#barrage_hydroélectrique

    • 1-12-1923 La tragedia del Gleno

      Et sèntit Piero chèl chè i völ fa
      Zó sóta ól Glé, chèi de Milà,
      I fa öna diga sura ól nòst có,
      Prègóm chè ö dé la ègnès mìa zö. [1]

      Zitti bifolchi stolti e ignoranti,
      Diamo valore ai nostri monti,
      Siamo il futuro, la nuova età,
      Noi vi doniamo la civiltà.

      Notèr n’laura, n’sè mìa dutur,
      N’và in miniera, n’fà i muradur,
      Ma n’sa chè ö mür con póc cèmènt
      èl vé zó co l’àiva, el vé zó cón niènt. [2]

      Che ne sapete, voi manovali,
      Scienza e opinione non sono uguali,
      Non si va a naso, qui c’è un progetto,
      C’è l’ingegnere, c’è l’architetto.

      Piero l’ghè piö, mé ma sènte mal,
      L’è n’sèma a tacé n’fónt a la àl,
      La diga la sé rumpida nèl mès,
      L’ha portat vià i paés zó nèl Dès. [3]

      Dove rombò la morte implacabile
      S’alza l’augurio di giovinezza,
      Segn’ di rivincita, simbol di lotta,
      Pugna perenne tra uomo e natura.

      Isè ghè scrìt söl so giornàl,
      I fa i poeti, i töl pèr ól cöl,
      I fa i sò afàré, i fa le magagne,
      Dopo la culpa l’è dè lé montagne. [4]

      Desideriamo, vostra maestà,
      Una chiesetta dove pregar
      Per i nostri morti ed insegnar
      Ai figli a piangere e non a odiar.

      N’gà ché i morcc amò de sótrà,
      E stó preòst èl völ pèrdunà,
      Ghè n’pé piö öna ca, ghè zó piö una sésa,
      E lü l’domanda i sólcc pèr la césa. [5]

      Chiedete troppo, scrive l’impresa,
      Voi non potete aver la pretesa
      Di noi ridurre miseri e tristi
      Siate sensati, non egoisti.

      Zó a Dès ìa cèntvotantòtt,
      I paisà, nè rèstàt òt,
      Dét a la àl gh’è sichsènto morcc,
      E lur è lé ché i cönta amò i sólcc. [6]

      Non ci fu dolo, non ci fu offesa,
      Dice il collegio della difesa,
      A far cadere muri e pilastri
      Fu un attentato degli anarchisti.

      Có l’aria che tira èl saltèra fò
      Chè la culpa l’è nòsta sè l’è gnìda zó,
      él sarà bél sè stó procés
      I ghè l’fa mìa a chèi dèl Dès. [7]

      Zitti: la legge è uguale per tutti,
      Darem giustizia ai vostri lutti.
      Sei sono assolti, ma due condannati
      A ben tre anni, ma due condonati.

      Zitti: la legge per tutti e uguale,
      E tratta il ricco come il manovale
      E la condanna a nessuno fa torto,
      Un dì di pena per ogni morto.

      Zitti: la legge per tutti e uguale,
      E tratta il ricco come il manovale
      E la condanna a nessuno fa torto,
      Un dì di pena -quasi- per ogni morto.

      https://www.youtube.com/watch?v=PC_p5AtHTqo&t=52s

      –—

      Le 1er décembre 1923 à 6 h 30, un contrefort de l’une des voûtes se fissure et cède, entraînant la rupture des voûtes voisines. En quelques minutes, les 4 500 000 m3 du réservoir3 se déversent dans la vallée en contrebas, noyant totalement ou en partie les villages de #Bueggio, #Dezzo et #Corna_di_Darfo ainsi que la vallée jusqu’au lac d’Iseo, tuant au total 356 personnes4,2.

      L’analyse du #barrage révèle que sa #rupture est due à un défaut de construction lié à l’emploi d’un #ciment de mauvaise qualité, à l’intégration dans les fondations d’un mur anti-grenade de la Première Guerre mondiale, à un mauvais ancrage des fondations dans le substrat rocheux3 et à un remplissage trop rapide du réservoir alors que le ciment n’était pas suffisamment durci et n’avait pas encore atteint sa résistance mécanique complète.

      Une autre hypothèse est celle d’un attentat visant à endommager le barrage qui aurait eu des effets bien plus dévastateurs que prévu du fait de cette mauvaise construction5.

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Barrage_du_Gleno
      #Gleno #tragédie #histoire #Italie #1_décembre_1923 #chanson #musique #musique_et_politique #Andrea_Polini #barrage_hydroélectrique #histoire #catastrophe

      voir aussi :
      https://seenthis.net/messages/1042729

  • Topli Do: dalla resistenza la rinascita di un villaggio
    https://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Topli-Do-dalla-resistenza-la-rinascita-di-un-villaggio-224417

    L’unica ricchezza di Topli Do, villaggio in via di spopolamento tra i boschi della Stara Planina, in Serbia, sono i suoi torrenti impetuosi. Quando nel 2019 una centralina idroelettrica stava per portarglieli via, i pochi abitanti rimasti non hanno esitato a erigere delle barricate. Da allora il villaggio vive un’insperata rinascita

  • “Berta Soy Yo”: il film sulle lotte di #Berta_Cáceres e sull’Honduras degli ultimi 13 anni

    Intervista a #Katia_Lara, regista del documentario sulla leader indigena assassinata nel Paese nel marzo 2016 per la sua battaglia contro un progetto idroelettrico che avrebbe devastato il #Río_Blanco. Uno sguardo sulla fine della democrazia. L’opera è uscita in estate e ha riscosso successo nonostante i tentativi di boicottarla

    https://altreconomia.it/berta-soy-yo-il-film-sulle-lotte-di-berta-caceres-e-sullhonduras-degli-
    #film #Honduras #documentaire #film_documentaire #résistance #assassinat #barrage_hydroélectrique #peuples_autochtones #eau #électricité

    • #Maradia_Tsaava : #Water_Has_No_Borders

      Since the end of the civil war in the early 1990s, the region of Abkhazia has been acting independently of Georgia. This has turned a massive dam into a border. But the hydroelectric power station also connects the two political entities: Because over a distance of fifteen kilometres the water flows freely, underground, from one side to the other. When a young journalist gets stranded here, stories of division emerge.

      On the way back from a reportage trip to the dam, director Maradia and her cameraman’s car breaks down. Ika takes care of them. For decades, the joyous engineer has worked – in cooperation with his colleagues on the Abkhazian territory – on the maintenance of the plant. Maradia, representative of a whole generation of Georgians who know this place of longing on the Black Sea only from stories, becomes curious. But while the workers take the bus across the border every morning, the film crew is thwarted by bureaucracy. Time and again they are denied passage. This turns out to be fortunate for the film, because waiting for the permission, in the cafeteria of the dam, in driving around the river, the stories of people emerge whose lives are shaped by the secession. They talk of legal and clandestine border crossings, weddings and funerals and of life in the here and there. (Written by Marie Kloos, taken from the website of DOKLeipzig).

      http://www.filmkommentaren.dk/blog/blogpost/4972
      #barrages_hydroélectriques #électricité #Géorgie #Abkhazie #eau #barrage_hydroélectrique #Mer_Noire #frontières
      #film #film_documentaire #documentaire
      ping @visionscarto

  • #Ilisu, in Turchia inaugurata la diga della discordia. Inonderà secoli di storia Access to the comments

    In costruzione dal 2006, la diga di Ilisu-nel sud-est della Turchia- sul fiume Tigri è stata inaugurata questo week end alla presenza del presidente turco Recep Tayyp Erdogan.

    Fornirà il 4% del fabbisogno energetico turco ma contribuirà a cambiare l’ecosistema dell’area geografica a scapito soprattutto dei Paesi vicini, come Siria e Iraq.

    La costruzione è andata avanti tra critiche degli ambientalisti e le proteste di chi abita nei paesi circostanti, circa 200, una volta pieno il bacino inonderà i centri urbani dove vivono circa 80 mila persone.

    Per il prsidente Recep Tayyip Erdogan la costruzione era improcastinabile:

    «Dobbiamo tutelare le nostre risorse idriche, usarel in modo efficace e non sprecarle. Non è una scelta ma una necessità».

    La protesta delle associazioni in questi anni, hanno spaventato investitori esteri che piano piano si sono sfilati dal progetto come l’impresa italiana di costruzione Webuild e la banca svizzera Ubs.

    Il progetto costato oltre 7 milioni e mezzo di euro è stato alla fine finanziato interamente dal governo turco. L’inaugurazione è stata salutata con una grande cerimonia che ha alimentato la narrazione propagandistica del presidente Erdogan.

    Lo scorso giugno era iniziato il processo di riempimento del bacino della maxi-diga e erano stati vani gli ultimi appelli in difesa della cittadina di Hasankeyf, tra i più importanti centri della Mesopotamia con 12 mila anni di storia, (insieme ad altri 199 villaggi della zona, come si è già detto).

    Alcuni dei millenari monumenti sono stati portati via con controverse operazioni fortemente criticate da alcuni archeologi.

    Alcuni addirittura spostati e ricostruiti nel nuovo Hasankeyf Cultural Park, come il monastero islamico del XII secolo, il bagno turco di 800 anni fa e il mausoleo Zeynel Bey di 650 anni fa. Letteralmente smontati e ricostruiti

    https://it.euronews.com/2021/11/07/ilisu-in-turchia-inaugurata-la-diga-della-discordia-inondera-secoli-di-

    #inauguration #barrage_hydroélectrique #extractivisme #électricité #Turquie #énergie

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    voir aussi:
    Journée mondiale pour #Hasankeyf : les dessous d’un barrage à marche forcée
    https://seenthis.net/messages/690502

    #Hasankeyf : l’acqua alla gola
    https://seenthis.net/messages/787114

  • Au #Laos, la #répression silencieuse. Expulsée pour avoir osé parler

    Juriste dans une ONG suisse de développement durable, #Anne-Sophie_Gindroz s’installe durant trois années dans un Laos en pleine mutation. Le pays s’ouvre à l’#économie_de_marché et aux investisseurs étrangers. Construction de #barrages, exploitation des #ressources_hydroélectriques, forestières, minières… l’impact est catastrophique pour la population et l’#environnement. Ce livre sincère et engagé était une nécessité pour l’auteure, qui dénonce la #corruption, l’#opacité des autorités, la répression dont sont victimes des Laotiens. La détermination et le courage d’Anne Sophie Gindroz lui ont valu d’être expulsée du pays.

    https://www.rfi.fr/fr/emission/20160514-laos-repression-silencieuse-expulsee-avoir-ose-parler-anne-sophie-gindr
    (je n’arrive pas à ouvrir la page de la maison d’édition du livre :-(
    https://asieinfopublishing.com

    #livre #développement #extractivisme #forêts #mines #barrage_hydroélectrique

    –—

    En 2018, quand @albertocampiphoto et moi-même étions au Laos :
    https://seenthis.net/messages/709331

    Et notamment ce portfolio de Alberto sur Mediapart :
    Le Laos, « batterie de l’Asie du Sud-Est » en court-circuit


    https://www.mediapart.fr/studio/portfolios/le-laos-batterie-de-lasie-du-sud-est-en-court-circuit

  • En Ethiopie, la France partagée entre business et défense des droits humains

    Pillages, possibles crimes de #guerre, destructions de sites historiques : les témoignages en provenance du #Tigré, province en guerre depuis le 4 novembre, sont très inquiétants. La France reste pourtant discrète, et espère préserver ses chances sur un marché prometteur.

    L’ambassadeur a un échange « constructif » avec le ministre de l’éducation, l’ambassadeur a un échange « productif » avec le conseiller spécial du premier ministre sur les questions économiques, l’ambassadeur est « très honoré » de recevoir le ministre de l’énergie pour évoquer la participation française à plusieurs grands projets… Sur les réseaux sociaux de l’ambassade de France à Addis-Abeba, c’est #business_as_usual.

    Pour qui suit au quotidien le calvaire des habitants du Tigré – région où l’armée éthiopienne et ses alliés sont en guerre depuis le 4 novembre –, les photos de ces rencontres policées dans la capitale, où l’on discute #qaffaires, lovés dans de confortables canapés, semblent prises dans un monde parallèle.

    Loin, très loin, d’un Tigré littéralement à feu et à sang, où plus de deux millions de personnes ont dû fuir leur habitation, où l’on manque d’eau, d’électricité, de nourriture et de médicaments, où il est probable que la famine soit utilisée comme arme de guerre par les belligérants et où les humanitaires peinent toujours à accéder alors que 2,3 millions de personnes auraient besoin d’aide, selon les évaluations des ONG.

    Les affrontements y opposent le Front de libération du peuple du Tigré (TPLF) à l’armée fédérale éthiopienne, soutenue par des milices nationalistes amhara et des troupes érythréennes.

    « Nous recevons des rapports concordants à propos de violences ciblant certains groupes ethniques, d’assassinats, de pillages massifs, de viols, de retours forcés de réfugiés et de possibles crimes de guerre », a indiqué le 15 janvier le haut représentant de l’Union européenne pour les affaires étrangères et la politique de sécurité Josep Borrell, qui a annoncé par la même occasion la suspension de 88 millions d’euros d’aide destinée au gouvernement éthiopien.

    Dès le 13 novembre, la haute-commissaire de l’ONU aux droits de l’homme Michelle Bachelet évoquait elle aussi de possibles crimes de guerre et appelait à la mise en place d’une commission d’enquête indépendante pour le vérifier. À la veille de sa prise de fonction, le nouveau secrétaire d’État américain Antony Blinken s’est lui aussi inquiété publiquement de la situation.

    Une voix manque cependant à ce concert d’alertes : celle de la France. Le Quai d’Orsay n’a produit qu’un seul communiqué concernant le Tigré, le 23 novembre 2020. Il tient en quatre phrases convenues sur la dégradation de la situation humanitaire et la condamnation des « violences à caractère ethnique ». Exploit diplomatique, le mot « guerre » n’y apparaît pas ; celui de « crimes de guerre » encore moins. Il ne comporte ni interpellation des belligérants – qui ne sont d’ailleurs même pas cités –, ni appel à une enquête indépendante sur d’éventuelles violations des droits humains. Les mêmes éléments de langage étaient repris trois jours plus tard à l’occasion de la visite en France du ministre des affaires étrangères éthiopien Demeke Mekonnen.

    « Gênant, au minimum »

    Cette étrange pudeur française commence à interroger, voire à agacer certains alliés européens ainsi que nombre de chercheurs spécialisés sur l’Éthiopie – qui s’emploient, depuis deux mois et demi, à récolter les bribes d’informations qui parviennent du Tigré malgré la coupure des communications par les autorités.

    « J’ai des échanges réguliers avec l’#ambassade_de_France à Addis-Abeba depuis novembre. Je les ai questionnés sur leur position vis-à-vis du gouvernement éthiopien, et je les ai sentis très embarrassés », raconte le chercheur indépendant René Lefort, pour qui la #complaisance française vis-à-vis du gouvernement d’Abiy Ahmed Ali est incompréhensible : « Je crois qu’ils ne comprennent pas ce qu’est ce pays et ce qui s’y passe. »

    Au-delà des questions morales posées par le fait d’apporter un soutien tacite à un gouvernement qui a couvert ou laissé faire des violations des droits humains au Tigré, le soutien à #Abiy_Ahmed est une erreur d’analyse politique selon René Lefort : « Les Français parient tout sur lui, alors que son autorité personnelle est faible et que sa ligne politique n’est soutenue que par une minorité d’Éthiopiens. »

    La réserve française est en tout cas interprétée par l’armée fédérale éthiopienne et ses alliés comme un soutien de Paris. Le sociologue Mehdi Labzae était au Tigré, dans la région d’Humera, jusqu’à la mi-décembre : « Dans les zones conquises par les nationalistes amhara, se présenter comme Français facilite les relations avec les combattants, qui considèrent le gouvernement français comme un allié. Les déclarations françaises, ou leur absence, laissent penser que la réciproque est vraie », relève le chercheur, post-doctorant à la Fondation Maison des sciences de l’homme (FMSH). « Avec un ambassadeur à Addis qui fait comme si de rien n’était… Je trouve cela gênant, au minimum. »

    Selon une source diplomatique étrangère, la France ne se contente pas de rester discrète sur la situation au Tigré ; elle freine également les velléités des membres de l’Union européenne qui voudraient dénoncer plus ouvertement l’attitude des autorités éthiopiennes et de leurs alliés érythréens. Une attitude « parfois frustrante », déplore cette source.

    Interrogée par Mediapart sur cette « frustration » de certains alliés européens, l’ambassade de France à Addis-Abeba nous a renvoyé vers le Quai d’Orsay, qui n’a pas répondu sur ce point (voir boîte noire).

    Refus de répondre sur la création d’une commission d’enquête

    À ses partenaires européens, mais aussi aux chercheurs et humanitaires avec qui ils échangent, les services diplomatiques français expliquent que les accusations d’exactions visant l’armée éthiopienne et ses alliés ne « sont pas confirmées ». Il en va de même concernant la présence de troupes érythréennes sur place – cette présence a pourtant été confirmée à la fois par les autorités de transition du Tigré et par un général de l’armée éthiopienne.

    Une position difficilement tenable. D’abord parce que le gouvernement éthiopien empêche, en bloquant les communications avec le Tigré et en limitant l’accès des humanitaires, la récolte de telles preuves. Ensuite parce que, malgré ce blocus, les faisceaux d’indices s’accumulent : « Nous avons des informations qui nous viennent des ONG, d’équipes des Nations unies qui parlent off the record, de citoyens européens qui se trouvent toujours au Tigré ; nous avons aussi des listes de victimes, et de plus en plus de photos et vidéos », autant d’informations auxquelles l’ambassade de France a eu accès, explique un diplomate en poste à Addis-Abeba.

    La position française est difficilement tenable, enfin, parce que si elle tenait tant aux faits, la France ne se contenterait pas de refuser de condamner les crimes tant qu’ils ne sont pas « confirmés » : elle plaiderait pour la création d’une commission d’enquête indépendante qui permettrait, enfin, de les établir et de pointer les responsabilités respectives du TPLF, de l’armée éthiopienne et de ses alliés.

    Paris est dans une position idéale pour le faire, puisque la France vient d’être élue pour siéger au Conseil des droits de l’homme des Nations unies durant trois ans. Elle pourrait donc, aux côtés d’autres États membres, demander une session extraordinaire du Conseil sur l’Éthiopie (l’accord d’un tiers des 47 États qui composent le Conseil est nécessaire) qui déciderait de la création d’une commission d’enquête sur le Tigré.

    Or, interrogé par Mediapart sur son soutien à la création d’une telle commission, le Quai d’Orsay n’a pas souhaité répondre (voir boîte noire). Il assure avoir « appelé à plusieurs reprises les autorités éthiopiennes à faire la lumière sur les allégations de crimes et autres violations des droits de l’homme », sans toutefois préciser par quel canal.

    Hypothétique médiation

    Lors d’entrevues en privé, des diplomates de l’ambassade et du Quai d’Orsay assurent que cette absence de #dénonciation publique est volontaire et stratégique. Elle viserait à ne pas froisser le gouvernement éthiopien publiquement afin de « maintenir un canal de communication » pour mieux le convaincre en privé et, éventuellement, jouer un rôle de médiateur pour trouver une issue au conflit.

    « Des diplomates français m’ont dit, en résumé : “On reste discrets parce que si un jour il y a une #médiation à faire, le gouvernement pourrait se tourner vers nous” », indique René Lefort. Une analyse « totalement erronée », selon le chercheur : « Non seulement [le premier ministre] Abiy Ahmed Ali ne veut absolument pas d’une médiation, mais surtout, même s’il en acceptait le principe, je ne vois pas pourquoi il irait chercher la France plutôt que les États-Unis, l’Union européenne ou encore l’ONU. » Accessoirement, même si le gouvernement éthiopien souhaitait que la France soit médiatrice, il n’est pas dit que son principal adversaire, le TPLF, accepte le principe d’une médiation par un État qui a passé les derniers mois à multiplier les signes d’amitié envers Addis-Abeba et pourrait donc difficilement prétendre à la neutralité.

    Un (quasi-) #silence public pour mieux faire avancer les dossiers en privé : l’hypothèse est également avancée par l’ancien ambassadeur français en Éthiopie Stéphane Gompertz. « Il est possible que nous privilégions l’action en coulisses, qui peut être parfois plus efficace que de grandes déclarations. C’est d’ailleurs généralement l’option privilégiée par la #diplomatie française. » À l’appui de cette idée, l’ancien ambassadeur – qui fut aussi directeur Afrique au Quai d’Orsay – évoque des tractations discrètes mais couronnées de succès menées en 2005 afin de faire libérer des figures d’opposition.

    Si telle est la stratégie française actuellement, ses résultats sont pour l’instant peu concrets. Le quasi-silence français semble en réalité avoir d’autres explications : ne pas gâcher l’#amitié entre Emmanuel Macron et le premier ministre éthiopien Abiy Ahmed Ali et, surtout, ne pas compromettre les #intérêts_commerciaux français dans un pays vu comme économiquement prometteur et politiquement stratégique.

    Lune de miel

    Lors de sa nomination en 2018, le premier ministre éthiopien Abiy Ahmed Ali fait figure d’homme de paix et de chantre de la démocratie. Ses efforts de réconciliation avec l’Érythrée voisine lui valent le prix Nobel de la paix ; ses réformes sur la liberté de la presse ou la libération de prisonniers politiques lui attirent l’estime de nombreux chefs d’État étrangers.

    Est-ce une affaire de style ? Le fait qu’ils soient tous les deux jeunes, étiquetés comme libéraux, revendiquant une certaine manière de casser les codes ? Emmanuel Macron et Abiy Ahmed semblent en tout cas particulièrement s’apprécier. L’anecdote veut que lors d’une visite de #Macron à Addis-Abeba en 2019, Abiy Ahmed ait tenu à conduire lui-même la voiture amenant le président français à un dîner officiel.

    Lorsque le premier ministre éthiopien a pris ses fonctions, « les Allemands, les Français, l’UE, tout le monde a mis le paquet sur les aides, tout le monde s’est aligné sur lui. Sauf que, le temps passant, le malaise a grandi et la lune de miel a tourné au vinaigre, analyse une source dans les milieux économiques à Addis-Abeba. Les autres États ont rapidement déchanté. Pas les Français, pour qui la lune de miel a continué. »

    De fait, la transformation du Prix Nobel en chef de guerre ne semble pas avoir altéré sa belle entente avec le président français. Deux semaines après le début des hostilités au Tigré, et alors qu’Abiy Ahmed s’apprêtait à lancer un assaut « sans pitié » sur la ville de Mekele et ses 400 000 habitants, #Emmanuel_Macron qualifiait le premier ministre éthiopien de « role model ». Quelques semaines plus tard, toujours engagé dans ce conflit, Abiy Ahmed Ali trouvait le temps de souhaiter un prompt rétablissement à son « bon ami » Macron, atteint du Covid.

    Pour cette source, le facteur économique et commercial est essentiel : « Les Français sont restés très positifs parce qu’ils se positionnent clairement sur le secteur économique en Éthiopie : ils n’ont pas d’intérêt politique fort, ça n’est pas leur zone d’influence. Mais les #intérêts_économiques, eux, sont importants et sont grandissants. C’est potentiellement un #marché énorme. »

    Marché jugé prometteur

    Pour le conquérir, Paris a employé les grands moyens. En mars 2019, Emmanuel Macron s’est rendu en Éthiopie avec le ministère des affaires étrangères #Jean-Yves_le_Drian et sept patrons français pour y signer une flopée d’#accords visant à « promouvoir l’#attractivité de l’Éthiopie auprès des #investisseurs_français ».

    Les entreprises françaises intéressées par ce marché en voie de #libéralisation ne sont pas des moindres : #Orange (qui compte bien profiter de la privatisation de la compagnie nationale #Ethio_Telecom), le groupe #Castel (qui à travers sa filiale #BGI détient déjà 55 % des parts du marché de la #bière), #Bollore_Logistics ou encore #Canal+, qui compte développer une offre de #télévision locale.

    Les #intérêts_commerciaux français sont nombreux et variés. La #modernisation du #réseau_électrique éthiopien ? #Alstom (36 millions d’euros en 2011). La fabrication des #turbines de l’immense #barrage_hydroélectrique de la Renaissance ? Alstom encore (250 millions d’euros en 2013), qui désormais lorgne sur des projets ferroviaires. Le #bus « à haut niveau de service » qui desservira la capitale éthiopienne ? Les Français de #Razel-Bec (la filiale travaux publics du groupe #Fayat), qui ont remporté le marché en 2020.

    Peu après sa prise de poste, en octobre, l’ambassadeur français #Rémi_Maréchaux se félicitait : « Le nombre d’#entreprises_françaises en Éthiopie a doublé en cinq ans. Nous sommes prêts à travailler ensemble pour davantage d’investissements français. »

    #Contrats_militaires

    Dernier domaine stratégique pour les Français : la #coopération_militaire et les ventes d’#armes. Le dossier était en haut de la pile lors de la visite d’Emmanuel Macron en 2019. La ministre #Florence_Parly, qui était également du voyage, a signé un #accord_de_défense avec son homologue éthiopienne ainsi qu’une lettre d’intention « pour la mise en place d’une composante navale éthiopienne avec l’accompagnement de la France ».

    Une aubaine pour les fabricants d’armes et d’#équipements_militaires français, qui n’ont pas tardé, selon la presse spécialisée, à se manifester pour décrocher des contrats. Parmi eux, #Airbus, qui aimerait vendre des #hélicoptères de combat à l’Éthiopie. Le groupe a pu compter pour défendre ses intérêts sur l’attaché de défense de l’ambassade française à Addis-Abeba (jusque septembre 2020) #Stéphane_Richou, lui-même ancien commandant d’un régiment d’hélicoptères de combat.

    L’#armée de l’air éthiopienne a validé l’offre d’Airbus pour l’acquisition de 18 #hélicoptères_militaires et deux avions-cargos en octobre 2020, mais cherchait toujours des financements. Le déclenchement de la guerre au Tigré – où ces hélicoptères pourraient être utilisés – a-t-il conduit Airbus ainsi que le ministère des armées à reporter, voire annuler cette vente ?

    Ni Airbus ni le ministère n’ont souhaité nous répondre à ce sujet.

    Les affaires se poursuivent en tout cas entre la filiale civile d’Airbus et le gouvernement éthiopien : le 9 novembre, #Ethiopian_Airlines réceptionnait deux Airbus A350-900 pour sa flotte. Le 20 novembre encore, l’ambassadeur français à Addis-Abeba se félicitait d’une rencontre avec le PDG de la compagnie aérienne éthiopienne et ajoutait « Airbus » en hashtag.

    https://twitter.com/RemiMarechaux/status/1329829800031252481

    Quant à la coopération militaire France-Éthiopie, elle semble se poursuivre normalement si l’on en juge cette offre d’emploi de professeur de français à destination de militaires et policiers éthiopiens émise en décembre par la Direction de la coopération de sécurité et de défense du Quai d’Orsay (un contrat d’un an à pourvoir au 1er octobre 2021).

    Interrogé le 19 janvier sur le projet de création d’une #marine_éthiopienne, sur d’éventuelles livraisons d’armes récentes à l’Éthiopie et, plus généralement, sur la coopération militaire avec l’Éthiopie et le fait de savoir si l’évolution de la situation au Tigré était susceptible de la remettre en question, le ministère des armées a fait savoir 48 heures plus tard qu’il ne pourrait pas répondre « étant donné [les] délais ». Mediapart a proposé au ministère de lui accorder un délai supplémentaire pour fournir ses réponses. Le ministère n’a plus donné suite.

    Trop tard ?

    Le ministère des affaires étrangères, lui, n’a répondu à aucune des cinq questions précises que lui avait soumises Mediapart sur la présence de troupes érythréennes, les possibles crimes de guerres commis au Tigré et la coopération militaire avec l’Éthiopie notamment (voir boîte noire).

    Sa réponse condamne toutefois en des termes plus précis que par le passé les exactions commises au Tigré. La France est « profondément préoccupée » par la situation humanitaire sur place, « ainsi que par les allégations de violations des droits de l’homme », indique le Quai d’Orsay, avant d’appeler à la cessation des hostilités et au respect du droit international humanitaire par « toutes les parties au conflit ». Mais est-ce suffisant, et surtout n’est-ce pas trop tard ?

    Les dernières informations en provenance du Tigré évoquent des massacres qui auraient fait plusieurs centaines de morts. Plusieurs vidéos portent sur de possibles tueries dans la ville et l’église d’Aksoum, de la fin novembre à début décembre. Selon l’organisation belge Europe External Programme with Africa (EEPA) ainsi qu’un témoin interrogé par Le Monde, les troupes érythréennes y auraient tué plus de 750 personnes. Dans une interview mise en ligne le 17 janvier, une femme qui se dit témoin direct de ces tueries explique en amharique que « la ville entière, du dépôt de bus au parc, était recouverte de corps ».

    Les attaques et destructions concernent également des sites historiques inestimables ou jugés sacrés. La mosquée de Negash (site d’établissement des premiers musulmans éthiopiens, du temps du prophète Mahomet), datant du VIIe siècle, a été partiellement détruite et pillée. Le plus vieux monastère d’Éthiopie, le monastère orthodoxe de Debre Damo (VIe siècle), a également été attaqué.

    Enfin, Mediapart a pu consulter un témoignage de première main concernant un massacre commis dans l’église Maryam Dengelat – creusée dans la roche entre le VIe et le XIVe siècle par les premiers chrétiens d’Éthiopie –, qui estime que 80 personnes ont été tuées par l’armée érythréenne, parmi lesquelles des prêtres, des personnes âgées et des enfants. Ce témoignage fournit une liste comportant les noms de 35 victimes.

    « Si ces informations étaient confirmées, cela commencerait à ressembler à une stratégie d’anéantissement, non seulement du TPLF, mais du Tigré en tant qu’identité historique et territoriale », commente le chercheur Éloi Ficquet, de l’EHESS.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/210121/en-ethiopie-la-france-partagee-entre-business-et-defense-des-droits-humain
    #Ethiopie #France #armement #commerce_d'armes #vente_d'armes

  • Sudan declares full control of border territory settled by Ethiopians

    Sudan said on Thursday its forces had taken control of all of Sudanese territory in a border area settled by Ethiopian farmers, after weeks of clashes.

    Ethiopia, for its part, accused its neighbour of sending forces into its territory for attacks.

    Border tensions have reignited since the outbreak of a conflict in Ethiopia’s northern Tigray region in early November, which sent more than 50,000 mainly Tigrayan refugees fleeing into eastern Sudan.

    Clashes have occurred in recent weeks over agricultural land in the #al-Fashqa area, which lies within Sudan’s international boundaries but has been settled by Ethiopian farmers for years.

    On Saturday, Sudan said it had taken control of most, but not all, of the territory. Acting Foreign Minister Omar Gamareldin told a news conference on Thursday it had now taken the rest.

    Talks between the two countries over the border broke down last week. Sudanese officials say Ethiopia has not formally disputed the border, which was demarcated decades ago. But comments from Ethiopian officials suggest disagreement.

    At a news conference on Tuesday, Ethiopia’s foreign ministry spokesman Dina Mufti accused Sudan of sending troops onto its land.

    “The condition has reached a point where some (Sudanese) political leaders were saying it was their land, and they controlled their own land and they are not going to leave the land,” he said.

    In an Independence Day address late on Thursday, the head of Sudan’s sovereign council said its troops had not left Sudan.

    “Sudan has not and will not cross international borders or violate our neighbour Ethiopia,” General Abdelfattah al-Burhan said late on Thursday. He said Sudan was looking to solve the issue of trespassing farmers through dialogue.

    Ethiopia has accused Sudan of carrying out attacks on the farmers starting in early November. Sudan has said the forces it has engaged with are trained and armed like regular troops.

    Ethiopian spokesman Mufti also blamed Sudan’s behaviour on an unnamed third country, which he said was seeking instability in the region and occupying Sudanese land. That appeared to be a reference to Egypt, which summoned the Ethiopian charge d’affairs to demand an explanation for Mufti’s remarks.

    Egypt, Ethiopia and Sudan have so far failed to end a three-way dispute over the filling and operation of the billion-dollar Grand Ethiopian Renaissance Dam, which Egypt sees as a threat to its agricultural economy, and which began filling in July.

    https://in.reuters.com/article/sudan-ethiopia-idINKBN2951BG?taid=5fee51e8e9b1eb00011de63a
    #Soudan #guerre #conflit #frontières #différend_frontalier
    #Ethiopie #Egypte #agriculture #eau #barrage_hydroélectrique #Nil #Tigré

    ping @reka @fil

  • ***ATTENTION ! C’EST PROBABLEMENT UNE FAKE-NEWS, VOIR PLUS BAS DANS CE FIL DE DISCUSSION !***

    La #cruauté de cette #Europe qui perd toute #humanité à ses #frontières...
    Bulgaria Floods Evros River to Prevent Migrants Storming Greek Borders

    Bulgaria Floods Evros River to Prevent Migrants Storming Greek Borders
    At the request of Greece, Bulgaria opened an Evros River dam located on its territory on Monday in order to cause intentional flooding and make it more difficult for migrants amassed at the Greek-Turkish border to cross the river.

    The opening of the #Ivaylovgrad Dam accordingly resulted in rising levels of the Evros River, Star TV reported.

    As the standoff between thousands of migrants and refugees on the Turkish side of the Evros and Greek security forces continues, PM Kyriakos Mitsotakis met his German counterpart Angela Merkel in Berlin and stressed that Greece and Europe cannot be blackmailed.

    He pointed out that if the Turkish President wants a review of the EU-Turkey agreement on migration “which he has, himself, effectively demolished,” then he must take the following actions: Remove the desperate people from Evros and stop spreading disinformation and propaganda.

    The Greek PM suggested that Erdogan should also examine other possible improvements, such as joint patrols to control the flow of migrants at the Turkish border. He also pointed out that the repatriation of those who illegally enter Greece should be possible from mainland Greece, as well as the islands.

    ”Greece has always recognized and continues to recognize that Turkey has played a crucial role in the management of the refugee issue — but this can’t be done using threats and blackmail,” he added.

    https://greece.greekreporter.com/2020/03/10/bulgaria-floods-evros-river-to-prevent-migrants-storming-greek

    #asile #migrations #réfugiés #Bulgarie #Evros #Grèce #fleuve_Evros #barrage #environnement_hostile #ouverture #barrage_hydroélectrique #inhumanité #inondation #noyades #dangers #dangerosité

    Le barrage en question...

    –----

    Ajouté à ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/828209

    • Bulgaria opens dam in Evros – Water level rises closing passage for illegal immigrants

      Greece is taking every measure necessary to demonstrate its determination to guard the borders of Europe.
      Τhe passage for migrants from the Evros river became even more difficult as the dams from Bulgaria opened and water levels began to rise.

      The Bulgarian authorities, at Greece’s request, proceeded forward with the action.

      Greece is taking every measure necessary to demonstrate its determination to guard the borders of Europe.

      The Ivailograc Dam releases even greater quantities of water from noon onwards, resulting in the rising levels of the Arda and Evros rivers.

      http://en.protothema.gr/bulgaria-opens-dam-in-evros-water-level-rises-closing-passage-for-ille

    • Non, la Bulgarie n’a pas ouvert un barrage pour aider la Grèce à stopper les migrants

      De nombreux sites internet et comptes d’extrême droite affirment que « la Bulgarie a ouvert [lundi 9 mars] un barrage pour faire monter le niveau du fleuve Evros » et ainsi empêcher les migrants de franchir la frontière turco-grecque. Faux, selon le gouvernement bulgare. Des relevés au barrage d’Ivaylovgrad et des images satellites contredisent également cette affirmation.

      « Les autorités bulgares, à la demande de la Grèce, ont ouvert le barrage d’Ivaïlovgrad, de sorte que le fleuve Evros qui délimite une majeure partie de la frontière gréco-turque soit en crue, plus difficile à traverser à pied (...) Voici un bel exemple de la solidarité européenne », écrit le site d’extrême droite FL24.

      L’affirmation, relayée lundi 9 mars par la chaîne grecque Star TV, a été reprise le 11 mars par les sites Valeurs Actuelles et Fdesouche, par un porte-parole de Génération identitaire et par de nombreux sites anglophones, comme ici et ici.


      « La Bulgarie n’a pas reçu de demande de la Grèce pour un lâcher contrôlé au barrage d’Ivaylovgrad », a déclaré à l’AFP Ivan Dimov, conseiller de la ministre bulgare des Affaires étrangères Ekaterina Zaharieva.

      Ce barrage est situé sur la rivière Arda, affluent du fleuve Evros, à quelques kilomètres en amont de la frontière bulgaro-grecque, et à une trentaine de kilomètres à vol d’oiseau de la frontière gréco-turque.

      « On n’observe pas de hausse du niveau du fleuve Maritsa au niveau de Svilengrad », ville bulgare située en aval, près de la frontière gréco-turque, affirme M. Dimov.

      Le ministre bulgare de l’Environnement et de l’Eau, Emil Dimitrov, a également démenti mercredi sur la chaîne bulgare BTV (voir ici) avoir reçu une telle demande des autorités grecques. Le barrage d’Ivaylovgrad n’a pas été ouvert ces derniers jours, a-t-il affirmé.

      « C’est une fake news (...). Personne n’a autorisé une telle chose. Je signe chaque mois un programme d’utilisation de l’eau libérée par les barrages », et ce document « est valable pour le mois en cours », a déclaré le ministre.

      Les images utilisées pour illustrer la prétendue nouvelle remontent par ailleurs à plusieurs années.

      La photo ci-dessous circulait déjà sur internet en février 2015 (voir ici).


      Les images du tweet ci-dessous, reprises par la plupart des sites, dont Valeurs Actuelles, avaient déjà été diffusées par un site grec en juillet 2018 (captures d’écran ci-dessous à droite).

      Des relevés, disponibles sur le site du ministère bulgare de l’Environnement et de l’Eau, montrent eux que le niveau du barrage d’Ivaylovgrad a légèrement augmenté entre le 6 et le 10 mars, contredisant la thèse d’un lâcher d’eau massif le 9 mars.

      « Barrage d’Ivaylovgrad : 120.161 millions de m3, soit 76,68% de son volume total », est-il écrit dans le relevé du 10 mars. Celui du 6 mars indique un niveau inférieur, avec 119.302 m3 d’eau, soit 76,13% de sa capacité.

      Une comparaison d’images satellites (disponibles sur le site Sentinel Hub) des 8 et 11 mars ne montre pas non plus de crue significative du fleuve Evros.

      Un petit banc de sable, situé en aval du barrage et à 1,5 km en amont de la frontière turco-grecque, est notamment visible aux deux dates, bien que légèrement moins au 11 mars. Pour autant, un correspondant de l’AFP présent à la frontière gréco-turque à ces dates explique que la zone a connu d’importantes précipitations.

      Des images satellites plus anciennes montrent que ce banc s’est réduit de manière nettement plus significative entre le 6 et le 8 mars, et que ce banc varie régulièrement - et fortement - en fonction du niveau du fleuve.

      Le ministre M. Dimitrov a expliqué à la télévision bulgare qu’un lâcher d’eau au barrage d’Ivaylovgrad aurait fait monter le niveau du fleuve Evros durant quelques heures, mais n’aurait eu selon lui aucun effet durable susceptible de dissuader des migrants de tenter la traversée.

      La Grèce possède en outre un barrage sur la rivière Arda (voir ici), affluent de l’Evros, a-t-il rappelé, suggérant que le pays aurait pu créer une crue artificielle sans l’aide de la Bulgarie.

      Des milliers de migrants se sont rués vers la frontière terrestre turco-grecque, délimitée par le fleuve Evros, quand Ankara a annoncé le 28 février l’ouverture de ses portes à tous les demandeurs d’asile souhaitant rejoindre l’Europe. Des dizaines ont réussi à traverser le fleuve et à pénétrer sur le territoire grec.

      Contacté mercredi 11 mars, le gouvernement grec n’avait pas répondu à nos questions.

      https://factuel.afp.com/non-la-bulgarie-na-pas-ouvert-un-barrage-pour-aider-la-grece-stopper-le
      #fake-news

  • La tragedia del #Mattmark

    Il bel sole volgeva al tramonto
    tra le cime deserte e ghiacciate
    già le squadre eran tutte tornate
    da un infido e pesante lavor

    era gente di varie nazioni
    ma in gran parte era gente italiana
    che lasiata la casa lontana
    a Mattmark lor trovaron lavor

    la montagna a vederla era imensa
    la oservan gli adetti al cantiere
    a ciascuno sembrava vedere
    un gigante forgiato di acciar

    dopo il turno di dura fatica
    si lasiavan gli arnesi a riposo
    e si andava con anim gioioso
    alla mensa dov’era pronto il cenar

    chi pensava alla casa natia
    alla moglie ai figli adorati
    ai parenti al paese lasiati
    fiduciosi di un lieto avenir

    chi pensava al denar guadagnato
    e a quello che risparmiato aveva
    i progetti da solo faceva
    fiducioso d’un lieto avenir

    ad un tratto si è sentito un ronzio
    che diventò man mano stridore
    poi sembrò di tuono un fragore
    che dall’alto veloce arrivò

    non si ebbe il tempo nemen di parlare
    o di corere a qualche riparo
    prima ancora che il peril fosse chiaro
    la tragedia si volse al final

    giunse alora la morte veloce
    sivolando il ghiacciaio falciava
    e sicura rovina portava
    né una forma fermarlo poté

    un boato tremar fe’ le valli
    poi tornò il silenzio assoluto
    il tremendo destin fu compiuto
    nello spazio di un attimo sol

    ancor ogi una coltre ricopre
    operai ch’eran pieni di vita
    è una bara di neve indurita
    dove salvarli nessuno riuscì

    passa il tempo e forse per sempre
    resteranno dei corpi nel ghiaccio
    la montagna col bianco suo abracio
    se li tiene li prese con sé.

    https://www.youtube.com/watch?v=X3ei56Ta_R4


    #chanson #musique #Suisse #travailleurs_étrangers #Italiens #travailleurs_italiens #Valais #histoire #barrage_hydroélectrique #montagne

    Sur la #tragédie, voir :
    https://seenthis.net/messages/402405

    ping @sinehebdo

  • #Hasankeyf : l’acqua alla gola

    La decisione, insindacabile, viene comunicata per mezzo di una telefonata. «È stata costruita per voi una casa sull’altra sponda del fiume. Prendere o lasciare». I più prendono, che cosa si potrebbe fare altrimenti? C’è chi, invece, magari si è già spostato verso centri più grandi, come Batman, a circa 40 km di distanza. In ogni caso, per quelli che decidono di accettare la proposta del governo, sembra esserci un prezzo da pagare: le “case sull’altra sponda” sono nuove, appena edificate, e – in fin dei conti – valgono più di quelle vecchie, millenarie, che stanno dall’altra parte. C’è quindi da saldare la differenza: “Prendere o lasciare”.

    Hasankeyf, cittadina di circa 7000 abitanti scavata nelle rocce della valle del Tigri, sta per essere completamente evacuata. I suoi monumenti sono stati smembrati pezzo per pezzo e ricomposti altrove, oppure sono stati ricostruiti ex-novo, oppure ancora lasciati dove l’acqua li sommergerà a breve. La diga #Ilisu – progettata per la prima volta nel 1954, rievocata da Erdoğan e autorizzata nel 2006 – diventerà operativa a giugno di quest’anno. L’innalzamento del fiume provocherà la scomparsa di più di un centinaio di villaggi, lo spostamento di migliaia di persone, pericolosi cambiamenti idrogeologici, mutazioni microclimatiche poco (o per nulla) studiate. E, secondo le stime, una produzione di energia elettrica di 3800 Gwh all’anno.

    Una città simbolo

    «Non è tanto importante il fatto che perdiamo il lavoro o le nostre occupazioni. Quello che lasciamo sono le nostre radici, lasciamo 10.000 anni di storia!». Il piccolo bar all’aperto di Süleyman si trova nella parte alta della cittadina, dove la strada in salita lascia spazio alle dritte pareti di roccia e si trasforma in stretti canyon che si incuneano fra le montagne. Attorno alle sedie rosse, oltre alla vista mozzafiato, c’è il filo spinato che delimita l’area dei lavori in corso. «Come tutti, la notizia l’abbiamo saputa attraverso i social media. Poi abbiamo ricevuto la telefonata da parte dell’amministrazione, che ci proponeva una casa nella nuova Hasankeyf».

    Le principali attività del villaggio curdo sono l’agricoltura e l’allevamento. Ma, nel corso del tempo, si è sviluppato anche un forte afflusso di turisti e molti degli abitanti hanno dunque aperto esercizi di ristoro o negozi di artigianato. Niente di invasivo o eccessivamente posticcio: superato il ponte sul Tigri, la “zona turistica” - se così si può chiamare – si estende sulla destra in uno stretto e corto vialetto che in breve tempo si conforma ai giardini e alle modeste abitazioni del villaggio. Artukidi, hurriti-mitanni, assiri, urartu, medi, persiani, romani, sasanidi, bizantini, selgiuchidi, ayubbidi e ottomani: sono innumerevoli le civiltà che si sono insediate a Hasankeyf e che hanno lasciato le proprie tracce. In generale, gli abitanti sanno di essere “cittadini di un simbolo”. Simbolo di una storia millenaria che si radica nella terra, cittadini di una patria immateriale che prende forma nella solidarietà di chi si sente curdo e condivide le medesime sorti di segregazione e invisibilità.
    Ribaltare lo sguardo

    «Ecco, vedi là sopra? Io da bambino vivevo vicino al castello, nella parte alta della città». Adesso Ridvan Hayan abita a Batman. Già militante del partito HDP, ora nel consiglio comunale di Hasankeyf, fa parte anche del Centro per l’Ecologia della Mesopotamia. Ripercorrere con lui le strade del villaggio significa ripercorre una parabola biografica e politica insieme. «I centri che verranno sommersi dalla diga sono 199. Per la nostra lotta, abbiamo puntato su Hasankeyf perché la sua immagine era la più spendibile, anche a livello internazionale. Purtroppo, la nostra richiesta di farne un Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco non è stata accettata: “solo” 9 criteri approvati su 10».

    Ridvan ha lo storico delle decisioni e dei numerosi ricorsi nella sua macchina. Continua a “guidare” chiunque glielo chieda attraverso la storia della città e delle battaglie che sono state intraprese per salvarla. «Abbiamo prodotto dei dossier, abbiamo formato dei comitati e organizzato sit-in nel villaggio. Nel 2012 mi hanno accusato di terrorismo e sono rimasto in carcere per un anno e mezzo». Ma perché a Hasankeyf vince l’AKP? A differenza infatti di altri centri dell’area orientale della Turchia, non c’è stato “bisogno” di imporre il commissariamento. Il partito di Erdoğan è saldamente al controllo del villaggio. «È stato disposto un rimescolamento delle circoscrizioni. Vedi quella parte della città che si trova appena dopo il ponte? Ecco, loro per esempio hanno votato a Batman. Viceversa, abitanti di altri villaggi – che magari non conoscono la causa di questo centro o non le sono vicini – hanno votato alle urne di Hasankeyf».

    Quello che Erdoğan ottiene attraverso l’attivazione della diga di Ilisu sono sostanzialmente tre cose: un maggiore controllo nell’area della Turchia orientale, un parziale annullamento della storia e dell’identità curde, una leva di “ricatto” verso le popolazioni curde del nord della Siria e dell’Iraq, che sarebbero interessate da una potenziale chiusura o riduzione dell’approvvigionamento idrico.

    Nel corso degli ultimi anni, in realtà, Hasankeyf di visibilità ne ha ottenuta molta. La sua vicenda chiama in causa importanti questioni geopolitiche e la stampa, anche internazionale, si è interessata alla zona con reportage, servizi e documentari. «Ma non è questo che conta!», dice uno degli accompagnatori (che non risiede nell’area), tra il serio e il faceto. «Si è fatto di Hasankeyf una questione politica, e lo è. Ma oramai la politica è tutta marketing ed è su quello che bisogna puntare!». Mentre lo dice è davanti alla “Nuova Hasankeyf”. Una distesa di villette “standard”, che si sviluppa sulla sponda opposta del fiume Tigri. Una caserma, la scuola e qualche piazza di cemento appena aggregato. Alcuni monumenti sono già stati trasportati qui e delle persone si fermano a guardarli, non sappiamo se futuri residenti o semplici visitatori. «Immagina un mockumentary girato per questa città fantasma. Sembra che sia stata appena abbandonata. Cos’è successo? Una catastrofe? Gli abitanti non si trovavano bene? Occorre ribaltare lo sguardo. Qui, ora, è la vera Hasankeyf».
    Fino alla fine

    Pare che nella Nuova Hasankeyf, dove alcuni già vivono e dove sono già in funzione alcuni servizi (come la scuola), l’elettricità sia ancora intermittente e l’attuazione di un vero e proprio piano urbanistico sia lungi dall’essere completato. «Lì è tutto cemento. In più la coltivazione e l’allevamento sono vietati». Eyüp ha ben chiaro quello che attende lui e la sua famiglia. «Non potrò più lavorare e non potrò più continuare l’attività del piccolo punto ristoro che gestisco alla sommità del paese, dove ci sono le cave». Il piccolo spiazzo in cui serve il çay a visitatori e locali mostra la valle nella sua interezza, e il Tigri sembra ormai più una divisione temporale che geografica. «Che cosa mi mancherà di più di Hasankeyf? Le rocce, il panorama, tutto!». A Eyüp fa eco İlyas, che invece ha una locanda proprio a ridosso del fiume. «La storia della diga va avanti da 40 anni e con questa scusa, qui, non hanno mai costruito una fabbrica, una scuola o un ospedale. Lo sappiamo che ci devono spostare, tanto vale che accada in fretta. Meglio che restare in un limbo dove né ci permettono di vivere dignitosamente né ci sgomberano».

    Verrebbe da dire che la Nuova Hasankeyf non sarà mai realmente abitata, poiché nessuno sta realmente scegliendo di farlo. La sua cifra è già quella dell’abbandono, ancor prima che venga vissuta e nonostante - almeno in parte – stia funzionando come città. Ma è una mockucittà, l’imitazione di un passato che, per i suoi prossimi “dis-abitanti”, diventa il segno presente di un’oppressione. «Sono tutte bugie», dice senza mezzi termini Mehmet, uno degli ultimi tessitori dell’area. «Non è vero che devono veramente far passare la diga da qua, potevano tracciare un percorso diverso oppure mantenere il livello del fiume più basso. Vogliono solo distruggere la nostra storia e la nostra cultura. Io, comunque, resterò qua fino all’ultimo. Rimarrò qui col mio corpo, fino a quando non avrò l’acqua alla gola». Con la mente e col cuore, sicuramente anche oltre.

    https://www.unimondo.org/Guide/Ambiente/Acqua/Hasankeyf-l-acqua-alla-gola-186011

    #barrage_hydroélectrique #extractivisme #électricité #Turquie

    ping @albertocampiphoto

  • Un #barrage suisse sème le chaos en #Birmanie

    L’#Upper_Yeywa, un ouvrage hydroélectrique construit par le bureau d’ingénierie vaudois #Stucky, va noyer un village dont les habitants n’ont nulle part où aller. Il favorise aussi les exactions par l’armée. Reportage.

    Le village de #Ta_Long apparaît au détour de la route en gravier qui serpente au milieu des champs de maïs et des collines de terre rouge, donnant à ce paysage un air de Toscane des tropiques. Ses petites demeures en bambou sont encaissées au fond d’un vallon. Les villageois nous attendent dans la maison en bois sur pilotis qui leur sert de monastère bouddhiste et de salle communale. Nous sommes en terre #Shan, une ethnie minoritaire qui domine cette région montagneuse dans le nord-est de la Birmanie.

    « Je préférerais mourir que de partir, lance en guise de préambule Pu Kyung Num, un vieil homme aux bras recouverts de tatouages à l’encre bleue. Je suis né ici et nos ancêtres occupent ces terres depuis plus d’un millénaire. » Mais Ta Long ne sera bientôt plus.

    Un barrage hydroélectrique appelé Upper Yeywa est en cours de construction par un consortium comprenant des groupes chinois et le bureau d’ingénierie vaudois Stucky à une vingtaine de kilomètres au sud-ouest, sur la rivière #Namtu. Lors de sa mise en service, prévue pour 2021, toutes les terres situées à moins de 395 mètres d’altitude seront inondées. Ta Long, qui se trouve à 380 mètres, sera entièrement recouvert par un réservoir d’une soixantaine de kilomètres.

    « La construction du barrage a débuté en 2008 mais personne ne nous a rien dit jusqu’en 2014, s’emporte Nang Lao Kham, une dame vêtue d’un longyi, la pièce d’étoffe portée à la taille, à carreaux rose et bleu. Nous n’avons pas été consultés, ni même informés de son existence. » Ce n’est que six ans après le début des travaux que les villageois ont été convoqués dans la ville voisine de #Kyaukme par le Ministère de l’électricité. On leur apprend alors qu’ils devront bientôt partir.

    Pas de #titres_de_propriété

    En Birmanie, toutes les #terres pour lesquelles il n’existe pas de titres de propriété – ainsi que les ressources naturelles qu’elles abritent – appartiennent au gouvernement central. Dans les campagnes birmanes, où la propriété est communautaire, personne ne possède ces documents. « Nous ne quitterons jamais notre village, assure Nang Lao Kham, en mâchouillant une graine de tournesol. Nous sommes de simples paysans sans éducation. Nous ne savons rien faire d’autre que cultiver nos terres. »

    Le gouvernement ne leur a pas proposé d’alternative viable. « Une brochure d’information publiée il y a quelques années parlait de les reloger à trois kilomètres du village actuel, mais ce site est déjà occupé par d’autres paysans », détaille Thum Ai, du Shan Farmer’s Network, une ONG locale. Le montant de la compensation n’a jamais été articulé. Ailleurs dans le pays, les paysans chassés de leurs terres pour faire de la place à un projet d’infrastructure ont reçu entre six et douze mois de salaire. Certains rien du tout.

    Ta Long compte 653 habitants et 315 hectares de terres arables. Pour atteindre leurs vergers, situés le long de la rivière Namtu, les villageois empruntent de longues pirogues en bois. « La terre est extrêmement fertile ici, grâce aux sédiments apportés par le fleuve », glisse Kham Lao en plaçant des oranges et des pomélos dans un panier en osier.

    Les #agrumes de Ta Long sont connus loin à la ronde. « Mes fruits me rapportent 10 800 dollars par an », raconte-t-elle. Bien au-delà des maigres 3000 dollars amassés par les cultivateurs de riz des plaines centrales. « Depuis que j’ai appris l’existence du barrage, je ne dors plus la nuit, poursuit cette femme de 30 ans qui est enceinte de son troisième enfant. Comment vais-je subvenir aux besoins de mes parents et payer l’éducation de mes enfants sans mes #vergers ? »

    Cinq barrages de la puissance de la Grande Dixence

    La rivière Namtu puise ses origines dans les #montagnes du nord de l’Etat de Shan avant de rejoindre le fleuve Irrawaddy et de se jeter dans la baie du Bengale. Outre l’Upper Yeywa, trois autres barrages sont prévus sur ce cours d’eau. Un autre, le Yeywa a été inauguré en 2010. Ces cinq barrages auront une capacité de près de 2000 mégawatts, l’équivalent de la Grande Dixence.

    Ce projet s’inscrit dans le cadre d’un plan qui a pour but de construire 50 barrages sur l’ensemble du territoire birman à l’horizon 2035. Cela fera passer les capacités hydroélectriques du pays de 3298 à 45 412 mégawatts, selon un rapport de l’International Finance Corporation. Les besoins sont immenses : seulement 40% de la population est connectée au réseau électrique.

    L’Etat y voit aussi une source de revenus. « Une bonne partie de l’électricité produite par ces barrages est destinée à être exportée vers les pays voisins, en premier lieu la #Chine et la #Thaïlande, note Mark Farmaner, le fondateur de Burma Campaign UK. Les populations locales n’en bénéficieront que très peu. » Près de 90% des 6000 mégawatts générés par le projet Myitsone dans l’Etat voisin du Kachin, suspendu depuis 2011 en raison de l’opposition de la population, iront à la province chinoise du Yunnan.

    Les plans de la Chine

    L’Upper Yeywa connaîtra sans doute un sort similaire. « Le barrage est relativement proche de la frontière chinoise, note Charm Tong, de la Shan Human Rights Foundation. Y exporter son électricité représenterait un débouché naturel. » L’Etat de Shan se trouve en effet sur le tracé du corridor économique que Pékin cherche à bâtir à travers la Birmanie, entre le Yunnan et la baie du Bengale, dans le cadre de son projet « #Belt_&_Road ».

    Le barrage Upper Yeywa y est affilié. Il compte deux entreprises chinoises parmi ses constructeurs, #Yunnan_Machinery Import & Export et #Zhejiang_Orient_Engineering. Le suisse Stucky œuvre à leurs côtés. Fondé en 1926 par l’ingénieur Alfred Stucky, ce bureau installé à Renens est spécialisé dans la conception de barrages.

    Il a notamment contribué à l’ouvrage turc #Deriner, l’un des plus élevés du monde. Il a aussi pris part à des projets en #Angola, en #Iran, en #Arabie_saoudite et en #République_démocratique_du_Congo. Depuis 2013, il appartient au groupe bâlois #Gruner.

    Le chantier du barrage, désormais à moitié achevé, occupe les berges escarpées de la rivière. Elles ont été drapées d’une coque de béton afin d’éviter les éboulements. De loin, on dirait que la #montagne a été grossièrement taillée à la hache. L’ouvrage, qui fera entre 97 et 102 mètres, aura une capacité de 320 mégawatts.

    Son #coût n’a pas été rendu public. « Mais rien que ces deux dernières années, le gouvernement lui a alloué 7,4 milliards de kyats (5 millions de francs) », indique Htun Nyan, un parlementaire local affilié au NLD, le parti au pouvoir de l’ancienne Prix Nobel de la paix Aung San Suu Kyi. Une partie de ces fonds proviennent d’un prêt chinois octroyé par #Exim_Bank, un établissement qui finance la plupart des projets liés à « Belt & Road ».

    Zone de conflit

    Pour atteindre le hameau de #Nawng_Kwang, à une vingtaine de kilomètres au nord du barrage, il faut emprunter un chemin de terre cabossé qui traverse une forêt de teck. Cinq hommes portant des kalachnikovs barrent soudain la route. Cette région se trouve au cœur d’une zone de #conflit entre #milices ethniques.

    Les combats opposent le #Restoration_Council_of_Shan_State (#RCSS), affilié à l’#armée depuis la conclusion d’un cessez-le-feu, et le #Shan_State_Progress_Party (#SSPP), proche de Pékin. Nos hommes font partie du RCSS. Ils fouillent la voiture, puis nous laissent passer.

    Nam Kham Sar, une jeune femme de 27 ans aux joues recouvertes de thanaka, une pâte jaune que les Birmans portent pour se protéger du soleil, nous attend à Nawng Kwang. Elle a perdu son mari Ar Kyit en mai 2016. « Il a été blessé au cou par des miliciens alors qu’il ramenait ses buffles », relate-t-elle. Son frère et son cousin sont venus le chercher, mais les trois hommes ont été interceptés par des soldats de l’armée régulière.

    « Ils ont dû porter l’eau et les sacs à dos des militaires durant plusieurs jours, relate-t-elle. Puis, ils ont été interrogés et torturés à mort. » Leurs corps ont été brûlés. « Mon fils avait à peine 10 mois lorsque son papa a été tué », soupire Nam Kham Sar, une larme coulant le long de sa joue.

    Vider les campagnes ?

    La plupart des hameaux alentour subissent régulièrement ce genre d’assaut. En mai 2016, cinq hommes ont été tués par des soldats dans le village voisin de Wo Long. L’armée a aussi brûlé des maisons, pillé des vivres et bombardé des paysans depuis un hélicoptère. En août 2018, des villageois ont été battus et enfermés dans un enclos durant plusieurs jours sans vivres ; d’autres ont servi de boucliers humains aux troupes pour repérer les mines.

    Les résidents en sont convaincus : il s’agit d’opérations de #nettoyage destinées à #vider_les_campagnes pour faire de la place au barrage. « Ces décès ne sont pas des accidents, assure Tun Win, un parlementaire local. L’armée cherche à intimider les paysans. » Une trentaine de militaires sont stationnés en permanence sur une colline surplombant le barrage, afin de le protéger. En mars 2018, ils ont abattu deux hommes circulant à moto.

    Dans la population, la colère gronde. Plusieurs milliers de manifestants sont descendus dans la rue à plusieurs reprises à #Hsipaw, la ville la plus proche du barrage. Les habitants de Ta Long ont aussi écrit une lettre à la première ministre Aung San Suu Kyi, restée sans réponse. En décembre, une délégation de villageois s’est rendue à Yangon. Ils ont délivré une lettre à sept ambassades, dont celle de Suisse, pour dénoncer le barrage.

    « L’#hypocrisie de la Suisse »

    Contacté, l’ambassadeur helvétique Tim Enderlin affirme n’avoir jamais reçu la missive. « Cette affaire concerne une entreprise privée », dit-il, tout en précisant que « l’ambassade encourage les entreprises suisses en Birmanie à adopter un comportement responsable, surtout dans les zones de conflit ».

    La Shan Human Rights Foundation dénonce toutefois « l’hypocrisie de la Suisse qui soutient le #processus_de_paix en Birmanie mais dont les entreprises nouent des partenariats opportunistes avec le gouvernement pour profiter des ressources situées dans des zones de guerre ».

    La conseillère nationale socialiste Laurence Fehlmann Rielle, qui préside l’Association Suisse-Birmanie, rappelle que l’#initiative_pour_des_multinationales_responsables, sur laquelle le Conseil national se penchera jeudi prochain, « introduirait des obligations en matière de respect des droits de l’homme pour les firmes suisses ». Mardi, elle posera une question au Conseil fédéral concernant l’implication de Stucky dans le barrage Upper Yeywa.

    Contactée, l’entreprise n’a pas souhaité s’exprimer. D’autres sociétés se montrent plus prudentes quant à leur image. Fin janvier, le bureau d’ingénierie allemand #Lahmeyer, qui appartient au belge #Engie-Tractebel, a annoncé qu’il se retirait du projet et avait « rompu le contrat » le liant au groupe vaudois.

    https://www.letemps.ch/monde/un-barrage-suisse-seme-chaos-birmanie
    #Suisse #barrage_hydroélectrique #géographie_du_plein #géographie_du_vide #extractivisme
    ping @aude_v @reka

  • #Euphrate : la #Turquie coupe le robinet

    Depuis décembre 2015, la Turquie, qui a la haute main sur le cours de l’Euphrate, a rompu l’accord qui la liait à la #Syrie voisine. En réduisant le débit du #fleuve, elle y provoque #sécheresse et #pénurie d’#électricité. Dans le viseur ? Le projet d’émancipation porté par la #Fédération_démocratique_de_Syrie_du_Nord.


    http://cqfd-journal.org/Euphrate-la-Turquie-coupe-le
    #eau #énergie #barrages_hydroélectriques #barrage_hydroélectrique #Tishrin #Tabqa #Sawadiyah #agriculture #modèle_agricole #PKK
    ping @simplicissimus @reka

  • Etonnant registre de mobilisation des environnementalistes libanais opposés au barrage de Bisri : l’ennoyage des traces supposées du Christ
    Barrage de Bisri : le CDR annonce l’arrivée d’une délégation d’archéologues français pour inspecter le site - S.B. - L’Orient-Le Jour
    https://www.lorientlejour.com/article/1137072/le-cdr-annonce-larrivee-dune-delegation-darcheologues-francais-pour-i
    https://s.olj.me/storage/attachments/1138/125111_105705_large.jpeg

    Commentant le communiqué du CDR, Paul Abi Rached, président du Mouvement écologique libanais, qui suit de près ce dossier, indique à L’Orient-Le Jour que des lacunes peuvent y être décelées. « On y parle de l’église Mar Moussa qui sera transférée ailleurs en collaboration avec les autorités religieuses de la région, mais qu’en est-il des vestiges du couvent Sainte-Sophie à proximité, bien plus ancien puisqu’il est estimé qu’il a été bâti par l’empereur Constantin au IIIe siècle ? se demande-t-il. Or, la présence d’un couvent aussi important, dans un endroit aussi reculé, pose une question qui taraude des archéologues auxquels nous avons parlé : le Christ a-t-il emprunté cette voie, qui faisait partie de la route de la soie, pour se rendre à Damas ? Est-ce pour cela que le premier empereur chrétien a placé là et dans les environs des sanctuaires aussi importants ? S’il y a 1 % de chance que Bisri ait été sur la route du Christ, cela ne devrait-il pas pousser l’État à plus de recherches ? »

    #communautarisme #environnement #barrage #Liban #Bisri

  • Journée mondiale pour #Hasankeyf : les dessous d’un barrage à marche forcée

    Il y a un an, le journaliste Mathias Depardon et son accompagnateur Mehmet Arif étaient arrêtés en reportage à Hasankeyf en #Turquie, où un projet de barrage menace la cité antique à majorité kurde. Le projet qui devait voir le jour en 2013 est vivement critiqué et les premiers dynamitages diffusés sur les réseaux sociaux ont relancé la mobilisation.


    https://blogs.mediapart.fr/c-morel-darleux/blog/280418/journee-mondiale-pour-hasankeyf-les-dessous-dun-barrage-marche-force
    #barrage_hydroélectrique #énergie #Kurdes #kurdistan #résistance #destruction #Ilisu
    cc @reka @tchaala_la @isskein

  • La #CNR planche sur un nouveau #canal en Amérique latine

    Après avoir conçu des écluses au Panama, la #Compagnie_nationale_du_Rhône (CNR) vient d’annoncer la signature d’un protocole d’étude pour permettre la navigation sur le #fleuve_Paraná, entravée par un #barrage à la frontière du #Brésil et du #Paraguay. Cet accord, signé par Élisabeth Ayrault, présidente de CNR, et James Spalding, directeur général paraguayen de #Itaipu_Binacional (société gestionnaire du barrage contrôlée à parité par le Brésil et le Paraguay), prévoit des actions en matière d’ingénierie et de renforcement de capacités sur le projet d’#écluses et la prise en main future d’ouvrages de navigation. Le barrage et la #centrale_hydroélectrique d’#Itaipu, situés à la frontière entre le Brésil et le Paraguay, ont été construits par ces deux pays entre 1975 et 1982. Mais ce barrage constitue un obstacle sur la voie navigable du fleuve (près de 4.000 km) et de ses affluents, qui pourrait être levé au moyen d’un canal de navigation et d’écluses. « Le savoir-faire de CNR est reconnu dans plus de 30 pays », souligne le concessionnaire du Rhône et premier producteur français d’énergie exclusivement renouvelable. Spécialisé en ingénierie hydroélectrique et fluviale, CNR Ingénierie a notamment réalisé des études sur la conception des écluses de Panama - Grand Prix national de l’Ingénierie en 2011 - ou l’aménagement durable du cours principal du Mékong (Laos, Cambodge, Vietnam, Thaïlande). L’activité de CNR Ingénierie se répartit entre deux tiers de missions internes et un tiers de contrats pour le compte de clients externes, en France et à l’international. Depuis 2000, ses activités ingénierie sont certifiées Iso 9.001. La société Itaipu Binacional est pour sa part membre des Initiatives pour l’avenir des grands fleuves (IAGF).

    https://www.lantenne.com/La-CNR-planche-sur-un-nouveau-canal-en-Amerique-latine_a40170.html
    #barrage_hydroélectrique

    ping @simplicissimus

  • A Southwest water dispute reaches the Supreme Court

    Southern New Mexico’s #Mesilla_Valley is like an island: a fertile patchwork of farm fields and groves of pecan trees surrounded by the brown #Chihuahuan Desert.

    For Mesilla Valley farmers, the metaphor rings true in other ways as well. Though they live in New Mexico, the residents of the roughly 90,000-acre-area are caught between their own state and Texas. The Rio Grande water they depend on is not technically New Mexico’s water, but rather part of the water that goes to Texas under the #Rio_Grande_Compact, a treaty ensuring that Texas, New Mexico and #Colorado get their fair share of the river. New Mexico’s delivery obligation to Texas hinges on collecting enough water in #Elephant_Butte_Reservoir, 90 miles from the Texas border and the neighboring Mesilla Valley. Unfortunately, that leaves the farmers downriver in a complicated no-man’s-land of interstate water management.


    https://www.hcn.org/articles/water-a-southwest-water-dispute-between-new-mexico-and-texas-reaches-the-suprem
    #eau #conflit #USA #Etats-Unis #désert_de_Chihuahua #Rio_Grande #barrage_hydroélectrique #Elephant_Butte_Dam #agriculture #Texas #traité #répartition_de_l'eau

  • Le président érythréen se rend en visite en #Egypte...
    Visite du président de l’Érythrée en Égypte - janvier 2018

    Le Président Abdel Fattah Al-Sissi a reçu 9 janvier 2018 son homologue érythréen, Issayas Afeworki actuellement en visite de deux jours en Egypte. L’hymne national des deux pays a été entonné au début des cérémonies de réception officielles réservées au Président de l’Erythrée. Les deux leaders ont eu un tête-à-tête après lequel s’est déroulée une séance d’entretiens élargie aux responsables des deux pays.
    Les discussions présidentielles ont planché sur les développements de la conjoncture dans les pays du Bassin du #Nil et de la #Corne_de_l'Afrique, ainsi que sur des questions d’ordre régional et international d’intérêt commun.
    Le président Al Sissi a fait part à son hôte de marque du grand intérêt qu’accorde l’Egypte au renforcement de sa #coopération stratégique avec l’Erythrée dans les divers domaines et à la fondation d’un partenariat durable entre les deux parties, en guise de consolidation des relations historiques et distinguées les unissant depuis bien des siècles. Le Chef de l’Etat a également estimé indispensable de faire progresser la mise en œuvre des projets de #coopération dans les différents secteurs, tels que l’agriculture, l’électricité, la santé et le commerce, sans omettre les domaines de la pisciculture et des ressources animales qui font la réputation de ce pays de la Corne de l’Afrique.
    Les deux dirigeants ont en outre évoqué leurs démarches conjointes en ce qui concerne la lutte contre le terrorisme, aspirant à intensifier leurs concertations relatives aux questions de la paix et de la stabilité régionales. Le Président érythréen a quant à lui, d’après des déclarations du porte-parole de la Présidence égyptienne, exprimé la grande estime de son pays à l’égard de l’Egypte avec qui il a tissé des relations historiques et stratégiques au fil des années. Il a de même salué le rôle pionner de l’Egypte dans la région et son souci de rétablir l’ordre et la stabilité dans le continent africain.
    « Nous désirons développer notre coopération bilatérale avec l’Egypte dans les divers domaines de sorte à réaliser les intérêts des deux peuples », a noté le Chef de l’Etat érythréen, avant de louer les expériences égyptiennes en matière d’assistance technique et de formation professionnelle.
    Les pourparlers constructifs entre l’Egypte et l’Erythrée démontrent la profondeur de leurs liens tous azimuts et leur convergence de vues vis-à-vis de nombreux dossiers de tout ordre, notamment des questions liées à la Corne de l’Afrique, cette région axiale dont la stabilité s’avère prioritaire pour la sécurité de la mer Rouge.

    http://www.sis.gov.eg/Story/107180?lang=fr
    #Erythrée #Egypte

    Ce qui ne va pas améliorer les relations #Egypte-#Soudan
    Petit rappel : le #Soudan aurait fermé les frontières avec l’Erythrée, probablement aussi en lien avec le fait que l’Erythrée s’est rapprochée de l’Egypte

    cc @reka

    • La tension monte encore entre le Soudan et l’Egypte

      Le Soudan a fermé, la semaine dernière, sa frontière avec l’Erythrée et a annoncé l’état d’urgence dans deux de ses Etats de l’est et déployés des milliers de soldats dans cette zone. Khartoum accuse l’Erythrée, appuyée par l’Egypte, de vouloir intervenir sur son territoir et même de vouloir renverser le président Omar el-Béchir.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180111-soudan-egypte-relations-tendues-caire-khartoum-mer-rouge

    • #Barrage de Grande Renaissance : l’Erythrée à la rescousse de l’Egypte pour la résolution de la crise

      L’Egypte a trouvé en l’Erythrée, un nouvel allié dans la tension régionale engendrée par la construction du #barrage_hydroélectrique de #Grande_Renaissance. « Les deux parties ont convenu de poursuivre une coopération intensive sur toutes les questions liées à la situation actuelle pour soutenir la sécurité et la stabilité dans la région. », a affirmé Bassam Radi, le porte-parole de la présidence égyptienne, lors de la visite du président érythréen Isaias Afeworki.

      https://www.agenceecofin.com/electricite/1001-53364-barrage-de-grande-renaissance-l-erythree-a-la-rescousse-de-
      #eau

    • L’Égypte et le Soudan au bord de la confrontation ?

      Le Proche et Moyen Orient sont source de tension entre les différentes puissances régionales appuyées par les puissances impérialistes. C’est au tour de la corne de l’Afrique d’être en phase croissante de tension inter-étatique. L’Égypte qui tente depuis le coup d’état du Maréchal al-Sissi de prendre plus de place dans la région se voit opposée à la Turquie à travers un conflit frontalier avec le Soudan et l’Érythrée

      Le #barrage_de_la_Renaissance

      Ce barrage est en train d’être achevé par l’#Éthiopie sur le Nil et inquiète au plus haut point l’Égypte. Le Caire craint, en effet, que ce barrage dont l’usine hydroélectrique générera plus de 6 400 mégawatts réduise sa part des eaux du Nil. L‘Éthiopie quant à elle, justifie le projet en expliquant qu’il est nécessaire à son développement économique, soulignant le fait que la grande majorité de ses 95 millions d’habitants manquent d‘électricité.

      L’Égypte accuse le Soudan, au préalable médiateur, de prendre fait et cause pour l’Éthiopie qui lui fournit 100 MW par an, ce qui correspond à près de 15% de la production d’électricité soudanaise. De fait, le Caire s’est rapprochée de l’Érythrée, frère ennemi de l’Éthiopie. Le gouvernement éthiopien a accusé le gouvernement érythréen d’entraîner des rebelles en vue de mener des attaques de sabotage contre le barrage.

      L’Égypte cherche donc à exclure les Soudanais des discussions sur les eaux du Nil. Le Caire vient, en effet, de soumettre à l’Éthiopie une proposition relative à la sortie du Soudan des discussions sur la construction du barrage. A la place, ils proposent l’introduction de la Banque mondiale en tant que médiateur. Ce qui a du mal à passer du côté du dictateur soudanais puisqu’avec la construction du barrage, il aurait pu importer davantage d’électricité de son allié éthiopien.

      http://www.revolutionpermanente.fr/L-Egypte-et-le-Soudan-au-bord-de-la-confrontation
      #conflit #tensions

  • Brazil announces end to Amazon mega-dam building policy
    https://news.mongabay.com/2018/01/brazil-announces-end-to-amazon-mega-dam-building-policy

    In a surprise move, the Brazilian government has announced that the era of building big hydroelectric dams in the Amazon basin, long criticized by environmentalists and indigenous groups, is ending. “We are not prejudiced against big [hydroelectric] projects, but we have to respect the views of society, which views them with restrictions,” Paulo Pedrosa, the Executive Secretary of the Ministry of Mines and Energy, told O Globo newspaper.

    According to Pedrosa, Brazil has the potential to generate an additional 50 gigawatts of energy by 2050 through the building of new dams but, of this total, only 23 percent would not affect in some way indigenous land, quilombolas (communities set up by runaway slaves) and federally protected areas. The government, he says, doesn’t have the stomach to take on the battles.

    #Brésil #grand_barrage #résistance #activisme #peuples_autochtones

  • Over 14,000 Children Die After Colombian Gov’t Sells Indigenous Peoples’ Drinking Water To Western Mining Corporations – Carib Flame
    http://www.caribflame.com/2017/05/over-14000-children-die-after-colombian-govt-sells-indigenous-peoples-dr

    On Colombia’s arid Guajira Peninsula a quiet effort to eradicate the Wayuú people, Colombia’s largest indigenous group, has entered its sixth year. The Colombian government and Western mining corporations are complicit in this attempt to wipe the group off of Colombia’s map. Apparently President Trump does not care at all that these “beautiful babies” are dying from an easily preventable situation.

    Victims of a devastating, manufactured drought, the Wayuú are fighting for their very survival, as thousands of children die every year. The deaths of nearly 5,000 children due to thirst or malnutrition have been documented since 2011, though the Wayuú themselves claim that the figure tops 14,000, according to Mint Press News.

    The Colombian government, as well as the Western media, blame the drought on climate change and weather patterns like El Niño. What they have tried to avoid acknowledging is the 2011 construction of the Cercado Dam, which diverted the Ranchería River from its natural course. The government claimed that building the dam would improve the lives of everyone in the region by supplying nine towns with a second source of drinking water, employing 1,000 workers and providing irrigation for 18,500 hectares of farmland.

    But the Ranchería is the only river on the Guajira Peninsula, as well as the only source of drinking water for the Wayuú people. The consequences of the river’s disappearance have been catastrophic. Now, the Wayuú must walk more than three hours to draw drinking water from wells, with each person living off of less than 0.7 liters a day. What little water they do obtain is contaminated with bacteria and salt, which has caused severe diarrhea and cholera to run rampant among their quickly dwindling population.

    #Colombie #sécheresse #climat #extraction #malnutrition #soif #eau #mort