• I finanziamenti europei al Marocco per bloccare le persone, a tutti i costi

    In questi anni l’Unione europea ha garantito alle polizie marocchine mezzi, “formazione” e strumenti di identificazione. Forniture milionarie, poco trasparenti, di cui hanno beneficiato quelle stesse guardie di frontiera che il 24 giugno hanno causato la morte di oltre 20 persone. Anche qui Frontex ha un ruolo decisivo

    “Un partner di riferimento per l’Unione europea, un modello che altri potranno seguire per la sua capacità di collaborare con le nostra agenzie”. Così la Commissione europea descriveva nell’ottobre 2021 l’attività delle autorità marocchine nel campo della “gestione” del fenomeno migratorio. Un’immagine che stride con quella dei corpi stesi a terra, immersi in pozze di sangue, di chi la mattina presto del 24 giugno è stato brutalmente respinto mentre tentava di far ingresso nell’enclave spagnola di Melilla. Almeno 23 i morti, molti di più secondo le Ong indipendenti, in prevalenza persone originarie di Sudan e Sud-Sudan, centinaia i feriti e decine gli arresti tra le circa 2mila persone che hanno tentato di scalare la triplice barriera metallica che separa il territorio marocchino dalla città spagnola. Ma la violenza perpetrata ai danni dei rifugiati sia dalle forze di polizia marocchina sia dalla Guardia civile spagnola va contestualizzata in un quadro più ampio. I soldi dell’Ue hanno finanziato quella violenza.

    Del bilancio pluriennale 2014-2020 circa 370 milioni di euro sono stati assegnati al governo di Rabat per la gestione del fenomeno migratorio, di cui 238 derivanti direttamente dal Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa (Eutf): l’80% è stato destinato a programmi di sostegno, supporto e gestione dei confini con solo le “briciole” per la protezione delle persone in transito (circa l’11%) e per l’integrazione socio-economica di chi “sceglie” di restare in Marocco (7,5%). Cifre stanziate con il consueto ritornello della “lotta contro l’immigrazione illegale” che, come su tanti altri confini esterni dell’Ue giustifica il blocco del flusso delle persone in transito e l’impossibilità di vedersi riconosciuto il diritto d’asilo. Una strategia che, nel caso del Marocco, getta le prime basi nel 2001 quando la rotta del Mediterraneo centrale comincia a vedere i primi flussi. L’Italia è precursore con un finanziamento di 10 miliardi di lire, tra 1999 e il 2000, per finanziare secondo quanto ricostruito dal progetto Sciabaca&Oruka di Asgi l’acquisto di mezzi, strumenti ed equipaggiamento che favoriscono le forze di polizia marocchina nell’attività di contrasto all’immigrazione “clandestina”.

    Come ricostruito da Statewatch, gruppo di ricerca indipendente, a livello europeo invece dal 2001 al 2010 vengono stanziati circa 74,6 milioni di euro per sei progetti riguardanti la sicurezza delle frontiere. Tra questi sei progetti almeno due meritano attenzione. Il “Seahorse network” (costo totale di circa 2,5 milioni di euro, con un contributo Ue pari a più di 1,9 milioni) che ha fornito fondi per la creazione di una “rete regionale sicura per lo scambio di informazioni sull’immigrazione irregolare”. Statewatch, grazie ai documenti forniti dalla Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo internazionale della Commissione (Dg Devco) ha ricostruito che la rete ha sede a Gran Canaria ed è collegata a quella della Guardia civil spagnola e l’Agenzia Frontex. E poi un progetto da più di 67 milioni di euro fornito tra il 2007 e il 2010 direttamente al ministero dell’Interno marocchino: non si conoscono i contenuti del progetto, in quanto l’accesso ai documenti è stato negato per “tutela dell’interesse pubblico che è prevalente alla necessità di divulgazione” e soprattutto non esistono documenti di valutazione. “Il fatto che l’Ue non abbia intrapreso una valutazione è sorprendente dati i rigorosi standard di audit e valutazione che dovrebbero essere applicata ai finanziamenti”.

    All’aumento dei flussi corrisponde una crescita dei finanziamenti. Non a caso tra il 2013-2018, sempre da quanto ricostruito da Statewatch, i finanziamenti si sono concentrati sull’integrazione delle persone già presenti sul territorio complice un cambio di rotta delle autorità marocchine che hanno promosso due campagne di regolarizzazione per le persone prive di documenti (nel 2013 e nel 2016) e un tentativo di garantire sostegno a rifugiati e richiedenti asilo. I circa 61,5 milioni di euro stanziati dall’Ue hanno di fatto “compensato il mancato coinvolgimento delle autorità marocchine nella formulazione e nell’attuazione di una vera politica di integrazione”. Ma l’intervento umanitario europeo è solo una breve parentesi. Tra il 2017 e il 2018 gli attraversamenti “irregolari” nel Mediterraneo occidentale aumentano del 40% e le autorità marocchine dichiarano di aver fermato circa 76mila persone. Cifre da prendere con le pinze ma che giustificano, secondo i legislatori europei, la ripresa dei fondi destinati a Rabat. Questo nonostante, a livello assoluto, gli attraversamenti irregolari diminuirono del 25% rispetto al 2017 e raggiunsero il numero più basso dei cinque anni precedenti (150mila in totale). Ma poco conta, come visto anche su altre frontiere, non è una questione di numeri.

    Il 20 agosto 2018 attraverso il “Programma di gestione delle frontiere per la regione del Maghreb (BMP – Maghreb) vengono destinati 30 milioni di euro per “proteggere, monitorare e gestire le frontiere” del Marocco in un più ampio progetto multinazionale, dal budget totale di 55 milioni di euro, in cui figura tra i partner esecutivi anche il ministero dell’Interno italiano per alcune azioni in Tunisia. Si va dal potenziamento delle infrastrutture informatiche per “raccolta, archiviazione e identificazione della biometria digitale” e l’acquisizione di mezzi aerei e navali per il controllo pre-frontaliero. Il 13 dicembre 2018 vengono poi destinati 44 milioni di euro per il progetto “Soutien à la gestion intégrée des frontières et de la migration au Maroc” che mira a “rafforzare le capacità delle istituzioni marocchine a protezione, sorveglianza e controllo delle frontiere”: per un periodo di 36 mesi e gestito dalle autorità spagnole per “migliorare le capacità delle autorità marocchine di intercettare i valichi di frontiera irregolari e svolgere attività di ricerca e soccorso in mare”. A questo si aggiunge un programma per il contrasto al “contrabbando e al traffico di esseri umani” con un finanziamento pari a 70 milioni di euro. Nel dicembre 2019 nonostante gli attraversamenti registrati da Frontex sono la metà rispetto all’anno precedente (appena 23.969), l’Ue finanzia più di 101 milioni di euro nuovamente per “rafforzare le capacità delle istituzioni marocchine, in particolare per il ministero dell’Interno a contrastare il traffico di migranti e la tratta degli esseri umani incluso un sostegno per la gestione delle frontiere del Paese”.

    Nonostante queste ingenti cifre la trasparenza è negata. Per nessuno dei progetti di gestione delle frontiere le istituzioni europee hanno fornito accesso ai documenti tirando in ballo nuovamente la “tutela dell’interesse pubblico in materia di relazioni internazionali”. Nel novembre 2019 i ricercatori di Statewatch commentavano “profeticamente” questo sostegno: “È probabile che le conseguenze di questo approccio siano terribili dato che la cooperazione del Marocco in materia di sicurezza e sorveglianza delle frontiere comporta un costo molto elevato in termini di violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza marocchine contro migranti, rifugiati e persone richiedenti asilo”.

    Eccoli i frutti della politica di esternalizzazione europea in Marocco. “Video e fotografie mostrano corpi sparsi per terra in pozze di sangue, forze di sicurezza marocchine che prendono a calci e picchiano le persone; la Guardia civil spagnola che lancia gas lacrimogeni contro uomini aggrapparti alle recinzioni” spiega Judith Sunderland, vicedirettrice per l’Europa e l’Asia di Human rights watch che spingono l’Ong a chiedere una ferma condanna da parte dei funzionari di Spagna, Marocco e Unione europea e “garantire indagini efficaci e imparziali per portare giustizia a coloro che hanno perso la vita”. Il numero delle persone morte non è ancora chiaro. Secondo Caminando Fronteras, organizzazione spagnola, sarebbero 37 e decine di feriti. Ma le autorità marocchine stanno già facendo pulizia dei crimini commessi: l’Association Marocaine des Droits Humains (Amdh), che si occupa di tutelare i diritti umani nel Paese, ha pubblicato su Twitter due fotografie di quelle che si stima fossero tra le 16 e le 21 tombe scavate nel cimitero di Sidi Salem, alla periferia di Nador, la città marocchina oltre confine da Melilla. Hrw ne ha potuto confermare la veridicità identificando almeno 10 tombe individuali scavate.

    Di fronte all’orrore e alla tragedia, la strada è già tracciata. Il documento di “messa a terra” delle attività in Marocco previste dal Patto per le migrazioni e l’asilo, presentato nel settembre 2020 di fronte alla Commissione europea, prevede il sostegno finanziario per il periodo 2021-2027 per implementare, nuovamente, il controllo dei confini e soprattutto “sostenere i rimpatri volontari dei cittadini stranieri dal Marocco ai loro Paesi d’origine” oltre che l’efficientamento delle procedure per il rimpatrio dei cittadini marocchini che non hanno titolo per stare sul territorio europeo. Infine nel documento si chiarisce l’importanza del “dialogo strategico” che le autorità marocchine hanno mantenuto con Frontex che apre la possibilità della firma di un accordo operativo con l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Non cambia la strategia, nonostante tra gennaio e maggio 2022 siano stati appena 3.965 attraversamenti irregolari registrati nel Mediterraneo occidentale. L’invasione non c’è: i morti distesi nelle pozze di sangue a Melilla svelano nuovamente il volto di un’Europa che respinge e delega il lavoro sporco alle polizie di Paesi autocratici.

    https://altreconomia.it/i-finanziamenti-europei-al-marocco-per-bloccare-le-persone-a-tutti-i-co

    #Maroc #asile #migrations #réfugiés #externalisation #frontières #contrôles_frontaliers #complexe_militaro-industriel #Frontex #Fonds_fiduciaire #Italie #Seahorse_network #Seahorse #programme_de_gestion_des_frontières_de_la_région_du_Maghreb #Border_Management_Programme_for_the_Maghreb_region (#BMP-Maghreb) #Tunisie #biométrie #technologie #identification #Soutien_à_la_gestion_intégrée_des_frontières_et_de_la_migration_au_Maroc

  • Comment l’Europe contrôle ses frontières en #Tunisie ?

    Entre les multiples programmes de coopération, les accords bilatéraux, les #équipements fournis aux #gardes-côtes, les pays européens et l’Union européenne investissent des millions d’euros en Tunisie pour la migration. Sous couvert de coopération mutuelle et de “#promotion_de_la mobilité”, la priorité des programmes migratoires européens est avant tout l’externalisation des frontières. En clair.

    À la fois pays de transit et pays de départ, nœud dans la région méditerranéenne, la Tunisie est un partenaire privilégié de l’Europe dans le cadre de ses #politiques_migratoires. L’Union européenne ou les États qui la composent -Allemagne, France, Italie, Belgique, etc.- interviennent de multiples manières en Tunisie pour servir leurs intérêts de protéger leurs frontières et lutter contre l’immigration irrégulière.

    Depuis des années, de multiples accords pour réadmettre les Tunisien·nes expulsé·es d’Europe ou encore financer du matériel aux #gardes-côtes_tunisiens sont ainsi signés, notamment avec l’#Italie ou encore avec la #Belgique. En plus de ces #partenariats_bilatéraux, l’#Union_européenne utilise ses fonds dédiés à la migration pour financer de nombreux programmes en Tunisie dans le cadre du “#partenariat_pour_la_mobilité”. Dans les faits, ces programmes servent avant tout à empêcher les gens de partir et les pousser à rester chez eux.

    L’ensemble de ces programmes mis en place avec les États européens et l’UE sont nombreux et difficiles à retracer. Dans d’autres pays, notamment au Nigeria, des journalistes ont essayé de compiler l’ensemble de ces flux financiers européens pour la migration. Dans leur article, Ils et elle soulignent la difficulté, voire l’impossibilité de véritablement comprendre tous les fonds, programmes et acteurs de ces financements.

    “C’est profondément préoccupant”, écrivent Maite Vermeulen, Ajibola Amzat et Giacomo Zandonini. “Bien que l’Europe maintienne un semblant de transparence, il est pratiquement impossible dans les faits de tenir l’UE et ses États membres responsables de leurs dépenses pour la migration, et encore moins d’évaluer leur efficacité.”

    En Tunisie, où les investissements restent moins importants que dans d’autres pays de la région comme en Libye, il a été possible d’obtenir un résumé, fourni par la Délégation de l’Union européenne, des programmes financés par l’UE et liés à la migration. Depuis 2016, cela se traduit par l’investissement de près de 58 millions d’euros à travers trois différents fonds : le #FFU (#Fonds_Fiduciaire_d’Urgence) de la Valette, l’#AMIF (Asylum, Migration and Integration Fund) et l’Instrument européen de voisinage (enveloppe régionale).

    Mais il est à noter que ces informations ne prennent pas en compte les autres investissements d’#aide_au_développement ou de soutien à la #lutte_antiterroriste dont les programmes peuvent également concerner la migration. Depuis 2011, au niveau bilatéral, l’Union européenne a ainsi investi 2,5 billions d’euros en Tunisie, toutes thématiques confondues.

    L’écrasante majorité de ces financements de l’UE - 54 200 000 euros - proviennent du #Fond_fiduciaire_d'urgence_pour_l'Afrique. Lancé en 2015, lors du #sommet_de_la_Valette, ce FFU a été créé “en faveur de la stabilité et de la lutte contre les #causes_profondes de la migration irrégulière et du phénomène des personnes déplacées en Afrique” à hauteur de 2 milliards d’euros pour toute la région.

    Ce financement a été pointé du doigt par des associations de droits humains comme Oxfam qui souligne “qu’une partie considérable de ses fonds est investie dans des mesures de #sécurité et de #gestion_des_frontières.”

    “Ces résultats montrent que l’approche des bailleurs de fonds européens vis-à-vis de la gestion des migrations est bien plus axée sur des objectifs de #confinement et de #contrôle. Cette approche est loin de l’engagement qu’ils ont pris (...) de ‘promouvoir des canaux réguliers de migration et de mobilité au départ des pays d’Europe et d’Afrique et entre ceux-ci’ (...) ou de ‘Faciliter la migration et la mobilité de façon ordonnée, sans danger, régulière et responsable’”, détaille plus loin le rapport.

    Surveiller les frontières

    Parmi la vingtaine de projets financés par l’UE, la sécurité des frontières occupe une place prépondérante. Le “#Programme_de_gestion_des_frontières_au_Maghreb” (#BMP_Maghreb) est, de loin, le plus coûteux. Pour fournir de l’équipement et des formations aux gardes-côtes tunisiens, l’UE investit 20 millions d’euros, près d’un tiers du budget en question.

    Le projet BMP Maghreb a un objectif clairement défini : protéger, surveiller et contrôler les #frontières_maritimes dans le but de réduire l’immigration irrégulière. Par exemple, trois chambres d’opération ainsi qu’un système pilote de #surveillance_maritime (#ISmariS) ont été fournis à la garde nationale tunisienne. En collaboration avec le ministère de l’Intérieur et ses différents corps - garde nationale, douane, etc. -, ce programme est géré par l’#ICMPD (#Centre_international_pour_le_développement_des_politiques_migratoires).

    “Le BMP Maghreb est mis en place au #Maroc et en Tunisie. C’est essentiellement de l’acquisition de matériel : matériel informatique, de transmission demandé par l’Etat tunisien”, détaille Donya Smida de l’ICMPD. “On a fait d’abord une première analyse des besoins, qui est complétée ensuite par les autorités tunisiennes”.

    Cette fourniture de matériel s’ajoute à des #formations dispensées par des #experts_techniques, encore une fois coordonnées par l’ICMPD. Cette organisation internationale se présente comme spécialisée dans le “renforcement de capacités” dans le domaine de la politique migratoire, “loin des débat émotionnels et politisés”.

    "Cette posture est symptomatique d’un glissement sémantique plus général. Traiter la migration comme un sujet politique serait dangereux, alors on préfère la “gérer” comme un sujet purement technique. In fine, la ’gestionnaliser’ revient surtout à dépolitiser la question migratoire", commente #Camille_Cassarini, chercheur sur les migrations subsahariennes en Tunisie. “L’ICMPD, ce sont des ‘techniciens’ de la gestion des frontières. Ils dispensent des formations aux États grâce à un réseau d’experts avec un maître-mot : #neutralité politique et idéologique et #soutien_technique."

    En plus de ce programme, la Tunisie bénéficie d’autres fonds et reçoit aussi du matériel pour veiller à la sécurité des frontières. Certains s’inscrivent dans d’autres projets financés par l’UE, comme dans le cadre de la #lutte_antiterroriste.

    Il faut aussi ajouter à cela les équipements fournis individuellement par les pays européens dans le cadre de leurs #accords_bilatéraux. En ce qui concerne la protection des frontières, on peut citer l’exemple de l’Italie qui a fourni une douzaine de bateaux à la Tunisie en 2011. En 2017, l’Italie a également soutenu la Tunisie à travers un projet de modernisation de bateaux de patrouille fournis à la garde nationale tunisienne pour environ 12 millions d’euros.

    L’#Allemagne est aussi un investisseur de plus en plus important, surtout en ce qui concerne les frontières terrestres. Entre 2015 et 2016, elle a contribué à la création d’un centre régional pour la garde nationale et la police des frontières. A la frontière tuniso-libyenne, elle fournit aussi des outils de surveillance électronique tels que des caméras thermiques, des paires de jumelles nocturnes, etc…

    L’opacité des #accords_bilatéraux

    De nombreux pays européens - Allemagne, Italie, #France, Belgique, #Autriche, etc. - coopèrent ainsi avec la Tunisie en concluant de nombreux accords sur la migration. Une grande partie de cette coopération concerne la #réadmission des expulsé·es tunisien·nes. Avec l’Italie, quatre accords ont ainsi été signés en ce sens entre 1998 et 2011. D’après le FTDES* (Forum tunisien des droits économiques et sociaux), c’est dans le cadre de ce dernier accord que la Tunisie accueillerait deux avions par semaine à l’aéroport d’Enfidha de Tunisien·nes expulsé·es depuis Palerme.

    “Ces accords jouent beaucoup sur le caractère réciproque mais dans les faits, il y a un rapport inégal et asymétrique. En termes de réadmission, il est évident que la majorité des #expulsions concernent les Tunisiens en Europe”, commente Jean-Pierre Cassarino, chercheur et spécialiste des systèmes de réadmission.

    En pratique, la Tunisie ne montre pas toujours une volonté politique d’appliquer les accords en question. Plusieurs pays européens se plaignent de la lenteur des procédures de réadmissions de l’Etat tunisien avec qui “les intérêts ne sont pas vraiment convergents”.

    Malgré cela, du côté tunisien, signer ces accords est un moyen de consolider des #alliances. “C’est un moyen d’apparaître comme un partenaire fiable et stable notamment dans la lutte contre l’extrémisme religieux, l’immigration irrégulière ou encore la protection extérieure des frontières européennes, devenus des thèmes prioritaires depuis environ la moitié des années 2000”, explique Jean-Pierre Cassarino.

    Toujours selon les chercheurs, depuis les années 90, ces accords bilatéraux seraient devenus de plus en plus informels pour éviter de longues ratifications au niveau bilatéral les rendant par conséquent, plus opaques.

    Le #soft_power : nouvel outil d’externalisation

    Tous ces exemples montrent à quel point la question de la protection des frontières et de la #lutte_contre_l’immigration_irrégulière sont au cœur des politiques européennes. Une étude de la direction générale des politiques externes du Parlement européen élaborée en 2016 souligne comment l’UE “a tendance à appuyer ses propres intérêts dans les accords, comme c’est le cas pour les sujets liés à l’immigration.” en Tunisie.

    Le rapport pointe du doigt la contradiction entre le discours de l’UE qui, depuis 2011, insiste sur sa volonté de soutenir la Tunisie dans sa #transition_démocratique, notamment dans le domaine migratoire, tandis qu’en pratique, elle reste focalisée sur le volet sécuritaire.

    “La coopération en matière de sécurité demeure fortement centrée sur le contrôle des flux de migration et la lutte contre le terrorisme” alors même que “la rhétorique de l’UE en matière de questions de sécurité (...) a évolué en un discours plus large sur l’importance de la consolidation de l’État de droit et de la garantie de la protection des droits et des libertés acquis grâce à la révolution.”, détaille le rapport.

    Mais même si ces projets ont moins de poids en termes financiers, l’UE met en place de nombreux programmes visant à “développer des initiatives socio-économiques au niveau local”, “ mobiliser la diaspora” ou encore “sensibiliser sur les risques liés à la migration irrégulière”. La priorité est de dissuader en amont les potentiel·les candidat·es à l’immigration irrégulière, au travers de l’appui institutionnel, des #campagnes de #sensibilisation...

    L’#appui_institutionnel, présenté comme une priorité par l’UE, constitue ainsi le deuxième domaine d’investissement avec près de 15% des fonds.

    Houda Ben Jeddou, responsable de la coopération internationale en matière de migration à la DGCIM du ministère des Affaires sociales, explique que le projet #ProgreSMigration, créé en 2016 avec un financement à hauteur de 12,8 millions d’euros, permet de mettre en place “ des ateliers de formations”, “des dispositifs d’aides au retour” ou encore “des enquêtes statistiques sur la migration en Tunisie”.

    Ce projet est en partenariat avec des acteurs étatiques tunisiens comme le ministère des Affaires Sociales, l’observatoire national des migrations (ONM) ou encore l’Institut national de statistiques (INS). L’un des volets prioritaires est de “soutenir la #Stratégie_nationale_migratoire_tunisienne”. Pour autant, ce type de projet ne constitue pas une priorité pour les autorités tunisiennes et cette stratégie n’a toujours pas vu le jour.

    Houda Ben Jeddou explique avoir déposé un projet à la présidence en 2018, attendant qu’elle soit validée. "Il n’y a pas de volonté politique de mettre ce dossier en priorité”, reconnaît-elle.

    Pour Camille Cassarini, ce blocage est assez révélateur de l’absence d’une politique cohérente en Tunisie. “Cela en dit long sur les stratégies de contournement que met en place l’État tunisien en refusant de faire avancer le sujet d’un point de vue politique. Malgré les investissements européens pour pousser la Tunisie à avoir une politique migratoire correspondant à ses standards, on voit que les agendas ne sont pas les mêmes à ce niveau”.

    Changer la vision des migrations

    Pour mettre en place tous ces programmes, en plus des partenariats étatiques avec la Tunisie, l’Europe travaille en étroite collaboration avec les organisations internationales telles que l’#OIM (Organisation internationale pour les migrations), l’ICMPD et le #UNHCR (Haut Commissariat des Nations unies pour les réfugiés), les agences de développement européennes implantées sur le territoire - #GiZ, #Expertise_France, #AfD - ainsi que la société civile tunisienne.

    Dans ses travaux, Camille Cassarini montre que les acteurs sécuritaires sont progressivement assistés par des acteurs humanitaires qui s’occupent de mener une politique gestionnaire de la migration, cohérente avec les stratégies sécuritaires. “Le rôle de ces organisations internationales, type OIM, ICMPD, etc., c’est principalement d’effectuer un transfert de normes et pratiques qui correspondent à des dispositifs de #contrôle_migratoire que les Etats européens ne peuvent pas mettre directement en oeuvre”, explique-t-il.

    Contactée à plusieurs reprises par Inkyfada, la Délégation de l’Union européenne en Tunisie a répondu en fournissant le document détaillant leurs projets dans le cadre de leur partenariat de mobilité avec la Tunisie. Elle n’a pas souhaité donner suite aux demandes d’entretiens.

    En finançant ces organisations, les Etats européens ont d’autant plus de poids dans leur orientation politique, affirme encore le chercheur en donnant l’exemple de l’OIM, une des principales organisations actives en Tunisie dans ce domaine. “De par leurs réseaux, ces organisations sont devenues des acteurs incontournables. En Tunisie, elles occupent un espace organisationnel qui n’est pas occupé par l’Etat tunisien. Ça arrange plus ou moins tout le monde : les Etats européens ont des acteurs qui véhiculent leur vision des migrations et l’État tunisien a un acteur qui s’en occupe à sa place”.

    “Dans notre langage académique, on les appelle des #acteurs_épistémologiques”, ajoute Jean-Pierre Cassarino. A travers leur langage et l’étendue de leur réseau, ces organisations arrivent à imposer une certaine vision de la gestion des migrations en Tunisie. “Il n’y a qu’à voir le #lexique de la migration publié sur le site de l’Observatoire national [tunisien] des migrations : c’est une copie de celui de l’OIM”, continue-t-il.

    Contactée également par Inkyfada, l’OIM n’a pas donné suite à nos demandes d’entretien.

    Camille Cassarini donne aussi l’exemple des “#retours_volontaires”. L’OIM ou encore l’Office français de l’immigration (OFII) affirment que ces programmes permettent “la réinsertion sociale et économique des migrants de retour de façon à garantir la #dignité des personnes”. “Dans la réalité, la plupart des retours sont très mal ou pas suivis. On les renvoie au pays sans ressource et on renforce par là leur #précarité_économique et leur #vulnérabilité", affirme-t-il. “Et tous ces mots-clés euphémisent la réalité d’une coopération et de programmes avant tout basé sur le contrôle migratoire”.

    Bien que l’OIM existe depuis près de 20 ans en Tunisie, Camille Cassarini explique que ce système s’est surtout mis en place après la Révolution, notamment avec la société civile. “La singularité de la Tunisie, c’est sa transition démocratique : l’UE a dû adapter sa politique migratoire à ce changement politique et cela est passé notamment par la promotion de la société civile”.

    Dans leur ouvrage à paraître “Externaliser la gouvernance migratoire à travers la société tunisienne : le cas de la Tunisie” [Externalising Migration Governance through Civil Society : Tunisia as a Case Study], Sabine Didi et Caterina Giusa expliquent comment les programmes européens et les #organisations_internationales ont été implantées à travers la #société_civile.

    “Dans le cas des projets liés à la migration, le rôle déterminant de la société civile apparaît au niveau micro, en tant qu’intermédiaire entre les organisations chargées de la mise en œuvre et les différents publics catégorisés et identifiés comme des ‘#migrants_de_retour’, ‘membres de la diaspora’, ou ‘candidats potentiels à la migration irrégulière’", explique Caterina Giusa dans cet ouvrage, “L’intérêt d’inclure et et de travailler avec la société civile est de ‘faire avaler la pilule’ [aux populations locales]”.

    “Pour résumer, tous ces projets ont pour but de faire en sorte que les acteurs tunisiens aient une grille de lecture du phénomène migratoire qui correspondent aux intérêts de l’Union européenne. Et concrètement, ce qui se dessine derrière cette vision “gestionnaire”, c’est surtout une #injonction_à_l’immobilité”, termine Camille Cassarini.

    https://inkyfada.com/fr/2020/03/20/financements-ue-tunisie-migration
    #externalisation #asile #migrations #frontières #Tunisie #EU #UE #Europe #contrôles_frontaliers #politique_de_voisinage #dissuasion #IOM #HCR #immobilité

    Ajouté à la métaliste sur l’externalisation des frontières :
    https://seenthis.net/messages/731749#message765330

    Et celle sur la conditionnalité de l’aide au développement :
    https://seenthis.net/messages/733358#message768701

    ping @karine4 @isskein @_kg_

  • RFC 7854 : BGP Monitoring Protocol (BMP)

    Ce nouveau protocole #BMP (BGP Monitoring Protocol) va faciliter le travail des administrateurs réseaux qui font du #BGP. Il permet d’obtenir sous une forme structurée les tables BGP. Avant, la solution la plus répandue était d’utiliser l’interface en ligne de commande du routeur (show ip bgp routes sur un Cisco), et d’analyser le résultat depuis son programme, une méthode qui est très fragile, le format de sortie ayant été conçu pour des humains et pas pour des programmes.

    https://www.bortzmeyer.org/7854.html

    #RFC

  • Study Warns of Diet #Supplement Dangers Kept Quiet by F.D.A. - NYTimes.com
    http://well.blogs.nytimes.com/2015/04/07/study-warns-of-diet-supplement-dangers-kept-quiet-by-f-d-a/?ref=health&_r=1

    ...public health experts contend that the F.D.A.’s reluctance to act in this case is symptomatic of a broader problem. The agency is not effectively policing the $33 billion-a-year supplements industry in part because top agency regulators themselves come from the industry and have conflicts of interest, they say. In recent years, two of the agency’s top officials overseeing supplements — including one currently on the job — were former leaders of the largest supplement industry trade and #lobbying group.

    #conflit_d’intérêt #porte_tournante #FDA #pharma #désespérant #santé #BMPEA #Etats-Unis