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INDICE
01) Introduzione
02) Marzo 1978. La prima comparsa di Barbagia Rossa
03) Novembre 1978. L’agguato alla stazione radar di Siamanna
04) Gennaio 1979. Si apre la campagna contro la militarizzazione dell’isola
05) Dicembre 1979. C’è un filo conduttore nella malavita sarda?
06) Dicembre 1979. Il conflitto a “Sa Janna Bassa”
07) Febbraio 1980. L’udienza sui fatti di “Sa Janna Bassa”
08) Febbraio 1980. Il conflitto alla stazione di Cagliari
09) Giugno 1981. La requisitoria sulla sparatoria a Cagliari
10) Giugno 1981, L’errato attentato mortale a Natalino Zidda
11) Agosto 1981. L’attentato mortale a Santo Lanzafame
12) Febbraio 1982. Le confessioni di Savasta e la scomparsa di Barbagia Rossa
01) Introduzione
Barbagia Rossa era un’organizzazione militante di estrema sinistra che ha operato tra il 1978 e il 1982 in Sardegna.
Si proponeva di diventare il punto di riferimento politico e militare per tutto il proletariato sardo.
Un elemento importante della sua azione è stato quello di contrastare la forte militarizzazione dell’isola che in quegli anni vede aumentare il numero di basi militari, probabilmente anche a causa dei sempre più numerosi agguati e sequestri di persona.
L’organizzazione instaurò anche un forte legame con le Brigate Rosse fungendo a volte da appoggio per alcune operazioni svolte dalle BR nell’isola.
I suoi dirigenti erano Pietro Coccone, Antonio Contena, Caterina Spano, Davide Saverio Fadda.
02) Marzo 1978. La prima comparsa di Barbagia Rossa
La sigla Barbagia Rossa fa la sua prima apparizione il 30 dicembre del 1977, quando viene dato fuoco alla porta laterale del tribunale di Nuoro con un ordigno incendiario a innesco chimico.
Nella rivendicazione, un volantino trovato su una cabina telefonica, i “GABR” (Gruppi Armati Barbagia Rossa) affermano di voler colpire l’istituzione carceraria nel suo complesso.
Ma in quegli anni la cronaca cittadina ha a che fare con varie sigle e gruppi più o meno fantasiosi che rivendicano puntualmente ogni azione militante.
GABR acquista una certa credibilità solo dopo il secondo attentato.
Sabato 25 marzo 1978 viene dato fuoco a un cellulare adibito al trasporto detenuti.
Anche in questo caso si fa uso di particolari sostanze presupponendo delle buone e preoccupanti conoscenze in ambito chimico.
Questa volta la rivendicazione arriva telefonicamente lunedì 27 marzo e Barbagia Rossa, sottolineando l’intenzione di colpire l’istituzione carceraria nel suo complesso, chiede anche la liberazione di tutti i detenuti di “Badu ‘e carros”, il supercarcere di Nuoro.
03) Novembre 1978. L’agguato alla stazione radar di Siamanna
Dopo alcuni mesi di apparente inattività, un nuovo attentato richiama l’attenzione delle forze politiche dell’isola.
Giovedì 2 novembre 1978, verso mezzanotte, viene assalita la stazione radar di Siamanna, in provincia di Oristano.
La stazione, un groviglio di antenne e cavi nella pianura oristanese, è sorvegliata da quattro militari di leva (Giovanni Melis di Senorbì, Antonio Cabras di Sant’Antioco, Luigi Madeddu di Iglesias, Sebastiano Bassallu di Santulussurgiu). Uno di loro, durante la ronda notturna, viene assalito da tre malviventi a volto coperto e lo obbligano a portarli all’interno della stazione.
I quattro militari vengono immobilizzati.
Gli aggressori non causano nessun danno alla strumentazione, limitandosi a prelevare i quattro fucili Garand dei soldati, 150 proiettili e alcune bombe a mano.
Prima di andare via si rivolgono ai giovani di leva dicendo “Scusateci, non ce l’abbiamo con voi ma con lo Stato. Siamo del gruppo di Barbagia Rossa”.
Il fatto che non sia stato fatto nessun danno alla strumentazione militare evidenzia che l’aggressione ebbe come unico fine quello di prelevare le armi.
Inoltre un dato interessante è che i fucili Garand (di fabbricazione americana) hanno un peso di circa 8 kg e una lunghezza di oltre un metro; essendo poco maneggevoli sono poco quotati nel mercato clandestino. Però sono armi di altissima precisione e lunga portata (hanno un tiro utile di circa 1200 metri) per questo si può ipotizzare un uso in campo terroristico.
02 – La stazione radar assaltata a Siamanna (Oristano)
04) Gennaio 1979. Si apre la campagna contro la militarizzazione dell’isola
Dal gennaio del 1979 Barbagia Rossa porta avanti una “Campagna contro la militarizzazione del territorio” compiendo numerosi attentati a Nuoro e dintorni (Lula e Orani).
Nei documenti di rivendicazione l’organizzazione si presenta così:
“Barbagia Rossa, in quanto avanguardia politico-militare espressa nel territorio, si fa carico del progetto strategico della lotta armata per il comunismo:
– cercando di superare la fase spontanea ed episodica degli attacchi;
– mirando alla creazione di una organizzazione che sia in grado di intervenire ed operare all’interno di qualsiasi contraddizione, in ogni situazione reale del territorio;
– proponendosi di diventare punto di riferimento politico-militare per tutto il proletariato sardo”.
Un altro fatto interessante accade il 28 gennaio ’79.
A Torino viene effettuata un’operazione anti terroristica per sgominare una cellula delle brigate rosse.
Vengono scovati due covi con armi e denaro e arrestati Maria Rosaria Biondi, Nicola Valentino e Ingeborg Keiznac.
Inoltre vengono arrestate tre persone sarde, precisamente di Orani (paese a pochi chilometri da Nuoro): le sorelle Carmela e Claudia Cadeddu e Andrea Boi.
I “tre sardi” sono tutti emigrati che lavorano da tempo fuori dall’isola.
Tutta la comunità di Orani non crede a un legame dei compaesani con i brigatisti, si pensa invece a un inspiegabile errore giudiziario.
03 – I tre sardi arrestati nel corso delle indagini sui covi delle Brigate Rosse scoperti a Torino
05) Dicembre 1979. C’è un filo conduttore nella malavita sarda?
Il 14 dicembre viene trovato un piccolo arsenale in una campagna di Illorai, vicino al ponte “Iscra” sul fiume Tirso.
Tra le armi, coperte da fitta vegetazione e cespugli, è presente anche un fucile automatico che era stato rubato il 23 settembre ad un cacciatore nuorese, Giovanni Loria, a cui i malviventi dissero di appartenere al movimento “Barbagia Rossa”.
Ma si tratta solo di un piccolo avvenimento; il dicembre del ’79 è teatro di più importanti e ingarbugliate vicende.
Le forze dell’ordine cercano di trovare un filo conduttore tra le varie azioni malavitose del banditismo sardo e i sempre più numerosi attentati a sfondo politico.
Sono in corso i sequestri di Fabrizio De Andrè e sua moglie Dori Ghezzi (catturati il 27 agosto ’79 per poi essere liberati dopo circa quattro mesi, il 20 dicembre lei e il 22 dicembre lui) nonché il più discreto, e quindi più preoccupante, rapimento Schild.
Per polizia e carabinieri un filo conduttore esiste e sarebbe di sfondo politico, da ricercare nelle azioni militanti dei gruppi di estrema sinistra che si sono inseriti prepotentemente nelle scene sarde.
Il 18 dicembre ’79 a Sassari viene bloccata un auto con quattro giovani (Angelo Pascolini, Luciano Burrai, Carlo Manunta, Antonio Solinas).
L’auto, che si trova in via Luna e Sole, zona periferica della città abitata da molte persone facoltose, aveva dato nell’occhio e giungono alcune volanti della polizia per un controllo.
All’alt delle forze dell’ordine uno dei quattro risponde tentando di lanciare una bomba a mano, ma viene bloccato da uno degli agenti.
Successivamente partono gli arresti per i quattro giovani.
Durante la perquisizione si scopre che l’auto era equipaggiata con molte armi e libri di natura politica. Viene trovata una cartolina di un brigatista rinchiuso nel carcere dell’Asinara e scoperto un covo. Si trovano anche le prove di un tentativo di sequestro ai danni di un politico isolano.
I quattro vengono accusati di associazione a fini eversivi, tentato omicidio plurimo, porto e detenzione abusiva di armi (un mitra, sei pistole, circa tremila cartucce) e tentato sequestro di persona.
04 – Angelo Pascolini, Luciano Burrai e in basso Carlo Manunta e Antonio Solinas. I quattro giovani catturati nell’auto-arsenale alla periferia di Sassari
05 – Angelo Pascolini, il giovane romano arrestato sull’auto trasformata in arsenale, esce dalla questura di Sassari
06) Dicembre 1979. Il conflitto a “Sa Janna Bassa”
Ma l’avvenimento che segna maggiormente la cronaca di questo intenso dicembre del ’79, è il sanguinoso conflitto a fuoco di “Sa Janna Bassa” a Orune.
Il 17 dicembre il capitano dei carabinieri Enrico Barisone esce con due carabinieri al seguito per il solito giro di perlustrazione notturna.
Quando si trovano nei pressi dell’ovile di Carmelino Coccone, vicino Orune, sono attirati da insoliti movimenti e intimano l’alt a delle persone che si trovano fuori dall’ovile, ma questi rispondono aprendo il fuoco e ferendo il capitano.
Nasce un sanguinoso conflitto a fuoco in cui restano uccisi due pastori: Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti.
Nel frattempo arrivano i rinforzi; alcuni malviventi scappano mentre otto vengono arrestati: Carmelino Coccone, Sebastiano e Pietro Masala, Pietro Malune, Antonio Contena, Mario Calia, Mauro Mereu e Melchiorre Deiana.
I carabinieri sostengono di aver interrotto una specie di “summit” del banditismo isolano, una “cena di lavoro” in cui si sarebbero prese importanti decisioni.
Si ipotizza anche di aver smantellato l’intera banda legata ai sequestri De Andrè/Ghezzi o Schild.
Un importante fatto che caratterizza i fatti di “Sa Janna Bassa” è che in due giacche rinvenute nell’ovile teatro della sparatoria, sono stati trovati dei volantini appartenenti alle Brigate Rosse; in particolare nelle giacche di Giovanni Maria Bitti, morto durante la sparatoria, e di Pietro Coccone (nipote di Carmelino Coccone), dirigente di Barbagia Rossa riuscito a scappare durante l’agguato dei carabinieri.
Tutti questi elementi mettono alla luce eventuali risvolti politici e collegamenti tra banditismo sardo e organizzazioni eversive.
06 – L’ovile di Coccone teatro della sanguinosa sparatoria
07 – I corpi dei banditi vengono trasportati a Nuoro; sullo sfondo l’ovile teatro del conflitto
08 – Giudici, inquirenti e imputati osservano il soffitto dell’ovile
09 – Una parte delle armi trovate addosso ai fuorilegge uccisi e nella zona dove si è svolto il conflitto a fuoco
10 – I due banditi uccisi, Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti
07) Febbraio 1980. L’udienza sui fatti di “Sa Janna Bassa”
Il 2 febbraio si tiene l’udienza per il processo sui fatti di “Sa Janna Bassa”.
I giudici della Corte d’Assise rimangono in camera di consiglio tre ore esatte, dalle 9:45 alle 12:45.
In un’aula gremita di parenti, conoscenti e curiosi, vengono condannati Carmelino Coccone (15 anni), Pietro Malune, Mauro Mereu, Pietro e Sebastiano Masala (11 anni), il giovanissimo Melchiorre Deiana (4 anni).
Tutti e sei sono ritenuti responsabili di concorso nel tentato omicidio del capitano Barisone, di porto e detenzione di armi comuni e da guerra, di favoreggiamento e resistenza aggravata.
Per i giudici quella nell’ovile di Carmelino Coccone era una vera è propria banda riunita in una “cena di lavoro”, mentre Francesco Masala e Giovanni Maria Bitti (uccisi) facevano la guardia all’esterno insieme ad un’altra persona che è riuscita a scappare.
Antonio Contena e Pietro Coccone (quest’ultimo latitante), entrambi dirigenti di Barbagia Rossa, devono invece rispondere di associazione a delinquere davanti al tribunale nuorese.
11 – Carmelo Coccone, Mauro Mereu, Melchiorre Deiana, Sebastiano e Pietro Masala e Pietro Malune in Corte d’Assise
12 – Il capitano dei carabinieri Enrico Barisone durante il sopralluogo eseguito dalla Corte d’Assise d’appello di Cagliari a Sa Janna Bassa (Orune)
08) Febbraio 1980. Il conflitto alla stazione di Cagliari
Collegamenti tra Barbagia Rossa e le Brigate Rosse trovano un’ulteriore conferma il 15 febbraio 1980.
Sono le 16:00, alla stazione ferroviaria di Cagliari due agenti della polizia, il brigadiere Fausto Goddi e la guardia Stefano Peralta, si avvicinano a un gruppo di cinque giovani chiedendo loro i documenti per un controllo; gli agenti contattano la centrale.
A Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, entrambi nuoresi, viene chiesto di seguirli in questura per degli accertamenti.
Gli altri tre vengono lasciati liberi.
Due di loro, sedicenti Camillo Nuti ed Emilia Libera, si spostano verso la sala d’attesa della stazione (sono incensurati), l’altro, Mario Francesco Mattu, si allontana in altra direzione (su di lui sussistono dei precedenti, ma non gravi in quell’occasione).
Mentre il brigadiere e i due fermati si dirigono in auto verso la questura, viene dato ordine di tornare indietro e catturare anche gli altri.
Vengono rintracciati vicino ai binari solo due dei tre, l’uomo e la donna.
Questi seguono gli agenti fino all’uscita della stazione.
A quel punto l’uomo abbraccia la sua compagna, tira fuori una pistola e inizia a sparare all’impazzata per coprirsi la fuga.
Nasce una vera e propria sparatoria al centro di Cagliari, le pallottole ad altezza d’uomo colpiscono alcune auto posteggiate, ma per fortuna nessun passante.
La donna in fuga viene ferita alla fronte, un poliziotto al piede.
Nelle ore successive la città è assediata da oltre quattrocento uomini delle forze dell’ordine, ma dei due fuggitivi nessuna traccia.
Inizialmente si pensa che la donna colpita sia Marzia Lelli, nota brigatista; dell’uomo invece non sono disponibili informazioni.
Più tardi si scopre che Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, fermati prima del conflitto, appartengono al gruppo di Barbagia Rossa e vengono arrestati per detenzione abusiva di arma da guerra e partecipazione ad azione sovversiva.
Ai due si aggiunge il quinto elemento che si era allontanato dalla stazione, Mario Francesco Mattu di Bolotana.
Anche lui appartenente a Barbagia Rossa, viene arrestato durante la notte tra il 15 e il 16 febbraio ’80 a casa della sua ragazza a Cagliari dove viene trovata anche una pistola “Luger” calibro 9.
Vengono catturati anche cinque giovani che al momento dell’arresto di Mattu si trovano nella stessa casa (dopo alcuni mesi di carcere preventivo, verranno rilasciati perché effettivamente non esiste nessun tipo di legame diretto o indiretto con gli arrestati).
Nei giorni seguenti continuano in maniera serrata le ricerche dei due fuggiaschi.
Pinna e Cazzaniga si dichiarano “prigionieri politici”, Mattu viene interrogato.
Inizialmente si pensa che i cinque della stazione stessero organizzando un attentato ai danni del capitano Enrico Barisone, ma dopo i primi accertamenti anche questa ipotesi viene scartata.
A cinque giorni dalla sparatoria, in tutta la città si vive uno stato d’assedio.
I grandi porti e aeroporti dell’isola vengono controllati sistematicamente per evitare eventuali spostamenti dei due banditi, ma per la polizia è certo che stiano contando su un appoggio a Cagliari.
Intanto proseguono le indagini.
Inizialmente si è creduto che la donna in fuga fosse Marzia Lelli, nota brigatista, ma indiscrezioni indicherebbero che si trova in Brasile.
La polizia prende quindi un’altra strada partendo dai documenti forniti al controllo del brigadiere Goddi alla stazione.
La carta d’identità della donna era a nome di una certa Emilia Libera, infermiera romana che la Criminalpol non riesce a rintracciare nella Capitale.
La polizia ora sostiene che il suo documento è autentico, quindi da adesso è Emilia Libera la ricercata.
Si tratta di un’indiziata sopra ogni sospetto poiché, oltre ad aver partecipato a un collettivo al Policlinico di Roma, Libera non è una militante conosciuta.
I documenti forniti dall’uomo erano invece fasulli, a nome di Camillo Nuti, ingegnere romano che dopo vari interrogatori non ha avuto difficoltà a provare che non si è mai mosso dalla capitale.
Un’ipotesi accreditata sulla visita in Sardegna di Emilia Libera e del “fasullo” Camillo Nuti (partiti da Roma a Cagliari con un aereo giovedì 14 febbraio ’80) è quella per cui fossero stati incaricati dalla direzione delle Brigate Rosse di valutare e rendersi conto dell’efficienza e del grado di preparazione alla guerriglia dei membri di Barbagia Rossa.
Si crede in effetti che l’organizzazione sarda stia consolidando le proprie posizioni.
Stando alle indiscrezioni, alcuni esponenti dell’organizzazione sarda (secondo la Digos una quindicina) avrebbero preso contatti con delinquenti comuni e bande legate all’anonima sequestri. Pare che si stesse anche perfezionando l’acquisto di un grosso stock di armi.
Insomma Barbagia Rossa, sempre stando alle indiscrezioni, si preparerebbe per entrare grintosamente nel panorama del terrorismo nazionale.
Il 21 febbraio ’80 viene identificato l’uomo in compagnia di Eliana Libera.
Si tratta di Antonio Savasta, romano ventiquattrenne, brigatista di recentissima immatricolazione ma praticamente incensurato. Si è arrivati alla sua identificazione scavando nella vita di Eliana Libera, infatti Savasta era, fino a poco tempo fa, il suo compagno.
I due fuggitivi hanno adesso un nome e un volto, ma risultano svaniti nel nulla.
Dopo due settimane non c’è ancora nessuna traccia di loro.
Si è scoperto che subito dopo la sparatoria alla stazione un’ignara signora li ha ospitati per un’ora nella sua abitazione. Si sono presentati come due ragazzi tranquilli e simpatici che avevano bisogno del bagno.
Ora si presume che siano nascosti in barbagia, ma si tratta di ipotesi.
13 – Gli accertamenti della Scientifica in piazza Matteotti subito dopo la sparatoria
14 – I tre giovani arrestati subito dopo la sparatoria: Marco Pinna, Giulio Cazzaniga, Mario Francesco Mattu
15 – Mario Francesco Mattu dopo un interrogatorio
16 – Antonio Savasta e il suo identikit ricostruito dalla polizia
17 – L’auto dentro la quale Savasta sparò alla stazione di Cagliari
18 – Rinaldo Steri e Carlo Cioglia, aiutarono Savasta e Libera a scappare dopo il conflitto
09) Giugno 1981. La requisitoria sulla sparatoria a Cagliari
Dopo più di un anno dalla sparatoria, nessuna traccia dei brigatisti Savasta e Libera.
Dalle indagini si è scoperto che dopo essere andati via dalla casa della signora, sono stati assistiti da Rinaldo Steri e Carlo Cioglia (entrambi cagliaritani).
Sarebbero loro ad essersi preoccupati della ricerca di rifugi e nascondigli per scappare ai rastrellamenti.
I banditi inizialmente furono portati in una casa cagliaritana in via San Mauro, successivamente in un’abitazione di viale Fra Ignazio, poi in un casotto al Poetto, quindi in una villetta in costruzione.
Dopodiché sono stati trasferiti in un rifugio brigatista a Torre delle Stelle, 20 km a est di Cagliari.
Durante la settimana di permanenza in questo rifugio, Ciogli si sarebbe preoccupato di trovare un camion che portò Savasta e Libera a Porto Torres da dove presero un traghetto per poi far perdere ogni traccia.
Il 18 giugno ’81, dopo un anno e quattro mesi dalla sparatori di Cagliari, il pubblico ministero depone la sua requisitoria su tutta la vicenda indicando 27 persone come protagoniste delle vicende tra cui, ovviamente, Antonio Savasta, Emilia Libera, Mario Pinna, Mario Francesco Mattu, Rinaldo Steri e Carlo Cioglia. Gli altri sono studenti universitari, artigiani e vecchi sessantottini.
Giulio Cazzaniga viene invece prosciolto dalle accuse per infermità mentale.
19 – Riepilogo delle accuse
10) Giugno 1981, L’errato attentato mortale a Natalino Zidda
Ma più che per i fatti di natura giudiziaria, il giugno del 1981 verrà ricordato per un nuovo spargimento di sangue che fa riprofondare l’isola nel dolore.
Barbagia Rossa intensifica le sue azioni contro la militarizzazione del territorio e lo fa in maniera più violenta e decisa.
Martedì 9 giugno, Orune. Nicolino Zidda (insegnante della colonia penale di Mamone) è in compagnia del brigadiere Salvatore Zaru, sono seduti sull’uscio della casa di Zidda.
Alle 23:00 il tipico rumore di un caricatore di arma da fuoco rompe il silenzio della notte.
Il brigadiere, sicuramente sensibile a certi rumori, si ripara immediatamente buttandosi verso l’interno della casa.
Immediatamente arriva la scarica rabbiosa e violenta di un mitra.
Vengono esplosi circa 30 proiettili che uccidono Nicolino Zidda.
La rivendicazione è di Barbagia Rossa e arriva la mattina seguente con una telefonata anonima alla redazione cagliaritana dell’Ansa.
Viene spiegato che si è trattato di un errore, che il vero obiettivo dell’attentato non era Zidda ma il brigadiere Zaru.
Viene altresì comunicato che è iniziata la campagna contro le forze di repressione.
La morte di Zidda è accolta con sgomento da tutta la comunità orunese e barbaricina.
20 – Nicolino Zidda, l’insegnante ucciso a Orune
21 – Mesto pellegrinaggio nella casa della vittima a Orune
22 – Il procuratore della Repubblica Francesco Marcello (a sinistra) e alti ufficiali dei carabinieri nella zona del delitto
11) Agosto 1981. L’attentato mortale a Santo Lanzafame
Questo è il mese che segnerà in modo significativo tutta la comunità sarda e in particolare quella barbaricina.
Fino all’agguato di Nicolino Zidda l’organizzazione armata di Barbagia Rossa si era limitata ad azioni intimidatorie con bombe, incendi o altri attacchi di natura prettamente dimostrativa.
Già l’agguato mortale a Zidda aveva messo in luce un evoluzione dell’organizzazione terroristica.
Anche se la morte dell’insegnante è stato un errore, si voleva colpire a morte il brigadiere Salvatore Zaru che si è salvato solo per la sua prontezza di riflessi.
Il 31 luglio 1981 alle ore 22:40 un’alfetta blu dei carabinieri si dirige verso il Monte Ortobene per gli usuali giri di perlustrazione.
Al suo interno si trovano il carabiniere sassarese Baingio Gaspa (alla guida) e l’appuntato Santo Lanzafame, 40 anni di Reggio Calabria, sposato con Giovanna Piras di Lodè e padre di cinque figli (la più grande di dieci anni).
L’auto prende la strada per il monte e, a duecento metri dalla chiesetta della Solitudine (che si trova all’uscita del centro abitato, proprio ai piedi dell’Ortobene), si appresta ad affrontare la prima curva, quella di Borbore.
Si tratta di una curva a gomito molto ampia che nella carreggiata opposta è costeggiata da un piccolo muretto a secco al di sotto del quale si trova il sentiero che porta a Valverde.
Proprio da dietro il muretto in pietra compare all’improvviso una figura che senza esitazione scarica una micidiale scarica di mitra verso l’alfetta blu.
Gaspa resta fortunatamente illeso mentre Lanzafame viene colpito alla testa.
Il malvivente scompare nel nulla lasciando sul posto l’arma.
Le condizioni di Lanzafame appaiono da subito tragiche.
Subisce numerosi interventi all’ospedale San Francesco di Nuoro, i medici riescono a stabilizzarlo anche se le condizioni restano molto gravi.
I carabinieri sostengono che l’arma sia stata abbandonata come segno per far capire che, anche dopo gli arresti che ha subito il terrorismo isolano, Barbagia Rossa non è stata battuta e anzi si riorganizza e alza il tiro.
Si tratta infatti di un potentissimo mitra inglese “Sterling”, mai usato dalla malavita sarda, con una micidiale cadenza di colpi (fino a 550 proiettili in un minuto), un’arma molto maneggevole.
Il mattino seguente, il 1 agosto ’81, Barbagia Rossa rivendica l’attentato terroristico con una telefonata anonima fatta alla redazione locale dell’Ansa.
Viene riferito che solo per un caso fortuito i due carabinieri non sono stati uccisi.
Il 4 agosto ’81 i terroristi di Barbagia Rossa si fanno vivi per iscritto recapitando un ciclostilato alla redazione nuorese de L’unione Sarda.
Nel documento si ribadisce la paternità dell’attentato a Lanzafame e Gaspa.
Viene inoltre riconfermato che l’omicidio dell’insegnante Nicolino Zidda è stato un errore, il vero obiettivo era il brigadiere Salvatore Zaru, che si trovava in sua compagnia.
Intanto Lanzafame subisce interventi a Nuoro e Cagliari e si prospetta la guarigione, infatti l’appuntato aveva ripreso conoscenza e riconosciuto la moglie e altre persone a lui vicine.
Ma il 5 agosto ’81 viene ritrasferito con urgenza a Cagliari per un altro delicatissimo intervento alla testa; il liquido, non riuscendo a drenare, esercita una pericolosa pressione sulla corteccia cerebrale.
L’intervento eseguito dal professore Francesco Napoleone riesce perfettamente, ma le condizioni del carabiniere risultano comunque molto gravi.
Alle ore 13:00 del 6 agosto 1981 Santo Lanzafame muore all’ospedale di Cagliari dopo un ultimo e disperato intervento.
Il finale tragico dell’attentato fa sprofondare tutta la comunità barbaricina nell’ombra.
In effetti è la prima volta che Barbagia Rossa, l’organizzazione eversiva più importante dell’isola, porta a termine una diretta azione di morte.
Il 7 agosto si celebra il funerale.
La chiesa di Santa Maria della Neve a Nuoro è gremita ma c’è un irreale silenzio rotto solo dalle urla di disperazione di Giovanna Piras all’arrivo della salma del marito.
Andrea Pau, sindaco di Nuoro, proclama il lutto cittadino chiedendo a tutti gli esercizi pubblici di restare chiusi.
La notizia della morte di Santo Lanzafame colpisce tutti; nonostante si conoscessero le sue gravi condizioni di salute, la tragica conferma ha gettato la città e tutta l’isola in un’atmosfera preoccupante di paura, rabbia, indignazione e sconforto.
Intanto le indagini proseguono senza nessun risultato.
Vengono arrestati preventivamente tre giovani di Orune (in realtà non è chiara quale accusa gli viene mossa), inoltre si segue una pista che, partendo dal mitra Sterling, si perde in Liguria.
23 – Santo Lanzafame, il carabiniere ucciso a Nuoro
01 – Nuoro, 31 luglio 1981. L’alfetta dei carabinieri su cui si trovava l’appuntato Santo Lanzafame al momento dell’agguato mortale
24 – Agenti della polizia e carabinieri nel luogo dell’attentato di venerdì notte presso il curvone di Borbore
25 – Un mitra Sterling uguale a quello che è stato usato a Nuoro per l’attentato
26 – La bara del brigadiere assassinato lascia l’istituto di medicina a Cagliari per la celebrazione del funerale a Nuoro
12) Febbraio 1982. Le confessioni di Savasta e la scomparsa di Barbagia Rossa
Nel 1982 viene catturato Antonio Savasta che passa nelle file del “pentitismo”.
Le sue rivelazioni investono anche la Sardegna dove partono immediatamente nuovi arresti e indagini.
Nei primi dieci giorni di febbraio vengono arrestate e accusate di costituzione di banda armata otto persone: Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè), Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres).
Tra loro possiamo ricordare Antonio Contena, presente durante il conflitto di Sa Janna Bassa nel dicembre ’79, e Pietro Medde, già indagato per Barbagia Rossa e in libertà provvisoria.
La confessione-fiume di Antonio Savasta continua e apre nuove indiscrezioni sui movimenti terroristici in Sardegna.
Ora è certo che nel dicembre del ’79 a “Sa Janna Bassa”, era in corso un vertice tra alcuni esponenti delle Brigate Rosse e di Barbagia Rossa per discutere sull’eventuale costituzione di una colonna sarda delle BR.
Inoltre, sempre grazie alle indicazioni del pentito, viene trovato tra il Montalbo e Monte Pitzinnu (nel territorio di Lula) un fornitissimo deposito di armi da guerra di proprietà delle Brigate Rosse.
L’arsenale comprende cinque razzi di fabbricazione americana per bazooka, un missile anticarro sovietico capace di sfondare agevolmente un muro di un metro, due missili terra-aria di fabbricazione francese che possono essere lanciati a chilometri di distanza con la certezza di colpire il bersaglio, trenta chili di esplosivo al plastico, otto bombe a mano di fabbricazione americana, sei mitra inglesi “Sterling” (lo stesso usato nell’attentato dove morì Santo Lanzafame), un centinaio di cartucce per mitra.
L’arsenale era probabilmente sotto custodia di Barbagia Rossa e forse doveva servire per un attentato al supercarcere di Badu ‘e Carros a Nuoro.
Gli investigatori, sempre indirizzati da Savasta, provano anche che i terroristi stavano progettando dei clamorosi sequestri di persona di leader politici isolani.
Le confessioni di Antonio Savasta seguite dagli arresti e le indagini che queste provocarono, probabilmente diedero un duro colpa all’organizzazione di Barbagia Rossa.
L’unica cosa certa è che dopo l’attentato mortale all’appuntato Lanzafame e dopo questi ultimi avvenimenti provocati dal pentito Savasta la sigla Barbagia Rossa non fece più la sua comparsa.