• Migranti, nei centri italiani in Albania un rotolo di carta igienica a persona a settimana

    I paradossi del #bando da 34 milioni di euro pubblicato dal Viminale per la gestione delle strutture. Applicata la procedura di estrema urgenza, negoziazione tra tre soli operatori economici, una sola settimana di tempo per la manifestazione d’interesse.

    Un appalto da 34 milioni di euro e un rotolo di carta igienica a settimana per migrante. Basterebbe questo paradosso a bollare come frettoloso e sommario il bando per l’affidamento dei servizi per i centri di accoglienza e trattenimento dei richiedenti asilo che il governo Meloni prevede di aprire in Albania entro il 20 maggio. Una improbabile corsa contro il tempo per un’operazione che ancora manca del requisito di legittimità giuridico fondamentale ma che la premier intende giocarsi in vista della campagna elettorale per le Europee del 9 giugno.

    Misteriose ragioni di estrema urgenza

    E dunque ecco il ricorso a «#ragioni_di_estrema_urgenza» ( che non si sa quali siano visto che gli sbarchi sono nettamente diminuiti) per giustificare la procedura negoziale riservata a tre soli concorrenti che, nel giro di soli sette giorni, dovrà aggiudicare l’affidamento dei servizi di accoglienza e di gestione dei tre centri previsti dove i lavori non sono neanche cominciati: quello nel porto di Shengjin, adibito allo screening sanitario, all’identificazione e alla raccolta delle richieste di asilo, e i due di Gjader, la struttura di accoglienza da 880 posti dove i migranti resteranno (teoricamente) per un mese in attesa di conoscere l’esito della procedura accelerata di frontiera, e il Cpr da 144 posti dove verranno trasferiti quelli destinati al rimpatrio.

    Si risparmia sull’igiene dei migranti

    Il bando è stato pubblicato il 21 marzo, con avviso di manifestazione di interesse che si concluderà nel tempo record di una settimana. Un appalto da 34 milioni di euro a cui si aggiungono i rimborsi ( non quantificabili) di servizi di trasporto, utenze, raccolta dei rifiuti, manutenzione ordinaria e straordinaria, e dell’assistenza sanitaria. Non proprio quattro spiccioli, a fronte dei quali, però, spulciando il bando si trovano vere e proprie “perle”. Sull’igiene personale dei migranti, tanto per cominciare, chi si aggiudicherà l’appalto, potrà risparmiare: un solo rotolo di carta igienica a settimana a testa dove i richiedenti asilo attenderanno ( in detenzione amministrativa) l’esito della richiesta di asilo. Rotoli che, chissà poi perchè, diventeranno sei a settimana per gli sfortunati che, a fronte del diniego, verranno trasferiti nell’ala destinata a Cpr.

    Solo un cambio di abiti a stagione

    Nel kit di primo ingresso nei centri solo un paio di mutande e un paio di calze e, più in generale, un solo cambio di abiti a stagione.E dunque, a differenza dei centri di accoglienza italiani dove i migranti sono liberi e possono procurarsi altri abiti, i richiedenti asilo portati in Albania saranno detenuti e costretti ad indossare sempre gli stessi. Avranno il detersivo per lavarli due volte a settimana, nel frattempo evidentemente staranno in pigiama. Almeno si consoleranno con il cibo che prevede persino la pizza e il dolce due volte a settimana.

    Per raccontare la loro storia alla commissione d’asilo che deciderà il loro destino o per comparire davanti ai giudici di Roma, competenti sui ricorsi, dovranno accontentarsi di un collegamento da remoto, con tutte le limitazioni in tema di diritti che nascono dalle difficoltà di espressione e comprensione.

    Magi: “Un gigantesco spot elettorale”

    «Una bella photo-opportunity elettorale - commenta Riccardo Magi di Più Europa - Giorgia Meloni vuole allestire questi centri in fretta e furia e usarli come un gigantesco spot a pochi giorni dal voto a spese degli italiani».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/03/23/news/migranti_centri_albania_bando_viminale-422362144

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #urgence #gestion #appel_d'offre #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Protocollo Italia-Albania: il Viminale avvia la gara milionaria per la gestione dei centri

      Dal bando pubblicato il 21 marzo dalla prefettura di Roma emergono i primi dettagli dell’accordo contro i migranti: solo per le spese vive e il personale delle strutture, due hotspot e un Centro di permanenza per il rimpatrio, sono assicurati al gestore privato quasi 40 milioni di euro all’anno. I tempi sono strettissimi, le europee incombono

      Il ministero dell’Interno ha pubblicato i bandi di gara per la gestione delle nuove strutture per i migranti in Albania che diventeranno operative, documenti alla mano, entro il 20 maggio 2024. Un primo passo concreto verso la messa in pratica del protocollo annunciato dal Governo Meloni con Tirana lo scorso 6 novembre 2023 -poi ratificato dal Parlamento a fine febbraio 2024- e che prevede di dislocare i naufraghi soccorsi in operazioni di salvataggio in mare sul territorio albanese. Più precisamente in tre strutture con una capienza totale che supera i mille posti disponibili: due hotspot, ovvero i centri di identificazione, che in Italia troviamo nei cosiddetti “punti di crisi”, principali punti di sbarco (Lampedusa, Pozzallo e Taranto tra gli altri), più un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dove trattenere coloro che sono in attesa di essere espulsi nel proprio Paese d’origine. La spesa annuale stimata è pari a quasi 40 milioni di euro, calcolando esclusivamente il costo a persona (pro-capite pro-die), che però esclude diverse spese vive (dal trasporto all’assistenza sanitaria fino alle utenze).

      La gara è stata pubblicata il 21 marzo e individua nella prefettura di Roma la stazione appaltante, la quale ha scelto di attivare una procedura negoziata con cui consulterà un “numero congruo di operatori economici” per aggiudicare i servizi all’ente gestore. Un bando di questo genere può essere giustificato solo in casi di estrema urgenza. E secondo il ministero l’affidamento in oggetto, essendo un presupposto fondamentale per “l’attuazione del Protocollo tra Italia e Albania in conformità ai tempi ed agli adempimenti che risultano necessari per rispettare, alle scadenze previste, gli impegni assunti dal Governo della Repubblica Italiana”, rientra tra quelle procedure basate proprio su “ragioni di estrema urgenza”.

      La prima struttura è sita nella città portuale di Shenjin e sarà a tutti gli effetti un hotspot. “Una struttura dimensionata per l’accoglienza, senza pernottamento, dei migranti condotti in porto e destinati alle procedure di screening sanitario, identificazione e raccolta delle eventuali domande di asilo, all’esito delle quali i migranti saranno trasferiti presso le strutture di Gjader”. Gjader è la seconda località coinvolta dove saranno costruite le altre due strutture: un centro destinato “all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale” con un’accoglienza massima a regime di 880 migranti, e un altro, sempre nella stessa città albanese che sarà invece un Centro di permanenza per il rimpatrio, che ricalca quelli presenti sul territorio italiano, con una capienza fino a 144 persone. A Gjader saranno disponibili poi 168 posti per alloggi di servizio, di cui 60 riservati al personale dell’ente gestore.

      Come detto, i corrispettivi riconosciuti pro-capite pro-die, secondo la tipologia di centro ed il relativo numero degli ospiti presenti, ammontano “presuntivamente a complessivi 33.950.139 euro annui”. La gara d’appalto ha una durata di due anni, prorogabili fino ad un massimo di altri due. Sono esclusi dai quasi 40 milioni di euro, invece, i costi di trasporto, le utenze idriche, elettriche, del servizio di raccolta rifiuti, la connessione wifi e la manutenzione ordinaria e straordinaria. Così come quelli per la “predisposizione e manutenzione dei presidi antincendio” e quelli “relativi all’assistenza sanitaria”.

      Proprio questo è uno degli aspetti paradossali affrontati dal bando. Per la struttura sita nel porto di Shenjin si prevede “un ambulatorio medico dedicato per assistenza sanitaria, inclusa la stabilizzazione di condizioni cliniche ai fini del trasferimento” con “una sala per visite ambulatoriali, una stanza per osservazioni brevi con tre posti letto e una stanza di isolamento con due posti”.

      Invece nel sito di Gjader verrà di fatto allestito un vero e proprio “mini ospedale”. Vengono previste “tre sale per visite ambulatoriali, due stanze per osservazioni brevi (ognuna dotata di tre posti letto), una medicheria, una sala operatoria e una recovery room, un laboratorio analisi, una stanza per diagnostica per immagini (rx ed ecografia), una per visite psicologiche/psichiatriche all’uopo utilizzabile anche per consulenze in telemedicina e due stanze di isolamento”. Una struttura in cui opererà un elevatissimo numero di personale sanitario. Oltre a medici e infermieri per l’attività standard, viene prevista una équipe operativa 24 ore al giorno formata rispettivamente da: “medico specialista in anestesia-rianimazione, medico specialista in chirurgia generale, medico specialista in ortopedia con competenze chirurgiche, personale medico specialista in psichiatria, un infermiere strumentista, un operatore socio-sanitario (in caso di attivazione della sala operatoria), un tecnico di laboratorio, un tecnico di radiologia, un personale medico specialista in radiologia”.

      L’ente gestore, oltre a fornire kit di primo ingresso, sia igienici sia vestiari e a garantire la fornitura dei pasti e l’informativa legale, dovrà garantire la predisposizione di “appositi locali e strumenti tecnici che assicurino la connessione alla rete e il collegamento audio-visivo nel rispetto della privacy e della libertà di autodeterminazione del beneficiario per l’eventuale audizione da remoto davanti alle Commissioni territoriali, nonché davanti al Tribunale ordinario e ad altri uffici amministrativi”. In altri termini: saranno implementate delle stanze per svolgere le audizioni di chi, una volta richiesto asilo, dovrà affrontare l’iter per vedersi o meno riconosciuto il permesso di soggiorno. Tutto inevitabilmente online. Dovrà esserci anche un locale “al fine di tutelare la riservatezza della persona nei colloqui con il proprio legale” o favorire l’incontro con “eventuali visitatori ammessi”. La prefettura di Roma, dovrà essere messa a conoscenza “di ogni notizia di rilievo inerente la regolare conduzione della convivenza e le condizioni del centro e tenuta di un registro con gli eventuali episodi che hanno causato lesioni a ospiti od operatori”, nonché la consegna della certificazione di idoneità al trattenimento.

      La gara è aperta fino al 28 marzo. La prefettura valuterà le offerte pervenute da imprese o cooperative già attive nel settore con un fatturato complessivo, negli ultimi tre esercizi disponibili, non inferiore a cinque milioni di euro. Non certo piccole realtà dell’accoglienza. L’avvio dell’operatività dei centri è prevista non oltre il 20 maggio 2024. Quindici giorni prima di quella data, il ministero dell’Interno potrà confermare o meno l’effettivo avvio a pieno regime oppure anche con “una ricettività progressiva rispetto a quella massima prevista nelle more del completamento degli eventuali lavori di allestimento”. L’importante è partire: le elezioni europee di inizio giugno incombono.

      https://altreconomia.it/protocollo-italia-albania-il-viminale-avvia-la-gara-milionaria-per-la-g

    • Albania-Italy migrant deal moves ahead as Rome publishes tender for processing centre

      As of 20 May 2024, camps in Albania that will process the asylum applications of individuals rescued by the Italian authorities will be up and running, as a recently published tender document reveals more details about the deal and how the site will function.

      In November 2023, Albanian Prime Minister Edi Rama and Italian Prime Minister Giorgia Meloni signed a deal that would see migrants rescued in Italian territorial waters or by Italian authorities sent to Albania for their asylum applications to be processed. The deal has divided opinion on both sides of the Adriatic from the outset, but both governments remain adamant about it going ahead.

      The tender notifications, published by the Rome prefect’s department, invite bidders to submit their offers before 28 March with the deadline of 20 May as the start of operations.

      According to the tender details, worth €34 million, the site will consist of three structures able to accommodate a total of around 3000 people.

      One structure will be built at the port of Shengjin, where landing and identification procedures will be carried out.

      The other two sites will be located in Gjader. One will be dedicated to ascertaining the prerequisites for the recognition of international protection, while the other will serve as a repatriation detention centre.

      According to the Italian government, the site will process individuals rescued by the Italian authorities involved in maritime rescue, such as the coast guard, financial police, or navy, and explicitly exclude those rescued by NGOs. It will also not include disabled people, women, children, or other vulnerable individuals.

      The tender states that the facility in Shengjin will have a medical clinic, including a room for outpatient visits, an isolation room, and a three-bed ward. In Gjader, there will be three outpatient rooms, two wards, an operating theatre, a laboratory, an x-ray and ultrasound room, and a space for psychological and psychiatric visits.

      Medical specialists on site will include a doctor specialising in anaesthesia and resuscitation, a doctor specialising in general surgery, a doctor specialising in orthopaedics with surgical skills, medical staff specialising in psychiatry, an instrumental nurse, a social doctor, a health worker, a laboratory technician, a radiology technician, and a health worker specialising in radiology.

      Upon arrival, welcome kits will also be presented to each individual, including an undershirt, T-shirt, pair of pyjamas, three pairs of shorts, and three pairs of socks. They will also be given one roll of toilet paper a week, one toothbrush and 100ml tube of toothpaste per week, and one bottle of shampoo and liquid soap per week.

      The Italian Interior Ministry will conduct spot checks on the site to ensure compliance with the tender.

      During their stay in Albania, estimated at around three months for each person, individuals will not be able to leave the centre, which is to be guarded by Italian and Albanian authorities. If they do, the Albanian police will return them. Once their application has been processed, whatever the outcome, they will be removed from Albania’s territory.

      While on-site, individuals can access legal assistance from representatives of international organisations, including the EU, which aims to provide legal aid to all asylum seekers as required by Italian, Albanian and EU law.

      The agreement caused controversy in Italy and Albania, with the Constitutional Court in Tirana narrowly ruling that it did not violate the laws of the land earlier this year. Meanwhile, despite claims from international law experts that it is not compliant with EU law, European Commissioner for Home Affairs Ylva Johansson said it did not break the law as it is “outside of it”.

      Work has not yet begun at the sites in Shengjin and Gjader, leading to questions about whether they can be operational by spring.

      Shengjin was also home to hundreds of Afghan refugees that Albania took in after the US withdrawal from Afghanistan led to the takeover of the Taliban. While the US promised to take responsibility for them, asking Albania to keep them while it processed their visas, a number still remain with no news or idea if they will ever leave.

      As for the migrant deal, several other EU countries have hinted they may look at similar deals to deal with their immigration issues, a move likely to score votes from the conservative parts of society, ahead of EU elections.

      https://www.euractiv.com/section/politics/news/albania-italy-migrant-deal-moves-ahead-as-rome-publishes-tender-for-proces

    • #Medihospes, #Consorzio_Hera, #Officine_sociali: chi gestirà i centri per migranti in Albania

      La prefettura di Roma ha reso noti i tre partecipanti selezionati tra le trenta proposte pervenute per gestire i due hotspot e il Cpr previsti dall’accordo tra Roma e Tirana. Entro il 20 maggio la gara verrà aggiudicata per un importo che supera i 150 milioni di euro. Ma i lavori di adeguamento alle strutture non sono ancora completati

      Medihospes, Consorzio Hera e Officine sociali. Sono le tre cooperative in corsa per la gestione dei centri italiani in Albania selezionate per le “esperienze contrattuali pregresse afferenti a questi servizi” tra le trenta che hanno manifestato alla prefettura di Roma la propria volontà di partecipare alla gara. Un appalto da oltre 151 milioni di euro (per quattro anni) che verrà aggiudicato, nelle prossime settimane, all’operatore economico che ha presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa.

      Alle tre cooperative in corsa una certa “esperienza” non manca. Officine sociali, con sede legale a Siracusa, gestisce attualmente il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Palazzo San Gervasio a Potenza e l’hotspot di Taranto in Puglia. Attualmente è in gara anche per l’aggiudicazione della gestione del Cpr di Gradisca d’Isonzo, dove sta correndo al fianco di Martinina Srl, finita sotto indagine della Procura di Milano per le condizioni disumane in cui versavano i trattenuti al Cpr di via Corelli di Milano. Il legame tra le due società, come già raccontato su Altreconomia, perdura da tempo: insieme hanno partecipato anche alla gara pubblica per la gestione del Cpr di Torino.


      Consorzio Hera, invece, con sede legale a Castelvetrano, in provincia di Trapani, gestisce attualmente il Cara e il Cpr di Brindisi e quello di Trapani, in cordata con la cooperativa Vivere Con. Inoltre la cooperativa ha “vinto” anche l’hotspot di Pozzallo e Ragusa di cui è l’attuale ente gestore.

      Poi c’è Medihospes, è un colosso da 126 milioni di euro di fatturato nel 2022 che si occupa di assistenza ad anziani, alle persone con disabilità, servizi alberghieri e accoglienza ai migranti. Gestisce attualmente l’ex caserma Cavarzerani di Udine -di cui abbiamo già raccontato in precedenza- ma è attiva in diverse province italiane nell’accoglienza dei richiedenti asilo. Basti pensare che nel 2022 ha incassato, in totale, oltre 34 milioni di euro in tutta Italia per la gestione dei centri.

      Briciole rispetto agli oltre 151 milioni di euro preventivati dalla prefettura di Roma per la “gara” relativa alla gestione delle strutture previste dal protocollo Italia-Albania: un centro nella città portuale albanese Shengjin (hotspot) e due strutture (un altro hotspot e un Cpr) a Gjader (ne abbiamo parlato in questo approfondimento).

      La fornitura di servizi è preventivata con una base d’asta di 130 milioni di euro, con l’aggiunta di quasi sei milioni per il pocket-money e la tessera telefonica. La durata è di 24 mesi, prorogabili per altri 24 a partire dal 20 maggio 2024. Data entro la quale la prefettura di Roma dovrebbe aggiudicare la gara alla cooperativa che avrà presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa. Nei nuovi documenti di gara si sottolinea che i lavori di adeguamento delle strutture non sono ancora stati conclusi. Una corsa contro il tempo. Obiettivo: non certo la tutela dei diritti delle persone ma le elezioni europee.

      https://altreconomia.it/medihospes-consorzio-hera-officine-sociali-chi-gestira-i-centri-per-mig
      #externalisation #Italie #accord #Albanie #migrations #réfugiés #coopérative #sous-traitance #Engel #Engel_Italia #business #Shengjin #Gjader

  • J’ai découvert une BD sur la division Charlemagne. Vous savez, ces engagés français du côté nazi qui ont eu carrément droit à une division SS rien qu’a eux. Certains fuyaient la pendaison parce que les alliés cavalaient vers Berlin, d’autres la répression ou l’exécution sommaire.
    Et donc on les retrouve à Berlin, après avoir passé un petit temps sur le front polonais.
    Et franchement, c’est instructif. C’est écrit sans trop d’idéologie, juste ce qu’il faut d’authentique, et c’est très renseigné.

    B.D. : Berlin sera notre tombeau

    https://editionspaquet.com/shop/9782889324163-berlin-sera-notre-tombeau-integrale-1185#attr=5765,576

    Et donc pourquoi lire ça aujourd’hui ? Perso, ça me semble fini le cordon de sécurité face à l’extrême droite qui s’est imposé pendant 70 ans. Je crois même que ce mode de ségrégation des débats a fait du mal et ne nous a pas aidé à nous préparer à ce qui nous tombe dessus aujourd’hui. Pour lutter contre toutes les formes et tous les élans droitiers qui nous bousculent tous les jours, si on peut glaner des éléments dans ces bribes du passé, ça pourrait nous armer mentalement. Mieux vaut savoir détecter plutôt qu’être surpris.

    #WW2 #nazi #berlin #francais #histoire #collabo

    • épuisé, € 103,00 d’occasion, #bof il nous faudrait une bd sur les membres de la 14. Waffen-Grenadier-Division der SS (galizische Nr. 1) https://fr.m.wikipedia.org/wiki/14e_division_SS_(galicienne_no_1) et les trawniki ukrainiens.

      Demjanjuk-Prozess - « Ukrainische Wachmänner waren schlimmer als die SS »
      https://www.spiegel.de/panorama/justiz/demjanjuk-prozess-ukrainische-wachmaenner-waren-schlimmer-als-die-ss-a-66874

      La brigade Charlemagne n’était qu’un phénomène éphémère. La collaboration des services secrets ouest-allemands avec les travniki et banderistes par contre n’a jamais cessé et trouve son expression actuelle dans le soutien inconditionnel des forces ukrainiennes par l’Allemagne.

      Évidemment l’armée ukrainienne n’est pas une organisation plus fasciste que n’importe quelle armée du monde. C’est plutôt une question allemande et états-unienne qui tourne autour du positionnement de l’Allemagne contre la Russie depuis la guerre qu’on appelle la première guerre mondiale

      Du côté francais il faudrait travailler sur les ex-SS allemands qui ont rejoint la légion étrangère. L’armée francaise employait ces vieux messieurs jusqu’au départ du contingent tricolore de Berlin en 1990 ou 1991. Il n’est pas exclus qu’il y a là un lien avec la division SS Charlemagne mais je n’en sais rien.

      Alors j’attends la bd antifasciste qui raconte la vie de John Demjanjuk et des trawniki ukrainiens. Elle serait forcément d’une grande actualité.

      #nazis #Ukraine #Bandera #Allemagne #holocauste

  • Gilets de sauvetage

    « Les îles les plus à l’est leur offrent quelques heures de répit dans leur longue marche.
    Chaque île est un point de fuite pour qui, chez lui, n’a plus de perspectives.
    Installés dans la torpeur de l’été, que ferons-nous pour eux ? »

    https://www.cambourakis.com/tout/bd/gilets-de-sauvetage
    #Chio #Chios #Grèce #îles #Mer_Egée #Massacre_de_Chio #histoire #hospitalité #tourisme #migrations #asile #réfugiés
    #BD #bande_dessinée #livre

  • Corps en grève

    Le bidonville de Feyzin est menacé de fermeture.
    Vingt-sept travailleurs tunisiens entament une grève de la faim afin d’obtenir la régularisation de leurs papiers.
    Durant les vingt jours que durera la grève, immigrés et Français lutteront ensemble, jusqu’au bout.

    La France « découvre » alors l’existence des bidonvilles, véritables #taudis dans lesquels vivent près de 800 000 travailleurs étrangers.
    Une histoire qui fait indéniablement échos à l’actualité : les bidonvilles, « jungles » et campements de fortune perdurent et les droits humains restent bafoués.

    https://steinkis.com/livres/corps-en-greve/corps-en-greve.html
    #BD #bande_dessinée #livre
    #France #travailleurs_immigrés #bidonville #logement #Lyon #Feyzin #sans-papiers #migrations #circulaire_Fontanet #régularisation #immigrés_tunisiens #bidonville_de_Feyzin #luttes #histoire #résistance #grève_de_la_faim #travail #exploitation

  • Je suis au pays avec ma mère

    C’est dans le cadre d’une psychothérapie qu’Irene de Santa Ana a rencontré Cédric ; Cédric, jeune requérant, sort de plusieurs mois d’#errance, dormant dans des parcs après avoir essuyé un premier refus à sa demande d’asile. Le statut de « débouté » prive Cédric de bien des droits accordés aux êtres humains, et le plonge dans d’épaisses limbes administratives, mais également existentielles. Au pays, plus rien ne l’attend ; en Suisse, l’espoir de pouvoir rester est plus que ténu. De cette psychothérapie, Irene de Santa Ana va faire un article, et c’est de cet article qu’Isabelle Pralong s’est emparée pour Je suis au pays avec ma mère. Isabelle Pralong s’est intéressée plus particulièrement aux rêves de Cédric, qu’elle met ainsi en image. Le texte de l’article, complètement repensé et réécrit par Irene de Santa Ana, vient ici introduire, commenter voire compléter les pages dessinées. Eminemment métaphorique, porteuse de sens, cette matière onirique rend compte à sa façon de l’état psychologique dans lequel doit évoluer et (sur)vivre Cédric, la complexité de son ressenti, de ses sentiments. Livre singulier dans une bibliographie singulière, Je suis au pays avec ma mère s’immisce dans des territoires politiques et sociaux sans une once de misérabilisme, et tente d’aborder autrement une question de société toujours irrésolue.

    https://atrabile.org/catalogue/livres/je-suis-au-pays-avec-ma-mere

    #Suisse #asile #déboutés #traumatisme #identité #disparition #clandestinité #peur #insoumission #désobéissance #clandestinisation #SDF #sans-abris
    #BD #bande_dessinée #livre

  • La memoria rimossa. « Il Massacro di Addis Abeba »

    Il graphic novel racconta la strage che seguì al fallito attentato al governatore e viceré d’Etiopia #Rodolfo_Graziani, avvenuto ad Addis Abeba il 19 febbraio 1937. La feroce rappresaglia, che costò la vita a migliaia di etiopi, è una prova incontestabile del nostro comportamento coloniale utile a smontare il mito degli “#Italiani_Brava_Gente”.

    Destinato al pubblico più vasto, il lavoro di Giacopetti è pensato come strumento utile ad affrontare la storia coloniale anche nelle scuole, per questo include un agile glossario di termini, locuzioni e acronimi che arricchiscono la lettura.

    https://www.meltingpot.org/2024/03/la-memoria-rimossa-il-massacro-di-addis-abeba

    Pour télécharger la BD :
    https://resistenzeincirenaicacom.files.wordpress.com/2024/02/a5_il_massacro_di_addis_abeba_fumetto_federazione_delle_resistenze.pdf

    #bande_dessinée #BD #livre #massacre #Addis_Abeba #Italie #Italie_coloniale #colonialisme #mémoire #19_février_1937 #Ethiopie #colonialisme #histoire

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    ajouté à la métaliste sur le #colonialisme_italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

  • Hey, la douille.

    En Avril 2024 arrive une nouvelle taxe sur les formations professionnalisantes : 10% du montant global.

    Les salariés du privé cotisent déjà (pour le public, je ne sais pas), mais en plus, quand on voudra exercer notre droit à la formation, il faudra débourser un supplément.
    C’est une des actions de Bruno Lemaire « pour trouver les 10 milliards manquants », m’a-t-on dit.

    Si c’est pas juste des #bandits, je ne sais pas.

    Note : je suis d’accord que tout le monde devrait avoir un droit à la formation, et pas que les cotisants. Mais en attendant d’imposer la dictature du #prolétariat lors d’une miraculeuse opportunité politique (révolution ou guerre fasciste), il va falloir se contenter d’empêcher les libéraux d’agir ou juste se plaindre.
    #cpf #formation_continue #formation #cotisation

    https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/02/22/le-decret-actant-les-10-milliards-d-euros-de-coupe-budgetaire-publie-au-jour

  • #Viol de #Théo : reportage dessiné au #procès des policiers

    Le 2 février 2017, le jeune Théo était victime de la violence sans limite de trois agents de la #brigade_spécialisée_de_terrain (#BST) qui l’ont gazé, roué de coups, jusqu’à le mutiler au niveau de l’#anus par un coup d’estoc avec la pointe d’un « bâton télescopique de défense » – une #matraque en métal équipée d’un grip antidérapant – provoquant une rupture du #sphincter_anal.

    Il avait aussi été roué de coups, menotté et emmené avec une grave hémorragie au commissariat où il a failli mourir dans d’atroces souffrances, avant d’être hospitalisé en urgence. Ces actes de #torture ont causé des #séquelles irréversibles sur le jeune homme.

    Près de 7 ans après les faits, le procès des policiers qui ont gravement mutilé #Théo_Luhaka à #Aulnay-sous-Bois, se tient à la Cour d’Assises de Bobigny jusqu’au 19 janvier.

    La dessinatrice #Ana_Pich s’est rendu au #tribunal pour assister aux derniers jours d’audience. En voici un aperçu en trois parties.

    https://contre-attaque.net/2024/01/19/viol-de-theo-reportage-dessine-au-proces-des-policiers

    #justice #BD #bande_dessinée #violences_policières #mutilations

  • Pelican | Interview | “As the band has progressed, everything’s been a lot more open” - It’s Psychedelic Baby Magazine
    https://www.psychedelicbabymag.com/2023/12/pelican-interview.html

    Post-Metal/Post-Everything Instrumental Masters, Pelican, from Chicago, Illinois, are just wrapping up a US tour and have recently remastered and reissued a large part of their discography from the last 20 years.

    The Bandcamp Guide to Pelican #Bandcamp_Daily
    https://daily.bandcamp.com/lists/pelican-albums-list

    https://pelican.bandcamp.com/album/live-at-empty-bottle-december-15-2015


    #Pelican live at empty bottle december 15, 2015
    #metal #stoner

  • Marcher pour garder la mémoire : des peintures préhistoriques aux déchets nucléaires
    https://metropolitiques.eu/Marcher-pour-garder-la-memoire-des-peintures-prehistoriques-aux-dech

    Dans son dernier roman graphique, Étienne Davodeau #marche et dessine pour comprendre ce que l’être humain lègue à ses descendants dans les sols et les sous-sols de France, des peintures préhistoriques aux déchets radioactifs. La paysagiste Malou Allagnat nous livre son point de vue sur cette (dé)marche d’enquête engagée et sensible. Dans ce reportage raconté en #bande_dessinée, Étienne Davodeau questionne les héritages que les populations humaines laissent derrière leur passage. Il met en parallèle deux #Commentaires

    / marche, #paysage, #mémoire, #patrimoine, bande dessinée

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_allagnat-2.pdf

  • La bande de #Gaza : un territoire fermé sur lui-même par une frontière hermétique et militarisée

    Située sur la bordure littorale de la Méditerranée orientale, entre Israël et l’Egypte, la bande de Gaza est un territoire palestinien autonome administré par le parti islamiste palestinien, le Hamas, depuis 2007. D’une superficie de 365 km², le territoire compte 1,9 million d’habitants, ce qui en fait l’un des lieux les plus densément peuplés au monde (4110 hab./km²) qui vit refermé sur lui-même en raison du blocus israélien. Ce petit territoire est entouré par une clôture de haute sécurité qui délimite une frontière parmi les plus hermétiques et militarisés au monde. Malgré celle-là, la branche militaire du Hamas réalise le #7_octobre_2023 une vaste opération contre Israël qui y fait plus de 1400 morts, militaires et civils. En réponse, #Israël lance une riposte de très grande envergure mobilisant des moyens exceptionnels qui entrainent des destructions urbaines de grande ampleur et fait des milliers de morts.

    https://geoimage.cnes.fr/fr/la-bande-de-gaza-un-territoire-ferme-sur-lui-meme-par-une-frontiere-he
    #Palestine #bande_de_Gaza #militarisation #enfermement #image #visualisation #cartographie #image_satellitaire #image_satellite

    • typo : destructions urbaines de grande ampleur et fait des dizaines de milliers de morts (au moins, et pour l’instant)

  • Frösi Comics
    https://www.orlandos.de/coanfr_xmas_wk.htm

    Dans les carnets « Fröhlich sein und singen » (Frösi) de 1959 on trouve déjà cette solution astucieuse pour le père Noël à l’époque des hivers sans neige. Comme quoi ce n’étaient pas les inventions novatrices qui manquaient à l’état socialiste allemand. Comme indique le panneau sur le chariot c’était un essai. On ne l’a pas revu depuis.

    #bande_dessinée #DDR #noël

  • BD censurée à Quai des bulles : la liberté d’expression tombe à l’eau
    https://actualitte.com/article/114535/politique-publique/bd-censuree-a-quai-des-bulles-la-liberte-d-expression-tombe-a-l-eau

    Tiens, tiens, enfin des réflexions intéressantes sur la « liberté d’expression », mot d’ordre à tout faire de l’extrême droite libertarienne. Et le distingo entre « censure » et « rapport de force idéologique ». Cela ouvre une voie pour une expression réellement progressiste et alternative.

    Le festival malouin dédié à la bande dessinée se tenait du 25 au 27 octobre sous le ciel breton. Pour l’occasion, des planches étaient exposées dans la ville, tout au long des semaines qui suivaient l’événement. Certains dessins ont suscité une vague d’indignation, au point d’être retirés prématurément, sur décision du président de l’association Quai des bulles, Georges Coudray.

    Publié le :

    30/11/2023 à 16:03

    Ugo Loumé

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    ActuaLitté

    Les cases de tienstiens n’ont pas plu à Saint Malo. Pourtant, sa bande dessinée Koko n’aime pas le capitalisme, publiée par la maison indépendante Bandes Détournées, a conquis plus de 20.000 lecteurs (selon Ouest-France, 10.500 selon nos données Edistat, auxquels il faut ajouter les précommandes). Son compte Instagram rassemble lui près de 77.000 personnes.

    Cependant, son coup de crayon engagé n’est pas du goût de tous. Notamment de celui des agents de sécurité de la ville, qui n’ont particulièrement pas apprécié les satires de l’auteur de bandes dessinées. Surtout lorsque ce dernier, habitué à détourner des films ou émissions cultes, fait chanter aux Choristes le célèbre slogan « Tout le monde déteste la police ». Des œuvres « heurtant » les forces de l’ordre, tout autant que certains élus du Rassemblement national qui n’ont pas manqué l’occasion de s’exprimer. Loin de l’esprit Charlie prôné tout le long de « l’arc républicain ».

    Les organisateurs de Quai des bulles ont reconnu « quelques réserves exprimées par certaines personnes concernant l’humour grinçant de cette exposition, ce qui a déjà été le cas à quelques reprises depuis la création du festival ».

    Les planches ont donc été retirées le 17 novembre, alors que l’exposition devait durer 9 jours de plus. Un choix assumé par Georges Coudray, président de l’association Quai des bulles, visiblement à la demande de la ville de Saint-Malo (ActuaLitté a contacté la municipalité qui botte en touche : le maire ne souhaite pas commenter cette affaire).

    « Ce n’était pas un choix facile. Mais je l’assume pleinement. Je n’ai pas été forcé, mais il m’a fortement été demandé de le faire et je l’ai accepté dans un souci d’apaisement et de vivre ensemble. » Il ajoute : « J’ai estimé que cette exposition avait fait la plus grosse partie de son temps. Je n’aurais jamais accepté de la retirer le premier jour du festival. »

    Ce dernier ne se pas cache pas de la censure qui a été exercée, ni de la volonté de faire un pas vers son origine : « J’ai imaginé la police qui fait des rondes tous les jours. C’est peut-être eux qui voient le plus l’exposition au sein de Saint-Malo. Et ces gens, le festival en a besoin : avoir la police qui fait des rondes, c’est un gage de sécurité qui est très important pour un festival. »

    Un geste consensuel, donc, pour l’équipe du festival qui tenait, selon Ouest-France, à « réaffirmer son soutien indéfectible envers l’auteur ».
    Pas de « droit absolu »

    tienstiens et les éditions Bandes détournées, eux, ne s’indignent pas : « Nous ne criions pas à la censure. Les trente planches avaient été choisies parmi les plus politiques de l’album et nous ne sommes pas étonnés de la réaction qu’elles ont provoquée. Et tienstiens ne défend pas l’idée qu’il y aurait un droit absolu à la liberté d’expression », a expliqué la maison indépendante à L’Obs.

    En bon marxiste matérialiste, tienstiens refuse de jouer sur le plan des idées. Et s’attaque justement à la liberté d’expression dans son ouvrage à paraitre, Situations, co-réalisé avec le scénariste Maxime Morin. Selon eux, cette notion ne fait que protéger « l’atmosphère intellectuelle dans laquelle ont baigné tous [ses] défenseurs : l’idéologie ultra-libérale des années 80. » « En gros, pour les droitos, l’art est un moyen au service de leur amour-propre. »

    L’auteur de BD et sa maison d’édition préfèrent voir les choses en termes de domination matérielle, et souhaitent profiter de cet événement pour mettre en lumière le rapport de force qui a, selon eux, été rendu visible ici : « L’organe de la police impose sa volonté au festival en trois semaines. Il est amusant de comparer avec le temps qu’il a fallu par exemple pour que la société française accepte la notion de "violence policière". »

    ActuaLitté a contacté tienstiens afin d’approfondir sa perspective matérialiste sur la liberté d’expression et obtenir son retour sur ce qu’il appelle le « Saintmalogate ». Ce dernier a répondu au nom de Maxime Morin, coauteur de Situations, de ses éditeurs et de lui-même :

    Le concept de « liberté d’expression » reposerait sur l’autodétermination du sujet, qui serait parfaitement libre de se réaliser dans et par le langage que le pouvoir met à sa disposition. Cela est évidemment une chimère constitutive du néolibéralisme : il n’y a pas d’autodétermination du sujet, lequel est toujours déterminé, à différents niveaux, par des structures (économiques, politiques, ontologiques).

    - tienstiens

    Une fois cette chimère dévoilée, les auteurs de Situations peuvent se concentrer une autre forme de censure, plus subtile, que Barthes appelait la « censure profonde » et qui, selon les mots du philosophe français que tienstiens cite « ne consiste pas à interdire (à couper, à retrancher, à affamer), mais à nourrir indûment, à maintenir, à retenir, à étouffer, à engluer ». En d’autres termes : une force qui agit sur le sujet pour l’empêcher d’agir autrement.

    En cela, la satire, celle qu’on retrouve dans Koko notamment, « n’a pas un statut à part vis à vis de la censure, et à ce titre elle s’inscrit tout autant dans ce rapport de force déséquilibré. » Il s’agit alors de se concentrer sur les conditions matérielles globales dans lesquelles nous nous trouvons, plutôt que sur un cas particulier d’atteinte à la « liberté d’expression ».
    Démasquer la réalité

    Le « Saintmalogate » ne serait donc pas une chose si négative pour tienstiens et les siens, en ce qu’elle dévoile dans la réalité ce qui est montré dans la bande dessinée, et permet ainsi d’amorcer une lutte matérielle, loin de l’opposition contrôlée qui se jouerait sur le plan des idées.

    Le tout dans une volonté de s’extirper des différentes fictions qui masquerait le « fond politique sérieux » de toute chose, à commencer par les créations de tienstiens : « L’idée n’est pas de se cacher derrière l’humour. »

    Pour nous, refuser d’utiliser la liberté d’expression comme défense, c’est non seulement montrer que dans les conditions matérielles actuelles, elle est une arme plus souvent au service du pouvoir que des opprimés, mais aussi accepter le fait qu’on soit dans un rapport de force, que l’on tente de retourner à notre avantage. C’est justement ce que l’on fait en renversant la censure par effet Streisand pour se rendre plus visible.

    - tienstiens

    • Koko n’aime pas le capitalisme | Bandes Détournées
      https://www.bandesdetournees.fr/product-page/koko-n-aime-pas-le-capitalisme

      Tienstiens publie depuis 3 ans des strips désopilants sur Instagram, avec un succès certain.
      Récemment, il s’est rendu compte que les likes, s’ils nourissaient son âme, ne lui apportaient aucune des 2500 calories journalières que son corps requiert pour fonctionner.
      Il a donc fait appel à Bandes Détournées, dans l’objectif de sortir son premier vrai livre. En tant qu’éditeurs de gauche, nous n’avons pas hésité une seconde.

    • Koko n’aime pas le capitalisme - Ulule
      https://fr.ulule.com/tienstiens_bd

      Résumé :
      Tienstiens publie depuis presque 2 ans des strips désopilants sur Instagram, avec un succès certain.
      Récemment, il s’est rendu compte que les likes, s’ils nourrissaient son âme, ne lui apportaient aucune des 2500 calories journalières que son corps requiert pour fonctionner.
      Il a donc fait appel à Bandes Détournées, dans l’objectif de sortir son premier vrai livre. En tant qu’éditeurs de gauche, nous n’avons pas hésité une seconde.
      De cette belle rencontre est né « Koko n’aime pas le capitalisme et autres histoires », un livre compilant des strips déjà publiés et des inédits jamais vus sur internet ni minitel !
      Vous y trouverez, pêle-mêle :
      ✓ Des textes intelligents et drôles avec de la vraie critique à l’intérieur
      ✓ Des dessins réalisés avec de véritables crayons de couleurs
      ✓ Dark Vador, Mad Max, Harry Potter et Sigmund Freud
      ✗ La vraie recette des gougères à l’emmental

    • Tienstiens, l’auteur qui réinvente la BD sur Instagram
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/tienstiens-l-auteur-qui-reinvente-la-bd-sur-instagram-4032059

      Humour absurde, critique du néolibéralisme, mise en page novatrice : le dessinateur de bande dessinée cartonne sur les réseaux et s’apprête à faire le grand saut vers le format papier.

      Mêler une critique radicale de la société à un humour mordant et décalé : Tienstiens, auteur de bande dessinée, fait partie de ces auteurs qui réinventent les codes de la BD sur Instagram. Fort de 45 000 abonnés sur la plateforme, il sort son premier album, “Koko n’aime pas le capitalisme”, un recueil divers au cœur duquel on retrouve la gorille Koko.

      Même lors de notre interview, l’auteur reste dans un troisième degré qui fait la particularité de ses strips. “Je ne voulais pas du tout faire de la BD, moi, à la base, explique l’auteur -Théo Hernandez dans le civil. Je voulais faire HEC pour faire du marketing digital. Mais mes parents trouvaient que c’était pas une bonne idée. Je pense qu’ils avaient un peu honte aussi. Donc j’ai fini par céder et j’ai fait les Beaux-Arts.

      LREM et Bernard Arnault, ses préférés
      Les écoles de commerce, les “bullshit jobs”, le néolibéralisme, voilà les cibles principales auxquelles s’attaque le dessinateur avec un humour acerbe. Les personnalités politiques et les grands patrons sont les cibles favorites de l’auteur : pour lui, cibler les puissants est un moyen de caricaturer le pouvoir et ses travers.

      Ses éditeurs de Bandes détournées expliquent s’être spécialisés sur le créneau du détournement : “On se situe dans la continuité des situationnistes et de Guy Debord, qui détournaient des comics, ou comme ils le disaient eux-mêmes, la “culture de masse” pour mieux la subvertir.” Les débats de société actuels, la culture pop, le cinéma, la télévision, sont autant de sujets potentiels à “disrupter”.

      La maison Bandes Détournées fonctionne sur le mode de l’auto-édition et chaque album est soutenu par un financement participatif. Un mode de fonctionnement “hyper horizontal” et une “vente en direct du petit éditeur”, selon les mots d’Émile et Yann, ses fondateurs : “ça permet de maîtriser tout le processus de création du livre, de l’écriture, la fabrication, la communication, le choix de la date de sortie, etc…

      Quant à la technique, Tienstiens fait le choix - peu banal - de dessiner avec des crayons de couleur : “ça vient d’un cadeau que m’ont fait mes grands-parents pour le réveillon du 1er mai, explique-t-il sans sourciller. J’en prends soin, parce que je sais qu’un jour, je n’en aurai plus et je devrai me retirer du monde de la bande dessinée.

      Sens de la chute
      Publier sur les réseaux sociaux influence son sens de la chute et sa conception de la mise en page, plus créative que d’ordinaire en BD. Le principe du carrousel d’Instagram, qui fait défiler latéralement les cases, oblige à surprendre en fin de strip pour accrocher l’attention de son audience. Pour l’édition de son premier album, aidé par la graphiste Laure Guilloux, il a donc voulu s’affranchir des codes traditionnels de mise en page, “ne pas rester dans le gaufrier classique de six cases” et “s’amuser un peu”.

      Pour cultiver le sens du mystère, Tienstiens confie avoir caché un message politique sur la couverture de son album : “Si on prend une à une les lettres du titre de “Koko n’aime pas le capitalisme”, et qu’on les remet dans le même ordre, en fait il y a un message qui critique un système économique en particulier.” Saurez-vous le retrouver ?

    • https://www.streetpress.com/sujet/1701188812-saint-malo-maire-censure-exposition-bande-dessinee-police-na

      Des enfants de chœur en habit du dimanche qui chantent à l’unisson « tout le monde déteste la police » dessinés au crayon. Ce dessin ironique, baptisé « ACAB BCBG », aurait dérangé des agents de la police nationale à Saint-Malo (35). C’est en tout cas la version de monsieur le maire Gilles Lurton (LR), qui a décidé de la faire retirer. Le 17 novembre 2023, l’exposition de bande dessinée issue de « Koko n’aime pas le capitalisme » (éd. Bande détournée, 2022) de l’auteur Tienstiens, a été désinstallée neuf jours avant la date prévue.

  • Fermes, coopératives... « En #Palestine, une nouvelle forme de #résistance »

    Jardins communautaires, coopératives... En Cisjordanie et à Gaza, les Palestiniens ont développé une « #écologie_de_la_subsistance qui n’est pas séparée de la résistance », raconte l’historienne #Stéphanie_Latte_Abdallah.

    Alors qu’une trêve vient de commencer au Proche-Orient entre Israël et le Hamas, la chercheuse Stéphanie Latte Abdallah souligne les enjeux écologiques qui se profilent derrière le #conflit_armé. Elle rappelle le lien entre #colonisation et #destruction de l’#environnement, et « la relation symbiotique » qu’entretiennent les Palestiniens avec leur #terre et les êtres qui la peuplent. Ils partagent un même destin, une même #lutte contre l’#effacement et la #disparition.

    Stéphanie Latte Abdallah est historienne et anthropologue du politique, directrice de recherche au CNRS (CéSor-EHESS). Elle a récemment publié La toile carcérale, une histoire de l’enfermement en Palestine (Bayard, 2021).

    Reporterre — Comment analysez-vous à la situation à #Gaza et en #Cisjordanie ?

    Stéphanie Latte Abdallah — L’attaque du #Hamas et ses répercussions prolongent des dynamiques déjà à l’œuvre mais c’est une rupture historique dans le déchaînement de #violence que cela a provoqué. Depuis le 7 octobre, le processus d’#encerclement de la population palestinienne s’est intensifié. #Israël les prive de tout #moyens_de_subsistance, à court terme comme à moyen terme, avec une offensive massive sur leurs conditions matérielles d’existence. À Gaza, il n’y a plus d’accès à l’#eau, à l’#électricité ou à la #nourriture. Des boulangeries et des marchés sont bombardés. Les pêcheurs ne peuvent plus accéder à la mer. Les infrastructures agricoles, les lieux de stockage, les élevages de volailles sont méthodiquement démolis.

    En Cisjordanie, les Palestiniens subissent — depuis quelques années déjà mais de manière accrue maintenant — une forme d’#assiègement. Des #cultures_vivrières sont détruites, des oliviers abattus, des terres volées. Les #raids de colons ont été multipliés par deux, de manière totalement décomplexée, pour pousser la population à partir, notamment la population bédouine qui vit dans des zones plus isolées. On assiste à un approfondissement du phénomène colonial. Certains parlent de nouvelle #Nakba [littéralement « catastrophe » en Arabe. Cette expression fait référence à l’exode forcé de la population palestinienne en 1948]. On compte plus d’1,7 million de #déplacés à Gaza. Où iront-ils demain ?

    « Israël mène une #guerre_totale à une population civile »

    Gaza a connu six guerres en dix-sept ans mais il y a quelque chose d’inédit aujourd’hui, par l’ampleur des #destructions, le nombre de #morts et l’#effet_de_sidération. À défaut d’arriver à véritablement éliminer le Hamas – ce qui est, selon moi, impossible — Israël mène une guerre totale à une population civile. Il pratique la politique de la #terre_brûlée, rase Gaza ville, pilonne des hôpitaux, humilie et terrorise tout un peuple. Cette stratégie a été théorisée dès 2006 par #Gadi_Eizenkot, aujourd’hui ministre et membre du cabinet de guerre, et baptisée « la #doctrine_Dahiya », en référence à la banlieue sud de Beyrouth. Cette doctrine ne fait pas de distinction entre #cibles_civiles et #cibles_militaires et ignore délibérément le #principe_de_proportionnalité_de_la_force. L’objectif est de détruire toutes les infrastructures, de créer un #choc_psychologique suffisamment fort, et de retourner la population contre le Hamas. Cette situation nous enferme dans un #cycle_de_violence.

    Vos travaux les plus récents portent sur les initiatives écologiques palestiniennes. Face à la fureur des armes, on en entend évidemment peu parler. Vous expliquez pourtant qu’elles sont essentielles. Quelles sont-elles ?

    La Palestine est un vivier d’#innovations politiques et écologiques, un lieu de #créativité_sociale. Ces dernières années, suite au constat d’échec des négociations liées aux accords d’Oslo [1] mais aussi de l’échec de la lutte armée, s’est dessinée une #troisième_voie.

    Depuis le début des années 2000, la #société_civile a repris l’initiative. Dans de nombreux villages, des #marches et des #manifestations hebdomadaires sont organisées contre la prédation des colons ou pour l’#accès_aux_ressources. Plus récemment, s’est développée une #économie_alternative, dite de résistance, avec la création de #fermes, parfois communautaires, et un renouveau des #coopératives.

    L’objectif est de reconstruire une autre société libérée du #néolibéralisme, de l’occupation et de la #dépendance à l’#aide_internationale. Des agronomes, des intellectuels, des agriculteurs, des agricultrices, des associations et des syndicats de gauche se sont retrouvés dans cette nouvelle forme de résistance en dehors de la politique institutionnelle. Une jeune génération a rejoint des pionniers. Plutôt qu’une solution nationale et étatique à la colonisation israélienne — un objectif trop abstrait sur lequel personne n’a aujourd’hui de prise — il s’agit de promouvoir des actions à l’échelle citoyenne et locale. L’idée est de retrouver de l’#autonomie et de parvenir à des formes de #souveraineté par le bas. Des terres ont été remises en culture, des #fermes_agroécologiques ont été installées — dont le nombre a explosé ces cinq dernières années — des #banques_de_semences locales créées, des modes d’#échange directs entre producteurs et consommateurs mis en place. On a parlé d’« #intifada_verte ».

    Une « intifada verte » pour retrouver de l’autonomie

    Tout est né d’une #prise_de_conscience. Les #territoires_palestiniens sont un marché captif pour l’#économie israélienne. Il y a très peu de #production. Entre 1975 et 2014, la part des secteurs de l’agriculture et de l’#industrie dans le PIB a diminué de moitié. 65 % des produits consommés en Cisjordanie viennent d’Israël, et plus encore à Gaza. Depuis les accords d’Oslo en 1995, la #production_agricole est passée de 13 % à 6 % du PIB.

    Ces nouvelles actions s’inscrivent aussi dans l’histoire de la résistance : au cours de la première Intifada (1987-1993), le #boycott des taxes et des produits israéliens, les #grèves massives et la mise en place d’une économie alternative autogérée, notamment autour de l’agriculture, avaient été centraux. À l’époque, des #jardins_communautaires, appelés « les #jardins_de_la_victoire » avait été créés. Ce #soulèvement, d’abord conçu comme une #guerre_économique, entendait alors se réapproprier les #ressources captées par l’occupation totale de la Cisjordanie et de la #bande_de_Gaza.

    Comment définiriez-vous l’#écologie palestinienne ?

    C’est une écologie de la subsistance qui n’est pas séparée de la résistance, et même au-delà, une #écologie_existentielle. Le #retour_à_la_terre participe de la lutte. C’est le seul moyen de la conserver, et donc d’empêcher la disparition totale, de continuer à exister. En Cisjordanie, si les terres ne sont pas cultivées pendant 3 ou 10 ans selon les modes de propriété, elles peuvent tomber dans l’escarcelle de l’État d’Israël, en vertu d’une ancienne loi ottomane réactualisée par les autorités israéliennes en 1976. Donc, il y a une nécessité de maintenir et augmenter les cultures, de redevenir paysans, pour limiter l’expansion de la #colonisation. Il y a aussi une nécessité d’aller vers des modes de production plus écologiques pour des raisons autant climatiques que politiques. Les #engrais et les #produits_chimiques proviennent des #multinationales via Israël, ces produits sont coûteux et rendent les sols peu à peu stériles. Il faut donc inventer autre chose.

    Les Palestiniens renouent avec une forme d’#agriculture_économe, ancrée dans des #savoir-faire_ancestraux, une agriculture locale et paysanne (#baladi) et #baaliya, c’est-à-dire basée sur la pluviométrie, tout en s’appuyant sur des savoirs nouveaux. Le manque d’#eau pousse à développer cette méthode sans #irrigation et avec des #semences anciennes résistantes. L’idée est de revenir à des formes d’#agriculture_vivrière.

    La #révolution_verte productiviste avec ses #monocultures de tabac, de fraises et d’avocats destinée à l’export a fragilisé l’#économie_palestinienne. Elle n’est pas compatible avec l’occupation et le contrôle de toutes les frontières extérieures par les autorités israéliennes qui les ferment quand elles le souhaitent. Par ailleurs, en Cisjordanie, il existe environ 600 formes de check-points internes, eux aussi actionnés en fonction de la situation, qui permettent de créer ce que l’armée a nommé des « #cellules_territoriales ». Le #territoire est morcelé. Il faut donc apprendre à survivre dans des zones encerclées, être prêt à affronter des #blocus et développer l’#autosuffisance dans des espaces restreints. Il n’y a quasiment plus de profondeur de #paysage palestinien.

    « Il faut apprendre à survivre dans des zones encerclées »

    À Gaza, on voit poindre une #économie_circulaire, même si elle n’est pas nommée ainsi. C’est un mélange de #débrouille et d’#inventivité. Il faut, en effet, recycler les matériaux des immeubles détruits pour pouvoir faire de nouvelles constructions, parce qu’il y a très peu de matériaux qui peuvent entrer sur le territoire. Un entrepreneur a mis au point un moyen d’utiliser les ordures comme #matériaux. Les modes de construction anciens, en terre ou en sable, apparaissent aussi mieux adaptés au territoire et au climat. On utilise des modes de production agricole innovants, en #hydroponie ou bien à la #verticale, parce que la terre manque, et les sols sont pollués. De nouvelles pratiques énergétiques ont été mises en place, surtout à Gaza, où, outre les #générateurs qui remplacent le peu d’électricité fournie, des #panneaux_solaires ont été installés en nombre pour permettre de maintenir certaines activités, notamment celles des hôpitaux.

    Est-ce qu’on peut parler d’#écocide en ce moment ?

    Tout à fait. Nombre de Palestiniens emploient maintenant le terme, de même qu’ils mettent en avant la notion d’#inégalités_environnementales avec la captation des #ressources_naturelles par Israël (terre, ressources en eau…). Cela permet de comprendre dans leur ensemble les dégradations faites à l’#environnement, et leur sens politique. Cela permet aussi d’interpeller le mouvement écologiste israélien, peu concerné jusque-là, et de dénoncer le #greenwashing des autorités. À Gaza, des #pesticides sont épandus par avion sur les zones frontalières, des #oliveraies et des #orangeraies ont été arrachées. Partout, les #sols sont pollués par la toxicité de la guerre et la pluie de #bombes, dont certaines au #phosphore. En Cisjordanie, les autorités israéliennes et des acteurs privés externalisent certaines #nuisances_environnementales. À Hébron, une décharge de déchets électroniques a ainsi été créée. Les eaux usées ne sont pas également réparties. À Tulkarem, une usine chimique considérée trop toxique a été également déplacée de l’autre côté du Mur et pollue massivement les habitants, les terres et les fermes palestiniennes alentour.

    « Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement »

    Les habitants des territoires occupés, et leur environnement — les plantes, les arbres, le paysage et les espèces qui le composent — sont attaqués et visés de manière similaire. Ils sont placés dans une même #vulnérabilité. Pour certains, il apparaît clair que leur destin est commun, et qu’ils doivent donc d’une certaine manière résister ensemble. C’est ce que j’appelle des « #résistances_multispécifiques », en écho à la pensée de la [philosophe féministe étasunienne] #Donna_Haraway. [2] Il existe une relation intime entre les Palestiniens et leur environnement. Une même crainte pour l’existence. La même menace d’#effacement. C’est très palpable dans le discours de certaines personnes. Il y a une lutte commune pour la #survie, qui concerne autant les humains que le reste du vivant, une nécessité écologique encore plus aigüe. C’est pour cette raison que je parle d’#écologisme_existentiel en Palestine.

    Aujourd’hui, ces initiatives écologistes ne sont-elles pas cependant menacées ? Cet élan écologiste ne risque-t-il pas d’être brisé par la guerre ?

    Il est évidemment difficile d’exister dans une guerre totale mais on ne sait pas encore comment cela va finir. D’un côté, on assiste à un réarmement des esprits, les attaques de colons s’accélèrent et les populations palestiniennes en Cisjordanie réfléchissent à comment se défendre. De l’autre côté, ces initiatives restent une nécessité pour les Palestiniens. J’ai pu le constater lors de mon dernier voyage en juin, l’engouement est réel, la dynamique importante. Ce sont des #utopies qui tentent de vivre en pleine #dystopie.

    https://reporterre.net/En-Palestine-l-ecologie-n-est-pas-separee-de-la-resistance
    #agriculture #humiliation #pollution #recyclage #réusage #utopie

    • La toile carcérale. Une histoire de l’enfermement en Palestine

      Dans les Territoires palestiniens, depuis l’occupation de 1967, le passage par la prison a marqué les vécus et l’histoire collective. Les arrestations et les incarcérations massives ont installé une toile carcérale, une détention suspendue. Environ 40 % des hommes palestiniens sont passés par les prisons israéliennes depuis 1967. Cet ouvrage remarquable permet de comprendre en quoi et comment le système pénal et pénitentiaire est un mode de contrôle fractal des Territoires palestiniens qui participe de la gestion des frontières. Il raconte l’envahissement carcéral mais aussi la manière dont la politique s’exerce entre Dedans et Dehors, ses effets sur les masculinités et les féminités, les intimités. Stéphanie Latte Abdallah a conduit une longue enquête ethnographique, elle a réalisé plus de 350 entretiens et a travaillé à partir d’archives et de documents institutionnels. Grâce à une narration sensible s’apparentant souvent au documentaire, le lecteur met ses pas dans ceux de l’auteure à la rencontre des protagonistes de cette histoire contemporaine méconnue.

      https://livres.bayard-editions.com/livres/66002-la-toile-carcerale-une-histoire-de-lenfermement-en-pal
      #livre

  • #Gaza, les hantises du #génocide

    S’il faut être prudent sur la #qualification définitive de génocide, et qu’il faut être conscients que ce terme, malgré les détournements, est avant tout juridique et non pas politique, une question doit se poser aujourd’hui : « assistons-nous à un nouveau génocide ? »

    Le 16 novembre 2023, 33 experts onusiens ont signé une déclaration appelant à une réaction internationale urgente et évoquant que « les graves violations commises par Israël contre les Palestiniens au lendemain du 7 octobre, notamment à Gaza, laissent présager un génocide en devenir ». Cette position de l’#ONU sur la question d’un génocide n’est pas inédite.

    Le 2 novembre, le rapporteur spécial sur les territoires palestiniens occupés alertait déjà sur le risque de génocide. Si le mot n’est plus tabou pour qualifier ce que subit la population de Gaza, sa #définition_juridique internationale (fixée par la #Convention_sur_le_génocide et par le #Statut_de_Rome sur la CPI) commande une certaine prudence. Malgré cela, la question d’un génocide à Gaza se pose avec gravité et acuité eu égard aux circonstances de l’offensive militaire israélienne à Gaza.

    La notion de génocide est une #catégorie_juridique complexe qui a évolué au fil du temps pour devenir l’un des #crimes les plus graves de nos ordres juridiques. Il est imprescriptible et plusieurs États se reconnaissent une compétence universelle pour instruire et juger de tels agissements.

    Ce concept a, évidemment, des origines historiques importantes. En combinant les mots grec « genos » (peuple) et latin « cide » (tuer), le juriste polonais #Raphael_Lemkin en 1944 a voulu décrire et caractériser les atrocités commises pendant la Seconde guerre mondiale, en particulier l’Holocauste, qui a vu l’extermination systématique de millions de Juifs par le régime nazi. #Lemkin a plaidé pour la reconnaissance légale de ces crimes et a joué un rôle clé dans l’élaboration de la Convention pour la prévention et la répression du crime de génocide, adoptée par les Nations Unies en 1948.

    Cette Convention, communément appelée la « Convention sur le génocide », est l’instrument juridique principal qui définit le génocide dans le #droit ^_international en définissant en son article 2 le génocide comme : « Tout acte commis dans l’intention de détruire, en tout ou en partie, un groupe national, ethnique, racial ou religieux, en tant que tel. ».

    De cette définition ressortent plusieurs éléments clefs : la question des actes commis, du groupe spécifiquement visé et celui de l’#intention_génocidaire. Au regard des destructions, des bombardements nourris et aveugles notamment sur des camps de réfugiés, sur des écoles gérées par l’ONU servant d’abris aux civils, sur les routes censées être sûres pour permettre aux populations civiles de fuir, mais aussi de ce ratio calculé par des observateurs selon lesquels pour un membre du Hamas tué il y aurait 10 civils massacrés, il apparaît que les premiers critères de la définition sont potentiellement remplis.

    Reste la question décisive de l’intention génocidaire. Celle-ci suppose l’identification de textes, d’ordres, d’actes et de pratiques… En l’état, une série de déclarations d’officiels israéliens interpellent tant elles traduisent une déshumanisation des Palestiniens. Le 19 novembre, point d’orgue d’une fuite en avant en termes de déclarations, l’ancien général et dirigeant du Conseil de Sécurité National israélien, #Giora_Eiland, a publié une tribune dans laquelle il appelle à massacrer davantage les civils à Gaza pour faciliter la victoire d’Israël.

    Avant cela et suite à l’attaque du 7 octobre, le ministre israélien de la Défense, #Yoav_Galant, avait déclaré : « Nous imposons un siège complet à Gaza. Pas d’électricité, pas d’eau, pas de gaz, tout est fermé […] Nous combattons des #animaux_humains et nous agissons en conséquence ».

    Dans une logique similaire, le Premier ministre #Benjamin_Netanyahu a opposé « le peuple des lumières » à celui « des ténèbres », une dichotomie bien connue dans la rhétorique génocidaire. Récemment, le ministre israélien du patrimoine a déclaré : « Le nord de Gaza est plus beau que jamais. Nous bombardons et aplatissons tout (....) au lendemain de la guerre, nous devrions donner des terres de Gaza aux soldats et aux expulsés de Gush Katif ».

    Enfin, en direct à la radio, le même #Amichay_Eliyahu a déclaré qu’il n’était pas entièrement satisfait de l’ampleur des représailles israéliennes et que le largage d’une bombe nucléaire « sur toute la #bande_de_Gaza, la raser et tuer tout le monde » était « une option ». Depuis, il a été suspendu, mais sans être démis de ses fonctions …

    Au-delà de ces déclarations politiques, il faut apprécier la nature des actes commis. Si un « plan » génocidaire en tant que tel n’est pas exigé pour qualifier de génocidaire, une certaine #organisation et ‎une #préparation demeurent nécessaires. Une politique de #colonisation par exemple, le harcèlement criminel quotidien, la #détention_arbitraire de Palestiniens, y compris mineurs, peuvent laisser entendre la mise en place de ce mécanisme.

    La Cour pénale internationale a d’ailleurs déjà ouvert des enquêtes sur ces faits-là avec des investigations qui ne progressent cependant pas notamment car Israël conteste à la Cour – dont il n’est pas membre – toute compétence. Actuellement, les pénuries impactant notamment des hôpitaux, le refus ou la limitation de l’accès de l’aide humanitaire et évidemment les #bombardements_indiscriminés, sont autant d’éléments susceptibles de matérialiser une intention génocidaire.

    Un positionnement politique pour une caractérisation juridique

    Le silence de nombreux pays est assourdissant face à la situation à Gaza. Il suffit de lire le communiqué du Quai d’Orsay sur le bombardement du camp de réfugiés Jabaliya : « La France est profondément inquiète du très lourd bilan pour les populations civiles palestiniennes des frappes israéliennes contre le camp de Jabaliya et exprime sa compassion à l’égard des victimes ».

    Aucune condamnation et, évidemment, aucune mention de la notion de génocide ni même de #crimes_de_guerre ou de #crime_contre_l’Humanité. Cela s’explique en partie par le fait que la reconnaissance du génocide a d’importantes implications juridiques. Les États signataires de la Convention sur le génocide sont tenus de prévenir et de réprimer le génocide sur leur territoire, ainsi que de coopérer entre Etats ainsi qu’avec la Cour pénale internationale pour poursuivre et punir les auteurs présumés de génocide.

    Ainsi, si un État reconnaît la volonté génocidaire d’Israël, il serait de son devoir d’intervenir pour empêcher le massacre. À défaut d’appel à un #cessez-le-feu, le rappel au respect du droit international et l’exigence de « pauses humanitaires » voire un cessez-le-feu par les Etats-Unis ou la France peuvent aussi s’interpréter comme une prévention contre une éventuelle accusation de complicité…

    S’il faut être prudent sur la qualification définitive de génocide, et qu’il faut être conscients que ce terme, malgré les détournements, est avant tout juridique et non pas politique, une question doit se poser aujourd’hui, « assistons-nous à un nouveau génocide ? » et si la réponse est « peut-être », alors il est du devoir des États signataires de la Convention de prévention des génocides de tout faire pour empêcher que le pire advienne.

    https://blogs.mediapart.fr/collectif-chronik/blog/221123/gaza-les-hantises-du-genocide
    #mots #vocabulaire #terminologie #Israël #7_octobre_2023

    • En ce lundi, l’#armée_israélienne affirme avoir frappé, via les airs et au sol, plus de 600 cibles dans #Gaza ces vingt-quatre dernières heures. Dans le détail : « des dépôts d’armes, positions de lancement de missiles antichar, caches du #Hamas » et « des dizaines » de chefs du mouvement islamiste tués. Des chars israéliens sont postés à la lisière de #Gaza_City et le principal axe routier nord-sud est coupé. C’est vendredi en fin de journée que l’État hébreu a lancé son opération d’envergure, annoncée depuis près de deux semaines déjà. Mêlant #incursions_terrestres localisées – surtout dans le nord de l’enclave palestinienne – et #bombardements intensifiés. Samedi, le Premier ministre israélien Benyamin Netanyahou a prévenu : la #guerre sera « longue et difficile ».

      Vendredi, 17 h 30. La #bande_de_Gaza plonge dans le noir. Plus d’électricité, plus de réseau téléphonique, ni de connexion internet. Le #black-out total. Trente-six heures de cauchemar absolu débutent pour les Gazaouis. Coupés du monde, soumis au feu. L’armée israélienne pilonne le territoire : plus de 450 bombardements frappent, aveugles. La population meurt à huis clos, impuissante. Après avoir quitté Gaza City au début de la riposte israélienne (lire l’épisode 1, « D’Israël à Gaza, la mort aux trousses »), Abou Mounir vit désormais dans le centre de la bande de Gaza, avec ses six enfants. Ce vendredi, il est resté cloîtré chez lui. Lorsqu’il retrouve du réseau, le lendemain matin, il est horrifié par ce qu’il découvre. « Mon quartier a été visé par des tirs d’artillerie. L’école à côté de chez moi, où sont réfugiées des familles, a été touchée. Devant ma porte, j’ai vu tous ces blessés agonisants, sans que personne ne puisse les aider. C’est de la pure #folie. Ils nous assiègent et nous massacrent. Cette façon de faire la guerre… On se croirait au Moyen-Âge », souffle le père de famille, qui dénonce « une campagne de #vengeance_aveugle ». L’homme de 49 ans implore Israël et la communauté internationale d’agir urgemment. « La seule et unique solution possible pour nous tous, c’est la #solution_politique. On l’a répété un million de fois : seule une solution politique juste nous apportera la paix. »

      Toujours à Gaza City avec sa famille, la professeure de français Assya décrit ce jour et demi d’#angoisse : « On se répétait : “Mais que se passe-t-il, que va-t-il nous arriver ?” On entendait les bombardements, boum, boum, boum… Ça n’arrêtait pas ! Ma petite-fille de 1 an, la fille de mon fils, quand il y avait de grosses explosions, elle pleurait. Alors nous, on faisait les clowns pour lui faire croire que c’était pour rire. Et elle se calmait… Chaque matin, c’est un miracle qu’on soit encore là… » Chaque jour aussi, Assya demande si nous, journalistes, en savons plus sur un cessez-le-feu.

      Plus de 8 000 Gazaouis ont péri, mais leurs suppliques résonnent dans le vide jusqu’à présent. Elles sont pourtant de plus en plus pressantes, face à la #situation_humanitaire qui se dégrade dramatiquement. Ce samedi, des entrepôts des Nations unies ont été pillés. « C’est le signe inquiétant que l’ordre civil est en train de s’effondrer après trois semaines de guerre et de #siège de Gaza. Les gens sont effrayés, frustrés et désespérés », a averti Thomas White, directeur des opérations de l’UNRWA, l’agence onusienne pour les réfugiés palestiniens. Assya confirme : l’un de ses cousins est revenu avec des sacs de sucre, de farine, des pois chiches et de l’huile. Quand elle lui a demandé d’où ça venait, il lui a raconté, le chaos à Deir Al-Balah, dans le sud de l’enclave. « Les gens ont cassé les portes des réserves de l’UNRWA, ils sont entrés et ont pris la farine pour se faire du pain eux-mêmes, car ils n’ont plus rien. La population est tellement en #colère qu’ils ont tout pris. » Depuis le 21 octobre, seuls 117 camions d’#aide_humanitaire (lire l’épisode 2, « “C’est pas la faim qui nous tuera mais un bombardement” ») ont pu entrer dans la bande de Gaza dont 33 ce dimanche), via le point de passage de Rafah au sud, à la frontière égyptienne. L’ONU en réclame 100 par jour, pour couvrir les besoins essentiels des Gazaouis. Le procureur de la Cour pénale internationale Karim Khan a averti : « Empêcher l’acheminement de l’aide peut constituer un #crime. […] Israël doit s’assurer sans délai que les #civils reçoivent de la #nourriture, des #médicaments. »

      Les corps des 1 400 victimes des attaques du 7 octobre sont dans une #morgue de fortune. Beaucoup ont subi des sévices, ont été brûlés. L’#horreur à l’état pur

      En écho à cette situation de plus en plus dramatique, Israël a intensifié sa guerre de la #communication. Pas question pour l’État hébreu de laisser le Hamas ni les Palestiniens gagner la bataille de l’émotion au sein des opinions. Depuis une dizaine de jours, les autorités israéliennes estiment que les médias internationaux ont le regard trop tourné vers les Gazaouis, et plus assez sur le drame du 7 octobre. Alors Israël fait ce qu’il maîtrise parfaitement : il remet en marche sa machine de la « #hasbara ». Littéralement en hébreu, « l’explication », euphémisme pour qualifier ce qui relève d’une véritable politique de #propagande. Mais cela n’a rien d’un gros mot pour les Israéliens, bien au contraire. Entre 1974 et 1975, il y a même eu un éphémère ministère de la Hasbara. Avant cela, et depuis, cette tâche de communication et de promotion autour des actions de l’État hébreu, est déléguée au ministère des Affaires étrangères et à l’armée.

      Un enjeu d’autant plus important face à cette guerre d’une ampleur inédite. C’est pourquoi, chaque jour de cette troisième semaine du conflit, l’armée israélienne a organisé des événements à destination de la #presse étrangère. Visites organisées des kibboutzim où les #massacres de civils ont été perpétrés : dimanche dans celui de Beeri, mercredi et vendredi à Kfar Aza, jeudi dans celui de Holit. Autre lieu ouvert pour les journalistes internationaux : la base de Shura, à Ramla, dans la banlieue de Tel Aviv. Elle a été transformée en morgue de fortune et accueille les 1 400 victimes des attaques du 7 octobre, afin de procéder aux identifications. Dans des tentes blanches, des dizaines de conteneurs. À l’intérieur, les corps. Beaucoup ont subi des sévices, ont été brûlés. L’horreur à l’état pur.

      Mais l’apogée de cette semaine de communication israélienne, c’est la convocation générale de la presse étrangère, lundi dernier, afin de visionner les images brutes des massacres. Quarante-trois minutes et quarante-quatre secondes d’une compilation d’images des GoPro embarquées des combattants du Hamas, des caméras de vidéosurveillance des kibboutzim, mais aussi des photos prises par les victimes avec leurs téléphones, ou par les secouristes. Le tout mis bout à bout, sans montage. Des images d’une violence inouïe. Une projection vidéo suivie d’une conférence de presse tenue par le porte-parole de l’armée israélienne, le général Daniel Hagari. Il le dit sans détour : l’objectif est de remettre en tête l’ignominie de ce qui s’est passé le 7 octobre dernier. Mais également de dire aux journalistes de mieux faire leur travail.

      Il les tance, vertement : « Vous ! Parfois, je prends trente minutes pour regarder les infos. Et j’ai été choqué de voir que certains médias essayent de COMPARER ce qu’Israël fait et ce que ces vils terroristes ont fait. Je ne peux pas comprendre qu’on essaye même de faire cette #comparaison, entre ce que nous venons de vous montrer et ce que l’armée fait. Et je veux dire à certains #médias qu’ils sont irresponsables ! C’est pour ça qu’on vous montre ces vidéos, pour qu’aucun d’entre vous ne puisse se dire que ce qu’ils font et ce que nous faisons est comparable. Vous voyez comment ils se sont comportés ! » Puis il enfonce le clou : « Nous, on combat surtout à Gaza, on bombarde, on demande aux civils d’évacuer… On ne cherche pas des enfants pour les tuer, ni des personnes âgées, des survivants de l’holocauste, pour les kidnapper, on ne cherche pas des familles pour demander à un enfant de toquer chez ses voisins pour les faire sortir et ensuite tuer sa famille et ses voisins devant lui. Ce n’est pas la même guerre, nous n’avons pas les mêmes objectifs. »

      Ce vendredi, pour finir de prouver le cynisme du Hamas, l’armée israélienne présente des « révélations » : le mouvement islamiste abriterait, selon elle, son QG sous l’hôpital Al-Shifa de Gaza City. À l’appui, une série de tweets montrant une vidéo de reconstitution en 3D des dédales et bureaux qui seraient sous l’établissement. Absolument faux, a immédiatement rétorqué le Hamas, qui accuse Israël de diffuser « ces mensonges » comme « prélude à la perpétration d’un nouveau massacre contre le peuple [palestinien] ».

      Au milieu de ce conflit armé et médiatique, le Président français a fait mardi dernier une visite en Israël et dans les territoires palestiniens. Commençant par un passage à Jérusalem, #Emmanuel_Macron a réaffirmé « le droit d’Israël à se défendre », appelant à une coalition pour lutter contre le Hamas dans « la même logique » que celle choisie pour lutter contre le groupe État islamique. Il s’est ensuite rendu à Ramallah, en Cisjordanie occupée, au siège de l’Autorité palestinienne. « Rien ne saurait justifier les souffrances » des civils de Gaza, a déclaré Emmanuel #Macron. Qui a lancé un appel « à la reprise d’un processus politique » pour mettre fin à la guerre entre Israël et le Hamas. Tenant un discours d’équilibriste, rappelant que paix et sécurité vont de pair, le Président a exigé la mise en œuvre de la solution à deux États, comme seul moyen de parvenir à une paix durable. Une visite largement commentée en France, mais qui a bien peu intéressé les Palestiniens.

      Car si les projecteurs sont braqués sur Israël et Gaza depuis le début de la guerre, les Palestiniens de #Cisjordanie occupée vivent également un drame. En à peine trois semaines, plus de 120 d’entre eux ont été tués, selon le ministère de la Santé de l’Autorité palestinienne. Soit par des colons juifs, soit lors d’affrontements avec les forces d’occupation israéliennes. Bien sûr, la montée de la #violence dans ce territoire avait commencé bien avant la guerre. Mais les arrestations contre les membres du Hamas, les raids réguliers menés par l’armée et les attaques de colons prennent désormais une autre ampleur. Ce lundi matin encore, l’armée israélienne a mené un raid sur le camp de Jénine, au nord de la Cisjordanie, faisant quatre morts. Selon l’agence de presse palestinienne Wafa, plus de 100 véhicules militaires et deux bulldozers sont entrés dans le camp. Déjà, mercredi dernier, deux missiles tirés depuis les airs en direction d’un groupe de personnes avait fait trois morts à #Jénine.

      À chaque mort de plus, la colère monte derrière les murs qui encerclent les Territoires. À Gaza, mais aussi en Cisjordanie

      À chaque mort de plus, la colère monte derrière le mur qui encercle les territoires palestiniens. Du sud, à Hébron, au nord, à Naplouse, en passant par Jénine et Ramallah, les #manifestations ont émaillé ces trois dernières semaines, s’intensifiant au fil du temps. À chaque fois, les Palestiniens y réclament la fin de l’#occupation, la mise en œuvre d’une solution politique pour un #accord_de_paix et surtout l’arrêt immédiat des bombardements à Gaza. Ce vendredi, quelques milliers de personnes s’étaient rassemblés à Ramallah. Drapeaux palestiniens à la main, « Que Dieu protège Gaza » pour slogan, et la rage au ventre. Yara était l’une d’entre eux. « Depuis le début de la guerre, le #traitement_médiatique en Europe et aux États-Unis est révoltant ! L’indignation sélective et le deux poids deux mesures sont inacceptables », s’énerve la femme de 38 ans. Son message est sans ambiguïté : « Il faut mettre un terme à cette agression israélienne soutenue par l’Occident. » Un sentiment d’injustice largement partagé par la population palestinienne, et qui nourrit sa colère.

      Manal Shqair est une ancienne militante de l’organisation palestinienne Stop The Wall. Ce qui se passe n’a rien de surprenant pour elle. La jeune femme, qui vit à Ramallah, analyse la situation. Pour elle, le soulèvement des Palestiniens de Cisjordanie n’est pas près de s’arrêter. « Aujourd’hui, la majorité des Palestiniens soutient le Hamas. Les opérations militaires du 7 octobre ont eu lieu dans une période très difficile traversée par les Palestiniens, particulièrement depuis un an et demi. La colonisation rampante, la violence des colons, les tentatives de prendre le contrôle de la mosquée Al-Aqsa à Jérusalem et enfin le siège continu de la bande de Gaza par Israël ont plongé les Palestiniens dans le #désespoir, douchant toute perspective d’un avenir meilleur. » La militante ajoute : « Et ce sentiment s’est renforcé avec les #accords_de_normalisation entre Israël et plusieurs pays arabes [les #accords_d’Abraham avec les Émirats arabes unis, Bahreïn, le Maroc et le Soudan, ndlr]. Et aussi le sentiment que l’#Autorité_palestinienne fait partie de tout le système de #colonialisme et d’occupation qui nous asservit. Alors cette opération militaire [du 7 octobre] a redonné espoir aux Palestiniens. Désormais, ils considèrent le Hamas comme un mouvement anticolonial, qui leur a prouvé que l’image d’un Israël invincible est une illusion. Ce changement aura un impact à long terme et constitue un mouvement de fond pour mobiliser davantage de Palestiniens à rejoindre la #lutte_anticoloniale. »

      #7_octobre_2023 #à_lire

    • Ma petite-fille de 1 an, la fille de mon fils, quand il y avait de grosses explosions, elle pleurait. Alors nous, on faisait les clowns pour lui faire croire que c’était pour rire.

      C’est exactement ce qu’on faisait ma femme et moi à notre fils de 4 ans en 2006 au Liban.

  • Goossens, sorti de nulle part - Festival 2023
    https://festival.quaidesbulles.com/exposition/goossens-sorti-de-nulle-part

    En 1997, le Grand Prix de la ville d’Angoulême qui couronne chaque année un auteur emblématique de la profession, est pour la première fois attribué par l’ensemble de la profession. Le premier lauréat de ce nouveau mode d’élection est #Daniel_Goossens. C’est dire si ce discret pilier du journal #Fluide_Glacial est incontournable et adulé de ses pairs. Il reste pourtant mystérieusement peu connu du grand public.

    l’Évangile selon Saint Daniel ?
    https://www.du9.org/chronique/sacre-comique


    https://www.fluideglacial.com/auteur/20141
    #bandes_dessinées #exposition

  • Tout fout le camp chez Bandcamp – #Gonzaï
    http://gonzai.com/tout-fout-le-camp-chez-bandcamp

    Le rachat de #Bandcamp par le magnat du jeu vidéo Epic Games (notamment développeur de Fortnite) n’aura pas fait long feu : un an et demi après son acquisition, la plateforme est maintenant cédée à #Songtradr. Et moins d’un mois après l’annonce, le nouvel acquéreur vient de licencier la moitié des effectifs de Bandcamp. De quoi retracer les grandeurs et l’improbable décadence du plus grand disquaire en ligne au monde.

    • quelle tristesse… MAIS en même temps, c’est une suite logique de la plateformisation du net, où les gens (artistes ou autres) ne veulent plus faire l’effort d’avoir leur propre site internet quand ils en ont pourtant besoin

      avec les logiciels libres, tout artiste peut avoir son propre site mettant en ligne sa discographie en streaming, mais évidemment c’est moins simple que d’uploader sur Bandcamp… et puis ya aussi tout l’aspect social recommandation, curation radio etc, qui fait découvrir des milliers de choses chaque mois… bref c’est pas si simple que de juste avoir son site perso même en ayant de ecommerce de disques dessus…

    • @rastapopoulos ça fait partie des grandes inutilités de l’ouvrage politique de SPIP : créer des outils libres pour des personnes qui ne peuvent/veulent pas comprendre ni se poser de questions sur leurs usages numériques et préfèrent le confort des plateformes commerciales.

      Passer sa vie et son temps à construire des chateaux de sable contre la marée capitaliste peut fatiguer.

      Le chemin du RSS partagé est loin maintenant, celui qui permettait d’avoir son propre site avec des outils libres et un rassemblement de sites par thématiques via des #portails (ce truc d’un autre siècle) !

    • Je ne sais pas ce que ça va donner pour la suite mais j’ai bien peur que Bandcamp versus Songtradr ne sera plus aussi proche des artistes et de la découverte de toutes les #musiques. Je me suis beaucoup cultivé avec les bandcamp daily (pourvu que ça dure) mais le meilleur moyen de supporter un groupe c’est d’aller le voir en live et en dehors des goodies d’acheter leur production sur place le jour du concert. J’ai constitué une bonne partie de ma #discothèque comme ça. Un autre bon moyen de découverte ce sont les médiathèques. Mon dernier coup de cœur et celui des bibliothécaires c’est le magnifique SUBHANA de Ahmed Ben Ali du label Habibifunk qui ne t’as pas échappé @rastapopoulos
      https://seenthis.net/messages/1003940
      L’arabe c’est de l’anglais pour moi et viceversa mais sa musique me réjouit face à l’horreur de l’actualité.
      Je ne suis pas trop roots/reggae/dub mais on ne peut pas passer à côté du légendaire label VP Records.
      https://daily.bandcamp.com/label-profile/vp-records-label-profile
      Et sinon comme le déclarait Viviane Albertine, la guitariste des SLITS, en 1976 à Vivien Goldman :

      « Tous les garçons de mon entourage formaient des groupes, et ils avaient des héros à admirer. Mais moi, je n’en avais pas. Je n’avais pas envie d’être Joni Mitchell ou de lui ressembler. Je n’avais pas besoin d’avoir une héroïne à moi ; je pouvais tout simplement m’emparer d’une guitare et en jouer. Pourquoi je me suis mise à faire de la musique est sans grande importance. La vraie question, c’est pourquoi je ne l’ai pas fait plus tôt. »

  • [L’Oeil Carnivore] Un numéro spécial du #journal de #tintin !
    https://www.radiopanik.org/emissions/l-oeil-carnivore/un-numero-special-du-journal-de-tintin

    Aujourd’hui je vous propose de rencontrer Gauthier Van Meerbeek, directeur éditorial du #lombard et Papa du numéro spécial du journal de Tintin sortie le 8 septembre 2023. C’est un numéro spécial à plus d’un titre car les éditions du Lombard fête leur 77 ans (le journal des jeunes de 7 à 77 ans était le slogan du journal de Tintin), qu’il fait 400 pages et qu’il rassemble plus de 80 autrices et auteurs réunis pour rendre hommage aux héros qui ont fait l’histoire de ce journal pendant plusieurs générations !

    Retrouvez L’oeil carnivore sur : https://www.youtube.com/channel/UC6-PMRNm57jRmpEDWjI60Wg https://www.twitch.tv/oeilcarnivore https://www.oeilcarnivore.com (...)

    #interview #bande_dessiner #interview,journal,bande_dessiner,lombard,tintin
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/l-oeil-carnivore/un-numero-special-du-journal-de-tintin_16652__1.mp3

  • Bandcamp’s Entire Union Bargaining Team Was Laid Off
    https://www.404media.co/bandcamps-entire-union-bargaining-team-was-laid-off

    Bandcamp’s entire union bargaining team, the eight union members democratically elected by their peers to negotiate their first union contract, were laid off when Epic Games sold Bandcamp to music licensing company Songtradr on Monday.

    #jeux_vidéo #jeu_vidéo #musique #business #ressources_humaines #syndicalisme #epic_games #bandcamp #songtradr #licenciements