• Intimidations, violences, criminalisation - La BRAV-M à l’assaut des manifestations, Rapport de l’Observatoire parisien des libertés publiques, avril 2023
    https://site.ldh-france.org/paris/files/2023/04/Rapport-BRAV-M-complet-12.04.2023.pdf
    « Impacter les manifestants » Didier Lallement, L’Ordre nécessaire, 2022

    [...]
    Dissimulation des visages
    Un sens de la mise en scène
    Mise en scène sur les réseaux sociaux
    Mise en scène en intervention
    Le choix de l’acronyme « BRAV » et la communication préfectorale
    Partie III : Interventions de la BRAV-M
    Imprévisibilité et arbitraire
    Imprévisibilité liée à la rapidité et à l’autonomie
    Imprévisibilité liée à une doctrine de maintien de l’ordre commandée par la communication du nombre d’interpellé·es.
    Des individus violents aux commandes : l’étonnante sélection des gradés
    Violences et escalade des tensions dans les manifestations
    Situations
    Période 2019-2022
    Depuis 2023
    Le mode opératoire de la BRAV-M
    Escalade des tensions
    Partie IV. Politiques de la BRAV-M Une unité de contre-manifestation
    Criminalisation des manifestant·es
    La dissuasion par la peur
    Les inversions des rapports de force
    Une création répondant d’une nouvelle logique managériale
    Police et New Public Management
    Gestion des coûts
    Politique du chiffre ?
    Délégation de responsabilité et « chèque en gris »
    Vers une généralisation de la BRAV-M ?
    Polyvalence de l’unité
    Contre-modèle démocratique, mais nouvelle incarnation du modèle policier ?
    CONCLUSION La BRAV-M : coup de force et provocation

    #police #BRAV-M #manifestation #terroriser

  • Tag von Sedan
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Sedantag

    Der Sedantag (auch Tag von Sedan oder Sedanstag) war ein Gedenktag, der im Deutschen Kaiserreich (1871–1918) jährlich um den 2. September gefeiert wurde. Er erinnerte an die Kapitulation der französischen Armee am 2. September 1870 nach der Schlacht bei Sedan, in der preußische, bayerische, württembergische und sächsische Truppen nahe der französischen Stadt Sedan den entscheidenden Sieg im Deutsch-Französischen Krieg errungen hatten.

    #Berlin #Steglitz #Sedanstraße #Mitte #Pariser_Platz #Brandenburger_Tor #Geschichte #Krieg

  • Braccianti bambini trattati come schiavi nelle campagne di Latina

    Giovanissimi migranti sfruttati da clan mafiosi e padroncini fascisti. La denuncia di un lavoratore italiano: «Agenti e politici locali in una delle aziende già conosciute alle forze dell’ordine»

    «Nella mia esperienza l’unica legge vigente in alcune aziende dell’#Agro_Pontino è quella del padrone, che decide tutto a partire da chi deve lavorare, quante ore di lavoro deve fare e quanto dobbiamo essere pagati. Se qualcuno si lamenta non ti richiama più, oppure ti insulta o minaccia in modo brutale. L’ho visto personalmente minacciare braccianti del Bangladesh e indiani con fucili e pistole per farli tacere dopo tre mesi di lavoro svolto senza stipendio». A parlare è un bracciante italiano di origine calabrese che da poche settimane ha lasciato la provincia di Latina perché stanco di umiliazioni e violenze. Ha lavorato infatti sotto padrone nelle campagne dell’Agro Pontino da quando aveva 16 anni. Le sue mani sembrano quelle di un anziano bracciante di ottant’anni. Ne ha invece solo quarantadue.

    Mostra delle foto fatte di nascosto col suo cellulare mentre lavora sotto le serre con la schiena piegata accanto a quella di altri suoi compagni immigrati. E con le foto anche alcuni eloquenti vocali. Dichiara e dimostra, ora che è al sicuro in un paese vicino Milano, qualcosa di inaspettato anche per chi si occupa di studiare e denunciare lo sfruttamento dei braccianti italiani e immigrati della provincia di Latina da vent’anni. «Ancora in queste settimane, soprattutto il venerdì, il sabato e la domenica, arrivano anche minori a lavorare come schiavi. Sono ragazzi provenienti dal Bangladesh e dall’India. Hanno 14 anni, altre volte 15. Qualcuno arriva al massimo a 17. Non parlano italiano se non pochissime parole che il caporale indiano, su mandato di sedicenti capi della comunità indiana o bangladese, fa imparare loro per eseguire correttamente gli ordini del padrone italiano. Devono soprattutto capire quando arriva l’ordine di scappare perché si teme l’arrivo dei Carabinieri o di qualche controllo specifico».

    Sono giovanissimi immigrati che anziché frequentare corsi di formazione e di lingua, le scuole italiane come i loro coetanei o pensare a vivere in modo sereno la loro adolescenza, sono impiegati senza contratto anche per dieci o dodici ore al giorno nella raccolta delle carote, delle cipolle o dei ravanelli che garantiscono profitti illeciti a padroni e criminali italiani e immigrati e a un sistema agromafioso che, ricorda l’Eurispes, fattura ogni anno circa 24,5 miliardi di euro.

    «Il padrone li recluta parlando coi caporali o con il capo indiano della comunità per pagarli appena 4 euro l’ora. Parliamo di 40 euro al giorno per svolgere un lavoro faticoso e pericoloso. Devono infatti camminare in ginocchio per raccogliere gli ortaggi, usare coltelli affilati per tagliare cespi di insalata o i famosi cavolirapa per il mercato tedesco, e sollevare cassette molto pesanti dopo averle riempite completamente. Le loro pause, come anche le mie, sono al massimo di quaranta minuti per tutta la giornata. I dolori alla schiena, anche a quell’età, o alle ginocchia, sono molto forti e qualcuno di loro per evitare di sentire la fatica prende, come anche molti altri immigrati sfruttati, pasticche o oppio che alcuni hanno dentro i loro zaini». Si tratta di un fenomeno già denunciato nel 2014 da “In Migrazione”, riscontrato peraltro anche in molti processi in corso presso il Tribunale di Latina.

    «Sono minori che vivono in famiglie i cui genitori fanno anche loro i braccianti. Se sommi lo stipendio di padre, madre e figlio minore, tutti sfruttati nelle campagne pontine in aziende molto note, si raggiunge a malapena il salario previsto per il lavoro di un singolo bracciante con regolare contratto. Insomma, ne fai lavorare tre al prezzo di uno, minore compreso. Quando ho provato a dire al padrone che doveva trattarci bene e darci quello che ci doveva, mi ha insultato. Mi ha chiamato calabrese di merda. Una volta mi ha anche preso a calci e a schiaffi, dicendomi che potevo rivolgermi tranquillamente ai sindacati o ai giornalisti, tanto non ha paura di nessuno». Il padrone in questione, peraltro, «è noto alle forze dell’ordine, ma sembra fregarsene. Forse è protetto o si sente protetto, anche perché in azienda, soprattutto nel fine settimana, arrivavano alcuni agenti e politici locali. Si ritrovava anche con alcuni imprenditori agricoli di successo che dicevano fossero molto vicini alla camorra. Si prendevano tutti sotto braccio e pranzavano insieme, mentre io, insieme a quei ragazzi che potevano avere l’età di mio figlio, lavoravamo per loro quasi gratuitamente. E quando qualcuno di noi ha cercato di ribellarsi è finito in ospedale con la testa rotta. Il caporale infatti lo ha preso a bastonate fino a lasciarlo in terra sporco di sangue mentre il padrone faceva sparire il bastone per evitare guai».

    Non solo pratiche però, anche il linguaggio del padrone è importante. E infatti «amava farsi chiamare Mussolini, tanto che aveva fatto montare in azienda busti e adesivi inneggianti al fascismo. Quando pagava i salari, spesso in contanti, ricordava ai braccianti immigrati, minori compresi, che in Italia ci vorrebbe Mussolini o Hitler per sistemare le cose. E poi li insultava definendoli degli indiani idioti, che in Italia devono obbedire agli ordini degli italiani e ringraziare per il lavoro che lui gli garantiva. Era un fascista amico».

    Questo è probabilmente uno di quegli imprenditori che secondo il presidente del Consiglio Giorgia Meloni non deve essere disturbato, come lei stessa ha dichiarato agli industriali durante un’iniziativa pubblica. Peraltro anticipando quanto affermato di fatto anche dal neo direttore generale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro il giorno del suo insediamento. Non disturbare il manovratore, dunque, anche quando sfrutta lavoratori, ambiente e minori. È la solita dottrina di una destra che è forte con gli sfruttati, italiani e immigrati, donne e uomini, e invece attenta a non disturbare i forti, soprattutto quando sono padroni e fascisti che portano voti e consenso.

    https://ilmanifesto.it/braccianti-bambini-trattati-come-schiavi-nelle-campagne-di-latina
    #exploitation #enfants #enfance #mineurs #braccianti #Italie #Latina #agriculture #néo-esclavage #Bangladesh #Inde #migrations #caporalato

  • #Caporalato in #Friuli_Venezia_Giulia : #Gorizia è solo la punta dell’iceberg

    A fine febbraio una telefonata anonima ha fatto scoprire 30 braccianti rumeni, tra cui due minori, segregati in case fatiscenti, obbligati a lavorare per pochi euro, minacciati e picchiati. Per la Flai Cgil «il caporalato sta dove c’è ricchezza: in Friuli è rappresentata dai vigneti»

    A fine febbraio tre persone sono state arrestate a Gorizia per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera in agricoltura. Le accuse nei loro confronti sono aggravate dalle minacce, dal numero dei lavoratori coinvolti e dalla minore età di due di loro.

    Il nuovo caso di caporalato è emerso grazie a una segnalazione anonima. La guardia di finanza e la procura hanno così scoperto una trentina di persone segregate in case fatiscenti e in precarie condizioni igienico-sanitarie, costrette a lavorare come braccianti agricoli per pochi euro al giorno, minacciate e picchiate se tentavano di ribellarsi. Lavoratori e caporali sono di origine rumena.

    «Che il caporalato fosse diffuso in regione lo sapevamo già, almeno dal dicembre 2021, quando sono stati scoperti alcuni casi a Pordenone. Adesso tutti si meravigliano, ma quello che è accaduto a Gorizia è l’ennesima dimostrazione che il caporalato, come la mafia, sta dove c’è ricchezza. E la grande ricchezza a cielo aperto del Friuli, come del Veneto, sono i vigneti che da tempo hanno sostituito le vecchie coltivazioni», dice a Osservatorio Diritti Alessandro Zanotto, coordinatore regionale Flai Cgil Friuli.

    Caporalato in Italia: il fenomeno va da Sud a Nord

    Il caporalato è sempre più radicato anche al Nord. Sono 405 le aree interessate dal fenomeno lungo tutta la Penisola, di queste solo 194 si trovano al Sud.

    Le altre sono divise tra Nord e Centro. Tra le regioni del Nord, Veneto e Lombardia sono quelle più coinvolte con 44 e 21 aree individuate. Due quelle monitorate in Friuli-Venezia Giulia, a Pordenone. A cui ora si aggiunge Gorizia (dati Osservatorio Placido Rizzotto Flai Cgil).

    «L’operazione della Procura e della Guardia di finanza a Gorizia è la prova che nessuna regione, nessuna coordinata geografica è immune allo sfruttamento. Un menù tossico fatto di condizioni di lavoro umilianti e contesti di vita ripugnanti», spiega a Osservatorio Diritti Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil.

    Differenze non ce ne sono rispetto ai casi scoperti al Sud: spesso i lavoratori sono di origine straniera (nei casi scoperti a Pordenone erano pachistani, a Gorizia rumeni), i salari sono bassissimi, contratti non ce ne sono e neppure diritti.

    Anche se al Nord può capitare che ci si avvalga di società di somministrazione di manodopera o di consulenti del lavoro locali, «che danno una parvenza di legalità, ma che in realtà sono apparati schiavistici. A Gorizia poi erano coinvolti anche due minorenni e i lavoratori erano tutti di origine rumena, quindi cittadini europei. Una vicenda che smentisce la retorica sul permesso di soggiorno», afferma Bilongo.

    Caporalato in Friuli Venezia Giulia

    I casi scoperti in Friuli-Venezia Giulia, in particolare nel territorio di Pordenone (su cui il VI Rapporto Agromafie e Caporalato della Flai Cgil ha acceso i riflettori), sono «solo la punta dell’iceberg in un territorio che si vanta di avere come pilastro della propria società la rettitudine, ma che il caporalato riesce a scalfire ugualmente. E lo stesso numero di vertenze aperte sul territorio è paradigmatico dell’ampiezza del fenomeno», dice Bilongo.

    Anche Zanotto parla di punta dell’iceberg quando racconta dei casi scoperti in regione, in particolare a Pordenone: «In quel caso erano coinvolti lavoratori pachistani, rinchiusi in case in campagna o in centro, alcuni senza permesso di soggiorno. Anche il caporale era pachistano. Ma le vere menti sono locali. È ipocrita chi dice di non sapere e di non vedere: noi li vediamo, questi ragazzi e ragazze, lavorare nei vigneti alle potature, a novembre e dicembre, tutti i giorni, anche i sabati e le domeniche, dalla mattina presto alla sera tardi. Ragazzi e ragazze che arrivano attraverso la rotta dei Balcani e che vengono sfruttati nelle nostre campagne».

    La legge contro il caporalato esiste, ma va applicata

    Ma come si combatte il caporalato? Per Bilongo la risposta è semplice: applicando la normativa di cui l’Italia si è dotata.

    «La legge 199 del 2016 sul caporalato prevede un impianto repressivo, ma anche di prevenzione. E se i dati sui contenziosi non accennano ad arretrare nonostante le forze a contrasto insufficienti, la prevenzione, purtroppo, non decolla», dice il sindacalista.

    Bilongo, in particolare, fa riferimento alla Rete del lavoro agricolo di qualità, l’organismo autonomo istituito dalle legge 116/2014 che punta ad arginare il caporalato in agricoltura attraverso la creazione di una lista di imprese virtuose.

    La legge sul caporalato del 2016 ha potenziato la Rete, prevedendo l’istituzione di sezioni territoriali in ogni provincia. Ma a fine 2021, le sezioni attivate sono solo 21. E le aziende iscritte alla Rete sono 5.978 su un potenziale di 250 mila (dati Osservatorio Placido Rizzotto – Quaderno n. 1 Geografia del caporalato).

    Qual è il motivo di numeri così bassi? «Il caporalato è una via facile per avere manodopera da discount ed è ormai una modalità consolidata. Eppure la soluzione è lì perché se un’azienda non ha niente da rimproverarsi può iscriversi alla rete ed essere certificata come sana. Dobbiamo rivendicare la necessità di fare prevenzione attraverso la Rete», afferma Bilongo.

    In Friuli-Venezia Giulia ci stanno provando, ma, come precisa Zanotto, «spesso le controparti partecipano agli incontri ma poi finisce lì. Eppure ciò che vediamo noi dovrebbero vederlo anche loro e rendersi conto che chi utilizza questa forma di manodopera rappresenta una concorrenza sleale per le aziende in regola».
    Sindacato di strada: ecco come si combatte il caporalato oggi

    Nei luoghi di lavoro, in quelli di aggregazione o di preghiera, nelle piazze dove avvengono gli ingaggi giornalieri, la Flai Cgil da alcuni anni ha scelto di reinventarsi come sindacato di strada per poter incontrare i lavoratori, distribuire materiale informativo e contratti in diverse lingue, segnalare i servizi del territorio, sostenere chi vuole denunciare.

    «A Pordenone è stato grazie al lavoro del sindacato di strada che abbiamo scoperto quello che stava e sta accadendo», dice Zanotto.

    Con il camper dei diritti – presente in Campania, Sardegna, Puglia, Piemonte, Basilicata, Calabria, Sicilia, Veneto – sono stati avvicinati molti lavoratori che, per paura o problemi di natura logistica, non riuscivano a entrare in contatto con il sindacato.

    «I braccianti agricoli lavorano dall’alba al tramonto e quando rientrano il sindacato è chiuso. Abbiamo rovesciato il paradigma andando loro incontro per intercettare bisogni, farci carico delle criticità, infondere consapevolezza. Questo significa recarsi di notte nei luoghi da cui partono per andare nei campi, o la domenica nei mercati o in moschea. È un lavoro costoso ma efficace. Nel 2018 a Latina quasi 5 mila braccianti indiani sono scesi in piazza. Il coraggio per farlo è il frutto del lavoro del sindacato di strada che, per anni, ha presidiato quella zona», conclude Bilongo.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2023/04/03/caporalato-friuli-venezia-giulia
    #Italie #exploitation #main_d'oeuvre #travail #agriculture #braccianti #migrations #vignobles #migrants_roumains #Pordenone #loi #legge_199 #industrie_agro-alimentaire

  • Derrière les ancêtres des Brav-M, Vichy et le passé opaque du ministre Marcellin- L’En Dehors
    http://endehors.net/news/derriere-les-ancetres-des-brav-m-vichy-et-le-passe-opaque-du-ministre-marc

    Raymond Marcellin fut le grand promoteur des voltigeurs, les ancêtres des Brav-M. Mais ce qu’on sait moins, c’est que Marcellin (ministre de l’Intérieur de 1968 à 1974) avait fait ses débuts sous Vichy, dans une haine des syndicats, et des rouges. #BravM https://t.co/TcVFxeDMQw (...) @Mediarezo Actualité / #Mediarezo

  • BRAV-M dans « Touche pas à mon poste » : le préfet de police ouvre une enquête et saisit la justice
    https://www.lemonde.fr/police-justice/article/2023/04/01/brav-m-dans-touche-pas-a-mon-poste-la-prefecture-de-police-ouvre-une-enquete

    Quatre membres supposés de cette brigade d’intervention ont témoigné, vendredi, dans l’émission de Cyril Hanouna. Le préfet de police de Paris, Laurent Nunez, émet des doutes sur leur appartenance à la BRAV-M.

    La séquence a vite été virale sur les réseaux sociaux, dans la soirée du vendredi 31 mars. Quatre personnes, le visage encagoulé, capuche noire sur la tête et brassard de police au bras, se sont présentées comme des membres de la brigade de répression de l’action violente motocycliste (#BRAV-M), sur le plateau de l’émission « Touche pas à mon poste » (« TPMP ») de Cyril Hanouna, sur C8. Quelques heures après la diffusion de l’émission, le préfet de police de Paris, Laurent Nunez, a annoncé l’ouverture d’une enquête administrative et la saisine de la justice, émettant des doutes sur leur appartenance à la brigade.

    « Les premiers éléments en notre possession laissent à penser que ces personnes n’appartiennent pas à la BRAV-M, a écrit la Préfecture de police dans un tweet. En tout état de cause, le préfet de police ouvre une enquête administrative et saisit la procureure de la République de Paris. »
    https://t.co/c2IMgUdCDv
    -- prefpolice (@Préfecture de Police)

    « On est les meilleurs amis des manifestants »

    Ces quatre individus, aux voix modifiées, ont témoigné sur le plateau de l’émission en expliquant que les personnes auxquelles elles avaient à faire face en manifestations étaient « des black blocs déterminés à [les] tuer ». Les « black blocs sont les pires ennemis des manifestants et nous, on est les meilleurs amis des manifestants », a dit l’un d’eux. « On a vraiment été créées pour aller chercher les éléments les plus radicaux et les plus violents », a-t-il ajouté.

    #vraiment

  • Propos de Mélenchon sur la BRAV-M : une enquête ouverte pour « injure publique »
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2023/03/31/propos-de-melenchon-sur-la-brav-m-une-enquete-ouverte-pour-injure-publique_6

    Une enquête a été ouverte pour « injure publique envers personne dépositaire de l’autorité publique » après des propos de Jean-Luc Mélenchon sur la Brigade de répression de l’action violente motocycliste (BRAV-M) signalés par le préfet de police, Laurent Nunez, a rapporté vendredi 31 mars à l’AFP le parquet de Paris, confirmant une information du Parisien.
    Cette enquête, ouverte depuis mercredi et confiée à la Brigade de répression de la délinquance aux personnes, vise le chef de file de La France insoumise (LFI) après des propos tenus dimanche sur la BRAV-M, une unité mise en cause récemment dans plusieurs affaires de violences policières dans le cadre des manifestations contre la réforme des retraites.
    Sur LCI, Jean-Luc Mélenchon avait déclaré au sujet des membres de cette unité : « Nous enverrons ces jeunes gens se faire soigner ». « Vous imaginez ce que c’est que de dire je suis volontaire pour monter sur une moto et tabasser des gens en passant ? C’est manifester un état d’esprit qui ne me convient pas et que je trouve anormal », avait poursuivi le dirigeant « insoumis », ajoutant : « Pour moi, ce n’est pas une activité normale ». « Il y a toutes sortes de violences pour lesquelles ont fait des soins, des auditions, on réfléchit », avait-il encore dit.

    [...]
    Le parquet de Paris a confirmé que son enquête visait également l’avocat Arié Alimi, qui fait l’objet d’un signalement distinct du préfet de police. Sur RMC, le 22 mars, il avait déclaré que les BRAV-M « sont un certain type de policiers engagés volontaires, qui recherchent la violence, c’est comme ça qu’on les sélectionne, qui sont lancés dans les rues de Paris avec des matraques et des armes, qui brisent les os et qui font des chasses à l’homme comme on le voit sur les images à longueur de journée en ce moment ».
    Arié Alimi défend régulièrement des personnes victimes de violences policières, comme la famille de Cédric Chouviat, un livreur mort à Paris à la suite d’une interpellation début 2020.

    (...) Laurent Nunez avait prévenu que « désormais, quelle que soit la personne qui tient ces propos – un responsable politique, un avocat – », il saisirait « systématiquement la justice de ces insultes ».

    • large spectre, comme les antibiotiques :-)

      Ceci dit, là, ça vise quand même des bactéries islamo-gauchistes ; et même assez spécifiques celles qui sont médiatiques.

      Le Laurent Bigot, ex sous-préfet sur la vidéo ci dessous citée, il insulte aussi la BRAV-M, et même toute la police ; il y traite les nouvelles recrues de « teubé » et les fonctionnaires de la BRAV-M de « voyous » de dernière zone. En public sur utube. Il a été inquiété par l’antibiotique ?

      https://seenthis.net/messages/996505#message996892
      https://www.youtube.com/watch?v=8H2SQUrSROs

    • Ferjou qui se fait remettre en place par un avocat pourtant bien à droite Carbon de Seze qui souligne la pertinence de la question posée par Melenchon !

      https://video.twimg.com/ext_tw_video/1641916882876788737/pu/vid/688x370/DCWrsRNXWh8b8hHZ.mp4?tag=12

      « le vrai sujet c’est de savoir s’il y a une violence favorisée par le fait qu’on leur donne des ordres ; la question que pose Melenchon c’est de savoir si on apprendra plus tard que la #BRAV-M s’est transformé en garde prétorienne du gouvernement »

      https://twitter.com/achabus/status/1641917289099304962?cxt=HHwWhICx9efEocktAAAA

    • En fait, Laurent Bigot a déjà été puni, il y a longtemps.
      https://lemondeencommun.info/laurent-bigot-avoir-la-connaissance-dune-zone-geographique-signifi

      Arnaud Le Gall : on ne peut commencer sans évoquer le limogeage que vous avez subi en 2013, car il apporte un éclairage sur les conditions d’élaboration de l’action internationale de la France notamment en Afrique. Le traitement que vous avez subi signifie-t-il qu’il n’y a plus de lieu d’élaboration de l’action internationale confrontant les points de vue ?

      Laurent Bigot : Précisons d’abord qu’un seul propos critique de ma part a été rendu public, malgré moi. Il s’agissait d’une conférence sur le Mali tenue à l’Institut Français des Relations Internationales (IFRI) en juin 2012, à l’occasion de laquelle j’ai fait une petite incise sur le Burkina Faso. J’annonçais qu’il allait être le prochain pays à s’effondrer et cela est arrivé en octobre 2014 avec la chute de Blaise Compaoré, et aujourd’hui la situation sécuritaire de ce pays est dramatique. Cette conférence été diffusée publiquement alors qu’elle ne devait pas l’être puisqu’elle se déroulait selon les règles de Chatham House [NDLR : règles spécifiant que les participants à une rencontre sont libres d’utiliser les informations collectées à cette occasion, mais ils ne doivent révéler ni l’identité, ni l’affiliation des personnes à l’origine de ces informations, de même qu’ils ne doivent pas révéler l’identité des autres participants].

      Mes propos ont été diffusés par l’IFRI alors que ce n’était pas ce qu’on avait convenu au départ. Ce sont les seuls propos rendus publics que j’ai tenus. Toutes les réflexions que j’ai par ailleurs eu sur le Mali étaient exprimées dans le cadre de notes internes. Je ne faisais là que mon travail, c’est-à-dire que j’élaborais des notes en interne, je faisais des analyses avec mes collaborateurs, et on faisait des propositions.

      J’ai tout de suite dit, quand l’opération Serval a été déclenché, en janvier 2013, qu’on était dans une impasse stratégique car on ne pensait pas la suite de l’opération militaire et qu’on allait probablement s’embourber.

      Malheureusement, les faits m’ont donné raison. Ces critiques en interne ont beaucoup dérangé au Quai d’Orsay. A ce moment Laurent Fabius était ministre des affaires étrangères. La directrice Afrique qui était là depuis seulement neuf mois a été renvoyée sans aucune explication, ensuite c’est ma tête qui a été coupée, puis celle de Christian Rouyer, notre ambassadeur au Mali. Une voix très libre qui n’écrivait pas pour faire plaisir au ministre. Il était très loyal, obéissait aux ordres, mais dans la phase amont de la décision il n’hésitait pas à tenir un propos très libre. Cela a dérangé Laurent Fabius, qui l’a démis de ses fonctions en pleine opération militaire alors que c’était un ambassadeur très apprécié de la communauté française et des autorités maliennes. C’est un grand professionnel, qui a, peu après, connu de graves problèmes de santé, liés pour moi au choc qu’il avait subi en étant renvoyé comme un malpropre de son poste.

      Ce refus de tout débat au sein du Quai d’Orsay s’est poursuivi au-delà de Laurent Fabius. Cela dépasse d’ailleurs le cadre du Quai d’Orsay. Sur un sujet qui n’a rien à avoir avec l’Afrique, à savoir la gestion de la crise Covid, on voit que le gouvernement ne souhaite pas qu’il y ait de débat au Parlement. C’est devenu une façon de fonctionner très binaire. Soit vous êtes avec moi, soit vous êtes contre moi. Toute voix qui permettrait de questionner ou d’envisager d’autres politiques possibles, est forcément celle d’un adversaire. Ce qu’on voit dans l’espace public, parlementaire, correspond exactement à ce qui se passe dans l’administration.

      Je n’arrive pas à déterminer son bord.

    • Je n’arrive pas à déterminer son bord.

      C’est un haut fonctionnaire serviteur de l’état à qui il a fait allégeance et (n’en doutons pas) il restera fidèle. Il s’était bien adapté au biotope de la « france-à-fric » et de ses éminences grises diplomatiques. De plus, il a occupé des postes à responsabilité au sein de de l’institution policière.
      Ex dir-cab de la préfecture de police, sous-préfet, consultant à « géométrie variable » au vu de toutes les pages que j’ai trouvées, j’éprouve un certain sentiment de confusion par rapport à son parcours comme s’il pratiquait un certain art à se dissimuler derrière de multiples facettes. Et il n’a pas encore sa « fiche » ...

      https://fr.wikipedia.org/w/index.php?search=Laurent+Bigot&title=Sp%C3%A9cial:Recherche&profile=ad

      Ceci dit, ses révélations sont « précieuses » en ces temps troublés ...

  • Réforme des retraites : « Quasiment toutes les règles du maintien de l’ordre ont été violées »
    https://www.lejdd.fr/societe/reforme-des-retraites-quasiment-toutes-les-regles-du-maintien-de-lordre-ont-et

    À la suite du 49-3 sur la réforme des retraites, de nombreuses manifestations spontanées ont eu lieu en France et ont transformés la doctrine de maintien de l’ordre jusqu’ici en œuvre. Pour le JDD, Sébastian Roché, directeur de recherche au CNRS et auteur de « La Nation inachevée – la jeunesse face à l’école et la police », fait le point sur ces changements.

    Allons bon, v’là-t-y pas que même l’organe dominical du macronisme donne la parole à un odieux islamo-gauchiste pro-black-blocs…

    • Le Monde publie un entretien en vue d’une amélioration du maintien de l’ordre qui comporte quelques sentences bien senties et son lot de critiques

      Maintien de l’ordre : « La brutalisation des interventions est aujourd’hui au cœur de la stratégie française »
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/03/27/maintien-de-l-ordre-la-brutalisation-des-interventions-est-aujourd-hui-au-c-

      Nasses, contrôles d’identité à grande échelle, gardes à vue, gazage rapproché : dans un entretien au « Monde », le sociologue Olivier Fillieule regrette que la stratégie policière, plutôt que de faire baisser la tension, contribue à amplifier le désordre.

      et, le cherchant ailleurs, je l’ai trouvé là
      https://justpaste.it/6axug

      je signale de nouveau que, n’en déplaise aux experts académiques et médiatiques, l’obstruction aux secours est malheureusement un classique d’un MDO qui fonctionne nécessairement à la punition, avant même que son pseudopode judiciaire soit mis en oeuvre. évidement, cela doit reste inaperçu, ne pas faire scandale. autrement dit, il faudrait que leurs tortures par manœuvre dilatoire ne pas fabriquent pas des mourants, ça fait sale, sauf qu’ils sont tributaires, jusqu’au préfets et ministres qui les commandent, d’un regrettable manque de finesse et d’adaptabilité

      #police #maintien_de_l'ordre #BAC #Brav_m #violence_d'État #violences_policières

    • Manifestations : « Le niveau de violence décidé par la police varie en fonction de la représentation que la police se fait du public qu’elle rencontre » [ça alors !], Paul Rocher, économiste

      L’économiste Paul Rocher, par ailleurs spécialiste des violences policières, explique dans une tribune au « Monde », que les policiers subissent un syndrome de « citadelle assiégée » par rapport à l’ensemble de la population, mais cela n’excuse pas du tout le recours de la police à la brutalité. [ah bon]

      Le premier secrétaire du Parti socialiste et député Olivier Faure vient de publier le récit des violences policières subies par le fils d’un ami. Le médecin du jeune homme constate de nombreux hématomes et dermabrasions ainsi qu’une tuméfaction et une lombalgie. M. Faure se livre ensuite à une critique du gouvernement qui aurait donné la consigne de faire du chiffre. Mais cette critique comporte un paradoxe : si l’ordre donné à la police était de faire du chiffre, pourquoi le médecin constate-t-il de nombreuses #blessures ? Arrêter un maximum de personnes n’impose nullement de les brutaliser [ces derniers jours on a vu que brutaliser en masse n’impose pas d’arrêter arrêter, trop de taff administratif ballé qui restera sans suite : on punit in situ et en circuit court]. Or depuis une semaine, les vidéos de violences policières se multiplient. Pour dissiper ce paradoxe, la consultation des travaux sur l’institution policière se révèle édifiante.

      Tout d’abord, l’idée que la police fonctionnerait de manière rigoureusement hiérarchique, avec un ordre d’en haut qui serait strictement appliqué sur le terrain, ne correspond pas à la réalité, et ce a fortiori en contexte de maintien de l’ordre. Le sociologue Patrice Mann souligne que dans ce contexte, l’intervention policière « ne se déroule jamais concrètement comme le prévoit la procédure formelle » [eh oui]. L’application d’un ordre offre toujours un degré d’initiative aux policiers.

      Cette marge de manœuvre policière se prolonge avec une sorte de prophétie autoréalisatrice policière que Herbert J. Gans, ancien président de l’American Sociological Association, a mise en avant : l’anticipation de révoltes par les policiers, fortement imprégnés par des conceptions stéréotypes sur la population, augmente leur niveau de violence. Dans cette lignée, la recherche sur la police a identifié un phénomène important : les forces de l’ordre font preuve d’un respect relatif à l’égard de revendications autour du pouvoir d’achat des ouvriers et agriculteurs ; en revanche elles manifestent « une hargne certaine envers des étudiants-jeunes-privilégiés-casseurs ».

      Une figure floue du #casseur

      A première vue, la séparation entre bon et mauvais manifestant paraît nette, mais la figure floue du casseur permet d’inclure dans la deuxième catégorie une multitude de publics. Une manifestation pour le pouvoir d’achat, ou contre le recul de l’âge légal de départ à la retraite, peut ainsi être qualifiée par les forces de l’ordre d’initiative de « casseurs ». Tomber dans la catégorie des casseurs comporte un risque significatif. Car le pouvoir de définition de la légitimité des mobilisés, dont jouissent les policiers [bien aidés par les gouvernements et les média], façonne leur recours à la violence. Les violences contre les cortèges syndicaux depuis 2016 [loi Travaille branleur où on te casse la gueule !] en attestent.

      Le niveau de violence décidé par la police varie donc en fonction de la représentation que la police se fait du public qu’elle rencontre. La force des conceptions stéréotypées explique pourquoi, en dépit du fait que les manifestants ne sont pas nécessairement plus violents aujourd’hui, comme le montre une enquête récente réalisée auprès de policiers par l’association ACAT, les violences policières explosent.

      Pour s’en convaincre, il suffit de prendre les chiffres du ministère de l’intérieur sur le recours aux #armes [dite] non létales. Alors qu’en 2009 il dénombre 3 700 recours, le chiffre grimpe à plus de 32 000 en 2018 et reste depuis à un plateau très élevé de plus de 10 000 recours annuels. Pourtant, ces chiffres ne comprennent ni coups de matraque ni gaz lacrymogène, qui sont les armes les plus utilisées par la police.

      Un esprit de corps puissant

      Cette explosion des violences conduit à souligner une autre spécificité de la police. Elle attire des personnes peu représentatives de la population dans leur attitude par rapport à la violence. Une majorité des personnes désirant devenir policiers se caractérise par une conception purement répressive du futur métier potentiel. Une fois admis, les nouveaux policiers traversent une période de formation au cours de laquelle ils n’apprennent pas seulement les gestes techniques, mais s’imprègnent de la vision du monde de l’#institution_policière.

      C’est une vision assez singulière car les policiers se vivent dans une « citadelle assiégée », qui produit un esprit de corps puissant. Assiégée par qui ? Par le reste de la population que les policiers tendent ainsi à considérer au mieux avec méfiance, au pire avec hostilité. De ce point de vue, lorsque l’ancien préfet Lallement fait savoir à une « gilet jaune » qu’ils ne se trouvent pas dans le même camp, il ne s’agit pas d’un dérapage. C’est un moment de vérité sur la manière dont la police voit la population. De l’hostilité à la violence physique, il n’y a qu’un petit pas, que les policiers ont franchi dès les premières manifestations contre la réforme des retraites.

      Certes, Olivier Faure ne fait pas totalement fausse route [déjà presque mort, il se nourrit à la paille] : le gouvernement est le premier responsable de l’escalade violente actuelle. En refusant d’écouter l’opposition massive à la réforme des retraites, puis en jetant de l’huile sur le feu avec la décision du 49.3, il a réussi à transformer une crise sociale en crise démocratique. Mais rien n’oblige la police à exécuter les ordres du gouvernement avec brutalité – à moins qu’elle ne sache fonctionner autrement. [parce que "la police e déteste tout le monde" ?]

      Paul Rocher est économiste, auteur de Que fait la police ? Et comment s’en passer (2022, La Fabrique)

      #travail #autonomie_professionnelle

  • Pétition pour la dissolution de la BRAV-M
    https://petitions.assemblee-nationale.fr/initiatives/i-1319

    La répression policière qui s’abat sur notre pays doit conduire à remettre à l’ordre du jour l’impératif démantèlement de la BRAV-M. Le pays étouffe de témoignages d’exactions violentes et brutales commises par ces brigades motorisées à l’encontre des manifestants qui tentent de faire entendre leur opposition à un projet de régression sociale. (...) Nous demandons la dissolution de la BRAV-M. Stoppons le massacre. Source : Assemblée nationale

  • #Brassens #anarchisme > @partagenoir

    ★ Georges Brassens, le minnesinger des temps modernes - PARTAGE NOIR

    C’était au début de 1947. Dans l’étroite boutique au bord du canal Saint-Martin où, au lendemain de la Libération, la Fédération anarchiste avait installé son journal, Le Libertaire, nous étions quelques-uns à discuter, lorsque deux jeunes gens dégingandés poussèrent la porte. L’un d’entre eux, dont la poésie allait marquer sa génération s’appelait Armand Robin, l’autre Georges Brassens ! (...)

    ⏩ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.partage-noir.fr/georges-brassens-le-minnesinger-des-temps-modernes

  • Quand une équipe des BRAV-M dérape au cours d’une interpellation : « Je peux te dire qu’on en a cassé, des coudes et des gueules »
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/03/24/je-peux-te-dire-qu-on-en-a-casse-des-coudes-et-des-gueules-quand-la-brav-m-d

    La séquence dure plus de vingt minutes, enregistrée discrètement par un membre d’un groupe de sept personnes interpellées, lundi 20 mars, à l’angle des rues des Minimes et du Béarn, dans le 3e arrondissement de Paris. Entre commentaires à caractère sexuel, gifles, menaces et vantardises, ce document sonore, que Le Monde a pu authentifier, jette une lumière crue sur le comportement de fonctionnaires en contradiction totale avec les règles déontologiques autant qu’avec la loi.

    #paywall

  • Dans un enregistrement sonore d’une vingtaine de minutes que Loopsider s’est procuré, plusieurs policiers des Brav-M menacent et intimident sept jeunes gens interpellés lundi soir après une manifestation contre la réforme des retraites. Voici une partie de ce document édifiant.
    https://video.twimg.com/amplify_video/1639301478060834818/vid/720x720/hrsk2Mrma9AIZUZz.mp4?tag=16


    https://twitter.com/Loopsidernews/status/1639302300790407170?cxt=HHwWhIC-4bqw_L8tAAAA

    Voilà ce que c’est, la BRAV-M.
    Dissolution 🔥🔥🔥
    🎥@Loopsidernews #ViolencesPolicières #manifestations

  • #Violences, #interpellations_abusives... : le retour d’un #maintien_de_l’ordre qui sème le chaos

    Alors que le recours au 49-3 a entraîné une multiplication des rassemblements et actions spontanés partout en France, le #dispositif_policier a renoué avec ses travers : #interpellations_massives et mal fondées, violences gratuites, #mépris des libertés fondamentales.

    Les #manifestations unitaires, intersyndicales et globalement pacifiques qui ont rythmé les deux derniers mois ont fait long feu. Elles n’ont ni fait capoter la réforme des retraites, ni infléchi ses modalités. Les responsables syndicaux comme les simples manifestants ont eu beau mettre en garde l’exécutif contre les conséquences de sa sourde oreille – un risque d’exaspération populaire, de « radicalisation » du mouvement et de violences –, il n’a rien fait de cet avertissement.

    Le 49-3 dont personne ne voulait a bien eu lieu, jeudi 16 mars. Depuis, les #rassemblements_spontanés, #blocages, actions coup de poing et #cortèges_sauvages fleurissent partout en France. Comme toujours en pareil cas, des #forces_de_l’ordre sûres de leur légitimité et sujettes à une légère panique mettent un point d’honneur à endiguer tout ce qui déborde du cadre. Lundi 20 mars, le secrétaire général de la CGT, Philippe Martinez, a dénoncé « une augmentation de la #répression des manifestants qui n’est pas justifiée ».

    Depuis jeudi, la majorité des 61 compagnies de #CRS sont missionnées sur le maintien de l’ordre, en particulier à #Paris, #Nantes, #Rennes, #Bordeaux, #Marseille, #Lyon et #Dijon. « Les missions qui relevaient du plan national de sécurité renforcée notamment à Calais ou à Marseille, pour lutter contre la drogue ou l’insécurité, sont passées aux oubliettes, explique un responsable syndical chargé des CRS au niveau national. La priorité pour Darmanin, c’est de sécuriser Paris et les sites institutionnels sensibles comme l’Élysée, et le mot d’ordre est de “disperser tout mouvement non déclaré”, donc illégal. »

    Ce policier n’a pas souhaité témoigner sous son identité. « La situation est difficile. Le jeudi, je manifeste contre cette réforme que je trouve violente, confie-t-il, et je vais continuer », dit-il avant d’ajouter au sujet du 49-3 : « Était-ce vraiment utile vu le déferlement de #colère que cela a provoqué ? »

    « On est à la veille d’une insurrection. J’ai peur qu’un de mes gars tue un manifestant », confie un commandant de compagnie de CRS à Mediapart. « J’espère que la motion passera et que la dissolution de l’Assemblée sera prononcée. On reviendrait ainsi à une gestion plus démocratique du pays. » Ce haut gradé qui dirige près de 70 hommes précise que ce sont les préfets qui transmettent les ordres du ministre.

    « Pour le moment, ceux que j’ai reçus en participant au maintien de l’ordre, dans deux villes importantes, restent relativement “républicains”. Mais il n’y a aucune garantie qu’un drame ne se produise pas », rappelant qu’un CRS a sorti un fusil HK G36 à Nantes, lors de la manifestation du 18 mars.

    « C’est évidemment dangereux et inquiétant que cela ne questionne pas davantage dans nos rangs. Cela montre que des policiers ne sont absolument pas résilients. C’est pour cela que le président s’amuse à un jeu très dangereux qui peut se terminer par un drame, que je redoute : le décès d’un manifestant. »

    « On a été entraînés pour la “percussion” »

    La semaine du 49-3, Mathieu* était, avec sa compagnie de CRS, à Châteaudun, près d’Orléans, pour un « #recyclage », c’est-à-dire une remise à niveau organisée chaque semestre. Le vendredi soir, ces CRS ont été « appelés en renfort pour intervenir dès lundi à Paris ». Pour la seule journée de lundi, plus de trente unités mobiles, CRS et escadrons de #gendarmerie, sont déployées à Paris, soit près de 2 000 fonctionnaires.

    « Depuis le 49-3, le maintien de l’ordre se durcit nettement face aux rassemblements spontanés. Nous avons d’ailleurs été formés durant notre semaine de recyclage à aller davantage au contact des “#nébuleuses”, des #black_blocs », explique-t-il. « On a été entraînés pour la “#percussion”, une technique plus offensive. Dès qu’on les repère, on n’attend pas, on intervient sur eux. »

    Mathieu ne cache pas son embarras sur le contexte actuel et la difficulté de « charger de simples manifestants, dont la cause est juste ». Après les sommations, « si les manifestants restent sur notre passage, il n’y a plus de distinction. Il peut y avoir des dommages collatéraux ».

    Malgré plus de vingt ans d’expérience dans le maintien de l’ordre, Mathieu appréhende cette semaine. « Ce n’est pas tant pour moi, qui suis formé et protégé, mais pour ceux qui manifestent. Sur les rassemblements sauvages à Paris, ça arrange la préfecture de faire appel aux #Brav-M [#Brigades_de_répression_de_l’action_violente_motorisée – ndlr]. Non seulement ils sont utilisés pour intervenir très vite en moto, ce qui peut être terrorisant, mais le préfet a une mainmise directe sur eux contrairement à nous CRS, où on a un commandant ou un capitaine qui relaie les ordres du commissaire sur le terrain et qui peut les adapter. »

    Les Brigades de répression des actions violentes motorisées, Mathieu les a vues à l’œuvre pendant les manifestations des « gilets jaunes ». « Ils mettent le bordel plus qu’autre chose. Ils matraquent dans tous les sens. Après ce sont des collègues parfois mais on n’a pas le même état d’esprit. Il y a pas mal de policiers passés par la BAC dans leur rang et formés à aller au contact, peu importe qui ils ont en face. C’est cela le danger. »

    À Paris, le retour de la BRAV-M

    Les dernières semaines ont marqué un glissement progressif dans l’attitude des forces de l’ordre à Paris. Le 20 janvier dernier, le préfet de police #Laurent_Nuñez revendiquait de tenir ses troupes à distance des cortèges : « Je ne veux pas qu’on nous accuse de faire dégénérer les manifestations. De la sorte, on ne nous voit pas. Ça évite que les militants ultras qui cherchent à en découdre avec les forces de l’ordre ne viennent au contact. En contrepartie, je demande à nos effectifs d’être extrêmement réactifs. Dès la moindre dégradation, ils doivent intervenir. À chaque fois, nous intervenons puis nous nous retirons. »

    À la préfecture de police, certains contestaient ce choix. Les BRAV-M se seraient notamment plaintes de ne plus aller au contact, regrettant l’époque de Didier Lallement. Certaines manifestations ont toutefois été marquées par de violentes charges. Dès le 19 janvier, un jeune photographe grièvement blessé lors d’une charge policière a dû être amputé d’un testicule.

    Depuis deux semaines, les témoignages et vidéos de violences policières se multiplient, de Paris à Rennes en passant par Nantes (où quatre étudiantes accusent des policiers de violences sexuelles lors d’une fouille), tandis que des centaines d’interpellations ont eu lieu. Des journalistes dénoncent aussi diverses atteintes à la liberté de la presse (entrave à leur travail, coups, bris de matériel).

    Selon une source interne à la préfecture de police de Paris, le « #durcissement » du maintien de l’ordre serait lié à « la montée en gamme des violences » de certains manifestants jusqu’ici « inconnus », qui « se radicalisent depuis le début du mouvement » et surtout « depuis le #49-3 ». Le fait que ces manifestants deviennent plus mobiles justifierait un recours accru aux compagnies d’intervention et aux policiers motorisés de la BRAV-M. 

    Mises en place au début des gilets jaunes, fin 2018, et relativement discrète depuis le début du mouvement contre les retraites, la BRAV-M a réinvesti les rues de Paris. Depuis vendredi soir, les images de ces binômes de policiers à moto – souvent comparés aux « #voltigeurs » dissous après la mort de Malik Oussekine en 1986 – matraquant à tout-va, sans raison apparente et sans distinction les manifestants, circulent sur les réseaux sociaux.

    De son côté, la source préfectorale précédemment citée met en avant les six policiers blessés samedi, « dont deux ont reçu un pavé sur la tête », sans s’exprimer sur les violences imputées aux policiers.

    Des #gardes_à_vue sans suites

    À Paris, dès l’annonce du 49-3, la place de la Concorde s’est remplie de manifestants. Le préfet de police de Paris a bien tenté d’interdire ce rassemblement, déposé à l’avance par Solidaires, mais le tribunal administratif lui a donné tort.

    À l’issue de ces quelques heures sur la place, 292 personnes ont été arrêtées à Paris (sur 310 en France). Ces interpellations, mal motivées, ont cependant débouché sur un résultat judiciaire ridicule : seules neuf personnes ont été déférées devant la justice, et encore, pour « des avertissements probatoires solennels, des classements sous condition ou encore une contribution citoyenne », écrit BFMTV. Soit les sanctions les plus basses possibles.

    64 personnes ont encore été interpellées vendredi soir à Paris, dont 58 libérées sans aucune charge au bout de quelques heures. Dans certains cas, cela a duré un peu plus longtemps. Dans une séquence filmée par le correspondant de l’agence de presse turc Anadolu, une jeune femme se débat et essaie d’expliquer qu’elle « n’a rien fait ». La scène a lieu aux environs de 21 h 45, place de la Concorde.

    « Je respire pas, s’époumone une jeune femme au visage cramoisi.

    -- Laisse-toi faire, tu respires ! », lui rétorque le policier qui l’étrangle.

    Celle qui est aussi violemment interpellée, Chloé Gence, est développeuse web du Média. Mais comme le précisera dans un communiqué son employeur, elle a l’habitude de couvrir certaines manifestations et mouvements sociaux. Selon Le Média, Chloé était en train de « capter des images » avec d’autres journalistes, vendredi soir, quand elle a été « arrêtée de manière très brutale par les forces de l’ordre ».

    Chloé Gence est ensuite conduite en garde à vue. Malgré l’assistance d’un avocat et « les preuves qu’elle couvrait bien la manifestation pour Le Média », sa garde à vue est prolongée. Dimanche, #Chloé_Gence finit par sortir du commissariat, libre, sans qu’aucune charge ne soit retenue contre elle. Au bout de 40 heures…

    Un autre journaliste, #Paul_Ricaud, a subi le même sort que Chloé. Le Syndicat national des journalistes (SNJ) a dénoncé samedi, dans un communiqué, ces nouvelles atteintes à la liberté de la presse. Le syndicat regrette qu’après une période durant laquelle « les relations entre forces de l’ordre et journalistes paraissaient s’être apaisées », cela ne soit plus le cas depuis le 7 mars. « Nous voyons, à nouveau, des tensions comme sous l’ère Lallement, déplore le SNJ. Les forces de l’ordre semblent désormais vouloir réprimer durement le mouvement d’opposition à la réforme. »

    Depuis samedi, il est de nouveau interdit de manifester place de la Concorde. Ce nouvel arrêté préfectoral (qui n’a toutefois pas été publié) a entraîné une dissémination des rassemblements parisiens vers d’autres lieux. Samedi soir, 169 interpellations ont eu lieu en France, dont 122 à Paris (principalement dans le XIIIe arrondissement et place de la Concorde), donnant lieu à 118 gardes à vue (dont douze mineurs). Sollicité pour connaître les suites judiciaires détaillées des interpellations du weekend, le parquet de Paris n’a pas donné suite. Depuis, la préfecture a pris un nouvel arrêté que nous publions ici.

    Ces arrestations massives, donnant lieu à un maigre résultat judiciaire, rappellent les interpellations « préventives » assumées par le parquet de Paris lors du mouvement des gilets jaunes, en 2018-2019. À l’époque, le procureur Rémy Heitz (désormais procureur général) assumait ses objectifs dans une note interne : empêcher les gardés à vue de « retourner grossir les rangs des fauteurs de troubles », quitte à les priver illégalement de liberté plus longtemps que nécessaire.

    Dans un communiqué diffusé lundi 20 mars, le Syndicat de la magistrature (classé à gauche) rappelle que « l’autorité judiciaire n’est pas au service de la répression du mouvement social », condamne « toutes les violences policières illégales » et déplore une « utilisation dévoyée de la garde à vue qui illustre les dérives du maintien de l’ordre, qui détourne l’appareil judiciaire pour le mettre entièrement à son service ».

    « #Nasses », #charges et « #intimidation »

    De son côté, le Syndicat des avocats de France dénonce une « réaction une fois de plus démesurée et particulièrement violente » face aux mouvements spontanés, citant notamment l’utilisation de la technique de la « nasse », « jugée illégale par le Conseil d’État ».

    Cette #technique_policière, consistant à encercler et retenir un groupe de manifestants sans leur laisser d’issue, avait été largement utilisée pendant les mouvements contre la loi « travail » (2016), des gilets jaunes (2018-2019), contre la loi « sécurité globale » et la précédente réforme des retraites (2019-2020). En juin 2021, le Conseil d’État avait annulé les dispositions sur la « nasse » dans le Schéma national du maintien de l’ordre (SNMO) mis au point par Gérald Darmanin un an plus tôt. Il considérait que cette technique était « susceptible d’affecter significativement la liberté de manifester et de porter atteinte à la liberté d’aller et venir » lorsqu’elle ne laisse pas d’échappatoire.

    Le Syndicat des avocats de France s’inquiète également de #charges_sans_sommation, de #coups_de_matraques aléatoires et d’une « intimidation des manifestant·es ». Il appelle le ministère de l’intérieur à « mettre un terme immédiatement à cette escalade de la violence » et les magistrats à « faire preuve d’indépendance et de responsabilité » devant les affaires qui leur sont confiées par la police.

    De nombreuses vidéos montrent aussi des membres des forces de l’ordre sans #numéro_d’identification sur leur uniforme (numéro #RIO), malgré son caractère obligatoire régulièrement rappelé par la hiérarchie.

    À Lille, le soir du 16 mars, la police a violemment chargé le cortège des Jeunes communistes faisant deux blessés graves parmi leur service d’ordre. L’un a eu des points de suture sur le crâne, le second, l’épaule fracturée. « On s’est retrouvés complètement séparés du cortège syndical, gazés devant et derrière, et finalement seuls dans les petites rues de Lille, explique Pierre Verquin, coordinateur départemental des Jeunes communistes, à Mediapart. On avait deux cents jeunes avec nous, on s’est fait charger à ce moment-là, alors que le cortège ne présentait aucun danger. Tout le monde s’est pris des coups. Les gens à l’arrière se sont pris d’énormes coups de matraque aussi. » La Ligue des droits de l’Homme (LDH) a demandé au préfet du Nord « des explications sur les dérives brutales qui ont émaillé le maintien de l’ordre à Lille en cette soirée du 16 mars ».

    Le même jour, 14 personnes sont interpellées à Rennes pour des violences, des dégradations et des pillages dans le centre-ville. À la différence de Paris, la quasi-totalité fait l’objet de poursuites. Le lendemain, le ministre de l’intérieur annonce l’envoi à Rennes de la #CRS_8, une « #supercompagnie » créée en 2021 pour répondre en urgence à des « #violences_urbaines » sur n’importe quel point du territoire.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/200323/violences-interpellations-abusives-le-retour-d-un-maintien-de-l-ordre-qui-

    –---

    Les déclarations de deux policiers ont été ajoutées à cette métaliste de #témoignages de #forces_de_l'ordre, #CRS, #gardes-frontière, qui témoignent de leur métier :
    https://seenthis.net/messages/723573

  • Un Brassens méconnu - PARTAGE NOIR
    https://www.partage-noir.fr/un-brassens-meconnu


    Le Monde libertaire n°1121 du 30 avril 1998
    C’est au début de l’été 1946 que #Brassens eut ses premiers contacts avec les anarchistes. #Le_Libertaire, journal hebdomadaire de la #Fédération_anarchiste, qui tirait alors cent mille exemplaires, était largement diffusé par Transport Presse, vendu à la criée, avait place à l’étal des kiosques à journaux et dans les librairies. J’étais alors secrétaire général de la Fédération anarchiste et coresponsable à la rédaction de son journal.

  • #Bras_d’honneur d’Eric #Dupond-Moretti : « Le #délit d’#outrage pourrait être caractérisé à l’encontre du #garde_des_sceaux »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/03/09/bras-d-honneur-d-eric-dupond-moretti-le-delit-d-outrage-pourrait-etre-caract

    #insulteur_insulté
    #auto_legiferation

    « Les parlementaires et les élus locaux sont, par leur engagement et le mandat qu’ils détiennent, les représentants de la démocratie nationale et locale. Ils occupent une place fondamentale dans le fonctionnement de nos institutions et toute atteinte à leur encontre constitue également une atteinte au pacte républicain » : c’est par ces mots vibrants qu’Eric Dupond-Moretti, en sa qualité de garde des sceaux, commence sa circulaire du 7 décembre 2020 relative au traitement judiciaire des infractions commises à l’encontre des personnes investies d’un mandat électif.

    Ironie du sort : un peu plus de deux années plus tard, le ministre de la justice s’est mis en situation d’être rattrapé par sa propre circulaire. En effet, en reconnaissant avoir effectué, en plein Hémicycle, deux bras d’honneur en réaction aux propos d’Olivier Marleix, président du groupe des députés Les Républicains (LR), le garde des sceaux pourrait s’exposer à des poursuites pour outrage devant la Cour de justice de la République. D’un point de vue juridique, la démonstration en est très simple.

    Pour commencer, l’article 433-5 du code pénal prévoit que « constituent un outrage puni de 7 500 euros d’amende les paroles, gestes ou menaces, les écrits ou images de toute nature non rendus publics ou l’envoi d’objets quelconques adressés à une personne chargée d’une mission de service public, dans l’exercice ou à l’occasion de l’exercice de sa mission, et de nature à porter atteinte à sa dignité ou au respect dû à la fonction dont elle est investie ».

    [...]

    Si aucune poursuite ne devait avoir lieu, on retiendra que, chaque année, plusieurs de nos concitoyens sont condamnés pour avoir adressé des doigts d’honneur à des personnes chargées d’une mission de service public ou dépositaires de l’autorité publique, sans bénéficier d’un tel traitement de faveur, et parfois en s’appuyant sur une circulaire émanant du garde des sceaux lui-même…

    En plus de faire mal à la #République, cette #affaire serait aussi un #bras_d’honneur au #principe_d’égalité_des_citoyens_devant_la_justice.

  • Heineken en Éthiopie. Les vies sacrifiées des paysans expropriés
    Afrique XXI > Olivier van Beemen > 27 février 2023
    https://afriquexxi.info/Heineken-en-Ethiopie-Les-vies-sacrifiees-des-paysans-expropries

    Enquête · Il y a dix ans, un faubourg de la capitale éthiopienne a été rasé pour faire place à une nouvelle brasserie de la firme néerlandaise Heineken. Un accaparement de terres qui n’a profité à personne dans le pays. Cinq agriculteurs qui ont tout perdu racontent leur calvaire. (...)

  • #Brassens #Anarchisme #musique...

    ★ GEORGES BRASSENS, L’ANARCHISTE... - Socialisme libertaire

    Nous sommes en 1946 après Jésus-Christ - ou en l’an deux de la libération de la capitale française de l’occupation allemande et de la terreur nazi. Jean-Paul Sartre, Albert Camus, « Combat » et Django Reinhart sont en pleine gloire. Personne ne se souvient volontiers de Vichy. Laval et Henriot sont morts, Pétain est en prison. Dans les caves du quartier Saint-Germain-des-Prés la mode existentialiste est en ébullition avec son jazz et ses danses. Quelques mètres au-dessus pourtant, la vie suit son cours influencé par le gaullisme. Sauf quelques exceptions.

    En automne 1946, à un carrefour parisien animé, un gendarme essaie de stopper un cycliste avec son sifflet à roulette. Le cycliste, effrayé, s’énerve d’abord, puis, déséquilibré, tombe - juste sur le gendarme, qui à son tour s’étale sur les pavés et se fracasse le crâne. Un accident tragique ? Pas pour tous.

    Le 27 septembre un commentaire d’un certain « Gilles Colin » ayant pour titre « Le hasard s’attaque aux gendarmes » paraît dans la revue anarchiste « Le Libertaire ». L’auteur ne montre pas vraiment une grande pitié envers le policier accidenté : « Cela ne nous a pas échappé que, malgré sa mort, des milliers d’autres policiers continuent malheureusement de vivre et de chercher des histoires à la pauvre Terre [...]. Au font, nous avons pitié de la veuve et de l’enfant qu’il a laissés derrière lui [...]. Mais qu’il aille au diable ! Pourquoi les gendarmes doivent-ils avoir des sifflets, et pourquoi y a-t-il des gendarmes ? » (...)

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2018/07/georges-brassens-l-anarchiste.html

    • Exploitation, vulnérabilité et résistance : le cas des #ouvriers_agricoles indiens dans l’Agro Pontino

      De nombreuses représentations trompeuses continuent à peser sur l’exploitation des ouvriers agricoles étrangers en Italie, rendant difficile la compréhension du phénomène et l’intervention sur ses causes réelles. Cet article tente de questionner les principaux lieux communs sur le sujet, en analysant un cas particulièrement éclairant : celui de la communauté #Pendjabi de #religion_sikh employée sur l’Agro Pontino, dans le Latium. Cette étude de cas permet, d’une part, de faire ressortir les conditions d’exploitation systémiques, masquées derrière des mécanismes apparemment légaux ; de l’autre, il révèle que même les individus les plus vulnérables peuvent résister à l’exploitation et revendiquer activement leurs droits.

      https://www.cairn.info/revue-confluences-mediterranee-2019-4-page-45.htm

    • #In_migrazione

      In Migrazione è una Società Cooperativa Sociale nata nel 2015 dalla volontà di persone impegnate nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia.

      Diversi percorsi professionali e umani che hanno attraversato un ampio spaccato di esperienze diverse e che con In Migrazione si sono uniti per dare vita ad un soggetto collettivo, innovativo, aperto e trasparente.

      Una Cooperativa nata per sperimentare nuovi progetti di qualità e innovative metodologie al fine di interpretare e concretizzare percorsi d’aiuto efficaci verso i migranti che vivono nel nostro Paese situazioni di disagio e difficoltà. Esperienze concrete che sappiano diventare buone pratiche riproducibili, per contribuire a migliorare quel sistema di accoglienza e inclusione sociale degli stranieri.

      Le nostre ricerche e le concrete sperimentazioni progettuali mettono al centro la persona, con i suoi peculiari bisogni, aspettative e sogni.

      Mettiamo a disposizione queste esperienze e le nostre metodologie alle altre associazioni, cooperative, Enti pubblici e privati, professionisti e volontari del settore, convinti che nel sociale non possano e non debbano esistere copyright.

      https://www.inmigrazione.it

    • Progetto “Dignità-Joban Singh”, contro la schiavitù dei braccianti

      Una serie di sportelli di accoglienza, ascolto e sostegno, ma anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Un progetto per dare voce alle vittime di lavoro schiavo, in memoria del giovane di origini indiane, morto suicida il 6 giugno 2020 a Sabaudia

      Si chiama Dignità-Joban Singh ed è il progetto in corso organizzato dall’associazione Tempi Moderni contro le varie forme di schiavismo e sfruttamento che mortificano e riducono in schiavitù migliaia di persone, immigrati e italiani, indiani e africani, uomini e donne, in questa Italia fondata sul lavoro ma anche su una persistente presenza di razzisti, violenti, mafiosi e di sfruttatori che mortificano la democrazia ed esprimono chiaramente la loro natura predatoria.

      Joban Singh, di appena 25 anni e residente nel residence “Bella Farnia Mare”, nel Comune di Sabaudia, in provincia di Latina, il 6 giugno scorso è stato trovato senza vita all’interno del suo appartamento. Joban decise di impiccarsi dopo essere entrato in Italia mediante un trafficante di esseri umani indiano, essere stato gravemente sfruttato in una delle maggiori aziende agricole dell’Agro Pontino e aver subito il rifiuto da parte del padrone alla sua richiesta di emersione dall’irregolarità mediante art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020) del governo.

      Dedicare questo progetto alla sua memoria, per non dimenticare ciò che significa vivere come uno schiavo in un paese libero, è un impegno che viene sottoscritto da Tempi Moderni ma che può camminare solo sulle gambe di tanti, o meglio di una comunità di persone responsabili e ribelle contro i padroni e i padrini di oggi.

      In questa Italia ci sono, secondo il rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil (2020), tra 400 e 450mila lavoratori e lavoratrici che solo in agricoltura risultano esposti allo sfruttamento e al caporalato. Di queste ultime, più di 180mila sono impiegate in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Secondo il sesto Rapporto Agromafia dell’Eurispes, il business delle agromafie, che comprendono le forme di grave sfruttamento, vale 24,5 miliardi di euro l’anno, con un balzo, nel corso del 2018, del 12,4%.

      Un fiume di denaro che è espressione di un’ideologia della disuguaglianza penetrata nei processi culturali delle società occidentali e troppo spesso relazione fondamentale del mondo del lavoro, in particolare del lavoro di fatica. È questo un sistema che produce lo schiavismo contemporaneo, come più volte il “Rapporto Italia”, ancora dell’Eurispes, ha messo in luce.

      Ancora nel 2019, ad esempio, l’Eurispes aveva esplicitamente dichiarato che lo sfruttamento è una fattispecie criminale le cui principali vittime sono i migranti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina. Lo sfruttamento, infatti, risultava più diffuso nei comparti più esposti alle irregolarità, al sommerso e all’abuso, dove chi fornisce prestazioni lavorative è in condizione di maggiore vulnerabilità.

      Si registrano dunque casi più numerosi, ancora secondo l’Eurispes, nell’agricoltura e pastorizia, a danno di polacchi, bulgari, rumeni, originari dell’ex U.R.S.S., africani e, in misura crescente, pakistani e indiani; nell’edilizia, a danno di europei dell’Est; nel settore tessile e manifatturiero, a danno di cinesi; nel lavoro domestico (soprattutto come badanti), a danno di soggetti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’ex U.R.S.S., dall’Asia e dall’America del Sud.

      Insomma, uomini e donne a cui viene violata la dignità ogni giorno, costretti ad eseguire gli ordini del padrone, a sottostare ai suoi interessi e logiche di dominio. Quando questo potere si esercita nei confronti delle donne, lo sfruttamento assume caratteri devastanti. Ci sono infatti anche casi di violenza sessuale, di subordinazione delle lavoratrici immigrate alle logiche di dominio del boss, del padrone, del capo di turno.

      In provincia di Latina e precisamente a Sabaudia, appena poco prima di Natale, un’operazione denominata “Schiavo” e condotta dalla guardia di finanza, ha permesso di liberare dallo sfruttamento 290 lavoratori, soprattutto di origine indiana, che da anni venivano retribuiti con salari mensili inferiori anche del 60% rispetto a quelli previsti dal contratto provinciale, senza il riconoscimento degli straordinari, con l’obbligo di lavorare anche la domenica, impiegati senza le necessarie misure di sicurezza.

      Dunque, cosa fare? Avere il coraggio di capire, organizzarsi e agire collettivamente. Non si hanno alternative. La povertà, lo sfruttamento, la schiavitù, la violenza, non si abrogano per decreto. Non basta una legge. Serve un’azione collettiva espressione di una volontà radicale di contrasto di questo fenomeno mediante innanzitutto l’accoglienza e l’ascolto delle sue vittime, la costruzione di una relazione orizzontale con loro, dialettica, professionale e anche in questo coraggiosa, perché si deve prevedere l’azione di denuncia dei padroni insieme a quella della tutela.

      Ed è questa la sintesi perfetta del progetto Dignità–Joban Singh che ha organizzato e avviato una serie di sportelli di accoglienza, ascolto, sostegno e anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Si tratta di sportelli che hanno il compito di accogliere e di fornire assistenza legale gratuita alle donne e agli uomini gravemente sfruttati, di qualunque nazionalità, vittime di tratta e caporalato, di violenze, anche sessuali, obbligati al silenzio o alla subordinazione.

      Insomma, un progetto realizzato grazie all’ausilio di avvocati di grande esperienza e con mediatori culturali affidabili e professionali, fondato sulla pedagogia degli oppressi di Freire e gli insegnamenti di Don Milani, Don Primo Mazzolari e Don Sardelli. Un progetto che vuole anche contrastare le strategie (razziste) mediatiche, politiche e sociali di stigmatizzazione, stereotipizzazione ed esclusione di coloro che sono considerati antropologicamente diversi.

      Un progetto che però ha bisogno del sostegno della maggioranza di questo paese, donne e uomini che non vogliono vivere sotto il ricatto delle mafie, dei violenti, degli sfruttatori, dei neoschiavisti, dei razzisti, in favore di un’Italia che merita un futuro diverso, migliore.

      https://www.nigrizia.it/notizia/progetto-dignita-joban-singh-contro-la-schiavitu-dei-braccianti

    • Marco Omizzolo

      Marco Omizzolo is a sociologist, researcher and journalist, who has been documenting and denoucing human rights violations against Sikh migrant workers exploited in the fields in the province of Latina (central Italy). In a context where “agrimafia” is rampant and many farms are controlled by criminal organisations, migrants have to work for up to 13 hours a day in inhumane conditions and under the orders of “caporali” (gangmasters), they earn well below the minimum wage and they have to live in cramped accommodation. To document their situation, Marco has worked undercover in the fields and he also went to Punjab (India) to follow an Indian human trafficker, where he investigated the connections between human trafficking and the system of agrimafia. Marco is also one of the founders of InMigrazione, an organisation that supports migrant workers informing them about their rights, helping them organise and fight for labour rights, and giving them the legal support they might need. In 2016, Marco and some Sikh activists managed to organise the first mass strike in Latina, joined by over 4000 workers.

      Because of his work - and particularly because of his investigations denouncing the criminal organisations involved in the agribusiness and the local food industry - Marco Omizzolo has been receiving serious threats. His car has been repeatedly damaged, he is often under surveillance and he has been forced to relocate because of the threats received.

      https://www.frontlinedefenders.org/en/profile/marco-omizzolo

    • The Indian migrants lured into forced labor on Mussolini’s farmland

      Gurinder Dhillon still remembers the day he realized he had been tricked. It was 2009, and he had just taken out a $16,000 loan to start a new life. Originally from Punjab, India, Dhillon had met an agent in his home village who promised him the world.

      “He sold me this dream,” Dhillon, 45, said. A new life in Europe. Good money — enough to send back to his family in India. Clothes, a house, plenty of work. He’d work on a farm, picking fruits and vegetables, in a place called the Pontine Marshes, a vast area of farmland in the Lazio region, south of Rome, Italy.

      He took out a sizable loan from the Indian agents, who in return organized his visa, ticket and travel to Italy. The real cost of this is around $2,000 — the agents were making an enormous profit.

      “The thing is, when I got here, the whole situation changed. They played me,” Dhillon said. “They brought me here like a slave.”

      On his first day out in the fields, Dhillon climbed into a trailer with about 60 other people and was then dropped off in his assigned hoop house. That day, he was on the detail for zucchini, tomatoes and eggplant. It was June, and under the plastic, it was infernally hot. It felt like at least 100 degrees, Dhillon remembers. He sweated so much that his socks were soaked. He had to wring them out halfway through the day and then put them back on — there was no time to change his clothes. As they worked, an Italian boss yelled at them constantly to work faster and pick more.

      Within a few hours of that first shift, it dawned on Dhillon that he had been duped. “I didn’t think I had been tricked — I knew I had,” he said. This wasn’t the life or the work he had been promised.

      What he got instead was 3.40 euros (about $3.65) an hour, for a workday of up to 14 hours. The workers weren’t allowed bathroom breaks.

      On these wages, he couldn’t see how he would ever repay the enormous loan he had taken out. He was working alongside some other men, also from India, who had been there for years. ”Will it be like this forever?” he asked them. “Yes,” they said. “It will be like this forever.”

      Ninety years ago, a very different harvest was taking place. Benito Mussolini was celebrating the first successful wheat harvest of the Pontine Marshes. It was a new tradition for the area, which for millennia had been nothing but a vast, brackish, barely-inhabited swamp.

      No one managed to tame it — until Mussolini came to power and launched his “Battle for Grain.” The fascist leader had a dream for the area: It would provide food and sustenance for the whole country.

      Determined to make the country self-sufficient as a food producer, Mussolini spoke of “freeing Italy from the slavery of foreign bread” and promoted the virtues of rural land workers. At the center of his policy was a plan to transform wild, uncultivated areas into farmland. He created a national project to drain Italy’s swamps. And the boggy, mosquito-infested Pontine Marshes were his highest priority.

      His regime shipped in thousands of workers from all over Italy to drain the waterlogged land by building a massive system of pumps and canals. Billions of gallons of water were dredged from the marshes, transforming them into fertile farmland.

      The project bore real fruit in 1933. Thousands of black-shirted Fascists gathered to hear a brawny-armed, suntanned Mussolini mark the first wheat harvest of the Pontine Marshes.

      "The Italian people will have the necessary bread to live,” Il Duce told the crowd, declaring how Italy would never again be reliant on other countries for food. “Comrade farmers, the harvest begins.”

      The Pontine Marshes are still one of the most productive areas of Italy, an agricultural powerhouse with miles of plastic-covered hoop houses, growing fruit and vegetables by the ton. They are also home to herds of buffalo that make Italy’s famous buffalo mozzarella. The area provides food not just for Italy but for Europe and beyond. Jars of artichokes packed in oil, cans of Italian plum tomatoes and plump, ripe kiwi fruits often come from this part of the world. But Mussolini’s “comrade farmers” harvesting the land’s bounty are long gone. Tending the fields today are an estimated 30,000 agricultural workers like Dhillon, most hailing from Punjab, India. For many of them — and by U.N. standards — the working conditions are akin to slave labor.

      When Urmila Bhoola, the U.N. special rapporteur on contemporary slavery, visited the area, she found that many working conditions in Italy’s agricultural sector amounted to forced labor due to the amount of hours people work, the low salaries and the gangmasters, or “caporali,” who control them.

      The workers here are at the mercy of the caporali, who are the intermediaries between the farm workers and the owners. Some workers are brought here with residency and permits, while others are brought fully off the books. Regardless, they report making as little as 3-4 euros an hour. Sometimes, though, they’re barely paid at all. When Samrath, 34, arrived in Italy, he was not paid for three months of work on the farms. His boss claimed his pay had gone entirely into taxes — but when he checked with the government office, he found his taxes hadn’t been paid either.

      Samrath is not the worker’s real name. Some names in this story have been changed to protect the subjects’ safety.

      “I worked for him for all these months, and he didn’t pay me. Nothing. I worked for free for at least three months,” Samrath told me. “I felt so ashamed and sad. I cried so much.” He could hardly bring himself to tell his family at home what had happened.

      I met Samrath and several other workers on a Sunday on the marshes. For the Indian Sikh workers from Punjab, this is usually the only day off for the week. They all gather at the temple, where they pray together and share a meal of pakoras, vegetable curry and rice. The women sit on one side, the men on the other. It’s been a long working week — for the men, out in the fields or tending the buffaloes, while the women mostly work in the enormous packing centers, boxing up fruits and vegetables to be sent out all over Europe.

      Another worker, Ramneet, told me how he waited for his monthly check — usually around 1,300 euros (about $1,280) per month, for six days’ work a week at 12-14 hours per day. But when the check came, the number on it was just 125 euros (about $250).

      “We were just in shock,” Ramneet said. “We panicked — our monthly rent here is 600 euros.” His boss claimed, again, that the money had gone to taxes. It meant he had worked almost for free the entire month. Other workers explained to me that even when they did have papers, they could risk being pushed out of the system and becoming undocumented if their bosses refused to issue them payslips.

      Ramneet described how Italian workers on the farms are treated differently from Indian workers. Italian workers, he said, get to take an hour for lunch. Indian workers are called back after just 20 minutes — despite having their pay cut for their lunch hour.

      “When Meloni gives her speeches, she talks about getting more for the Italians,” Ramneet’s wife Ishleen said, referring to Italy’s new prime minister and her motto, “Italy and Italians first.” “She doesn’t care about us, even though we’re paying taxes. When we’re working, we can’t even take a five-minute pause, while the Italian workers can take an hour.”

      Today, Italy is entering a new era — or, some people argue, returning to an old one. In September, Italians voted in a new prime minister, Giorgia Meloni. As well as being the country’s first-ever female prime minister, she is also Italy’s most far-right leader since Mussolini. Her supporters — and even some leaders of her party, Brothers of Italy — show a distinct reverence for Mussolini’s National Fascist Party.

      In the first weeks of Meloni’s premiership, thousands of Mussolini admirers made a pilgrimage to Il Duce’s birthplace of Predappio to pay homage to the fascist leader, making the Roman salute and hailing Meloni as a leader who might resurrect the days of fascism. In Latina, the largest city in the marshes, locals interviewed by national newspapers talked of being excited about Meloni’s victory — filled with hopes that she might be true to her word and bring the area back to its glory days in the time of Benito Mussolini. One of Meloni’s undersecretaries has run a campaign calling for a park in Latina to return to its original name: Mussolini Park.

      During her campaign, a video emerged of Meloni discussing Mussolini as a 19-year-old activist. “I think Mussolini was a good politician. Everything he did, he did for Italy,” she told journalists. Meloni has since worked to distance herself from such associations with fascism. In December, she visited Rome’s Jewish ghetto as a way of acknowledging Mussolini’s crimes against humanity. “The racial laws were a disgrace,” she told the crowd.

      A century on from Italy’s fascist takeover, Meloni’s victory has led to a moment of widespread collective reckoning, as a national conversation takes place about how Mussolini should be remembered and whether Meloni’s premiership means Italy is reconnecting with its fascist past.

      Unlike in Germany, which tore down — and outlawed — symbols of Nazi terror, reminders of Mussolini’s rule remain all over Italy. There was no moment of national reckoning after the war ended and Mussolini was executed. Hundreds of fascist monuments and statues dot the country. Slogans left over from the dictatorship can be seen on post offices, municipal buildings and street signs. Collectively, when Italians discuss Mussolini, they do remember his legacy of terror — his alliance with Adolf Hitler, anti-Semitic race laws and the thousands of Italian Jews he sent to the death camps. But across the generations, Italians also talk about other legacies of his regime — they talk of the infrastructure and architecture built during the period and of how he drained the Pontine Marshes and rid them of malaria, making the land into an agricultural haven.

      Today in the Pontine Marshes, which some see as a place brought into existence by Il Duce — and where the slogans on one town tower praise “the land that Mussolini redeemed from deadly sterility” — the past is bristling with the present.

      “The legend that has come back to haunt this town, again and again, is that it’s a fascist city. Of course, it was created in the fascist era, but here we’re not fascists — we’re dismissed as fascists and politically sidelined as a result,” Emilio Andreoli, an author who was born in Latina and has written books about the city’s history, said. Politicians used to target the area as a key campaigning territory, he said, but it has since fallen off most leaders’ agendas. And indeed, in some ways, Latina is a place that feels forgotten. Although it remains a top agricultural producer, other kinds of industry and infrastructure have faltered. Factories that once bustled here lie empty. New, faster roads and railways that were promised to the city by previous governments never materialized.

      Meloni did visit Latina on her campaign trail and gave speeches about reinvigorating the area with its old strength. “This is a land where you can breathe patriotism. Where you breathe the fundamental and traditional values that we continue to defend — despite being considered politically incorrect,” she told the crowd.

      But the people working this land are entirely absent from Meloni’s rhetorical vision. Marco Omizzolo, a professor of sociology at the University of Sapienza in Rome, has for years studied and engaged with the largely Sikh community of laborers from India who work on the marshes.

      Omizzolo explained to me how agricultural production in Italy has systematically relied on the exploitation of migrant workers for decades.

      “Many people are in this,” he told me, when we met for coffee in Rome. “The owners of companies who employ the workers. The people who run the laborers’ daily work. Local and national politicians. Several mafia clans.”

      “Exploitation in the agricultural sector has been going on for centuries in Italy,” Giulia Tranchina, a researcher at Human Rights Watch focusing on migration, said. She described that the Italian peasantry was always exploited but that the system was further entrenched with the arrival of migrant workers. “The system has always treated migrants as manpower — as laborers to exploit, and never as persons carrying equal rights as Italian workers.” From where she’s sitting, Italy’s immigration laws appear to have been designed to leave migrants “dependent on the whims and the wills of their abusive employers,” Tranchina said.

      The system of bringing the workers to Italy — and keeping them there — begins in Punjab, India. Omizzolo described how a group of traffickers recruits prospective workers with promises of lucrative work abroad and often helps to arrange high-interest loans like the one that Gurinder took out. Omizzolo estimates that about a fifth of the Indian workers in the Pontine Marshes come via irregular routes, with some arriving from Libya, while many others are smuggled into Italy from Serbia across land and sea, aided by traffickers. Their situation is more perilous than those who arrived with visas and work permits, as they’re forced to work under the table without contracts, benefits or employment rights.

      Omizzolo knows it all firsthand. A Latina native, he grew up playing football by the vegetable and fruit fields and watching as migrant workers, first from North Africa, then from India, came to the area to work the land. He began studying the forces at play as a sociologist during his doctorate and even traveled undercover to Punjab to understand how workers are picked up and trafficked to Italy.

      As a scholar and advocate for stronger labor protections, he has drawn considerable attention to the exploitative systems that dominate the area. In 2016, he worked alongside Sikh laborers to organize a mass strike in Latina, in which 4,000 people participated. All this has made Omizzolo a target of local mafia forces, Indian traffickers and corrupt farm bosses. He has been surveilled and chased in the street and has had his car tires slashed. Death threats are nothing unusual. These days, he does not travel to Latina without police protection.

      The entire system could become even further entrenched — and more dangerous for anyone speaking out about it — under Meloni’s administration. The prime minister has an aggressively anti-migrant agenda, promising to stop people arriving on Italy’s shores in small boats. Her government has sent out a new fleet of patrol boats to the Libyan Coast Guard to try to block the crossings, while making it harder for NGOs to carry out rescue operations.

      At the end of February, at least 86 migrants drowned off the coast of Calabria in a shipwreck. When Meloni visited Calabria a few weeks later, she did not go to the beach where the migrants’ bodies were found or to the funeral home that took care of their remains. Instead, she announced a new policy: scrapping special protection residency permits for migrants.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      The idealistic image of the harvest was powerful propaganda at the time. Not shown were the workers, brought in from all over the country, who died of malaria while digging the trenches and canals to drain the marsh. It also stands in contrast to today’s reality. Workers are brought here from the other side of the world, on false pretenses, and find themselves trapped in a system with no escape from the brutal work schedule and the resulting physical and mental health risks. In October, a 24-year-old Punjabi farm worker in the town of Sabaudia killed himself. It’s not the first time a worker has died by suicide — depression and opioid addiction are common among the workforce.

      “We are all guilty, without exception. We have decided to lose this battle for democracy. Dear Jaspreet, forgive us. Or perhaps, better, haunt our consciences forever,” Omizzolo wrote on his Facebook page.

      Talwinder, 28, arrived on the marsh last year. “I had no hopes in India. I had no dreams, I had nothing. It is difficult here — in India, it was difficult in a different way. But at least [in India] I was working for myself.” His busiest months of the year are coming up — he’ll work without a day off. And although the mosquitoes no longer carry malaria, they still plague the workers. “They’re fatter than the ones in India,” he laughs. “I heard it’s because this place used to be a jungle.”

      Mussolini’s vision for the marsh was to turn it into an agricultural center for the whole of Italy, giving work to thousands of Italians and building up a strong working peasantry. Today, vegetables, olives and cheeses from the area are shipped to the United States and sold in upmarket stores to shoppers seeking authentic, artisan foods from the heart of the old world. But it comes at an enormous price to those who produce it. And under Meloni’s premiership, they only expect that cost to rise.

      “These days, if my family ask me if they should come here, like my nephew or relatives, I tell them no,” said Samrath. “Don’t come here. Stay where you are.”

      https://www.codastory.com/rewriting-history/indian-migrants-italy-pontine-marshes

  • #Brassens #anarchisme...

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    « Mort aux vaches ! Mort aux lois ! Vive l’anarchie ! » Brassens (1953)...

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    ★ SUR LA GRAND-MARE DES ANARS : BRASSENS ET L’ANARCHIE...

    « Brassens anarchiste, ça ressemble un peu à un pléonasme… C’est Ferré lui-même qui vous le dit ! Ferré, porte-étendard proclamé, et acclamé bien sûr, qui haranguait furieusement les foules à chaque refrain de « Ni dieu ni maître » … Ferré, pas vraiment du genre modeste par ailleurs, avait pourtant bel et bien trouvé son « non-maître » en la matière : « Si y’a un anarchiste, c’est lui, ça se sent dans tout ce qu’il fait. » Drôle d’anarchiste, pourtant, que cet oiseau-là…

    Contrairement au Léo rugissant, tonton Georges n’a pas grand-chose à voir avec le cliché de l’anar chevronné : ce genre de type qui poserait presque pour la photo, drapeau noir dans la main gauche, cocktail Molotov dans la droite, et puis slogan sur les lèvres, comme un bon Jupiter flanqué de ses attributs (...) »

    ▶️ Lire le texte complet…

    ▶️ https://www.socialisme-libertaire.fr/2021/09/sur-la-grand-mare-des-anars-brassens-et-l-anarchie.html

  • Das rote Tuch (Nr. 161, Januar 2023)
    http://www.bund-revolutionaerer-arbeiter.org

    pdf : http://www.bund-revolutionaerer-arbeiter.org/IMG/pdf/-139.pdf

    Leitartikel
    #Lützerath: Der Schutz der Profite – egal um welchen Preis
    Ihre Gesellschaft
    – Wenn selbst die Tafeln nichts mehr haben…
    #Borbet (Solingen): Proteste gegen die Werksschließung
    – Wohnen in der #Krise
    – Schule ohne Lehrer
    – Die Regierung belohnt die gefährliche Politik der Pharmakonzerne
    Internationales
    – Massive Aufrüstung: Eine Gefahr für alle Arbeitenden – weltweit
    #China: Arbeiter*innen in vielen Städten fordern ihren Lohn ein
    #Russland: Ein Ausdruck wachsender Kriegs-Ablehnung

    #Bund_Revolutionärer_Arbeiter (#BRA) #deutschland
    http://www.bund-revolutionaerer-arbeiter.org/spip.php?article29