrants à Briançon (Hautes-Alpes) Terrasses Solidaires s’apprête à fermer, s’estimant dans l’incapacité d’assurer leur sécurité en raison de locaux surchargés, a-t-on appris mardi 29 août auprès d’un de ses responsables.

      « Il y avait 320 personnes ce matin avant des départs, et encore 250 ce soir, alors que les capacités d’accueil sont de 80 personnes. Nous avons acté lundi soir la fermeture », a expliqué à l’AFP Jean Gaboriau, administrateur de Refuges Solidaires, l’une des associations membre des Terrasses Solidaires, pilier de l’accueil temporaire des personnes arrivant d’Italie par le col de Montgenèvre.

      « Nous ne sommes plus en capacité de gérer ce lieu, pour des raisons de sécurité, de fatigue des bénévoles, et de manque de ressources en nourriture, eu égard à ce surnombre », a-t-il poursuivi, précisant que « des membres extérieurs aux Terrasses remettent en cause cette décision de fermeture et empêchent dans l’immédiat l’organisation de l’évacuation ».

      Le maire de Briançon exige des « excuses »

      Ce site ouvert en août 2021 avait déjà fermé en octobre 2021 pour les mêmes raisons de dépassement de capacités. Selon Jean Gaboriau, « ce n’est qu’un lieu de repos, qui n’a pas vocation à accueillir les gens plus de 2-3 jours. Nous réclamons de longue date aux services de l’Etat l’ouverture d’#hébergement_d'urgence ».

      Dans un communiqué, le maire de Briançon, #Arnaud_Murgia (LR), s’en est pris de son côté aux associations gestionnaires des Terrasses Solidaires, leur réclamant des « excuses », notamment pour « les sapeurs-pompiers agressés ces derniers jours », pour « les tirs au mortier sur les gendarmes à la frontière début août (...) jamais condamnés ».

      « Briançon n’est pas, et ne sera jamais (...) le laboratoire d’expérimentation d’une extrême gauche plaidant pour une immigration massive et incontrôlées », a poursuivi l’édile, qui « appelle plus que jamais le préfet et l’Etat à renforcer les contrôles à la frontière et à faire exécuter les OQTF (obligation de quitter le territoire français) ».

      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/les-benevoles-sont-epuises-a-briancon-le-refuge-pour-migrants-les-terra

    • Accueil des migrants à Briançon : finalement, les Terrasses solidaires ferment

      Le tiers lieu de Briançon, où est abrité le Refuge solidaire, la structure d’hébergement d’urgence pour les personnes migrantes, ferme ses portes ce mercredi 30 août, en début de soirée.

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      [Mise à jour] Les Terrasses solidaires ferment bel et bien

      Dans la journée de ce mercredi 30 août, la décision est finalement tombée : les Terrasses solidaires ferment bel et bien.

      Les discussions ont encore été animées, mais le conseil d’administration du tiers-lieu a décidé de fermer les portes. En début de soirée, les bénévoles conduisaient les personnes hébergées restantes à la gare, pour qu’elles quittent Briançon, ou à la salle paroissiale Sainte-Thérèse pour un abris de fortune.

      Comme à l’automne 2021, la paroisse Sainte-Catherine a mis à disposition salle et terrain. La première hébergera les personnes les plus vulnérables, les femmes et les enfants. Le second permettra aux migrants n’ayant pas encore quitté la ville ou arrivant dans la nuit, de dormir sous des tentes.
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      C’est un nouveau retournement de situation, ce mercredi 30 août, aux Terrasses solidaires. Finalement, le tiers lieu de Briançon, qui abrite notamment le Refuge solidaire, la structure d’hébergement d’urgence pour les personnes migrantes, ne devrait pas fermer.

      Ce, contrairement à ce qui avait été acté en début de semaine par le conseil d’administration des Terrasses solidaires.

      Lundi 28 août, le refuge avait une nouvelle fois hébergé plus de 300 personnes, dans des conditions de sécurité et d’hygiène que les bénévoles et salariés ne pouvaient plus assumer.

      Cependant, dès hier mardi 29 août, des dissensions sont apparues parmi les solidaires sur la marche à suivre pour fermer les portes du tiers lieu. « Finalement, on ne va pas fermer », annonce au Dauphiné Libéré ce mercredi matin, Jean Gaboriau, membre du conseil d’administration de l’association Refuges solidaires.

      Pour ne pas risquer davantage de conflit avec les personnes opposées à une ouverture des Terrasses, et parce que de nombreux exilés, à l’annonce de la fermeture, ont quitté Briançon dans la journée de mardi, les portes sont donc toujours ouvertes.

      « On poursuit l’accueil, dans des conditions dégradées, mais on le poursuit », commente le bénévole. Dans la nuit, une trentaine de personnes ayant traversé la frontière entre l’Italie et la France sont arrivées au refuge.

      https://www.ledauphine.com/societe/2023/08/30/briancon-finalement-les-terrasses-solidaires-ne-devraient-pas-fermer

    • "On continue d’accueillir des exilés" : les Terrasses solidaires de Briançon restent finalement ouvertes

      Les Terrasses solidaires, lieu associatif qui accueille pour quelques nuits les migrants venus d’Italie, ne ferment pas leurs portes. Contrairement à ce qui a été annoncé en début de semaine, la structure va continuer d’héberger des exilés.

      Depuis plusieurs semaines, les Terrasses solidaires tirent la sonnette d’alarme : les associations, qui gèrent ce lieu d’accueil pour les exilés venus d’Italie, n’arrivent plus à gérer la gestion du site. En cause, un nombre de migrants trop élevé par rapport à ses capacités d’accueil. Le centre a hébergé plus de 300 personnes ces derniers jours, un record pour une structure de 81 places.

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      Arnaud Murgia sur X :

      Fermeture des #TerrassesSolidaires à Briançon. J’aurais préféré des excuses, car les Briançonnais n’ont pas à subir cette situation !


      https://twitter.com/ArnaudMurgia/status/1696538247328038940
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      Lundi 28 août, la fermeture des Terrasses solidaires est actée. Mais deux jours plus tard, les associations rétropédalent et décident de maintenir le lieu ouvert. La raison ? La moitié des occupants ont quitté les lieux et les humanitaires estiment pouvoir accueillir les exilés dans de meilleures conditions.

      InfoMigrants : Pourquoi avoir décidé en début de semaine de fermer les Terrasses solidaires ?

      #Jean_Gaboriau : Lundi, nous avons pris la décision de fermer les Terrasses solidaires car nous n’arrivions plus à gérer le lieu, surpeuplé. Depuis le mois de mai, la situation est très compliquée. On tourne à minimum 150 personnes, alors que la capacité initiale de la structure est de 81 places.

      On alerte depuis des mois les autorités pour trouver des solutions, mais personne ne fait rien. En début de semaine, on hébergeait environ 300 exilés. Ce n’est pas tenable, pour les personnes hébergées, les bénévoles mais aussi pour des questions matérielles et de sécurité. Le réfectoire était devenu un dortoir, les gens dormaient par terre.

      Nous ne sommes pas un centre d’accueil mais un lieu de transit, où les migrants peuvent se reposer un ou deux jours avant de reprendre leur route. Le lieu n’a pas vocation a être un endroit où on s’installe.
      IM : Aujourd’hui, vous avez finalement fait marche arrière en annonçant que le lieu restait ouvert. Pourquoi ?

      JG : On reste ouvert car ce mercredi matin, il n’y a ‘plus’ que 150 personnes. Ces derniers jours, on a incité les gens à partir, à prendre un billet de train à la gare et à continuer leur route. On leur a expliqué qu’on ne pouvait pas les héberger plus longtemps.

      Pour le moment, on continue d’accueillir des exilés, avec les forces vives qu’ils nous restent et dans le cadre d’un accueil limité. On n’a pas le choix, aucune autre structure n’héberge les migrants qui débarquent dans la région.
      IM : Le maire de Briançon, Arnaud Murgia, a publié un communiqué dans lequel il a des mots très durs envers votre association. Il réclame des excuses pour « les sapeurs-pompiers agressés ces derniers jours » et pour « les tirs de mortier sur les gendarmes à la frontière début août (...) jamais condamnés ».

      JG : Nous n’avons aucun soutien de l’État, alors qu’on réclame depuis des années l’ouverture d’un centre d’hébergement d’urgence. Et en plus, nous apprenons les propos odieux du maire de la ville. Il mélange tout, nous ne sommes pas responsables de tout ce qu’il se passe dans la ville ou à la frontière.

      C’est choquant et inacceptable. D’autant que Monsieur Murgia se contredit. Il affirme dans son communiqué qu’il a tout fait pour ne pas avoir de structure comme la notre à Briançon. Or, c’est totalement faux. Il a, au contraire, accéléré la commission de sécurité pour que nous soyons le plus vite possible dans le bâtiment des Terrasses solidaires. Certes, il n’a pas plaidé en notre faveur mais il ne nous a pas mis de bâtons dans les roues, et il a contribué à l’ouverture rapide de ce lieu.❞

      https://www.infomigrants.net/fr/post/51463/on-continue-daccueillir-des-exiles--les-terrasses-solidaires-de-brianc

    • Communiqué de presse : Fermeture du bâtiment des Terrasses Solidaires

      Hélas, après plus de deux mois à tenter d’accueillir dignement les personnes exilées, toujours plus nombreuses avec des records de plus de 300 personnes mi-août, le bâtiment des Terrasses Solidaires a fermé ses portes mercredi 30 août, pour mettre en sécurité les migrants, les bénévoles, les salariés tous épuisés par ces conditions.

      Notre association Refuges Solidaires poursuit sa mission en accueillant les exilé.e.s sous tente sur le terrain de l’église Sainte Catherine, et les personnes vulnérables (femme, enfants, bébés et mineurs non accompagnés) dans la salle de la paroisse.

      Vous trouverez ci-après notre communiqué de presse.

      Toute aide sera la bienvenue ! Nous avons besoin de bénévoles, de tentes et sac de couchages, de vêtements chauds, d’aliments.
      Vous pouvez toujours envoyer vos dons au 34 route de Grenoble – 05100 Briançon

      https://refugessolidaires.com/2023/09/01/fermeture-batiment-refuges-solidaires

    • « A 300 dans le bâtiment, c’était inimaginable » : à Briançon, un centre d’accueil pour migrants, surchargé, ferme ses portes

      Ce centre était ouvert depuis 2021, mais après des pics d’arrivées en août, la situation était devenue intenable. Cette fermeture a tout du signal d’alarme : les associations demandent en effet à la préfecture depuis des années l’ouverture d’un centre d’accueil d’urgence pour soulager le refuge associatif. L’Etat refuse avec constance.

      L’association Refuges solidaires, qui accueille depuis 2017 les migrants après leur passage de la frontière franco-italienne, a pris une lourde décision le 28 août : fermer « provisoirement » les portes de son centre d’accueil aménagé depuis 2021 dans un ancien sanatorium sur les hauteurs de Briançon. « Avec 315 exilés présents ce jour-là, dans un bâtiment dont la capacité est de 65 couchages, nous étions face une surpopulation et une saturation inédite, précise Jean Gaboriau, l’un des responsables de l’association. Cette situation était devenue intenable. »

      L’afflux d’exilés a été massif en août : de 30 à 50 personnes chaque nuit, avec des pics de 120 le 13 août et de 90 le 21 août. Les arrivants d’Afrique subsaharienne sont de plus en plus nombreux, Guinéens, Camerounais et Ivoiriens, avec un nombre très important de mineurs et quelques familles, en plus des flux habituels de jeunes Marocains. « A 300 dans le bâtiment, c’était inimaginable, estime Nelly, pilier de Refuges solidaires. Les gens dormaient partout, assis, debout contre un chambranle de porte, devant les issues de secours, sur les terrasses… »
      « Il était devenu difficile de suivre les situations médicales »

      « La fermeture était devenue indispensable, tranche Isabelle Lorre, coordinatrice de la mission de Médecins du monde, présente au refuge depuis les origines. Il était devenu difficile de suivre les situations médicales des arrivants, dont un sur deux a besoin de soins, de prévenir les risques infectieux, et de garantir la santé des accueillants, épuisés et en danger. » Le 25 août, une rixe avait éclaté dans les locaux.

      L’évacuation s’est faite progressivement, dans le calme, entre mardi et mercredi. Une majorité des exilés a précipité son départ, tandis que ceux qui n’étaient pas en mesure de partir immédiatement étaient installés près de l’église de Briançon, sous tente sur un terrain de la paroisse et dans un local attenant. Ce centre d’accueil improvisé abrite depuis mercredi soir une centaine de personnes, au rythme d’une vingtaine d’arrivées et d’autant de départs chaque jour.

      Ce vendredi, les solidaires ajoutent deux grandes tentes marabout aux quelque 25 canadiennes déjà montées. A l’abri de la salle paroissiale Sainte-Thérèse jonchée de matelas, deux mères se reposent avec leurs bébés. Des jeunes tapent le ballon, un salon de coiffure improvisé tourne à bloc. Sous un cerisier, une militante de la Cimade dispense un cours sur le droit d’asile, suivi avec gravité par une vingtaine de jeunes exilés. Claude, bénévole, improvise sa mission de conseil aux migrants sur les possibilités de départ : « Sans Internet ni nos ordis, c’est un pis-aller… mais on n’est pas plus mal au grand air ! C’était devenu trop dangereux au refuge. » Il sourit, soulagé, mais s’interroge : « Depuis trois jours, le flux s’est calmé et il fait beau. Mais que se passera-t-il dans huit jours, au prochain pic ? »
      « Cela impose à l’Etat de prendre ses responsabilités »

      Les dirigeants des associations sont unanimes : « Nous ne retournerons pas dans le bâtiment sans garantie d’un cadre permettant d’assurer la dignité et la sécurité de l’accueil qui nous ont manqué ces derniers mois. Cela impose à l’Etat de prendre ses responsabilités », assène Marjolaine Bert, coresponsable des Terrasses solidaires, qui gère le bâtiment hébergeant Refuges solidaires. Les associations demandent à la préfecture depuis des années l’ouverture d’un centre d’accueil d’urgence, géré par la Croix-Rouge, pour soulager le refuge. L’Etat refuse avec constance, arguant d’un dispositif d’accueil d’urgence départemental de 175 places… tout en reconnaissant « qu’il n’a pas pour vocation de prendre en charge les personnes en transit » mais bien celles « en situation de grande vulnérabilité à l’instar des demandeurs d’asile ».

      Face aux migrants qui affluent, l’Etat n’a qu’une réponse, tout aussi constante : le maintien d’une force policière massive destinée à les refouler. Cette « militarisation » de la frontière, selon le terme des solidaires, a pourtant démontré son inefficacité. Mardi, le syndicat policier Alliance a dénoncé « l’épuisement » des policiers qui font face « à une perte de sens total de leur métier » : « Malgré les non-admissions effectuées jour et nuit par nos collègues, les migrants ayant fait l’objet de ces procédures tentent inexorablement de franchir la frontière. » Ils le font en prenant de grands risques, de nuit et par des sentiers d’altitude.

      Lundi 7 août, le corps d’un jeune Guinéen a été découvert près du col de Montgenèvre, côté français. C’est le cinquième migrant décédé retrouvé depuis 2018 sur cette portion de frontière. Les solidaires estiment que neuf personnes au moins y ont trouvé la mort.

      https://www.liberation.fr/societe/a-300-dans-le-batiment-cetait-inimaginable-a-briancon-un-centre-daccueil-

    • La #paroisse de Briançon ouvre ses portes

      A Briançon, depuis mai dernier, l’accueil d’urgence des personnes sur la route de l’exil qui passent par nos montagnes, au Tiers Lieu “Les Terrasses Solidaires”, par l’association Refuges Solidaires, fonctionne en surcapacité.

      Prévu pour 65 personnes, il en a accueilli souvent près de 300. D’où des difficultés sanitaires et relationnelles, l’épuisement des bénévoles et des salariés. Le 30 août dernier, comme en octobre 2021, le CA des Terrasses Solidaires a légitimement décidé la fermeture du lieu, pour remettre en sécurité le lieu, et prendre le temps de réfléchir sur son fonctionnement.

      A la demande du CA, la paroisse de Briançon a une fois de plus ouvert ses salles paroissiales #Sainte_Thérèse pour mettre à l’abri en particulier les plus vulnérables (mineurs non accompagnés, femmes seules, femmes avec enfants). Des tentes ont été dressées dans le jardin pour abriter ceux qui dormiraient alors dans les rues de Briançon.

      La Commission Pastorale des migrants du Diocèse de Gap-Embrun tient à saluer le travail collectif exceptionnel des bénévoles et salariés de “Refuges Solidaires” de Briançon cet été.

      Depuis le mois de mai “Refuges Solidaires” appelle à l’aide. Aucune autre réponse n’est venue des pouvoirs publics que celles de l’annonce de renforcements de contrôle aux frontières, ou des rappels de certains articles de la législation promettant sanction à toute personne facilitant les passages de clandestins aux frontières, omettant quelque autre article rappelant le devoir de venir en aide à toute personne en danger.

      Assimiler le déploiement de générosité de tant de bénévoles et salariés de Refuges Solidaires et des associations partenaires des Terrasses Solidaires, à la manifestation d’extrémismes politiques, est un procès bien trop simpliste, et relève d’une méconnaissance des hommes et des femmes soucieuses de soulager leurs frères et sœurs des drames de l’exil.

      Il est plus que nécessaire d’ouvrir un lieu public d’accueil digne. La République française le fait admirablement pour les réfugiés du conflit Ukrainien, et cela est à son honneur. N’aurait-elle pas la capacité de le faire face à cette réalité migratoire ?

      Il est plus que nécessaire de rassembler autour d’une même table tous ces acteurs si divers œuvrant autour du drame de la migration, chacun portant compétence et souci de mieux faire. Ne serait-ce pas manière intelligente de travailler à la mise en œuvre de la devise républicaine, dont la “fraternité” est trop souvent oubliée ?

      Texte rédigé par Commission Pastorale des migrants du Diocèse de Gap-Embrun

      https://www.diocesedegap.fr/actualite/2497-situation-migratoire-a-briancon-une-delegation-haut-alpine-a-la-pr

    • Crisi umanitaria a Briançon: 300 persone chiedono aiuto, lo Stato tace

      Sono centinaia ogni giorno le persone che arrivano dall’Italia sulle Alpi. L’intera accoglienza affidata al buon cuore dei volontari. Grande assente lo Stato francese

      Questa notte, fra il 10 e l’11 settembre, 171 profughi sono arrivati dall’Italia nel già affollato campo di emergenza della parrocchia Sainte-Catherine di Briançon. Si sono aggiunti ai molti altri, più di 200 persone, già in loco. «Fino a che punto le autorità permetteranno che la situazione si impantani?» scrivono i tanti attivisti che si occupano di accoglienza sulle Alpi al confine fra Italia e Francia.

      Alcuni autocarri italiani hanno trasportato le persone migranti in Valle di Susa per farli proseguire a piedi il viaggio verso la Francia. Alcuni chiedono ospitalità all’associazione “Refuges Solidaires” che mantiene gli aiuti umanitari nelle tende grazie alla chiesa di Briançon e all’organizzazione umanitaria “Medici del Mondo”. «Il piccolo campo di emergenza allestito il 30 agosto sul territorio parrocchiale non basta più. Ieri sera sono arrivati dall’Italia 171 esuli e già più di venti di primo mattino mentre servivamo la colazione a più di 300 persone».
      «Refuges Solidaires è il garante della pace sociale a Briançon. Molti residenti della comunità alpina locale vengono a unirsi al nostro formidabile team di dipendenti e volontari. Lottano giorno e notte per procurarsi i pasti, offrire un letto, fornire le cure necessarie. Senza di loro, gli esiliati vagherebbero per la nostra città.
      La nostra associazione di volontari della montagna richiama regolarmente le autorità pubbliche dall’inizio di maggio sull’importanza degli arrivi a Briançon (tra 30 e 100 persone per notte) e sul superamento del livello di accoglienza (65 posti fissi, 81 secondo gli standard) dell’edificio di accoglienza chiuso al pubblico dal 30 agosto 2023».

      Pur mantenendo un campo di emergenza, nonostante il Prefetto abbia lasciato aperta la porta alla discussione, nessuna risposta è giunta da parte dello Stato. Il sindaco di Briançon ha finalmente contattato la prima ministra per chiedere aiuto.
      «Questa crisi umanitaria grava solo sulle nostre spalle. Senza gli aiuti statali rischiamo di cessare la nostra missione, il che porterà al collasso sociale: 8 dipendenti privati del lavoro, centinaia di volontari smobilitati e la leggendaria solidarietà montana spezzata. È davvero questo ciò che vogliono i poteri pubblici lasciando che la situazione peggiori invece di garantire la loro missione sovrana?»

      «Refuges Solidaires» è un collettivo di cittadini del Briançonnais fondato nel 2017: un luogo di accoglienza incondizionata per gli esuli che attraversano la frontiera italiana attraverso l’alta montagna. Negli ultimi 5 anni più di 21.000 persone provenienti da tutto il mondo hanno trovato un letto, un pasto, cure, un ascolto attento e un sollievo nel loro lungo viaggio. L’associazione, indipendente e senza fini di lucro, porta avanti la propria missione grazie alle partnership e all’impegno del suo team di dipendenti e volontari.

      Il riferimento nel testo al 30 agosto è dovuto al fatto che in quella data il Consiglio di amministrazione di Terrasses Solidaires aveva deciso di chiudere temporaneamente le porte dell’edificio.

      Con 315 persone censite il 28 agosto nell’edificio a fronte degli 81 che sarebbero consentite le condizioni di sicurezza e dignità non potevano più essere mantenute.

      Le autorità pubbliche sono state allertate fin dall’inizio della crisi e in diverse occasioni, ma continuano a rifiutarsi di aprire nuovi alloggi di emergenza.

      Le persone in esilio accolte sono estremamente vulnerabili: si tratta di donne con neonati e bambini piccoli, oltre a minori non accompagnati che rappresentano quasi il 40% della popolazione ospitata. L’ospedale e l’équipe di “Medici del Mondo” curano quasi un esule su due per ferite e patologie legate alle lunghe camminate ( contusioni, dolori muscolari e articolari).

      https://riforma.it/it/articolo/2023/09/11/crisi-umanitaria-briancon-300-persone-chiedono-aiuto-lo-stato-tace

    • 19 septembre 2023, newsletter Refuges Solidaires « L’écho du Refuge » :

      Refuges Solidaires et les exilés à la rue

      Après deux semaines à héberger chaque jour, dans des conditions difficiles, plus de 200 personnes sous tentes sur le terrain de la paroisse Sainte-Catherine, Refuges Solidaires a dû démonter son campement de fortune mercredi 13 septembre.

      Aujourd’hui, l’absence de réaction de l’État et de notre municipalité, face à cette crise humanitaire sans précédent dans notre région, oblige des centaines de personnes exilées à errer dans Briançon à la recherche d’une nuitée au chaud après leur éprouvante marche dans les montagnes.

      Grâce à une poignée de bénévoles — hélas trop peu nombreux — et aux salariés, l’association soutient les hébergeurs solidaires qui aident les exilés.

      Matin, midi et soir, Refuges Solidaires assure plusieurs tournées dans Briançon pour distribuer repas, boissons chaudes, couvertures et vêtements. Les plus faibles sont conduits à l’hôpital ou auprès de Médecins du Monde. Les autres migrants, en mesure de continuer leur route, sont dirigés vers les transports en commun.

      Si vous disposez d’un peu de temps libre, venez nous aider en cuisine, au vestiaire ou à l’accueil car on manque cruellement de bénévoles !

    • Retour progressif aux Terrasses

      Alors que nombre d’entre vous croyaient le Refuge fermé, l’activité des bénévoles et des salariés de Refuges Solidaires n’a pas cessé depuis fin août, voire a même augmenté, avec plus de 1000 repas servis par jour début octobre.
      Pourtant, les contrôles accentués à la frontière et dans Briançon - suite à la demande du préfet, préférant cette solution à une aide humanitaire et digne - ont rendu le passage de la frontière très dangereux pour les exilés, obligés de grimper toujours plus haut pour passer en France.
      Pendant plus d’un mois éprouvant, nous avons accueilli les exilé·e·s hors les murs en leur fournissant sandwichs, repas, vêtements chauds de nuit comme de jour. La situation évolue peu à peu pour un retour à un accueil progressif dans le bâtiment, avec un accueil restreint aux plus fragiles, les autres trouvant de la place auprès des hébergeurs solidaires que nous remercions de leur travail !

      Pendant ce temps, nos ressources alimentaires et financières ont fondu. Nous avons donc appelé à l’aide en début de semaine auprès de grandes associations caritatives pour un soutien logistique, pour mieux poursuivre notre mission d’aide aux exilés, au moment où la saison hivernale arrive et entraine une traversée de nuit et dans le froid toujours plus difficile.

      via la newsletter de l’association Refuges Solidaires, 21.10.2023