• The Insecure Superpower - CounterPunch.org
    https://www.counterpunch.org/2023/02/17/the-insecure-superpower

    What’s scarier?

    A) Hundreds of military bases, all bristling with advanced, offensive weapons, controlled by your avowed enemy, close to your heartland.

    OR

    B) Unfinished military bases on three tiny islands, stocked with defensive weapons, about 9,000 miles from your nation’s capital. Plus, a few balloons.

    Answer: B, but only if you are the United States, the insecure superpower.

    #états-unis #bases

  • Sorvegliare in nome della sicurezza: le Agenzie Ue vogliono carta bianca

    Il nuovo regolamento di #Europol mette a rischio la #privacy di milioni di persone mentre #Frontex, chiamata a controllare le frontiere, punta sull’intelligenza artificiale e la biometria per fermare i migranti. Provando a eludere la legge.

    C’è una lotta interna nel cuore delle istituzioni europee il cui esito toccherà da vicino il destino di milioni di persone. Lo scontro è sul nuovo regolamento di Europol, l’Agenzia europea di contrasto al crimine, entrato in vigore a fine giugno 2022 con la “benedizione” del Consiglio europeo ma che il Garante per la protezione dei dati (Gepd) definisce un “colpo allo Stato di diritto”. “La principale controversia riguarda la possibilità per l’Agenzia di aggirare le proprie regole quando ha ‘bisogno’ di trattare categorie di dati al di fuori di quelli che può raccogliere -spiega Chloé Berthélémy, policy advisor dell’European digital rights (Edri), un’organizzazione che difende i diritti digitali nel continente-. Uno scandalo pari a quanto rivelato, quasi un decennio fa, da Edward Snowden sulle agenzie statunitensi che dimostra una tendenza generale, a livello europeo, verso un modello di sorveglianza indiscriminata”.

    Con l’obiettivo di porre un freno a questa tendenza, il 22 settembre di quest’anno il presidente del Gepd, Wojciech Wiewiórowski, ha comunicato di aver intentato un’azione legale di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea per contestare la legittimità dei nuovi poteri attribuiti a Europol. Un momento chiave di questa vicenda è il gennaio 2022 quando l’ufficio del Gepd scopre che proprio l’Agenzia aveva conservato illegalmente un vasto archivio di dati sensibili di oltre 250mila persone, tra cui presunti terroristi o autori di reati, ma soprattutto di persone che erano entrate in contatto con loro. Secondo quanto ricostruito dal Guardian esisteva un’area di memoria (cache) detenuta dall’Agenzia contenente “almeno quattro petabyte, equivalenti a tre milioni di cd-rom” con dati raccolti nei sei anni precedenti dalle singole autorità di polizia nazionali. Il Garante ordina così di cancellare, entro un anno, tutti i dati più “vecchi” di sei mesi ma con un “colpo di mano” questa previsione viene spazzata via proprio con l’entrata in vigore del nuovo regolamento. “In particolare, due disposizioni della riforma rendono retroattivamente legali attività illegali svolte dall’Agenzia in passato -continua Berthélémy-. Ma se Europol può essere semplicemente esentata dai legislatori ogni volta che viene colta in flagrante, il sistema di controlli ed equilibri è intrinsecamente compromesso”.

    L’azione legale del Gepd ha però un ulteriore obiettivo. In gioco c’è infatti anche il “modello” che l’Europa adotterà in merito alla protezione dei dati: da un lato quello americano, basato sulla sorveglianza pressoché senza limiti, dall’altro il diritto alla protezione dei dati che può essere limitato solo per legge e con misure proporzionate, compatibili con una società democratica. Ma proprio su questo aspetto le istituzioni europee vacillano. “Il nuovo regolamento esplicita l’obiettivo generale della comunità delle forze dell’ordine: quello di poter utilizzare metodi di ‘polizia predittiva’ che hanno come finalità l’identificazione di individui che potranno potenzialmente essere coinvolti nella commissione di reati”, sottolinea ancora la ricercatrice. Significa, in altri termini, l’analisi di grandi quantità di dati predeterminati (come sesso e nazionalità) mediante algoritmi e tecniche basate sull’intelligenza artificiale che permetterebbero, secondo i promotori del modello, di stabilire preventivamente la pericolosità sociale di un individuo.

    “Questo approccio di polizia predittiva si sviluppa negli Stati Uniti a seguito degli attentati del 2001 -spiega Emilio De Capitani, già segretario della Commissione libertà civili (Libe) del Parlamento europeo dal 1998 al 2011 che da tempo si occupa dei temi legati alla raccolta dei dati-. Parallelamente, in quegli anni, inizia la pressione da parte della Commissione europea per sviluppare strumenti di raccolta dati e costruzione di database”.

    “Il nuovo regolamento esplicita l’obiettivo generale della comunità delle forze dell’ordine: quello di poter utilizzare metodi di ‘polizia predittiva’” – Chloé Berthélémy

    Fra i primi testi legislativi europei che si fondano sulla raccolta pressoché indiscriminata di informazioni c’è la Direttiva 681 del 2016 sulla raccolta dei dati dei passeggeri aerei (Pnr) come strumento “predittivo” per prevenire i reati di terrorismo e altri reati definiti come gravi. “Quando ognuno di noi prende un aereo alimenta due archivi: l’Advanced passenger information (Api), che raccoglie i dati risultanti dai documenti ufficiali come la carta di identità o il passaporto permettendo così di costruire la lista dei passeggeri imbarcati, e un secondo database in cui vengono versate anche tutte le informazioni raccolte dalla compagnia aerea per il contratto di trasporto (carta di credito, e-mail, esigenze alimentari, tipologia dei cibi, annotazioni relative a esigenze personali, etc.) -spiega De Capitani-. Su questi dati legati al contratto di trasporto viene fatto un controllo indiretto di sicurezza filtrando le informazioni in relazione a indicatori che potrebbero essere indizi di pericolosità e che permetterebbero di ‘sventare’ attacchi terroristici, possibili dirottamenti ma anche reati minori come la frode o la stessa violazione delle regole in materia di migrazione. Questo perché il testo della Direttiva ha formulazioni a dir poco ambigue e permette una raccolta spropositata di informazioni”. Tanto da costringere la Corte di giustizia dell’Ue, con una sentenza del giugno 2022 a reinterpretare in modo particolarmente restrittivo il testo legislativo specificando che “l’utilizzo di tali dati è permesso esclusivamente per lo stretto necessario”.

    L’esempio della raccolta dati legata ai Pnr è esemplificativo di un meccanismo che sempre di più caratterizza l’operato delle Agenzie europee: raccogliere un elevato numero di dati per finalità genericamente collegate alla sicurezza e con scarse informazioni sulla reale utilità di queste misure indiscriminatamente intrusive. “Alle nostre richieste parlamentari in cui chiedevamo quanti terroristi o criminali fossero stati intercettati grazie a questo sistema, che raccoglie miliardi di dati personali, la risposta è sempre stata evasiva -continua De Capitani-. È come aggiungere paglia mentre si cerca un ago. Il cittadino ci rimette due volte: non ha maggior sicurezza ma perde in termini di rispetto dei suoi diritti. E a perderci sono soprattutto le categorie meno protette, e gli stessi stranieri che vengono o transitano sul territorio europeo”.

    “Il cittadino ci rimette due volte: non ha maggior sicurezza ma perde in termini di rispetto dei suoi diritti. Soprattutto le categorie meno protette” – Emilio De Capitani

    I migranti in particolare diventano sempre più il “banco di prova” delle misure distopiche di sorveglianza messe in atto dalle istituzioni europee europee attraverso anche altri sistemi che si appoggiano anch’essi sempre più su algoritmi intesi a individuare comportamenti e caratteristiche “pericolose”. E in questo quadro Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee gioca un ruolo di primo piano. Nel giugno 2022 ancora il Garante europeo ha emesso nei suoi confronti due pareri di vigilanza che sottolineano la presenza di regole “non sufficientemente chiare” sul trattamento dei dati personali dei soggetti interessati dalla sua attività e soprattutto “norme interne che sembrano ampliare il ruolo e la portata dell’Agenzia come autorità di contrasto”.

    Il Garante si riferisce a quelle categorie speciali come “i dati sanitari delle persone, i dati che rivelano l’origine razziale o etnica, i dati genetici” che vengono raccolti in seguito all’identificazione di persone potenzialmente coinvolte in reati transfrontalieri. Ma quel tipo di attività di contrasto non rientra nel mandato di Frontex come guardia di frontiera ma ricade eventualmente nelle competenze di un corpo di polizia i cui possibili abusi sarebbero comunque impugnabili davanti a un giudice nazionale o europeo. Quindi, conclude il Garante, il trattamento di questi dati dovrebbe essere protetto con “specifiche garanzie per evitare pratiche discriminatorie”.

    Ma secondo Chris Jones, direttore esecutivo del gruppo di ricerca indipendente Statewatch, il problema è a monte. Sono le stesse istituzioni europee a incaricare queste due agenzie di svolgere attività di sorveglianza. “Frontex ed Europol hanno sempre più poteri e maggior peso nella definizione delle priorità per lo sviluppo di nuove tecnologie di sicurezza e sorveglianza”, spiega. Un peso che ha portato, per esempio, a finanziare all’interno del piano strategico Horizon Europe 2020, che delinea il programma dell’Ue per la ricerca e l’innovazione dal 2021 al 2024, il progetto “Secure societies”. Grazie a un portafoglio di quasi 1,7 miliardi di euro è stata commissionata, tra gli altri, la ricerca “ITFlows” che ha come obiettivo quello di prevedere, attraverso l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale, i flussi migratori. Il sistema predittivo, simile a quello descritto da Berthélémy, è basato su un modello per il quale, con una serie di informazioni storiche raccolte su un certo fenomeno, sarebbe possibile anticipare sugli eventi futuri.

    “Se i dati sono cattivi, la decisione sarà cattiva. Se la raccolta dei dati è viziata dal pregiudizio e dal razzismo, lo sarà anche il risultato finale” – Chris Jones

    “Se le mie previsioni mi dicono che arriveranno molte persone in un determinato confine, concentrerò maggiormente la mia sorveglianza su quella frontiera e potrò più facilmente respingerli”, osserva Yasha Maccanico, ricercatore di Statewatch. Sempre nell’ambito di “Secure societies” il progetto “iBorderCtrl” riguarda invece famigerati “rilevatori di bugie” pseudoscientifici che dedurrebbe lo stato emotivo, le intenzioni o lo stato mentale di una persona in base ai suoi dati biometrici. L’obiettivo è utilizzare questi strumenti per valutare la credibilità dei racconti dei richiedenti asilo nelle procedure di valutazione delle loro richieste di protezione. E in questo quadro sono fondamentali i dati su cui si basano queste predizioni: “Se i dati sono cattivi, la decisione sarà cattiva -continua Jones-. Se la raccolta dei dati è viziata dal pregiudizio e dal razzismo, lo sarà anche il risultato finale”. Per questi motivi AccessNow, che si occupa di tutela dei diritti umani nella sfera digitale, ha scritto una lettera (firmata anche da Edri e Statewatch) a fine settembre 2022 ai membri del consorzio ITFlows per chiedere di terminare lo sviluppo di questi sistemi.

    Anche sul tema dei migranti il legislatore europeo tenta di creare, come per Europol, una scappatoia per attuare politiche di per sé illegali. Nell’aprile 2021 la Commissione europea ha proposto un testo per regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e degli strumenti basati su di essa (sistemi di videosorveglianza, identificazione biometrica e così via) escludendo però l’applicazione delle tutele previste nei confronti dei cittadini che provengono da Paesi terzi. “Rispetto ai sistemi di intelligenza artificiale quello che conta è il contesto e il fine con cui vengono utilizzati. Individuare la presenza di un essere umano al buio può essere positivo ma se questo sistema è applicato a un confine per ‘respingere’ la persona diventa uno strumento che favorisce la lesione di un diritto fondamentale -spiega Caterina Rodelli analista politica di AccessNow-. Si punta a creare due regimi differenti in cui i diritti dei cittadini di Paesi terzi non sono tutelati come quelli degli europei: non per motivi ‘tecnici’ ma politici”. Gli effetti di scarse tutele per gli uni, i migranti, ricadono però su tutti. “Per un motivo molto semplice. L’Ue, a differenza degli Usa, prevede espressamente il diritto alla tutela della vita privata nelle sue Carte fondamentali -conclude De Capitani-. Protezione che nasce dalle più o meno recenti dittature che hanno vissuto gli Stati membri: l’assunto è che chi è o si ‘sente’ controllato non è libero. Basta questo per capire perché sottende l’adozione di politiche ‘predittive’ e la riforma di Europol o lo strapotere di Frontex, stiano diventando un problema di tutti perché rischiano di violare la Carta dei diritti fondamentali”.

    https://altreconomia.it/sorvegliare-in-nome-della-sicurezza-le-agenzie-ue-vogliono-carta-bianca
    #surveillance #biométrie #AI #intelligence_artificielle #migrations #réfugiés #Etat_de_droit #données #protection_des_données #règlement #identification #police_prédictive #algorythme #base_de_données #Advanced_passenger_information (#Api) #avion #transport_aérien #Secure_societies #ITFlows #iBorderCtrl #asile #

    • New Europol rules massively expand police powers and reduce rights protections

      The new rules governing Europol, which came into force at the end of June, massively expand the tasks and powers of the EU’s policing agency whilst reducing external scrutiny of its data processing operations and rights protections for individuals, says a report published today by Statewatch.

      Given Europol’s role as a ‘hub’ for information processing and exchange between EU member states and other entities, the new rules thus increase the powers of all police forces and other agencies that cooperate with Europol, argues the report, Empowering the police, removing protections (https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/empowering-the-police-removing-protections-the-new-europol-regulation).

      New tasks granted to Europol include supporting the EU’s network of police “special intervention units” and managing a cooperation platform for coordinating joint police operations, known as EMPACT. However, it is the rules governing the processing and exchange of data that have seen the most significant changes.

      Europol is now allowed to process vast quantities of data transferred to it by member states on people who may be entirely innocent and have no link whatsoever to any criminal activity, a move that legalises a previously-illegal activity for which Europol was admonished by the European Data Protection Supervisor.

      The agency can now process “investigative data” which, as long it relates to “a specific criminal investigation”, could cover anyone, anywhere, and has been granted the power to conduct “research and innovation” projects. These will be geared towards the use of big data, machine learning and ‘artificial intelligence’ techniques, for which it can process sensitive data such as genetic data or ethnic background.

      Europol can now also use data received from non-EU states to enter “information alerts” in the Schengen Information System database and provide “third-country sourced biometric data” to national police forces, increasing the likelihood of data obtained in violation of human rights being ‘laundered’ in European policing and raising the possibility of third states using Europol as a conduit to harass political opponents and dissidents.

      The new rules substantially loosen restrictions on international data transfers, allowing the agency’s management board to authorise transfers of personal data to third states and international organisations without a legal agreement in place – whilst priority states for international cooperation include dictatorships and authoritarian states such as Algeria, Egypt, Turkey and Morocco.

      At the same time, independent external oversight of the agency’s data processing has been substantially reduced. The threshold for referring new data processing activities to the European Data Protection Supervisor (EDPS) for external scrutiny has been raised, and if Europol decides that new data processing operations “are particularly urgent and necessary to prevent and combat an immediate threat,” it can simply consult the EDPS and then start processing data without waiting for a response.

      The agency is now required to employ a Fundamental Rights Officer (FRO), but the role clearly lacks independence: the FRO will be appointed by the Management Board “upon a proposal of the Executive Director,” and “shall report directly to the Executive Director”.

      Chris Jones, Director of Statewatch, said:

      “The proposals to increase Europol’s powers were published six months after the Black Lives Matter movement erupted across the world, calling for new ways to ensure public safety that looked beyond the failed, traditional model of policing.

      With the new rules agreed in June, the EU has decided to reinforce that model, encouraging Europol and the member states to hoover up vast quantities of data, develop ‘artificial intelligence’ technologies to examine it, and increase cooperation with states with appalling human rights records.”

      Yasha Maccanico, a Researcher at Statewatch, said:

      “Europol has landed itself in hot water with the European Data Protection Supervisor three times in the last year for breaking data protection rules – yet the EU’s legislators have decided to reduce the EDPS’ supervisory powers. Independent, critical scrutiny and oversight of the EU’s policing agency has never been more needed.”

      The report (https://www.statewatch.org/publications/reports-and-books/empowering-the-police-removing-protections-the-new-europol-regulation) has been published alongside an interactive ’map’ of EU agencies and ’interoperable’ policing and migration databases (https://www.statewatch.org/eu-agencies-and-interoperable-databases), designed to aid understanding and further research on the data architecture in the EU’s area of freedom, security and justice.

      https://www.statewatch.org/news/2022/november/new-europol-rules-massively-expand-police-powers-and-reduce-rights-prote
      #interopérabilité #carte #visualisation

    • EU agencies and interoperable databases

      This map provides a visual representation of, and information on, the data architecture in the European Union’s “area of freedom, security and justice”. It shows the EU’s large-scale databases, networked information systems (those that are part of the ’Prüm’ network), EU agencies, national authorities and international organisations (namely Interpol) that have a role in that architecture. It is intended to facilitate understanding and further investigation into that architecture and the agencies and activities associated with it.

      https://www.statewatch.org/eu-agencies-and-interoperable-databases
      #réseau #prüm_II

  • #INTERPOL présente une nouvelle #base_de_données mondiale d’identification des personnes disparues grâce à l’#ADN familial

    Dotée d’une technologie de pointe, #I-Familia pourra aider la police à élucider des affaires non résolues, et des familles à se reconstruire

    En 2004, la police croate découvrait le cadavre d’un homme dans l’Adriatique.

    L’état du corps ne permettant pas le recours aux techniques de la comparaison des empreintes digitales ou de la reconnaissance faciale, l’identité de cet homme est demeurée inconnue pendant plus d’une décennie.

    C’est là qu’intervient I-Familia, une nouvelle base de données révolutionnaire lancée officiellement ce mois-ci. Fruit de travaux de recherche scientifique de pointe, elle permet l’identification de personnes disparues ou de restes humains non identifiés dans le monde entier au moyen d’ADN familial.

    Fin 2020, l’ADN des enfants d’un Italien porté disparu depuis 2004 a été ajouté à la base I-Familia et comparé aux ADN de l’ensemble des restes humains non identifiés enregistrés dans le système.

    Une concordance a été mise en évidence entre l’ADN des enfants et celui du corps retrouvé dans l’Adriatique, ce qui a permis de mettre un terme à une affaire restée sans réponse 16 ans plus tôt.

    Base de données mondiale de recherche en parentalité

    La recherche en parentalité à partir des données génétiques permet de comparer les profils d’ADN de membres d’une famille avec celui d’un cadavre non identifié ou de restes humains. On a souvent recours à cette méthode en l’absence d’échantillon d’ADN provenant directement de la personne disparue (échantillon prélevé lors d’un examen médical antérieur ou sur un objet personnel comme une brosse à dents).

    Cependant, des calculs complexes sont nécessaires pour confirmer une concordance car les proches biologiques ont en commun des pourcentages d’ADN différents. Au niveau international, cette complexité est plus importante encore en raison des variations génétiques entre les populations du globe.

    I-Familia est la première base de données mondiale qui gère automatiquement ces différences sans qu’il soit nécessaire de connaître l’ascendance génétique de la personne disparue, et qui propose des lignes directrices normalisées sur les éléments constituant une concordance.

    « À l’échelle internationale, il a toujours été difficile d’identifier les personnes disparues en raison de l’absence de procédures d’échange des données et de la complexité scientifique de l’interprétation statistique », a déclaré Arnoud Kal, directeur de recherche en criminalistique à l’Institut de police scientifique des Pays-Bas (NFI) – l’un des laboratoires de police scientifique les plus réputés au monde.

    « Nous estimons par conséquent que le développement de I-Familia par INTERPOL offre aux pays membres de nouvelles perspectives qui auront des répercussions positives sur l’efficacité des enquêtes internationales concernant les personnes disparues », a ajouté M. Kal.
    La disparition de personnes et ses conséquences sur les familles

    Un nombre incalculable de personnes disparaissent chaque année dans le monde à la suite d’actes de criminalité, de conflits, d’accidents ou de catastrophes naturelles. Fin 2020, plus de 12 000 notices jaunes – avis internationaux de recherche de personnes disparues – publiées par le Secrétariat général d’INTERPOL étaient actives.

    Pour les familles qui, parfois pendant des années, ne savent pas si leurs proches sont morts ou en vie, les effets sur le plan émotionnel peuvent être catastrophiques. L’absence de certificat de décès peut également avoir d’importantes conséquences administratives et économiques.

    « Tous les pays font face à des enquêtes non résolues sur des personnes disparues ou à l’impossibilité d’identifier des restes humains du fait de l’utilisation de leurs seuls systèmes nationaux », a déclaré le Secrétaire Général d’INTERPOL, Jürgen Stock.

    « I-Familia est un outil humanitaire qui, en raison de la dimension mondiale d’INTERPOL, ouvre de nombreuses nouvelles perspectives pour ce qui est d’identifier des personnes disparues et d’apporter des réponses aux familles », a ajouté le Secrétaire Général Stock.
    Fonctionnement de I-Familia

    Dans le cadre d’une procédure qui s’appuie sur la longue expérience réussie d’INTERPOL en matière de comparaison directe de profils ADN, les 194 pays membres de l’Organisation soumettent des profils génétiques afin de permettre l’établissement de liens entre des personnes disparues et des affaires portant sur des restes humains.

    I-Familia se compose de trois éléments :

    - une base de données mondiale spécialisée dans laquelle sont stockés les profils ADN fournis par des membres des familles, et où ils sont maintenus séparés de toute donnée criminelle ;
    – le logiciel de comparaison de profils ADN, appelé Bonaparte, développé par l’entreprise néerlandaise SMART Research ;
    - des lignes directrices pour l’interprétation élaborées par INTERPOL, à suivre pour identifier et signaler efficacement les concordances potentielles.

    La technologie Bonaparte a recours à des algorithmes statistiques perfectionnés pour calculer la probabilité d’une concordance par rapport à un tableau d’interprétation. Ce logiciel puissant peut effectuer en peu de temps des millions de calculs. Les résultats sont ensuite analysés par les spécialistes de l’ADN des services de police scientifique du Secrétariat général d’INTERPOL.

    Protection des données

    Le traitement des données génétiques par INTERPOL s’effectue via des canaux de communication sécurisés et conformément aux règles en matière de protection des données, très strictes, de l’Organisation ainsi qu’à la Politique d’INTERPOL relative à l’utilisation des profils ADN de membres de la famille de personnes disparues en vue de recherche en parentalité.

    Les membres de la famille doivent donner leur consentement pour que leurs données puissent être utilisées à des fins de recherches internationales. Le profil ADN ne contient pas de données nominatives. Il est communiqué sous forme de code alphanumérique.

    En cas de concordance, des notifications sont envoyées au pays qui a transmis le profil ADN provenant du cadavre non identifié et à celui qui a transmis les profils ADN familiaux. Des vérifications supplémentaires (avec les dossiers dentaires et les objets personnels) peuvent être effectuées pour confirmer la concordance potentielle.

    La base de données I-Familia a été réalisée grâce au soutien du NFI et de SMART Research. Pour plus d’informations sur I-Familia, veuillez consulter le site Web d’I-Familia.

    https://www.interpol.int/fr/Actualites-et-evenements/Actualites/2021/INTERPOL-presente-une-nouvelle-base-de-donnees-mondiale-d-identification-d

    Le site web de I-Familia :
    https://www.interpol.int/fr/Notre-action/Police-scientifique/I-Familia

    #identification #décès #morts #personnes_disparues #restes_humains #Bonaparte #SMART_Research #technologie #business #complexe_militaro-industriel #logiciel

  • Classer pour dominer [et réprimer] : petite Histoire critique du fichage en France | LQDN | 07.09.22

    https://www.laquadrature.net/2022/09/07/classer-pour-dominer-petite-histoire-critique-du-fichage-en-france

    Qui c’est les plus forts ? Évidemment c’est les Bleus !

    Finalement abandonné face à la controverse, le projet SAFARI déboucha sur une commission d’enquête qui donna naissance à la Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL) et à la loi Informatique et Libertés du 6 janvier 1978, socle de la protection des données personnelles encore en vigueur aujourd’hui. Au-delà de la création d’un encadrement juridique, cet épisode marque une amorce de politisation sur le sujet. Cette réflexion avait d’ailleurs débuté avant ce scandale, le directeur du « service des écoles et techniques » mentionné plus haut écrivait lui-même en 1969 :

    « La mise en mémoire d’un certain nombre de données n’est-elle pas attentatoire à la liberté et même à la dignité de l’homme ? Ne présente t-elle pas des dangers si nous connaissons à nouveau comme naguère la férule d’un État totalitaire, le joug d’une police politique orientée non vers le maintien de l’ordre public, la prévention et la répression des crimes, mais vers l’asservissement des citoyens libres, privés par une minorité de leurs moyens d’expression ? Le problème vaut qu’on y réfléchisse longuement et profondément ».

    [sauf que]

    Malheureusement ce ne fut pas le cas, ces pratiques d’identification de surveillance étant probablement bien trop ancrées dans les rouages de l’institution policière.

    Dès les années 1980, avec la généralisation des ordinateurs, la police commençait à collecter des informations de façon massive et désordonnée. Plutôt que de limiter ces pratiques, il fut au contraire décidé de rationaliser et d’organiser cette quantité de données au sein de fichiers centralisés pour en tirer une utilité. C’est dans ce contexte qu’est apparue l’idée du fichier STIC (Système de traitement des infractions constatées), visant à intégrer toutes les informations exploitées par les services de police dans une seule et même architecture, accessible à tous les échelons du territoire. Finalement mis en œuvre et expérimenté dans les années 1990, le fichier STIC cristallisa de nombreuses tensions entre le Ministère de l’Intérieur et la CNIL qui durent négocier pendant plusieurs années afin d’en fixer le cadre légal. Si la CNIL a obtenu des garanties dans un accord à l’arrachée en 1998, cette victoire a paradoxalement signé la fin de son influence et de sa légitimité. En effet, dans les années qui suivirent, toutes les réserves qu’elles avait pu obtenir ont été ostensiblement bafouées. Mais surtout, cette longue bataille qui avait concrètement ralenti et empêché le développement du fichier souhaité par le Ministère poussa le gouvernement à supprimer par la suite le pouvoir d’autorisation attribué à la CNIL afin de ne plus être gêné dans ses projets. C’est pourquoi, en 2004, la modification de la Loi pour la confiance dans l’économie numérique (LCEN) acta la suppression du pouvoir de contrainte de la CNIL pour le transformer en simple avis consultatif. Cela signifie qu’elle ne dispose plus de l’autorité nécessaire pour empêcher ou limiter la création de fichiers de police par le gouvernement. Cette modification législative marque un tournant dans le droit des fichiers et des données personnelles ainsi que dans la pratique policière. Les garde-fous ayant sauté, l’espace politique pour parvenir à une surveillance massive se libère, les limites légales devenant purement cosmétiques.

    #chassez_le_naturel

  • LE #TRAFIQUANT | #ARTE_Radio
    https://www.arteradio.com/serie/le_trafiquant

    #entretien
    #drogue

    LE TRAFIQUANT
    Par #Hugo_Lemonier

    Où planquer son produit, comment se jouer des frontières, comment semer les flics en filature… Né dans une famille de #bandits_corses, #Milou a passé sa vie au sommet de la #voyoucratie. De son enfance pauvre à la Belle de Mai jusqu’à ses années dans la #French_Connection, il raconte tout. 8 épisodes à suivre pour un #récit puissant et addictif. Une production ARTE Radio.

  • « Les #réfugiés sont les #cobayes des futures mesures de #surveillance »

    Les dangers de l’émigration vers l’Europe vont croissant, déplore Mark Akkerman, qui étudie la #militarisation_des_frontières du continent depuis 2016. Un mouvement largement poussé par le #lobby de l’#industrie_de_l’armement et de la sécurité.

    Mark Akkerman étudie depuis 2016 la militarisation des frontières européennes. Chercheur pour l’ONG anti-militariste #Stop_Wapenhandel, il a publié, avec le soutien de The Transnational Institute, plusieurs rapports de référence sur l’industrie des « #Safe_Borders ». Il revient pour Mediapart sur des années de politiques européennes de surveillance aux frontières.

    Mediapart : En 2016, vous publiez un premier rapport, « Borders Wars », qui cartographie la surveillance aux frontières en Europe. Dans quel contexte naît ce travail ?

    Mark Akkerman : Il faut se rappeler que l’Europe a une longue histoire avec la traque des migrants et la sécurisation des frontières, qui remonte, comme l’a montré la journaliste d’investigation néerlandaise Linda Polman, à la Seconde Guerre mondiale et au refus de soutenir et abriter des réfugiés juifs d’Allemagne. Dès la création de l’espace Schengen, au début des années 1990, l’ouverture des frontières à l’intérieur de cet espace était étroitement liée au renforcement du contrôle et de la sécurité aux frontières extérieures. Depuis lors, il s’agit d’un processus continu marqué par plusieurs phases d’accélération.

    Notre premier rapport (https://www.tni.org/en/publication/border-wars) est né durant l’une de ces phases. J’ai commencé ce travail en 2015, au moment où émerge le terme « crise migratoire », que je qualifierais plutôt de tragédie de l’exil. De nombreuses personnes, principalement motivées par la guerre en Syrie, tentent alors de trouver un avenir sûr en Europe. En réponse, l’Union et ses États membres concentrent leurs efforts sur la sécurisation des frontières et le renvoi des personnes exilées en dehors du territoire européen.

    Cela passe pour une part importante par la militarisation des frontières, par le renforcement des pouvoirs de Frontex et de ses financements. Les réfugiés sont dépeints comme une menace pour la sécurité de l’Europe, les migrations comme un « problème de sécurité ». C’est un récit largement poussé par le lobby de l’industrie militaire et de la sécurité, qui a été le principal bénéficiaire de ces politiques, des budgets croissants et des contrats conclus dans ce contexte.

    Cinq ans après votre premier rapport, quel regard portez-vous sur la politique européenne de sécurisation des frontières ? La pandémie a-t-elle influencé cette politique ?

    Depuis 2016, l’Europe est restée sur la même voie. Renforcer, militariser et externaliser la sécurité aux frontières sont les seules réponses aux migrations. Davantage de murs et de clôtures ont été érigés, de nouveaux équipements de surveillance, de détection et de contrôle ont été installés, de nouveaux accords avec des pays tiers ont été conclus, de nouvelles bases de données destinées à traquer les personnes exilées ont été créées. En ce sens, les politiques visibles en 2016 ont été poursuivies, intensifiées et élargies.

    La pandémie de Covid-19 a certainement joué un rôle dans ce processus. De nombreux pays ont introduit de nouvelles mesures de sécurité et de contrôle aux frontières pour contenir le virus. Cela a également servi d’excuse pour cibler à nouveau les réfugiés, les présentant encore une fois comme des menaces, responsables de la propagation du virus.

    Comme toujours, une partie de ces mesures temporaires vont se pérenniser et on constate déjà, par exemple, l’évolution des contrôles aux frontières vers l’utilisation de technologies biométriques sans contact.

    En 2020, l’UE a choisi Idemia et Sopra Steria, deux entreprises françaises, pour construire un fichier de contrôle biométrique destiné à réguler les entrées et sorties de l’espace Schengen. Quel regard portez-vous sur ces bases de données ?

    Il existe de nombreuses bases de données biométriques utilisées pour la sécurité aux frontières. L’Union européenne met depuis plusieurs années l’accent sur leur développement. Plus récemment, elle insiste sur leur nécessaire connexion, leur prétendue interopérabilité. L’objectif est de créer un système global de détection, de surveillance et de suivi des mouvements de réfugiés à l’échelle européenne pour faciliter leur détention et leur expulsion.

    Cela contribue à créer une nouvelle forme d’« apartheid ». Ces fichiers sont destinés certes à accélérer les processus de contrôles aux frontières pour les citoyens nationaux et autres voyageurs acceptables mais, surtout, à arrêter ou expulser les migrantes et migrants indésirables grâce à l’utilisation de systèmes informatiques et biométriques toujours plus sophistiqués.

    Quelles sont les conséquences concrètes de ces politiques de surveillance ?

    Il devient chaque jour plus difficile et dangereux de migrer vers l’Europe. Parce qu’elles sont confrontées à la violence et aux refoulements aux frontières, ces personnes sont obligées de chercher d’autres routes migratoires, souvent plus dangereuses, ce qui crée un vrai marché pour les passeurs. La situation n’est pas meilleure pour les personnes réfugiées qui arrivent à entrer sur le territoire européen. Elles finissent régulièrement en détention, sont expulsées ou sont contraintes de vivre dans des conditions désastreuses en Europe ou dans des pays limitrophes.

    Cette politique n’impacte pas que les personnes réfugiées. Elle présente un risque pour les libertés publiques de l’ensemble des Européens. Outre leur usage dans le cadre d’une politique migratoire raciste, les technologies de surveillance sont aussi « testées » sur des personnes migrantes qui peuvent difficilement faire valoir leurs droits, puis introduites plus tard auprès d’un public plus large. Les réfugiés sont les cobayes des futures mesures de contrôle et de surveillance des pays européens.

    Vous pointez aussi que les industriels qui fournissent en armement les belligérants de conflits extra-européens, souvent à l’origine de mouvements migratoires, sont ceux qui bénéficient du business des frontières.

    C’est ce que fait Thales en France, Leonardo en Italie ou Airbus. Ces entreprises européennes de sécurité et d’armement exportent des armes et des technologies de surveillance partout dans le monde, notamment dans des pays en guerre ou avec des régimes autoritaires. À titre d’exemple, les exportations européennes au Moyen-Orient et en Afrique du Nord des dix dernières années représentent 92 milliards d’euros et concernent des pays aussi controversés que l’Arabie saoudite, l’Égypte ou la Turquie.

    Si elles fuient leur pays, les populations civiles exposées à la guerre dans ces régions du monde se retrouveront très certainement confrontées à des technologies produites par les mêmes industriels lors de leur passage aux frontières. C’est une manière profondément cynique de profiter, deux fois, de la misère d’une même population.

    Quelles entreprises bénéficient le plus de la politique européenne de surveillance aux frontières ? Par quels mécanismes ? Je pense notamment aux programmes de recherches comme Horizon 2020 et Horizon Europe.

    J’identifie deux types d’entreprises qui bénéficient de la militarisation des frontières de l’Europe. D’abord les grandes entreprises européennes d’armement et de sécurité, comme Airbus, Leonardo et Thales, qui disposent toutes d’une importante gamme de technologies militaires et de surveillance. Pour elles, le marché des frontières est un marché parmi d’autres. Ensuite, des entreprises spécialisées, qui travaillent sur des niches, bénéficient aussi directement de cette politique européenne. C’est le cas de l’entreprise espagnole European Security Fencing, qui fabrique des fils barbelés. Elles s’enrichissent en remportant des contrats, à l’échelle européenne, mais aussi nationale, voire locale.

    Une autre source de financement est le programme cadre européen pour la recherche et l’innovation. Il finance des projets sur 7 ans et comprend un volet sécurité aux frontières. Des programmes existent aussi au niveau du Fonds européen de défense.

    Un de vos travaux de recherche, « Expanding the Fortress », s’intéresse aux partenariats entre l’Europe et des pays tiers. Quels sont les pays concernés ? Comment se manifestent ces partenariats ?

    L’UE et ses États membres tentent d’établir une coopération en matière de migrations avec de nombreux pays du monde. L’accent est mis sur les pays identifiés comme des « pays de transit » pour celles et ceux qui aspirent à rejoindre l’Union européenne. L’Europe entretient de nombreux accords avec la Libye, qu’elle équipe notamment en matériel militaire. Il s’agit d’un pays où la torture et la mise à mort des réfugiés ont été largement documentées.

    Des accords existent aussi avec l’Égypte, la Tunisie, le Maroc, la Jordanie, le Liban ou encore l’Ukraine. L’Union a financé la construction de centres de détention dans ces pays, dans lesquels on a constaté, à plusieurs reprises, d’importantes violations en matière de droits humains.

    Ces pays extra-européens sont-ils des zones d’expérimentations pour les entreprises européennes de surveillance ?

    Ce sont plutôt les frontières européennes, comme celle d’Evros, entre la Grèce et la Turquie, qui servent de zone d’expérimentation. Le transfert d’équipements, de technologies et de connaissances pour la sécurité et le contrôle des frontières représente en revanche une partie importante de ces coopérations. Cela veut dire que les États européens dispensent des formations, partagent des renseignements ou fournissent de nouveaux équipements aux forces de sécurité de régimes autoritaires.

    Ces régimes peuvent ainsi renforcer et étendre leurs capacités de répression et de violation des droits humains avec le soutien de l’UE. Les conséquences sont dévastatrices pour la population de ces pays, ce qui sert de moteur pour de nouvelles vagues de migration…

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040822/les-refugies-sont-les-cobayes-des-futures-mesures-de-surveillance

    cité dans l’interview, ce rapport :
    #Global_Climate_Wall
    https://www.tni.org/en/publication/global-climate-wall
    déjà signalé ici : https://seenthis.net/messages/934948#message934949

    #asile #migrations #complexe_militaro-industriel #surveillance_des_frontières #Frontex #problème #Covid-19 #coronavirus #biométrie #technologie #Idemia #Sopra_Steria #contrôle_biométrique #base_de_données #interopérabilité #détection #apartheid #informatique #violence #refoulement #libertés_publiques #test #normalisation #généralisation #Thales #Leonardo #Airbus #armes #armements #industrie_de_l'armement #cynisme #Horizon_Europe #Horizon_2020 #marché #business #European_Security_Fencing #barbelés #fils_barbelés #recherche #programmes_de_recherche #Fonds_européen_de_défense #accords #externalisation #externalisation_des_contrôles_frontaliers #Égypte #Libye #Tunisie #Maroc #Jordanie #Liban #Ukraine #rétention #détention_administrative #expérimentation #équipements #connaissance #transfert #coopérations #formations #renseignements #répression

    ping @isskein @karine4 @_kg_

    • Le système électronique d’#Entrée-Sortie en zone #Schengen : la biométrie au service des #frontières_intelligentes

      Avec la pression migratoire et la vague d’attentats subis par l’Europe ces derniers mois, la gestion des frontières devient une priorité pour la Commission.

      Certes, le système d’information sur les #visas (#VIS, #Visa_Information_System) est déployé depuis 2015 dans les consulats des États Membres et sa consultation rendue obligatoire lors de l’accès dans l’#espace_Schengen.

      Mais, depuis février 2013, est apparu le concept de « #frontières_intelligentes », (#Smart_Borders), qui recouvre un panel ambitieux de mesures législatives élaborées en concertation avec le Parlement Européen.

      Le système entrée/sortie, en particulier, va permettre, avec un système informatique unifié, d’enregistrer les données relatives aux #entrées et aux #sorties des ressortissants de pays tiers en court séjour franchissant les frontières extérieures de l’Union européenne.

      Adopté puis signé le 30 Novembre 2017 par le Conseil Européen, il sera mis en application en 2022. Il s’ajoutera au « PNR européen » qui, depuis le 25 mai 2018, recense les informations sur les passagers aériens.

      Partant du principe que la majorité des visiteurs sont « de bonne foi », #EES bouleverse les fondements mêmes du #Code_Schengen avec le double objectif de :

      - rendre les frontières intelligentes, c’est-à-dire automatiser le contrôle des visiteurs fiables tout en renforçant la lutte contre les migrations irrégulières
      - créer un #registre_central des mouvements transfrontaliers.

      La modernisation de la gestion des frontières extérieures est en marche. En améliorant la qualité et l’efficacité des contrôles de l’espace Schengen, EES, avec une base de données commune, doit contribuer à renforcer la sécurité intérieure et la lutte contre le terrorisme ainsi que les formes graves de criminalité.

      L’#identification de façon systématique des personnes qui dépassent la durée de séjour autorisée dans l’espace Schengen en est un des enjeux majeurs.

      Nous verrons pourquoi la reconnaissance faciale en particulier, est la grande gagnante du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Dans ce dossier web, nous traiterons des 6 sujets suivants :

      - ESS : un puissant dispositif de prévention et détection
      - La remise en cause du code « frontières Schengen » de 2006
      - EES : un accès très réglementé
      - La biométrie faciale : fer de lance de l’EES
      - EES et la lutte contre la fraude à l’identité
      - Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Examinons maintenant ces divers points plus en détail.

      ESS : un puissant dispositif de prévention et détection

      Les activités criminelles telles que la traite d’êtres humains, les filières d’immigration clandestine ou les trafics d’objets sont aujourd’hui la conséquence de franchissements illicites de frontières, largement facilités par l’absence d’enregistrement lors des entrées/ sorties.

      Le scénario de fraude est – hélas – bien rôdé : Contrôle « standard » lors de l’accès à l’espace Schengen, puis destruction des documents d’identité dans la perspective d’activités malveillantes, sachant l’impossibilité d’être authentifié.

      Même si EES vise le visiteur « de bonne foi », le système va constituer à terme un puissant dispositif pour la prévention et la détection d’activités terroristes ou autres infractions pénales graves. En effet les informations stockées dans le nouveau registre pour 5 ans– y compris concernant les personnes refoulées aux frontières – couvrent principalement les noms, numéros de passeport, empreintes digitales et photos. Elles seront accessibles aux autorités frontalières et de délivrance des visas, ainsi qu’à Europol.

      Le système sera à la disposition d’enquêtes en particulier, vu la possibilité de consulter les mouvements transfrontières et historiques de déplacements. Tout cela dans le plus strict respect de la dignité humaine et de l’intégrité des personnes.

      Le dispositif est très clair sur ce point : aucune discrimination fondée sur le sexe, la couleur, les origines ethniques ou sociales, les caractéristiques génétiques, la langue, la religion ou les convictions, les opinions politiques ou toute autre opinion.

      Sont également exclus du champ d’investigation l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance, un handicap, l’âge ou l’orientation sexuelle des visiteurs.​

      La remise en cause du Code frontières Schengen

      Vu la croissance attendue des visiteurs de pays tiers (887 millions en 2025), l’enjeu est maintenant de fluidifier et simplifier les contrôles.

      Une initiative particulièrement ambitieuse dans la mesure où elle remet en cause le fameux Code Schengen qui impose des vérifications approfondies, conduites manuellement par les autorités des Etats Membres aux entrées et sorties, sans possibilité d’automatisation.

      Par ailleurs, le Code Schengen ne prévoit aucun enregistrement des mouvements transfrontaliers. La procédure actuelle exigeant seulement que les passeports soient tamponnés avec mention des dates d’entrée et sortie.

      Seule possibilité pour les gardes-frontières : Calculer un éventuel dépassement de la durée de séjour qui elle-même est une information falsifiable et non consignée dans une base de données.

      Autre contrainte, les visiteurs réguliers comme les frontaliers doivent remplacer leurs passeports tous les 2-3 mois, vue la multitude de tampons ! Un procédé bien archaïque si l’on considère le potentiel des technologies de l’information.

      La proposition de 2013 comprenait donc trois piliers :

      - ​La création d’un système automatisé d’entrée/sortie (Entry/ Exit System ou EES)
      - Un programme d’enregistrement de voyageurs fiables, (RTP, Registered Traveller Program) pour simplifier le passage des visiteurs réguliers, titulaires d’un contrôle de sûreté préalable
      – La modification du Code Schengen

      Abandon de l’initiative RTP

      Trop complexe à mettre en œuvre au niveau des 28 Etats Membres, l’initiative RTP (Registered Travelers Program) a été finalement abandonnée au profit d’un ambitieux programme Entry/ Exit (EES) destiné aux visiteurs de courte durée (moins de 90 jours sur 180 jours).

      Précision importante, sont maintenant concernés les voyageurs non soumis à l’obligation de visa, sachant que les détenteurs de visas sont déjà répertoriés par le VIS.

      La note est beaucoup moins salée que prévue par la Commission en 2013. Au lieu du milliard estimé, mais qui incluait un RTP, la proposition révisée d’un EES unique ne coutera « que » 480 millions d’EUR.

      Cette initiative ambitieuse fait suite à une étude technique menée en 2014, puis une phase de prototypage conduite sous l’égide de l’agence EU-LISA en 2015 avec pour résultat le retrait du projet RTP et un focus particulier sur le programme EES.

      Une architecture centralisée gérée par EU-LISA

      L’acteur clé du dispositif EES, c’est EU-LISA, l’Agence européenne pour la gestion opérationnelle des systèmes d’information à grande échelle dont le siège est à Tallinn, le site opérationnel à Strasbourg et le site de secours à Sankt Johann im Pongau (Autriche). L’Agence sera en charge des 4 aspects suivants :

      - Développement du système central
      - Mise en œuvre d’une interface uniforme nationale (IUN) dans chaque État Membre
      - Communication sécurisée entre les systèmes centraux EES et VIS
      - Infrastructure de communication entre système central et interfaces uniformes nationales.

      Chaque État Membre sera responsable de l’organisation, la gestion, le fonctionnement et de la maintenance de son infrastructure frontalière vis-à-vis d’EES.

      Une gestion optimisée des frontières

      Grâce au nouveau dispositif, tous les ressortissants des pays tiers seront traités de manière égale, qu’ils soient ou non exemptés de visas.

      Le VIS répertorie déjà les visiteurs soumis à visas. Et l’ambition d’EES c’est de constituer une base pour les autres.

      Les États Membres seront donc en mesure d’identifier tout migrant ou visiteur en situation irrégulière ayant franchi illégalement les frontières et faciliter, le cas échéant, son expulsion.

      Dès l’authentification à une borne en libre–service, le visiteur se verra afficher les informations suivantes, sous supervision d’un garde-frontière :

      - ​Date, heure et point de passage, en remplacement des tampons manuels
      - Notification éventuelle d’un refus d’accès.
      - Durée maximale de séjour autorisé.
      - Dépassement éventuelle de la durée de séjour autorisée
      En ce qui concerne les autorités des Etats Membres, c’est une véritable révolution par rapport à l’extrême indigence du système actuel. On anticipe déjà la possibilité de constituer des statistiques puissantes et mieux gérer l’octroi, ou la suppression de visas, en fonction de mouvements transfrontières, notamment grâce à des informations telles que :

      - ​​​Dépassements des durées de séjour par pays
      - Historique des mouvements frontaliers par pays

      EES : un accès très réglementé

      L’accès à EES est très réglementé. Chaque État Membre doit notifier à EU-LISA les autorités répressives habilitées à consulter les données aux fins de prévention ou détection d’infractions terroristes et autres infractions pénales graves, ou des enquêtes en la matière.

      Europol, qui joue un rôle clé dans la prévention de la criminalité, fera partie des autorités répressives autorisées à accéder au système dans le cadre de sa mission.

      Par contre, les données EES ne pourront pas être communiquées à des pays tiers, une organisation internationale ou une quelconque partie privée établie ou non dans l’Union, ni mises à leur disposition. Bien entendu, dans le cas d’enquêtes visant l’identification d’un ressortissant de pays tiers, la prévention ou la détection d’infractions terroristes, des exceptions pourront être envisagées.​

      Proportionnalité et respect de la vie privée

      Dans un contexte législatif qui considère le respect de la vie privée comme une priorité, le volume de données à caractère personnel enregistré dans EES sera considérablement réduit, soit 26 éléments au lieu des 36 prévus en 2013.

      Il s’agit d’un dispositif négocié auprès du Contrôleur Européen pour la Protection des Données (CEPD) et les autorités nationales en charge d’appliquer la nouvelle réglementation.

      Très schématiquement, les données collectées se limiteront à des informations minimales telles que : nom, prénom, références du document de voyage et visa, biométrie du visage et de 4 empreintes digitales.

      A chaque visite, seront relevés la date, l’heure et le lieu de contrôle frontière. Ces données seront conservées pendant cinq années, et non plus 181 jours comme proposé en 2013.

      Un procédé qui permettra aux gardes-frontières et postes consulaires d’analyser l’historique des déplacements, lors de l’octroi de nouveaux visas.
      ESS : privacy by design

      La proposition de la Commission a été rédigée selon le principe de « respect de la vie privée dès la conception », mieux connue sous le label « Privacy By Design ».

      Sous l’angle du droit, elle est bien proportionnée à la protection des données à caractère personnel en ce que la collecte, le stockage et la durée de conservation des données permettent strictement au système de fonctionner et d’atteindre ses objectifs.

      EES sera un système centralisé avec coopération des Etats Membres ; d’où une architecture et des règles de fonctionnement communes.​

      Vu cette contrainte d’uniformisation des modalités régissant vérifications aux frontières et accès au système, seul le règlement en tant que véhicule juridique pouvait convenir, sans possibilité d’adaptation aux législations nationales.

      Un accès internet sécurisé à un service web hébergé par EU-LISA permettra aux visiteurs des pays tiers de vérifier à tout moment leur durée de séjour autorisée.

      Cette fonctionnalité sera également accessible aux transporteurs, comme les compagnies aériennes, pour vérifier si leurs voyageurs sont bien autorisés à pénétrer dans le territoire de l’UE.

      La biométrie faciale, fer de lance du programme EES

      Véritable remise en question du Code Schengen, EES permettra de relever la biométrie de tous les visiteurs des pays tiers, alors que ceux soumis à visa sont déjà enregistrés dans le VIS.

      Pour les identifiants biométriques, l’ancien système envisageait 10 empreintes digitales. Le nouveau combine quatre empreintes et la reconnaissance faciale.

      La technologie, qui a bénéficié de progrès considérables ces dernières années, s’inscrit en support des traditionnelles empreintes digitales.

      Bien que la Commission ne retienne pas le principe d’enregistrement de visiteurs fiables (RTP), c’est tout comme.

      En effet, quatre empreintes seront encore relevées lors du premier contrôle pour vérifier que le demandeur n’est pas déjà répertorié dans EES ou VIS.

      En l’absence d’un signal, l’autorité frontalière créera un dossier en s’assurant que la photographie du passeport ayant une zone de lecture automatique (« Machine Readable Travel Document ») correspond bien à l’image faciale prise en direct du nouveau visiteur.

      Mais pour les passages suivants, c’est le visage qui l’emporte.

      Souriez, vous êtes en Europe ! Les fastidieux (et falsifiables) tampons sur les passeports seront remplacés par un accès à EES.

      La biométrie est donc le grand gagnant du programme EES. Et plus seulement dans les aéroports comme c’est le cas aujourd’hui.

      Certains terminaux maritimes ou postes frontières terrestres particulièrement fréquentés deviendront les premiers clients de ces fameuses eGates réservées aujourd’hui aux seuls voyageurs aériens.

      Frontex, en tant qu’agence aidant les pays de l’UE et les pays associés à Schengen à gérer leurs frontières extérieures, va aider à harmoniser les contrôles aux frontières à travers l’UE.

      EES et la lutte contre la fraude à l’identité

      Le dispositif EES est complexe et ambitieux dans la mesure où il fluidifie les passages tout en relevant le niveau des contrôles. On anticipe dès aujourd’hui des procédures d’accueil en Europe bien meilleures grâce aux eGates et bornes self-service.

      Sous l’angle de nos politiques migratoires et de la prévention des malveillances, on pourra immédiatement repérer les personnes ne rempliss​​ant pas les conditions d’entrée et accéder aux historiques des déplacements.

      Mais rappelons également qu’EES constituera un puissant outil de lutte contre la fraude à l’identité, notamment au sein de l’espace Schengen, tout visiteur ayant été enregistré lors de son arrivée à la frontière.

      Thales et l’identité : plus de 20 ans d’expertise

      Thales est particulièrement attentif à cette initiative EES qui repose massivement sur la biométrie et le contrôle des documents de voyage.

      En effet, l’identification et l’authentification des personnes sont deux expertises majeures de Thales depuis plus de 20 ans. La société contribue d’ailleurs à plus de 200 programmes gouvernementaux dans 80 pays sur ces sujets.

      La société peut répondre aux objectifs du programme EES en particulier pour :

      - Exploiter les dernières technologies pour l’authentification des documents de voyage, l’identification des voyageurs à l’aide de captures et vérifications biométriques, et l’évaluation des risques avec accès aux listes de contrôle, dans tous les points de contrôle aux frontières.
      - Réduire les coûts par l’automatisation et l’optimisation des processus tout en misant sur de nouvelles technologies pour renforcer la sécurité et offrir davantage de confort aux passagers
      - Valoriser des tâches de gardes-frontières qui superviseront ces dispositifs tout en portant leur attention sur des cas pouvant porter à suspicion.
      - Diminuer les temps d’attente après enregistrement dans la base EES. Un facteur non négligeable pour des frontaliers ou visiteurs réguliers qui consacreront plus de temps à des activités productives !

      Des bornes d’enregistrement libre-service comme des frontières automatiques ou semi-automatiques peuvent être déployées dans les prochaines années avec l’objectif de fluidifier les contrôles et rendre plus accueillant l’accès à l’espace Schengen.

      Ces bornes automatiques et biométriques ont d’ailleurs été installées dans les aéroports parisiens d’Orly et de Charles de Gaulle (Nouveau PARAFE : https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/controle-aux-frontieres).

      La reconnaissance faciale a été mise en place en 2018.

      Les nouveaux sas PARAFE à Roissy – Septembre 2017

      Thales dispose aussi d’une expertise reconnue dans la gestion intégrée des frontières et contribue en particulier à deux grand systèmes de gestion des flux migratoires.

      - Les systèmes d’identification biométrique de Thales sont en particulier au cœur du système américain de gestion des données IDENT (anciennement US-VISIT). Cette base de données biographiques et biométriques contient des informations sur plus de 200 millions de personnes qui sont entrées, ont tenté d’entrer et ont quitté les États-Unis d’Amérique.

      - Thales est le fournisseur depuis l’origine du système biométrique Eurodac (European Dactyloscopy System) qui est le plus important système AFIS multi-juridictionnel au monde, avec ses 32 pays affiliés. Le système Eurodac est une base de données comportant les empreintes digitales des demandeurs d’asile pour chacun des états membres ainsi que des personnes appréhendées à l’occasion d’un franchissement irrégulier d’une frontière.

      Pour déjouer les tentatives de fraude documentaire, Thales a mis au point des équipements sophistiqués permettant de vérifier leur authenticité par comparaison avec les modèles en circulation. Leur validité est aussi vérifiée par connexion à des bases de documents volés ou perdus (SLTD de Interpol). Ou a des watch lists nationales.

      Pour le contrôle des frontières, au-delà de ses SAS et de ses kiosks biométriques, Thales propose toute une gamme de lecteurs de passeports d’équipements et de logiciels d’authentification biométriques, grâce à son portefeuille Cogent, l’un des pionniers du secteur.

      Pour en savoir plus, n’hésitez pas à nous contacter.​

      https://www.thalesgroup.com/fr/europe/france/dis/gouvernement/biometrie/systeme-entree-sortie
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  • EU: Tracking the Pact: Access to criminal records for “screening” of migrants

    Under the Pact on Migration and Asylum, the “screening” of migrants who have entered the EU irregularly or who have applied for asylum will become mandatory. The aim is to establish their identity and to investigate whether they should be considered a “security risk”. To facilitate the screening process, access to the EU’s system of “interoperable” databases is being broadened, with the Council recently approving its negotiating position on new rules granting access to a centralised register of individuals convicted of criminal offences in EU member states.

    Interoperability for screening

    The Commission’s proposal for a criminal records screening Regulation (pdf), one of countless amendments to the “interoperability” framework since it was approved in 2019, was published in March last year with a typically impenetrable, jargon-laden title.

    It was part of a series of new rules that aim to introduce new checks for asylum applicants and individuals making irregular border crossings, that are “at least of a similar level as the checks performed in respect of third country nationals that apply beforehand for an authorisation to enter the Union for a short stay, whether they are under a visa obligation or not.”

    Thus, the “screening” process requires checks against a multitude of databases: the Entry/Exit System (EES), the European Travel Information and Authorisation System (ETIAS), the Schengen Information System (SIS), the Visa Information System (VIS), Europol’s databases, two Interpol databases, and – the subject of the Council’s recently-approved negotiating position – the European Criminal Records Information System for Third-Country Nationals (ECRIS-TCN).

    The ECRIS-TCN contains information on non-EU nationals who have been convicted in one or more EU member states (fingerprints, facial images and certain biographic data), in order to make it easier for national authorities to find information on convictions handed down elsewhere in the EU.

    The Council’s position

    The Council’s position (pdf) was approved by the Committee of Permanent Representatives (COREPER) on 29 June, and makes extensive changes to the Commission’s proposal. However, many of these are deletions that appear to have been made because the text in question has already been added to the original ECRIS-TCN Regulation through one of the two other sets of amendments that have been made, in 2019 and 2021.

    The proposal used the term “threat to internal security or public policy”, which the Council has replaced with “security risk”. This somewhat vaguer term matches the wording approved by the Council in its position on the Screening Regulation, previously published by Statewatch, where the proposal initially referred to individuals that may “constitute a threat to public policy, internal security or international relations for any of the Member States.”

    Currently only visa authorities and those responsible for examining travel authorisation applications are granted access to the ECRIS-TCN for border control and immigration purposes (listed in Article 5(7) of the ECRIS-TCN Regulation and as explained in the Statewatch report Automated Suspicion).

    The criminal records screening Regulation grants new authorities access to the ECRIS-TCN, but does not list those authorities explicitly. Instead, it refers to the Screening Regulation itself, which is set to give member states discretion to determine “the screening authorities” as they see fit, although the Council’s preferred version of that text includes the provision that:

    “Member States shall also ensure that only the screening authorities responsible for the identification or verification of identity and the security check have access to the databases foreseen in Article 10 and Article 11 of this Regulation.”

    The Council’s position on the Screening Regulation, like the original proposal, does not include a requirement that the authorities responsible for the screening process be publicly listed anywhere.

    Whoever those authorities may be, they will be granted access to use the European Search Portal (part of the interoperability framework) to conduct searches in the ECRIS-TCN (and other databases), although will only be granted access to ECRIS-TCN records that have a “flag” attached.

    Those “flags” will be added to records to show whether an individual has been convicted of a terrorist offence in the last 25 years, or (in the last 15 years) one or more of the criminal offences listed in a separate piece of legislation.

    In the case of a “hit” against information stored in the ECRIS-TCN, the new rules will require screening authorities to contact the member state that handed down the conviction and to seek an opinion on the implications of that conviction for an individuals’ potential status as a security risk.

    The Commission wanted that opinion to be provided within two days, but the Council has increased this to three; if no opinion is provided within that time, then “this shall mean there are no security grounds to be taken into account.” The Council’s position also makes it explicit that the convicting authorities are obliged to consult the criminal record before providing their opinion.

    The European Parliament is yet to reach a position on the proposal. The EP rapporteur, Socialists & Democrats MEP Birgit Sippel, told Statewatch:

    “The European Parliament continues to work on all proposals related to the New Pact on Migration and Asylum, including both the Screening and Screening ECRIS-TCN proposals. As rapporteur, I have presented my draft report on both files at the end of 2021. Negotiations continue at political and technical level. Due to the deep links to the other proposals, we aim for a harmonised EP position and there is currently no concrete date foreseen for a debate or vote in the LIBE Committee.”

    However, the Parliament has committed itself to completing work on all the migration and asylum laws currently on the table by February 2024.

    Interoperability marches on

    Many are likely to see the screening process as part of the ongoing “criminalisation” of migration – indeed, the intention with the criminal records screening proposal is to explicitly link aspects of the criminal justice system with the EU’s immigration and asylum systems, in order to increase the possibilities of excluding individuals deemed to pose a security risk – however that may be determined by the authorities.

    The application of these checks to irregular border-crossers and asylum applicants is also a logical consequence of the way the EU’s interoperable databases are being deployed against other categories of individuals: as noted above, it is deemed imperative that everyone entering the EU faces “a similar level” of checks. With the interoperability architecture largely seen as a starting point for future developments, and with EU agencies Europol and Frontex pushing for AI-based profiling of all travellers, future proposals to further expand the types of checks and the individuals to whom they should be applied are almost guaranteed.

    https://www.statewatch.org/news/2022/july/eu-tracking-the-pact-access-to-criminal-records-for-screening-of-migrant

    #screening #identification #migrations #asile #réfugiés #pacte #interopérabilité #Entry_Exit_System (#EES) #European_Travel_Information_and_Authorisation_System (#ETIAS) #Schengen_Information_System (#SIS) #technologie #Visa_Information_System (#VIS) #données #base_de_données #European_Criminal_Records_Information_System_for_Third-Country_Nationals (#ECRIS-TCN)

  • Plateforme « drift-backs » en mer Egée

    Une enquête de #Forensic_Architecture et Forensis menée avec une grande rigueur –recoupements de photos et de vidéos, géolocalisations, recoupements de témoignages- révèle que, entre mars 2020 et mars 2020, 1018 opérations de refoulement -la plupart par la méthode dite ‘#drift-back’- ont été menées en mer Egée, impliquant 27.464 réfugiés. Remarquez que ce chiffre concerne uniquement les refoulements en Mer Egée et non pas ceux effectués d’une façon également systématique à la frontière terrestre d’Evros.


    https://forensic-architecture.org/investigation/drift-backs-in-the-aegean-sea

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    Présentation succincte des résultats de l’enquête parue au journal grec Efimérida tôn Syntaktôn (https://www.efsyn.gr/ellada/dikaiomata/352169_pano-apo-1000-epanaproothiseis).

    Plus de 1 000 opérations de refoulements en mer Egée répertoriés et documentés par Forensic Architecture 15.07.2022, 10:26

    Dimitris Angelidis

    L’enquête des groupes Forensic Architecture et Forensis est très révélatrice. ● De mars 2020 à mars 2022, 1 018 cas de refoulement d’un total de 27 464 réfugiés ont été enregistrés, dont 600 ont été recoupés et documentés de façon qui ne laisse aucune place au doute ● « Des preuves d’une pratique assassine qui s’avère non seulement systématique et généralisée, mais aussi bien planifiée émergent », rapportent les deux groupes.

    Plus de 1 000 opérations illégales de refoulement de réfugiés dans la mer Égée, de mars 2020 à mars 2022, ont été enregistrées et documentées par le célèbre groupe de recherche Forensic Architecture et l’organisation sœur Forensis (fondée à Berlin, 2021).

    Les résultats de leurs enquêtes depuis plus d’un an sont aujourd’hui publiés en ligne (https://aegean.forensic-architecture.org ), sur une plateforme électronique qui constitue l’enregistrement le plus complet et le plus valide des refoulements grecs en mer Égée, alors que sa mise à jour sera effectuée régulièrement.

    « Des preuves d’une pratique de meurtre systématique, étendue et bien planifiée émergent », rapportent les deux groupes, notant que le déni des refoulements par le gouvernement grec manque tout fondement.

    Les preuves qu’ils ont croisées et documentées avec des techniques de géolocalisation et d’analyse spatiale proviennent de réfugiés et d’organisations telles que Alarm Phone et l’organisation Agean Boat Report, la base de données Frontex, le site Web des garde-côtes turcs et des recherches open source.

    Il s’agit de 1 018 cas de refoulement d’un total de 27 464 réfugiés, dont 600 ont été recoupés et documentés d’une façon si complète que leur existence ne peut pas être mise en doute. Il y a aussi 11 morts et 4 disparus lors de refoulements, ainsi que 26 cas où les garde-côtes ont jeté des réfugiés directement à la mer, sans utiliser les radeaux de sauvetage (life-rafts) qu’ils utilisent habituellement pour les refoulements, depuis mars 2020. Deux des personnes jetées à l’eau mer ont été retrouvées menottées.

    Dans 16 cas, les opérations ont été menées loin de la frontière, dans les eaux grecques, soulignant « un degré élevé de coopération entre les différentes administrations et autorités du pays impliquées, ce qui indique un système soigneusement conçu pour empêcher l’accès aux côtes grecques », comme le note l’ enquête.

    Frontex est directement impliquée dans 122 refoulements, ayant été principalement chargée d’identifier les bateaux entrants et de notifier leurs présences aux autorités grecques. Frontex a également connaissance de 417 cas de refoulement, qu’elle a enregistrés dans sa base de données sous le terme trompeur « dissuasion d’entrée ».

    Lors de trois opérations le navire de guerre allemand de l’OTAN FGS Berlin a été présent sur les lieux.

    https://www.efsyn.gr/ellada/dikaiomata/352169_pano-apo-1000-epanaproothiseis

    voir aussi la vidéo introductive ici : https://vimeo.com/730006259

    #architecture_forensique #mer_Egée #asile #migrations #réfugiés #push-backs #chiffres #statistiques #Grèce #Turquie #refoulements #gardes-côtes #life_rafts #abandon #weaponization #géolocalisation #recoupement_de_l'information #contrôles_frontaliers #base_de_données #cartographie #carte_interactive #visualisation #plateforme

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    pour voir la plateforme :
    https://aegean.forensic-architecture.org

  • Crimes of Solidarity and Humanitarianism

    https://www.crimesofsolidarity.org
    #délit_de_solidarité #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #database #données #statistiques #chiffres #cartographie #monde #base_de_données #asile #migrations #réfugiés #visualisation

    La base données n’a pas l’air d’être vraiment à jour et fiable, mais l’approche est intéressante, ce qui est évident en regardant la carte pour France/Italie :

  • Bienvenue en #Géozarbie

    #Enclaves, territoires prêtés, zones disputées, #micro-États, île fantasmée... il existe dans le monde quantité de petits bouts de terre aux frontières ou statuts bizarres ! Mêlant anecdotes loufoques et grands moments de l’Histoire, Bienvenue en Géozarbie nous fait découvrir 10 lieux où l’ubuesque se dispute à l’absurde !

    https://www.arte.tv/fr/videos/RC-022365/bienvenue-en-geozarbie

    #géographie #géographie_politique #frontières #absurdité #série #arte #vidéo #ressources_pédagogiques #Absurdistan

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    Le Mont blanc n’est pas en France

    Saviez-vous que l’île de la Conférence est administrée à égalité de temps par deux pays, la France et l’Espagne ? Que la principauté d’Arbézie, à cheval sur la frontière franco-suisse, est… un hôtel-restaurant ? Ou que la France possède des territoires à Jérusalem ?
    Ce sont ces bizarreries géographiques que nous raconte #Olivier_Marchon dans ce livre étonnant qui rassemble des dizaines d’histoires de ce type, des plus tragiques au plus loufoques : de petits morceaux de terre, enclavés, disputés, au statut à part, parfois étrange, qui chacun à leur manière racontent la grande histoire…

    https://www.editionspoints.com/ouvrage/le-mont-blanc-n-est-pas-en-france-olivier-marchon/9782757895757
    #livre

    ping @reka

  • Report a Missing Migrant

    If you know someone who went missing crossing the U.S.-Mexico border, please fill out this form as a first step to submitting a missing persons report with the Colibrí Center for Human Rights.

    If you wish to report someone in the desert who is in need of emergency assistance, please call 911. If you wish to report someone who disappeared in recent days or weeks, please see our “Active Search” guide before filling out the form.

    Once you complete and submit this online form, #Colibrí staff will be in touch with you to take the full report. It may take up to a week for you to receive this call, but you can be sure that Colibrí staff will call you back as soon as possible.

    Colibrí staff take every precaution to ensure the privacy and security of families. The information you report will remain confidential and will only be used to find missing people and help identify people who have died. Colibrí is not a law enforcement agency and does not inquire about immigration status.

    Colibrí does not charge for its services. All of its efforts are completely free for the families.

    If your loved one disappeared crossing the border through California, New Mexico, Texas, or within Mexico, please understand that Colibrí has limited ability to help find your loved one. Even so, Colibrí would like to include you in the Family Network, where you might find support.

    https://colibricenter.org/missing-migrant-form

    #missing_migrants #formulaire #décès #morts #frontières #migrations #réfugiés #database #base_de_données #USA #Mexique #morts_aux_frontières #Colibri #recherche #celleux_qui_restent

  • Refoulements en mer Egée : les recensements erronés ou mensongers de #Frontex
    https://www.lemonde.fr/international/article/2022/04/27/refoulements-en-mer-egee-les-recensements-errones-ou-mensongers-de-frontex_6

    …l’agence européenne de gardes-frontières Frontex a enregistré dans sa base de données plusieurs dizaines de refoulements illégaux comme de simples opérations de « prévention au départ » depuis la Turquie, entre mars 2020 et septembre 2021.

    C’est ce qui ressort d’un fichier interne à Frontex que Le Monde et ses partenaires se sont procurés par le biais d’une demande d’accès public à un document administratif. Toutes les opérations de l’agence sont répertoriées dans cette base de données, baptisée « JORA » (Joint Operations Reporting Application). Y sont consignées aussi bien les interceptions de migrants que les saisies de marchandises de contrebande et les interpellations de passeurs. Des informations détaillées (comprenant l’heure et la date des faits, le nombre de personnes concernées et, parfois, un résumé) fournies à l’agence par les Etats membres.

    […]

    En croisant les données de JORA avec des rapports d’associations ou encore des comptes rendus des gardes-côtes turcs, il apparaît que, dans 22 cas au moins, qui représentent 957 migrants, ceux-ci ont été retrouvés dérivant en mer dans des canots de survie gonflables, sans moteur. D’après des photos que Le Monde et ses partenaires ont pu authentifier, ces canots, de couleur orange, correspondraient à des modèles achetés par le ministère de la marine grec, via un financement de la Commission européenne. Ce qui tendrait à prouver que les migrants ont accédé aux eaux grecques avant d’être refoulés illégalement.

    En outre, à plusieurs reprises, l’enquête a établi que les #migrants avaient atteint les côtes grecques avant d’être retrouvés par les gardes-côtes turcs, dérivant en mer. Ils auraient de cette manière été empêchés de demander l’asile en Grèce, une pratique contraire au #droit_international.

    #crimes

    • Inside Frontex: Die geheime Datenbank der EU – und was sie damit vertuscht

      Die Grenzbehörde der EU war in illegale Pushbacks von Hunderten, wahrscheinlich sogar Tausenden Flüchtlingen in der Ägäis involviert. Die illegalen Praktiken klassifizierte sie regelmässig falsch und verhinderte so ihre Aufklärung.

      Sie hatten es geschafft. In den frühen Morgenstunden des 28. Mai 2021 landete eine Gruppe von Männern, Frauen und Kindern an einem Strand nördlich des Dorfs Panagiouda auf der griechischen Insel Lesbos. Um 3 Uhr in der Nacht waren sie an der türkischen Küste in ein Gummiboot gestiegen, um die Überfahrt nach Europa zu wagen.

      Ganz vorne im hoffnungslos überfüllten Boot hatte Aziz Berati Platz genommen, ein 44-jähriger Mann aus Afghanistan, der mit seiner Frau und seinen Kindern im Alter von 6 und 8 Jahren nach Europa fliehen wollte. Seine Familie hatte es schon ein paar Mal versucht, aber sie war immer gescheitert. An diesem Morgen Ende Mai jedoch war die Familie ihrem Ziel, Asyl in Europa zu beantragen, so nah wie noch nie.

      Die Sonne stand noch nicht am Himmel, als die Flüchtenden griechischen Boden betraten. Sofort teilte sich die Gruppe auf und floh in ein Wäldchen, das rund 200 Meter vom Strand entfernt war. Eigentlich hätten die Flüchtenden das Recht gehabt, in Griechenland um Asyl zu ersuchen. Aber sie fürchteten, die griechische Polizei könnte sie aufgreifen und in die Türkei zurückschaffen.

      Sie sollten recht behalten.

      Einem kleineren Teil der Gruppe gelang die Flucht bis in ein Asylcamp. Aber 32 Personen wurden von uniformierten Männern entdeckt, festgenommen, in Kleinbusse gesteckt und an einen anderen Strand gefahren.

      Aziz Berati vermutet, die Männer seien bereits über ihre Ankunft im Bild gewesen, so schnell waren sie aufgetaucht. Sie trugen dunkle Uniformen ohne Abzeichen, waren maskiert und mit Pistolen bewaffnet, sagt Berati. Sie hätten ihnen alle Habseligkeiten abgenommen: Taschen, Pässe, selbst die Spielsachen der Kinder. Später, als sie auf ein Schiff der griechischen Küstenwache gebracht worden waren, wurden sie noch einmal durchsucht. Dort wurde ihnen auch das Geld abgenommen, das sie versteckt hatten.

      «Wir hatten Angst», sagt Berati heute. «Die Kinder weinten. Aber die Männer sagten uns, wir dürften nicht reden.»

      Wer ein Handy versteckt hielt oder in unerlaubter Weise den Kopf hob, steckte Schläge von den maskierten Männern ein. Ein Mann, der es wagte, mit seiner Frau zu sprechen, schickte der Republik ein Bild seines zerschundenen Beins: Eine blutige Fleischwunde zeugt davon, wie schwer er verprügelt wurde. Einige Smartphones entdeckten die maskierten Männer nicht. Die Fotos schickten die Flüchtenden der NGO Aegean Boat Report, die Menschenrechts­verstösse in der Ägäis sammelt. Sie belegen die mutmasslich schweren Menschenrechts­verletzungen dieses Tages.

      Aziz Berati erzählt, die vermummten Männer hätten ihnen vorgegaukelt, sie würden sie wegen der Covid-Pandemie zuerst in ein Isolations­camp bringen. «Sie sagten, wenn die Isolation zu Ende ist, würden sie uns in ein Flüchtlings­camp schicken.»

      Auf die Frage, ob er ihnen geglaubt habe, lächelt Berati schwach: «Nein.»
      Nur eine «Verhinderung der Ausreise»?

      Der Fall der 32 Migrantinnen, die Lesbos erreichten, aber trotzdem in die Türkei zurückgeschafft wurden, ist ein klarer Fall eines illegalen Pushbacks.

      Auch die europäische Grenzagentur Frontex hatte vom Vorfall Kenntnis und speicherte ihn in ihrer internen Datenbank namens Jora, was für «Joint Operations Reporting Application» steht. In der geheimen Datenbank werden alle Zwischenfälle an den EU-Aussengrenzen minutiös festgehalten. Den Fall vom 28. Mai 2021 legte Frontex allerdings nicht als Pushback ab, sondern unter dem irreführenden und verharmlosenden Begriff prevention of departure – «Verhinderung der Ausreise».

      Der Pushback vom 28. Mai 2021 ist nur ein Beispiel von vielen, welche die Republik in einer gemeinsamen Recherche mit «Lighthouse Reports», der «Rundschau» von SRF, dem «Spiegel» und «Le Monde» aufgedeckt und verifiziert hat.

      Erstmals haben die Medienpartner dabei die interne Frontex-Datenbank Jora auswerten können – und sie mit Datenbanken der türkischen Küstenwache sowie solchen von NGOs abgeglichen. Zudem analysierten sie geleakte Frontex-Dokumente, befragten Überlebende und sprachen vertraulich mit Quellen bei Frontex und Küstenwachen.

      Die Recherche zeigt: Frontex war in illegale Pushbacks von mindestens 957 Menschen beteiligt, die zwischen März 2020 und September 2021 in Europa Schutz suchten. Überwachungs­flugzeuge und Schiffe von Frontex entdeckten die Flüchtenden in Schlauchbooten und informierten die griechische Küstenwache, welche sie auf aufblasbare Rettungs­flosse ohne Motor setzte und auf offenem Meer in türkischen Gewässern zurückliess – eine Praxis, die selbst in einem Frontex-internen Untersuchungs­bericht kritisiert wurde.

      Als Pushbacks gelten staatliche Massnahmen, bei denen Schutzsuchende zurückgedrängt werden, ohne dass ihnen das Recht auf ein Asylverfahren gewährt wird. Pushbacks verstossen etwa gegen das Verbot von Kollektiv­ausweisungen, das in der Europäischen Menschenrechts­konvention festgeschrieben ist; und sie können auch das Non-Refoulement-Prinzip berühren, wonach niemand in ein Land geschickt werden darf, wo ihm ein ernsthaftes Risiko unmenschlicher Behandlung droht.

      In mindestens zwei Fällen waren die Asylsuchenden, darunter Frauen und Kinder, bereits auf einer griechischen Insel gelandet und wurden danach verbotenerweise in türkischen Gewässern ausgesetzt.

      Selbst diese eindeutig rechtswidrigen Fälle sind in der Frontex-Datenbank unter dem Titel «Verhinderung der Ausreise» abgelegt. Zwei Quellen bei Frontex bestätigen, dass illegale Pushbacks in der Ägäis in der Datenbank Jora regelmässig als «Verhinderung der Ausreise» eingetragen wurden.

      Frontex selbst hat stets bestritten, an den illegalen Pushbacks beteiligt zu sein. Die Grenzagentur sagt auf Anfrage: «Frontex gewährleistet und fördert die Achtung der Grundrechte bei all seinen Grenzschutz­aktivitäten. Die Grundrechte stehen im Mittelpunkt aller Aktivitäten der Agentur.» (Die komplette Stellungnahme finden Sie am Ende des Beitrags.)

      Die griechische Küstenwache hält fest, dass die Kategorie «Verhinderung der Ausreise» gewählt werde, wenn die türkische Küstenwache sich um «Zwischen­fälle in ihrer Jurisdiktion kümmere». Das beinhalte auch Fälle, bei denen Flüchtlings­boote von sich aus in türkische Gewässer zurückkehrten, um den Griechen auszuweichen. Sie verweigert die Beantwortung von Fragen, die unter anderem auf türkischen Belegen basieren, da die türkischen Behörden systematisch versuchten, «die immense humanitäre Arbeit der griechischen Küstenwache zu beschädigen». Bezüglich des Pushbacks vom 28. Mai 2021 halten die griechischen Behörden fest, dass die beschriebenen Vorkommnisse nie stattgefunden hätten. (Die komplette Stellungnahme finden Sie am Ende des Beitrags.)

      Medienberichte erhöhten den Druck auf den Frontex-Chef

      Die Zahl der illegalen Pushbacks in der Ägäis hatte im Frühling 2020 markant zugenommen. Das war kein Zufall: Nachdem der syrische Diktator Bashar al-Assad mithilfe Russlands die Angriffe in der Region um Idlib verstärkt hatte, waren in den ersten Monaten des Jahres Zehntausende, wenn nicht Hunderttausende in die Türkei geflüchtet. Doch der türkische Staatschef Recep Erdoğan sagte am 29. Februar 2020: «Es ist nicht unsere Aufgabe, uns um so viele Flüchtlinge zu kümmern.» Er kündigte das vier Jahre vorher abgeschlossene Migrations­abkommen mit der EU auf und öffnete die Grenzen zu Europa.

      Auch aus diesem Grund machten sich im Frühling 2020 immer mehr Menschen über die Ägäis nach Griechenland auf – und wurden immer wieder mit illegalen Pushbacks zurück in die Türkei getrieben.

      Allerdings nahmen gleichzeitig kritische Recherchen und Berichte über Pushbacks und andere Menschenrechts­verletzungen in der Ägäis zu. Vor allem eine Recherche, welche die Investigativ­plattform «Bellingcat» im Oktober 2020 mit «Lighthouse Reports» veröffentlichte, sollte Frontex noch länger beschäftigen.

      Auch wegen der zahlreichen Medienberichte wuchs der Druck auf Frontex und auf Fabrice Leggeri. Der 54-jährige Franzose ist seit 2015 Direktor und der starke Mann der EU-Grenzbehörde.

      Es war der 10. November 2020, als Leggeri sich, seinen Ruf und sein Amt wegen der Pushback-Vorwürfe vor dem höchsten Frontex-Gremium, dem Verwaltungsrat, verteidigen musste. Seither ist die Kritik an ihm nur noch grösser geworden.

      An der Videokonferenz an jenem Tag nahmen rund dreissig Frontex-Verwaltungsräte, ein halbes Dutzend EU-Beamtinnen sowie Leggeri selbst teil. Auch eine Schweizer Vertretung war an der ausserordentlichen Sitzung anwesend, so wie bei allen Sitzungen des Verwaltungsrats. Zum Meeting gedrängt hatte die Kommission der Europäischen Union, die sich nicht nur um den Ruf ihrer Grenzbehörde sorgte, sondern auch – oder vor allem – um den eigenen.

      Es bestehe ein «hohes Reputationsrisiko», sagte eine EU-Beamtin gemäss dem geheimen Protokoll der Konferenz. Dieses und die Protokolle zahlreicher weiterer Verwaltungsrats­sitzungen von Frontex liegen der Republik vor.

      Leggeri stellte an der Konferenz drei Dinge klar:

      Erstens: Frontex habe die sechs Pushbacks, über die «Bellingcat» berichtet hatte, abgeklärt.

      Zweitens: Der Bericht enthalte kaum Fakten. Namentlich zum genauen zeitlichen Ablauf der Vorfälle gebe es keine Angaben.

      Drittens: Es lasse sich nicht folgern, dass Frontex von den Pushbacks gewusst habe – und dass die Behörde in diese verwickelt gewesen sei.

      Das alles geht aus einer Präsentation hervor, die Frontex für die Verwaltungsrats­sitzung vom 10. November 2020 erstellt hatte, sowie aus dem Protokoll dazu. Darin steht geschrieben: «Der Exekutiv­direktor von Frontex bekräftigte, dass es zum gegenwärtigen Zeitpunkt keine Hinweise auf eine direkte oder indirekte Beteiligung der Frontex-Mitarbeiter oder des von den Mitgliedstaaten entsandten Personals an Pushback-Aktivitäten gibt.»

      Leggeris damalige Aussagen wirken heute wie ein Hohn. Oder wie eine Lüge. Denn zumindest in zwei Fällen, über die «Bellingcat» berichtet hat, bestätigen jetzt die Einträge in der Datenbank Jora, dass Frontex – entgegen Leggeris Äusserungen – in die Pushbacks involviert war.

      Leggeri schilderte an diesem Tag seinen Verwaltungsräten auch, wie es im März 2020 zu den Spannungen zwischen der EU und der Türkei kam, wie diese die Menschen plötzlich nicht mehr daran hinderte, nach Europa überzusetzen, und wie sich so «in zwei bis drei Tagen fast 100’000 Personen der EU-Grenze genähert» hätten.

      Dieses Muster kennt man von ihm:

      Leggeri verweist auf eine drohende Massenflucht nach Europa.

      Leggeri bestreitet, dass es Pushbacks gibt. Oder, wenn dem alle Fakten entgegenstehen, dass Frontex in Pushbacks verwickelt ist.

      Leggeri geht Hinweisen auf Pushbacks kaum nach. Ja, noch mehr: Er lässt zu, dass seine Behörde Pushbacks vertuscht.

      Mit anderen Worten: Alles deutet darauf hin, dass dem starken Mann von Frontex die Wahrung der Grundrechte nicht wichtig ist. Oder jedenfalls weniger wichtig als die Sicherung der europäischen Aussengrenze und die Abschottung Europas.

      Was das Vertuschen der Pushbacks in den Jahren 2020 und 2021 begünstigte, war das Meldesystem von Frontex, das mittlerweile angepasst worden sein soll. Damals funktionierte es wie folgt:

      Ein griechischer Beamter erfasste jeden Vorfall an der Grenze zur Türkei in der Frontex-Datenbank Jora. Dort trug er die Eckdaten des Falls ein und ordnete ihn einer der rund dreissig Kategorien zu – etwa der Kategorie «Illegaler Grenzübertritt», «Menschenhandel», «Warenschmuggel», «Asylantrag» oder eben «Verhinderung der Ausreise». Anschliessend prüften zwei weitere griechische Beamte sowie eine Frontex-Mitarbeiterin den Eintrag und segneten ihn ab. Zuletzt landete der Eintrag in der Frontex-Zentrale in Warschau, wo die Jora-Einträge vor allem für statistische Zwecke genutzt werden, etwa für sogenannte Risiko­analysen.

      Nur: Eine Kategorie «Grundrechts­verletzung» oder «Pushback» gab es in der Datenbank nicht. Auch aus diesem Grund klassifizierten die Beamten von Griechenland und der EU die Pushbacks in der Ägäis kurzerhand als «Verhinderung der Ausreise».

      Das führte selbst innerhalb von Frontex zu Kritik. So sagte die interimistische Grundrechts­beauftragte an der Verwaltungsrats­sitzung vom 10. November 2020, sie erachte die Klassifizierung von Pushbacks als «Verhinderung der Ausreise» als «fragwürdig». In einem anderen internen Frontex-Dokument spricht sie davon, dass sie mit dem Begriff «nicht einverstanden» sei, und stellte die Kategorie in einem Fall infrage.

      Auch eine Frontex-interne Untersuchungs­gruppe hatte Kenntnis von der fragwürdigen Praxis. In ihrem Bericht vom 1. März 2021 zu mutmasslichen Pushbacks bezeichnete sie diese Klassifizierung in zwei Fällen, in denen sich die Geflüchteten bereits in griechischen Gewässern befanden, als «widersprüchlich».

      Europäische Grenzbeamte, welche die griechischen Kollegen im Rahmen der Frontex-Operation Poseidon unterstützten, hatten eine andere Möglichkeit, mutmassliche Menschenrechts­verletzungen an Frontex zu melden: als sogenannte serious incidents – «schwerwiegende Vorfälle».

      Dabei gab es vier Unterkategorien. Eine davon: «Mögliche Verletzung von Grundrechten und von internationalen Schutz­verpflichtungen». Diese Fälle sollten in der Regel bei der Menschenrechts­beauftragten von Frontex landen, was allerdings nicht in jedem Fall geschieht.

      Tatsächlich machten europäische Grenzwächter denn auch sehr selten von dieser Möglichkeit Gebrauch. So landeten für das ganze Jahr 2020 lediglich zehn schwerwiegende Zwischenfälle auf dem Tisch der Frontex-Grundrechts­beauftragten; wie viele davon Menschenrechts­verletzungen betrafen, wies Frontex öffentlich nicht aus. In einem internen Dokument der Grundrechts­beauftragten heisst es, acht Fälle hätten Grundrechts­verletzungen betroffen. Das Dokument liegt der Republik vor.

      Mehr noch: Im Dezember 2020 leitete das Europäische Amt für Betrugs­bekämpfung (Olaf) eine Untersuchung gegen Frontex ein. Dabei geht es um Betrugsvorwürfe gegen drei Frontex-Kaderleute, im Zentrum steht der Direktor Fabrice Leggeri. In der Zwischenzeit ist diese abgeschlossen und der Bericht fertig. Aber er bleibt bis auf weiteres unter Verschluss.

      Die niederländische EU-Parlamentarierin Tineke Strik, die über die Untersuchungs­ergebnisse informiert worden ist, sagt: «Olaf fand mehrere Fälle, bei denen serious incident reports über mutmassliche Pushbacks nicht an den Grundrechts­beauftragten von Frontex weitergeleitet worden waren.»

      Spätestens an dieser Stelle ist ein kurzer Exkurs ins Grund-, Asyl- und EU-Recht nötig. Die europäische Grenzbehörde Frontex verteidigte ihr Vorgehen nämlich immer wieder mit dem Verweis auf die EU-Verordnung 656/2014. Deren Artikel 6 sei rechtliche Grundlage dafür, dass Griechenland Boote mit Asylsuchenden in die Türkei zurückdrängen dürfe.

      Allerdings stehen dieser Verordnung zahlreiche andere Rechtsnormen entgegen. Die wichtigste: die Allgemeine Erklärung der Menschenrechte, welche die Uno 1948 verabschiedet hat. In deren Artikel 14 heisst es: «Jeder hat das Recht, in anderen Ländern vor Verfolgung Asyl zu suchen und zu geniessen.»

      Rechtswissenschaftlerinnen aus dem In- und Ausland erklären, dass eine Bestimmung des Völkerrechts selbstredend wichtiger sei als eine aus einer EU-Verordnung. Frontex selbst weist hingegen auf ein noch ungeklärtes Verhältnis zweier unterschiedlicher Rechtsnormen hin, gewissermassen ein juristisches Schlupfloch, womit Pushbacks nicht in jedem Fall illegal seien.

      Die Juristin Nula Frei ist Expertin für Migrations- und Europarecht an der Universität Fribourg. Sie sagt: «Sobald eine Person irgendwie zu erkennen gibt, dass sie Schutz braucht, muss man ihr die Möglichkeit geben, in ein Asylverfahren hineinzukommen.»

      Würden die Migrantinnen aus Griechenland in die Türkei zurückgedrängt und auf Rettungsinseln ausgesetzt, sei das nicht nur ein Pushback, «es ist auch noch ein Aussetzen in einer Notlage, was völkerrechtlich höchst problematisch ist».
      Neun Frontex-Sitzungen, eine Schweizer Äusserung

      Am 2. März 2022 warben Bundesrat Ueli Maurer und Bundesrätin Karin Keller-Sutter an einer Medienkonferenz in Bern für Frontex. Die Grenzbehörde der EU soll in den nächsten fünf Jahren von rund 1500 auf rund 10’000 Beamte ausgebaut werden; dafür braucht es eine deutliche Erhöhung des Budgets auf mehr als fünf Milliarden Franken.

      Weil die Schweiz Schengen- und damit auch Frontex-Mitglied ist, soll sie 61 Millionen Franken an diesen Ausbau zahlen. Das Parlament hatte den Beitrag im letzten Oktober bewilligt. Weil ein Komitee aber das Referendum ergriff, kommt die Vorlage am 15. Mai zur Abstimmung.

      Wer Ueli Maurer am 2. März reden hörte, staunte nicht schlecht. In der Vergangenheit hatte sich der SVP-Bundesrat kaum je für Grund- und Menschenrechte eingesetzt. Dieses Mal schon. Zu den Pushbacks von Frontex sagte er: «Es gibt da nichts zu beschönigen. Es gab hier Verstösse, die wir nicht akzeptieren wollen und nicht akzeptieren können.»

      Genau aus diesem Grund aber müsse die Schweiz, so Maurers überraschendes Argument, bei Frontex mitmachen und sich am Ausbau beteiligen: «Wir versuchen hier alles, um die Qualität zu stärken. Die Frage des Referendums ist vielleicht einfach die: Schauen wir weg, Augen zu, Ohren zu und Mund zu (…), oder greifen wir dort mit ein und setzen uns dort für Verbesserungen ein, wo das notwendig ist? Ich glaube, die Rolle der Schweiz ist es, für diese Verbesserungen zu sorgen.»

      Noch deutlicher wurde am 2. März Marco Benz, der Grenzbeamte des Bundes, der die Schweiz im Verwaltungsrat von Frontex vertritt. «Im Management-Board», sagte er, «werden diese Themen wie insbesondere die Einhaltung des Grundrechts­schutzes permanent thematisiert.» Dort habe die Schweiz die Möglichkeit, ihre Anliegen einzubringen. «Und das ist ein zentrales Anliegen der Schweiz, dass ebendieser Grundrechts­schutz eingehalten wird.»

      Überdies betonte Benz, dass eine Vertreterin der Schweiz Mitglied der Frontex-Arbeitsgruppe war, die verschiedene Pushback-Fälle aufarbeitete.

      Was Benz nicht sagte: Die Arbeitsgruppe kam nur wegen der Pushback-Vorwürfe der Medien zustande. Und sie hatte bloss einen sehr beschränkten Auftrag. Ziel der Untersuchungs­gruppe war es laut internen Sitzungs­protokollen, Klarheit über die Vorfälle zu schaffen. Dagegen war eine «Interpretation, ob das richtig oder falsch war», ausdrücklich unerwünscht, wie es im Mandat der Untersuchungs­gruppe heisst.

      Entsprechend fiel das Ergebnis aus: 8 von 13 Vorfällen wurden bereits in einem vorläufigen Bericht ausgesondert. Bei 6 davon begründete die Untersuchungs­gruppe den Ausschluss damit, dass sich die Vorfälle in türkischen Küstengewässern abgespielt hätten und damit nicht als potenzielle Grundrechts­verletzung infrage kämen.

      Eine zumindest streitbare Behauptung, da man davon ausgehen kann, dass die Flüchtenden, die häufig in überfüllten und seeuntauglichen Booten über die Ägäis fuhren, in Europa Asyl beantragen wollten, aber in vielen Fällen vor Grenzübertritt von Frontex entdeckt und von der griechischen Küstenwache daran gehindert wurden.

      Dass die griechische Küstenwache dabei auch zu fragwürdigen Methoden greift, zeigt ein Zwischenfall, der sich am 27. Juli 2020 ereignete.

      An diesem Tag entdeckte ein dänischer Helikopter, der im Rahmen der Joint Operation Poseidon die Ägäis überwachte, in den frühen Morgenstunden ein Gummiboot, das sich in griechischen Gewässern südlich der Insel Chios befand. Die griechische Küstenwache übernahm den Fall, nahm die Migrantinnen auf dem Boot aber nicht an Bord, sondern drängte sie ab und verständigte die türkischen Kollegen, die sie zurück in die Türkei brachten.

      Die Griechen sollen daraufhin die Dänen aufgefordert haben, ihren Bericht so zu ändern, dass sie das Flüchtlings­boot nicht in griechischen, sondern in türkischen Gewässern entdeckt hätten, womit – zumindest in den Augen von Frontex und der griechischen Küstenwache – kein Pushback vorläge.

      Die Dänen aber weigerten sich und reichten einen serious incident report ein mit Verdacht auf eine mutmassliche Grundrechts­verletzung.

      Die Griechen stritten das ab (die Flüchtenden hätten von sich aus den Kurs in Richtung Türkei geändert) und verteidigten sich damit, es habe ein Missverständnis in der Kommunikation vorgelegen.

      Auch diesen Fall legte Frontex in der internen Datenbank Jora als «Verhinderung der Ausreise» ab.

      Und obwohl die griechische Küstenwache ihren Fallbeschrieb in der internen Datenbank Mitte Februar aufgrund des serious incident report anpasste und präzisierte, kam die Frontex-interne Untersuchungs­gruppe, der auch die Schweizer Vertreterin angehörte, zum Schluss: Man habe den Fall nicht ausreichend klären können.
      Grossflächig geschwärzte Dokumente

      Auch im Frontex-Verwaltungsrat hielt sich das Engagement der Schweiz für die Wahrung der Menschen­rechte in engen Grenzen. Im Jahr 2020, als es in der Ägäis zu zahlreichen Pushbacks kam, tagte das Management-Board neun Mal. Die Schweizer Vertretung äusserte sich aber lediglich vereinzelt zu Grundrechtsfragen.

      Einmal geschah das an der Sitzung vom 10. November 2020. Im Protokoll dazu heisst es: «Die Schweiz sagte, dass alle Anschuldigungen in den Medien sehr ernst genommen werden sollten (…). Sie vertrat die Auffassung, dass der weitere Umgang mit diesen Vorwürfen eine klare Strategie erfordert, da sonst das Image der Agentur leiden könnte.» Es ging um Grundrechte – aber vor allem um den Ruf von Frontex.

      Das Bundesamt für Zoll und Grenzsicherheit (BAZG) sagt auf Anfrage, diese Darstellung sei «grundlegend falsch». Auf Nachfrage präzisiert die Bundesbehörde, sie habe sich zu späteren Zeitpunkten im Jahr 2021 und auch im laufenden Jahr «wiederholt zum Thema Grundrechte geäussert», sich direkt an Frontex-Direktor Leggeri gewandt und «schriftliche Eingaben» gemacht. Die Interventionen seien jedoch «vertraulich und können nicht herausgegeben werden». «Schliesslich geben wir zu bedenken, dass sich Grundrechts­politik nicht anhand von Sitzungsberichten qualifizieren lässt.»

      Was die Recherche der Republik und ihrer Partnermedien zeigt: Bei Frontex und deren Mitgliedstaaten blieb vieles lang im Dunkeln.

      Dieser Eindruck wurde durch die Schweizer Behörden zumindest nicht entkräftet. Die Republik hatte das BAZG schon vor mehreren Monaten um Einsicht in Dokumente gebeten, welche die Rolle der Schweiz in der EU-Grenzbehörde beleuchten. Dazu stellte die Republik ein umfassendes Gesuch im Rahmen des Öffentlichkeits­gesetzes und forderte Einblick in Einsatzpläne, Korrespondenzen, Aktennotizen, Einsatz­berichte, Arbeits­verträge, Unterlagen zum Schweizer Engagement in Sachen Menschenrechte.

      Vordergründig gab sich die Behörde auskunftsbereit und lud mehrmals zu Treffen, um das Gesuch einzugrenzen, zu präzisieren und letztlich einfacher bewältigbar zu machen. Tatsächlich aber rückte es bis jetzt nur einzelne und zudem grossflächig geschwärzte Dokumente heraus.

      Die Schweizer Rolle in Frontex – sie bleibt in einer Blackbox.
      Noch einmal zurück zum 28. Mai 2021

      Am 28. Mai 2021, kurz nach 13 Uhr, erblickte Aziz Berati ein Schiff der türkischen Küstenwache. Es war kurz zuvor darüber verständigt worden, dass ein Rettungs­floss im Meer treibe. Auf einem Bild, das die türkische Küstenwache später veröffentlichte, ist Berati auf dem Rettungsfloss zu sehen, gemeinsam mit einem seiner Kinder. Eine Person hielt die Hand in die Höhe: Hilfe!

      Kurz darauf machten drei Männer der türkischen Küstenwache das Floss an ihrem Schiff fest. Sie trugen schwarze Schutzanzüge, Handschuhe und blaue Mützen. Dann holten sie einen kleinen Jungen vom Boot. Er war vielleicht drei Jahre alt.

      Es folgten weitere Kinder, Frauen, Männer: 32 Personen insgesamt, die frühmorgens von der Türkei nach Lesbos aufgebrochen und es geschafft hatten.

      Trotzdem verwehrte man ihnen das Recht auf ein Asylverfahren in Europa. Stattdessen wurden sie festgenommen, unter Vorspiegelung falscher Tatsachen weggebracht und schliesslich auf offenem Meer ausgesetzt.

      Die türkische Küstenwache meldete den Fall als Pushback. So wie sie es fast jeden Tag tut.

      Frontex hingegen deklarierte den Fall als «Verhinderung der Ausreise». So wie sie es sehr häufig tut.

      Ein Offizier der griechischen Küstenwache sagt dazu: «Warum nennen sie es nicht einfach Pushbacks und bringen es hinter sich?»

      Aziz Berati lebt heute mit seiner Familie in der Türkei. Bisher hat er die Flucht nicht wieder gewagt. Noch nicht.

      Wenn er an den 28. Mai 2021 denkt, wird er wütend und traurig. Man habe ihn, seine Familie und seine Begleiterinnen unmenschlich behandelt – «bloss weil wir illegal über die Grenze gehen wollten».

      «Es ist kein Verbrechen, Schutz zu suchen», sagt Berati. «Sie hätten sich wenigstens anständig verhalten können, uns mit ein wenig Menschlichkeit begegnen.»

      Beratis Kinder weinten, als die griechischen Küstenwächter die Migrantinnen aufforderten, über eine grosse Leiter auf ein Rettungsfloss zu steigen. Sie hatten Angst. Ein Mann wollte sich weigern, da stiessen ihn die Küstenwächter, sagt Berati. Er wäre beinahe ins Wasser gefallen.

      Dann trieben die Menschen rund zwei Stunden auf offenem Meer – ohne Sonnenschutz, ohne Gepäck, ohne Motor.

      https://www.republik.ch/2022/04/27/inside-frontex-die-geheime-datenbank-der-eu

      #push-backs #refoulements #asile #migrations #réfugiés #Frontex #Egée #mer_Egée #Grèce #prévention_au_départ #statistiques #Joint_Operations_Reporting_Application #JORA #base_de_données #opération_Poseidon #mensonge

  • Enquête sur l’écofascisme : comment l’extrême droite veut récupérer l’écologie
    https://reporterre.net/Enquete-sur-l-ecofascisme-comment-l-extreme-droite-veut-recuperer-l-ecol

    En 2016, un des pontes du survivalisme, Piero San Giorgio, déclarait que la véritable nature des Européens, « c’est d’être un Waffen SS, un lansquenet, un conquistador... ». Il ajoutait qu’« on fait en sorte que des gens qui n’auraient pas dû exister existent... on sauve les malades, les handicapés... c’est très bien, ça donne bonne conscience, mais c’est pas comme ça qu’on construit une civilisation, c’est comme ça qu’on la détruit ».

    Son livre Survivre à l’effondrement économique s’est très largement vendu et a été traduit en dix langues. Dans ses ouvrages, il théorise le concept de « base autonome durable » (BAD) comme moyen de survie. Selon lui, il faut acquérir des propriétés dans des zones rurales afin d’y établir des bases retranchées autosuffisantes tant au niveau alimentaire qu’énergétique, avec de quoi tenir une période difficile, pour participer à une guerre civile qu’il juge inéluctable.

    Piero San Giorgio organise avec le fasciste Alain Soral et son association Égalité et Réconciliation des stages de survie dans le sud de la France près de Perpignan (Pyrénées-Orientales). Il a aussi assuré la promotion d’articles de survivalisme sur le site de commerce en ligne Prenons le maquis d’Alain Soral, dont il a été partenaire et actionnaire. Une affaire florissante. Alain Soral lui-même s’est installé à la campagne. Il a acheté à Ternant, dans la Nièvre, une ferme au lieu-dit La Souche. À l’extrême droite, plusieurs militants ont fait le choix d’un retour à la terre ou, du moins, d’une vie loin des métropoles. Ce repli à la campagne est vu comme une première étape, avant de repartir à la reconquête du territoire.

    #écofascisme

    • il me semble indispensable de rappeler que Reporterre contribue à sa façon au brouillage et à la confusion, en distillant depuis sa création des thèses conspis.

      je relève ici, sans confiance exagérée dans cette source
      http://forum.anarchiste.free.fr/viewtopic.php?f=12&t=9487

      - Le micro-parti fascisant La Dissidence et son leader Vincent Vauclin : reporterre.net/spip.php ?article2201
      – Etienne Chouard, à deux reprises (dont une des toutes premières interviews du site) : reporterre.net/spip.php ?article15 reporterre.net/spip.php ?article1651
      – ReOpen911 : reporterre.net/spip.php ?page=recherche&recherche=reopen
      – Michel Collon et ses amis : reporterre.net/spip.php ?page=recherche&recherche=collon
      – Le site rouge-brun Le Grand Soir, encore très récemment : reporterre.net/spip.php ?page=recherche&recherche=legrandsoir
      – Le complotiste Thierry Meyssan, qu’on ne présente plus : reporterre.net/spip.php ?article130
      – Une large collection d’indinaiseries : reporterre.net/spip.php ?page=recherche&recherche=indign%C3%A9s
      – Des leçons de morale productiviste de François Ruffin, tenancier de Fakir et qui promeut dans son journal la revue rouge-brune Bastille-République-Nations ou dans le dernier film de Pierre Carles les thèses de Jacques Cheminade ou de Nicolas Dupont-Aignan : reporterre.net/spip.php ?article2836
      – Des « analyses » complotistes sur le virus H1N1, la pire étant sans doute celle fournie par le climato-sceptique (sur un site écolo, bravo...) américain Frederick William Engdahl, collaborateur de Russia Today mais aussi de la revue d’extrême droite italienne Eurasia, analyse que Reporterre a été copier sur le site Oulala.net de René Balme et sur Mondialisation.ca de Michel Chossudowsky : reporterre.net/spip.php ?article549
      – Une promotion du numéro d’octobre 2012 de la revue pourtant d’ordinaire plus regardante Silence !, dans lequel on trouve une interview du compagnon de route des négationnistes Jean Bricmont, qui se voit donc par ricochet promu sur Reporterre : reporterre.net/spip.php ?article3282
      – etc.

      d’autre part un site ReOpen911 écrit

      Hervé Kempf a donné la parole à des membres de l’association sur Reporterre, « le quotidien de l’écologie »

      Reporterre semble avoir supprimé des pages. par exemple si je cherche « 911 », j’obtiens au mieux un honorable « Notre Dame des Landes : le mystère des 911 millions ». peut-être est-ce un retour à davantage de logique ? cela aurait pu faire l’objet dune article. je ne cherche pas davantage. cela relève sous cette forme d’une suspicion dont je n’apporte pas des preuves, sorry.

      mais il y a ce témoignage de Cabrioles que j’estime digne de confiance
      https://twitter.com/CabriolesDouze/status/1437096521670045696

      On demande, parcequ’à la Fête du Vent, Célia Izoard [de Reporterre] nous a parlé positivement des désinformateurs patentés Christian Vélot et Laurent Mucchieli, tout en nous soufflant qu’on ne pouvait plus parler de tout

      ça pue. Kempf a le droit d’apprendre, si ce n’est que ça. qu’ils balayent et aèrent chez eux, ce serait écolo.

      lire les MMS ne se fait pas sans préventions diverses, sinon, ce serait ballot. je pense qu’il faut qu’il en soit de même avec Reporterre, dans un registre tout à fait honteux.

      l’analogie avec le rapport de corruptions intellectuelles et politiques complémentaires pharma / vendeurs de santé par la nature et l’esprit (cf divers sens récents) peut aider.

      #Reporterre

    • Il est vrai que Gaspard d’Allens, l’auteur de

      et de Les Néo-Paysans et Bure, la bataille du nucléaire est un Confusionniste-Covidonégationniste, Complotiste et Conspirationniste bien connu ! :p
      #Gaspard-d’Allens

      Pour revenir à son enquête sur l’écofascisme :

      Cette vision correspond à ce que le philosophe Malcom Ferdinand désigne sous le nom « d’écologie de l’arche de Noé ». Par écofascisme, il faudrait entendre une politique désireuse de préserver les conditions de vie sur Terre, mais au profit exclusif d’une minorité, blanche de surcroît.

      « Embarquer sur l’arche de Noé, c’est d’abord acter d’un point de vue singulier, d’un ensemble de limites tant dans la charge que peut supporter la Terre que dans la capacité de son navire. Monter sur l’arche de Noé, c’est quitter la Terre et se protéger derrière un mur de colère. C’est adopter la survie de certains humains et non humains et légitimer le recours à la sélection violente de l’embarquement », écrivait le chercheur dans son livre Une écologie décoloniale .

    • Je ne trouve pas que l’extrême droite « récupère » l’écologie. Comme l’article l’évoque rapidement, il y a des racines (si je puis dire) écologistes assez profondes au sein de l’extrême droite. Bien entendu ce n’est pas l’écologie que je défends. Je pense que les écologistes de gauche ont tout intérêt à comprendre cette écologie d’extrême droite pour justement ne pas tomber dans ses travers, à savoir l’appel à la « Nature » qui serait au dessus de tout, le retour à une vie « sauvage » où les plus faibles n’auraient pas leur place... Bref, tout ce qui a fondé en partie l’idéologie du parti Nazi. Quand j’entends des écolos supposés de gauche défendre leur immunité naturelle contre le vaccin ou bien fustiger tout progrès scientifique (voire même la démarche scientifique en général), cela doit interpeller.

      Pour ce qui est de reporterre, je pense aussi que c’est assez confus, et le propre du confusionnisme @marielle c’est de publier des bons articles comme celui-ci (avec un auteur probablement irréprochable) en compagnie d’autres articles beaucoup plus problématiques. Rappelons que le fascisme, ça commence souvent par la confusion et l’incohérence.

    • Pour rebondir ce que dit @alexcorp, c’est notamment la mouvance aussi appelée #deep_ecology provenant des Etats-Unis et liée à un certain mouvement biorégionaliste, dont un des textes fondateurs est cet article de Diffenderfer & Birch (1994) :
      « Bioregionalism : a comparative study of the Adirondacks and the Sierra Nevada »

      https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/08941929709381006

      –-> j’en avais touché un mot dans ma thèse :
      Linking up the Alps. How networks of local political actors build the pan-Alpine region
      https://www.peterlang.com/document/1053220

      Si quelqu’un·e est intérssé·e, je peux copier-coller le passage où je parle de cela...

      #biorégionalisme

    • oui, le filon sacralisation de « la nature » et de ses lois est bien là (voir la critique anthropologique de Marshall Sahlins : La nature humaine, https://seenthis.net/messages/141301), mais pas seulement

      La plupart des discours écologistes veulent se situer au-delà des vieux clivages politiques en énonçant les conditions de survie de la planète, mais ils court-circuitent ainsi la question du sujet politique : quelles forces combattantes, quelles formes de lutte peuvent faire de l’écologie la cause de tous et non celles d’experts s’en remettant au bon vouloir des maîtres du monde ? Jacques Rancière

      https://seenthis.net/messages/944724

      Accorder tant aux maîtres du monde comporte inévitablement son versant complotiste :

      Le complotisme fonctionne sur une conception de l’Etat assez banale, fondatrice de l’idéologie juridique et démocratique, mais qui est notre lot de tous les jours. Il y aurait d’une part le pouvoir d’Etat, de l’autre l’appareil d’Etat ou la « machine d’Etat » comme la désigne Marx. Le problème réside en ce que l’appareil d’Etat qui matérialise dans ses organes, leur division, leur organisation, leur hiérarchie, le pouvoir d’Etat d’une classe (et une seule) est à la fois organisation de la classe dominante (comme pouvoir d’Etat détenu par la fraction momentanément hégémonique de la classe dominante pour le compte de l’ensemble de cette classe) et organisation de toute la société sous la domination de cette classe. Mais, si d’un côté, l’Etat du mode de production capitaliste réalise complètement la fusion de ces deux fonctions2, de l’autre il devient la nécessité « naturelle » de toute reproduction sociale. Alors que ce sont leur division même et leur séparation fondamentale (réelle et idéologique) des rapports de production qui en font les organes d’un appareil d’Etat nécessairement appareil de classe (voir Marx, La Guerre civile en France), tous les organes de l’appareil d’Etat (armée, police, administration, tribunaux, parlement, bureaucratie, éducation, aide sociale, information, partis, syndicats, etc.) n’apparaissent plus que comme des instruments pliables à la volonté de ceux qui en sont les maîtres. De cette double fonction de l’appareil d’Etat (non pas deux fonctions, mais fonction double) comme dictature d’une classe et reproduction de toute la société naissent à la fois leur fusion et la neutralité des organes. Pour le complotiste, répondant par là à la pensée spontanée, ces organes sont neutres et non, dans leur existence même et leur forme, ceux d’une dictature de classe. En conséquence, s’ils ne fonctionnent pas « comme ils devraient », comme un « service public », comme un « bien commun », c’est qu’ils sont préemptés, détournés et pervertis par une clique, une caste. Le #complotiste est le #citoyen_idéal.

      Complotisme en général et pandémie en particulier
      https://dndf.org/?p=19292

    • Le fascisme, ça commence souvent par la confusion et l’incohérence.

      Ma définition du fascisme préférée, la voici :

      En quelques mois, ils [ les dignitaires démocrates-chrétiens ] sont devenus des masques funèbres. C’est vrai, ils continuent à étaler des sourires radieux d’une sincérité incroyable. Dans leurs pupilles se grumèle un vrai, un béat éclat de bonne humeur, quand ce n’est pas celui, goguenard, du mot d’esprit et de la rouerie. Ce qui, semble-t-il, plaît autant aux électeurs que le vrai bonheur. En outre, nos dignitaires continuent imperturbablement d’émettre leurs verbiages incompréhensibles où flottent les flatus vocis de leurs habituelles promesses stéréotypées.

      En réalité, toutes ces choses sont bel et bien des masques. Je suis certain que, si on les enlevait, on ne trouverait même pas un tas d’os ou de cendres : ce serait le rien, le vide.

      L’explication est simple : il y a, en réalité, aujourd’hui en Italie un dramatique vide du pouvoir. Mais c’est ceci qui compte : pas un vide du pouvoir législatif ou exécutif, pas un vide du pouvoir de direction, ni, enfin, un vide du pouvoir politique dans n’importe quel sens traditionnel ; un vide du pouvoir en soi.

      Il est probable qu’en effet le « vide » dont je parle soit déjà en train de se remplir, à travers une crise et un redressement qui ne peuvent pas ne pas ravager tout le pays. L’attente « morbide » d’un coup d’Etat en est, par exemple, un indice. Comme s’il s’agissait seulement de « remplacer » le groupe d’hommes qui nous a effroyablement gouvernés pendant trente ans, en menant l’Italie au désastre économique, écologique, urbaniste, anthropologique ! En réalité, le faux remplacement de ces « têtes de bois » par d’autres « têtes de bois » (non pas moins, mais encore plus funèbrement carnavalesques), réalisé par le renforcement artificiel du vieil appareil du pouvoir fasciste, ne servirait à rien (et qu’il soit clair que, dans un tel cas, la « troupe » serait, de par sa composition même, nazie). Le pouvoir réel, que depuis une dizaine d’années les « têtes de bois » ont servi sans se rendre compte de sa réalité – voilà quelque chose qui pourrait avoir déjà rempli le « vide » (en rendant également vaine la participation possible au gouvernement du grand pays communiste qui est né au cours de la dégradation de l’Italie : car il ne s’agit pas de « gouverner »). De ce « pouvoir réel », nous nous faisons des images abstraites et, au fond, apocalyptiques : nous ne savons pas quelles formes il prendrait pour directement remplacer les serviteurs qui l’ont pris pour une simple « modernisation » de techniques.

      Pier Paolo Pasolini

      http://www.amboilati.org/chantier/pier-paolo-pasiloni-la-disparition-des-lucioles
      https://seenthis.net/messages/885747

      Et ces masques funèbres du pouvoir du vide ne vous rappellent pas ces « têtes de bois » macronardes, fascisantes qui nous gouvernent aujourd’hui ! @alexcorp

      C’est vous qui êtes confus et non Reporterre !

      https://blogs.mediapart.fr/julien-schickel/blog/110517/au-pays-du-mensonge-deconcertant-rien-narrive-jamais

      Au pays du mensonge déconcertant, on a oublié que Pier Paolo Pasolini nous avait prévenu que « sous couleur de démocratie, de pluralité, de tolérance et de bien-être, les autorités politiques, inféodées aux pouvoirs marchands, ont édifié un système totalitaire sans pareil » et que « le centre s’est assimilé tout le pays… Une grande œuvre de normalisation parfaitement authentique et réelle est commencée et elle a imposé ses modèles : des modèles voulus par la nouvelle classe industrielle, qui ne se contente plus d’un « homme qui consomme » mais qui prétend par surcroît que d’autres idéologies que celle de la consommation sont inadmissibles. » On a oublié qu’il appelait cela, par défi, le nouveau fascisme.

      https://seenthis.net/messages/598174

      Pier Paolo Pasolini, un complotiste bien connu aussi !

    • @alexcorp se justifier parfois par le concept philosophique de « Nature » ne veut pas dire quoi que ce soit comme lien avec l’écologie. En l’occurrence, comme l’ont montré Jacques Ellul et d’autres, le nazisme est fondamentalement une idéologie industrialiste et technocratique. Donc ce n’est pas vraiment le bon exemple il me semble. (Les biorégionalistes là c’est plus mélangé, il y a assez vite eu à la fois des anars et des fachos il me semble.)

    • @rastapopoulos le nazisme est un patchwork extrêmement confus, avec une part fort d’ésotérisme et d’occultisme (qui a participé à son succès) et pendant qu’il y avait une forte industrie, essentiellement de guerre, il y avait aussi des champs en biodynamie (mis en place dans les camps...). Et le philosophe nazi le plus connu, Heidegger, était plutôt anti-technique.

    • Nous y voilà @alexcorp

      le nazisme est un patchwork extrêmement confus, avec une part fort d’ésotérisme et d’occultisme.

      J’avais reposté un long article de Stéphane François paru sur #laspirale : « Un fantasme historique : l’occultisme nazi » passé inaperçu par ici.
      https://laspirale.org/texte-612-stephane-francois-un-fantasme-historique-l-occultisme-nazi.html
      https://seenthis.net/messages/793112


      #occultisme #mysticisme #nazisme #écologisme #paganisme

    • @vanderling Loin de moi l’idée de fantasmer sur l’occultisme nazi. Je voulais surtout signaler les liens entre nazi et des théories fumeuses, du style de celles de l’anthroposophie (cf cet article par exemple https://www.monde-diplomatique.fr/2018/07/MALET/58830), qui proposent souvent un rapport à la « nature » (et à l’agriculture) assez... étonnant. Tout l’appareil nazi n’était pas dans cette dynamique, du reste l’article que tu postes parle bien du changement de paradigme quand Hess a été éjecté.

    • Dénoncer l’écofascisme c’est très bien ! Mais n’oublions pas de dénoncer aussi le #néofascisme car la politique de Macron n’est pas un rempart, C’est Déjà le fascisme !
      Alors discréditer Reporterre en le qualifiant de confusionniste, je dirais que c’est plutôt dérisoire, se battre contre tous les fascismes y compris celui de la Macronie c’est mieux !
      https://seenthis.net/messages/947672

      Dernières nouvelles du Président des flics


      La dernière loi sécuritaire du gouvernement et un coup d’œil dans le rétroviseur de ce quinquennat confirment qu’il est aussi (surtout ?) le Président des flics.

      Sinon les articles de Jean-Baptiste Malet sur le site du Diplo
      sont toujours excellents.
      Voir aussi Frugalité et marketing le système Pierre Rabhi
      https://seenthis.net/messages/722249

      Je rappelle aussi que Reporterre, ainsi que d’autres médias,
      soutient Nantes Révoltée sur le point d’être dissout par Darmanin.
      https://seenthis.net/messages/947660

    • le néofascisme s’alimente et s’alimentera de l’impérieuse nécessité de répondre à une pluie de phénomènes mortifères et destructeurs découlant de la crise écologique (modèle actuel le plus saillant : la pandémie) et ces réponses seront factices (greenwashing), nationalistes dune façon ou dune autre (voir le néodarwinisme quittait dire : de toute façons il ya trop de monde sur terre, que crèvent ces pesant « surnuméraires » inventés pour l’occasion) et fondamentalement capitalistes donc centralisatrices (autoritaires : le nucléaire est paradigmatique de la production pour la production, inévitablement centralisée, quand bien même elle s’annonce et se rêve aujourd’hui en réseau réticulaire de micros centrales), s’appuient et s’appuieront sur une naturalisation des questions sociales et environnementales (bye bye l’écologie sociale et l’écologie mentale). la loi de la nature et la souveraineté qu’il faut pour l’imposer, aussi contradictoire que cela puisse être dans un composé d’archaïsme et de modernité comme toute transformation radicale aussi progressive soit-elle, comme le nazisme primitiviste païen, voire animiste (un autre appel de la forêt pour déboucher sur la clairière de l’âme) et industrialisme forcené exaltant ce que l’industrie a fait de mieux à l’orée du court Vingtième siècle, la guerre (Junger avec Orages d’acier prépare le nazisme, et qu’il n’y souscrive pas ensuite est secondaire).

      le scientisme revêt plusieurs visages. le caractère scientifique de l’écologie en fait le support éventuel d’un gouvernement par des "experts s’en remettant au bon vouloir des maîtres du monde" (JR).

      Hervé Kempf (et ses ami.es), avec ses tweets QAnonnisés (la presse ne nous dit rien, vous me suivez ? "Il est déconcertant que la presse française ne dise quasiment rien de ce qui se passe à Ottawa depuis plusieurs jours". https://twitter.com/KEMPFHERVE/status/1488864939414593542) n’est qu’un épiphénomène, abject. mais il relève bien de ces simplifications (complotistes) qui font litière de toute capacité d’analyse émancipée, critique. ce n’est pas rien, il faut le considérer en tant que tel.

      ne pas lire Le Monde, nid d’agents des services (spécialement à l’international) et organe transgouvernemntal, ne pas lire Mediapart promoteur d’une République foncièrement antisociale et policière, quelque soient les bisounouseries sur les pauvres et les invisibles qui peuvent le meubler, ne pas lire le Monde diplo, organe d’un campisme acritique, ne pas lire Reporterre faisant chorus avec Arkana et QAnon, c’est pas la question. il est possible, généreusement, de dire que dans chacun de ces cas, le ver est dans le fruit, et croquer ce qui peut l’être pour un libre usage.

      #néofascime #écologie_politique

  • Tecnologie per il controllo delle frontiere in Italia: identificazione, riconoscimento facciale e finanziamenti europei


    Executive summary

    L’utilizzo documentato di un sistema di riconoscimento facciale da parte dell’amministrazione comunale di Como o da parte della Polizia di Stato italiana ha aperto anche in Italia il dibattito su una tecnologia che all’estero, già da tempo, si critica per la sua inaccuratezza algoritmica e per la poca trasparenza. Un tema sicuramente preoccupante per tutti ma che certamente assume caratteristiche ancor più pericolose quando interessa gruppi o individui particolarmente vulnerabili come migranti, rifugiati e richiedenti asilo. In questo caso i dati e le informazioni sono processati da parte di agenzie governative a fini di sorveglianza e di controllo, con tutele assai minori rispetto ai cittadini europei ed italiani. Ciò comporta un grande rischio per queste persone poiché le procedure di identificazione al loro arrivo in Italia, effettuate all’interno degli hotspot, rischiano di essere un’arma a doppio taglio per la loro permanenza nel nostro Paese (o in Europa), determinando uno stato di sorveglianza continuativa a causa della loro condizione. Ancora una volta alcune categorie di persone sono costrette ad essere “banco di prova” per la sperimentazione di dispositivi di controllo e sorveglianza, a dimostrazione che esistono e si reiterano rapporti di potere anche attraverso la tecnologia, portando alla creazione di due categorie distinte: chi sorveglia e chi è sorvegliato.

    Da questa ricerca emerge che le procedure di identificazione e categorizzazione dei migranti, rifugiati o richiedenti asilo fanno ampio utilizzo di dati biometrici—la polizia italiana raccoglie sia le impronte digitali che la foto del loro volto—ma non è sempre facile comprendere in che modo vengano applicate. Nel momento in cui viene effettuata l’identificazione, le categorie sopra citate hanno ben poche possibilità di conoscere appieno il percorso che faranno i loro dati personali e biometrici, nonché di opporsi al peso che poi questo flusso di informazioni avrà sulla loro condizione in Italia e in tutta l’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, promuove da alcuni anni la necessità di favorire l’identificazione dei migranti, stranieri e richiedenti asilo attraverso un massiccio utilizzo di tecnologie: a partire dal mare, pattugliato con navi e velivoli a pilotaggio remoto che “scannerizzano” i migranti in arrivo; fino all’approdo sulla terraferma, dove oltre all’imposizione dell’identificazione e del fotosegnalamento i migranti hanno rischiato di vedersi puntata addosso una videocamera “intelligente”.

    Ampio spazio è lasciato alla trattazione di come lo stato italiano utilizzi la tecnologia del riconoscimento facciale già da alcuni anni, senza che organizzazioni indipendenti o professionisti possano controllare il suo operato. Oltre alla mancata trasparenza degli algoritmi che lo fanno funzionare, infatti, non sono disponibili informazioni chiare sul numero di persone effettivamente comprese all’interno del database che viene utilizzato proprio per realizzare le corrispondenze tra volti, AFIS (acronimo di Automated Fingerprint Identification System).

    Nelle intenzioni della polizia italiana, infatti, c’era l’impiego di un sistema di riconoscimento facciale, SARI Real-Time, per riconoscere in tempo reale l’identità delle persone a bordo di un’imbarcazione durante le fasi di sbarco sulle coste italiane. Il sistema SARI Real-Time, acquistato originariamente per l’utilizzo durante manifestazioni ed eventi pubblici, è stato reso inutilizzabile a seguito della pronuncia negativa del Garante della Privacy: rischierebbe di introdurre una sorveglianza di massa ingiustificata. La decisione del Garante tutela quindi non solo coloro che vivono nel nostro paese ma anche chi, in una situazione di estrema vulnerabilità, arriva sulle nostre coste dopo un viaggio interminabile e si vede sottoposto a un controllo sproporzionato ancor prima di ricevere supporto medico e valutazione dello status legale.

    Come Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali dal 2011 ci interroghiamo sul funzionamento e sullo scopo delle innovazioni in campo tecnologico, analizzandole non solo da un punto di vista tecnico ma anche attraverso la lente dei diritti umani digitali. Negli ultimi anni la datificazione della società attraverso la raccolta indiscriminata di dati personali e l’estrazione di informazioni (e di valore) relative al comportamento e alle attività svolte da ognuno di noi sono il tema centrale di ricerca, analisi e advocacy dell’associazione. Siamo convinti infatti che vada messa in dubbio non solo la tecnologia digitale creata al presunto scopo di favorire il progresso o di dare una risposta oggettiva a fenomeni sociali complessi, ma anche il concetto di tecnologia come neutra e con pressoché simili ripercussioni su tutti gli individui della società. È importante a nostro parere che qualunque discorso sulla tecnologia racchiuda in sé una più ampia riflessione politica e sociologica, che cerchi di cogliere la differenza tra chi agisce la tecnologia e chi la subisce.

    Principali risultati:

    https://protecht.hermescenter.org
    #rapport #Hermes #frontières #Italie #reconnaissance_faciale #réfugiés #asile #migrations #contrôles_frontaliers #identification #financements_européens #technologie #complexe_militaro-industriel #Côme #surveillance #biométrie #données_biométriques #catégorisation #photos #empreintes_digitales #AFIS #algorythmes #Automated_Fingerprint_Identification_System #SARI_Real-Time #database #base_de_données

    sur la mise en place de reconnaissance faciale à Côme:
    https://seenthis.net/messages/859963

    ping @etraces

    • Il casellario delle identità AFIS: una banca dati discriminatoria usata dalle forze di polizia

      AFIS è un database nel quale sono raccolti i dati (impronte digitali e foto) di persone italiane e straniere sottoposte a procedimenti penali e dei soli cittadini non europei nell’ambito delle procedure amministrative di rinnovo e conversione del permesso di soggiorno.

      In applicazione di un decreto del Ministero dell’Interno del 24 maggio 2017, i dati amministrativi dei cittadini e delle cittadine extra UE vengono inseriti, confrontati e trattati come dati di polizia per il solo fatto di appartenere a persone straniere, con l’ulteriore paradosso che questi dati non vengono cancellati neanche quando le stesse ottengono la cittadinanza italiana.
      Potere di accesso ai dati degli stranieri senza motivazione?

      ASGI, dopo una serie di accessi agli atti e di accessi civici generalizzati al Ministero dell’Interno, ha rilevato che:

      i cittadini stranieri non possono cancellare i loro dati se non dopo 20 anni dal loro inserimento anche se nel frattempo la loro condizione giuridica è mutata, i loro dati sono verificati e trattati con pochissime limitazioni e da un alto numero di autorità amministrative.

      – I dati delle persone straniere sono confrontati sistematicamente con migliaia di altri dati senza motivazioni specifiche al fine di essere utilizzati per finalità di polizia ed indagine.

      - In particolare i confronti delle foto sono esposti ad un alto tasso di errori a causa della mancanza di un algoritmo in grado di mettere a confronto immagini di cittadini con la pelle di colore scuro.

      - I dati contenuti in AFIS appartenenti a cittadini con la cittadinanza non europea sono la netta maggioranza.

      Diversità di trattamento per milioni di persone

      La Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, ha precisato il numero dei dati in loro possesso.

      “il numero di cartellini fotosegnaletici acquisiti e conservati all’interno della banca dati del Casellario Centrale d’Identità del Servizio Polizia Scientifica (AFIS), corrispondenti a cittadini di paesi terzi, con specifica indicazione: Cartellini acquisiti a soggetti che hanno dichiarato nazionalità: A) di paese terzo dell’Unione Europea 13.516.259, B) di stato membro dell’Unione Europea (Italia esclusa) 1.654.917, C) italiana 3.289.196. I dati sono riferiti al 28 luglio 2022”.

      Infatti, i cittadini stranieri sono foto segnalati diverse volte nell’arco della loro permanenza in Italia: al momento del loro arrivo sul territorio, nei casi di rinnovo, rilascio, conversione del titolo di soggiorno e tutte le volte che vengono foto segnalati, i loro dati confluiscono nella banca dati del Casellario AFIS.

      Per i cittadini italiani non funziona allo stesso modo: i dati di questi ultimi, rilasciati in occasione dell’ identificazione per finalità amministrative (es. per il rilascio del passaporto o della carta d’identità), sono conservati in registri appositi e non confluiscono nella banca dati AFIS (né possono essere in alcun modo utilizzati per scopi di indagine o altre finalità di polizia).
      Causa antidiscriminatoria

      ASGI, insieme all’Associazione Progetto Diritti ONLUS e due cittadini stranieri naturalizzati italiani, ha presentato un ricorso al Tribunale civile di Roma chiedendo l’accertamento del carattere discriminatorio del comportamento del Ministero dell’Interno, consistente nella conservazione e nel trattamento dei dati riguardanti i cittadini stranieri (raccolti in occasione delle pratiche amministrative di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno) all’interno di una banca dati di polizia utilizzata per la repressione dei reati. La conservazione e il trattamento di dati sensibili non può essere differenziata in ragione della nazionalità, salvo una espressa disposizione di legge, avendo i cittadini stranieri diritto alla parità di trattamento nei diritti civili rispetto agli italiani.

      Inoltre, la raccolta di dati biometrici, anche se dovesse ritenersi effettuata per finalità di polizia o per interesse pubblico, deve essere regolata – secondo la disciplina italiana e euro-unitaria – da leggi o da regolamenti che disciplinino il trattamento alla luce della specifica funzione perseguita e che tutelino i diritti dei titolari, mentre nella situazione contestata la raccolta e l’inserimento in banca dati di polizia avviene in via di fatto, in assenza di un espresso e motivato atto normativo.

      Tra le richieste che i ricorrenti hanno formulato al giudice, vi è la cancellazione dalla banca dati AFIS di tutti i dati appartenenti ai cittadini di Paesi non UE identificati per finalità di rilascio, rinnovo o conversione del permesso di soggiorno, nonché la cancellazione dei dati appartenenti ai cittadini stranieri naturalizzati italiani e la modifica del decreto ministeriale del 2017 che ha previsto l’obbligo di inserimento di tali dati in AFIS.

      Infine, i ricorrenti ritengono che l’ attuale trattamento illegittimo possa essere superato solo laddove il Ministero adotti un apposito e separato registro in cui siano conservati esclusivamente i dati dei cittadini stranieri raccolti all’atto del loro fotosegnalamento per il rinnovo e la conversione del titolo di soggiorno, con conseguente cancellazione del registro AFIS dei dati di cittadini extra-UE raccolti per finalità amministrative e pertanto anche dei dati dei ricorrenti.

      https://www.asgi.it/discriminazioni/casellario-afis-una-banca-dati-discriminatoria-forze-di-polizia

  • Plaques du Patrimoine : Un outil de repérage de l’ensemble des voies et équipements publics français dotés de noms de femmes
    https://neotopo.hypotheses.org/3960

    L’outil PlaquesDuMatrimoine, développé par Philippe Gambette dans le cadre du projet Cité des Dames : créatrices dans la cité, financé par l’I-Site Future de l’université Gustave Eiffel, vise à repérer les voies et les...

    #Neotopo_vous_signale #ToponoGender

  • « J’ai trouvé mes réponses » : les écrits de Basel al-Araj
    Publié 25 novembre 2021 · Publié le 5 avril 2021 sur Liberated Texts
    Traduction : Jean-Marie Flémal, Charleroi pour la Palestine

    « Basel ne nous a pas demandé d’être des combattants de la résistance. Pas plus qu’il ne nous a demandé d’être des révolutionnaires. Basel nous a dit d’être vrais, et c’est tout. Si vous êtes vrais, vous serez des révolutionnaires et des combattants de la résistance. » Khaled Oudatallah, dans un éloge de Basel al-Araj prononcé à al-Walajah, le 8 mars 2017 (1)

    https://charleroi-pourlapalestine.be/index.php/2021/11/25/i-have-found-my-answers-jai-trouve-mes-reponses-les-ecrits

    Hazem Jamjoum, 5 avril 2021

    Ce ne devait pas être plus de quelques semaines après que j’avais entamé une nouvelle tâche aux côtés d’une organisation de défense des droits des réfugiés à Bethléem. C’était la fin d’une journée de travail. Un ami et collègue m’a dit :

    « Un de mes cousins est intéressé par les questions politiques, tout comme toi. Tu devrais le rencontrer… Viens, il nous attend. »

    Nous avons pris sa voiture, avons franchi le sommet de la colline et traversé Beit Jala, puis dépassé la base militaire israélienne et le check-point qu’on appelle communément le DCO, autrement dit, le Bureau de coordination du district, avant d’entrer dans le village d’al-Walajah. Nous avons roulé en direction de ce qui ressemblait à un immeuble résidentiel et, quand nous sommes entrés, je me suis rendu compte qu’en fait, le bâtiment avait été transformé en centre de jeunesse. Debout derrière un bureau au milieu du hall d’entrée, se tenait un homme très mince portant d’épaisses lunettes et agé de trente-cinq ans environ. Il s’appelait Basel al-Araj. (...)

    #Basel_al-Araj

  • Military Bases Turn Into Small Cities as Afghans Wait Months for Homes in U.S.

    An estimated 53,000 evacuees from Kabul remain on eight military bases across the country. Thousands more are waiting at U.S. bases abroad to come to the United States.

    In late August, evacuees from Afghanistan began arriving by the busload to the #Fort_McCoy_Army_base in the Midwest, carrying little more than cellphones and harrowing tales of their narrow escapes from a country they may never see again. They were greeted by soldiers, assigned rooms in white barracks and advised not to stray into the surrounding forest, lest they get lost.

    More than a month later, the remote base some 170 miles from Milwaukee is home to 12,600 Afghan evacuees, almost half of them children, now bigger than any city in western Wisconsin’s Monroe County.

    The story is much the same on seven other military installations from Texas to New Jersey. Overall, roughly 53,000 Afghans have been living at these bases since the chaotic evacuation from Kabul this summer that marked the end of 20 years of war. While many Americans have turned their attention away from the largest evacuation of war refugees since Vietnam, the operation is very much a work in progress here, overseen by a host of federal agencies and thousands of U.S. troops.

    While an initial group of about 2,600 people — largely former military translators and others who helped allied forces during the war — moved quickly into American communities, a vast majority remain stranded on these sprawling military way stations, uncertain of when they will be able to start the new American lives they were expecting. An additional 14,000 people are still on bases abroad, waiting for transfer to the United States.

    “We built a city to house almost 13,000 guests,” said Col. Jen McDonough, deputy commander for sustainment at Fort McCoy, where about 1,600 service members are tasked with ensuring the massive operation runs smoothly.

    On a recent warm autumn day here, refugees played a pickup game of soccer with soldiers, young children made arts and crafts with volunteers while their mothers studied English in an adjacent classroom, and families at a warehouse rummaged through boxes of donated underwear, shirts and jackets.

    Afghan evacuees said they were grateful for the warm reception they have received at the fort, but for many, the long wait has been grueling. None have left the base since arriving, unless they were green card holders or U.S. citizens.

    “I have asked many times about the date of departure,’’ said Farwardin Khorasani, 36, who was an interpreter at the U.S. embassy in Kabul. He fled Afghanistan with his wife and two young daughters and hopes to relocate to Sacramento. “We are jobless here and have nothing to do.”

    U.S. officials say the delays are a result of a measles outbreak, medical checks and a vaccination campaign, as well as the need to complete immigration processing, which involves interviews, biometric exams and applications for work permits. Most bases in the United States are at or near capacity, and Afghan evacuees waiting on bases in the Middle East, Spain and Germany can be flown in only once space opens up.

    A shortage of housing also is creating delays. Many families wish to settle where they already have friends or relatives, in places with existing Afghan communities such as California and the Washington, D.C., area. But officials have said that a dearth of affordable apartments could postpone their resettlement. On Thursday, Congress passed a short-term spending bill that included $6.3 billion to relocate and settle Afghan refugees.

    Gen. Glen D. VanHerck, commander of the United States Northern Command, which oversees the operation at Fort McCoy, said the military was prepared to accommodate arrivals on bases through the spring, giving the authorities time to work through the housing shortage.

    “We’ve built housing capacity and we are providing our Afghan guests the environment they need,” he said.

    One of the first priorities has been to inoculate evacuees against a variety of diseases.

    There have been 24 cases of measles, prompting a vaccination campaign against that illness, along with mumps, rubella and polio, an effort that is just winding down. People must wait at least 21 days after those vaccinations before receiving medical clearance to leave the bases.

    Almost 85 percent of all evacuees on bases have received the single-dose Johnson & Johnson vaccine against the coronavirus, and the rate of infection among the population is less than 1 percent, General VanHerck said.

    The bases also have seen crime, not unlike densely packed cities.

    Two Afghan evacuees are in federal custody; one has been charged with engaging in a sexual act with a minor and another charged with assaulting his spouse, both at Fort McCoy.

    The F.B.I. is investigating an assault on a female service member by Afghan men at Fort Bliss in El Paso. And in Quantico, Va., a military police officer on guard duty reported that he had observed a 24-year-old Afghan sexually assaulting a 3-year-old Afghan girl, according to a criminal complaint.

    General VanHerck said the military would “continue taking all necessary measures to ensure the safety” of both those working on the base and the Afghan evacuees. He said many reports to law enforcement were made by Afghans.

    The residents seen on a tightly controlled media tour of the base represented a cross-section of Afghan society.

    Among them was a group of 148 young women who hoped to finish their university education in the United States, and the principal of an international school. There was an Afghan Air Force pilot who had learned to fly UH-60 Black Hawk helicopters in Alabama and Texas.

    There were men and women from remote provinces, including a cook who had prepared food for soldiers in a far-flung outpost. Some people wore traditional Afghan attire. Others donned jeans and T-shirts. About half knew some English, but others would need to begin learning to read and write once they resettled in the United States, officials said.

    Farzana Mohammadi, a member of the Afghan women’s Paralympic basketball team who has been unable to walk since she had polio as a child, said she hoped to keep playing sports and to study psychology in Seattle.

    While optimistic about her own future, “I am only thinking all the time about my parents and younger sister,” said Ms. Mohammadi, 24, whose family was still in Kabul.

    About 50 to 60 people live in each two-story barracks, where single beds sit side-by-side. For privacy, families have improvised partitions using sheets.

    There are robust security details outside the living quarters, which are clustered into “communities,” each with a center where evacuees can get personal hygiene items or learn about activities, such as town halls with military leadership.

    “Grab and go” cafes offering tea, coffee and light snacks are bustling. But the eight self-service laundromats have been underutilized: Most Afghans have preferred to wash their clothing by hand and hang it out to dry on lines, which the military quickly erected.

    An imam certifies that meals served at four cafeterias are halal, but the lines to buy pizza at the base exchange often stretch outside.

    After weeks of being bottled up together with no timeline for leaving, there have been tensions among the residents. Fights often break out in the line to enter the cafeteria, and there are occasional arguments between people from different tribes.

    Several young single women said they were verbally harassed by Afghan men because they were on the base alone.

    “We were told, ‘How are you here without your male family member? We won’t tolerate this,’” recalled Nilab Ibrahimy, 23, who made it to the Kabul airport in a convoy of seven buses carrying the 148 students from the Asian University for Women, based in Bangladesh, where they had all been studying before the coronavirus outbreak stranded them in Kabul.

    Ms. Ibrahimy took the issue to the U.S. military leadership, and the entire group of students was moved to another barracks housing mainly single women. There have been no problems since, she and others said.

    Passing the time has been another challenge. “When we arrived here, we were sitting in our rooms doing nothing,” said Sepehra Azami, 25, who was studying economics before she fled.

    Ms. Azami, Ms. Ibrahimy and another friend, Batool Bahnam, asked some mothers whether they were interested in having their children learn basic conversational English: What is your name? How are you? Thank you.

    They were. Soon, adults began approaching the young women about lessons, too, and classes were added for women and men. “The demand is really high,” Ms. Azami said. “Families are struggling with language barriers.”

    Mounds of clothing have been donated to the refugees, but it took until last week for every evacuee to receive items.

    On Thursday, it was finally the turn of a 12-year-old boy named Nayatola. Dressed in a brown kurta pajama, he searched for clothes in his size. He ended up with an oversize white pullover. On his feet were the adult-size plastic slippers his father had brought from Afghanistan — Nayatola had no other shoes.

    As the day wore on, children could be seen outside doodling with chalk. When the visitors passed by, they called out. “Hello, how are you?” a few of them shouted, trying out their new English phrases.

    Abdulhadi Pageman, the former Afghan Air Force pilot, looked toward the warehouse where families were getting clothes. “These children are the future of the United States,” he said, talking about the children on the base. “They will be scientists, engineers. You just have to be patient.”

    https://www.nytimes.com/2021/10/03/us/afghan-evacuees-military-bases.html?referringSource=articleShare

    #bases_militaires #réfugiés #asile #migrations #transit #Afghanistan #réfugiés_afghans #limbe

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    A mettre en lien avec les pays qui ont accepté d’accueillir des #réfugiés_afghans sur demande des #Etats-Unis (#USA) et dans l’attente d’une #réinstallation (qui n’arrivera jamais ?). Métaliste ici :
    https://seenthis.net/messages/928551
    #pays_de_transit

    ping @isskein @karine4

  • La #numérisation du #contrôle_migratoire européen

    Le contrôle migratoire européen repose aujourd’hui sur la collecte, la sauvegarde et le partage d’#informations_biométriques_numérisées par les polices et consulats des États membres. Du premier fichier dit #SIS (#Système_d’informations_Schengen) issu du rapprochement des polices dans les années 1980 contre la criminalité transfrontalière à l’#Entry_Exit_System qui ambitionne d’enregistrer l’ensemble des voyageurs vers l’Europe à partir de 2022, ces #bases_de_données dessinent un #contrôle_à_distance, en amont dès le pays de départ et en aval au sein même de l’espace Schengen, souvent déconnecté de tout franchissement frontalier. Un tel #contrôle_numérisé nourrit une #industrie de la surveillance et de la #sécurité en pleine expansion. Ce phénomène peut être rapproché de la mise en carte d’antan tout en se singularisant par un #contrôle_individualisé dans un fantasme de #surveillance_généralisée de l’ensemble des #mobilités contemporaines.

    https://ehne.fr/fr/encyclopedie/th%C3%A9matiques/les-migrations-en-europe/surveillance-et-contr%C3%B4le-des-migrations/la-num%C3%A9risation-du-contr%C3%B4le-migratoire-europ%C3%A9en

    #surveillance #frontières #migrations #réfugiés #asile #biométrie #données #privatisation #complexe_militaro-industriel

    ping @isskein @karine4 @etraces