• How Close Are the Planet’s #Climate Tipping Points? - The New York Times
    https://www.nytimes.com/interactive/2024/08/11/climate/earth-warming-climate-tipping-points.html

    Right now, every moment of every day, we humans are reconfiguring Earth’s climate bit by bit. Hotter summers and wetter storms. Higher seas and fiercer wildfires. The steady, upward turn of the dial on a host of threats to our homes, our societies and the environment around us.

    We might also be changing the climate in an even bigger way.

    For the past two decades, scientists have been raising alarms about great systems in the natural world that warming, caused by carbon emissions, might be pushing toward collapse. These systems are so vast that they can stay somewhat in balance even as temperatures rise. But only to a point.

    Once we warm the planet beyond certain levels, this balance might be lost, scientists say. The effects would be sweeping and hard to reverse. Not like the turning of a dial, but the flipping of a switch. One that wouldn’t be easily flipped back.

  • [Carnets d’itinérance #1]

    Série d’extraits d’un reportage dessiné (en cours) sur l’histoire de deux quartiers de la ville de #Limoges, #Beaubreuil et le #Val_de_l'Aurence, tous deux concernés par un important projet de « #renouvellement_urbain ». Au fil du dessin, j’interroge celles et ceux qui vivent au premier plan de ces changements et retranscrit mon chemin entre les tours. Ce projet est soutenu par Limoges Métropole.

    https://blogs.mediapart.fr/le-poisson/blog/060824/carnets-ditinerance-1-0

    #dessin #bande_dessinée #urban_matter

    ping @reka

  • L’inquiétant projet du Musée des Beaux-Arts de Valenciennes Didier Rykner - La tribune de l’art

    Le bâtiment (ill. 1), en effet, est en travaux pour rénovation. Que celui-ci soit en mauvais état et ait besoin d’une restauration, notamment les verrières (ill. 2), ne nous semble ni discutable, ni critiquable.

    Pour cette raison, nous ne nous étions pas inquiété davantage de ce chantier. Mais manifestement, à en croire le projet, celui-ci va bien au-delà d’une réfection du bâtiment : il consiste à changer radicalement le musée pour le transformer en autre chose, dont l’objectif n’est plus de présenter au mieux ses collections, mais de créer un « musée carrefour », « un musée vivant » « qui se (re)tourne vers la vivacité de l’art en train de se faire » (sic), un « musée pluriel » , et enfin un « musée ouvert » (car chacun sait qu’avant sa fermeture, le musée de Valenciennes était déjà un musée fermé…).

    Bref : toute la vacuité du discours contemporain autour des musées promet d’entrer à Valenciennes par la grande porte (ou plutôt par la porte arrière, puisque l’entrée se fera désormais par l’autre côté de l’édifice) comme un examen plus attentif de ce projet « scientifique et culturel » , qui n’a pas grand chose de scientifique ni de culturel, peut le démontrer.

    Tout d’abord, le « Musée des Beaux-Arts » ne s’appellera plus ainsi. « Quand les hommes ne peuvent changer les choses, ils changent les mots » disait Jaurès. Désormais, on change les mots, mais c’est pour mieux ensuite changer les choses. Quel gros mot en effet que « beaux-arts », n’est-ce pas, pour un musée ! On comprend peut-être mieux pourquoi l’entrée sera à l’arrière : car si à l’avant (ill. 1) est écrit sur le fronton « Musée des Beaux-Arts » (quelle horreur !), cette précision est absente de l’autre côté (ill. 3) !


    Le « Salon Carpeaux » en 2011 Photo : Didier Rykner

    Ce musée, qui ne sera plus désormais « des Beaux-Arts » ne pourra pas non plus être résumé à un « lieu de conservation » . Car c’est aussi un « lieu de vie » (c’était déjà un musée vivant, mais il n’y a jamais assez de vie dans un musée), un « lieu de rencontres », un « lieu d’échanges et de loisirs » . Le musée devra donc être rebaptisé d’un nouveau nom « qui portera ces idées de musée-lieu de vie, musée engagé, ouvert à tous et au monde, aux collections plurielles et vivantes » . Nous risquons d’être rapidement à court de « sic » .

    Ensuite, pour parler au grand public, pas question de vouloir l’instruire pour qu’il trouve plaisir à venir au musée. Certainement pas. Ce qu’il faut, c’est « répondre à des attentes, des envies, des besoins » . Et ces « attentes » , ces « envies » , ces « besoins » , ce n’est manifestement pas de voir des œuvres dans les meilleures conditions possibles ! Au diable le musée, il va falloir s’adapter et devenir un « endroit sonore et festif plutôt que silencieux et solennel » . Il faut que « le désir de repos, de confort [soit] considéré comme aussi essentiel et légitime que la soif d’apprendre et le plaisir de contemplation ».
    . . . . .
    La suite : https://www.latribunedelart.com/l-inquietant-projet-du-musee-des-beaux-arts-de-valenciennes

    #valenciennes #Musée #beaux-Arts #écriture_inclusive de l’#Art #culture #peinture #wokisme #woke #Carpeaux

  • “Sotto l’acqua”. Le storie dimenticate dei borghi alpini sommersi in nome del “progresso”

    I grandi invasi per la produzione di energia idroelettrica hanno segnato nei primi decenni del Novecento l’inizio della colonizzazione dei territori montani. #Fabio_Balocco, giornalista e scrittore di tematiche ambientali, ne ha raccolto le vicende in un libro. Un lavoro prezioso anche per comprendere l’attuale dibattito su nuove dighe e bacini a favore di agricoltura intensiva e innevamento artificiale

    Un campanile solitario emerge dalle acque del Lago di Rèsia, in Val Venosta, un invaso realizzato per produrre energia idroelettrica. Quella che per i turisti di oggi è una curiosa attrazione, è in realtà ciò che rimane di una borgata alpina sommersa in nome del “progresso”. Quella del campanile che sorge dalle acque è un’immagine iconica che in tanti conoscono. Ma non si tratta di un caso isolato: molti altri abitati alpini furono sommersi nello scorso secolo, sacrificati sullo stesso altare. Soprattutto nel Piemonte occidentale, dove subirono la sorte le borgate di Osiglia, Pontechianale, Ceresole Reale, Valgrisenche, e un intero Comune come Agàro, nell’Ossola. A raccontare queste storie pressoché dimenticate è il giornalista e scrittore Fabio Balocco nel suo recente saggio “Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi” pubblicato da LAReditore.

    Balocco, perché ha scelto di raccontare queste storie?
    FB Tutto è iniziato con un’inchiesta per la rivista Alp (mensile specializzato in montagna e alpinismo, chiuso nel 2013, ndr) che feci a metà anni Novanta, incentrata proprio su queste storie dei borghi sommersi per produrre energia. Un fenomeno che caratterizzò soprattutto gli anni Venti e Trenta del Novecento per alimentare le industrie della pianura. Sono sempre stato attratto dalle storie “minime”, quelle dei perdenti, in questo caso le popolazioni alpine sacrificate appunto sull’altare dello sviluppo. È quella che io chiamo “la storia con la esse minuscola”. La nascita del libro è dovuta sia al fatto che siamo sulla soglia del secolo da quando iniziarono i primi lavori e sia dal ritorno nel dibattito politico del tema di nuovi invasi. Infine, penso sia necessario parlarne per ricordare che nessuna attività umana è esente da costi ambientali e talvolta anche sociali, come in questi casi che ho trattato.

    Nel libro afferma che l’idroelettrico ha portato ai primi conflitti nelle terre alte, tradendo la popolazione alpina. In che modo è successo?
    FB I grandi invasi per produzione di energia idroelettrica hanno segnato l’inizio della colonizzazione dei territori montani, che fino ad allora non erano stati intaccati dal punto di vista ambientale e sociale da parte del capitale della pianura. Queste opere costituirono l’inizio della colonizzazione di quelle che oggi vengono anche definite “terre alte”, colonizzazione che è proseguita soprattutto con gli impianti sciistici e le seconde case. Vale poi la pensa di sottolineare che almeno due invasi, quello di Ceresole Reale e quello di Beauregard, in Valgrisenche, comportarono la sommersione di due dei più suggestivi paesaggi delle Alpi occidentali.

    Che ruolo hanno avuto le dighe nello spopolamento delle terre alpine?
    FB È bene ricordare che nell’arco alpino occidentale lo spopolamento era già in atto agli inizi del Novecento in quanto spesso per gli abitanti delle vallate alpine era più facile trovare lavoro oltreconfine. Un caso esemplare è quello della migrazione verso la Francia che caratterizzò la Val Varaita, dove fu realizzato l’invaso di Pontechianale. Le dighe non contribuirono in modo diretto allo spopolamento ma causarono l’allontanamento di centinaia di persone dalle loro case che venivano sommerse dalle acque, e molti di questi espropriati non ricevettero neppure un compenso adeguato a comprare un nuovo alloggio, oppure persero tutto il denaro a causa dell’inflazione, come accadde a Osiglia, a seguito dello scoppio Seconda guerra mondiale. Queste popolazioni subirono passivamente le imposizioni, senza mettere in atto delle vere e proprie lotte anche se sapevano che avrebbero subito perdite enormi. Ci furono solo alcuni casi isolati di abitanti che furono portati via a forza. Questo a differenza di quanto avvenuto in Francia, a Tignes, negli anni Quaranta, dove dovette intervenire l’esercito per sgomberare la popolazione. Da noi il sentimento comune fu di rassegnazione.

    Un’altra caratteristica di queste storie è lo scarso preavviso.
    FB Tutto l’iter di approvazione di queste opere avvenne sotto traccia e gli abitanti lo vennero a sapere in modo indiretto, quasi di straforo. Semplicemente si accorgevano della presenza di “stranieri”, spesso tecnici venuti a effettuare lavori di prospezione, e solo con un passaparola successivo venivano a conoscenza dell’imminente costruzione della diga. Anche il tempo a loro lasciato per abbandonare le abitazioni fu di solito molto breve. Le imprese della pianura stavano realizzando degli interessi superiori e non erano interessate a informare adeguatamente le popolazioni coinvolte. Le opere furono realizzate da grandi imprese specializzate che si portavano dietro il loro personale. Si trattava di lavori spesso molto specialistici e solo per le mansioni di bassa manovalanza venne impegnata la popolazione locale. D’altra parte, questo incontro tra il personale delle imprese e i locali portò a conseguenze di carattere sociale in quanto i lavori durarono diversi anni e questa intrusione portò anche alla nascita di nuovi nuclei familiari.

    Differente è il caso di Badalucco, dove negli anni Sessanta gli abitanti riuscirono a opporsi alla costruzione della diga. In che modo?
    FB Badalucco è sempre un Comune alpino, sito in Valle Argentina, in provincia di Imperia e anche lì si voleva realizzare un grande invaso all’inizio degli anni Sessanta. Ma qui le cose andarono in maniera diversa, sicuramente anche perché nel 1959 c’era stata una grave tragedia in Francia quando la diga del Malpasset crollò provocando la morte di quasi 500 persone. A Badalucco ci fu quindi una vera e propria sollevazione popolare guidata dallo stesso sindaco del Comune, sollevazione che, anche attraverso scontri violenti, portò alla rinuncia da parte dell’impresa. L’Enel ha tentato di recuperare il progetto (seppure in forma ridotta) nei decenni successivi trovando però sempre a una forte opposizione locale, che dura tuttora.

    Il governo promette di realizzare nuove dighe e invasi. È una decisione sensata? Che effetti può avere sui territori montani?
    FB A parte i mini bacini per la produzione di neve artificiale nelle stazioni sciistiche, oggi vi sono due grandi filoni distinti: uno è il “vecchio” progetto “Mille dighe” voluto da Eni, Enel e Coldiretti con il supporto di Cassa depositi e prestiti, che consiste nella realizzazione di un gran numero di piccoli invasi a sostegno soprattutto dell’agricoltura, ma anche per la fornitura di acqua potabile. Poi vi sono invece i progetti di nuovi grandi sbarramenti, come quello previsto lungo il torrente Vanoi, tra Veneto e Trentino, o quelli di Combanera, in Val di Lanzo, e di Ingria, in Val Soana, in Piemonte. Come dicevo, oggi l’esigenza primaria non è tanto la produzione di elettricità quanto soprattutto l’irrigazione e, in minor misura, l’idropotabile. Si vogliono realizzare queste opere senza però affrontare i problemi delle perdite degli acquedotti (che spesso sono dei colabrodo) né il nostro modello di agricoltura. Ad esempio, la maggior parte dell’acqua utilizzata per i campi finisce in coltivazioni, come il mais, per produrre mangimi destinati agli allevamenti intensivi. Questo senza considerare gli impatti ambientali e territoriali che le nuove opere causerebbero. In buona sostanza, bisognerebbe ripensare il nostro modello di sviluppo prima di tornare a colonizzare nuovamente le terre alte.

    https://altreconomia.it/sotto-lacqua-le-storie-dimenticate-dei-borghi-alpini-sommersi-in-nome-d

    #montagne #Alpes #disparitions #progrès #villages #barrages #barrages_hydro-électriques #énergie_hydro-électrique #énergie #colonisation #industrialisation #histoire #histoires #disparition #terre_alte #Badalucco #Osiglia #Pontechianale #Ceresole_Reale #Valgrisenche #Agàro #Beauregard #Ceresole_Reale #Mille_dighe #Vanoi #Combanera #Ingria

    • Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi

      Circa un secolo fa iniziò, nel nostro paese, il fenomeno dell’industrializzazione. Ma questo aveva bisogno della forza trainante dell’energia elettrica. Si pensò allora al potenziale rappresentato dagli innumerevoli corsi d’acqua che innervavano le valli alpine. Ed ecco la realizzazione di grandi bacini di accumulo per produrre quella che oggi chiamiamo energia pulita o rinnovabile. Ma qualsiasi azione dell’uomo sull’ambiente non è a costo zero e, nel caso dei grandi invasi idroelettrici, il costo fu anche e soprattutto rappresentato dal sacrificio di intere borgate o comuni che venivano sommersi dalle acque. Quest’opera racconta, tramite testimonianze, ricordi e fotografie, com’erano quei luoghi, seppur limitandosi all’arco alpino occidentale. Prima che se ne perda per sempre la memoria.

      https://www.ibs.it/sotto-acqua-storie-di-invasi-libro-fabio-balocco/e/9791255450597

      #livre

  • The Father of Modern Neuroscience Discovered the Basic Unit of the Nervous System | Scientific American
    https://www.scientificamerican.com/article/the-father-of-modern-neuroscience-discovered-the-basic-unit-of-t

    Modern brain science as we know it began with the work of Santiago Ramón y Cajal, whose creative thought sprang from memories of a childhood spent in the preindustrial Spanish countryside

    #cerveau #art #beau

  • Exposer l’humanisme
    https://laviedesidees.fr/Exposer-l-humanisme

    L’exposition L’Invention de la #Renaissance nous fait pénétrer dans le monde intellectuel et matériel des humanistes au travail, depuis leurs sources d’inspiration antiques jusqu’à leur lieu de retraite. Elle témoigne aussi de la manière dont les manuscrits ont voyagé vers la France au XVe siècle.

    #Histoire #Entretiens_vidéo #Antiquité #livre #humanisme #peinture #beaux-arts
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240517_renaissance.pdf

  • La grève générale pour les Jeux Olympiques ? - Contre Attaque
    https://contre-attaque.net/2024/03/08/la-greve-generale-pour-les-jeux-olympiques

    8 mars 2024Luttes sociales, Maintien de l’ordre, Sport
    C’est désormais clair pour tout le monde : les Jeux Olympiques qui auront lieu à Paris cet été seront un sommet d’horreurs anti-sociales, d’expérimentations liberticides, une auto-célébration macroniste et probablement un ratage historique en mondovision puisque rien n’est prêt. Bref, la Start-up Nation va se taper une honte internationale.

  • Cérémonie d’ouverture des Jeux de Paris 2024 : « Un principe de réalité a fini par s’imposer »
    https://www.lemonde.fr/sport/article/2024/03/06/ceremonie-d-ouverture-des-jeux-de-paris-2024-un-principe-de-realite-a-fini-p

    Le ministre de l’intérieur a annoncé, mardi, que quelque 320 000 personnes pourront assister sur les quais de Seine à la parade le 26 juillet. On est loin des 2 millions de spectateurs que promettaient les acteurs des Jeux, il y a un peu plus de deux ans.

    #beauté_du_sport

  • JO 2030 : menacée par la Région, une association refoule ses inquiétudes environnementales
    https://www.lyoncapitale.fr/actualite/jo-2030-menacee-par-la-region-une-association-refoule-ses-inquietudes-e

    13 février 2024 À 10:59 par Nathan Chaize

    Menacée de se voir retirer ses subventions par la Région après avoir exprimé un certain nombre d’inquiétudes environnementales quant à l’organisation des JO d’hiver 2030, une association a fait volte-face ce lundi.

    « Soutenir cette clause était une maladresse. » L’association Outdoor Sports Valley fait volte-face, quelques mois après avoir signé une tribune d’associations et d’experts énumérant un certain nombre de conditions à respecter pour organiser des Jeux olympiques d’hiver durables.

    #JO_2030

  • JO Paris 2024 : le président du comité d’organisation Tony Estanguet visé par une enquête sur son salaire - lindependant.fr
    https://www.lindependant.fr/2024/02/06/jo-paris-2024-le-president-du-comite-dorganisation-tony-estanguet-vise-

    Le président du comité d’organisation des Jeux olympiques et paralympiques (#Cojop) de Paris, Tony Estanguet, est visé par une enquête ouverte récemment par le parquet national financier et portant sur les conditions de sa rémunération, a appris l’AFP ce mardi de source proche du dossier.

    L’enquête a été confiée à la police judiciaire parisienne la « semaine dernière », a précisé cette source. Contacté par l’AFP, le PNF a indiqué ne pas souhaiter « communiquer à ce stade sur l’existence d’une éventuelle enquête préliminaire relative à la rémunération de Tony Estanguet ».

    Tony Estanguet a perçu une rémunération annuelle de 270.000 euros bruts jusqu’en 2020, selon des chiffres communiqués par le Cojop en 2018. Cette rémunération était ensuite susceptible d’évoluer dans une limite de 20%, en fonction de certains critères de performance, avait indiqué le Cojop à l’époque. Mais le Cojop étant une association de type loi 1901, la rémunération de ses dirigeants est plafonnée par la loi à des niveaux sensiblement inférieurs.

    Selon un récent article du Canard enchaîné, l’ancien sportif aurait donc créé une société qui facture des « prestations non commerciales » au Cojop, qu’il dirige. Ce qui interroge sur le contrôle de « la réalité et la qualité des prestations » effectuées par la société d’Estanguet, poursuivait le journal en octobre.

    #JO

    • JO Paris 2024 : le gouvernement recommande de ne pas se faire livrer pendant la compétition
      https://www.lefigaro.fr/conjoncture/jo-paris-2024-le-gouvernement-recommande-de-ne-pas-se-faire-livrer-pendant-

      Les livraisons pourraient pâtir des difficultés de circulation attendues pendant la compétition. JUSTIN SULLIVAN / Getty Images via AFP
      En cas d’impossibilité de commander à un autre moment, l’exécutif recommande de privilégier des livraisons à des horaires décalés ou en point relais.

      Les Parisiens devront-ils faire une croix sur les livraisons à domicile de commande en ligne pendant les Jeux olympiques ? Le gouvernement invite à « anticiper vos commandes de colis » pour les faire livrer avant le début des JO, le 24 juillet, après les Jeux paralympiques, le 8 septembre, « ou entre les deux olympiades, soit entre le 12 et le 27 août », dans la foire aux questions de son site d’information à destination du public.

      Pour ceux qui ne pourraient pas décaler leurs livraisons, le gouvernement invite à « privilégier des livraisons à des heures et des jours avec moins de trafic », « des livraisons à vélo ou à pied », ou en « point relais en dehors des périmètres de sécurisation ».

      De nombreux propriétaires donnent congé à leurs locataires dans Paris à l’approche de la compétition
      https://seenthis.net/messages/1040313

      La touristification bananière coûte cher

    • Il s’agit de la sixième procédure pénale en lien avec les Jeux olympiques de Paris 2024.

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/02/06/jo-2024-tony-estanguet-le-patron-des-jeux-a-son-tour-dans-le-viseur-de-la-ju

      A moins de six mois de l’ouverture des Jeux olympiques de Paris 2024 (du 26 juillet au 11 août), c’est une fuite qui a provoqué quelques remous au sein du Comité d’organisation des Jeux olympiques et paralympiques (Cojop) de l’événement sportif planétaire. Mardi 6 février, l’Agence France-Presse a révélé l’ouverture d’une nouvelle enquête préliminaire par le Parquet national financier (PNF) en lien avec les Jeux et ses organisateurs. Comme le confirme une source proche du dossier, cette procédure pénale vise les conditions de rémunération (270 000 euros annuels brut) du président du Cojop, Tony Estanguet. Elle a été confiée à la brigade de répression de la délinquance économique, au sein de la police judiciaire parisienne.

      Il s’agit de la sixième enquête préliminaire ouverte, depuis 2017, par le PNF en lien avec le Cojop et les Jeux de 2024. A ce stade, l’ensemble de l’état-major du comité d’organisation est dans le collimateur de la justice française. Outre Tony Estanguet, figure de l’olympisme français et triple médaillé d’or aux JO, Etienne Thobois, directeur général de Paris 2024, Michaël Aloïsio, directeur général délégué, et Edouard Donnelly, directeur exécutif des opérations – soit les quatre principaux dirigeants, dans l’ordre hiérarchique, du comité d’organisation des Jeux –, sont désormais dans le viseur des enquêteurs pour des soupçons de « prise illégale d’intérêts », « favoritisme » et « trafic d’influence ».

      Cette fuite via l’AFP n’a guère été du goût du PNF, qui n’a pas confirmé l’information et « n’a pas souhaité communiquer sur l’ouverture d’une éventuelle enquête ». Le PNF indique au Monde avoir « adopté une communication limitée autour des dossiers mettant en cause les différentes structures d’organisation des Jeux olympiques, afin de préserver les chances de réussite de ces procédures ». Il ajoute : « Le choix de certains médias de révéler l’existence d’enquêtes en cours, avant même la réalisation d’opérations de perquisition ou l’audition des principales personnes mises en cause, est de nature à constituer une entrave importante à la manifestation de la vérité. »

      « Ce n’est pas Tony Estanguet qui fixe sa rémunération »

      De son côté, le comité d’organisation, qui a fait part, mardi, de son « étonnement » à l’annonce de l’ouverture de l’enquête, dément « formellement » s’être affranchi de la réglementation en matière de rémunérations applicable aux associations de type loi 1901, forme juridique adoptée lors de la création du Cojop, début 2018. Interrogé mardi soir en marge de l’inauguration de la piscine Annette Kellerman à La Courneuve (Seine-Saint-Denis), Tony Estanguet a affirmé que ce n’était pas lui « qui décid[ait] de [sa] rémunération ni de son cadre ». « Je fais confiance à ce qui a été décidé à l’époque », a-t-il ajouté.

      La rémunération de Tony Estanguet – 270 000 euros brut, dont une part variable plafonnée à 20 % – est « très strictement encadrée », fait valoir le comité d’organisation. Elle a été validée lors du premier conseil d’administration de Paris 2024, le 2 mars 2018, « sur proposition d’un comité des rémunérations composé d’experts indépendants et présidé par [l’ex-PDG de la RATP] Jean-Paul Bailly ». « Ce n’est pas Tony Estanguet qui fixe sa rémunération », précise le Cojop.

      L’organisateur des Jeux assure qu’ en raison du caractère commercial de ses activités – recettes issues des partenariats, de la billetterie et des droits télé entre autres – il n’est pas soumis au plafonnement de la rémunération de ses dirigeants. Rien ne l’empêche donc de rétribuer ses dirigeants comme il l’entend. « Le comité poursuit un but d’intérêt général mais n’a pas une gestion désintéressée, au sens fiscal du terme […] A l’inverse des associations non lucratives, Paris 2024 est par exemple assujetti à la TVA dans les conditions de droit commun […] comme une entreprise normale », poursuit-il, précisant que « le caractère lucratif de son activité, lié à ses recettes commerciales, lui a été confirmé par un #rescrit_fiscal [de Bercy] ».

      Mais pourquoi Paris 2024 n’a-t-il pas salarié son patron alors qu’Etienne Thobois, son numéro deux, rémunéré 260 000 euros brut – soit sensiblement la même somme que Tony Estanguet –, dispose, lui, d’un contrat de travail ? Impossible, répond le Cojop, qui assure que le statut d’une association de type loi 1901 interdit au président de ladite association d’être lié par un quelconque lien de subordination juridique. Cela lui aurait été rappelé par les services de l’Urssaf. « La présidence exécutive de Paris 2024 est considérée comme un mandat et non comme un contrat de travail », explique Michaël Aloïsio, directeur général délégué.
      D’où le recours au régime de travailleur indépendant pour indemniser le patron du comité d’organisation. Concrètement, la société de Tony Estanguet facture chaque mois des prestations au Cojop – une information qui avait été révélée par Le Canard enchaîné, fin octobre 2023 – à hauteur de la rémunération fixée, et dont le montant fait l’objet d’un « audit annuel par l’exécutif du comité d’organisation et d’un examen par le comité des rémunérations », souligne Paris 2024. Le montant de la rémunération du triple champion olympique de canoë n’a pas varié depuis 2018, insiste-t-on du côté de l’organisateur, qui précise en outre que les modalités de versement de la rémunération ont été validées par l’Urssaf et par le contrôleur général économique et financier.

      Une mauvaise série d’enquêtes

      « Aux JO, on sait que chaque faux pas sera visible », prédisait Tony Estanguet, samedi, dans un entretien à Libération. Simple mauvais présage ? Le patron du comité d’organisation n’a, à ce jour, pas pris d’avocat, « car [ses équipes] n’[ont] pas encore été sollicité[e]s dans le cadre d’une procédure », avancent-elles. Ces dernières se disent prêtes à répondre aux questions des enquêteurs, « comme [elles] l’[ont] toujours fait auprès de l’ensemble des organes de contrôle », ajoutent-elles.

      Les révélations de l’AFP sur cette nouvelle enquête menée par le #PNF contribuent en tout cas à rappeler, à quelques mois des Jeux, l’épée de Damoclès qui plane au-dessus des organisateurs sur le plan judiciaire. La mauvaise série se poursuit pour le Comité international olympique. Avant le Cojop, d’autres pays organisateurs des Jeux ont été ciblés par des enquêtes judiciaires.

      Si l’ex-patron du comité olympique brésilien, Carlos Nuzman, n’a été mis en cause puis condamné pour corruption et blanchiment d’argent qu’après les Jeux de Rio, en 2016, les organisateurs des JO de 2021 à Tokyo ont été ébranlés par la tornade judiciaire avant l’événement. Soupçonné par le PNF d’avoir autorisé le paiement de pots-de-vin en vue de l’obtention des Jeux par la capitale nipponne en 2013, l’ex-patron du Comité olympique japonais, Tsunekazu Takeda, a été mis en examen, en 2019, par la justice française pour « corruption active ».
      Rémi Dupré et Nicolas Lepeltier

      Ah la la, ça fait trop penser à Amélie Oudéa-Castéra... Ces ex-sportifs de haut niveau qui ont réussi à se promouvoir, ils se font bolosser par les média, les syndicats et la justice d’un pays tellement égalitariste jusqu’au cauchemar ! C’est trop injuste.

  • Paris 2024 : les volontaires trouveront à se loger « par des relations », assure le délégué interministériel aux Jeux
    https://www.lemonde.fr/sport/article/2024/01/19/paris-2024-les-volontaires-trouveront-a-se-loger-par-des-relations-assure-le

    Le logement des 45 000 volontaires, non pris en charge par le Comité d’organisation, est un problème alors que les prix des hôtels et des locations Airbnb s’envolent. Michel Cadot assure que « les gens trouvent des solutions ».

    Mais où est la ministre des jeux olympiques ? Rue Littré ou quoi ?
    #beauté_du_sport
    full disclosure : j’ai été élève à l’école de la rue Littré jusqu’au CP ;-)

  • Jeter le Gégé avec l’eau du bain, Louise Chennevière
    https://lundi.am/Jeter-le-Gege-avec-l-eau-du-bain

    Il faut que je creuse loin pour avoir quelques images de lui à la télé, on n’était pas chez moi féru de cinéma français. En grandissant je n’ai jamais senti quelque attirance que ce soit envers lui, et étonnamment rattrapant ma culture cinématographique, j’ai comme toujours évité les films dans lesquels il jouait. Ce ne fût pas exactement conscient, plus comme s’il y avait instinctivement quelque chose qui me rebutait dans cette figure. J’avais dû subir, un soir d’hiver le visionnage avec quelques amis exaltés d’un best-of de l’émission A pleines dents dans laquelle on suit le type parcourir l’Europe pour, bouffer. Il est vrai que je ne suis pas non plus obsédée par la bouffe, et que je n’ai pu me résoudre à rire devant ces images de ce type d’une vulgarité sans égale dévorant bruyamment tout ce qui passait devant lui. Voilà ce que je savais moi de Depardieu, bien peu je l’admets, mais cela me suffisait. Ah, il y avait aussi cette publicité pour une marque de montre russe dans laquelle on le voit fièrement tenir un fusil avec lequel il se vante d’avoir été à l’heure pour buter un cerf, cerf dont la pauvre carcasse gît au premier plan de l’écran, Gégé nonchalamment accoudé dessus.

    Je dois bien avouer aussi que je n’ai pas été surprise lorsque les premiers témoignages d’agressions sexuelles ont commencé à émerger. Si je n’ai pas été surprise c’est parce que ces agressions sexuelles sont permises et justifiées par une certaine culture dont, pour le peu que j’en avais vu, Gérard Depardieu me semblait être l’un des hérauts et des plus fiers représentants. Je veux dire que je n’avais jamais eu besoin de creuser très loin pour sentir que le type était l’incarnation de tout ce que l’on nomme aujourd’hui la masculinité toxique – je n’aime pas particulièrement l’expression mais ça a le mérite d’être clair et concis. On pourrait dire aussi : la masculinité qui s’est construite avec la certitude que tout, absolument, lui était dû et permis. Il faut voir ce passage de l’émission où ce bon vieux Gégé énumère fièrement tous les animaux qu’il a bouffé, et un steak de lion, et du crocodile, une baleine bourguignonne – on le sait de toute façon, les animaux si exotiques soient-ils, et quelle que soit leur voie de disparition, c’est fait pour être bouffé par des Gégé, tout comme les femmes. Croquer la vie à pleines dents donc et qu’importe si, sur son passage on détruit celles de dizaines de femmes. On m’accusera sûrement d’être rabat-joie. Mais il n’y a rien, absolument rien dans ce qu’incarne Gérard Depardieu qui ne me semble confiner à la joie. Tout ce que j’en vois me dégoûte, m’attriste et me met en colère.

    • Louise Chennevière invitée du podcast Je tiens absolument à cette virgule (36 min.)

      https://podcast.ausha.co/je-tiens-absolument-a-cette-virgule/je-tiens-absolument-a-cette-virgule-avec-louise-chenneviere

      Dans ce quatrième épisode, vous entendrez Louise Chennevière, romancière et musicienne, qui a publié deux romans chez POL, Comme la chienne en 2019 et Mausolée en 2021.

      Émission résolument féministe, se réclamant autant d’Annie Ernaux que de Marguerite Duras, Louise Chennevière défend l’importance en littérature d’entendre la voix des femmes et d’en écrire le corps réel, émancipé de ses représentations sociales. Lors de notre entretien, elle revient aussi sur la question de l’équilibre entre travail du style et première intuition, la prévalence de l’écriture sur l’intrigue ou encore la difficulté de demander des conseils lors de l’élaboration d’un roman.

      Dans cette émission, vous entendrez aussi plusieurs extraits de ses deux romans, lus par Marina Torre.

    • Lettre ouverte à Gérard Depardieu : “Tu crées la terreur par le rire, tu te fais passer pour un bouffon, alors que tu es un roi tout puissant”

      https://seenthis.net/messages/1034125

      Ah Gégé ! Ce tournage de Turf … Toi, tu ne t’en souviens plus. C’est réglo, c’est ta ligne, mais moi, j’y étais. J’ai dû être payé une fortune pour l’époque, quelque chose comme 100 balles la journée : je faisais partie du ballet de figurant·es. C’est intéressant comme rôle, c’est quasiment intraçable, ça ne fait pas de bruit, ça se pose là où on lui dit et surtout, ça FERME BIEN SA GUEULE.

      [...]

      Je ne te raconte pas une fiction Gégé, j’étais là, dans l’ombre parmi les intraçables, les témoins muets de tes agissements qui nous ont atterrés. La fille se sauve, toi, tu fixes l’horizon d’un air pénétrant (sûrement pour réviser ta réplique) et c’est branle-bas de combat de l’équipe technique, des assistant·es qui tentent de mettre de la poudre aux yeux à tout le monde pour que ton geste paraisse aussi anodin que tes rots ou tes pets.

      [...]

      Je te le dis pour ta gouverne, c’est pas du womansplaining, mais un peu quand même : une nana encerclée par un groupe de mecs à l’œil allumé n’est pas sereine, elle rit bêtement et reste un peu paralysée sur place. Pas parce que ça lui plaît, mais parce que les petits animaux face aux prédateurs ont tendance à se pétrifier avant de fuir. Heureusement pour moi, les turfistes avaient d’autres juments à monter et je suis restée face à toi, indécise. Non pas parce que j’hésitais encore à savoir si j’aurais aimé te sucer la bite, mais parce qu’à l’école de théâtre, on m’avait dit que face au monstre sacré, il fallait BIEN FERMER SA GUEULE. Et puis l’éducation des filles aussi : en société, il faut sourire, être dans une forme d’écoute et d’empathie face à ton interlocuteur. C’est hyper chiant et ça te rend vachement moins libre de tes mouvements.

    • « Choix pragmatique » –
      En Suisse, Gérard Depardieu n’a plus droit de cité à la télévision publique

      https://www.liberation.fr/economie/medias/en-suisse-gerard-depardieu-na-plus-droit-de-cite-a-la-television-publique

      La décision de suspendre la diffusion sur la RTS des films dans lesquels l’acteur français tient un des rôles principaux est « un choix pragmatique, que nous réexaminerons en fonction des évolutions de la situation, sans calendrier fixé d’avance et dans le respect de la procédure en Justice », a indiqué Marco Ferrara.

      « En tant que média de service public, nous devons veiller à rester en marge des parties impliquées et ne pas porter de jugement : nous nous limitons à agir au service de l’intérêt du public, ce qui inclut aussi son appétence ou, au contraire, son rejet envers une œuvre », avance-t-il prudemment.

      « Au-delà de cette évaluation qualitative », a ajouté le porte-parole de la RTS, « nous avons récemment organisé un vote du public pour le film de Noël et, parmi les options figurait une œuvre avec Gérard Depardieu, que le public lui-même a décidé de ne pas retenir, alors que le contexte d’actualité concernant l’acteur était connu ».

    • Coupable, Jacques Weber
      https://blogs.mediapart.fr/jacques-weber/blog/010124/coupable

      Je mesure chaque jour mon aveuglement. J’ai par réflexe d’amitié signé à la hâte, sans me renseigner, oui j’ai signé en oubliant les victimes et le sort de milliers de femmes dans le monde qui souffrent d’un état de fait trop longtemps admis. L’écartèlement entre les devoirs de l’amitié et ceux de l’homme, du père et du citoyen aurait pu encore m’aveugler si je n’avais vu de mes propres yeux, vu et entendu ces derniers jours une femme exprimer une violence, une émotion, un déchirement, un désespoir que je ne mesurais pas. J’ai saisi ce que pouvait signifier la douleur qui ne se refermera jamais. Dans le livre collectif Moi aussi je lisais que les survivantes sont les seules à pouvoir comprendre les autres survivantes. Je le sais à présent.
      Ma signature était un autre viol.

    • Depardieu : notre responsabilité de société - Stephane Lavignotte

      https://blogs.mediapart.fr/stephanelavignotteorg/blog/281223/depardieu-notre-responsabilite-de-societe

      Etablir les faits, une responsabilité de la société

      Pour dire des faits, il n’y a pas que la justice. La société et certaines de ses institutions ont aussi cette responsabilité, les journalistes et les historiens, par exemple. Pour savoir que les attentats du 11 septembre ont bien eu lieu et qu’Al Qaida en était à l’origine, on n’attend pas une décision judiciaire, le travail de presse fait foi. Pour savoir que Dreyfus était innocent, il vaut mieux s’en remettre aux historiens et aux journalistes de son temps qu’à l’institution judiciaire. Le propre de la justice ne consiste d’ailleurs pas tant à dire les faits qu’à prononcer des sanctions mises en oeuvre grâce au monopole de la violence légitime de l’État, prison ou amende. La justice reconnaît volontiers que – par exemple sur les faits de pédophilie ou de viol – elle ne peut souvent pas prononcer les faits car ses critères sont restrictifs pour retenir des preuves et que par exemple elle s’applique une prescription des faits. Des institutions de la société civile disent mieux le factuel que la justice et c’est leur responsabilité d’aller chercher et de divulguer les faits.

      [...]

      Faire société ou pas ?

      Maintenant que ces fait sont connus par delà le petit milieu du cinéma, cette responsabilité de ne plus fermer les yeux et de ne plus laisser faire est collective : elle s’élargit à l’ensemble de la société. Collectivement, disons-nous « stop » ou « encore » ? Il y a des tribunes, ou des déclarations de président de la République, qui en défendant Depardieu participent du déni de la gravité des faits d’hier mais aussi se déchargent de toute responsabilité des comportements inacceptables de demain, de Depardieu ou d’autres. Qui, paradoxalement, font société – « bonne société » en l’occurrence – pour nous dire de ne pas faire société, qu’il y a uniquement des individus et l’État. Des individus dans des rapports inter-individuels (en ignorant les déséquilibres de pouvoir) et l’État quand il y a désaccord. Rien entre les deux.

    • violence légitime de l’état

      mais quand est-ce que les journalistes vont arrêter de mettre ces mots en contre vérité total de leur contexte à toutes les sauces ?

    • Notion fourretout

      monopole de la violence légitime de l’État

      La « violence légitime de l’État » de Max Weber
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/la-violence-legitime-de-l-etat-de-max-weber-8101512

      Et il insiste sur la dimension violence, c’est souvent ce qu’on retient de ce texte. Il y a d’autres versions dans des textes de Weber qui sont plus scientifiques, dirais-je, et où il utilise à la place du terme “violence, le terme “contrainte”. C’est-à-dire, les moyens de garantir le droit.

      Ambiguïté du terme "légitime"

      C’est une définition des pouvoirs de l’État pas une justification de la violence envers le peuple. Max Weber explique que l’État se substitue aux autres instances de pouvoir, contrairement aux multiples autorités de l’époque féodale : Église, roi, villes libres. En somme, c’est une définition de la souveraineté moderne.

    • Quand Max Weber parle de “violence légitime” il en fait une description sociologique, il décrit ce qui est et non pas ce qui doit être. Max Weber théorise comment se sont constitués les États en tant qu’entités politiques.

      "Cette définition intervient après qu’il (Weber) a écarté les définitions plus courantes, par les objectifs, les buts de l’État. Il se replie sur la définition par son moyen. Il a un moyen spécifique que n’ont pas les autre groupements politiques. Et ce moyen spécifique ce n’est pas la violence physique mais c’est le monopole de la violence physique. "

      La force précède et accompagne le droit. Refuser la « violence contre le peuple », c’est refuser l’État.

  • Mine de lithium dans l’Allier : le rapport qui dévoile une bombe toxique
    https://disclose.ngo/fr/article/mine-de-lithium-dans-lallier-le-rapport-qui-devoile-une-bombe-toxique

    Il y a un an, le gouvernement a annoncé l’ouverture, dans l’Allier, de la plus grande mine de lithium d’Europe. D’après un rapport inédit dévoilé par Disclose et Investigate Europe, le secteur, fortement contaminé à l’arsenic et au plomb, présente « un risque significatif pour l’environnement et la santé humaine ». Une véritable bombe à retardement passée sous silence par les autorités. Lire l’article

    • Des mines de lithium en #Limousin ? L’impossible débat

      De l’Allier jusqu’à la #Haute-Vienne, la fièvre minière suscite la controverse.

      C’est à Échassières, petit bourg de 400 habitants dans l’Allier que la multinationale #Imerys prévoit d’ouvrir la plus grande mine de lithium d’Europe et d’extraire plus d’un million de tonnes d’#oxyde_de_lithium en 25 ans. Ce volume permettra de produire 700 000 #batteries de #voitures_électriques.

      C’est bien la #transition_écologique et le #tout-électrique qui font grimper les cours du lithium, rendant à présent sa prospection intéressante en Europe et en France, où les lois environnementales sont pourtant contraignantes pour les industriels. Les deux plus grand pays producteurs que sont l’#Australie et le #Chili (70 % du volume mondial) ne semblent en effet que bien peu s’embarrasser du sort des populations autochtones vivant sur les territoires miniers.

      Les occidentaux font partie des plus grands consommateurs de lithium au monde. Dès lors, refuser une #extraction_locale au nom de l’écologie serait-il faire la promotion d’une « #écologie_coloniale » ? À l’inverse, peut-on parler de « transition écologique » lorsque les groupes industriels produisent à l’envie des smartphones à l’obsolescence programmée et des voitures électriques toujours plus lourdes et gourmandes type SUV, Tesla et autres ? Le débat parait impossible, tant les contradictions fusent de part et d’autre.

      Dans ce reportage nous écouterons les habitants de la ville d’Échassières, des militants de #Stopmines23, Rafael Solans-Ezquerra, élu à la mairie d’#Ambazac favorable à l’extraction de lithium sur sa commune, et Laurent Richard, spécialiste des sols. À travers leurs témoignages nous entendrons peut-être qu’une sortie par le haut de cet impossible débat serait déjà de se poser la question de nos réels besoins fondamentaux. Nous les entendrons évoquer le principe de sobriété mais aussi la manière dont les industriels ont exploité les divers minerais de la région par le passé, notamment l’uranium.

      https://telemillevaches.net/videos/des-mines-de-lithium-en-limousin-limpossible-debat

    • Dans l’Allier, un projet d’exploitation d’une mine de lithium divise

      Le gouvernement français relance l’extraction minière. En Auvergne, un projet de mine de lithium, présenté comme vertueux pour la lutte contre le réchauffement climatique, rencontre de l’opposition.

      Un projet de mine de lithium, un minerai blanc utilisé dans la fabrication, entre autres, de batteries automobiles électriques, divise la population. D’un côté, la région, le gouvernement et une société vantent un projet qui accompagnerait une stratégie globale de décarbonation. De l’autre, des citoyens et des associations craignent des retombées négatives ; pollution, effets sur l’accès au sol et à l’eau...

      Mais le sujet dépasse l’Allier où la mine pourrait voir le jour, et la seule production de lithium. En effet, le gouvernement français, et au-delà, les institutions européennes, comptent relancer l’extraction minière sur le sol européen.

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/la-transition-de-la-semaine/dans-l-allier-un-projet-d-exploitation-d-une-mine-de-lithium-divise-2830

    • Mine de lithium dans l’Allier : « Voulons-nous que nos voitures fonctionnent au pétrole, ou à l’électricité du soleil et du vent » ?

      Alors que le débat public s’achève sur le projet de mine à Echassières (Allier) devons-nous laisser dormir les centaines de milliers de tonnes de lithium que renferme son granite ? Ou sécuriser les approvisionnements des usines de batteries en construction dans les Hauts-de-France ? interroge Cédric Philibert, chercheur associé à l’Ifri (1) .

      Le projet de la société Imerys d’ouvrir une mine de lithium à Echassières, dans l’Allier, sur le site d’une carrière de kaolin qu’elle exploite, fait débat. Ce débat est organisé par la commission nationale du débat public, comme pour tout investissement de cette ampleur. Les réunions publiques tenues au fil des dernières semaines permettent d’en repérer peu à peu les principaux arguments et les lignes de force, et les positions des divers acteurs.

      Certains des futurs voisins de la mine ou des installations connexes s’inquiètent de possibles nuisances, visuelles ou auditives. Pêcheurs, agriculteurs et environnementalistes craignent un gaspillage de ressources hydriques et de possibles pollutions des eaux souterraines. La mine demande « énormément d’eau », affirme Antoine Gatet, le président de France Nature Environnement (Libération du 10 mars 2024).

      Mais des oppositions plus radicales s’expriment. A quoi bon extraire du lithium ? A quoi bon fabriquer des voitures électriques, si c’est pour perpétuer la voiture ? L’historien Jean-Baptiste Fressoz s’interroge dans le Monde : « D’où vient cette idée que, pour sauver le climat, il faut absolument ouvrir des mines ? » A quoi bon, en effet, puisque « la voiture électrique ne réduit que de 60 % les émissions de CO2 par rapport à un véhicule thermique. » La transition ne serait qu’un prétexte pour réenchanter la mine : « Le lobby minier parle maintenant “des métaux pour la transition”, alors qu’il s’agit souvent de métaux pour l’électronique et l’industrie en général », poursuit-il. Et qu’importe si les batteries de nos téléphones, de nos ordinateurs portables et, surtout, de nos véhicules électriques représenteront d’ici à 2030 pas moins de 95 % de la demande de lithium.
      Nous ne sommes pas seuls au monde

      Bien sûr, la voiture électrique est indispensable pour réduire nos émissions de gaz à effet de serre. La France compte une voiture pour deux habitants, c’est trop. Admettons que nous réussissions, d’ici à 2050, à ramener le nombre de voitures à une pour cinq habitants – en multipliant les transports en commun, les pistes cyclables, en incitant à l’exercice physique… Mais beaucoup d’entre nous, vivant dans les villages et les bourgs ou en banlieues lointaines serons encore dépendants de leur voiture pour se déplacer dans vingt-cinq ans.

      Et nous ne sommes pas seuls au monde. Nous serons bientôt dix milliards, et il n’y a pas de raison que dans les autres pays, sur les autres continents, on n’arrive pas au même niveau d’équipement que les sobres Français. Ça fera tout de même deux milliards de voitures en tout, deux fois plus qu’aujourd’hui… Voulons-nous qu’elles fonctionnent au pétrole, ou à l’électricité du soleil et du vent, alors devenue majoritaire dans le mix énergétique mondial ?

      Pourtant, sceptiques et opposants n’ont pas forcément tort… Nous pourrions ne pas créer la mine d’Echassières, et laisser dormir les quelques centaines de milliers de tonnes de lithium que renferme son granite. Le monde regorge de lithium, on s’en rend compte maintenant qu’on en cherche. Les réserves, économiquement exploitables aujourd’hui, estimées à 17 millions de tonnes, il y a quatre ans, sont désormais évaluées à 28 millions de tonnes, de quoi soutenir un demi-siècle de production intensive de batteries.

      On les trouve au Chili, au Pérou, en Argentine, en Australie, en Chine… et aux Etats-Unis, où la plus récente découverte pourrait encore doubler les réserves d’un seul coup. Les ressources connues, peut-être un jour exploitables, sont quatre fois plus importantes que ces réserves.

      Certes, sécuriser autant que possible les approvisionnements des usines de batteries que nous sommes en train de construire dans les Hauts-de-France, cela pourrait se révéler utile, dans un monde qui se hérisse de barrières et de conflits. Mais qu’avons-nous besoin de fabriquer des batteries, ou même des voitures ? Nous les achèterons à la Chine… Plus sérieusement, si nous devons acheter à l’étranger, et surtout à la Chine, les métaux nécessaires à la fabrication des batteries et voitures européennes, autant en limiter les volumes autant que possible.
      Toutes les études ne sont pas terminées

      Aucune mine n’est bien sûr sans impact sur l’environnement. Mais ces impacts peuvent être drastiquement réduits. Le projet d’Imerys est à cet égard très intéressant. La mine sera souterraine, limitant fortement les nuisances, et fera essentiellement appel à des machines électriques. Le mica voyagera d’abord dans des conduites souterraines, puis des wagons, en aucun cas des camions. L’usine de conversion du mica en hydroxyde lithium, située près de Montluçon, n’utilisera que l’eau d’une station d’épuration.

      Dans la mine elle-même, 95 % de l’eau utilisée pour le lavage des concentrés sera recyclée, limitant le prélèvement dans la Sioule à 600 000 m³ par an, 0,1 % de son débit moyen, moins de 1 % de son débit d’étiage. Moins d’un mètre cube pour la batterie d’une voiture électrique, à peine la quantité d’eau nécessaire pour produire une demi-tablette de chocolat…

      Toutes les études ne sont pas terminées, les autorisations ne sont pas délivrées, mais le projet est sous étroite surveillance des pouvoirs publics, des ONG, des médias. Au nom de quoi nous priverions-nous du surcroît de souveraineté que procure une production domestique ? Et si l’on préfère considérer toute mine comme un fardeau pour notre environnement – fardeau relatif, qui aide à éviter un mal bien plus grand encore, celui du changement climatique, mais fardeau tout de même – au nom de quoi devrions-nous laisser ce fardeau à des peuples lointains ?

      Contrairement à nous, ils n’ont pas toujours les moyens d’exiger des industries minières les mesures indispensables de préservation de leur environnement immédiat. On peut donc voir, dans l’ouverture de mines en Europe pour fournir au moins une partie des matériaux de la transition énergétique, un enjeu moral autant que de souveraineté.

      (1) Dernier ouvrage paru : Pourquoi la voiture électrique est bonne pour le climat, Les Petits Matins-Institut Veblen, mars 2024.

      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/mine-de-lithium-dans-lallier-voulons-nous-que-nos-voitures-fonctionnent-a

    • Le #lithium, de l’#or_blanc en barre

      Promesse économique et énergétique, risque écologique : « Les Jours » enquêtent sur ce métal rare niché dans le sol français.

      À #Échassières (#Allier)

      Échassières, département de l’Allier. Un petit bourg tranquille, jusqu’au 24 octobre dernier. Au petit matin, la brume s’attarde sur la #forêt_domaniale des #Colettes. La route s’enfonce sous les arbres, remonte en douceur les flancs du massif granitique de La Bosse avant de redescendre vers le village. Échassières, 400 âmes, un château, un clocher, cinq commerces soutenus à bout de bras par la municipalité, une minuscule école primaire et un Ehpad dont les locataires font sérieusement grimper la moyenne d’âge de la population. Et puis, le 24 octobre 2022, le groupe français de minéraux industriels Imerys a annoncé son intention d’y ouvrir l’une des plus grandes mines européennes de lithium, ce métal mou et léger, composant essentiel des batteries électriques. Alors dans les semaines qui ont suivi, les journalistes ont défilé sur la place de l’église et le secrétariat de la mairie a ployé sous les appels de ses administrés.

      « Dans l’ensemble, la population est plutôt ouverte au projet », estime Frédéric Dalaigre, le maire (sans étiquette) d’Échassières. Il faut dire que l’on se trouve ici en terre minière. « La mine, c’est l’ADN de la région », s’exclame Jean-Christophe Thenot, animateur du musée géologique local, Wolframines. Ce natif du coin, passionné de minéralogie, déploie son enthousiasme pour la richesse géologique locale à grand renfort de superlatifs et d’érudition. « C’est un site exceptionnel, dont la diversité minéralogique et minière est unique et réputée », assure-t-il. Chaque année, des dizaines de scientifiques et passionnés de minéralogie viennent arpenter les flancs du massif. Mais l’économie locale, elle, s’est surtout bâtie sur l’extraction minière. Dans le coin, on a commencé à creuser dès l’époque gallo-romaine, pour extraire de l’étain principalement. Des siècles plus tard, à l’aube du XIXe siècle, c’est le kaolin qui intéresse – cette argile blanche, principalement utilisée dans la confection de céramiques. Les nobles locaux ouvrent une tripotée de carrières, dont la première, celle de Beauvoir, est toujours en activité. Propriété d’Imerys depuis 2005, elle emploie une trentaine de salariés. C’est là que le groupe minier prévoit d’ouvrir son site d’extraction de lithium. Mais l’exploitation sera autrement conséquente. Avec le projet #Emili (pour « Exploitation de mica lithinifère par #Imerys »), l’entreprise espère produire quelque 34 000 tonnes d’hydroxyde de lithium par an, dès 2028. De quoi équiper 700 000 véhicules électriques chaque année, estime le groupe. Et ce pour une durée d’au moins ving-cinq ans, le temps d’exploiter un gisement parmi les plus prometteurs de l’Hexagone.

      À Échassières, si certains ont été quelque peu soufflés par la nouvelle, les anciens, eux, ne sont pas surpris. « Du lithium, ça fait belle lurette qu’on sait qu’il y en a et qu’on attend qu’il soit exploité », sourit Danièle Chammartin. Trente-sept ans de secrétariat de mairie et deux mandats à la tête de la commune, l’ancienne élue est une véritable mémoire du village. Dans le salon de sa maison, face à l’église, elle raconte. Le Bureau de recherches géologiques et minières (BRGM) a effectué des sondages à Échassières dès les années 1970, décelant la présence de lithium au cœur du granit du massif, dans le mica lépidolite formé par des milliers d’années d’évolution géologique. Et dans les années 1980, plusieurs élus locaux et un député ont bataillé pour convaincre de l’intérêt d’exploiter le gisement de Beauvoir. Haroun Tazieff, alors secrétaire d’État chargé de la Prévention des risques naturels et technologiques majeurs, est même venu à Échassières, en 1984, pour constater le potentiel filon.

      Mais à l’époque, le lithium n’intéresse pas grand-monde. « Pas assez rentable », déplore Danièle. Longtemps utilisé dans la production de verres et céramiques, ou encore en médecine, pour le traitement des patients bipolaires, ce n’est que dans les années 1970 que l’on découvre le potentiel de stockage d’électricité de ce minuscule atome. Les batteries dites « Li-ion » commencent certes à être commercialisées dans les années 1980 pour les caméscopes, les ordinateurs, et leur production augmente au fil des années. Mais on préfère produire ailleurs, en Chine notamment. La mondialisation bat son plein et la France ferme ses mines plutôt que d’en ouvrir de nouvelles. Près de quarante ans plus tard, la donne a changé. Le climat s’emballe, les dirigeants mondiaux s’engagent à réduire leurs émissions de gaz à effet de serre, investissent dans les énergies renouvelables et, en parallèle, l’Union européenne acte la fin des véhicules thermiques en interdisant leur vente à partir de 2035. L’ère de la transition énergétique et de la voiture électrique est lancée. Le lithium, avec les autres métaux rares constituant les batteries, devient plus recherché que jamais et le marché explose. Les chiffres sont vertigineux. De moins de 40 000 tonnes en 2016, la production mondiale de lithium a dépassé 100 000 tonnes par an en 2021, selon l’Institut des études géologiques américain. Et elle peine à suivre la demande. D’après l’Agence internationale de l’énergie, la consommation annuelle mondiale de lithium pourrait atteindre 800 000 tonnes en 2040 pour les seuls véhicules électriques. Les prix s’envolent, quintuplant entre 2021 et 2022 pour atteindre 80 000 dollars la tonne de lithium qualité batterie, rapporte L’Usine nouvelle. La course au « nouvel or blanc », tel qu’il a été surnommé, est lancée.

      « Avec la transition énergétique, on passe d’une dépendance aux hydrocarbures à une dépendance aux métaux rares », résume le journaliste et chercheur associé à l’Institut de relations internationales et stratégiques (Iris) Guillaume Pitron, auteur de La guerre des métaux rares. Alors, aux quatre coins du monde, on explore ses ressources pour y piocher sa part. Un enjeu économique, certes, mais aussi stratégique. Car cette transition redistribue également les cartes des dépendances géopolitiques. Pour l’heure, la production de lithium est essentiellement assurée par quatre pays : l’Australie, fournissant à elle seule plus de la moitié de l’extraction, le Chili (un quart de l’extraction mondiale), la Chine (16 %) et l’Argentine (7 %). Mais extraire du lithium ne suffit pas. De la mine à la batterie, le métal doit subir plusieurs processus de séparation et de transformation. Et en la matière, la Chine s’est depuis longtemps imposée. 60 % du raffinage de l’« or blanc » se fait sur son territoire. Si l’on y ajoute les autres métaux présents dans les batteries pour véhicules électriques (manganèse, nickel, graphite, cobalt), c’est près de 80 % de la production mondiale qui y serait transformée.

      Alors l’Union européenne peut bien rêver d’assurer 25 % de la production mondiale de batteries électriques en 2030, elle n’en a, pour l’heure, pas les ressources. Tandis que la guerre en Ukraine met cruellement en relief nos dépendances énergétiques, cette domination de la Chine sur le marché irrite. Et d’un bout à l’autre du Vieux Continent, on parle mines et relocalisation de la production, Emmanuel Macron le premier. « En France, on n’a pas de pétrole, mais on a du lithium », lançait le président de la République sur France 2 le 26 octobre, reprenant la petite phrase de Valéry Giscard d’Estaing en pleine crise pétrolière, en 1976 (« En France, on n’a pas de pétrole, mais on a des idées »). Dix jours plus tôt, il déclarait aux Échos : « Dans la campagne, j’ai fixé un objectif : une filière [de voitures électriques] 100 % produite en France. » Et de rappeler que trois « gigafactories » – comprenez « très grosses usines » – de batteries de véhicules électriques se sont récemment implantées dans le Nord de la France, la première devant commencer sa production en 2023. Restent l’extraction et le raffinage des ressources et, parmi celles-ci, du lithium.

      Dans ce contexte, l’annonce du projet Emili a donc été accueillie avec enthousiasme par le gouvernement. Le ministre de l’Économie Bruno Le Maire, la ministre de la Transition énergétique Agnès Pannier-Runacher, et le ministre de l’Industrie Roland Lescure sont même cités dans le communiqué d’Imerys. « Ce projet, exemplaire sur le plan environnemental et climatique, réduira drastiquement nos besoins d’importation de lithium », salue le premier, ajoutant qu’il sera bien entendu soutenu par le gouvernement.

      Enjeu écologique, enjeu stratégique et géopolitique, enjeu économique. À Échassières, la promesse économique fait rêver certains d’un retour à la grande époque minière du village. À partir de 1912, la principale exploitation minière d’Échassières était celle du wolfram, dont était extrait le tungstène, un métal destiné principalement aux aciers de coupe, blindages et divers usages militaires. Exploitée par la Compagnie minière des Montmins, la mine emploie au plus fort de ses activités jusqu’à 450 salariés. Roger, l’époux de Danièle, était de ceux-là. « Au village, il y avait deux “familles”, ceux du tungstène, qui avaient le statut de mineurs, qui étaient mieux payés, avaient plus d’avantages, et ceux du kaolin, qui gagnaient moins bien. » Avec sa dizaine de commerces et ses 800 habitants, le village prospère. Mais en 1962, le couperet tombe. Les cours du tungstène s’effondrent, l’exploitation d’Échassières n’est plus rentable et la mine ferme. « C’était brutal. Du jour au lendemain, mon mari et les autres ont été licenciés, s’exclame Danièle. Sans préavis, sans indemnités. » La Compagnie minière des Montmins a mis la clé sous la porte en abandonnant sur place toute l’infrastructure.

      À quelques kilomètres du bourg, le spectre de l’ancienne usine de transformation de tungstène pourrit toujours lentement, le long de la route. La végétation a envahi les ateliers et les bureaux, les planchers se sont effondrés, les structures métalliques se balancent dans la brise depuis soixante ans. Un repaire de chats errants qui viennent se nourrir chez Roger Konate. Débarqué de Marseille en 2008, l’homme a acheté un ancien atelier de l’usine pour une bouchée de pain et l’a retapé pour s’en faire une maison : « Je suis venu ici parce que c’était la région de ma mère, et puis que c’était vraiment pas cher. » Juste à côté de sa maison, dissimulée sous des rideaux de lierre, se trouve l’entrée d’une ancienne galerie de transport de la mine, rebouchée depuis. Du lithium et d’Imerys, Roger Konate ne sait pas trop quoi en penser. « De toute façon, c’est déjà décidé, qu’est-ce que vous voulez qu’on y fasse ?, lâche-t-il. J’espère juste qu’ils ne rouvriront pas les anciennes galeries et que je ne me retrouverai pas exproprié ! Enfin, je serais dédommagé, mais bon, je suis bien tranquille ici. » Au milieu des fantômes du passé.

      Car avec le départ de la Compagnie des Montmins, le glas des années minières a sonné à Échassières. « Dans la décennie qui a suivi, les carrières de kaolin ont fermé, les unes après les autres », raconte Danièle. Son mari, qui avait trouvé un emploi à la carrière des Colettes, a été licencié à nouveau avant de retrouver un poste de conducteur d’engins sur le site Beauvoir, le seul resté en activité. « Mais pour le village, ça a été une catastrophe, poursuit sa femme. De 800 habitants, la population est passée en quelques années à peine à 400 et n’est jamais remontée depuis. » Alors pour elle, le projet Emili est une belle opportunité. « Quelque part, c’est l’aboutissement d’un espoir qu’on avait depuis les années 1970, dit-elle. C’est la possibilité de soutenir les commerces, de maintenir le service public. »

      Le maire actuel, Frédéric Dalaigre, ne dit pas autre chose : « L’opportunité économique est évidente. » Lors de l’annonce, c’est 1 000 emplois qui ont été évoqués par Imerys. Même si ceux-ci ne seront pas tous à Échassières, tempère le maire : « Ils seront répartis entre le site d’extraction et le site de conversion, dans un autre lieu encore non-déterminé. La majorité des emplois sera vraisemblablement sur ce dernier. Mais ce n’est pas grave. Nous n’avons pas besoin de 1 000 emplois. Nous n’avons pas les capacités actuellement d’accueillir tant de monde. » En attendant, l’arrivée de nouveaux habitants permettra peut-être d’ouvrir de nouvelles classes à l’école primaire – laquelle accueille actuellement 60 élèves des cinq communes environnantes –, de soutenir les commerces existants et peut-être d’en voir ouvrir de nouveaux, espère-t-il. Mais s’il est, a priori, plutôt favorable au projet, Frédéric Dalaigre est trop prudent pour s’emballer. Car une mine n’est pas sans conséquences, il le sait. Imerys assure vouloir faire d’Emili une mine « verte », mais entre promesse d’exemplarité et réalité de l’exploitation minière, l’écart est difficile à combler. Et dans la région, nombreux sont ceux qui craignent de devoir troquer la richesse de la nature pour une éphémère embellie économique.

      https://lesjours.fr/obsessions/lithium-france/ep1-lithium-sous-sol-france

    • Mine de lithium dans l’Allier : l’#eau, point faible du projet d’Imerys

      Le géant minier a achevé, fin juillet, un cycle de débats publics visant à convaincre de sa capacité à mettre en œuvre les technologies les plus innovantes pour créer une mine « propre » sur leur territoire. Mais de sérieuses incertitudes subsistent, notamment sur les besoins en eau de ce complexe industriel à l’heure du changement climatique.

      Une mine saine dans un esprit sain. Tel est le leitmotiv que le groupe minier Imerys s’est efforcé d’inculquer aux habitant·es de l’Allier au cours des cinq derniers mois, dans le cadre d’un cycle de débats publics arrivé à son terme fin juillet. L’esprit sain, c’est celui de la transition énergétique, qu’est censée faciliter la mine d’Échassières puisque celle-ci, si elle voit le jour, fournira assez d’hydroxyde de lithium pour produire chaque année, à partir de 2028 et pendant au moins vingt-cinq ans, 663 000 batteries de voitures électriques.

      La #mine_saine, c’est la promesse d’une infrastructure mettant les technologies les plus avancées au service du plus faible coût environnemental possible. Concernant l’utilisation de l’eau, une des principales sources d’inquiétude de la population, Imerys assure que son complexe industriel sera un modèle de #sobriété et de #propreté, grâce notamment à une réutilisation de la ressource en #circuit_fermé et à une politique du #zéro_déchet liquide.

      Il suffira ainsi de 600 000 mètres cubes d’eau par an pour faire tourner la mine et son usine de concentration, à Échassières, et d’une quantité équivalente pour l’usine de conversion prévue à #Montluçon. Soit un niveau de consommation d’eau « 10 à 20 fois moins élevé que l’eau nécessaire pour la production de lithium dans les #salars [bassins d’évaporation – ndlr] sud-américains », affirme Imerys dans son dossier de maîtrise d’ouvrage.

      Le site sera alimenté par des prélèvements réalisés sur la #Sioule, un affluent de l’Allier prenant sa source dans le Puy-de-Dôme, et celui de Montluçon par des eaux sorties de l’usine de retraitement de la ville, initialement issues du Cher. Là encore, pas d’inquiétude affirme l’industriel : « Sur la Sioule, on est à 0,1 % du débit moyen annuel actuel, et en étiage [quand le débit est le plus faible – ndlr], on atteint 0,6 % du débit mensuel », souligne Fabrice Frébourg, chef de projet environnement chez Imerys. Sur le Cher, les taux seraient respectivement de 0,1 % et 2 %, selon les documents fournis par Imerys.

      Pourtant la marge de manœuvre de l’industriel est beaucoup moins large qu’il n’y paraît. Le schéma directeur d’aménagement et de gestion des eaux (Sdage) 2022-2027 du bassin Loire-Bretagne classe la Sioule parmi les bassins « qui montrent un équilibre très fragile entre la ressource et les prélèvements, à cause de #prélèvements excessifs ou de l’#évaporation par les #plans_d’eau, ou bien d’un régime d’étiage naturel trop faible ». Il impose pour cette raison « une limitation des prélèvements en période de basses eaux au niveau actuel ».

      Dès lors, Imerys ne pourra pas brancher ses pompes sur la Sioule avant d’avoir négocié avec les autres acteurs déjà présents sur le bassin une nouvelle répartition des prélèvements. Les pompages industriels étant de faible volume et incompressibles, le seul interlocuteur du groupe minier dans cette négociation est la #chambre_d’agriculture de l’Allier.

      Bataille de quotas avec le monde agricole

      Celle-ci s’est vu confier par arrêté préfectoral, fin 2015, une #autorisation_unique_de_prélèvement (#AUP) portant sur 4,92 millions de mètres cubes d’eau à ponctionner annuellement dans la Sioule sur un étiage courant de juin à septembre, à charge pour elle de répartir la ressource entre tous les irrigants et irrigantes. Ce chiffre a ultérieurement été révisé à 4,6 millions de mètres cubes.

      Or les agriculteurs et agricultrices n’ont jamais utilisé à plein leurs autorisations, leurs pompages réels n’ayant jamais dépassé 3,7 millions de mètres cubes, selon Nicolas Bonnefous, vice-président de la chambre d’#agriculture. Ce qui fait dire à Fabrice Frébourg qu’Imerys, qui n’a besoin de prélever que 50 000 mètres cubes d’eau par mois, soit 200 000 mètres cubes sur la période d’étiage, « serait capable de rentrer dans ces quotas ».

      « Le problème, c’est que nous avons bel et bien besoin de toute l’eau autorisée, même si nous ne prélevons que 3,1 ou 3,3 millions de mètres cubes », tempère cependant Nicolas Bonnefous. La chambre d’agriculture répartit en effet l’eau prélevée dans la Sioule entre des dizaines d’irrigant·es qui, d’une année sur l’autre, au gré des aléas météorologiques, utiliseront en totalité ou seulement en partie la part qui leur a été attribuée. L’addition de ces quotas non utilisés s’appelle le #foisonnement. « Et non, on n’est pas capables de dégager des marges sur le foisonnement, insiste Bonnefous. L’État doit prendre ses responsabilités et donner l’eau à Imerys sans prendre aux agriculteurs. »

      Déjà, des voix se font entendre parmi les irrigant·es pour dénoncer un possible coup de force. « Avec les précipitations variables d’aujourd’hui, l’#irrigation devient essentielle, a prévenu Adelaïde Giraud, présidente de l’association d’irrigants ASA des Champagnes, lors d’une réunion publique le 30 mai à Vichy. La Sioule ne semble pas pouvoir accueillir un intervenant supplémentaire [et] nous espérons sincèrement ne pas être une variable d’ajustement. »

      Impacts inéluctables

      Des pourparlers n’en sont pas moins en cours entre la chambre d’agriculture, le groupe minier, les services de l’État et #EDF, opérateur du barrage des Fades, en amont du site d’implantation de la mine, qui assure déjà un supplément de soutien d’étiage au bénéfice des irrigant·es. Et non, « ce n’est pas la profession agricole qui amènera un blocage », assure Patrice Bonnin, président de la chambre. « On a l’eau, on a le tuyau, il faut juste que l’administration trouve le bon robinet » réglementaire pour permettre l’opération, poursuit-il.

      Le « robinet » souhaité par les agriculteurs et agricultrices pourrait prendre la forme d’une sortie du classement du bassin de la Sioule en zone à prélèvements limités, ou celle d’une prise en compte des lâchers d’eau estivaux par le barrage de Fades pour augmenter les autorisations de prélèvements, évoque Nicolas Bonnefous.

      Si l’approvisionnement en eau de la mine semble déjà problématique au vu des réglementations actuelles, basées sur des évaluations de besoins remontant au début des années 2010, qu’en sera-t-il dans quatre ans, au moment théorique de l’entrée en activité du site ? Le Sdage stipule en effet que l’autorisation unique de prélèvement accordée à la chambre d’agriculture ne sera valable que jusqu’à l’ajout d’une analyse HMUC (hydrologie, milieux, usages, climat), soit « au plus tard, en 2027 ».

      Cette analyse, qui devra être diligentée par la commission locale de l’eau (CLE) chargée du schéma d’aménagement et de gestion des eaux (Sage) de la Sioule, permettra de déterminer le #volume_potentiellement_mobilisable (#VPM) de la rivière, c’est-à-dire la part de son débit restant à disposition après soustraction de l’eau réservée aux milieux aquatiques, aux réseaux d’eau potable ou encore à la sécurité anti-incendie.

      Pour Céline Boisson, animatrice du Sage Sioule, il est peu probable que les résultats de l’analyse HMUC permettent d’ouvrir en grand les vannes des stations de pompage. « La Sioule est déjà affectée par le #changement_climatique : son débit moyen a baissé de 15 % en trente ans, et son débit d’étiage de 48 % », avait-elle rappelé lors de la réunion publique de Vichy.

      Interrogée par Mediapart, l’experte précise que les seuils de crise ne sont jamais atteints sur la Sioule en aval du #barrage_de_Fades grâce aux lâchers d’eau diligentés par EDF, en vertu d’un accord avec la chambre d’agriculture. « Mais ça ne veut pas dire qu’il n’y a pas de crise. Clairement, l’amont du barrage est en crise, tout comme la #Bouble », petite #rivière appartenant au même bassin, ajoute-t-elle, avant de conclure : « Je ne suis pas sûre que tout le monde sera satisfait du résultat de l’analyse. Il y aura forcément un partage à faire. »

      S’il se dit confiant dans la capacité du barrage de #Fades, fort de ses 65 millions de mètres cubes d’eau, à pourvoir aux besoins de la mine, Fabrice Frébourg évoque également des pistes à l’étude chez Imerys pour permettre au complexe d’Échassières de disposer de ses « propres solutions de modulation ».

      Il s’agit principalement de renforcer la capacité de deux petits lacs déjà présents sur le site, en la faisant passer de 55 000 à 100 000 mètres cubes, ou éventuellement d’utiliser des galeries d’exploitation de la mine pour du stockage d’eau. La gestion des périodes de maintenance pour les faire coïncider avec l’étiage est également une « piste d’optimisation du projet ».

      Ces solutions ne convainquent pas les défenseurs et défenseuses des milieux aquatiques. « Depuis vingt ans, il n’y a quasiment plus de crues morphogènes sur la Sioule. Or elles sont essentielles pour le cours d’eau car elles permettent le transit sédimentaire et le décolmatage du lit, indispensable pour la réussite de la reproduction de certaines espèces, explique Mickaël Lelièvre, directeur de la fédération de pêche de l’Allier. Si on augmente le soutien d’étiage ou le stockage, on aggrave ce phénomène de réduction des crues morphogènes. »

      Menaces sur des #poissons déjà en danger

      Le pêcheur est soutenu par Aurore Baisez, directrice du Logrami, centre de recherche sur les poissons migrateurs du bassin de la Loire, qui souligne qu’une infime variation du niveau de la crue peut suffire à perturber la migration des espèces fréquentant la Sioule (saumon, lamproie, anguille, alose) et le Cher (les mêmes moins le saumon). « Les crues sont le signal du départ dans un sens ou dans l’autre. La perte de ce signal se traduit par de faibles remontées des poissons, ou très en aval », indique la scientifique, précisant que l’alose et la lamproie sont « classées en danger critique d’extinction, à l’instar du tigre du Bengale ou de l’éléphant d’Afrique ».

      À Montluçon, où le #mica_lithinifère – principal minerai du lithium – sera transformé en #hydroxyde_de_lithium, Imerys n’est pas soumis aux mêmes contraintes réglementaires que dans la vallée de la Sioule, puisque son alimentation en eau proviendra de l’usine de retraitement des eaux usées de la ville et ne peut donc être comptabilisée comme un « prélèvement » sur le Cher. Elle n’en occasionnera pas moins une « perte d’eau nette » d’environ 600 000 mètres cubes par an pour une rivière déjà en crise, classée « zone de répartition des eaux » – impliquant un contrôle des prélèvements toute l’année – par le Sdage Loire-Bretagne en raison d’un « déséquilibre quantitatif avéré ».

      « Certes, on parle d’une ponction limitée. Mais le #Cher n’a pas de réserves, très peu de nappe alluviale. Quand il ne pleut plus, il n’y a plus de débit », commente Jonathan Bourdeaux-Garrel, animateur du Sage Cher-Amont. Il y a bien un petit barrage, #Rochebut, censé assurer un débit garanti de 1,55 mètre cube par seconde. « Mais quand il n’y a pas d’eau dans le barrage, ça descend jusqu’à 800 litres par seconde, et il faut voir alors la tête du Cher. »

      Mickaël Lelièvre, de la fédération de pêche, confirme et renchérit : « La situation hydrologique est très dégradée sur le Cher. Sans le soutien d’étiage par le barrage, il n’y aurait plus d’eau dans la rivière. Rien que cela devrait imposer d’interdire tout nouveau prélèvement. » L’expert met par ailleurs en cause les statistiques fournies par Imerys, basées sur des moyennes quinquennales de débit et donc aveugles aux aléas de faible durée qui frappent régulièrement la rivière.

      Du côté d’Imerys, Fabrice Frébourg assure « qu’on prend la chose très au sérieux ». Le cadre assure que son entreprise choisira un indice « beaucoup plus pénalisant que les moyennes quinquennales » dans ses prochaines études sur l’impact du réchauffement climatique. Il évoque également la piste, « apportée par l’administration, d’un possible soutien d’étiage par le barrage de Rochebut ». Comme le faisait remarquer un intervenant en réunion publique, « les poissons ne peuvent pas se mettre entre parenthèses » à chaque assèchement du Cher.

      https://www.mediapart.fr/journal/france/030824/mine-de-lithium-dans-l-allier-l-eau-point-faible-du-projet-d-imerys
      #promesses

  • Il y a un mois, on a le scandale d’un massacre sur le parking d’un hôpital palestinien, et illico Israël produit une fausse vidéo pour prouver que c’est pas eux (illico débunkée), et ensuite toute la communication médiatique se met en branle pour expliquer qu’en fait, c’est une roquette du Hamas.

    Maintenant on a toute la communication médiatique qui produit des faux en continu, non plus pour explique que ce n’est pas Israël qui bombarde les hôpitaux, mais pour expliquer qu’Israël est dans son bon droit en bombardant les hôpitaux.

    • Quelque chose qui me marque, à chaque fois, dans le surgissement de ces éléments de langage, ce n’est pas seulement leur incohérence (« non on ne cible pas les civils, mais faites gaffe, les Libanais, on va vous faire la même chose »), que le fait qu’ils surgissent partout dans les médias occidentaux en quelques heures seulement.

      Les gens qui s’« informent » en regardant la téloche, et les éditorialistes qui vivent dans leur entre-soi moisi et qui croivent qu’ils sachent des choses, peuvent s’illusionner qu’on a en France des analystes super-pointus, originaux, qui nous révèlent le vrai fond des choses… alors que n’importe qui ayant Internet et un minimum de compétence en anglais, se rend compte qu’à chaque fois, leur argumentaire super-original et pointu a surgi en même temps, « spontanément », aux États-Unis, en Angleterre, et que ce sont de simples talking points devenus des banalités en l’espace de quelques heures.

      Depuis 30 ans, ce spectacle sans cesse répété de cette nullité médiatique, alors que toute une partie de la population voit ça en temps réel sur les internets, est toujours sidérant. Ce commentariat nullissime qui reste dans cette attitude surplombante d’apporter la bonne parole aux derniers gens qui regardent encore la télévision me semble d’ailleurs de plus en plus âgé. La plupart sont de vieilles merdes qu’on traîne depuis le début des années 2000, et qui doivent encore galérer pour allumer un ordinateur.

    • J’expliquais ça en 2013, à propos de la polémique autour de Starship Trooper en 1997 :
      https://seenthis.net/messages/195653#message195691

      Du coup Starship Troopers, c’est le clivage entre les connectés (déjà tout de même vachement nombreux) qui sont prévenus, et le reste de la population, à commencer par les journalistes, qui continuent de balancer leurs jugements à deux balles et à alimenter les polémiques, alors qu’une bonne partie de leurs lecteurs considèrent que la question est déjà réglée depuis longtemps. La question de l’uniforme SS des héros, quand on a le Web à l’époque, c’est plus vraiment une question morale originale ou compliquée.

      Le critique de cinéma qui, en 1997, n’a jamais entendu parler du second degré de Verhoeven, c’est vraiment quelqu’un qui se faisait un devoir de ne pas savoir utiliser un modem et de ne pas faire son boulot. Et comme on peut le lire dans certains extraits de Jean-No : ce sont ceux-là qui balançaient les jugements définitifs non seulement sur le film, mais sur ses spectateurs. Les mêmes reprenaient en cœur les velléités anti-internet de Val et Finkye.

      Dans mon souvenir, Starship Trooper, c’est une de ces (nombreuses) situations où, dès 1997, du simple fait d’avoir un accès internet, tu constates avec sidération le fossé entre les gens connectés et les professionnels de la profession qui écrivent dans le journal et passent à la télé. (Pareil, évidemment, pour les politiciens et les experts médiatiques de tout crin – notamment les économistes.)

    • Mes voisins du dessus avec qui je dois vivre alternent entre BFM et Cnews, ils suivent une fiction à épisodes en vidant le congélateur qu’ils remplissent toutes les deux semaines, ils sont à la retraite et s’ennuient profondément alors ils ne bougent plus de devant leur télé. Ils ne comprennent rien ou font semblant, mais pas question de critiquer ou de voir aucune manipulation (puisque tout le monde ment) ils me disent qu’ils tiennent à leur position d’ignorants et ce qui semble leur importer c’est d’être divertis. Quand ils éteignent le poste ils jouent à candy crush toute la nuit.

      #beaufs

    • Pour les musulmans français qui regardent la télé, c’est très violent.
      Ils se sentent stigmatisés.

      Et ils s’inquiète pour leurs enfants aussi.

      A l’école, pour un geste ou une parole anodins mais mal interprétés, mon enfant pourra avoir des problèmes.

    • Shifa à Gaza [le 9 novembre] : les images pointent la responsabilité des Israéliens
      https://www.lemonde.fr/international/article/2023/11/15/tir-d-obus-a-l-hopital-al-shifa-a-gaza-les-images-pointent-la-responsabilite

      Dans la soirée du 9 novembre, un projectile plonge au dessus du plus grand hôpital de Gaza. Quelques instants plus tard, deux hommes sont blessés, dont un très gravement. Un reste d’obus est retrouvé à leurs pieds. « Le Monde » est en mesure d’affirmer qu’il s’agit d’un obus éclairant israélien.

      https://archive.ph/MIdcS

  • L’art de l’indécis
    https://laviedesidees.fr/Pauline-Martin-Le-flou-et-la-photographie

    Il ne faut pas opposer la netteté et le flou, comme si ce dernier n’était défaut technique ou absence de maîtrise. L’histoire de la #photographie montre qu’il a au contraire fait l’objet d’une élaboration minutieuse. À propos de : Pauline Martin, Le flou et la photographie, histoire d’une rencontre (1676-1985), Presses universitaires de Rennes

    #Arts #peinture #beaux-arts
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20231107_flou.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20231107_flou.docx

  • Carte des saccages des JOP 2024 - La Grappe
    https://lagrappe.info/?Carte-des-saccages-des-JOP-2024-462

    Pourquoi cette carte ?

    Les Jeux Olympiques et Paralympiques (JOP) sont très complexes : ils transforment des quartiers, des villes, parfois des régions. Leurs impacts sociaux et écologiques sont multiples et souvent liés à d’autres grands projets d’aménagement. Cette carte a donc été créée parce que beaucoup de gens nous disent qu’iels ont du mal à se représenter les conséquences des JOP. On pense qu’elle est nécessaire, parce que les cartes et visuels produits par celleux qui organisent les JOP 2024 et réalisent leurs aménagements ne permettent pas de bien comprendre ce qui est construit, où, quelles activités y auront lieu, qui n’y sera pas bienvenu·e. Ces images cachent aussi tout ce qui vient avec les JOP : gentrification, surveillance, gâchis d’argent public, mauvaises conditions de travail sur les chantiers, expulsions des plus pauvres, urbanisation d’espaces naturels, emplois précaires, etc. On voudrait donc que cette carte soit un outil militant, une contre-carte qui donne la parole aux collectifs, aux personnes, aux lieux concernés, et propose un récit alternatif à celui de l’État, des collectivités, des sponsors et des entreprises de construction.

    #jeux_olympiques #grands_projets #GPII #cartographie #cartographie_radicale #urbanisme

    cc @reka @cdb_77

  • #Aremu_rindineddha

    Aremu rindineddha
    Plea talassa se guaddhi
    Ce a put ’e ste ’ce ftazzi
    Mu to kalo cerro
    Vasta to petton aspro
    Mavre vasta tes ale
    Stavri kulor de mare
    Ce I kuta en’ diu nifti
    Kaimmeno ’mbro sti talassa
    Evo se kanono
    Lio ’ngherni lio kalei
    Lio ’nghizzi to nero
    Ma su tipo mu lei
    Ja possa sse roto
    Lio ᾽ngherni lio kalei
    Lio ’nghizzi to nero
    Lio ᾽ngherni lio kalei
    Lio ’nghizzi to nero

    https://www.youtube.com/watch?v=P7AeiG-ogpU


    #chant_populaire #chanson #musique #musique_populaire #chants_populaires #Italie #Grecìa_Salentina #Salento #Pouilles #hirondelle

    Cette chanson est chantée en #grico (#griko) :


    https://fr.wikipedia.org/wiki/Griko

  • Pourquoi les JO de Paris 2024 menacent l’environnement de la Polynésie ?
    https://www.tameteo.com/actualites/actualite/pourquoi-les-jo-de-paris-2024-menacent-l-environnement-de-la-polynesie-vagu

    Pour ces 4 jours de compétition, les arbitres ont-ils vraiment besoin d’eau, d’électricité, de la climatisation et d’internet pour juger les sportifs alors qu’ils sont à 250 mètres des côtes (5 min en bateau ou jet ski) si nécessaire ? Car les conséquences sur l’environnement et la biodiversité marine dureront dans le temps...

    « On peut très bien utiliser des panneaux photovoltaïques, le wifi qui fait ses preuves lors du World Championship Tour [en août 2023] et des toilettes sèches et gels hydroalcooliques », préconise Vai ara o Teahupo’o.

    #JO_du_désastre

  • Une histoire environnementale de l’art
    https://laviedesidees.fr/Estelle-Zhong-Mengual-Apprendre-a-voir

    Nous ne voyons pas véritablement le vivant : telle est la thèse d’Estelle Zhong Mengual qui, dans un texte mêlant observations personnelles, analyse d’œuvres visuelles, littéraires et naturalistes, nous invite à porter une autre forme d’attention au monde naturel. A propos de : Estelle Zhong Mengual, Apprendre à voir. Le point de vue du vivant, Actes Sud

    #Arts #nature #beaux-arts
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/202310_voir.docx

  • Un pays qui aime le sport | Aude Vidal
    https://blog.ecologie-politique.eu/post/Un-pays-qui-aime-le-sport

    Celles et ceux que fatigue l’overdose actuelle de sport ne sont pas au bout de leurs peines. La France macroniste est un pays profondément divisé politiquement et dans lequel les entrepreneurs en politique n’ont de cesse de nier à leurs adversaires la simple existence ou d’appuyer à leur profit sur tout ce qui clive. Cette France-là a bien besoin de sport, cet objet qui réconcilie à moindre coût, et Emmanuel Macron s’en empare avec enthousiasme. Source : Écologie politique

  • « Populiste ne devrait pas être une injure », Ruffin
    https://francoisruffin.fr/populiste-ne-devrait-pas-etre-une-injure

    Je présente toujours Camping contre Dupont Lajoie, Dupont Lajoie est supposé être « le film de gauche ». Et en fait, quand tu le regardes, tu vois quoi ? Un beauf, un Français moyen qui joue aux boules, part en camping, a un bob Ricard sur la tête. Il viole une gamine et met ça sur le compte d’un Maghrébin, entraînant un lynchage. Ça dit comment, dans l’après 68, la gauche culturelle vient dénoncer les « prolos ».

    encore une "analyse de classe" ruffinée ou le petit com et propriétaire qui aurait pu être poujadiste, est vu comme "français moyen" dun film qui s’attaque grosso modo au racisme français en montrant un "beauf français" raciste, sexiste, violeur, supposément vu comme "prolo" (ce qui serait attesté par le camping, mépris de classe), quitte à oublier que ses amis du camping sont des huissiers (vous en connaissez des "prolos" à amis huissiers ? les seuls prolos que je verrais dans le genre ce sont des nervis et videurs de squats, y a pas de rapport d’amitié là dedans, juste un taf, sale)

    voilà le niveau d’analyse qui fait que l’antisémite Médine, issu des classes populaires, comme Staline, Pasqua, Bérégovoy, et artiste entrepreneur de soi et de son image aux revenus conséquents (10 000 par mois, dit-il) peut "représenter" des classes populaires (avis partagé par Framont, AFA, Révolution permanente et j’en passe).

    #gauche

    • Peut-être alors faudrait-il distinguer :

      1) « représenter les classes populaires » une prétention qui, de mon point de vue est une escroquerie politique dans la plupart des situations : partis, syndicat, personnalités médiatiques et autres représentants du show-biz.

      2) « Populaire », au sens où cette personne jouit d’une forte popularité, cela pouvant être constaté objectivement par ses ventes de disque, ses parts d’audience, ses entrées au cinéma, etc. Un simple constat d’audience qui ne prévaut nullement d’un niveau de représentativité.

      A priori les deux notions doivent être distinguées, non pas qu’elle n’ont rien à voir l’une avec l’autre, mais parce qu’elles ne recoupent pas les mêmes réalités.

      Le problème dans le cas Médine, c’est que, justement, les politiques que tu évoques ne font pas cette distinction ; ils constatent que le chanteur jouit d’une popularité incontestable et ils l’embarquent dans une logique de représentativité politique hasardeuse quitte à nier la réalité du discours clairement antisémite de l’intéressé.

      Par ailleurs, le fait que Médine soit populaire (au sens où beaucoup de personnes achètent sa musique et vont à ses concerts) ne présage pas nécessairement le fait que son public adhère pour autant à son discours antisémite (pour faire vite). J’ai constaté malheureusement la même chose avec Dieudonné. Ce fait, déjà en soi, est très problématique.

    • il n’est pas si populaire (il se lamente depuis des années de ne pas avoir eu un disque d’or), simplement il a su se proposer comme « chanteur engagé » depuis une culture à la fois populaire (le rap, l’est sans conteste) et absente des circuits les plus « légitimes » du show biz (télé, journaux, radios), puis a été bien aidé pour endosser le costar en devenant la cible des fafs et de la droite (convoqués pour ce faire par l’annonce d’un concert au Bataclan, lieu de massacre), promo dont ont pris le relais toute une gauche hors des partis politique (médiapart, afa, révolution permanente, ballast, assez proche de LFI) avant de décrocher un jackpot, imprévu il me semble, parmi ces partis (eelv, lfi fête de l’huma) qui courent littéralement après le vote abstentionniste, jeunes et quartiers pop, sans d’idée sur la manière dont il pourraient les convaincre de voter (si ce n’est quelques moment courageux de Mélenchon sur la police et la défense de victimes raciséses, qu’illusoirement on croit prolonger ici).

      oui, heureusement que l’on ne peut pas présager tout à fait de l’avis de tout son public, bien que pour certains le plaisir pris à l’abjection « transgressive » et « anti-système » soit bien présent.
      pour les autres, on a bien là une banalisation de l’antisémitisme comme il y a eu dans d’autres sphères une dédiabolisation du FN/RN assez réussie malgré quelques cahots (et un effet imprévu à défaut d’être imprévisible : Z.).
      ces deux artistes de variétés ont fait avancer cela. who’s next ?

      #socialisme_des_imbéciles

    • Olia @Oliouchka
      https://twitter.com/clprtr/status/1706799526433173887

      Peu de films réussissent autant à dire l’homme, la violence, le racisme, l’institution et la misogynie que celui que @JustUnaDonna cite souvent,
      Dupond Lajoie de Boisset. Voici un lien streaming
      Tout le monde devrait voir ce film
      https://ok.ru/video/301330598541

      (y compris pour relever l’absence de divers contrastes et « innovations » intervenus depuis, dont une certaine pluralisation de le beauf)

      #film #beauf #racistes