Oggi il database conserva le impronte digitali di richiedenti asilo e stranieri “irregolari”. La proposta di riforma della Commissione Ue vuole inserire più dati biometrici, compresi quelli dei minori. Mettendo a rischio privacy e diritti
Da più di vent’anni i richiedenti asilo che presentano domanda di protezione in un Paese europeo, così come i cittadini stranieri che attraversano “irregolarmente” i confini dell’Unione, sono registrati con le impronte digitali all’interno del sistema “Eurodac”. L’acronimo sta per “European asylum dactyloscopy database” e al 31 dicembre 2019 contava oltre 5,69 milioni di set di impronte cui se ne sono aggiunti oltre 644mila nel corso del 2020. Le finalità di Eurodac sono strettamente legate al Regolamento Dublino: il database, infatti, era stato istituito nel 2000 per individuare il Paese europeo di primo ingresso dei richiedenti asilo, che avrebbe dovuto valutare la domanda di protezione, ed evitare che la stessa persona presentasse domanda di protezione in più Paesi europei (il cosiddetto asylum shopping).
Nei prossimi anni, però, Eurodac potrebbe diventare uno strumento completamente diverso. Il 23 settembre 2020 la “nuova” Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, infatti, ha presentato una proposta di riforma che ricalca un testo presentato nel 2016 e si inserisce all’interno del Patto sull’immigrazione e l’asilo, ampliando gli obiettivi del database: “Eurodac, che era stato creato per stabilire quale sia il Paese europeo competente a esaminare la domanda di asilo, vede affiancarsi alla sua funzione originaria il controllo delle migrazioni irregolari e dei flussi secondari all’interno dell’Unione -commenta Valeria Ferraris, ricercatrice presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino (unito.it)-. Viene messa in atto un’estensione del controllo sui richiedenti asilo visti sempre più come migranti irregolari e non come persone bisognose di protezione”.
“Oggi Eurodac registra solo le impronte digitali. La proposta di riforma prevede di aggiungere i dati biometrici del volto, che possono essere utilizzati per il riconoscimento facciale tramite apposite tecnologie -spiega ad Altreconomia Chloé Berthélémy, policy advisor dell’European digital rights-. Inoltre si prevede di raccogliere anche le generalità dei migranti, informazioni relative a data e luogo di nascita-nazionalità. Sia per gli adulti sia per i minori a partire dai sei anni di età, mentre oggi vengono registrati solo gli adolescenti dai 14 anni in su”. Per Bruxelles l’esigenza di aggiungere nuovi dati biometrici al database è motivata dalle difficoltà di alcuni Stati membri nel raccogliere le impronte digitali a causa del rifiuto da parte dei richiedenti asilo o perché questi si procurano tagli, lesioni o scottature per non essere identificati. La stima dei costi per l’espansione di Eurodac è di 29,8 milioni di euro, necessari per “l’aggiornamento tecnico, l’aumento dell’archiviazione e della capacità del sistema centrale” si legge nella proposta di legge.
Le preoccupazioni per possibili violazioni dei diritti di migranti hanno spinto Edri, il principale network europeo di Ong impegnate nella tutela dei diritti e delle libertà digitali, e altre trenta associazioni (tra cui Amnesty International, Statewatch, Terre des Hommes) a scrivere lo scorso settembre una lettera aperta alla Commissione Libe del Parlamento europeo per chiedere di ritardare il processo legislativo di modifica di Eurodac e “concedere il tempo necessario a un’analisi significativa delle implicazioni sui diritti fondamentali della proposta di riforma”.
“Lungi dall’essere meramente tecnico, il dossier Eurodac è di natura altamente politica e strategica”, scrivono le associazioni firmatarie nella lettera. Che avvertono: se le modifiche proposte verranno adottate potrebbe venire compromesso “il dovere dell’Unione europea di rispettare il diritto e gli standard internazionali in materia di asilo e migrazione”. Eurodac rischia così di trasformarsi in “un potente strumento per la sorveglianza di massa” dei cittadini stranieri. Inoltre “le modifiche proposte sulla banca dati, che implicano il trattamento di più categorie di dati per una serie più ampia di finalità, sono in palese contraddizione con il principio di limitazione delle finalità, un principio chiave Ue sulla protezione dei dati”.
“Si rischia di estendere il controllo sui richiedenti asilo visti sempre più come migranti ‘irregolari’ e non come persone bisognose di protezione” – Valeria Ferraris
Le critiche delle associazioni firmatarie si concentrano soprattutto sul possibile uso del riconoscimento facciale per l’identificazione biometrica che viene definito “sproporzionato e invasivo della privacy” si legge nella lettera. “Le leggi fondamentali sulla protezione dei dati personali in Europa stabiliscono che l’interferenza con il diritto alla privacy deve essere proporzionata e rispondere a un interesse generale -spiega Chloé Berthélémy-. Nel caso di Eurodac, l’utilizzo delle impronte digitali è sufficiente a garantire l’identificazione della persona garantendo così il principio di limitazione dello scopo, che è centrale per la protezione dei dati in Europa”.
“Noi siamo contrari all’uso di tecnologie di riconoscimento facciale e siamo particolarmente radicali su questo -aggiungono Davide Del Monte e Laura Carrer dell’Hermes Center, una delle associazioni firmatarie della lettera-. Una tecnologia può anche avere un utilizzo corretto, ad esempio per combattere il terrorismo, ma la potenza di questi strumenti è tale che, a nostro avviso, i rischi e i pericoli sono molto superiori ai potenziali benefici che possono portare. Inoltre è molto difficile fare un passo indietro una volta che le infrastrutture necessarie a implementare queste tecnologie vengono ‘posate’ e messe in funzione: non si torna mai indietro e il loro utilizzo viene sempre ampliato. Per noi sono equiparabili ad armi e per questo la loro circolazione deve essere limitata”. Anche in virtù di queste posizioni, Hermes Center è promotore in Italia della campagna “Reclaim your face” con cui si chiede alle istituzioni di vietare il riconoscimento facciale negli spazi pubblici.
“La potenza di questi strumenti è tale che, a nostro avviso, i rischi e i pericoli sono molto superiori ai potenziali benefici che possono portare” – Laura Carrer
Ma non è finita. Se la riforma verrà adottata, all’interno del database europeo finiranno non solo i richiedenti asilo e le persone intercettate mentre attraversano “irregolarmente” le frontiere esterne dell’Unione europea ma anche tutti gli stranieri privi di titolo di soggiorno che venissero fermati all’interno di un Paese europeo e verrebbe anche creata una categoria ad hoc per i migranti soccorsi in mare durante un’operazione di search and rescue. Verranno inoltre raccolti i dati relativi ai bambini a partire dai sei anni di età: ufficialmente, questa (radicale) modifica al funzionamento del database europeo è stata introdotta con l’obiettivo di tutelare i minori stranieri.
Ma le associazioni evidenziano come raccogliere e conservare i dati biometrici dei bambini per scopi non legati alla loro protezione rappresenti “una violazione gravemente invasiva e ingiustificata del diritto alla privacy, che lede i principi di proporzionalità e necessità”. Dati e informazioni che verranno conservati più a lungo di quanto non accade oggi: per i “migranti irregolari” si passa dai 18 mesi attuali a cinque anni.
A complicare ulteriormente la situazione c’è anche l’entrata in vigore nel 2018 del nuovo “Regolamento interoperatività”, che permette di mettere in connessione Eurodac con altri database come il Sistema informativo Schengen (Sis) e il sistema informativo Visti (Vis), il Sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias) e il Sistema di ingressi/uscite (Ees).
“In precedenza, questi erano tutti sistemi autonomi, ora si sta andando verso un merging, garantendo una connessione che contraddice la base giuridica iniziale per cui ciascuno di questi sistemi aveva un suo obiettivo -spiega Ferraris-. Nel corso degli anni gli obiettivi attribuiti a ciascun sistema si sono moltiplicati, violando i principi in materia di protezione dei dati personali e diventando progressivamente sempre più focalizzati sul controllo della migrazione”. Inoltre le modifiche normative hanno esteso l’accesso a questi database sempre più integrati tra loro a un numero sempre maggiore di autorità.
“Quello che chiediamo al Parlamento europeo è di fare un passo indietro e di ripensare l’intero quadro normativo -conclude Berthélémy-. La nostra principale raccomandazione è quella di realizzare e pubblicare una valutazione di impatto sull’estensione dell’applicazione di Eurodac per delineare le conseguenze sui diritti fondamentali o su quelli dei minori causati dalle significative modifiche proposte. Si sta estendendo in maniera enorme l’ambito di applicazione di un database, e questo avrà conseguenze per decine di migliaia di persone”.