• In Italia si torna in miniera? Lo scottante tema del titanio nel #Parco_del_Beigua

    In un’intervista il ministro parla dell’estrazione dei minerali in Italia.

    Minerali rari che provengono dalla terra, essenziali per costruire batterie e immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili: così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, #Adolfo_Urso, come riporta un’intervista rilasciata oggi a Il Foglio, ha aperto una serie di tavoli per discutere della bozza del regolamento presentato dall’Unione Europea con l’obiettivo di ridurre la dipendenza di materie prime da un singolo paese oltre il livello del 65 per cento. Come? Con l’estrazione e la produzione, lo smaltimento e il riciclo, utilizzando il Fondo europeo per gli investimenti strategici.

    Il ministro in sostanza spiega che l’Italia ha le carte per giocare una partita importante: insomma, le batterie nascono dalle miniere e - per non dover dipendere dalla Cina - la direzione è quella di tornare a scavare, anche sfidando i cosiddetti «Nimby» (not in my backyard). Sempre l’articolo riporta che delle 34 materie prime definite «critiche», l’Italia ne possiede 15, di cui 8 estraibili in pochi anni con le tecnologie moderne. È possibile già mappare una serie di regioni ricche di minerali interessanti: la Liguria ad esempio ha il rame, ma non solo. Come spiega anche Il Foglio e come più volte riportato anche da GenovaToday, sotto il terreno del Parco del Beigua è stimato che si trovi uno dei più grandi giacimenti di titanio a livello mondiale.

    Ed è un tema scottante anche se non riguarda propriamente la costruzione di batterie perché è dagli anni ’70 che si parla di questo territorio, da quando gli occhi delle compagnie estrattive si sono posate sul suo giacimento (qui la storia). Nonostante la ferma opposizione dei Comuni e dell’ente parco (riconosciuto Unesco Global Geopark), è da anni che la Cet, Compagnia Europea per il Titanio, chiede di poter scavare. Lo scorso maggio, il Tar ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area ma la Cet ha presentato ricorso al Consiglio di Stato.

    E dunque ogni volta che si parla di materie prime e miniere, sindaci, cittadini e associazioni ambientaliste del territorio fanno un «salto sulla sedia» e cercano di tenere alta l’attenzione per non trasformare una vasta area naturale in una miniera con tutti i disagi che l’operazione comporterebbe dal punto di vista ambientale e turistico. Ma, nonostante il giacimento record, anche Il Foglio ribadisce che la zona è stata inserita in un parco nazionale protetto e l’idea di accedervi, dunque, è quanto meno irrealistica.

    https://www.genovatoday.it/green/miniera-titanio-parco-beigua.html

    #montagne #Ligurie #extractivisme #matières_premières #terres_rares #titane #Italie #Beigua #dépendance #Fonds_européen_pour_les_investissements_stratégiques #batteries #mines #matières_premières_critiques #résistance #Compagnia_Europea_per_il_Titanio (#CET)

    • Ricerca titanio del Beigua, Tar accoglie ricorso ambientalisti

      Vittoria delle associazioni ambientaliste (LAC, WWF, LIPU) costituite in giudizio contro Regione Liguria e la società Cet, per evitare il potenziale rischio di una devastante maxi-cava


      Nessuno andrà alla ricerca di titanio nel parco del Beigua.

      Lo ha deciso il Tribunale amministrativo regionale della Liguria accogliendo il ricorso degli ambientalisti. Con la sentenza, depositata venerdì 27 maggio, il tar ha dunque confermato il divieto di ricerche minerarie nell’area del monte Tarinè respingendo il ricorso della società Cet che voleva effettuare campionamento anche dentro l’area protetta del Parco.

      I giudici amministrativi inoltre hanno censurato la parte del decreto del dirigente regionale alle attività estrattive della Regione Liguria, emesso nel febbraio 2021, relativa al permesso di ricerca mineraria in aree esterne (Monte Antenna) del comprensorio del Parco Beigua, nei comuni di Urbe e Sassello, perché comunque facenti parte di una ZSC (zone speciale di conservazione) ricompresa nell’elenco comunitario delle cosiddette aree “Natura 2000”.

      Le associazioni ambientaliste Lac, Wwf e Lipu, patrocinate dallo studio legale Linzola di Milano, sottolineano come «la pretestuosa, ennesima campagna di pseudo ’ricerca’ pare avesse come unico obiettivo quello di perseverare nella vecchia richiesta di concessione mineraria che, quando in futuro ritenuta economicamente sostenibile, non potrebbe che sfociare che in una distruzione dell’area interessata, mediante utilizzo di esplosivi per estrarre in cava , macinare e separare con flottazione ed acidi un 6% di rutilo, con immense quantità di scarti e grandi necessità di prelievi idrici dal bacino del torrente Orba».

      «Schizofrenico - a detta degli ambientalisti - il comportamento della Regione Liguria che, al netto delle fasulle dichiarazioni di contrarietà dei partiti di maggioranza ad una cava di Rutilo sui monti Antenna e Tarinè, ha negato i permessi di ricerca dentro il parco regionale del Beigua, ma li ha consentiti in alcune aree adiacenti senza mai interpellare i proprietari dei terreni».

      Per le associazioni ambientaliste si è così evitata la devastatizione di centinaia di ettari di terreno da attività di cava a cielo aperto e in aree ad alto valore naturalistico e paesistico; salvaguardate anche lo spreco di grandi consumi di acqua e derivazioni dei torrenti Orba e Orbarina, e loro inquinamento ed indisponibilità di acqua potabile per i comuni piemontesi a valle; una mega discariche a cielo aperto per contenere oltre il 90% di rocce macinate di scarto, la cui lavorazione ne avrebbe aumentato il volume e reso i suoli instabili; transiti per decine di migliaia di passaggi di camion, a fronte di compensazioni economiche inesistenti, in quanto non previsti dalla legislazione mineraria; danni per la salute dei cittadini a causa della presenza nelle rocce di asbesto blu.

      https://www.genovatoday.it/cronaca/beigua-tar-titanio-ricorso-ambientalisti.html
      #justice #recours

    • Titanio nel parco Beigua, Grammatico (Legambiente): «Grande preoccupazione per salute e ambiente»

      «La Regione Liguria concede per tre anni alla Cet, la Compagnia Europea per il Titanio, il permesso di ricerca: la riteniamo una scelta sbagliata»

      «Legambiente Liguria esprime grande preoccupazione dopo avere appreso che con il decreto numero 1211-2021 la Regione Liguria concede per tre anni alla Cet, la Compagnia Europea per il Titanio, il permesso di ricerca, che ha la finalità di portare all’apertura della miniera nel comprensorio del Beigua»: così si esprime Legambiente Liguria in un comunicato.

      Torna dunque alla ribalta una questione annosa che da molto tempo sta facendo discutere, ovvero quella dell’estrazione del titanio nell’area del Parco del Beigua, uno dei più grandi giacimenti a livello mondiale. Si stima che, specie sotto il monte Tariné, si trovino 400 milioni di tonnellate di titanio, metallo prezioso su cui le compagnie estrattive hanno messo gli occhi da più di 40 anni, trovando la resistenza di cittadini e dell’ente parco (l’area è protetta ed è riconosciuta anche come Geoparco Unesco). Dall’altra parte, il Cet aveva proposto più volte alla Regione diritti di estrazione milionari.

      «Riteniamo questa una scelta sbagliata - dichiara Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, riferendosi al permesso di ricerca concesso alla Cet - anche se limitata ai 229 ettari (su 458 interessati complessivamente) che si trovano ai margini del confine del Parco del Beigua, perché è evidente che tutti gli impatti negativi dell’apertura di attività minerarie ricadrebbero nell’area Parco. Con la scusa della ricerca scientifica si verifica un precedente pericoloso, preludio ad una attività insostenibile per impatto ambientale e lontana dai desideri di sviluppo delle comunità locali che da anni si oppongono a qualsiasi ipotesi di apertura di attività estrattive. Legambiente è vicina ai cittadini che vivono e operano nel Parco del Beigua valutando anche le modalità e le sedi opportune per opporsi a questo decreto».
      L’unico parco ligure riconosciuto Unesco Global Geopark

      L’associazione ambientalista ricorda che il gruppo montuoso del Beigua, diventato Parco nel 1995, Geoparco europeo e mondiale nel 2005 e nel 2015 è stato riconosciuto Unesco Global Geopark ed è l’unico parco ligure a potersi fregiare di tale riconoscimento. «Inoltre in questi anni l’Ente Parco ha portato avanti un lavoro su un modello di sviluppo basato su agricoltura sostenibile, manutenzione dei boschi, turismo di qualità e consorzi sempre più attenti alla filiera corta - aggiunge Grammatico - anche per questo ribadiamo la nostra contrarietà al progetto che devasterebbe un’area protetta di inestimabile valore per biodiversità e valori ecologici e paesaggistici oltre che mettere a repentaglio la salute di chi vive nel territorio. Da un punto di vista sanitario, diversi studi hanno inoltre evidenziato come nel minerale grezzo nella composizione delle rocce del giacimento risulta la presenza di un anfibolo del gruppo degli asbesti in una percentuale pari a circa il 10/15% che ha tendenza a separarsi sotto forma di fibra e minutissimi aghi ed è notoriamente dannoso per la salute».
      Rossetti (Pd): «Chi tocca il Beigua se ne assume le responsabilità»

      In giornata arriva anche il commento del consigliere regionale Pippo Rossetti (Pd): «Sconcerto e preoccupazione per la delibera che consente alla Compagnia Europa del Titanio di perforare aree del Parco del Beigua allo scopo di aprire una miniera per la raccolta del titanio. Mi chiedo se l’assessore Scajola sa cosa succede. Tre mesi fa, a novembre, ai colleghi Candia e Pastorino ha risposto in Consiglio che non c’era alcuna richiesta e che comunque la Giunta sarebbe stata contraria. Dopo trenta anni di tentativi inutili da parte della Compagnia, la Giunta Toti da il suo consenso! Unico Geopark della Liguria vengono cosi contraddette tutte le politiche economico turistiche ambientali del territorio. Toti finge di non sapere che perforazioni ed estrazioni in quel luogo sono pericoli per la salute degli abitanti, perché in quelle rocce ci sono fibre che inducono all’asbestosi. Chiedo che Asl 2 , Arpal e Uffici Regionali vengano immediatamente a riferire in Commissione e l’assessore Scajola a spiegarci come mai in tre mesi la Giunta ha cambiato idea, sperando che non si nasconda dietro ai pareri tecnici degli uffici, alibi che vale come il due di picche. Chiedo che immediatamente tutti gli atti e il verbale della Conferenza dei Servizi vengano resi pubblici. Ognuno potrà assumersi le sue responsabilità».
      La Regione: «Nessuna autorizzazione ad attività estrattiva»

      «Non è stata fatta alcuna delibera di giunta autorizzativa per la raccolta del titanio nell’area del Beigua - replica l’assessore regionale Marco Scajola -. Il consigliere Rossetti confonde, strumentalizza e non sa di cosa parla. Gli uffici tecnici competenti hanno permesso, nel pieno rispetto delle norme, uno studio non invasivo che non interessa l’area del parco del Beigua. Non vi sarà alcuna attività di cava: lo studio verrà condotto senza alcun prelievo né alcun intervento sul territorio. Degli oltre 450 ettari richiesti ne sono stati concessi poco più di 200, escludendo l’area del parco naturale regionale del Beigua. Questo è stato fatto nonostante ci fossero pareri favorevoli ad autorizzare attività di studio in tutta l’area, anche del parco, da parte della Provincia di Savona, dell’Arpal e dell’Asl competente. Lo stesso Ministero dell’Ambiente ha confermato che l’attività di studio non dev’essere soggetta a VIA, proprio in virtù delle modalità non invasive che verranno impiegate. Nessuna autorizzazione quindi da parte della Giunta: chi afferma il contrario afferma il falso, senza conoscere minimamente l’argomento».

      https://www.genovatoday.it/attualita/titanio-parco-beigua-cosa-succede.html

    • Titanio nel Beigua, la Cet fa ricorso al Consiglio di Stato per effettuare le ricerche minerarie

      La questione dell’ipotetica miniera di titanio nell’area del Geoparco Unesco va avanti dagli anni ’70

      Era solo questione di tempo e a fine anno la Cet - Compagnia Europea per il Titanio - è tornata alla carica, presentando ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar Liguria dello scorso maggio, che di fatto ha confermato il divieto di effettuare ricerche minerarie nell’area del monte Tarinè.

      Siamo nel cuore del Parco del Beigua (unico parco ligure riconosciuto Unesco Global Geopark) che comprende un’area da anni finita nell’occhio del ciclone poiché cela uno dei più grandi giacimenti di titanio - elemento molto ricercato - a livello mondiale. Si stima che, specie sotto il monte Tariné, si trovino 400 milioni di tonnellate di titanio, metallo prezioso su cui le compagnie estrattive hanno messo gli occhi da più di 40 anni, trovando la resistenza di cittadini e dell’ente parco all’idea di aprire un’enorme miniera proprio nel verde. Dall’altra parte, la Cet aveva proposto più volte alla Regione diritti di estrazione milionari.
      La sentenza del Tar contestata

      La Cet ha presentato ricorso contro la sentenza del Tar del 27 maggio, chiedendo l’annullamento di diversi documenti. Tornando indietro nel tempo, nel 2015 la Cet aveva chiesto il rilaascio di un permesso di ricerca mineraria sul monte Tarinè per un periodo di tre anni. La Regione Liguria aveva dichiarato che l’istanza era inammissibile perché contrastante con il piano del Parco Naturale Regionale del Beigua che vieta di asportare rocce, minerali e fossili, fatti salvi i prelievi per ricerche scientifiche.

      Il ricorso proposto della Cet - interessata a svolgere ricerche sul giacimento di titanio - contro il provvedimento era già stato respinto dal Tar nel 2020 (con un’altra sentenza impugnata): “La sottoposizione dell’area sulla quale si dovrebbe svolgere la ricerca mineraria a molteplici vincoli sia paesaggistici che ambientali - avevano scritto i giudici - è di tale pervasività che non residua nessuno spazio per intraprendere un’attività di ricerca che non essendo compiuta da un istituto scientifico ma da un’azienda estrattiva avrebbe avuto, come fine ultimo, l’estrazione di minerali attività certamente vietata dalle norme a tutela del Parco Regionale del Beigua che costituisce, per circa il 50% l’area interessata alla concessione”.

      L’ente parco aveva successivamente approvato un regolamento che subordina le attività di ricerca al rilascio di un’autorizzazione dello stesso parco, stabilendo che comunque non sono ammesse le ricerche attinenti svolte da soggetti che non abbiano come scopo la promozione di attività di studio. Ritenendo che queste ultime previsioni fossero lesive dei suoi interessi, la Cet aveva impugnato il regolamento del Parco del Beigua, ma il Tar nel maggio 2022 aveva dichiarato il ricorso inammissibile. Adesso si andrà avanti con il Consiglio di Stato.
      Buschiazzo: «Vorremmo impiegare le nostre risorse per lo sviluppo del territorio, non per difenderci»

      La vicenda giudiziaria si trascina appunto dal 2015 e, come chiarisce il presidente del Parco del Beigua Daniele Buschiazzo, che ha divulgato la notizia del ricorso al Consiglio di Stato della Tar, la questione «continua a impegnare ingenti risorse del Parco del Beigua. Risorse che vorremmo impiegare per favorire lo sviluppo turistico del territorio, ma che dobbiamo invece usare per proteggerne l’elevata qualità ambientale dell’area e di conseguenza la qualità di vita delle persone che ci vivono. Non a caso qui insistono un’area protetta, la più grande della Liguria, un Geoparco riconosciuto dall’Unesco e diverse Zsc – zone speciali di conservazione».

      Sicuramente il ricorso al Consiglio di Stato non giunge inatteso: «Il Parco del Beigua e tutte le sue comunità - continua Buschiazzo - faranno valere le proprie ragioni come hanno sempre fatto. Ci aspettiamo che si costruisca anche la Regione Liguria assieme a noi».
      Un territorio sotto la spada di Damocle dal 1976

      Il territorio riconosciuto dall’Unesco è di fatto sotto la «spada di Damocle» dal 1976, da quando gli occhi delle compagnie si sono posate sul suo giacimento.

      «Sarebbe bene una volta per tutte mettere la parola fine su questa vicenda che ci fa disperdere risorse che potrebbero essere utili per il nostro territorio. Tanto più in un momento in cui la zona infetta dalla peste suina è estesa su tutto il parco da ormai un anno, creando notevoli problemi a tutte quelle attività che contribuiscono a mantenere il nostro territorio» conclude Buschiazzo.
      La preoccupazione di Legambiente

      «La Cet ribadisce, con questo ennesimo atto contro lo sviluppo sostenibile del territorio, la propria essenza - dichiara Santo Grammatico, presidente Legambiente Liguria -. Non ha alcun interesse nella ricerca scientifica ma lo ha solo di mero sfruttamento minerario per una delle zone geologicamente più pregevole della Liguria, tutelata da un parco regionale e riconosciuta dall’Unesco. Spiace constatare, a valle del ricorso dell’azienda al Consiglio di Stato, contro la sentenza del Tar Liguria che impedisce la ricerca nell’area Parco e nelle Zone Speciali di Conservazione, che non si sia definitivamente risolta la questione sul piano politico. La Regione Liguria con il Decreto 1211 del febbraio 2021 ha concesso alla Cet, per tre anni la possibilità di effettuare ricerche minerarie anche in zone limitrofe all’area tutelata, aprendo di fatto un conflitto sociale, economico e ambientale a danno degli enti e della comunità locale».

      «Saremo sempre insieme e al fianco delle Comunità e dei Parchi che si oppongono a uno sviluppo predatorio del nostro territorio» conclude il presidente dell’associazione ambientalista.

      https://www.genovatoday.it/cronaca/titanio-beigua-ricorso-cet-consiglio-stato.html

  • #Matières_premières_critiques : garantir des #chaînes_d'approvisionnement sûres et durables pour l’avenir écologique et numérique de l’UE

    La Commission propose un ensemble complet de mesures afin de garantir l’accès de l’UE à un approvisionnement sûr, diversifié, abordable et durable en matières premières critiques. Les matières premières critiques sont indispensables pour un large éventail de secteurs stratégiques, notamment l’industrie « zéro net », l’industrie numérique, l’aérospatial et la défense.

    Alors que la demande de matières premières critiques devrait augmenter de manière drastique, l’Europe dépend fortement des importations, souvent en provenance de fournisseurs d’un pays tiers en situation de quasi-monopole. L’UE doit atténuer les risques pour les chaînes d’approvisionnement liées à ces dépendances stratégiques afin de renforcer sa résilience économique. Les pénuries constatées au lendemain de la pandémie de COVID-19 et la crise énergétique qui a suivi l’invasion de l’Ukraine par la Russie témoignent de ces dépendances et peuvent mettre en péril les efforts que l’UE déploie pour atteindre ses objectifs climatiques et numériques.

    Le règlement et la communication sur les matières premières critiques adoptés aujourd’hui tirent parti des atouts et des possibilités du marché unique et des partenariats extérieurs de l’UE pour diversifier les chaînes d’approvisionnement de l’UE en matières premières critiques et renforcer leur résilience. La législation sur les matières premières critiques améliore également la capacité de l’UE à surveiller les risques de perturbations et à les atténuer, et renforce la circularité et la durabilité.

    La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est exprimée en ces termes : « Cette législation nous rapprochera de nos ambitions en matière climatique. Elle améliorera significativement le raffinage, la transformation et le recyclage des matières premières ici en Europe. Les matières premières sont indispensables à la fabrication de technologies clés pour notre double transition, telles que la production d’énergie éolienne, le stockage de l’hydrogène ou les batteries. Nous renforçons notre coopération avec des partenaires commerciaux fiables à l’échelle mondiale afin de réduire les dépendances actuelles de l’UE à l’égard d’un seul ou de quelques pays. Il est dans notre intérêt mutuel d’augmenter la production de manière durable et, dans le même temps, de garantir le niveau le plus élevé de diversification des chaînes d’approvisionnement pour nos entreprises européennes. »

    Avec la réforme de l’organisation du marché de l’électricité et le règlement pour une industrie « zéro net », les mesures sur les matières premières critiques annoncées aujourd’hui créent un environnement réglementaire favorable aux industries « zéro net » et à la compétitivité de l’industrie européenne, comme annoncé dans le plan industriel du pacte vert.

    Mesures intérieures

    La législation sur les matières premières critiques dotera l’UE des outils permettant de lui garantir l’accès à un approvisionnement sûr et durable en matières premières critiques, principalement par les moyens suivants :

    Définir des priorités d’action claires : en plus de mettre à jour la liste des matières premières critiques, la législation dresse une liste de matières premières stratégiques, qui sont essentielles pour les technologies importantes pour les ambitions écologiques et numériques de l’Europe ainsi que pour les applications spatiales et de défense, mais dont l’approvisionnement futur n’est pas sûr. Le règlement intègre en même temps, dans le droit de l’UE, la liste des matières premières critiques et celle des matières premières stratégiques. Il fixe des valeurs de référence claires en ce qui concerne les capacités intérieures tout au long de la chaîne d’approvisionnement en matières premières stratégiques pour diversifier l’approvisionnement de l’UE à l’horizon 2030 :

    - l’extraction dans l’UE doit permettre de produire au moins 10 % de sa consommation annuelle,
    - la transformation opérée dans l’UE doit permettre de produire au moins 40 % de sa consommation annuelle,
    - le recyclage effectué dans l’UE doit permettre de produire au moins 15 % de sa consommation annuelle,
    - pas plus de 65 % de la consommation annuelle de l’Union de chaque matière première stratégique à n’importe quel stade de transformation pertinent ne doit provenir d’un seul pays tiers.

    Créer des chaînes d’approvisionnement européennes sûres et résilientes en matières premières critiques : la législation réduira la charge administrative et simplifiera les procédures d’autorisation pour les projets relatifs aux matières premières critiques dans l’UE. En outre, les projets stratégiques sélectionnés bénéficieront d’un soutien pour l’accès au financement et les délais d’autorisation seront raccourcis (24 mois pour les permis d’extraction et 12 mois pour les permis de traitement et de recyclage). Les États membres devront également élaborer des programmes nationaux d’exploration des ressources géologiques.

    Veiller à ce que l’UE soit en mesure d’atténuer les risques liés à l’approvisionnement : pour garantir la résilience des chaînes d’approvisionnement, la législation prévoit un suivi des chaînes d’approvisionnement en matières premières critiques et la coordination des stocks de matières premières stratégiques entre les États membres. Certaines grandes entreprises devront réaliser un audit de leurs chaînes d’approvisionnement en matières premières stratégiques, comportant un test de résistance à l’échelle de l’entreprise.

    Investir dans la recherche, l’innovation et les compétences : la Commission renforcera l’adoption et le déploiement de technologies de pointe dans le domaine des matières premières critiques. En outre, la mise en place d’un partenariat à grande échelle pour les compétences relatives aux matières premières critiques et d’une académie des matières premières promouvra les compétences pertinentes pour la main-d’œuvre travaillant dans les chaînes d’approvisionnement en matières premières critiques. Sur le plan extérieur, la stratégie « Global Gateway » servira de vecteur pour aider les pays partenaires à développer leurs compétences et leurs propres capacités d’extraction et de traitement.

    Protéger l’environnement en améliorant la circularité et la durabilité des matières premières critiques : l’amélioration de la sécurité et du caractère abordable de l’approvisionnement en matières premières critiques doit aller de pair avec l’intensification des efforts visant à atténuer toute incidence négative, tant au sein de l’UE que dans les pays tiers, en ce qui concerne les droits du travail, les droits humains et la protection de l’environnement. Les efforts visant à développer les chaînes de valeur des matières premières critiques de manière plus durable contribueront également à promouvoir le développement économique dans les pays tiers ainsi que la gouvernance en matière de durabilité, les droits humains, la résolution des conflits et la stabilité régionale.

    Les États membres devront adopter et mettre en œuvre des mesures nationales visant à améliorer la collecte des déchets riches en matières premières critiques et à garantir leur recyclage en matières premières critiques secondaires. Les États membres et les opérateurs privés devront étudier les possibilités de récupération des matières premières critiques provenant des déchets d’extraction des activités minières actuelles mais aussi des déchets provenant des anciens sites miniers. Les produits contenant des aimants permanents devront satisfaire aux exigences en matière de circularité et être accompagnés d’informations sur leur recyclabilité et leur teneur en matières recyclées.

    Engagement international

    Diversifier les importations de matières premières critiques dans l’Union : l’Union ne couvrira jamais ses propres besoins en matières premières et continuera de dépendre des importations pour la majeure partie de sa consommation. Le commerce international est donc essentiel pour soutenir la production mondiale et assurer la diversification de l’approvisionnement. L’UE devra renforcer son engagement mondial avec des partenaires fiables afin de mettre en place des investissements et de les diversifier, de promouvoir la stabilité du commerce international et de renforcer la sécurité juridique pour les investisseurs. Elle recherchera en particulier des partenariats mutuellement bénéfiques avec les marchés émergents et les économies en développement, notamment dans le cadre de sa stratégie « Global Gateway ».

    Elle intensifiera ses actions commerciales, notamment en créant un club des matières premières critiques pour tous les pays partageant les mêmes valeurs et désireux d’améliorer les chaînes d’approvisionnement mondiales, en renforçant l’Organisation mondiale du commerce (OMC), en élargissant son réseau d’accords de facilitation des investissements durables et d’accords de libre-échange et en insistant davantage sur l’application de la législation afin de lutter contre les pratiques commerciales déloyales.

    L’UE poursuivra le développement des partenariats stratégiques : elle collaborera avec des partenaires fiables pour favoriser leur propre développement économique de manière durable par la création de chaînes de valeur dans leur propre pays, tout en promouvant des chaînes de valeur sûres, résilientes, abordables et suffisamment diversifiées pour l’UE.

    Prochaines étapes

    Le règlement proposé sera examiné et approuvé par le Parlement européen et le Conseil de l’Union européenne avant son adoption et son entrée en vigueur.

    Contexte

    Cette initiative se compose d’un règlement et d’une communication. Le règlement établit un cadre réglementaire pour soutenir le développement des capacités intérieures et renforcer la durabilité et la circularité des chaînes d’approvisionnement en matières premières critiques dans l’Union. La communication propose des mesures visant à soutenir la diversification des chaînes d’approvisionnement grâce à de nouveaux partenariats internationaux qui se renforcent mutuellement. L’accent est également mis sur la maximisation de la contribution des accords commerciaux de l’UE, en pleine complémentarité avec la stratégie « Global Gateway ».

    La législation sur les matières premières critiques a été annoncée par la présidente von der Leyen lors de son discours sur l’état de l’Union de 2022, dans lequel elle a appelé à s’attaquer à la dépendance de l’UE à l’égard des importations de matières premières critiques, en sécurisant un approvisionnement intérieur diversifié et durable en ce qui concerne ces matières. Elle fait suite à la déclaration de Versailles de 2022 adoptée par le Conseil européen, qui soulignait l’importance stratégique des matières premières critiques pour garantir l’autonomie stratégique de l’Union et la souveraineté européenne. Elle répond également aux conclusions de la conférence sur l’avenir de l’Europe et à la résolution du Parlement européen de novembre 2021 sur une stratégie européenne pour les matières premières critiques.

    Les mesures sont appuyées sur l’évaluation de la criticité de 2023, le rapport de prospective axé sur les technologies stratégiques et les actions lancées dans le cadre du plan d’action de 2020 sur les matières premières critiques. La proposition présentée aujourd’hui s’appuie sur les travaux scientifiques du Centre commun de recherche (JRC) de la Commission. Parallèlement à son rapport de prospective, le JRC a remanié le système d’information sur les matières premières, qui apporte des connaissances sur les matières premières tant primaires (extraites/récoltées) que secondaires (par exemple issues du recyclage). L’outil fournit des informations sur des matériaux et des pays spécifiques ainsi que sur différents secteurs et technologies, et comprend des analyses de l’offre et de la demande actuelles et futures.

    La législation sur les matières premières critiques est présentée parallèlement à celle pour une industrie « zéro net », qui vise à accroître la production européenne de technologies clés neutres en carbone ou « zéro net », afin de garantir des chaînes d’approvisionnement sûres, durables et compétitives en matière d’énergie propre en vue d’atteindre les ambitions climatiques et énergétiques de l’UE.

    https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/ip_23_1661
    #matières_premières #apprivoisement #UE #EU #Union_européenne #relocalisation #diversification #zéro_net #dépendance #alternative #risque #pénurie #ici_en_Europe #batteries #raffinage #transformation #recyclage #plan_industriel_du_pacte_vert #matières_premières_stratégiques #extraction #extractivisme #règlement #déclaration_de_Versailles #Critical_Raw_Materials #European_Critical_Raw_Materials_Act

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    ajouté à la métaliste sur l’#extraction de #terres_rares dans les #Alpes :
    https://seenthis.net/messages/1013289

  • Le débat sur l’énergie électrique porte souvent sur le type de production (nucléaire, fossile, renouvelable) mais reste dans un angle mort sur la dimension marchande et capitaliste du système électrique.

    Le réseau électrique est géré comme devant répondre à toute demande solvable d’électricité, sans discussion.

    ► brochure à imprimer (PDF) :
    https://docdro.id/m0CKkXT

    #réseau-électrique #batteries-électriques #pfas #perfluorés #fluoropolymères #arkema #critique_de_la_société_marchande #post-monétaire

  • Réindustrialisation, relocalisations : des milliards pour le patronat
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/06/14/reindustrialisation-relocalisations-des-milliards-pour-le-pa

    Il n’est de jour sans que Macron ne mette en scène une nouvelle initiative pour réindustrialiser la France, relocaliser la production, afin de garantir la #souveraineté_économique.

    #Batteries_électriques, médicaments, intelligence artificielle, puces électroniques, aéronautique, tous les secteurs y passent.

    Après tant d’autres politiciens, Macron reprend l’idée que l’industrie est partie s’installer dans des pays à bas coût de main-d’œuvre, supprimant des emplois par millions. Et en effet, entre 1980 et 2010, selon l’Insee, plus de 2 millions d’emplois ont disparu dans l’industrie en France, et d’abord des emplois d’ouvriers. Les emplois créés l’ont été bien davantage dans les services, l’informatique, le commerce, l’aide à la personne que dans l’industrie.

    Cette évolution résulte, d’une part, d’une augmentation de la productivité et de l’exploitation dans les usines, nombreuses, restées en France, mais où moins d’ouvriers peuvent produire plus d’automobiles ou de polymères. Elle résulte aussi, d’autre part, du choix des patrons des grands groupes de sous-traiter la production ou de délocaliser leurs usines en Europe de l’Est, en Asie ou ailleurs. Ainsi Serge Tchuruk, PDG d’Alcatel dans les années 2 000, s’était fait remarquer en proclamant qu’il fallait « des entreprises sans usines ». Durant ces années de relative désindustrialisation, les patrons ont trouvé le soutien de l’État pour adapter les lois, supprimer des droits de douane, déréglementer le commerce international et réduire le coût des transports.

    Aujourd’hui, la #réindustrialisation et la relocalisation sont les nouveaux prétextes pour dérouler le tapis rouge aux entreprises : prendre en charge l’essentiel de leurs investissements, leur fournir une main-d’œuvre qualifiée, augmenter la flexibilité du travail, faciliter les licenciements économiques, supprimer leurs impôts… Ainsi Macron a-t-il promis 1,5 milliard d’aides directes de l’État au fabricant de batteries taïwanais Prologium pour qu’il s’installe dans le Nord. Le groupe #STMicroelectronics va toucher 2,9 milliards d’euros d’aides pour construire sa nouvelle usine de semi-conducteurs près de Grenoble.

    Évidemment, les milliards sont versés au nom de la #création_d’emplois. Mais si tous ces emplois sont réellement créés, ce qui reste à vérifier, ils seront chèrement payés par les travailleurs. Ainsi, chacun des 1 000 emplois annoncés chez ST coûterait près de 3 millions d’euros d’argent public. Ces dizaines de milliards versés à des groupes richissimes, enrichissant leurs actionnaires privés, manqueront aux hôpitaux, aux écoles et à tant d’autres infrastructures utiles à la société. Ils viendront augmenter la dette publique, dont le remboursement se paie toujours par de nouveaux sacrifices pour les classes populaires.

    La #relocalisation de l’industrie et l’objectif de la #souveraineté économique sont deux nouvelles mamelles destinées à nourrir la bourgeoisie. Les travailleurs n’ont certainement rien à attendre de cette réindustrialisation.

  • Industrie verte : par l’odeur du fromage alléché...
    https://www.lutte-ouvriere.org/editoriaux/industrie-verte-par-lodeur-du-fromage-alleche-666354.html (l’éditorial de LO du 15 mai 2023)

    Depuis des mois, Macron étale son mépris des travailleurs en rejetant leurs principales revendications, l’abandon de la retraite à 64 ans et l’indexation des salaires sur les prix. Le voilà maintenant à se faire mousser avec une prétendue #réindustrialisation !

    Vendredi, à Dunkerque, il a dit son amour des ouvriers et de l’industrie. Lundi, à Versailles, il a déroulé le tapis rouge aux PDG étrangers pour qu’ils investissent en France. Un des symboles de cette industrie verte et pourvoyeuse d’emplois serait la voiture électrique et l’implantation d’un « hub de la batterie » dans les Hauts-de-France.

    On est loin du compte ! Vu l’énergie et les minerais nécessaires pour les batteries, il n’est pas sûr que la voiture électrique soit meilleure pour l’environnement. Quant aux emplois, le patronat compte bien en supprimer, estimant pouvoir fabriquer cette voiture avec moins de main-d’œuvre.

    La seule chose sûre, c’est que la #voiture_électrique est une aubaine pour les investisseurs. C’est un marché avec une croissance garantie puisque l’Union européenne veut interdire la vente de voitures neuves équipées d’un moteur thermique en 2035. Et c’est un marché avec subventions et aides étatiques garanties !

    Tous les États, à commencer par les États-Unis, ont décidé d’y consacrer des milliards. C’est à qui, au prétexte de la souveraineté et de l’#écologie, sera le plus offrant !

    Le groupe #Northvolt, fabricant suédois de batteries, pourrait toucher 8 milliards de dollars s’il s’installait aux États-Unis plutôt qu’en Allemagne. #Volkswagen vient de négocier avec le Canada l’installation d’une usine de batteries, avec 8 à 13 milliards de dollars à la clé.

    Pour installer son usine à Dunkerque, le fabricant de #batteries taïwanais #Prologium s’est vu, lui, offrir 1,5 milliard d’aides directes de l’État, mais aussi des aides pour la recherche et développement, et la garantie de salariés formés et en nombre.

    Alors oui, cela déchaîne une concurrence féroce entre les États et, évidemment, les États-Unis n’ont aucun mal à faire la course en tête. Mais les véritables vainqueurs de cette guerre économique sont les capitalistes. Il y a de l’argent, beaucoup d’argent à se faire dans la voiture électrique ! Et non seulement ils sont arrosés de cadeaux, mais les États leur garantissent les profits en leur livrant des travailleurs aux salaires rognés et aux conditions de travail toujours plus dures.

    Lundi, à Versailles, au sommet Choose France, Macron a énuméré les raisons que les capitalistes auraient d’exploiter les travailleurs ici plutôt qu’ailleurs : « Un cadre simplifié pour le licenciement économique », « de la flexibilité », « un coût du travail et des impôts patronaux en baisse »… Quoi de mieux pour un capitaliste ?

    Mais pour nous, travailleurs, cela n’annonce que des sacrifices. Parce que nous aurons à payer la note des cadeaux faits à ce grand patronat pour qu’il daigne nous exploiter. Parce que nous continuerons à être mis en concurrence avec les travailleurs des autres pays et pressés comme des citrons. Et enfin, parce que nous subirons encore et toujours les méfaits d’une économie anarchique et incapable de répondre à nos besoins.

    Oh, la France ne manquera pas de batteries pour équiper les futures voitures électriques ! Dans dix ans, nous en aurons peut-être même trop fabriqué car, évidemment, les capitalistes ne se concertent pas pour calculer le volume nécessaire. Mais, surtout, est-ce qu’il y aura bien de l’électricité pour charger les batteries ? Est-ce qu’il y aura des bornes ? Que fera-t-on des batteries usagées ? Personne ne le sait.

    Rien de tout cela n’est organisé car le #capitalisme est le règne du marché, de la concurrence et de la propriété privée. C’est l’exact opposé de l’organisation et de la #planification.

    Aujourd’hui, tous les capitaux se ruent sur la voiture électrique et il en manque pour construire des logements. La même pénurie règne du côté des médicaments et les familles de malades doivent courir les pharmacies pour trouver du paracétamol, des antiépileptiques ou de l’amoxicilline. C’est toute la stupidité et le gâchis d’un système qui n’est pas conçu pour répondre aux besoins de la population, mais pour réaliser du profit.

    Macron peut cirer les bottes des magnats capitalistes. Mais tant que ce sont eux qui ont le pouvoir sur les capitaux et les grandes entreprises, l’économie sera gérée en dépit du bon sens.

    Alors, nous travailleurs, nous n’avons sûrement pas à applaudir à leur dernière idée en date pour faire du profit. Nous avons à nous battre pour préserver ce qui nous est essentiel : notre salaire, notre emploi, notre logement, nos conditions de vie, avec la conscience que la domination de ces parasites n’a aucune légitimité.

    • Parmi les scénarios, seulement des avions régionaux à hydrogène. Le secteur de l’aviation « zéro émission » est donc encore très loin du compte.…

      Dans Les Échos ce matin :

      Sans trop de risque de se tromper, on peut déjà prédire que 2023 constituera une étape majeure sur le chemin de l#'aviation_décarbonée, avec au moins deux grandes « premières » prévues dans les prochaines semaines.
      Deux des pionniers de l’#avion_à_hydrogène - la « jeune pousse » américano-britannique #ZeroAvia et sa rivale californienne Universal Hydrogen - prévoient en effet de faire voler, pour la première fois, des avions de transport régional propulsés par un moteur électrique alimenté par une pile à hydrogène.

      ZeroAvia et #Universal_Hydrogen espèrent même pouvoir réaliser leur premier vol dès ce mois de janvier, l’un au Royaume-Uni et l’autre aux Etats-Unis. Côté britannique, ZeroAvia a obtenu le 23 décembre, de l’aviation civile anglaise, l’autorisation de débuter les vols d’essais d’un #Dornier_228, dont l’un des deux turbopropulseurs a été remplacé par un moteur à hélice électrique de sa conception - couplée à une pile à combustible fonctionnant à l’hydrogène gazeux.

      Ce démonstrateur, qui a bénéficié de fonds publics britanniques, effectue depuis plusieurs mois déjà des essais au sol à l’aérodrome de Cotswold, dans le sud-ouest de l’Angleterre. […]

      De son côté, Universal Hydrogen a obtenu le feu vert de l’aviation civile américaine pour débuter les tests en vol de son propre ensemble propulsif, associant également un moteur électrique à une pile à hydrogène, à bord d’un #Dash_8-300. Un appareil de 17 tonnes, conçu pour transporter jusqu’à 50 passagers.

      Si leurs projets tiennent leurs promesses, ZeroAvia et Universal Hydrogen pourront ainsi offrir dès 2025, aux compagnies aériennes régionales, la possibilité de remplacer les moteurs à combustion des avions de 19 à 50 places par des moteurs électriques de 600 kW à 1 mégawatt, ne produisant ni gaz carbonique (CO2), ni d’oxyde d’azote (NOx). De quoi faire de l’aviation régionale un mode de transport plus vertueux écologiquement sur des distances de 400 à 1.000 km.

      Jusqu’à présent, le développement de l’#aviation_électrique s’était toujours heurté aux limites des #batteries classiques, à la fois trop lourdes et pas assez puissantes pour le transport aérien. A titre d’exemple, la quantité d’énergie nécessaire pour faire voler un kilo de batteries lithium-ion sur 1.000 km est égale à la quantité d’énergie stockée dans la batterie. Dis autrement, il faudrait environ 200 tonnes de batteries pour faire voler un Airbus A320 à l’énergie électrique… Impensable !

      Mais les progrès réalisés sur les piles à combustible, associées à l’#hydrogène, ont permis de repousser les limites. Comparée aux meilleures batteries classiques, une pile à hydrogène offre une densité énergétique (le rapport entre la masse et la quantité d’énergie) quatre fois supérieure. L’énergie électrique n’est pas générée par l’oxydation de lourds métaux, mais par un flux d’hydrogène et d’air sur un catalyseur. Et contrairement à la combustion directe de l’hydrogène dans les moteurs, la pile à hydrogène présente l’avantage supplémentaire de ne pas générer de traînée de condensation. Le faible résidu d’eau peut aisément être réemployé à bord.
      En revanche, la puissance générée reste encore limitée à des avions de taille modeste et au rayon d’action restreint, principalement du fait du problème des réservoirs d’hydrogène. Du fait de sa faible densité, l’hydrogène nécessite en effet un réservoir quatre fois plus volumineux que le kérosène, pour une même autonomie. On peut en réduire le volume en stockant l’hydrogène sous forme liquide, mais cela nécessite de le maintenir à une température de moins 253 °C, dans un réservoir cryogénique. Le risque de fuite est aussi beaucoup plus grand, la molécule d’hydrogène étant si petite qu’elle peut traverser des parois métalliques ordinaires.

  • #Lithium : à #Echassières, entre terres de mineurs et interrogations majeures

    Soixante ans après la fermeture de la mine des #Montmins, la commune de l’#Allier a appris lundi que le précieux #minerai blanc, indispensable aux #batteries des #voitures_électriques, pourrait être extrait d’ici 2028. Suscitant un débat environnemental et industriel.

    L’effervescence est retombée à Echassières ce mardi-là, vingt-quatre heures après l’annonce qui a placé cette commune de l’Allier, moins de 400 habitants au compteur, au centre de l’actualité. Deux journalistes traînent encore dans le coquet centre-ville, interceptent le maire, passé à l’hôtel de ville pour signer des papiers entre deux rendez-vous professionnels – il exerce comme commercial vétérinaire. Le secrétariat croule sous les appels d’administrés qui, à la télé, ont entendu parler d’une carrière devant laquelle ils passent tous les jours, mais qui pourrait devenir l’une des plus grandes mines de lithium d’Europe d’ici à 2028. On s’enquiert auprès de Frédéric Dalaigre, le maire (sans étiquette), de son état d’esprit : « On fait au mieux, on gère. » Le coup de semonce a retenti lundi matin, un an et demi après un arrêté municipal autorisant les opérations de recherche minière par le poids lourd français Imerys.

    Cinq kilomètres après le bourg, deux wagons miniers dorment sur des rails devant des maisons et une ferme. On demande à un homme qui charge sa camionnette si les voies mènent à l’ancienne #mine_des_Montmins, qui extrayait du tungstène. Laurent Malterre sourit : « C’est moi qui ai construit ces 2,5 kilomètres de voies. J’aime les trains mais c’est aussi pour rappeler la mémoire des mines qu’il y avait là. » Le quinquagénaire, exploitant agricole, est le président de #Wolframines, un musée consacré à la minéralogie retraçant l’histoire géologique et minière du coin.

    Un riche passé dont les origines remontent au XIXe siècle, avec des gisements d’étain, de tantale, de kaolin. Après la fermeture de la mine des Montmins en 1962, ainsi que de plusieurs carrières, seul un site d’extraction de kaolin (une argile entre autres utilisée dans la porcelaine) a résisté. C’est de lui, sur le site de Beauvoir, dont on parle depuis lundi. Toujours exploité par Imerys, c’est encore plus en profondeur que le lithium devra être cherché. L’entreprise l’assure : aucun ballet de camions n’est à craindre, puisque tout se passera sous terre, avec notamment un énorme tuyau transférant les minerais vers une gare dont on ne connaît pas encore le lieu exact.
    « L’une des grandes chances minières de la France » en 1985

    On suit Laurent Malterre dans l’un des champs de son exploitation agricole. Il ramasse une pierre qui brille lorsque les rayons du soleil percent les nuages. C’est du lépidolite : une fois travaillé, il permettra d’obtenir du lithium. « Il y a des milliers d’hectares ici qui pourraient en contenir », précise-t-il. Une richesse dont les habitants étaient jusqu’alors très peu conscients.

    La mémoire minière est pourtant partout. Un couple nous accueille. Dans le salon, une vitrine présente différents objets et des minéraux, comme des sportifs exhiberaient avec fierté leurs trophées. La femme, énergique, sort un sachet contenant de la poudre blanche. Elle demande à son mari – qui a bossé dans la mine des Montmins jusqu’à son licenciement brutal en 1962 – si ce n’est pas du lithium. L’étiquette indique qu’il s’agit de poudre de lépidolite. « C’est le BRGM [Bureau de recherches géologiques et minières, ndlr] qui m’a donné ça en 1985 », se rappelle-t-il.

    Son épouse sort une archive de Libération datant de la même année, une pleine page qui se demande si « la ruée sur le lithium aura lieu » et décrit ce gisement du Massif central comme l’« une des grandes chances minières de la France ». Haroun Tazieff, alors secrétaire d’Etat chargé de la Prévention des risques naturels et technologiques majeurs, était même venu à Echassières constater le potentiel « miracle blanc », à une époque où les élus communistes du département exigeaient la création d’une filière du lithium, bien avant la création des smartphones ou des véhicules électriques et de leurs batteries.

    Une des « grandes chances minières de la France » ? Les associations écologistes alertent sur les zones d’ombre du projet d’Imerys, qui anticipe l’extraction de « 34 000 tonnes d’hydroxyde de lithium par an pour une durée d’au moins vingt-cinq ans », ce qui permettrait d’équiper quelque « 700 000 véhicules » électriques. Et de signaler, notamment, que la « mine propre » ou à bilan carbone neutre n’existe pas, malgré les promesses des industriels du secteur. D’autres s’interrogent : vaut-il mieux des mines en Australie (50 % de l’extraction mondiale) dont le minerai sera raffiné en Chine (60 % du raffinage mondial), puis transporté en Europe par porte-conteneurs ? Ou développer une filière française, avec des normes et contrôles hexagonaux ?

    Du côté du groupe écologiste au conseil régional Auvergne-Rhône-Alpes, si l’on considère que les objectifs d’accroître l’indépendance énergétique de la France et de l’UE et de « réduire les coûts financiers et écologiques de transports de minerais » sont « louables », on estime que « ce projet ne pourra être accepté socialement que s’il est réellement vertueux écologiquement », comme le formule l’élue Anne Babian-Lhermet. Son groupe pointe une dizaine de « questions en suspens » : les proportions dans lesquelles la mine sera agrandie, l’impact carbone et sur l’eau, la qualité des emplois…

    Dans un communiqué, Imerys promet « un projet responsable et respectueux de l’environnement et des populations locales ». Les camions ? Il n’y en aura pas plus. Les poussières ? En profondeur, aucune crainte à avoir, jure l’entreprise. La question de l’eau reste le point noir. Pour extraire le lithium, il en faut énormément. Combien ? Imerys, qui n’a pas souhaité nous répondre, ne le dit pas pour l’instant. Pas plus qu’on ne connaît l’impact sur les nappes phréatiques, dans une région agricole qui avait été placée en état de « crise » sécheresse sans discontinuer de juillet à mi-septembre.
    « On vivait dans un petit paradis et ça va devenir l’enfer »

    Les arguments environnementaux, économiques et sociaux s’entrechoquent. « La moitié est d’accord, la moitié est contre », résume Laurent Malterre. Une ancienne élue, née ici « bien avant » que la mine de Montmins ne ferme, inscrit ce débat dans le temps et l’espace : « Ce projet nous rappelle la vocation minière du village. C’est un changement qui peut plaire ou déplaire, mais ça peut être une énorme bouffée d’oxygène pour Echassières. » La fermeture de 1962 a traumatisé le bourg, passé de 800 à 400 habitants. Cinq commerces sont encore actifs et pourraient bénéficier de la centaine d’emplois créés dans le village, selon la promesse d’Imerys, 1 millier dans l’Allier.

    « Imerys a présenté un projet solide, avec des arguments. Les seules réserves que nous pouvons avoir, c’est en effet sur l’environnement et l’eau mais nous verrons en temps et en heure », promet le maire Frédéric Dalaigre, qui va prochainement organiser une « réunion publique » afin de répondre aux « questionnements » de ses administrés. Notamment celui d’un habitant qui semble désabusé : « On vivait dans un petit paradis et ça va devenir l’enfer. » L’avenir de la forêt des Colettes – 762 hectares classés Natura 2000 – qui enlace le site de Beauvoir inquiète. Mais Imerys n’a pas encore communiqué sur d’éventuelles coupes aux alentours de la future mine. « Quand la forêt des Colettes, qui était l’une des plus belles hêtraies de France, a été à moitié détruite pour y récolter du bois, cela n’a pourtant choqué personne », soupire Laurent Malterre. Qui s’interroge : « On n’arrête pas de nous dire qu’il faut rouler avec des voitures électriques pour lutter contre le réchauffement climatique. Il faut bien qu’on extraie du lithium quelque part, non ? »

    https://www.liberation.fr/environnement/mine-de-lithium-le-village-dechassieres-entre-sideration-et-resurrection-
    #extractivisme #mines #France #Europe

  • 3 sites ravagés par #Metaleurop : 20 ans après, la population en meurt encore

    Metaleurop : pollution et profits vont de pair https://www.lutte-ouvriere.org/breves/metaleurop-pollution-et-profits-vont-de-pair-430397.html

    Vingt ans après la fermeture de l’usine de #recyclage de #batteries de Noyelles-Godault (Nord), le plomb rejeté pendant des décennies empoisonne la vie des riverains. Une enquête montre que sur 889 enfants testés dans cinq communes proches de l’ancienne usine, sept sont atteints de saturnisme. La #plombémie de 61 autres enfants dépassent le seuil de vigilance.

    À Villefranche-sur-Saône (Rhône), des mesures montrent des taux alarmants de plomb dans les sols autour d’une autre ancienne usine Metaleurop. Un troisième site, à L’Estaque près de Marseille, est tout aussi pollué.

    Metaleurop appartenait alors à Glencore. Ce trust minier richissime (plus de 12 milliards de dollars de bénéfices pour le premier semestre 2022) doit payer les réparations.

  • Convoitise européenne sur le #lithium serbe

    Devant l’ampleur des manifestations organisées au printemps dernier, le président serbe a dû renoncer à l’exploitation d’un important gisement de lithium. Mais M. Aleksandar Vučićć pourrait relancer le projet du géant minier #Rio_Tinto, sous la pression de l’Union européenne, qui entend développer massivement les #voitures_électriques… en délocalisant les sources de #pollution.

    Près de la ville de #Loznica, en Serbie occidentale, les maisons vides aux toits pentus et les animaux errant sur les routes désertes rappellent des scènes de western. La plupart des habitants du village de #Gornje_Nedeljice ont déjà vendu leurs propriétés à la multinationale anglo-australienne Rio Tinto. En 2004, les explorateurs de ce géant minier ont découvert à proximité des rives de la rivière #Jadar un nouveau #minerai, baptisé la « #jadarite ». Sa composition exceptionnellement abondante en lithium et en #bore laisse penser qu’il pourrait répondre au besoin de plus en plus pressant de ces éléments pour la fabrication des #batteries alimentant les #moteurs_électriques.

    Le 8 juin dernier, le Parlement européen a voté l’interdiction à la vente des voitures thermiques neuves à partir de 2035. Et le vice-président de la Commission européenne chargé de la prospective, le Slovaque MaroÅ¡ Å efÄ oviÄ , a fixé comme objectif à l’Union européenne de devenir la deuxième région productrice de batteries au lithium dans le monde, après la Chine, d’ici 2025. Or, aujourd’hui, l’Europe importe la quasi-totalité du lithium dont elle a besoin et elle doit diversifier ses approvisionnements. On comprend donc pourquoi, à Bruxelles, la direction générale du marché intérieur, de l’industrie, de l’entrepreneuriat et des petites et moyennes entreprises soutient l’investissement de Rio Tinto en Serbie.

    Cette multinationale - dont le capital est principalement détenu au Royaume-Uni (42 %), en Australie (16 %) et aux États-Unis (18 %) - est l’une des plus actives dans les Balkans depuis l’enregistrement de sa première filiale à Belgrade en 2001. En 2017, elle a signé avec le gouvernement un protocole d’accord pour la mise en oeuvre du projet Jadar. Le groupe de travail qui a préparé celui-ci comprenait des représentants de la multinationale, du gouvernement, mais aussi M. Mike Shirat, le deuxième secrétaire à l’ambassade d’Australie, et l’Américano-Kenyan Stephen Ndegwa, alors directeur de la Banque mondiale en Serbie. Plusieurs documents divulgués en 2021 montrent que le gouvernement serbe a subi d’intenses pressions de la part des ambassades occidentales pour que cet accord se concrétise et que les études d’impact environnemental ne soient qu’une simple formalité.

    Pressions américaines et allemandes

    En mai 2018, le Britannique Alan Duncan, alors ministre d’État pour l’Europe et les Amériques, a rencontré plusieurs responsables de Rio Tinto au sujet du projet Jadar (1). « La discussion s’est déroulée dans une bonne ambiance et le représentant de Rio Tinto a interrogé le ministre britannique sur les chances de la Serbie de devenir membre de l’Union, ce que Rio Tinto considère comme important pour le projet », peut-on lire dans le compte rendu de cette réunion, publié par un réseau de journalistes d’investigation des Balkans (Balkan Investigative Reporting Network, BIRN) (2). Selon plusieurs responsables de l’opposition, le représentant spécial des États-Unis pour les Balkans occidentaux (jusqu’en 2021), M. Matthew Palmer, aurait fait pression sur eux en leur demandant de ne pas « attaquer le gouvernement [serbe] » sur la question de Rio Tinto (3). Enfin, pendant la tournée de ses adieux, lors d’une conférence de presse conjointe avec le président de la Serbie, M. Aleksandar VuÄ ić, Mme Angela Merkel a également signalé que l’Allemagne s’intéressait au lithium serbe : « Si le monde entier est intéressé, nous le sommes aussi. Nous avons beaucoup investi dans l’industrie automobile, y compris en Serbie, et nous savons tous à quel point le lithium est important pour la mobilité future et les cellules de batterie (4). » Un document émanant de la mission de la République de Serbie à l’Union européenne montre que Rio Tinto a établi des contacts avec trois grandes entreprises automobiles allemandes : Daimler, Volkswagen et BMW (5).

    La Serbie pourrait devenir la plus grande source de lithium en Europe dans les quinze prochaines années, déclarait, en mai 2021, Mme Marnie Finlayson, la directrice de Rio Tinto, en signant un protocole d’accord avec le fabricant de batteries InoBat. Mais pourquoi mettre en avant la Serbie alors que des gisements importants ont été découverts dans des pays membres de l’Union : Allemagne, République tchèque, et, dans une moindre mesure, Espagne, Portugal, Autriche, France ou Finlande ? Selon le dernier rapport de l’institut d’études géologique des États-Unis, les ressources serbes de lithium représentent seulement 1,3 % de celles de la planète, contre 23,5 % pour celles de la Bolivie, 21 % pour celles de l’Argentine ou 3 % pour celles de l’Allemagne (6). Dans les gisements du fossé rhénan, entre Bâle et Francfort, l’extraction du minerai à partir de sources thermales produirait beaucoup moins de gaz carbonique que l’exploitation et le traitement du lithium en Serbie. Mais les écologistes qui participent au gouvernement à Berlin s’y opposent.

    En repoussant les dommages à la périphérie européenne, l’externalisation des productions sales permet à la fois une maximisation des profits pour les multinationales et la minimisation des risques pour les États centraux. « La saga des mines de lithium va bien au-delà du calendrier environnemental, souligne l’économiste serbe NebojÅ¡a Katić, consultant indépendant à Londres. Les effets environnementaux ne font ici que montrer plus clairement l’absurdité du modèle de développement postsocialiste serbe. C’est une illustration ou un symbole de plus du statut colonial de la Serbie. »

    Plus de quatre mille personnes vivent aux abords de la rivière Jadar, où on prévoit d’extraire la jadarite. Cette partie de la Serbie est riche en flore et en faune, avec cent quarante espèces végétales et animales protégées par les lois serbes ou européennes, ainsi que cinquante sites officiellement classés au patrimoine culturel et historique. Rio Tinto nie tout impact négatif. Pourtant, une étude commandée par la société à la faculté de biologie de Belgrade et non rendue publique indiquerait que « plus de 45 hectares de forêts primaires seraient menacés, ainsi que 37 hectares de forêts naturelles, 3 hectares de prairies et 703 hectares de terres agricoles », selon le professeur d’université et membre de l’Académie des sciences serbe Vladimir Stevanović. « Nous sommes des cobayes, affirme Mme Marijana Trbović Petković, enseignante au lycée de Loznica et membre du mouvement local Ne Damo Jadar (« Nous ne donnons pas Jadar »). Nous ne croyons pas les inspecteurs d’État, car la plupart d’entre eux ne sont même pas allés sur le terrain. Des terres agricoles ont déjà été ravagées par de précédents forages, qui ne sont que préliminaires. On peut voir des matières toxiques dans la rivière. Nous sommes dans un écosystème fermé ici ; un empoisonnement de la terre et de l’eau dégradera toute la chaîne alimentaire. »

    La production de lithium à partir de minerai, ainsi que la séparation avec le bore, provoque plus d’impacts environnementaux toxiques qu’à partir de saumures, la pratique en vigueur dans les lacs salés des Andes ou le bassin rhénan. Les filières minières demandent beaucoup d’eau et d’énergie (provoquant des émissions de gaz à effet de serre), et peuvent entraîner de graves pollutions. Car, lors des travaux miniers d’excavation et de pompage, l’équilibre chimique des affleurements et des gisements profonds est perturbé par des conditions oxydantes soudaines qui provoquent un drainage minier acide, lequel représente une menace majeure : il libère dans le système hydrographique des tonnes de composés métalliques nocifs (cuivre, plomb, nickel, zinc ou arsenic).

    Si l’on tient compte de la valeur et du potentiel des terres agricoles, du cheptel et des cultures qui y sont pratiquées, les bénéfices de l’exploitation du lithium et du bore sont, selon plusieurs experts, très inférieurs aux dommages attendus. Des projections non officielles suggèrent ainsi que la société Rio Tinto réaliserait environ 4 milliards d’euros de bénéfices au cours des dix premières années d’exploitation, tandis que les licences minières devraient rapporter 300 millions à l’État serbe. Or les opposants au projet insistent sur le fait que les recettes de la production agricole dans la région pourraient atteindre 80 millions d’euros par an avec des investissements minimaux de l’État, qui sont actuellement inexistants. Même en écartant les conséquences environnementales potentiellement dévastatrices du projet, la question de l’intérêt économique pour la population reste posée.

    Comme la plupart des États d’Europe centrale et orientale depuis la chute du mur de Berlin, la Serbie a perdu la maîtrise de son développement en devenant tributaire des investissements occidentaux. Dans un tel contexte, tous les fonds extérieurs sont a priori les bienvenus, quels que soient leurs effets à long terme. D’ailleurs, la mobilisation contre Rio Tinto n’a pris corps qu’avec les soupçons de corruption. C’est moins l’origine des fonds que leur destination qui a écoeuré la population, lorsque des journalistes d’investigation ont découvert que la multinationale a pris pour sous-traitant une entreprise appartenant à l’oncle du ministre des mines de Serbie. « Si on veut être un peu cynique, on dirait que des projets qui peuvent être néfastes pour le pays peuvent en fait être très bénéfiques pour les décideurs locaux et leurs familles, souligne NebojÅ¡a Katić. Cela concerne non seulement le pouvoir politique, mais aussi tous les experts qui participent au processus de décision et qui devraient protéger l’intérêt public, mais ne protègent que leur intérêt propre. »

    Lorsque des paysans ont refusé de vendre leur propriété à Rio Tinto, le Parti progressiste serbe (SNS) - au pouvoir - a cru pouvoir passer en force en déclarant le projet Jadar d’intérêt national et en proposant une loi visant à accélérer la procédure d’expropriation - avec une durée réduite à cinq jours si l’intérêt national est en jeu. Cette décision a entraîné une mobilisation écologiste et sociale sans précédent dans la Serbie postsocialiste (blocage de ponts et de routes), faisant trembler le pouvoir pour la première fois en dix ans. À tel point que le président VuÄ ić a dû promettre publiquement le retrait de la loi sur les expropriations, le vote d’une loi sur les études d’impact ainsi que la cessation de la coopération avec Rio Tinto. « Les manifestations ont montré comment ce pouvoir fonctionne : seule une pression énorme, et celle sur les flux de capitaux, par le biais de barrages routiers, ainsi que le soutien d’un public plus large que celui intéressé par les questions environnementales peuvent provoquer une réaction », souligne l’une des figures de proue des écologistes, Mme Iva Marković.

    Ce mouvement a également prouvé que la Serbie pouvait sortir du cercle vicieux des divisions d’après-guerre entre nationalistes et libéraux, qui a permis que passent au second plan l’appauvrissement des classes populaires, la destruction de l’industrie et des ressources naturelles, sans oublier l’exode des cadres bien formés qui migrent vers les pays occidentaux. Contrairement à la question du Kosovo, la question écologique est une question émancipatrice, qui réoriente le débat public vers les priorités sociales. Lorsque l’on parle d’eau propre, de terres fertiles, de partage équitable des ressources nationales qui appartiennent à tous, les questions de classe réapparaissent. Lors des élections législatives d’avril 2022, les mobilisations ont entraîné un recul du SNS, qui conserve cependant une majorité parlementaire relative, mais aussi l’émergence d’une union de la gauche et des écologistes dans une coalition, « Nous devons ». Pour la première fois depuis 1990, elle aura des représentants au Parlement national et au Parlement local de Belgrade, où elle a recueilli 11 % des voix.

    Toutefois, le projet Jadar est loin d’être arrêté, si l’on en croit plusieurs responsables d’entreprises intéressées liées à Rio Tinto. « Les deux parties vont se retrouver et essayer de parvenir à un accord mutuellement bénéfique », affirme un interlocuteur qui travaille dans une entreprise collaborant avec le ministère des mines. Les déclarations des représentants de la multinationale vont dans le même sens. « Nous espérons vraiment que nous pourrons discuter de toutes les options avec le gouvernement serbe maintenant que les élections sont terminées », indiquait le président du conseil d’administration de Rio Tinto, M. Simon Thompson, lors de l’assemblée annuelle de la société en Australie (7). « Nous n’avons certainement pas renoncé à Jadar, car, très franchement, c’est un projet parfait », ajoutait le directeur général Jakob Stausholm. « Ils se dissimulent, je ne crois pas qu’ils partiront », confie Mme Trbović Petković, présente sur le terrain. Les organisations locales, qui n’accordent aucun crédit aux promesses télévisées des responsables politiques, continuent à monter la garde (8).

    « La guerre en Ukraine a déplacé l’attention, affirme M. Aleksandar Jovanović Ćuta, tête de liste de l’union de la gauche et des écologistes. Mais les citoyens auront désormais des représentants au Parlement, car nous venons directement de la rue. Nous faisons témoigner des gens de Gornje Nedeljice à l’Assemblée nationale. Notre objectif est de rendre l’exploitation minière du bore et du lithium illégale sur tout le territoire de la Serbie. » Si le gouvernement tente de relancer la réalisation du projet Jadar sous l’« amicale pression » européenne, il se heurtera à cette opposition-là.
    Note(s) :

    (1) The Times, Londres, 18 juin 2021.

    (2) SaÅ¡a Dragojlo, « Litijumsko lobiranje : Rio Tintov projekat prevelik da bi propao ? », BIRN, 25 octobre 2021.

    (3) « Mediji : Palmer lobirao za interese Rio Tinta », Danas, 9 novembre 2021.

    (4) « Merkel : Germany is interested in Serbia’s lithium », Balkan Green Energy News, 14 septembre 2021.

    (5) Aleksa TeÅ¡ić, « Iz diplomatske depeÅ¡e : "Jadar 2", Rio Tinto planira proÅ¡irenje kapaciteta », BIRN, 9 juillet 2021.

    (6) « Mineral Commodity Summaries », US Geological Survey, Reston (Virginie), janvier 2022.

    (7) Reuters, 5 mai 2022.

    (8) Le gouvernement serbe n’a pas répondu aux questions que nous lui avons adressées sur l’avenir de ce projet.

    (#paywall)
    https://www.monde-diplomatique.fr/2022/09/DRAGOJLO/65034
    #extractivisme #mines #Serbie #Europe

  • Les voitures électriques déforestent et augmentent les émissions carbone en Indonésie

    Walhi, la plus influente ONG environnementale indonésienne, demande à #Tesla de suspendre son projet d’investissement dans l’extraction de #nickel, destiné aux batteries de ses voitures électriques. Elle explique dans “Tempo” pourquoi l’extraction de ce #minerai, très polluant, n’est pas l’avenir de l’#énergie_verte.

    "Notre préoccupation se fonde sur des conclusions d’études prouvant que l’industrie du nickel et sa chaîne d’approvisionnement ont causé des dommages environnementaux à grande échelle, ont marginalisé des #peuples_autochtones et ont violé la loi." Tel est le communiqué que l’ONG environnementale indonésienne Walhi a envoyé à Telsa et a fait suivre à l’hebdomadaire indonésien Tempo, début août.

    Le gouvernement indonésien a en effet annoncé que la société détenue par Elon Musk souhaite investir sur l’île de #Java dans l’extraction de nickel, minerai qui permet le stockage d’#énergie dans les #batteries_électriques, dont dépendent ses voitures.

    Ce #minerai semble porter l’avenir de l’#industrie_automobile, selon l’Agence internationale de l’énergie. « Dans le scénario des engagements zéro émission nette de carbone, 60 nouvelles mines de nickel seront requises d’ici à 2030 », indique le document cité par Tempo.

    Alors qu’une partie importante de l’exportation de nickel russe est bloquée par la guerre, les constructeurs automobiles mondiaux se ruent vers d’autres pays. Or l’Indonésie possède près de 40 % des réserves mondiales de nickel de classe II. Seulement, ce dernier, en plus de son #extraction, nécessite une #transformation lourde et coûteuse pour être exploitable dans les batteries.

    Rere Christianto, directeur de campagne de Walhi sur les questions minières et énergétiques, a déclaré au magazine que, "sur les 900 000 hectares de zones d’extraction du nickel, 673 000 sont situées dans des zones forestières de l’archipel".

    Le militant écologiste souligne aussi le problème des émissions carbone : l’industrie de traitement du nickel utilise encore le #charbon comme combustible dans les #fonderies. "Il faut recalculer si les émissions de gaz à effet de serre des véhicules électriques sont inférieures ou supérieures aux véhicules conventionnels lorsque les facteurs de déforestation ou d’utilisation d’énergie sale sont pris en compte." Il poursuit :

    "Ne laissons pas les efforts de #décarbonation de certains pays conduire à une augmentation des émissions de gaz à effet de serre en Indonésie et à la violation des droits des communautés autochtones sur leurs terres ancestrales." Voeu pieux

    Selon Tempo, le directeur exécutif de l’Institut pour la réforme des services essentiels, Fabby Tumiwa, reconnaît que l’extraction du nickel a un impact environnemental énorme. Mais de nombreux constructeurs automobiles ont déclaré qu’ils n’achèteraient que du nickel provenant d’exploitations minières durables.

    "L’#exploitation_minière_durable a été introduite depuis longtemps via l’association #Initiative_for_Responsible_Mining_Assurance. Ses membres sont des industriels, des consommateurs et des organisations de la société civile. Tesla s’est également joint à cette initiative", affirme-t-il.

    https://www.courrierinternational.com/article/pollution-les-voitures-electriques-deforestent-et-augmentent-

    #pollution #déforestation #forêt #voitures_électriques #CO2 #émissions #extractivisme #batteries

  • Un enfant de 11 ans gravement brûlé par l’explosion d’une batterie de vélo électrique Times of Israel Staff

    Six autres personnes, dont la mère et la sœur du garçon, ont été blessées dans l’incident ; les batteries au lithium sont responsables de nombreux incendies

    Un garçon de 11 ans a subi de graves brûlures sur la moitié de son corps après qu’une batterie de vélo électrique qui était en train de charger dans sa chambre a pris feu lundi, selon les secouristes.

    Aviel Dabush a été extrait de sa chambre en feu dans un immeuble résidentiel de Netanya et a été transporté en urgence à l’hôpital Sheba de Ramat Gan, inconscient et dans un état grave.


    La chambre d’Aviel Dabush, 11 ans, qui a été gravement blessé lors d’un incendie à Netanya, le 1er août 2022. (Crédit : Service d’incendie et de secours)

    Six autres personnes ont été blessées dans l’explosion. Un homme de 42 ans a été modérément blessé suite à l’inhalation de fumée et cinq autres, dont la mère et la sœur de Dabush, ont été légèrement blessés. Elles ont été évacuées vers l’hôpital Laniado de Netanya, a indiqué le service d’urgence du Magen David Adom.

    Une première enquête sur l’incident a confirmé que le feu a été causé par la batterie au lithium qui s’est enflammée pendant la charge, a déclaré le service d’incendie et de secours.

    « La batterie d’un vélo électrique utilisé par son grand frère qui dort dans la même chambre que lui était en train de charger à ce moment-là et a apparemment explosé », a déclaré la sœur de Dabush, Daniela, au site d’information Walla.

    « Nous avons entendu dire que des choses comme ça pouvaient arriver, et que c’était dangereux », a-t-elle ajouté. « D’habitude, ils faisaient très attention. Ma mère ne permettait pas de mettre ces batteries à l’intérieur de la maison et normalement elles étaient [à l’extérieur] sur le balcon. »

    L’utilisation de batteries au lithium a augmenté de façon spectaculaire ces dernières années, les véhicules électriques à deux roues étant de plus en plus populaires.

    Ces batteries auraient déjà provoqué des incendies par le passé.

    En septembre, un garçon de 12 ans est mort après qu’un incendie a ravagé sa maison à Petah Tikva. L’incendie aurait été causé par une batterie de trottinette électrique non surveillée ou en mauvais état de marche qui chargeait dans le salon.
    #vélo_électrique #vélo #alternatives_à_la_voiture #mobilité #énergie #batterie #électricité #batteries #écologie #transport #lithium #trottinette_électrique

    • Mais qui achète des vélos électriques ?
      Les bourgeoises et les bourgeois qui n’en n’ont, le plus souvent, même pas eu (des vélos) quand ils étaient gosses. Elles, ils ne savent même pas rouler en bicyclette.
      On remarquera leur avidité à porter un casque de cycliste, et une tenue décathlon.
      Ceci dit, les plus dingues, ce sont les fanas des trottinettes électriques.

      Pour ce qui est des machins inutiles, les détecteurs de co2 dans les écoles.
      Comme si on ne pouvait pas donner comme instruction d’aérer les salle de classes durant les récréations.

      Le summum, les porteurs de montre connectées, qui font la queue aux urgences, car la pile usée fait que celle ci, la montre connectée, affiche des fréquences cardiaques délirantes.
      https://seenthis.net/messages/967337

    • Allemagne : doublement de la facture de gaz dans la région de Cologne - Le figaro corrigé _
      https://www.lefigaro.fr/flash-eco/allemagne-doublement-de-la-facture-de-gaz-dans-la-region-de-cologne-2022080

      La facture de gaz de plus de 2 millions de foyers et entreprises de la région de Cologne, dans l’ouest de l’Allemagne, va plus que doubler dès le 1er octobre, sur fond de hausse des prix et de réduction de livraisons pour cause de boycott par l’union européenne.

      « Le prix du kilowattheure de gaz naturel passera (...) de 7,87 centimes à 18,43 centimes d’euros à partir du 1er octobre », a indiqué dans un communiqué RheinEnergie, le premier fournisseur important du secteur à donner une indication détaillée de la hausse prochaine des tarifs.

      Cette hausse de 10,43 centimes représente une multiplication par environ 2,3 des prix du gaz pour les 2,5 millions de foyers et d’entreprises que fournit RheinEnergie dans la région de Cologne (ouest). Par exemple, dans une maison familiale avec une consommation annuelle de 15.000 kilowattheures les « nouveaux coûts annuels s’élèvent à environ 2918 euros, contre 1353 euros avant », a détaillé l’entreprise. RheinEnergie explique cette hausse par « l’augmentation de près de 450% des coûts d’approvisionnement en gaz » sur un an qui pèsent sur lui.

      L’Allemagne, dépendait à 55% de Moscou pour ses importations avant la guerre. Les prix étaient déjà élevés avant le conflit, en raison d’une forte hausse de la demande mondiale d’énergie sur fond de reprise économique post-Covid-19.

      le géant Uniper, proche de la faillite, a dû être secouru fin juillet par l’État, qui est entré à hauteur de 30% dans son capital. Berlin a également autorisé récemment le secteur à répercuter davantage sur ses clients les hausses de prix qu’ils subissent, au prix de nouvelles fortes hausses pour les ménages. Les augmentations dévoilées par RheinEnergie ne prennent d’ailleurs « pas en compte ces coûts supplémentaires », selon l’entreprise. La facture devrait donc être encore plus salée pour ses clients.

  • Les véhicules électriques se multiplient à Bruxelles, les incendies aussi : "cette augmentation devrait s’intensifier dans les années à venir Ro.Ma.
    En 2021, les pompiers ont dû intervenir à 19 reprises pour des feux de véhicules électriques.
    https://www.lalibre.be/regions/bruxelles/2022/06/26/les-vehicules-electriques-se-multiplient-a-bruxelles-les-incendies-aussi-cet

    Le 11 février, une voiture électrique prenait feu au niveau -3 d’un parking rue Ravenstein, posant de nombreux problèmes d’accès aux pompiers. Mi-avril, ce sont une vingtaine de scooters électriques qui se sont embrasés… À chaque fois, la même méthode utilisée par les hommes du feu. "On doit immerger la batterie dans de l’eau pendant deux ou trois jours" , nous explique Walter Derieuw, porte-parole du Siamu.

    À cet effet, les pompiers bruxellois ont acquis un large conteneur permettant de stocker une grande quantité d’eau. Outre ce bassin, les pompiers vont acquérir un "élévateur télescopique" pour "remonter en surface les carcasses de véhicules électriques qui auraient brûlé dans un parking souterrain". De même, un partenariat a été scellé avec l’usine Audi de Forest, qui met également à disposition un autre conteneur. "Pour les trottinettes par exemple, on improvise  : on dispose d’autres conteneurs, et on utilise une bâche pour imperméabiliser."

    Et il faut dire que la demande en équipement se fait de plus en plus sentir. Selon les données de Pascal Smet (Vooruit) interrogé au Parlement régional par le député Jonathan de Patoul (Défi), le Siamu est intervenu à 19 reprises en 2021 pour des feux de véhicules électriques (voitures, mais également trottinettes, scooters)… contre seulement quatre interventions en 2020. Pour ces premiers mois de 2022, le Siamu compte déjà huit interventions de ce type. "Compte tenu de l’évolution attendue du parc des véhicules en Région bruxelloise, cette augmentation devrait s’intensifier dans les années à venir" , avertit le secrétaire d’État en charge de la Lutte contre les incendies.

    Dans la réponse parlementaire, une série de "manquements" sont identifiés dans la gestion de ce type de sinistre, notamment au niveau de la prise en charge et du recyclage des batteries. Une situation jugée "inquiétante" par le député Défi  : "Le problème semble connu des autorités régionales et fédérales, mais le flou subside quant à la gestion."

    Se garer “le plus près possible de l’entrée”
    Les interventions des pompiers en souterrain, malgré le futur chariot, s’avèrent particulièrement malaisées à cause des dégagements de fumée… et surtout quand la voiture est garée à un endroit difficile d’accès. Selon Pascal Smet, "le Siamu conseille effectivement de stationner les véhicules électriques le plus près possible de l’entrée" des parkings. Un avis qui fait également réagir le député amarante. "Actuellement, c’est encore possible. Mais d’ici quelques années avec le calendrier de la Zone Basses Émissions, tous les véhicules seront électriques."

    Selon le ministre, "le niveau de sécurité incendie" de nombreux parking souterrain est d’ailleurs jugé comme "plutôt faible" . Équiper les parkings étant extrêmement onéreux, l’enjeu, selon le porte-parole des pompiers, est donc de réglementer les nouvelles constructions, "avec des cloisonnements, des aspirateurs de chaleur et de fumée, des détecteurs".

    Le sapeur-pompier bruxellois rappelle également qu’il est impératif d’utiliser "les câbles du fabricant" , car l’usage de dispositif non homologué peut avoir de lourdes conséquences.

    Autre problématique  : les eaux. "Il n’existe pas, à ce stade, de guidelines et procédures établissant si les eaux d’extinction et d’immersion de ces batteries doivent être à considérer comme polluantes et comment se font la récupération, le transport et le traitement de ces eaux" , concède le mandataire socialiste dans sa réponse écrite. Lors des dernières interventions, les pompiers ont donc fait appel à des firmes privées.

    Dans sa réponse au député amarante, Pascal Smet indique qu’un arrêté régional est en cours de préparation sur cette problématique des incendies. Un groupe de travail a également été lancé au niveau fédéral, avec des conclusions "attendues pour la fin de l’année".

    #voiture_électrique #batteries #incendie #pompiers #innovation #High_Tech #électricité #énergie #vélos #scooters #trottinettes

  • Un journaliste polonais démissionne du journal qui a rejeté le terme « néo-nazi » Cnaan Liphshiz - Time of Israel

    "Si nous ne pouvons pas nous mettre d’accord sur l’essentiel, nous devrons nous séparer", dit-il à propos de la décision sur le bataillon Azov

    JTA — L’un des journalistes les plus éminents de Pologne, Konstanty Gebert, a déclaré qu’il démissionne – de ce que beaucoup considèrent comme le journal officiel du pays – après avoir exigé qu’il qualifie le controversé bataillon ukrainien Azov d’ « extrême droite » au lieu de « néo- nazi ».

    La milice Azov, un petit sous-ensemble de quelques milliers de soldats au sein de l’armée ukrainienne, arbore souvent des symbole nazis sur ses vêtements et ses drapeaux.


    Gebert, qui est juif, a annoncé sa démission jeudi dans sa chronique hebdomadaire, « The Weather Forecast », qu’il a écrite pendant de nombreuses années et publiée dans les colonnes de la Gazeta Wyborca, un quotidien polonais qui défend des positions libérales et de centre-gauche.

    JTA — L’un des journalistes les plus éminents de Pologne, Konstanty Gebert, a déclaré qu’il démissionne – de ce que beaucoup considèrent comme le journal officiel du pays – après avoir exigé qu’il qualifie le controversé bataillon ukrainien Azov d’ « extrême droite » au lieu de « néo- nazi ». . . . . . .

    La suite : https://fr.timesofisrael.com/un-journaliste-polonais-demissionne-du-journal-qui-a-rejete-le-ter

    #pologne #nazisme #azof

  • Les forçats des déchets | Santé & travail
    https://www.sante-et-travail.fr/forcats-dechets

    Ce sont les soutiers des temps modernes, occupés dans l’ombre à faire disparaître promptement les rebuts de la #société_de_consommation, dont nous ne saurions tolérer la vue. Environ 100 000 personnes sont employées dans le secteur des déchets, dont la moitié au traitement des ordures ménagères. Parmi elles, de nombreux salariés en insertion ou des travailleurs handicapés. Tous exposés à de multiples risques connus – pénibilité physique et mentale, horaires décalés, manipulation de #produits_toxiques, manque de reconnaissance, etc. – ou moins documentés, comme la contamination par bactéries et moisissures, lors des manutentions en centre de tri ou de compostage.
    Car les politiques publiques environnementales, aussi vertueuses et nécessaires soient-elles, ont laissé le travail dans un angle mort. Qui sait que les piles et batteries équipant nos objets du quotidien sont recyclées, à cause de leur dangerosité, dans des usines classées Seveso, où les équipes d’ouvriers se relaient en 3 x 8, y compris les jours fériés ? Il est temps pour l’économie circulaire de penser aux enjeux de santé au #travail. Des pistes se dessinent : intégrer l’ergonomie du recyclage dès la conception des produits. Ou faire coopérer les professionnels de l’ensemble d’une filière sur les conditions de travail. Et surtout valoriser enfin des métiers et des travailleurs essentiels à la préservation de l’environnement.

    https://basta.media/Recycler-trieur-de-dechets-sytcom-conditions-de-travail-Ecosystem-emplois-v

  • Des montres de la marque Fitbit brûlaient le poignet L ‘essentiel
    https://www.lessentiel.lu/fr/story/des-montres-de-la-marque-fitbit-brulaient-le-poignet-541025402321

    La filiale de Google rappelle son modèle de smartwatch Ionic, susceptible d’occasionner des blessures à ses porteurs.
    Coup dur pour Fitbit. La filiale du groupe Alphabet/Google a annoncé le rappel de sa montre connectée Ionic. Elle a motivé la mesure par des problèmes de surchauffe de la batterie #lithium-ion pouvant présenter un risque de brûlure dans « des cas très limités ». L’autorité américaine de la protection des consommateurs a fait état de 174 plaintes, dont deux mentionnant des brûlures du poignet au deuxième degré et quatre au troisième degré.


    Fitbit avait commercialisé le modèle en 2017 jusqu’en 2020, alors qu’on le retrouve encore sur des boutiques en ligne suisses autour des 240 francs. Environ un million d’exemplaires Ionic auraient été écoulés aux États-Unis et 700’000 à l’international. Le modèle #Ionic était la première véritable #smartwatch de la marque. Des clients s’étaient déjà plaints de #batteries capricieuses, rappelle le site Engadget.

    Remboursement
    Fitbit a relativisé les cas de brûlure représentant selon ses chiffres « 0,01% des unités vendues », tout en disant mettre en place cette procédure « par excès de prudence ». Les détenteurs du modèle peuvent espérer se faire rembourser le montant d’achat même s’ils ne l’ont plus utilisé depuis longtemps. Ils peuvent en cas de renvoi de l’appareil obtenir en plus un rabais sur leurs prochains appareils Fitbit, selon le site dédié au rappel de la société. L’affichage au dos de la montre connectée du code FB503 fait cependant foi pour faire valoir ses droits.

    #Fitbit a été racheté en 2020 par le groupe #Alphabet / #Google qui espère toujours concurrencer #Apple et ses #Apple_Watch avec notamment des fonctions pour superviser le rythme cardiaque et le sommeil.

  • La fièvre du lithium gagne le Portugal
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2022/02/04/la-fievre-du-lithium-gagne-le-portugal_6112250_3234.html

    « Nous n’avons rien d’autre que cette nature et, en même temps, nous avons tout ce dont nous avons besoin, souffle cette agricultrice de 43 ans, qui élève, avec son mari, vingt-six vaches de la race autochtone barrosa, dont la viande est réputée dans tout le pays. Il n’y a pas de boutiques, pas de cinéma, mais ce paysage n’a pas de prix, de même que la qualité des produits de la terre et la pureté de l’eau des rivières. Avec 500 euros, nous vivons mieux que ceux qui, en ville, en gagnent 1 500. Mais si la mine vient, nous perdrons tout et nous devrons partir… »

    #paywall 😶

    • Sur le promontoire rocheux qui domine « sa » vallée, Aida Fernandes ouvre les bras en grand, comme pour embrasser les collines verdoyantes qui lui font face, où serpentent des chemins de campagne. Rien ne vient troubler le silence qui règne sur ce paysage idyllique de bocages. Pas même le bruit des vaches à longues cornes, que l’on croise, plus souvent que les hommes, sur les routes en lacet qui mènent à #Covas_do_Barroso, hameau de 180 âmes du nord du Portugal.

      « Nous n’avons rien d’autre que cette nature et, en même temps, nous avons tout ce dont nous avons besoin, souffle cette agricultrice de 43 ans, qui élève, avec son mari, vingt-six vaches de la race autochtone barrosa, dont la viande est réputée dans tout le pays. Il n’y a pas de boutiques, pas de cinéma, mais ce paysage n’a pas de prix, de même que la qualité des produits de la terre et la pureté de l’eau des rivières. Avec 500 euros, nous vivons mieux que ceux qui, en ville, en gagnent 1 500. Mais si la mine vient, nous perdrons tout et nous devrons partir... »

      Alors que la #Serbie a annoncé par surprise, le 20 janvier, qu’elle mettait un terme au projet d’exploitation de mines de lithium le long de la rivière #Jadar, dans l’ouest du pays, par l’entreprise anglo-australienne #Rio_Tinto, après des mois de manifestations massives, le Portugal est sur le point de faire l’inverse. Lisbonne pourrait débloquer dans les prochaines semaines le projet de la plus grande mine à ciel ouvert d’Europe de l’Ouest de ce minerai stratégique, utilisé dans la fabrication des batteries des voitures électriques, sur les terres peu habitées de la région de #Barroso, classée au #Patrimoine_agricole_mondial, à 150 kilomètres au nord-est de Porto.

      Six nouvelles zones

      La société #Savannah_Resources, implantée à Londres, travaille sur le projet depuis 2017. Elle a obtenu le permis d’exploration et déjà réalisé les prospections qui lui ont permis d’identifier des gisements de #spodumène, des #minéraux très riches en lithium, renfermant près de 287 000 tonnes du précieux #métal. De quoi produire les #batteries de 500 000 #véhicules_électriques par an pendant une dizaine d’années, grâce à un projet de #mine_à_ciel ouvert de 542 hectares, comprenant quatre cratères profonds et un immense terril.

      Il reste encore à cette société d’investissement britannique à rédiger la version définitive de l’étude de faisabilité, qui doit déterminer la #rentabilité du projet, le #coût de la production étant considérablement plus élevé que celui des bassins d’évaporation des saumures dont est extrait le lithium d’Amérique latine, où se trouvent les principales réserves mondiales. Et elle n’attend plus que l’avis des autorités portugaises sur l’étude d’#impact_environnemental. Les conclusions, imminentes, ont été repoussées après les élections législatives anticipées, qui ont eu lieu dimanche 30 janvier au Portugal.

      S’il n’y a pas de contretemps, #Savannah espère commencer à produire du lithium dans deux ans, et promet pour cela 110 millions d’euros d’investissement. Elle n’est pas la seule à avoir flairé le filon. Les réserves de lithium ont éveillé l’appétit de nombreuses compagnies nationales et internationales, en particulier australiennes, qui ont déposé des demandes de prospections, ces dernières années. Et ce mercredi 2 février, le ministère de l’environnement portugais a donné son accord pour que des prospections soient lancées dans six nouvelles zones du pays. Leurs droits seront attribués grâce à un appel d’offres international dans les deux prochains mois.

      Non seulement le gouvernement portugais du premier ministre socialiste, Antonio Costa, qui vient d’être reconduit au pouvoir avec une majorité absolue à l’Assemblée, est favorable à la production de lithium, considéré comme essentiel à la #transition_énergétique. Mais, assis sur des réserves confirmées de 60 millions de tonnes, les plus importantes de l’Union européenne, il souhaite qu’une #industrie_métallurgique de pointe se développe autour des mines. « Le pays a une grande opportunité économique et industrielle de se positionner sur la chaîne de valeur d’un élément crucial pour la #décarbonation », a encore déclaré, en décembre 2021, le ministre de l’environnement, Joao Pedro Matos Fernandes, qui espère qu’ « aucun gramme de lithium ne s’exportera .

      L’enjeu est prioritaire pour le Portugal. Et pour l’Union européenne, qui s’est fixé comme objectif d’atteindre 25 % de la production mondiale de batteries d’ici à 2030, contre 3 % en 2020, alors que le marché est actuellement dominé par la Chine. Et les #fonds_de_relance européens #post-Covid-19, qui, pour le Portugal, s’élèvent à 16,6 milliards d’euros, pourraient permettre de soutenir des projets innovants. C’est, en tout cas, ce qu’espère la compagnie d’énergie portugaise #Galp, qui, en décembre 2021, s’est unie au géant de la fabrication de batterie électrique suédois #Northvolt pour créer un joint-venture, baptisé #Aurora, pour la construction, d’ici à 2026, de « la plus importante usine de transformation du lithium d’Europe », à #Sines ou à #Matosinhos.

      Avec une capacité de production annuelle de 35 000 tonnes d’hydroxyde de lithium, cette usine de #raffinage pourrait produire 50 gigawattheures (GWh) de batteries : de quoi fournir 700 000 #voitures_électriques par an. Le projet, qui espère bénéficier des fonds de relance européens et aboutir en 2026, prévoit un investissement de 700 millions d’euros et la création de 1 500 #emplois directs et indirects. « C’est une occasion unique de repositionner l’Europe comme leader d’une industrie qui sera vitale pour réduire les émissions globales de CO2 », a souligné le président de Galp, Andy Brown, lors de la présentation. « Cette initiative vient compléter une stratégie globale basée sur des critères élevés de #durabilité, de #diversification des sources et de réductions de l’exposition des #risques_géopolitiques », a ajouté le cofondateur de #Northvolt, Paolo Cerruti. La proximité de mines serait un atout.

      Résistance

      D’autres projets de #raffinerie sont en cours de développement, comme celui de l’entreprise chimique portugaise #Bondalti, à #Estarreja, au sud de Porto, qui a annoncé en décembre 2021 s’être associée à la compagnie australienne #Reed_Advanced_Materials (#RAM). Mais, dans les régions convoitées, la #résistance s’organise et les élus se divisent sur la question. Le maire de la commune de #Boticas, à laquelle est rattachée Covas de Barroso, du Parti social-démocrate (PSD, centre droit), doute publiquement de sa capacité à créer de la richesse localement, et craint qu’elle ne détruise le #tourisme rural, la #gastronomie et l’#agriculture. Tandis qu’à 25 kilomètres de là, à #Montalegre, où la compagnie portugaise #Lusorecursos entend construire une mine à ciel ouvert sur une surface de 825 hectares avec une raffinerie, le maire socialiste, Orlando Alves, y est a priori favorable, à condition qu’elle obtienne la validation de son étude d’impact environnemental .

      « C’est une occasion de combattre le #dépeuplement, explique-t-il. La réalité actuelle du territoire, c’est que les gens émigrent ou s’en vont dans les grandes villes, que les jeunes partent pour faire leurs études et ne reviennent pas. Sans habitant, il n’y aura plus de #tourisme_rural ni d’agriculture... » Au gouvernement, on essaie aussi de rassurer en rappelant que le pays compte déjà vingt-six mines de #feldspath « semblables à celle du lithium » .

      « Près de 125 exploitations agricoles et la réserve de biosphère transfrontalière #Gerês-Xures se trouvent dans un rayon de 5 kilomètres autour du projet de #Montalegre. Et, ces derniers temps, des jeunes reviennent pour devenir apiculteurs ou produire des châtaignes... », rétorque Armando Pinto, 46 ans, professeur et coordinateur de la plate-forme #Montalegre_com_Vida (« Montalegre vivante »). Le 22 janvier, près de 200 personnes ont manifesté dans les rues de cette commune dominée par les ruines d’un château médiéval.

      Conscient de l’importance de rallier l’opinion publique, lors d’une conférence sur les « #mines_vertes » , organisée en mai 2021, le ministre Matos Fernandes a insisté sur l’importance « d’aligner les intérêts de l’#économie et de l’#industrie en général avec ceux des communautés locales », pour qu’elles perçoivent des « bénéfices mutuels . Pour y remédier, le directeur général de Savannah, #David_Archer, a assuré qu’il tâchera de recycler l’#eau utilisée sur place, qu’il investira près de 6 millions d’euros pour construire une #route de contournement du village, qu’il créera 200 #emplois_directs, ou qu’il versera des #fonds_de_compensation de 600 000 euros par an pour les communautés affectées par la mine. Sans parvenir à convaincre les habitants de Covas, dont le village est parsemé de graffitis clamant « #Nao_a_minas » (« non aux mines »).

      « Pas de #sulfure »

      « Il y a toujours des impacts, mais si le projet est bien bâti, en utilisant les dernières technologies pour le traitement et l’#exploitation_minière, elles peuvent être très acceptables, estime l’ingénieur Antonio Fiuza, professeur émérite à l’université de Porto. L’avantage est que les roches qui renferment le lithium sont des #pegmatites qui ne contiennent pas de sulfures, ce qui rend le risque de #contamination de l’eau très limité. » Selon ses calculs, si l’intégralité des réserves connues de lithium du Portugal est exploitée, elles pourraient permettre la construction de batteries pour 7,5 millions de véhicules électriques.

      « Pour nous, un projet si grand pour un si petit territoire, c’est inconcevable. Nous sommes tous des petits fermiers et il n’y a pas d’argent qui compense la destruction des montagnes », résume Aida Fernandes. Ses deux jeunes enfants sont scolarisés à Boticas, à une vingtaine de kilomètres de là. Il n’y a que quatre autres enfants à Covas do Barroso, un hameau sans école, ni médecin. « Il y a bien sûr des problèmes dans les villages de l’intérieur du pays, mais les mines ne peuvent pas être une solution, dit Nelson Gomes, porte-parole de la plate-forme Unis en défense de Covas do Barroso. On n’est pas des milliers ici et personne ne voudra travailler dans des mines. Des gens viendront d’ailleurs et nous, on devra partir. Quand les cours d’eau seront déviés et pollués, les terres agricoles détruites et que la mine fermera, douze ans plus tard, que se passera-t-il ? Ils veulent nous arracher un bras pour nous mettre une prothèse... »

      https://www.lemonde.fr/economie/article/2022/02/04/la-fievre-du-lithium-gagne-le-portugal_6112250_3234.html

      #lithium #Portugal #mines #extractivisme
      #green-washing #Europe

  • Un 4x4 électrique prend feu pendant sa charge
    A 40 s, la voiture prends feu

    https://www.youtube.com/watch?v=gBC5fCEa-_M

    Le propriétaire de ce 4x4 électrique risque d’avoir des sueurs froides en découvrant l’ampleur des dégâts. Pendant la charge sur un parking, une voiture électrique a soudainement pris feu. Et comme si cela ne suffisait pas, l’incendie s’est propagé à d’autres véhicules, causant des milliers d’euros de dommages.

    Bon, ça date de Mai 2020.
    C’est donc que ce genre d’incendie est assez rare.
    Heureusement, car avec la généralisation de la voiture electrique, ça va moins le devenir.

    #batteries #pompiers #incendies #énergie #technologie #innovation #technologisme #électricité 

  • Il aura fallu trois jours pour éteindre l’incendie de la méga-batterie Tesla en Australie
    Préparons-nous à ce nouveau type de catastrophe.
    https://korii.slate.fr/tech/technologie-incendie-mega-batterie-tesla-neoen-australie-victoria-pompie
    Repéré par Thomas Burgel sur The Guardian https://www.theguardian.com/australia-news/2021/aug/02/tesla-big-battery-fire-in-victoria-burns-into-day-three

    Il y a quelques semaines, des experts britanniques tiraient la sonnette d’alarme : les « fermes à batteries » installées à tour de bras un peu partout dans le pays pour compenser les intermittences des énergies renouvelables constituaient de véritables bombes à retardement https://korii.slate.fr/tech/technologie-fermes-batteries-stockage-lithium-ion-danger-incendies-explo .

    Ce risque d’explosion et d’incendie est depuis longtemps connu pour la technologie lithium-ion, mais les exemples sont effectivement appelés à se multiplier. Comme fin juillet à Moorabool dans l’État de la Victoria en Australie, où une « méga-batterie » Tesla de 13 tonnes a explosé puis pris feu https://www.theverge.com/2021/7/30/22602411/neoen-tesla-megapack-fire-victorian-big-battery , mettant les soldats du feu du cru dans une position délicate.

    D’une puissance de 300 MW et produite par la firme française Neoen https://www.lesechos.fr/industrie-services/energie-environnement/tesla-et-le-francais-neoen-veulent-construire-une-nouvelle-batterie-geante- , la « Victorian Big Battery » était en cours d’installation et en phase de tests initiaux https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-07-30/fire-erupts-at-tesla-big-battery-in-australia-during-testing . L’incident n’a heureusement fait aucun blessé ni mort, et n’a pas impacté la fourniture énergétique de la Victoria.

    Il n’a cependant pas été sans conséquence : une alerte aux fumées toxiques a été émise par les autorités pour les communautés avoisinantes, auxquelles il a été demandé de soigneusement se calfeutrer https://www.smh.com.au/business/the-economy/fire-breaks-out-during-testing-of-victorian-big-battery-near-geelong-2021073 pour éviter tout risque d’intoxication.

    Une première, pas la dernière
    « Il nous semble que c’est la première fois au monde que nous devons faire face à l’incendie d’une méga-batterie », a expliqué Ian Beswicke, chef des pompiers de la zone repris par The Guardianhttps://www.theguardian.com/australia-news/2021/aug/02/tesla-big-battery-fire-in-victoria-burns-into-day-three .

    « Ces feux de méga-packs sont complexes à combattre, car on ne peut pas se contenter de les noyer sous l’eau : ça ne fait que prolonger la durée de l’incendie. »

    Les soldats du feu ont donc pris conseil auprès d’experts de la chose, à commencer par ceux de Tesla. La solution ? Refroidir ce qui entoure l’incendie pour éviter la contagion, et attendre que la chose se consume d’elle-même.

    C’est ce que les pompiers ont fait. Il aura finalement fallu plus de trois jours pour qu’ils puissent déclarer l’incident sous contrôle, et qu’ils commencent à surveiller la zone en cas de récidive.

    Le temps de l’enquête peut désormais advenir : ces batteries géantes étant appelées à se multiplier partout dans le monde, ses conclusions seront sans doute scrutées de très près.

    #fermes_à_batteries #batteries #méga-batteries #Australie #Neoen #méga-packs #pompiers #incendies #Tesla et ses #batteries de merde #elon_musk #énergie #technologie #innovation #technologisme #électricité #transhumanisme

  • Pris au piège dans une voiture électrique en feu, un homme gravement brûlé à Villeneuve-lès-Béziers Dimanche 13 juin 2021 Par Clara Guichon, France Bleu Hérault
    https://www.francebleu.fr/infos/faits-divers-justice/pris-au-piege-dans-sa-voiture-electrique-un-homme-gravement-blesse-a-vill

    Une voiture électrique a pris feu, ce dimanche 13 juin 2021, sur la commune de Villeneuve-lès-Béziers (Hérault). Les flammes ont blessé deux personnes. L’une d’entre elle est gravement touchée. Selon les secours, près de la moitié de son corps a été brûlé au troisième degré. L’homme a été évacué par hélicoptère. La deuxième personne, plus épargnée par l’incendie, a également été transportée au centre hospitalier. 


    Une quinzaine de sapeurs-pompiers de Béziers sont intervenus (Image d’illustration) © Maxppp - Lionel Le Saulx

    L’enquête doit déterminer les causes de l’incendie. La voiture est en tout cas calcinée. Les flammes se sont étendues sur une surface de 100 m² autour du véhicule. 

     #batterie #électricité #batteries #lithium-ion #transports #mobilité #transport #énergie #Actualités_High-Tech #High_Tech #technologisme #voiture_électrique

  • Quatre explosions de batteries de trottinettes en huit jours, les pompiers de Bruxelles appellent à la vigilance et au respect des règles

    Les pompiers sont intervenus dimanche matin après l’explosion d’une batterie de trottinette qui était en train de charger dans un appartement de la chaussée de Louvain à Evere.

    L’occupant des lieux souffre de brûlures au premier degré. Les pompiers bruxellois recensent quatre incidents similaires en huit jours de temps et appellent les utilisateurs à recharger les batteries de leurs équipements électriques dans les conditions requises par le fabricant.


    L’incident s’est produit vers 5h00. L’habitant était chez lui et a pu déplacer la trottinette jusqu’au jardin où elle a été longtemps aspergée d’eau. La batterie a été placée dans un bac en métal qui a été rempli d’eau afin d’éviter toute reprise. Le résident a été soigné sur place pour de légères brûlures.

    Les pompiers se sont souvent déplacés ces derniers jours pour des cas similaires, notamment par deux fois dans l’entrepôt d’un loueur professionnel de trottinettes électriques.

     #batterie #électricité #batteries #lithium-ion #transport #trottinette #trottinettes #mobilité #transport #gentrification #transports #alternatives_à_la_voiture #énergie #Actualités_High-Tech #High_Tech #technologisme

    Source : https://www.rtbf.be/info/belgique/detail_quatre-explosions-de-batteries-de-trottinettes-en-huit-jours-les-pompier

  • Apple and Google named in US lawsuit over Congolese child cobalt mining deaths | Global development | The Guardian
    https://www.theguardian.com/global-development/2019/dec/16/apple-and-google-named-in-us-lawsuit-over-congolese-child-cobalt-mining
    https://i.guim.co.uk/img/media/7de810f715289e26e7ddddeda437c1dde2be6f48/0_0_5760_3456/master/5760.jpg?width=1200&height=630&quality=85&auto=format&fit=crop&overlay-ali

    A landmark legal case has been launched against the world’s largest tech companies by Congolese families who say their children were killed or maimed while mining for cobalt used to power smartphones, laptops and electric cars, the Guardian can reveal.

    Apple, Google, Dell, Microsoft and Tesla have been named as defendants in a lawsuit filed in Washington DC by human rights firm International Rights Advocates on behalf of 14 parents and children from the Democratic Republic of the Congo (DRC). The lawsuit accuses the companies of aiding and abetting in the death and serious injury of children who they claim were working in cobalt mines in their supply chain.

    Cobalt is essential to power the rechargeable lithium batteries used in millions of products sold by Apple, Google, Dell, Microsoft and Tesla every year. The insatiable demand for cobalt, driven by desire for cheap handheld technology, has tripled in the past five years and is expected to double again by the end of 2020. More than 60% of cobalt originates in DRC, one of the poorest and most unstable countries in the world.

    The extraction of cobalt from DRC has been linked to human rights abuses, corruption, environmental destruction and child labour.

    The lawsuit argues that Apple, Google, Dell, Microsoft and Tesla all aided and abetted the mining companies that profited from the labour of children who were forced to work in dangerous conditions – conditions that ultimately led to death and serious injury.

    #Cobalt #Droits_humains #Travail_enfants #GAFA #Batteries

  • Voiture électrique : l’industrie du lithium en surcapacité
    https://www.latribune.fr/entreprises-finance/green-business/voiture-electrique-l-industrie-du-lithium-en-surcapacite-825230.html

    Entre production accélérée de ce composant essentiel des batteries et croissance ralentie du marché du véhicule électrique dans le monde, les prix ont chuté de 30% depuis la mi-2018, et la filière souffre. Mais les industriels veulent être prêts pour le vrai décollage de la voiture électrique, sur lequel tout le monde s’accorde sans en connaître précisément l’échéance.

    Entre 2015 et 2019, les cours du lithium ont triplé. Une conséquence logique pour ce composant central des batteries lithium-ion, aujourd’hui les plus répandues pour les véhicules électriques, alors que le marché mondial franchissait le cap des 5 millions de véhicules.

    Mais les efforts menés pour accroître la production se sont avérés trop efficaces, alors que la croissance des ventes connaissait ses premiers ralentissements, notamment en Chine, premier marché au monde. Pourtant, elles y ont enregistré une hausse de 90% au premier trimestre 2019 en comparaison de l’année précédente. Mais c’est deux fois moins que la hausse observée sur la même période entre 2017 et 2018.

    Or, dans le même temps, six nouvelles mines ont ouvert en Australie depuis 2017 et le premier producteur mondial prévoit d’accroître sa production de 23% dans les deux prochaines années. Le Chili, autre gros producteur, prévoirait de doubler la sienne dans les quatre ans. Logiquement, cette situation de surcapacité a entraîné un effondrement des prix de 30% depuis la mi-2018.

    Mais cela ne semble pas s’arrêter là car Morgan Stanley s’attend à voir le prix de la tonne de lithium en provenance d’Amérique du sud passer prochainement sous la barre des 10.000 dollars et le prix moyen converger dans une fourchette de 7.000 à 8.100 dollars la tonne à l’horizon 2025.

    Et les producteurs doivent faire face à d’autres difficultés, notamment un goulet d’étranglement dans la chaîne de valeur au stade de la transformation du minerai brut en produit fini, des temps plus longs de mise en service de leurs installations ou encore de moins bonnes conditions de crédit.

  • Vous prenez la Tesla, vous la plongez dans l’eau entre 3 jours et une semaine ! #MDR

    Une voiture électrique Tesla prend feu alors qu’elle était en train de charger à Anvers - Belga - 2 Juin 2019
    https://www.rtbf.be/info/economie/detail_une-voiture-electrique-tesla-prend-feu-a-anvers-alors-qu-elle-etait-en-t

    Une voiture électrique de la marque Tesla est partie en fumée dans la nuit de samedi à dimanche alors qu’elle était reliée à une station de recharge à Anvers. Celle-ci a d’ailleurs également pris feu, ont indiqué les pompiers.


    Illustration Turbo.fr

    Un problème technique au véhicule pourrait expliquer cet incendie, qu’ont pu rapidement circonscrire les pompiers. Pour éviter que la voiture ne reprenne feu, elle a été immergée dans un conteneur rempli d’eau. « Il faut beaucoup de temps pour refroidir correctement la batterie d’une telle voiture électrique. L’expérience de nos corps de pompiers et d’autres nous apprend qu’immerger complètement le véhicule dans l’eau est le moyen le plus efficace », expliquent les hommes du feu anversois.

    La procédure en vigueur prévoit que la voiture reste durant 24 heures dans le conteneur rempli d’eau. Le véhicule en sera ensuite sorti et les pompiers utiliseront une caméra thermique pour voir si la batterie est complètement refroidie. Si ce n’est pas le cas, il retournera dans l’eau. _ « Lors de précédents incendies, il a parfois fallu entre trois jours et une semaine pour que la batterie soit complètement refroidie  », _ a-t-on jouté de même source.

    #tesla #piege_à_cons #elon_musk #baudruche #batteries #électricité #Actualités_High-Tech #High_Tech #voiture_électrique #incendie