• Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

    • L’ultimo kiwi. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      Il lavoro stagionale nel distretto frutticolo di Saluzzo, tradizionalmente, si chiude con la raccolta dei kiwi nella seconda metà di novembre. Sei mesi sono trascorsi da quando i mirtilli, colorandosi di blu, avevano dato avvio alla stagione 2023.

      In realtà la produzione locale è notevolmente diminuita negli ultimi anni a causa della batteriosi e della cosiddetta “morìa” che hanno falcidiato ettari di frutteti, poi sostituiti da mirtilli e mele invernali ma anche in relazione a scelte imprenditoriali che hanno portato alla delocalizzazione delle piantagioni, verso il distretto di Latina in particolare. La raccolta, quindi, si concentra in poche giornate dai ritmi di lavoro massacranti, una corsa contro il tempo per sfruttare le ore di luce giornaliera che vanno diminuendo e anticipare le gelate precoci nella pianura ai piedi del Monviso.

      “L’Italia, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro, è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo nel mondo dopo Cina e Nuova Zelanda. – informa una accurata inchiesta condotta da IRPI Media pubblicata a marzo di quest’anno – La prima regione del nostro paese dove si coltiva la “bacca verde” è il Lazio. Globalmente, un terzo di tutti i kiwi commerciati nella grande distribuzione viene dalla multinazionale Zespri. Nata in Nuova Zelanda, oggi è leader nel settore e presente in sei paesi. Dalla provincia di Latina, arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri (il 10,5%). Un mercato gigantesco, che solo in Italia conta quasi tremila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti.” 4

      Anche sugli scaffali dei supermercati saluzzesi le varietà di kiwi sono vendute quasi tutte con il marchio Zespri: Green Premium, origine Italia confezionato in Lombardia, Sun Gold origine Nuova Zelanda e Hayward origine Grecia confezionati chissà dove.

      Alcune aziende locali producono in provincia di Latina i loro kiwi a polpa gialla (i Sun Gold) di cui Zespri detiene il brevetto e l’esclusiva della commercializzazione.

      Un colosso a livello internazionale è il Gruppo Rivoira che controlla Kiwi Uno S.p.A. con sede a Verzuolo, pochi chilometri da Saluzzo: “Da sempre in stretta relazione con il Cile, oggi grazie all’integrazione tra produzione italiana e cilena, abbiamo modo di essere sui mercati europei e d’oltre mare per dodici mesi all’anno” si legge sul sito dell’azienda. Rivoira controlla, tra le altre, anche un’azienda con sede a Cisterna di Latina, la capitale del kiwi italico, che vanta 110 ettari coltivati a kiwi, varietà hi-tech che hanno conquistato una loro nicchia di mercato.

      Ma restiamo a Saluzzo… Nell’annata in cui i lavoratori delle campagne non hanno più fatto notizia, scomparsi dalle cronache locali e nazionali, non più oggetto di studi eruditi in relazione a presunte emergenze ma sempre ben presenti in carne, ossa e muscoli tra i filari a reggere l’economia di questo angolo benestante di nord-ovest, la stagione del lavoro bracciantile si è chiusa mestamente nell’aula di un tribunale. A Cuneo il 23 novembre scorso, infatti, si è svolta l’udienza preliminare del processo a carico del datore di lavoro di Moussa Dembele, maliano, deceduto a Revello il 10 luglio 2022.

      Moussa lavorava in nero (“senza regolare contratto” secondo la fredda dicitura burocratica) presso un’azienda agricola dedita all’allevamento dei bovini.

      L’allevamento di bovini e suini è l’altro grande business della provincia di Cuneo da cui deriva la coltivazione intensiva del mais che, insieme a frutteti e capannoni di cemento, domina il paesaggio della pianura saluzzese.

      Nel settore zootecnico le condizioni di lavoro riescono ad essere forse persino peggiori che in agricoltura. Così almeno sostengono alcuni ex-lavoratori, i quali, stando a quanto ci dicono, ricordano il mestiere con un certo orrore. «Se lo fai troppo a lungo», ci racconta Ousmane, «diventi un vitello anche tu! È massacrante, fisicamente ma soprattutto mentalmente: lavori tutti i giorni, a orario spezzato, da solo, nell’aria pesante che puzza di animale e di merda. Per una paga nemmeno buona devi completamente rinunciare a farti una tua vita personale, eppure il padrone non è mai, mai contento…» Nell’invisibilità garantita dalle stalle diffuse nel profondo della campagna industrializzata il rapporto di forza tra l’azienda e il dipendente, che spesso lavora individualmente, è tutto a favore della prima.

      Quella domenica Moussa trasportava pesanti vasche di plastica colme di mangime insilato per l’alimentazione delle mucche, riempite di volta in volta al cassone di un inquietante macchinario denominato “desilatore portato”, attrezzatura agricola attaccata alla forza motrice di un trattore. Nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Cuneo, tale attrezzatura viene definita “non idonea ai fini della sicurezza”, priva cioè delle necessarie protezioni, modificata per facilitare le operazioni.

      Giunto ormai al termine del lavoro affidatogli, il manovale si è sporto oltre la sponda del cassone per spingere con una scopa i resti dell’insilato verso la coclea, rimanendo incastrato e schiacciato da un componente del macchinario in funzione. Questa la ricostruzione ufficiale. Moussa è deceduto per “arresto cardiorespiratorio a causa di shock midollare e ipovolemico”, in pratica è morto sul colpo con l’osso del collo fracassato nell’impatto.

      La storia di Moussa è simile a quella di tanti lavoratori e lavoratrici delle campagne, che accettano di lavorare in nero perché non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno alternative oppure per integrare i contratti a chiamata che non garantiscono un salario sufficiente per sé e per poter aiutare le proprie famiglie nei paesi d’origine.

      «Si trovava in Italia dal 2013 e pare che lavorasse nell’azienda da circa sei mesi. Da più di un anno stava aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno… Oltre alla moglie e alle due figlie, Moussa ha lasciato il fratello Makan, di due anni più giovane, che vive a Gambasca e lavora per un’azienda agricola del paese. I due erano arrivati in Italia in momenti diversi. E’ stato lui ad accompagnare la salma in Mali». (L’eco del Chisone, agosto 2023)

      Alla notizia della morte di Moussa un pugno di braccianti aveva manifestato spontaneamente dolore e rabbia per le strade di Saluzzo.

      In generale si dice che a Saluzzo, “a differenza del Sud” – il Sud preso come termine di paragone sempre negativo, il Sud diverso e lontano, il Sud selvaggio e criminale, il Sud che nel Piemonte profondo non ha mai smesso di venire razzializzato – il lavoro nero in agricoltura sia tutto sommato poco diffuso, un’eccezione e non la regola. Come abbiamo scritto qui, la cifra costitutiva degli attuali rapporti lavorativi locali è in effetti il lavoro ‘grigio’, cioè lavoro ‘nero a metà’ per dirla con un grande cantore del Meridione quale Pino Daniele. Tuttavia, a ben vedere, specialmente durante i picchi della raccolta, non sono affatto pochi i raccoglitori non contrattualizzati impiegati anche nel saluzzese.

      Abbiamo persino sentito dire che ci sono datori di lavoro che in quei momenti quando ci si gioca il raccolto di un anno intero, incuranti di un pericolo evidentemente non così temibile, cercano lavoratori disponibili a lavorare in nero, “perché per così pochi giorni, ma che senso ha fare un contratto?” Mera noia burocratica o cosciente risparmio sul costo del lavoro? Chissà, intanto il bracciante ha qualche giorno in meno per il calcolo della disoccupazione agricola e zero tutele dei propri diritti… Agli unici lavoratori che in un certo senso conviene, per il paradossale effetto della violenza strutturale sancita dalla legge Bossi-Fini, sono le persone, come Moussa, sprovviste di regolare permesso di soggiorno a causa delle estenuanti lungaggini burocratiche.

      Per una drammatica coincidenza, ma per chi conosce bene le condizioni di vita dei braccianti non è affatto una sorpresa, poco distante dal luogo del decesso di Moussa, nelle campagne di Revello, grosso comune agricolo dove lavorano centinaia di stagionali e di cui si parla spesso in quanto l’unico del distretto della frutta a non aver aderito al protocollo di accoglienza della Prefettura, nella primavera di quest’anno è morto Dahaba, 40 anni, anche lui maliano. Ma la notizia è passata praticamente sotto silenzio.

      L’uomo ha perso la vita la notte di Pasqua a causa delle esalazioni del monossido di carbonio: per riscaldarsi aveva acceso, nella sua stanza, un braciere ricavato da un secchio di metallo. Ad aprile fa ancora freddo da queste parti, i camini delle cascine fumano e le gelate notturne rischiano di compromettere i raccolti, è questa la preoccupazione maggiore.

      Dahaba era arrivato da Rosarno dove aveva raccolto le arance e si era appena recato in Questura a ritirare il suo permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, il documento che viene rilasciato quando il titolare di un permesso per lavoro subordinato ne richiede il rinnovo ma non ha, al momento, un contratto e delle buste paga da esibire. A Revello abitava in un alloggio messo a disposizione dal suo datore di lavoro, a quanto pare non riscaldato adeguatamente. Il martedì seguente il giorno di pasquetta, lo stesso datore di lavoro, non vedendolo arrivare, è andato a cercarlo e ha trovato il cadavere.

      L’uomo era poco conosciuto nella numerosa comunità maliana che vive nel saluzzese.

      L’episodio dovrebbe suscitare una riflessione seria sulle condizioni di vita dei braccianti africani, sul pendolarismo forzato nelle campagne d’Italia alla ricerca di un lavoro, sulla precarietà esistenziale estrema, sulla solitudine di un corpo senza vita rinvenuto solo perché non si è presentato sul posto di lavoro.

      Per non parlare del problema della casa o della tanto invocata accoglienza in azienda, in questi anni considerata la panacea di tutti i mali ma niente affatto sinonimo di dignitosa qualità di vita. L’accoglienza in cascina, anche quando fatta nel migliore dei modi – e non è certo sempre il caso – è infatti problematica sotto molteplici punti di vista: rappresenta un ulteriore ricatto per il lavoratore, il cui datore di lavoro e il padrone di casa sono la stessa persona; è un fattore di isolamento spaziale che ha forti ripercussioni sulla socialità; impedisce una chiara separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro; e molto altro. Nel peggiore dei casi, si può dire che rievochi l’organizzazione sociale totale della piantagione coloniale…

      Moussa e Dakar chiedono di non essere dimenticati, di non essere considerati soltanto le note stonate di una narrazione dei fatti appiattita sul paternalismo padronale, ossessionata dal decoro urbano e dalla qualità delle eccellenze del territorio agricolo circostante. La morte che spesso attende in agguato chi lavora, in campagna e altrove, non è una tragica fatalità ma l’espressione più estrema di una condizione di ‘normale’ sfruttamento, che sistematicamente, a gradi variabili, produce sofferenza e afflizioni, fisiche e mentali.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/lultimo-kiwi-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

      #kiwi #kiwis

  • Paderborn : les évêques négligents face aux abus cloués au pilori Maurice Page - cath.ch

    Dans la crypte de la cathédrale de Paderborn, en Rhénanie-du-Nord-Westphalie, est posé un panneau avec le texte suivant : « Les archevêques inhumés ici ont commis pendant leur mandat, du point de vue actuel, de graves erreurs dans leur gestion des abus sexuels. Trop souvent, ils ont fait passer la protection et la réputation de l’institution et des coupables avant la souffrance des personnes touchées ». Le texte a été formulé par le chapitre métropolitain et adopté par la représentation des victimes a expliqué l’archevêché, au site katholisch.de .

    Le porte-parole des associations de victimes, Reinhold Harnisch, a déclaré que les responsables de l’archevêché avaient « rapidement » approuvé cette proposition. Selon lui, il y a toujours des membres du clergé à Paderborn qui occultent la thématique des abus et ne veulent pas en parler. C’est aussi pour cette raison que les représentants des victimes avaient demandé un panneau explicatif.


    La crypte de la cathédrale de Paderborn dans laquelle sont ensevelis les évêques | DR

    Le signe d’un dialogue
    L’archevêché prévoit en outre d’apposer un code QR qui mènera à un site Internet encore en cours d’élaboration. « Ce site Internet présentera non seulement les manquements des deux anciens archevêques de Paderborn, mais aussi des informations sur leur vie et leur œuvre », a déclaré une porte-parole de l’évêché. En combinaison avec le panneau d’information, cette solution est le « signe d’un bon dialogue » et une « forme appropriée de confrontation avec les fautes commises ». 
    Depuis 2020, deux historiennes ont mené une enquête sur les abus commis de 1941 à 2002, sous les épiscopats de Mgr Lorenz Jaeger et Mgr Johannes Joachim Degenhardt. Un premier résultat intermédiaire atteste que les anciens archevêques ont commis de graves erreurs dans leur gestion des auteurs d’abus, en protégeant les accusés et en manquant de sollicitude envers les victimes.

    Faut-il punir les morts ?
    La décision de l’archidiocèse de désigner ainsi nommément des coupables à tous les visiteurs de la crypte n’a pas manqué de faire bondir d’indignation certaines personnes. « Pilate avait rédigé un écriteau qu’il fit placer sur la croix ; il était écrit : ‘Jésus le Nazaréen, roi des Juifs’. (Jn,19,20) Cette association m’est inévitablement venue à l’esprit lorsque j’ai lu avec horreur la décision de poser cette prétendue plaque d’abus », écrit ainsi Sœur Anna Mirijam Kaschner, secrétaire générale de la Conférence des évêques des pays nordiques.

    « Comme les évêques sont soustraits à la justice séculière par leur mort, il faut bien les « punir » ultérieurement d’une manière ou d’une autre »
    Sœur Anna Mirijam Kaschner

    Pour la religieuse originaire de Paderborn, une démarche de clarification est peut-être utile, « mais une clarification n’implique-t-elle pas que les personnes accusées puissent s’expliquer, prendre position et demander pardon ? Tout cela n’est malheureusement pas possible pour les deux cardinaux. Et comme ils se sont soustraits à la justice séculière par leur mort, il faut bien les ‘punir’ ultérieurement d’une manière ou d’une autre – même si c’est par une ‘plaque d’abus’. »

    Une question de foi
    « On peut toutefois se demander pourquoi, en bonne logique, on ne trouve pas de telles plaques de culpabilité sur chaque tombe d’un père de famille pédophile, de chaque violeur, de chaque enseignant qui battait ses élèves il y a 50 ans et sur chaque tombe d’une mère qui a avorté un ou plusieurs enfants ? » poursuit Sœur Anna Mirijam. Les cimetières deviendrait des forêts de panneaux d’accusation.

    Pour la religieuse, il y a fondamentalement une question de foi chrétienne : « Je crois en un Dieu juste, qui ne jugera pas seulement les vivants, mais aussi les morts. Ainsi, le panneau des abus dans la crypte de la cathédrale de Paderborn, sur la tombe des deux cardinaux, n’est finalement rien d’autre qu’un signe d’une profonde incrédulité selon laquelle Dieu n’est précisément pas juste et ne demandera pas de comptes aux deux cardinaux. » Sœur Anna Mirijam appelle dès lors l’archidiocèse, le chapitre cathédral et chaque visiteur à reprendre en mains cette question.

    Prisonnière d’une Église coupable
    Le porte-parole du conseil des victimes auprès de la Conférence des évêques allemands, Johannes Norpoth, a réagi avec « une horreur sans nom » au commentaire de Sœur Anna Mirijam Kaschner. Dans une lettre ouverte, il lui reproche « non seulement l’ignorance de la recherche en la matière, mais aussi le manque d’approche sensible aux traumatismes des personnes touchées. Dans son texte, elle exprime une attitude « qui a conduit notre Église exactement là où elle se trouve actuellement : dans une crise existentielle ».

    « Sœur Anna-Mirijam est prisonnière du système de pouvoir de cette Église constituée de manière absolutiste ».
    Johannes Norpoth

    En tant que victime, Johannes Norpoth se dit consterné par les comparaisons et les relativisations qui se trouvent dans l’argumentation. Selon lui, le lien entre avortement et abus sexuels sur des enfants est faux et ne tient pas compte de la complexité de ces questions.

    Il rappelle en outre que les reproches formulés à l’encontre des évêques décédés de Paderborn ne sont pas de vagues suppositions ou des accusations unilatérales de victimes, mais des constatations issues de l’enquête diocésaine.

    « Abstenez-vous de tenir des propos aussi dénués d’empathie et de sens »
    Johannes Norpoth reproche à la religieuse d’être prisonnière « du système de pouvoir de cette Église constituée de manière absolutiste ». Son horreur est d’autant plus grande quand il sait que la secrétaire générale des évêques nordiques participera au synode mondial cet automne avec un droit de vote, contrairement aux victimes de violences sexuelles.

    Le représentant des victimes met en garde Sœur Anna Mirijam contre la poursuite du « système du mensonge » au sein de « l’organisation coupable qu’est l’Eglise » et contre le mépris qu’elle témoigne ainsi aux milliers de victimes de violences sexuelles. « Si vous ne pouvez pas reconnaître et accepter tout cela, accordez-moi au moins une requête : à l’avenir, abstenez-vous de tenir des propos aussi dénués d’empathie et de sens », conclut-il.

    L’archevêché ne veut pas de polémique
    Contacté par katholisch.de , l’archevêché de Paderborn n’a pas souhaité s’exprimer sur la polémique. « En règle générale, l’archevêché ne répond pas aux lettres ouvertes, aux lettres de lecteurs ou aux commentaires. Chacun et chacune peut et doit exprimer son opinion. Il y a des points de vue différents », a expliqué la porte-parole.

    A l’occasion de la célébration des festivités de saint Liboire (évêque du Mans au IVe siècle) patron de la cathédrale de Paderborn, l’administrateur diocésain Mgr Michael Bredeck a reconnu, le 23 juillet 2023, que la mise en place d’un panneau d’information dans la crypte épiscopale était controversée. « Mais nous sommes convaincus qu’elle est un signe important de dialogue, et ce délibérément dans la crypte, lieu où l’histoire, le présent et l’avenir de notre archevêché se rejoignent ». (cath.ch/katholisch.de/mp)

    #Abus_sexuels #archevêque #Cathédrale #Paderborn #Allemagne #pouvoir #église_catholique #religion #QR #crimes_sexuels

    Source : https://www.cath.ch/newsf/paderborn-les-eveques-negligents-face-aux-abus-cloues-au-pilori

    • 44 millions d’euros de bénéfice pour le diocèse allemand de Paderborn

      L’archidiocèse allemand de Paderborn a clôturé ses comptes 2015 avec un bénéfice de 44,2 millions d’euros. Ce montant représente une augmentation d’environ 3 millions d’euros (9%) par rapport à l’année précédente, a indiqué le diocèse le 25 octobre 2016.

      Les rentrées de l’impôt ecclésiastique se sont montées à 396 millions d’euros en augmentation de 20 millions d’euros. Les revenus totaux de l’archidiocèse ont atteint 514 millions d’euros. Quant à la fortune, elle se monte à 4,16 milliards d’euros . L’archidiocèse de Paderborn est ainsi le deuxième plus riche d’Allemagne après Munich (6,26 milliards) et devant Cologne (3,52 milliards).
      . . . . .
      L’archidiocèse de Paderborn en Rhénanie du Nord-Westphalie compte 1,55 million de catholiques sur une population globale de 4,8 mios d’habitants pour un territoire de 14’745 km2. Il regroupe 703 paroisses dans lesquelles sont actifs 1’711 agents pastoraux dont 683 prêtres. Il compte 19 écoles et 498 jardins d’enfants. (cath.ch-apic/kna/mp)

      #richesse #argent #fric #impôt_ecclésiastique #argent

      Source : https://www.cath.ch/newsf/44-millions-deuros-de-benefice-diocese-allemand-de-paderborn

  • Vous voyez cette carte ?
    https://piaille.fr/@charles@akk.de-lacom.be/110808035782655614

    Elle représente le trafic maritime tel qu’il était il y a quelques minutes (source : marinetraffic.com).
    L’immense majorité de ces bateaux tourne aux fossiles.
    Et vous voyez les rouges ?
    Ils servent à transporter des carburants fossiles 🤷


    #climat

    #transport_maritime #carte #carburant #énergies_fossiles

  • #Cartographie. #Al-Zaatari, le #camp_de_réfugiés devenu la douzième ville de #Jordanie

    Il y a onze ans, près de la frontière syrienne, ce camp commençait à accueillir des réfugiés syriens. Aujourd’hui, il compte toujours plus de 80 000 habitants, dont près de 60 % ont moins de 18 ans. Voici le #plan de cette véritable ville, avec ses écoles et ses marchés. Un plan à retrouver dans notre hors-série “L’Atlas des migrations”, en vente chez votre marchand de journaux.

    https://www.courrierinternational.com/grand-format/cartographie-al-zaatari-le-camp-de-refugies-devenu-la-douziem

    #réfugiés #migrations #asile #villes #urban_refugees #camps_de_réfugiés #visualisation

    • Merci de signaler cette carte, presque parfait du point de vue de la terminologie en légende. Ça n’a plus de sens aujourd’hui de mentionner les « séparatistes », ils sont totalement intégrés dans les troupes russes et il y a en plus d’autres unités (Wagner, l’es bataillons tic toc tchétchènes, etc... le mot « Russes » ou « Troupes russes » suffirait amplement. « Villes contestées » n’est pas très approprié non plus, d’une part parce que les fronts urbains évoluent plus ou moins vite et les villes et villages passent d’un camp à l’autre et ne sont plus « contestés », et par ailleurs parce que le mot « contesté » induit que les deux parties en conflit sont aussi légitime l’une que l’autre, ce qui n’est bien sur pas le cas. Il vaudrait mieux mettre dans ce cas « âpres combats » ou quelque chose de ce genre. Dans son bouquin limite scandaleux, (Russie un vertige de puissance), Radvanyi n’a pas jugé utile (alors que j’en avais fait la demande) de changer la terminologie des cartes où les territoires envahit et occupés avec la brutalité et la cruauté que l’on sait sont mentionnés systématiquement comme « territoires contestés », et ce choix est loin d’être neutre (comme celui de représenter la Crimée d’une couleur différente de l’Ukraine, ou d’oublier de mentionner que les territoires envahit et occupés par les Russes sont selon le droit international des territoires ukrainiens, et pire sans doute bien que pas très cartographique, citer les propagandistes criminels du Kremlin genre Soloviov ou Simonian comme si c’était des points de vue pertinents et présentables). Sinon pour le reste de la carte, je me réjouis qu’une terminologie appropriée ait été adoptée (en particulier ne ne pas voir guerre"russo-ukrainienne" mais plutôt « invasion russe »)

    • Par contre rien à dire de l’OTAN, des occidentaux qui sont en guerre officielle contre la Russie ??? Ces gauchistes, antifas et autres qui ont soutenu les bombardements en Ukraine, contre la population de l’Est dite séparatiste, des milliers de morts et destructions en ne parlant pas UNE SEULE fois des ingérences graves de l’Occident, l’ OTAN ...L’hypocrisie de votre texte me donne la nausée ! Même jusqu’a mentir sur la nature fasciste, nazie du régime de l’actuelle Ukraine et ce depuis 2014 ; TORCH-LIT MARCH IN KIEV BY UKRAINE’S RIGHT-WING SVOBODA PARTY - BBC NEWS
      https://www.youtube.com/watch?v=tHhGEiwCHZE

      Continuez les gens se dégoutent des collabos du régime Otanien et des collabos de Bandera .

      .https://www.youtube.com/watch?v=5SBo0akeDMY

  • « Prévenir les cancers implique de taxer, limiter et surtout interdire des substances aussi pathogènes que rentables »

    Arrêter de fumer, réduire sa consommation d’alcool, manger plus équilibré… Pour prévenir les cancers, l’incitation à changer les comportements ne suffit pas. Elle doit s’accompagner d’une réglementation stricte et de la suppression des produits industriels cancérigènes, affirment, dans une tribune au « Monde », quatre spécialistes universitaires.

    A l’heure où Santé publique France et l’Institut national du cancer (INCa) révèlent que l’incidence des cancers a doublé en trente ans, la question se pose de savoir si ce gouvernement et ceux qui l’ont précédé ont conduit une politique préventive à la hauteur de ce problème majeur de santé publique.
    Parmi ces cancers, quatre sur dix sont évitables, autrement dit n’apparaîtraient pas si l’exposition aux facteurs de risque connus était prévenue, aux premiers rangs desquels le tabac, l’alcool et l’obésité, soit 153 000 nouveaux cas par an en France. L’exemple de la lutte antitabac illustre deux grandes stratégies préventives mises en œuvre : l’une visant à informer le public, et l’autre s’attaquant à l’agent cancérigène.
    Lutte contre le tabagisme, et lutte contre le tabac : quand les deux stratégies sont associées, des résultats tangibles sont observés. Les campagnes d’information, la loi Evin et les mesures qui ont suivi ont permis une réduction significative du tabagisme, même si aujourd’hui 12 millions de Français fument encore quotidiennement.

    Les limites de l’information
    Force est de constater qu’en matière de cancers évitables c’est surtout la première stratégie qui est le plus largement mobilisée par les pouvoirs publics. Arrêter de fumer, réduire sa consommation d’alcool, manger plus équilibré sont les messages les plus diffusés pour diminuer les trois principaux facteurs de risque identifiés à ce jour.
    On connaît pourtant les limites de cette approche. Quelle est la portée du message « bien manger, bien bouger » du ministère de la santé et de la prévention quand il s’inscrit en petites lettres au pied d’images publicitaires vantant les qualités gustatives d’aliments ultratransformés dont on sait qu’ils augmentent les risques d’obésité et de cancer ?
    Est-il vraiment surprenant de constater un doublement du nombre de personnes obèses en vingt-cinq ans quand les gouvernements successifs ont été aussi peu enclins à réglementer l’offre industrielle en aliments obésogènes ? Les consommateurs sont avertis, mais cela exonère-t-il les pouvoirs publics de leurs responsabilités ? On peut le craindre en entendant les propos tenus par le président de la République, déclarant le 4 février 2021 que « 40 % des cancers pourraient être évités par des comportements plus vertueux ».

    L’importance des cancers professionnels
    Aussi vertueux que vous soyez, comment éviterez-vous d’être exposés à la pollution de l’air, de l’eau et des sols à l’origine de 10 % des cancers en Europe ? Comment vous protégerez-vous contre la dissémination des perturbateurs endocriniens et des polluants organiques persistants ? Faut-il rappeler le niveau alarmant de contamination par des molécules chimiques indestructibles appelées polyfluoroalkylés (PFAS) – révélé le 23 février par Le Monde et le « Forever Pollution Project » –, dont certaines cancérigènes probables, avec près de 1 000 sites pollués répertoriés sur notre territoire ? Que dire de l’exposition généralisée des Français aux pesticides ?

    L’autre sujet occulté par l’appel aux qualités morales individuelles est celui des cancers professionnels. Plus de 11 % des salariés dont 34 % des ouvriers qualifiés sont exposés à au moins une substance reconnue comme cancérigène dans le cadre de leur travail. Environ 4 % des cancers seraient d’origine professionnelle, un chiffre certainement sous-estimé car la contribution de seulement un cinquième des cancérigènes certains a pu être étudiée par les épidémiologistes faute de données robustes.

    Les cancers professionnels constituent la première cause de mortalité due au travail en Europe. Serait-ce, là aussi, une question de vertu et de prévention individuelle ? Nous serions en droit d’attendre que les pouvoirs publics affirment par leurs arbitrages la primauté de la santé publique sur la profitabilité des industries chimique, phytosanitaire et agroalimentaire.

    L’environnement le grand impensé du plan cancer
    Or, l’histoire du combat contre le tabac, l’amiante ou le chlordécone a montré la puissance et l’efficacité des lobbies industriels pour fabriquer du doute sur la validité des données scientifiques et obtenir des gouvernements qu’ils repoussent l’interdiction des produits toxiques qu’ils commercialisent.
    Le cas des nitrites, ces additifs alimentaires utilisés en charcuterie et qui, selon une publication de 2018 de l’Organisation mondiale de la santé (OMS) provoqueraient chaque année en France 3 880 cancers du côlon et 500 cancers de l’estomac, est un exemple de plus d’un choix politique permissif aux intérêts économiques d’une filière industrielle. Il n’est, en effet, plus question de bannir ces composés comme le prévoyait la proposition de loi déposée en décembre 2021 par le député (MoDem) Richard Ramos, mais d’appeler les citoyens à limiter leur consommation de charcuterie tout en évoluant vers une baisse des doses maximales utilisables.

    L’un des objectifs prioritaires de la Stratégie décennale de lutte contre les cancers (2021-2030) dont s’est doté notre pays est de réduire de 60 000 cas le nombre de cancers évitables annuels d’ici à 2040. Pour atteindre ce but ambitieux, ce plan recense une série de dispositifs incitatifs pour favoriser les changements de comportement individuels, en priorité vis-à-vis du tabac, de l’alcool et des modes de vie obésogènes. Cependant, comme le soulignait une chronique de Stéphane Foucart dans Le Monde du 28 février 2021, « l’environnement est le grand impensé de ce plan cancer ».

    Classes sociales et cancer
    Car s’il existe bien des actions prévues pour agir sur les facteurs de risque environnementaux et les cancers professionnels, elles seront inefficaces si elles ne s’accompagnent pas d’une intervention résolue de la puissance publique à l’échelle nationale, mais aussi européenne, pour taxer, limiter et surtout interdire des substances qui sont aussi pathogènes que rentables.

    La lutte contre ce fléau passe aussi par la réduction des inégalités sociales de santé puisque le cancer tue deux à trois fois plus les ouvrières et les ouvriers que celles et ceux appartenant à des classes sociales plus favorisées.
    En matière de cancer, une politique de santé publique réellement responsable doit s’appuyer sur deux jambes pour être efficace : une politique préventive visant à informer la population et une politique de réglementation stricte et de suppression des produits industriels cancérigènes. C’est à cette aune que devra être mesurée la détermination du gouvernement à lutter contre les cancers évitables.

    Les signataires de la tribune : Marc Billaud, directeur de recherche, CNRS ; Marie Castets, chargée de recherche, Inserm, responsable de l’équipe « Mort cellulaire & Cancers pédiatriques » ; Pierre Sujobert, hématologue, professeur des universités et praticien hospitalier ; Alain Trautmann, directeur de recherche émérite en immunologie, CNRS.

    https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/07/29/prevenir-les-cancers-implique-de-taxer-limiter-et-surtout-interdire-des-subs

    #cancer #pathogènes #cancers_évitables #santé_publique #travail

  • [France travail is coming] Dans l’Yonne, les allocataires du RSA déjà soumis à la pression, Faïza Zerouala

    Ainsi Thomas assure-t-il ressentir une pression quasi quotidienne alors qu’il considère n’être pas le mieux outillé pour faire face au monde du #travail et ses exigences. Un simple exemple : personne ne semble tenir compte du fait que les entretiens auxquels il est si souvent convoqué se déroulent à plusieurs kilomètres de chez lui, alors qu’il ne possède ni permis de conduire ni voiture. En zone rurale, où les bus sont rares, impossible de faire sans.

    Le quadragénaire n’a pas les moyens de se payer un ticket de TER et se refuse à frauder, par peur d’être contrôlé. Il ne lui reste donc qu’à marcher sur le bord de la route en essayant de gratter quelques kilomètres en stop. Plusieurs fois, il a rempli des demandes d’aide pour passer le permis, mais son dossier n’a jamais été retenu.
    Depuis des années, l’homme enchaîne les missions en pointillé. Et sans parler de l’éloignement géographique, cela se passe parfois mal : une de ces missions s’est arrêtée au bout de quelques jours : « Quand je suis revenu dans l’entreprise, ils avaient embauché quelqu’un d’autre à ma place, sans prévenir ! »

    Quant à Julie, depuis la perte de son emploi, personne ne lui a proposé de poste en rapport avec son importante expérience professionnelle. Le conseiller qui la suit lui a proposé de devenir aide à domicile, mais elle n’en a ni l’envie, ni, estime-t-elle, les compétences. Le conseil départemental lui a aussi demandé de suivre des formations de métiers administratifs, elle qui a travaillé plus de vingt ans dans le secteur. Julie en soupire encore.
    L’automne dernier, la jeune femme s’est rendu compte sur Internet que son allocation était notée comme suspendue, en rouge. Elle s’est rapprochée de la #CAF, qui lui a expliqué qu’elle était privée de RSA pour deux mois car elle n’avait pas répondu à un contrôle de situation. « J’ai donc été suspendue de mes droits, sans qu’on me prévienne par mail ou par un coup de téléphone », souligne-t-elle. Un courrier papier lui avait été envoyé un mois et demi plus tôt. Or sans domicile fixe, difficile pour Julie de recevoir du courrier…
    Elle garde un souvenir cuisant de son échange téléphonique avec l’agent·e de la CAF : « La personne m’a dit : “C’est la seule façon de vous faire bouger, dès qu’on vous coupe les vivres, vous vous manifestez !” On dirait qu’on est vraiment des numéros, des objets. »
    Ses problèmes ne se sont pas arrêtés là. Elle a aussi été convoquée pour une audience par le #département, au motif qu’elle n’avait pas établi de projet personnalisé pour retrouver un emploi, comme la loi l’impose. Selon son récit, l’entretien avec plusieurs interlocuteurs s’est mal passé. « Personne ne m’avait rien expliqué, mais ils cherchent la faille, ils cherchent à culpabiliser. Vous avez un devoir, mais aucun droit, en gros. C’est ça, le message. Le plus dur, c’était de ne pas répondre et de rester zen. »

    Il aurait aussi été demandé [par MJ consulting qui sous traite le suivi pour le compte du département] à Thomas d’être joignable par téléphone « 24 heures sur 24 », sous peine de voir son allocation suspendue. Mais l’homme a parfois des soucis de connexion à cause d’un réseau capricieux. Réponse du consultant : « Ce n’est pas possible au XXIe siècle. »
    https://www.mediapart.fr/journal/france/300723/dans-l-yonne-les-allocataires-du-rsa-deja-soumis-la-pression
    https://justpaste.it/dfhv0

    #Yonne #MJ_Consulting #RSA #métiers_en_tension #coupure_de_revenu #revenu

  • ★ Gestion verte pour petits bourgeois éclairés - OCL - Organisation Communiste Libertaire

    Si, comme on l’entend souvent dire, avoir été maire d’une grande ville est un atout important pour postuler à un destin national en ce que cet exercice confère à l’impétrant à la magistrature suprême une expérience importante qui lui servira de boussole et de modèle, alors il n’est pas inutile de faire un tour dans la gestion municipale des nouveaux élus Vert de quelques cités d’importance pour avoir une idée de la sauce à laquelle nous allons être mangés si, par inadvertance, l’une ou l’un d’entre eux était élu au sommet de l’État (...)

    #écologie #capitalisme #anarchisme #anticapitalisme #antiétatisme...

    ⏩ Lire l’article complet…

    ▶️ https://oclibertaire.lautre.net/spip.php?article2927

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  • Le retour du travail des enfants est le dernier signe du déclin des Etats-Unis Steve Fraser

    En 1906, un vieux chef amérindien visitait New York pour la première fois. Il était curieux de la ville et la ville était intéressée à lui. Un journaliste d’un magazine demande au chef amérindien ce qui l’a le plus surpris dans ses déplacements en ville. « Les petits enfants qui travaillent », répondit le visiteur.

    Le travail des enfants aurait pu choquer cet étranger, mais il n’était que trop banal à l’époque dans les Etats-Unis urbains et industriels (et dans les fermes où il était habituel depuis fort longtemps). Plus récemment, cependant, il est devenu beaucoup plus rare. La loi et la pratique l’ont presque fait disparaître, supposent la plupart d’entre nous. Et notre réaction face à sa réapparition pourrait ressembler à celle de ce chef : choc, incrédulité.


    Mais nous ferions mieux de nous y habituer, car le travail des enfants revient en force. Un nombre impressionnant d’élus entreprennent des efforts concertés ( The New Yorker , « Child Labor is on the Rise », 4 juin 2023 sur le site) pour affaiblir ou abroger les lois qui ont longtemps empêché (ou du moins sérieusement freiné) la possibilité d’exploiter les enfants.

    Reprenez votre souffle et considérez ceci : le nombre d’enfants au travail aux Etats-Unis a augmenté de 37% entre 2015 et 2022. Au cours des deux dernières années, 14 États ont introduit ou promulgué des lois annulant les réglementations qui régissaient le nombre d’heures pendant lesquelles les enfants pouvaient être employés, réduisaient les restrictions sur les travaux dangereux et légalisaient les salaires minimums pour les jeunes.

    L’État de l’Iowa autorise désormais les jeunes de 14 ans à travailler dans des blanchisseries industrielles. A l’âge de 16 ans, ils peuvent occuper des emplois dans les domaines de la toiture, de la construction, de l’excavation et de la démolition et peuvent utiliser des machines à moteur. Les jeunes de 14 ans peuvent même travailler de nuit et, dès l’âge de 15 ans, ils peuvent travailler sur des chaînes de montage. Tout cela était bien sûr interdit il n’y a pas si longtemps.
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    Les élus donnent des justifications absurdes à ces entorses à des pratiques établies de longue date. Le travail, nous disent-ils, éloignera les enfants de leur ordinateur, de leurs jeux vidéo ou de la télévision. Ou encore, il privera le gouvernement du pouvoir de dicter ce que les enfants peuvent ou ne peuvent pas faire, laissant aux parents le contrôle – une affirmation déjà transformée en fantasme par les efforts visant à supprimer la législation sociale protectrice et à permettre aux enfants de 14 ans de travailler sans autorisation parentale formelle.

    En 2014, l’Institut Cato, un groupe de réflexion de droite, a publié « A Case Against Child Labor Prohibitions » (Un cas contre les interdictions du travail des enfants), arguant que de telles lois étouffaient les perspectives pour l’avenir des enfants pauvres, et en particulier les enfants noirs. La Foundation for Government Accountability (Fondation pour l’obligation du gouvernement de rendre des comptes), un groupe de réflexion financé par une série de riches donateurs conservateurs, dont la famille DeVos [Betsy DeVos, secrétaire d’Etat à l’Education sous l’administration Trump], a été le fer de lance des efforts visant à affaiblir les lois sur le travail des enfants, et Americans for Prosperity, la fondation milliardaire des frères Koch [très engagés dans les investissements pétroliers], s’est jointe à eux.

    Ces attaques ne se limitent pas aux États rouges (républicains) comme l’Iowa ou ceux du Sud. La Californie, le Maine, le Michigan, le Minnesota et le New Hampshire, ainsi que la Géorgie et l’Ohio, ont également été l’objet d’interventions dans ce sens. Au cours des années de pandémie, même le New Jersey a adopté une loi, augmentant temporairement les heures de travail autorisées pour les jeunes de 16 à 18 ans.


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    La vérité toute crue est que le travail des enfants est rentable et qu’il est en train de devenir remarquablement omniprésent. C’est un secret de Polichinelle que les chaînes de restauration rapide emploient des mineurs depuis des années et considèrent simplement les amendes occasionnelles comme faisant partie du coût de fonctionnement. Dans le Kentucky, des enfants d’à peine 10 ans ont travaillé dans de tels centres de restauration et d’autres, plus âgés, ont dépassé les limites horaires prescrites par la loi. En Floride et au Tennessee, les couvreurs peuvent désormais avoir 12 ans.

    Récemment, le Département du Travail a découvert plus de 100 enfants âgés de 13 à 17 ans travaillant dans des usines de conditionnement de viande et des abattoirs du Minnesota et du Nebraska. Et il ne s’agissait pas d’opérations véreuses. Des entreprises comme Tyson Foods et Packer Sanitation Services – qui appartient au fonds d’investissement BlackRock, la plus grande société de gestion d’actifs au monde [voir l’article sur ces fonds publié sur ce site le 7 juillet 2023] – figuraient également sur la liste.

    A ce stade, la quasi-totalité de l’économie est remarquablement ouverte au travail des enfants. Les usines de vêtements et les fabricants de pièces automobiles (qui fournissent Ford et General Motors) emploient des enfants immigrés, parfois pendant des journées de travail de 12 heures. Nombre d’entre eux sont contraints d’abandonner l’école pour ne pas être pénalisés. De la même manière, les chaînes d’approvisionnement de Hyundai et de Kia dépendent des enfants qui travaillent en Alabama.

    Comme l’a rapporté le New York Times en février dernier (« Alone and Exploited, Migrant Children Work Brutal Jobs Across the U.S. » par Hannah Dreier, 25 février 2023) – contribuant à faire connaître le nouveau marché du travail des enfants – des enfants mineurs, en particulier des migrants, travaillent dans des usines d’emballage de céréales et des usines de transformation alimentaire. Dans le Vermont, des « illégaux » (parce qu’ils sont trop jeunes pour travailler) font fonctionner des machines à traire. Certains enfants participent à la confection de chemises J. Crew [grande firme de prêt-à-porter] à Los Angeles, préparent des petits pains pour Walmart [le plus grand distributeur des Etats-Unis] ou travaillent à la production de chaussettes Fruit of the Loom [firme très connue]. Le danger guette. Les Etats-Unis sont un environnement de travail notoirement dangereux et le taux d’accidents chez les enfants travailleurs est particulièrement élevé, avec un inventaire effrayant de colonnes vertébrales brisées, d’amputations, d’empoisonnements et de brûlures défigurantes.

    La journaliste Hannah Dreier a parlé d’une « nouvelle économie de l’exploitation », en particulier lorsqu’il s’agit d’enfants migrants. Un instituteur de Grand Rapids, dans le Michigan, observant la même situation difficile, a fait la remarque suivante : « Vous prenez des enfants d’un autre pays et vous les mettez presque en servitude industrielle. »

    Il y a longtemps, aujourd’hui
    Aujourd’hui, nous pouvons être aussi stupéfaits par ce spectacle déplorable que l’était ce chef amérindien au tournant du XXe siècle. Nos ancêtres, eux, ne l’auraient pas été. Pour eux, le travail des enfants allait de soi.

    En outre, les membres des classes supérieures britanniques qui n’étaient pas obligés de travailler dur ont longtemps considéré le travail comme un tonique spirituel capable de réfréner les impulsions indisciplinées des classes inférieures. Une loi élisabéthaine de 1575 prévoyait l’affectation de fonds publics à l’emploi d’enfants en tant que « prophylaxie contre les vagabonds et les indigents ».

    Au XVIIe siècle, le philosophe John Locke [1632-1704, auteur de l’ Essai sur l’entendement humain , un des principaux acteurs de la Royal African Company, pilier de la traite négrière], alors célèbre « défenseur de la liberté », soutenait que les enfants de trois ans devaient être inclus dans la force de travail. Daniel Defoe, auteur de Robinson Crusoé , se réjouissait que « les enfants de quatre ou cinq ans puissent tous gagner leur propre pain ». Plus tard, Jeremy Bentham [1748-1832, précurseur du libéralisme], le père de l’utilitarisme, optera pour quatre ans, car sinon, la société souffrirait de la perte de « précieuses années pendant lesquelles rien n’est fait ! Rien pour l’industrie ! Rien pour l’amélioration, morale ou intellectuelle. »

    Le rapport sur l’industrie manufacturière publié en 1791 par le « père fondateur » états-unien Alexander Hamilton [1757-1804, secrétaire au Trésor de 1789 à 1795] notait que les enfants « qui seraient autrement oisifs » pourraient au contraire devenir une source de main-d’œuvre bon marché. L’affirmation selon laquelle le travail à un âge précoce éloigne les dangers sociaux de « l’oisiveté et de la dégénérescence » est restée une constante de l’idéologie des élites jusqu’à l’ère moderne. De toute évidence, c’est encore le cas aujourd’hui.


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    Lorsque l’industrialisation a effectivement commencé au cours de la première moitié du XIXe siècle, les observateurs ont noté que le travail dans les nouvelles usines (en particulier les usines textiles) était « mieux fait par les petites filles de 6 à 12 ans ». En 1820, les enfants représentaient 40% des travailleurs des usines dans trois Etats de la Nouvelle-Angleterre. La même année, les enfants de moins de 15 ans représentaient 23% de la main-d’œuvre manufacturière et jusqu’à 50% de la production de textiles de coton (« Child Labor in the United States », Robert Whaples, Wake Forest University).

    Et ces chiffres ne feront qu’augmenter après la guerre de Sécession [1861-1865]. En fait, les enfants d’anciens esclaves ont été ré-esclavagisés par le biais d’accords d’apprentissage très contraignants. Pendant ce temps, à New York et dans d’autres centres urbains, les padroni italiens ont accéléré l’exploitation des enfants immigrés tout en les traitant avec brutalité. Même le New York Times s’est offusqué : « Le monde a renoncé à voler des hommes sur les côtes africaines pour kidnapper des enfants en Italie. »

    Entre 1890 et 1910, 18% des enfants âgés de 10 à 15 ans, soit environ deux millions de jeunes, ont travaillé, souvent 12 heures par jour, six jours par semaine.Leurs emplois couvraient le front de mer – trop littéralement puisque, sous la supervision des padroni , des milliers d’enfants écaillaient les huîtres et ramassaient les crevettes. Les enfants étaient également des crieurs de rue et des vendeurs de journaux. Ils travaillaient dans des bureaux et des usines, des banques et des maisons closes. Ils étaient « casseurs » et « ouvreurs de portes en bois permettant l’accès d’air » dans les mines de charbon mal ventilées, des emplois particulièrement dangereux et insalubres. En 1900, sur les 100 000 ouvriers des usines textiles du Sud, 20 000 avaient moins de 12 ans.

    Les orphelins des villes sont envoyés travailler dans les verreries du Midwest. Des milliers d’enfants sont restés à la maison et ont aidé leur famille à confectionner des vêtements pour des ateliers clandestins. D’autres emballent des fleurs dans des tentes mal ventilées. Un enfant de sept ans expliquait : « Je préfère l’école à la maison. Je n’aime pas la maison. Il y a trop de fleurs. » A la ferme, la situation n’est pas moins sombre : des enfants de trois ans travaillent à décortiquer des baies.

    Dans la famille
    Il est clair que, jusqu’au XXe siècle, le capitalisme industriel dépendait de l’exploitation des enfants, moins chers à employer, moins capables de résister et, jusqu’à l’avènement de technologies plus sophistiquées, bien adaptés aux machines relativement simples en place à l’époque.


    En outre, l’autorité exercée par le patron était conforme aux principes patriarcaux de l’époque, que ce soit au sein de la famille ou même dans les plus grandes des nouvelles entreprises industrielles de l’époque, détenues en grande majorité par des familles, comme les aciéries d’Andrew Carnegie. Ce capitalisme familial a donné naissance à une alliance perverse entre patron et sous-traitants qui a transformé les enfants en travailleurs salariés miniatures.

    Pendant ce temps, les familles de la classe ouvrière étaient si gravement exploitées qu’elles avaient désespérément besoin des revenus de leurs enfants. En conséquence, à Philadelphie, au tournant du siècle, le travail des enfants représentait entre 28% et 33% du revenu des familles biparentales nées dans le pays Monthly Labor Review, « History of child labor in the United States—part 1 : little children working », January 2017) . Pour les immigrés irlandais et allemands, les chiffres étaient respectivement de 46% et 35%. Il n’est donc pas surprenant que les parents de la classe ouvrière se soient souvent opposés aux propositions de lois sur le travail des enfants. Comme l’a noté Karl Marx, le travailleur n’étant plus en mesure de subvenir à ses besoins, « il vend maintenant sa femme et son enfant, il devient un marchand d’esclaves ».

    Néanmoins, la résistance commence à s’organiser. Le sociologue et photographe Lewis Hine a scandalisé le pays avec des photos déchirantes d’enfants travaillant dans les usines et dans les mines. (Il put accéder à à ces lieux de travail en prétendant qu’il était un vendeur de bibles.) Mother Jones [1837-1930], la militante syndicaliste, a mené une « croisade des enfants » en 1903 au nom des 46 000 ouvriers du textile en grève à Philadelphie. Deux cents délégués des enfants travailleurs se sont rendus à la résidence du président Teddy Roosevelt [1901-1909] à Oyster Bay, Long Island, pour protester, mais le président s’est contenté de renvoyer la balle, affirmant que le travail des enfants relevait de la compétence des Etats et non de celle du gouvernement fédéral.

    Ici et là, des enfants tentent de s’enfuir. En réaction, les propriétaires ont commencé à entourer leurs usines de barbelés ou à faire travailler les enfants la nuit, lorsque leur peur de l’obscurité pouvait les empêcher de s’enfuir. Certaines des 146 femmes qui ont péri dans le tristement célèbre incendie de la Triangle Shirtwaist Factory en 1911 dans le Greenwich Village de Manhattan – les propriétaires de cette usine de confection avaient verrouillé les portes, obligeant les ouvrières prises au piège à sauter vers la mort depuis les fenêtres des étages supérieurs – n’avaient pas plus de 15 ans. Cette tragédie n’a fait que renforcer la colère grandissante à l’égard du travail des enfants.
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    Un comité national sur le travail des enfants a été créé en 1904. Pendant des années, il a fait pression sur les Etats pour qu’ils interdisent, ou du moins limitent, le travail des enfants. Les victoires, cependant, étaient souvent à la Pyrrhus, car les lois promulguées étaient invariablement faibles, comportaient des dizaines d’exemptions et étaient mal appliquées. Finalement, en 1916, une loi fédérale a été adoptée qui interdisait le travail des enfants partout. En 1918, cependant, la Cour suprême l’a déclarée inconstitutionnelle.

    En fait, ce n’est que dans les années 1930, après la Grande Dépression, que les conditions ont commencé à s’améliorer. Compte tenu de la dévastation économique, on pourrait supposer que la main-d’œuvre enfantine bon marché aurait été très prisée. Cependant, face à la pénurie d’emplois, les adultes, et en particulier les hommes, ont pris le dessus et ont commencé à effectuer des tâches autrefois réservées aux enfants. Au cours de ces mêmes années, le travail industriel a commencé à incorporer des machines de plus en plus complexes qui s’avéraient trop difficiles pour les jeunes enfants. Dans le même temps, l’âge de la scolarité obligatoire ne cessait de s’élever, limitant encore davantage le nombre d’enfants travailleurs disponibles.
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    Plus important encore, l’air du temps a changé. Le mouvement ouvrier insurrectionnel des années 1930 détestait l’idée même du travail des enfants. Les usines syndiquées et les industries entières étaient des zones interdites aux capitalistes qui cherchaient à exploiter les enfants. En 1938, avec le soutien des syndicats, l’administration du New Deal du président Franklin Roosevelt a finalement adopté la Fair Labor Standards Act qui, du moins en théorie, a mis fin au travail des enfants (bien qu’elle ait exempté le secteur agricole dans lequel ce type de main-d’œuvre restait courant).

    En outre, le New Deal de Roosevelt a transformé les mentalités à l’échelle du pays. Un sentiment d’égalitarisme économique, un nouveau respect pour la classe ouvrière et une méfiance sans bornes à l’égard de la caste des entreprises ont rendu le travail des enfants particulièrement répugnant. En outre, le New Deal a inauguré une longue ère de prospérité, avec notamment l’amélioration du niveau de vie de millions de travailleurs et travailleuses qui n’avaient plus besoin du travail de leurs enfants pour joindre les deux bouts.

    Retour vers le passé
    Il est d’autant plus étonnant de découvrir qu’un fléau, que l’on croyait banni, revit. Le capitalisme états-unien est un système internationalisé, ses réseaux s’étendent pratiquement partout. Aujourd’hui, on estime à 152 millions le nombre d’enfants au travail dans le monde. Bien sûr, tous ne sont pas employés directement ou même indirectement par des entreprises états-uniennes. Mais ces millions devraient certainement nous rappeler à quel point le capitalisme est redevenu profondément rétrograde, tant chez nous qu’ailleurs sur la planète.

    Les vantardises sur la puissance et la richesse de l’économie des Etats-Unis font partie du système de croyances et de la rhétorique des élites. Cependant, l’espérance de vie aux Etats-Unis, mesure fondamentale de la régression sociale, ne cesse de diminuer depuis des années. Les soins de santé sont non seulement inabordables pour des millions de personnes, mais leur qualité est devenue au mieux médiocre si l’on n’appartient pas au 1% supérieur. De même, les infrastructures du pays sont depuis longtemps en déclin, en raison de leur âge et de décennies de négligence.

    Il faut donc considérer les Etats-Unis comme un pays « développé » en proie au sous-développement et, dans ce contexte, le retour du travail des enfants est profondément symptomatique. Même avant la grande récession qui a suivi la crise financière de 2008, le niveau de vie avait baissé, en particulier pour des millions de travailleurs mis à mal par un tsunami de désindustrialisation qui a duré des décennies. Cette récession, qui a officiellement duré jusqu’en 2011, n’a fait qu’aggraver la situation. Elle a exercé une pression supplémentaire sur les coûts de la main-d’œuvre, tandis que le travail devenait de plus en plus précaire, de plus en plus dépourvu d’avantages sociaux et non syndiqué. Dans ces conditions, pourquoi ne pas se tourner vers une autre source de main-d’œuvre bon marché : les enfants ?

    Les plus vulnérables d’entre eux viennent de l’étranger, des migrants du Sud, fuyant des économies défaillantes souvent liées à l’exploitation et à la domination économiques états-uniennes. Si ce pays connaît aujourd’hui une crise frontalière – et c’est le cas – ses origines se trouvent de ce côté-ci de la frontière [et non pas avant tout en Amérique centrale ou au Mexique].

    La pandémie de Covid-19 de 2020-2022 a créé une brève pénurie de main-d’œuvre, qui est devenue un prétexte pour remettre les enfants au travail (même si le retour du travail des enfants est en fait antérieur à la pandémie). Il faut considérer ces enfants travailleurs au XXIe siècle comme un signe distinct de la pathologie sociale présente. Les Etats-Unis peuvent encore tyranniser certaines parties du monde, tout en faisant sans cesse étalage de leur puissance militaire. Mais chez eux, ils sont malades.

    #capitalisme #profits #travail des #enfants #exploitation #usa #Etats-Unis #élites #esclavage #ouvrières #ouvriers #migrants #Lewis_Hine

    Source originale : Tom Dispatch https://tomdispatch.com/caution-children-at-work
    Traduit de l’anglais par A l’encontre https://alencontre.org/ameriques/americnord/usa/le-retour-du-travail-des-enfants-est-le-dernier-signe-du-declin-des-etat

  • Lecture d’un extrait du livre « Sucre, journal d’une recherche » de Dorothée Elmiger (traduction de l’allemand par Marina Skalova et Camille Luscher), paru aux Éditions Zoé, en 2023.

    https://liminaire.fr/radio-marelle/article/sucre-journal-d-une-recherche-de-dorothee-elmiger

    Dorothee Elmiger compose son récit par petits bouts sous la forme d’un journal de recherche d’une obsession, celle du sucre. Ces fragments provenant de différentes sources (citations, observations, réflexions, rêves, fiction biographique et faits historiques) sont agencés dans un apparent désordre, suivant un long cheminement de pensée et d’enquête, et selon des points de vue variés qui explorent le sujet sans jamais l’aborder frontalement, en se focalisant sur ce qu’il évoque ou provoque.

    (...) #Radio_Marelle, #Écriture, #Langage, #Livre, #Lecture, #En_lisant_en_écrivant, #Podcast, #Histoire, #Désir, #Colonisation, #Capitalisme, #Sucre (...)

    https://liminaire.fr/IMG/mp4/en_lisant_le_sucre_dorothe_e_elmiger.mp4

    http://www.editionszoe.ch/livre/sucre-journal-d-une-recherche

  • Indopacifique : l’impérialisme français manœuvre
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/07/26/indopacifique-limperialisme-francais-manoeuvre_725787.html

    Le 24 juillet, Macron a atterri en Nouvelle-Calédonie, première étape d’une tournée qui devait l’emmener au Vanuatu et en Papouasie-Nouvelle-Guinée, une tournée qualifiée d’ historique dans cette région du monde appelée maintenant #Indopacifique.

    La présence dans cette région est devenue une priorité stratégique de l’État français. Alors que la tension monte entre les #États-Unis et la #Chine, que les uns et les autres cherchent à enrôler les pays de la région dans des alliances économiques et militaires, l’impérialisme de second rang qu’est la France veut pouvoir jouer son propre jeu. En s’appuyant sur ses #colonies du #Pacifique, en particulier la Nouvelle-Calédonie et la #Polynésie, il se présente comme un acteur régional et une « puissance d’équilibre », à distance des États-Unis et de la Chine.

    Cette posture lui permet d’avoir l’oreille de certains États, comme l’Inde et l’Indonésie, qui ne veulent pas apparaître comme trop inféodés aux États-Unis, ce qui met les Dassault et autres Thales en bonne position pour vendre leurs armes. Ainsi Macron a reçu à l’Élysée le 14 juillet le président indien Modi au moment où son pays annonçait l’achat de 26 Rafale. De son côté, l’#Indonésie a acheté en 2022 des Mirage d’occasion, tout en s’engageant pour 42 Rafale. Au-delà des ventes d’armes, la possession de ces #territoires_d’Outre-mer permet à la France de s’intégrer à différents traités et forums du Pacifique, et d’obliger les États-Unis à lui faire une petite place dans leurs manœuvres militaires et diplomatiques.

    La #Nouvelle-Calédonie est donc pour l’#impérialisme français une pièce majeure. Outre les abondantes réserves de #nickel et sa vaste zone maritime, elle abrite une base militaire sur la route commerciale à destination de l’Australie et de la Nouvelle-Zélande, d’où partent les navires et avions militaires qui participent aux opérations conjointes avec les États-Unis. Ainsi celles du 19 juillet sur l’#île_de_Guam, baptisées #Elephant_Walk, ont rassemblé États-Unis, #Royaume-Uni, Canada, Australie, Japon et France.

    Il n’est donc pas dans les intentions de l’État français de relâcher ses liens avec ce qui lui reste de colonies. La présence de #Sonia_Backès, anti-indépendantiste caldoche, présidente de la province Sud, la plus riche de l’archipel, au gouvernement de Macron comme secrétaire d’État à la Citoyenneté, est plus qu’un symbole. Mardi 25 juillet, plusieurs dizaines de militants #kanaks se sont rassemblés pour dénoncer la colonisation de leur archipel et s’opposer à la modification du corps électoral, qui donnerait encore plus de poids aux #Caldoches, les colons et descendants de colons de métropole.

    Après avoir reçu les uns et les autres et leur avoir fait moultes promesses, Macron s’envolera vers le Vanuatu, un archipel devenu un enjeu entre États-Unis et Chine, où celle-ci construit de nombreuses infrastructures. Pour riposter, les États-Unis ont annoncé début avril l’ouverture d’une ambassade. Tout le #Pacifique_Sud est devenu le théâtre de cette rivalité croissante. En 2022, le ministre chinois des Affaires étrangères y a fait une tournée, proposant aux États insulaires des millions de dollars d’aides, un projet d’accord de libre-échange, des pactes de sécurité, comme celui passé avec les #îles_Salomon. Les États-Unis quant à eux rouvrent des ambassades et négocient des accords militaires.

    La #Papouasie-Nouvelle-Guinée, ancienne colonie australienne, pays parmi les plus pauvres du monde, était la dernière étape de Macron. En même temps, le secrétaire d’État américain devait se rendre aux Tonga voisines. Le #Pacifique est un nouvel enjeu pour les pays impérialistes. L’#impérialisme_français veut être de la partie.

  • L’eau : un bien commun pollué par le profit
    https://journal.lutte-ouvriere.org/2023/07/26/leau-un-bien-commun-pollue-par-le-profit_725770.html

    Partout dans le monde, les pénuries d’eau, les rivières à sec, les nappes phréatiques vidées, les plaintes des agriculteurs et les déclarations lénifiantes des gouvernements mettent à la une le problème de l’approvisionnement en eau.

    En France, l’utilisation de l’eau se répartit ainsi : 57 % pour l’agriculture, 26 % pour l’#eau_potable, 12 % pour le refroidissement des centrales électriques et 5 % pour les industriels. Mais derrière ces chiffres se cachent d’autres réalités. Si nourrir la population est évidemment une priorité, près de la moitié de l’eau utilisée pour l’irrigation est destinée aux champs de maïs, un maïs dont les #trusts_agroalimentaires de France et d’Europe ont besoin dans le cadre de leur compétition mondiale.

    Au pompage des #nappes_phréatiques qu’opère ainsi l’#agriculture_capitaliste s’ajoute le rejet anarchique de toute une partie des #déchets animaliers, chimiques et autres, qui aboutit à la pollution dramatique des eaux. On le voit en Bretagne avec la #pollution de l’eau par les nitrates et en conséquence la prolifération des #algues_vertes.

    Le prix de l’eau n’est pas le même pour les agriculteurs et les industriels, d’un côté, et les particuliers de l’autre. L’eau d’irrigation, celle-là même qui assèche rivières et nappes phréatiques, revient entre 0,18 centimes et au maximum 2,13 centimes le mètre cube, suivant les moyens de captage utilisés. Le particulier, en revanche, paie un prix moyen qui varie entre 3,70 et 4,30 euros le mètre cube, auquel s’ajoutent de multiples taxes qui peuvent faire doubler le prix final. L’#eau à usage domestique revient donc 500 à 800 fois plus cher que celle dirigée vers l’irrigation ou des utilisations industrielles. Ainsi la dépollution des eaux contaminées par l’agriculture, mais aussi par les industriels, est en grande partie assurée par les compagnies privées délégataires de la fourniture d’eau potable. Elle est presque quasi exclusivement payée par les usagers individuels.

    Tout cela est à l’image d’une société pourrie par la recherche du profit à tout prix, l’irresponsabilité et l’incurie généralisées. Le bien public dont les uns et les autres osent se prévaloir est une offense à la simple vérité.

    #capitalisme

  • Les déchets d’emballages plastiques augmenteront de 46 % en Europe d’ici à 2030

    L’Union européenne a pourtant fixée pour objectif de réduire les déchets plastiques de 15 % d’ici à 2040 et adopté des directives concernant les plastiques à usage unique et les emballages.

    Les Nations unies ont [pourtant] adopté une résolution visant à mettre fin à la #pollution_plastique et à parvenir à un accord contraignant d’ici à 2024.

    (Les Échos)

    Bref : réglementation ou pas, c’est toujours le capital qui décide et a le dernier mot. Qu’on se le dise si on a encore des illusions réformistes.

    #capitalisme #réformisme

  • UK signs contract with US startup to identify migrants in small-boat crossings

    The UK government has turned a US-based startup specialized in artificial intelligence as part of its pledge to stop small-boat crossings. Experts have already pointed out the legal and logistical challenges of the plan.

    In a new effort to address the high number of Channel crossings, the UK Home Office is working with the US defense startup #Anduril, specialized in the use of artificial intelligence (AI).

    A surveillance tower has already been installed at Dover, and other technologies might be rolled out with the onset of warmer temperatures and renewed attempts by migrants to reach the UK. Some experts already point out the risks and practical loopholes involved in using AI to identify migrants.

    “This is obviously the next step of the illegal migration bill,” said Olivier Cahn, a researcher specialized in penal law.

    “The goal is to retrieve images that were taken at sea and use AI to show they entered UK territory illegally even if people vanish into thin air upon arrival in the UK.”

    The “illegal migration bill” was passed by the UK last month barring anyone from entering the country irregularly from filing an asylum claim and imposing a “legal duty” to remove them to a third country.
    Who is behind Anduril?

    Founded in 2017 by its CEO #Palmer_Luckey, Anduril is backed by #Peter_Thiel, a Silicon Valley investor and supporter of Donald Trump. The company has supplied autonomous surveillance technology to the US Department of Defense (DOD) to detect and track migrants trying to cross the US-Mexico border.

    In 2021, the UK Ministry of Defence awarded Anduril with a £3.8-million contract to trial an advanced base defence system. Anduril eventually opened a branch in London where it states its mission: “combining the latest in artificial intelligence with commercial-of-the-shelf sensor technology (EO, IR, Radar, Lidar, UGS, sUAS) to enhance national security through automated detection, identification and tracking of objects of interest.”

    According to Cahn, the advantage of Brexit is that the UK government is no longer required to submit to the General Data Protection Regulation (RGPDP), a component of data protection that also addresses the transfer of personal data outside the EU and EEA areas.

    “Even so, the UK has data protection laws of its own which the government cannot breach. Where will the servers with the incoming data be kept? What are the rights of appeal for UK citizens whose data is being processed by the servers?”, he asked.

    ’Smugglers will provide migrants with balaclavas for an extra 15 euros’

    Cahn also pointed out the technical difficulties of identifying migrants at sea. “The weather conditions are often not ideal, and many small-boat crossings happen at night. How will facial recognition technology operate in this context?”

    The ability of migrants and smugglers to adapt is yet another factor. “People are going to cover their faces, and anyone would think the smugglers will respond by providing migrants with balaclavas for an extra 15 euros.”

    If the UK has solicited the services of a US startup to detect and identify migrants, the reason may lie in AI’s principle of self-learning. “A machine accumulates data and recognizes what it has already seen. The US is a country with a significantly more racially and ethnically diverse population than the UK. Its artificial intelligence might contain data from populations which are more ethnically comparable to the populations that are crossing the Channel, like Somalia for example, thus facilitating the process of facial recognition.”

    For Cahn, it is not capturing the images which will be the most difficult but the legal challenges that will arise out of their usage. “People are going to be identified and there are going to be errors. If a file exists, there needs to be the possibility for individuals to appear before justice and have access to a judge.”

    A societal uproar

    In a research paper titled “Refugee protection in the artificial intelligence Era”, Chatham House notes “the most common ethical and legal challenges associated with the use of AI in asylum and related border and immigration systems involve issues of opacity and unpredictability, the potential for bias and unlawful discrimination, and how such factors affect the ability of individuals to obtain a remedy in the event of erroneous or unfair decisions.”

    For Cahn, the UK government’s usage of AI can only be used to justify and reinforce its hardline position against migrants. “For a government that doesn’t respect the Geneva Convention [whose core principle is non-refoulement, editor’s note] and which passed an illegal migration law, it is out of the question that migrants have entered the territory legally.”

    Identifying migrants crossing the Channel is not going to be the hardest part for the UK government. Cahn imagines a societal backlash with, “the Supreme Court of the United Kingdom being solicited, refugees seeking remedies to legal decisions through lawyers and associations attacking”.

    He added there would be due process concerning the storage of the data, with judges issuing disclosure orders. “There is going to be a whole series of questions which the government will have to elucidate. The rights of refugees are often used as a laboratory. If these technologies are ’successful’, they will soon be applied to the rest of the population."

    https://www.infomigrants.net/en/post/48326/uk-signs-contract-with-us-startup-to-identify-migrants-in-smallboat-cr

    #UK #Angleterre #migrations #asile #réfugiés #militarisation_des_frontières #frontières #start-up #complexe_militaro-industriel #IA #intelligence_artificielle #surveillance #technologie #channel #Manche

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    ajouté à la métaliste sur la Bibby Stockholm:
    https://seenthis.net/messages/1016683

    • Huge barge set to house 500 asylum seekers arrives in the UK

      The #Bibby_Stockholm is being refitted in #Falmouth to increase its capacity from 222 to 506 people.

      A barge set to house 500 asylum seekers has arrived in the UK as the government struggles with efforts to move migrants out of hotels.

      The Independent understands that people will not be transferred onto the Bibby Stockholm until July, following refurbishment to increase its capacity and safety checks.

      The barge has been towed from its former berth in Italy to the port of Falmouth, in Cornwall.

      It will remain there while works are carried out, before being moved onto its final destination in #Portland, Dorset.

      The private operators of the port struck an agreement to host the barge with the Home Office without formal public consultation, angering the local council and residents.

      Conservative MP Richard Drax previously told The Independent legal action was still being considered to stop the government’s plans for what he labelled a “quasi-prison”.

      He accused ministers and Home Office officials of being “unable to answer” practical questions on how the barge will operate, such as how asylum seekers will be able to come and go safely through the port, what activities they will be provided with and how sufficient healthcare will be ensured.

      “The question is how do we cope?” Mr Drax said. “Every organisation has its own raft of questions: ‘Where’s the money coming from? Who’s going to do what if this all happens?’ There are not sufficient answers, which is very worrying.”

      The Independent previously revealed that asylum seekers will have less living space than an average parking bay on the Bibby Stockholm, which saw at least one person die and reports of rape and abuse on board when it was used by the Dutch government to detain migrants in the 2000s.

      An official brochure released by owner Bibby Marine shows there are only 222 “single en-suite bedrooms” on board, meaning that at least two people must be crammed into every cabin for the government to achieve its aim of holding 500 people.

      Dorset Council has said it still had “serious reservations about the appropriateness of Portland Port in this scenario and remains opposed to the proposals”.

      The Conservative police and crime commissioner for Dorset is demanding extra government funding for the local force to “meet the extra policing needs that this project will entail”.

      A multi-agency forum including representatives from national, regional and local public sector agencies has been looking at plans for the provision of health services, the safety and security of both asylum seekers and local residents and charity involvement.

      Portland Port said it had been working with the Home Office and local agencies to ensure the safe arrival and operation of the Bibby Stockholm, and to minimise its impact locally.

      The barge is part of a wider government push to move migrants out of hotels, which are currently housing more than 47,000 asylum seekers at a cost of £6m a day.

      But the use of ships as accommodation was previously ruled out on cost grounds by the Treasury, when Rishi Sunak was chancellor, and the government has not confirmed how much it will be spending on the scheme.

      Ministers have also identified several former military and government sites, including two defunct airbases and an empty prison, that they want to transform into asylum accommodation.

      But a court battle with Braintree District Council over former RAF Wethersfield is ongoing, and legal action has also been threatened over similar plans for RAF Scampton in Lancashire.

      Last month, a barrister representing home secretary Suella Braverman told the High Court that 56,000 people were expected to arrive on small boats in 2023 and that some could be made homeless if hotel places are not found.

      A record backlog of asylum applications, driven by the increase in Channel crossings and a collapse in Home Office decision-making, mean the government is having to provide accommodation for longer while claims are considered.

      https://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/barge-falmouth-cornwall-migrants-bibby-b2333313.html
      #barge #bateau

    • ‘Performative cruelty’ : the hostile architecture of the UK government’s migrant barge

      The arrival of the Bibby Stockholm barge at Portland Port, in Dorset, on July 18 2023, marks a new low in the UK government’s hostile immigration environment. The vessel is set to accommodate over 500 asylum seekers. This, the Home Office argues, will benefit British taxpayers and local residents.

      The barge, however, was immediately rejected by the local population and Dorset council. Several British charities and church groups have condemned the barge, and the illegal migration bill it accompanies, as “an affront to human dignity”.

      Anti-immigration groups have also protested against the barge, with some adopting offensive language, referring to the asylum seekers who will be hosted there as “bargies”. Conservative MP for South Dorset Richard Drax has claimed that hosting migrants at sea would exacerbate tenfold the issues that have arisen in hotels to date, namely sexual assaults, children disappearing and local residents protesting.

      My research shows that facilities built to house irregular migrants in Europe and beyond create a temporary infrastructure designed to be hostile. Governments thereby effectively make asylum seekers more displaceable while ignoring their everyday spatial and social needs.
      Precarious space

      The official brochure plans for the Bibby Stockholm show 222 single bedrooms over three stories, built around two small internal courtyards. It has now been retrofitted with bunk beds to host more than 500 single men – more than double the number it was designed to host.

      Journalists Lizzie Dearden and Martha McHardy have shown this means the asylum seekers housed there – for up to nine months – will have “less living space than an average parking bay”. This stands in contravention of international standards of a minimum 4.5m² of covered living space per person in cold climates, where more time is spent indoors.

      In an open letter, dated June 15 2023 and addressed to home secretary Suella Braverman, over 700 people and nearly 100 non-governmental organisations (NGOs) voiced concerns that this will only add to the trauma migrants have already experienced:

      Housing people on a sea barge – which we argue is equal to a floating prison – is morally indefensible, and threatens to retraumatise a group of already vulnerable people.

      Locals are concerned already overstretched services in Portland, including GP practices, will not be able to cope with further pressure. West Dorset MP Chris Lode has questioned whether the barge itself is safe “to cope with double the weight that it was designed to bear”. A caller to the LBC radio station, meanwhile, has voiced concerns over the vessel’s very narrow and low fire escape routes, saying: “What they [the government] are effectively doing here is creating a potential Grenfell on water, a floating coffin.”

      Such fears are not unfounded. There have been several cases of fires destroying migrant camps in Europe, from the Grand-Synthe camp near Dunkirk in France, in 2017, to the 2020 fire at the Moria camp in Greece. The difficulty of escaping a vessel at sea could turn it into a death trap.

      Performative hostility

      Research on migrant accommodation shows that being able to inhabit a place – even temporarily – and develop feelings of attachment and belonging, is crucial to a person’s wellbeing. Even amid ever tighter border controls, migrants in Europe, who can be described as “stuck on the move”, nonetheless still attempt to inhabit their temporary spaces and form such connections.

      However, designs can hamper such efforts when they concentrate asylum seekers in inhospitable, cut-off spaces. In 2015, Berlin officials began temporarily housing refugees in the former Tempelhof airport, a noisy, alienating industrial space, lacking in privacy and disconnected from the city. Many people ended up staying there for the better part of a year.

      French authorities, meanwhile, opened the Centre Humanitaire Paris-Nord in Paris in 2016, temporary migrant housing in a disused train depot. Nicknamed la Bulle (the bubble) for its bulbous inflatable covering, this facility was noisy and claustrophobic, lacking in basic comforts.

      Like the barge in Portland Port, these facilities, placed in industrial sites, sit uncomfortably between hospitality and hostility. The barge will be fenced off, since the port is a secured zone, and access will be heavily restricted and controlled. The Home Office insists that the barge is not a floating prison, yet it is an unmistakably hostile space.

      Infrastructure for water and electricity will physically link the barge to shore. However, Dorset council has no jurisdiction at sea.

      The commercial agreement on the barge was signed between the Home Office and Portland Port, not the council. Since the vessel is positioned below the mean low water mark, it did not require planning permission.

      This makes the barge an island of sorts, where other rules apply, much like those islands in the Aegean sea and in the Pacific, on which Greece and Australia have respectively housed migrants.

      I have shown how facilities are often designed in this way not to give displaced people any agency, but, on the contrary, to objectify them. They heighten the instability migrants face, keeping them detached from local communities and constantly on the move.

      The government has presented the barge as a cheaper solution than the £6.8 million it is currently spending, daily, on housing asylum seekers in hotels. A recent report by two NGOs, Reclaim the Seas and One Life to Live, concludes, however, that it will save less than £10 a person a day. It could even prove more expensive than the hotel model.

      Sarah Teather, director of the Jesuit Refugee Service UK charity, has described the illegal migration bill as “performative cruelty”. Images of the barge which have flooded the news certainly meet that description too.

      However threatening these images might be, though, they will not stop desperate people from attempting to come to the UK to seek safety. Rather than deterring asylum seekers, the Bibby Stockholm is potentially creating another hazard to them and to their hosting communities.

      https://theconversation.com/performative-cruelty-the-hostile-architecture-of-the-uk-governments

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      Point intéressant, lié à l’aménagement du territoire :

      “Since the vessel is positioned below the mean low water mark, it did not require planning permission”

      C’est un peu comme les #zones_frontalières qui ont été créées un peu partout en Europe (et pas que) pour que les Etats se débarassent des règles en vigueur (notamment le principe du non-refoulement). Voir cette métaliste, à laquelle j’ajoute aussi cet exemple :
      https://seenthis.net/messages/795053

      voir aussi :

      The circumstances at Portland Port are very different because where the barge is to be positioned is below the mean low water mark. This means that the barge is outside of our planning control and there is no requirement for planning permission from the council.

      https://news.dorsetcouncil.gov.uk/2023/07/18/leaders-comments-on-the-home-office-barge

      #hostile_architecture #architecture_hostile #dignité #espace #Portland #hostilité #hostilité_performative #île #infrastructure #extraterritorialité #extra-territorialité #prix #coût

    • Sur l’#histoire (notamment liées au commerce d’ #esclaves) de la Bibby Stockholm :

      Bibby Line, shipowners

      Information
      From Guide to the Records of Merseyside Maritime Museum, volume 1: Bibby Line. In 1807 John Bibby and John Highfield, Liverpool shipbrokers, began taking shares in ships, mainly Parkgate Dublin packets. By 1821 (the end of the partnership) they had vessels sailing to the Mediterranean and South America. In 1850 they expanded their Mediterranean and Black Sea interests by buying two steamers and by 1865 their fleet had increased to twenty three. The opening of the Suez Canal in 1869 severely affected their business and Frederick Leyland, their general manager, failed to persuade the family partners to diversify onto the Atlantic. Eventually, he bought them out in 1873. In 1889 the Bibby family revived its shipowning interests with a successful passenger cargo service to Burma. From 1893 it also began to carry British troops to overseas postings which remained a Bibby staple until 1962. The Burma service ended in 1971 and the company moved to new areas of shipowning including bulkers, gas tankers and accommodation barges. It still has its head office in Liverpool where most management records are held. The museum holds models of the Staffordshire (1929) and Oxfordshire (1955). For further details see the attached catalogue or contact The Archives Centre for a copy of the catalogue.

      The earliest records within the collection, the ships’ logs at B/BIBBY/1/1/1 - 1/1/3 show company vessels travelling between Europe and South America carrying cargoes that would have been produced on plantations using the labour of enslaved peoples or used within plantation and slave based economies. For example the vessel Thomas (B/BIBBY/1/1/1) carries a cargo of iron hoops for barrels to Brazil in 1812. The Mary Bibby on a voyage in 1825-1826 loads a cargo of sugar in Rio de Janeiro, Brazil to carry to Rotterdam. The log (B/BIBBY/1/1/3) records the use of ’negroes’ to work with the ship’s carpenter while the vessel is in port.

      In September 1980 the latest Bibby vessel to hold the name Derbyshire was lost with all hands in the South China Sea. This collection does not include records relating to that vessel or its sinking, apart from a copy ’Motor vessel ’Derbyshire’, 1976-80: in memoriam’ at reference B/BIBBY/3/2/1 (a copy is also available in The Archives Centre library collection at 340.DER). Information about the sinking and subsequent campaigning by the victims’ family can be found on the NML website and in the Life On Board gallery. The Archives Centre holds papers of Captain David Ramwell who assisted the Derbyshire Family Association at D/RAM and other smaller collections of related documents within the DX collection.

      https://www.liverpoolmuseums.org.uk/artifact/bibby-line-shipowners

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      An Open Letter to #Bibby_Marine

      Links between your parent company #Bibby_Line_Group (#BLG) and the slave trade have repeatedly been made. If true, we appeal to you to consider what actions you might take in recompense.

      Bibby Marine’s modern slavery statement says that one of the company’s values is to “do the right thing”, and that you “strongly support the eradication of slavery, as well as the eradication of servitude, forced or compulsory labour and human trafficking”. These are admirable words.

      Meanwhile, your parent company’s website says that it is “family owned with a rich history”. Please will you clarify whether this rich history includes slaving voyages where ships were owned, and cargoes transported, by BLG’s founder John Bibby, six generations ago. The BLG website says that in 1807 (which is when slavery was abolished in Britain), “John Bibby began trading as a shipowner in Liverpool with his partner John Highfield”. John Bibby is listed as co-owner of three slaving ships, of which John Highfield co-owned two:

      In 1805, the Harmonie (co-owned by #John_Bibby and three others, including John Highfield) left Liverpool for a voyage which carried 250 captives purchased in West Central Africa and St Helena, delivering them to Cumingsberg in 1806 (see the SlaveVoyages database using Voyage ID 81732).
      In 1806, the Sally (co-owned by John Bibby and two others) left Liverpool for a voyage which transported 250 captives purchased in Bassa and delivered them to Barbados (see the SlaveVoyages database using Voyage ID 83481).
      In 1806, the Eagle (co-owned by John Bibby and four others, including John Highfield) left Liverpool for a voyage which transported 237 captives purchased in Cameroon and delivered them to Kingston in 1807 (see the SlaveVoyages database using Voyage ID 81106).

      The same and related claims were recently mentioned by Private Eye. They also appear in the story of Liverpool’s Calderstones Park [PDF] and on the website of National Museums Liverpool and in this blog post “Shenanigans in Shipping” (a detailed history of the BLG). They are also mentioned by Laurence Westgaph, a TV presenter specialising in Black British history and slavery and the author of Read The Signs: Street Names with a Connection to the Transatlantic Slave Trade and Abolition in Liverpool [PDF], published with the support of English Heritage, The City of Liverpool, Northwest Regional Development Agency, National Museums Liverpool and Liverpool Vision.

      While of course your public pledges on slavery underline that there is no possibility of there being any link between the activities of John Bibby and John Highfield in the early 1800s and your activities in 2023, we do believe that it is in the public interest to raise this connection, and to ask for a public expression of your categorical renunciation of the reported slave trade activities of Mr Bibby and Mr Highfield.

      https://www.refugeecouncil.org.uk/latest/news/an-open-letter-to-bibby-marine

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      Très peu d’info sur John Bibby sur wikipedia :

      John Bibby (19 February 1775 – 17 July 1840) was the founder of the British Bibby Line shipping company. He was born in Eccleston, near Ormskirk, Lancashire. He was murdered on 17 July 1840 on his way home from dinner at a friend’s house in Kirkdale.[1]


      https://en.wikipedia.org/wiki/John_Bibby_(businessman)

    • ‘Floating Prisons’: The 200-year-old family #business behind the Bibby Stockholm

      #Bibby_Line_Group_Limited is a UK company offering financial, marine and construction services to clients in at least 16 countries around the world. It recently made headlines after the government announced one of the firm’s vessels, Bibby Stockholm, would be used to accommodate asylum seekers on the Dorset coast.

      In tandem with plans to house migrants at surplus military sites, the move was heralded by Prime Minister Rishi Sunak and Home Secretary Suella Braverman as a way of mitigating the £6m-a-day cost of hotel accommodation amid the massive ongoing backlog of asylum claims, as well as deterring refugees from making the dangerous channel crossing to the UK. Several protests have been organised against the project already, while over ninety migrants’ rights groups and hundreds of individual campaigners have signed an open letter to the Home Secretary calling for the plans to be scrapped, describing the barge as a “floating prison.”

      Corporate Watch has researched into the Bibby Line Group’s operations and financial interests. We found that:

      - The Bibby Stockholm vessel was previously used as a floating detention centre in the Netherlands, where undercover reporting revealed violence, sexual exploitation and poor sanitation.

      – Bibby Line Group is more than 90% owned by members of the Bibby family, primarily through trusts. Its pre-tax profits for 2021 stood at almost £31m, which they upped to £35.5m by claiming generous tax credits and deferring a fair amount to the following year.

      - Management aboard the vessel will be overseen by an Australian business travel services company, Corporate Travel Management, who have previously had aspersions cast over the financial health of their operations and the integrity of their business practices.

      - Another beneficiary of the initiative is Langham Industries, a maritime and engineering company whose owners, the Langham family, have longstanding ties to right wing parties.

      Key Issues

      According to the Home Office, the Bibby Stockholm barge will be operational for at least 18 months, housing approximately 500 single adult men while their claims are processed, with “24/7 security in place on board, to minimise the disruption to local communities.” These measures appear to have been to dissuade opposition from the local Conservative council, who pushed for background checks on detainees and were reportedly even weighing legal action out of concern for a perceived threat of physical attacks from those housed onboard, as well as potential attacks from the far right against migrants held there.

      Local campaigners have taken aim at the initiative, noting in the open letter:

      “For many people seeking asylum arriving in the UK, the sea represents a site of significant trauma as they have been forced to cross it on one or more occasions. Housing people on a sea barge – which we argue is equal to a floating prison – is morally indefensible, and threatens to re-traumatise a group of already vulnerable people.”

      Technically, migrants on the barge will be able to leave the site. However, in reality they will be under significant levels of surveillance and cordoned off behind fences in the high security port area.

      If they leave, there is an expectation they will return by 11pm, and departure will be controlled by the authorities. According to the Home Office:

      “In order to ensure that migrants come and go in an orderly manner with as little impact as possible, buses will be provided to take those accommodated on the vessel from the port to local drop off points”.

      These drop off points are to be determined by the government, while being sited off the coast of Dorset means they will be isolated from centres of support and solidarity.

      Meanwhile, the government’s new Illegal Migration Bill is designed to provide a legal justification for the automatic detention of refugees crossing the Channel. If it passes, there’s a chance this might set the stage for a change in regime on the Bibby Stockholm – from that of an “accommodation centre” to a full-blown migrant prison.

      An initial release from the Home Office suggested the local voluntary sector would be engaged “to organise activities that keep occupied those being accommodated, potentially involved in local volunteering activity,” though they seemed to have changed the wording after critics said this would mean detainees could be effectively exploited for unpaid labour. It’s also been reported the vessel required modifications in order to increase capacity to the needed level, raising further concerns over cramped living conditions and a lack of privacy.

      Bibby Line Group has prior form in border profiteering. From 1994 to 1998, the Bibby Stockholm was used to house the homeless, some of whom were asylum seekers, in Hamburg, Germany. In 2005, it was used to detain asylum seekers in the Netherlands, which proved a cause of controversy at the time. Undercover reporting revealed a number of cases abuse on board, such as beatings and sexual exploitation, as well suicide attempts, routine strip searches, scabies and the death of an Algerian man who failed to receive timely medical care for a deteriorating heart condition. As the undercover security guard wrote:

      “The longer I work on the Bibby Stockholm, the more I worry about safety on the boat. Between exclusion and containment I encounter so many defects and feel so much tension among the prisoners that it no longer seems to be a question of whether things will get completely out of hand here, but when.”

      He went on:

      “I couldn’t stand the way prisoners were treated […] The staff become like that, because the whole culture there is like that. Inhuman. They do not see the residents as people with a history, but as numbers.”

      Discussions were also held in August 2017 over the possibility of using the vessel as accommodation for some 400 students in Galway, Ireland, amid the country’s housing crisis. Though the idea was eventually dropped for lack of mooring space and planning permission requirements, local students had voiced safety concerns over the “bizarre” and “unconventional” solution to a lack of rental opportunities.
      Corporate Travel Management & Langham Industries

      Although leased from Bibby Line Group, management aboard the Bibby Stockholm itself will be handled by #Corporate_Travel_Management (#CTM), a global travel company specialising in business travel services. The Australian-headquartered company also recently received a £100m contract for the provision of accommodation, travel, venue and ancillary booking services for the housing of Ukrainian refugees at local hotels and aboard cruise ships M/S Victoria and M/S Ambition. The British Red Cross warned earlier in May against continuing to house refugees on ships with “isolated” and “windowless” cabins, and said the scheme had left many “living in limbo.”

      Founded by CEO #Jamie_Pherous, CTM was targeted in 2018 by #VGI_Partners, a group of short-sellers, who identified more than 20 red flags concerning the company’s business interests. Most strikingly, the short-sellers said they’d attended CTM’s offices in Glasgow, Paris, Amsterdam, Stockholm and Switzerland. Finding no signs of business activity there, they said it was possible the firm had significantly overstated the scale of its operations. VGI Partners also claimed CTM’s cash flows didn’t seem to add up when set against the company’s reported growth, and that CTM hadn’t fully disclosed revisions they’d made to their annual revenue figures.

      Two years later, the short-sellers released a follow-up report, questioning how CTM had managed to report a drop in rewards granted for high sales numbers to travel agencies, when in fact their transaction turnover had grown during the same period. They also accused CTM of dressing up their debt balance to make their accounts look healthier.

      CTM denied VGI Partners’ allegations. In their response, they paraphrased a report by auditors EY, supposedly confirming there were no question marks over their business practices, though the report itself was never actually made public. They further claim VGI Partners, as short-sellers, had only released the reports in the hope of benefitting from uncertainty over CTM’s operations.

      Despite these troubles, CTM’s market standing improved drastically earlier this year, when it was announced the firm had secured contracts for the provision of travel services to the UK Home Office worth in excess of $3bn AUD (£1.6bn). These have been accompanied by further tenders with, among others, the National Audit Office, HS2, Cafcass, Serious Fraud Office, Office of National Statistics, HM Revenue & Customs, National Health Service, Ministry of Justice, Department of Education, Foreign Office, and the Equality and Human Rights Commission.

      The Home Office has not released any figures on the cost of either leasing or management services aboard Bibby Stockholm, though press reports have put the estimated price tag at more than £20,000 a day for charter and berthing alone. If accurate, this would put the overall expenditure for the 18-month period in which the vessel will operate as a detention centre at almost £11m, exclusive of actual detention centre management costs such as security, food and healthcare.

      Another beneficiary of the project are Portland Port’s owners, #Langham_Industries, a maritime and engineering company owned by the #Langham family. The family has long-running ties to right-wing parties. Langham Industries donated over £70,000 to the UK Independence Party from 2003 up until the 2016 Brexit referendum. In 2014, Langham Industries donated money to support the re-election campaign of former Clacton MP for UKIP Douglas Carswell, shortly after his defection from the Conservatives. #Catherine_Langham, a Tory parish councillor for Hilton in Dorset, has described herself as a Langham Industries director (although she is not listed on Companies House). In 2016 she was actively involved in local efforts to support the campaign to leave the European Union. The family holds a large estate in Dorset which it uses for its other line of business, winemaking.

      At present, there is no publicly available information on who will be providing security services aboard the Bibby Stockholm.

      Business Basics

      Bibby Line Group describes itself as “one of the UK’s oldest family owned businesses,” operating in “multiple countries, employing around 1,300 colleagues, and managing over £1 billion of funds.” Its head office is registered in Liverpool, with other headquarters in Scotland, Hong Kong, India, Singapore, Malaysia, France, Slovakia, Czechia, the Netherlands, Germany, Poland and Nigeria (see the appendix for more). The company’s primary sectors correspond to its three main UK subsidiaries:

      #Bibby_Financial_Services. A global provider of financial services. The firm provides loans to small- and medium-sized businesses engaged in business services, construction, manufacturing, transportation, export, recruitment and wholesale markets. This includes invoice financing, export and trade finance, and foreign exchanges. Overall, the subsidiary manages more than £6bn each year on behalf of some 9,000 clients across 300 different industry sectors, and in 2021 it brought in more than 50% of the group’s annual turnover.

      - #Bibby_Marine_Limited. Owner and operator of the Bibby WaveMaster fleet, a group of vessels specialising in the transport and accommodation of workers employed at remote locations, such as offshore oil and gas sites in the North Sea. Sometimes, as in the case of Chevron’s Liquified Natural Gas (LNG) project in Nigeria, the vessels are used as an alternative to hotels owing to a “a volatile project environment.” The fleet consists of 40 accommodation vessels similar in size to the Bibby Stockholm and a smaller number of service vessels, though the share of annual turnover pales compared to the group’s financial services operations, standing at just under 10% for 2021.

      - #Garic Ltd. Confined to construction, quarrying, airport, agriculture and transport sectors in the UK, the firm designs, manufactures and purchases plant equipment and machinery for sale or hire. Garic brought in around 14% of Bibby Line Group’s turnover in 2021.

      Prior to February 2021, Bibby Line Group also owned #Costcutter_Supermarkets_Group, before it was sold to #Bestway_Wholesale to maintain liquidity amid the Covid-19 pandemic. In their report for that year, the company’s directors also suggested grant funding from #MarRI-UK, an organisation facilitating innovation in maritime technologies and systems, had been important in preserving the firm’s position during the crisis.
      History

      The Bibby Line Group’s story begins in 1807, when Lancashire-born shipowner John Bibby began trading out of Liverpool with partner John Highfield. By the time of his death in 1840, murdered while returning home from dinner with a friend in Kirkdale, Bibby had struck out on his own and come to manage a fleet of more than 18 ships. The mysterious case of his death has never been solved, and the business was left to his sons John and James.

      Between 1891 and 1989, the company operated under the name #Bibby_Line_Limited. Its ships served as hospital and transport vessels during the First World War, as well as merchant cruisers, and the company’s entire fleet of 11 ships was requisitioned by the state in 1939.

      By 1970, the company had tripled its overseas earnings, branching into ‘factoring’, or invoice financing (converting unpaid invoices into cash for immediate use via short-term loans) in the early 1980s, before this aspect of the business was eventually spun off into Bibby Financial Services. The group acquired Garic Ltd in 2008, which currently operates four sites across the UK.

      People

      #Jonathan_Lewis has served as Bibby Line Group’s Managing and Executive Director since January 2021, prior to which he acted as the company’s Chief Financial and Strategy Officer since joining in 2019. Previously, Lewis worked as CFO for Imagination Technologies, a tech company specialising in semiconductors, and as head of supermarket Tesco’s mergers and acquisitions team. He was also a member of McKinsey’s European corporate finance practice, as well as an investment banker at Lazard. During his first year at the helm of Bibby’s operations, he was paid £748,000. Assuming his role at the head of the group’s operations, he replaced Paul Drescher, CBE, then a board member of the UK International Chamber of Commerce and a former president of the Confederation of British Industry.

      Bibby Line Group’s board also includes two immediate members of the Bibby family, Sir #Michael_James_Bibby, 3rd Bt. and his younger brother #Geoffrey_Bibby. Michael has acted as company chairman since 2020, before which he had occupied senior management roles in the company for 20 years. He also has external experience, including time at Unilever’s acquisitions, disposals and joint venture divisions, and now acts as president of the UK Chamber of Shipping, chairman of the Charities Trust, and chairman of the Institute of Family Business Research Foundation.

      Geoffrey has served as a non-executive director of the company since 2015, having previously worked as a managing director of Vast Visibility Ltd, a digital marketing and technology company. In 2021, the Bibby brothers received salaries of £125,000 and £56,000 respectively.

      The final member of the firm’s board is #David_Anderson, who has acted as non-executive director since 2012. A financier with 35 years experience in investment banking, he’s founder and CEO of EPL Advisory – which advises company boards on requirements and disclosure obligations of public markets – and chair of Creative Education Trust, a multi-academy trust comprising 17 schools. Anderson is also chairman at multinational ship broker Howe Robinson Partners, which recently auctioned off a superyacht seized from Dmitry Pumpyansky, after the sanctioned Russian businessman reneged on a €20.5m loan from JP Morgan. In 2021, Anderson’s salary stood at £55,000.

      Ownership

      Bibby Line Group’s annual report and accounts for 2021 state that more than 90% of the company is owned by members of the Bibby family, primarily through family trusts. These ownership structures, effectively entities allowing people to benefit from assets without being their registered legal owners, have long attracted staunch criticism from transparency advocates given the obscurity they afford means they often feature extensively in corruption, money laundering and tax abuse schemes.

      According to Companies House, the UK corporate registry, between 50% and 75% of Bibby Line Group’s shares and voting rights are owned by #Bibby_Family_Company_Limited, which also retains the right to appoint and remove members of the board. Directors of Bibby Family Company Limited include both the Bibby brothers, as well as a third sibling, #Peter_John_Bibby, who’s formally listed as the firm’s ‘ultimate beneficial owner’ (i.e. the person who ultimately profits from the company’s assets).

      Other people with comparable shares in Bibby Family Company Limited are #Mark_Rupert_Feeny, #Philip_Charles_Okell, and Lady #Christine_Maud_Bibby. Feeny’s occupation is listed as solicitor, with other interests in real estate management and a position on the board of the University of Liverpool Pension Fund Trustees Limited. Okell meanwhile appears as director of Okell Money Management Limited, a wealth management firm, while Lady Bibby, Michael and Geoffrey’s mother, appears as “retired playground supervisor.”

      Key Relationships

      Bibby Line Group runs an internal ‘Donate a Day’ volunteer program, enabling employees to take paid leave in order to “help causes they care about.” Specific charities colleagues have volunteered with, listed in the company’s Annual Review for 2021 to 2022, include:

      - The Hive Youth Zone. An award-winning charity for young people with disabilities, based in the Wirral.

      – The Whitechapel Centre. A leading homeless and housing charity in the Liverpool region, working with people sleeping rough, living in hostels, or struggling with their accommodation.

      - Let’s Play Project. Another charity specialising in after-school and holiday activities for young people with additional needs in the Banbury area.

      - Whitdale House. A care home for the elderly, based in Whitburn, West Lothian and run by the local council.

      – DEBRA. An Irish charity set up in 1988 for individuals living with a rare, painful skin condition called epidermolysis bullosa, as well as their families.

      – Reaching Out Homeless Outreach. A non-profit providing resources and support to the homeless in Ireland.

      Various senior executives and associated actors at Bibby Line Group and its subsidiaries also have current and former ties to the following organisations:

      - UK Chamber of Shipping

      - Charities Trust

      - Institute of Family Business Research Foundation

      - Indefatigable Old Boys Association

      - Howe Robinson Partners

      - hibu Ltd

      - EPL Advisory

      - Creative Education Trust

      - Capita Health and Wellbeing Limited

      - The Ambassador Theatre Group Limited

      – Pilkington Plc

      – UK International Chamber of Commerce

      – Confederation of British Industry

      – Arkley Finance Limited (Weatherby’s Banking Group)

      – FastMarkets Ltd, Multiple Sclerosis Society

      – Early Music as Education

      – Liverpool Pension Fund Trustees Limited

      – Okell Money Management Limited

      Finances

      For the period ending 2021, Bibby Line Group’s total turnover stood at just under £260m, with a pre-tax profit of almost £31m – fairly healthy for a company providing maritime services during a global pandemic. Their post-tax profits in fact stood at £35.5m, an increase they would appear to have secured by claiming generous tax credits (£4.6m) and deferring a fair amount (£8.4m) to the following year.

      Judging by their last available statement on the firm’s profitability, Bibby’s directors seem fairly confident the company has adequate financing and resources to continue operations for the foreseeable future. They stress their February 2021 sale of Costcutter was an important step in securing this, given it provided additional liquidity during the pandemic, as well as the funding secured for R&D on fuel consumption by Bibby Marine’s fleet.
      Scandal Sheet

      Bibby Line Group and its subsidiaries have featured in a number of UK legal proceedings over the years, sometimes as defendants. One notable case is Godfrey v Bibby Line, a lawsuit brought against the company in 2019 after one of their former employees died as the result of an asbestos-related disease.

      In their claim, the executors of Alan Peter Godfrey’s estate maintained that between 1965 and 1972, he was repeatedly exposed to large amounts of asbestos while working on board various Bibby vessels. Although the link between the material and fatal lung conditions was established as early as 1930, they claimed that Bibby Line, among other things:

      “Failed to warn the deceased of the risk of contracting asbestos related disease or of the precautions to be taken in relation thereto;

      “Failed to heed or act upon the expert evidence available to them as to the best means of protecting their workers from danger from asbestos dust; [and]

      “Failed to take all reasonably practicable measures, either by securing adequate ventilation or by the provision and use of suitable respirators or otherwise, to prevent inhalation of dust.”

      The lawsuit, which claimed “unlimited damage”’ against the group, also stated that Mr Godfrey’s “condition deteriorated rapidly with worsening pain and debility,” and that he was “completely dependent upon others for his needs by the last weeks of his life.” There is no publicly available information on how the matter was concluded.

      In 2017, Bibby Line Limited also featured in a leak of more than 13.4 million financial records known as the Paradise Papers, specifically as a client of Appleby, which provided “offshore corporate services” such as legal and accountancy work. According to the Organized Crime and Corruption Reporting Project, a global network of investigative media outlets, leaked Appleby documents revealed, among other things, “the ties between Russia and [Trump’s] billionaire commerce secretary, the secret dealings of Canadian Prime Minister Justin Trudeau’s chief fundraiser and the offshore interests of the Queen of England and more than 120 politicians around the world.”

      This would not appear to be the Bibby group’s only link to the shady world of offshore finance. Michael Bibby pops up as a treasurer for two shell companies registered in Panama, Minimar Transport S.A. and Vista Equities Inc.
      Looking Forward

      Much about the Bibby Stockholm saga remains to be seen. The exact cost of the initiative and who will be providing security services on board, are open questions. What’s clear however is that activists will continue to oppose the plans, with efforts to prevent the vessel sailing from Falmouth to its final docking in Portland scheduled to take place on 30th June.

      Appendix: Company Addresses

      HQ and general inquiries: 3rd Floor Walker House, Exchange Flags, Liverpool, United Kingdom, L2 3YL

      Tel: +44 (0) 151 708 8000

      Other offices, as of 2021:

      6, Shenton Way, #18-08A Oue Downtown 068809, Singapore

      1/1, The Exchange Building, 142 St. Vincent Street, Glasgow, G2 5LA, United Kingdom

      4th Floor Heather House, Heather Road, Sandyford, Dublin 18, Ireland

      Unit 2302, 23/F Jubilee Centre, 18 Fenwick Street, Wanchai, Hong Kong

      Unit 508, Fifth Floor, Metropolis Mall, MG Road, Gurugram, Haryana, 122002 India

      Suite 7E, Level 7, Menara Ansar, 65 Jalan Trus, 8000 Johor Bahru, Johor, Malaysia

      160 Avenue Jean Jaures, CS 90404, 69364 Lyon Cedex, France

      Prievozská 4D, Block E, 13th Floor, Bratislava 821 09, Slovak Republic

      Hlinky 118, Brno, 603 00, Czech Republic

      Laan Van Diepenvoorde 5, 5582 LA, Waalre, Netherlands

      Hansaallee 249, 40549 Düsseldorf, Germany

      Poland Eurocentrum, Al. Jerozolimskie 134, 02-305 Warsaw, Poland

      1/2 Atarbekova str, 350062, Krasnodar, Krasnodar

      1 St Peter’s Square, Manchester, M2 3AE, United Kingdom

      25 Adeyemo Alakija Street, Victoria Island, Lagos, Nigeria

      10 Anson Road, #09-17 International Plaza, 079903 Singapore

      https://corporatewatch.org/floating-prisons-the-200-year-old-family-business-behind-the-bibby-s

      signalé ici aussi par @rezo:
      https://seenthis.net/messages/1010504

    • The Langham family seem quite happy to support right-wing political parties that are against immigration, while at the same time profiting handsomely from the misery of refugees who are forced to claim sanctuary here.


      https://twitter.com/PositiveActionH/status/1687817910364884992

      –---

      Family firm ’profiteering from misery’ by providing migrant barges donated £70k to #UKIP

      The Langham family, owners of Langham Industries, is now set to profit from an 18-month contract with the Home Office to let the Bibby Stockholm berth at Portland, Dorset

      A family firm that donated more than £70,000 to UKIP is “profiteering from misery” by hosting the Government’s controversial migrant barge. Langham Industries owns Portland Port, where the Bibby Stockholm is docked in a deal reported to be worth some £2.5million.

      The Langham family owns luxurious properties and has links to high-profile politicians, including Prime Minister Rishi Sunak and Deputy Prime Minister Oliver Dowden. And we can reveal that their business made 19 donations to pro-Brexit party UKIP between 2003 and 2016.

      Late founder John Langham was described as an “avid supporter” of UKIP in an obituary in 2017. Now his children, John, Jill and Justin – all directors of the family firm – are set to profit from an 18-month contract with the Home Office to let the Bibby Stockholm berth at Portland, Dorset.

      While Portland Port refuses to reveal how much the Home Office is paying, its website cites berthing fees for a ship the size of the Bibby Stockholm at more than £4,000 a day. In 2011, Portland Port chairman John, 71, invested £3.7million in Grade II* listed country pile Steeple Manor at Wareham, Dorset. Dating to around 1600, it has a pond, tennis court and extensive gardens designed by the landscape architect Brenda Colvin.

      The arrangement to host the “prison-like” barge for housing migrants has led some locals to blast the Langhams, who have owned the port since 1997. Portland mayor Carralyn Parkes, 61, said: “I don’t know how John Langham will sleep at night in his luxurious home, with his tennis court and his fluffy bed, when asylum seekers are sleeping in tiny beds on the barge.

      “I went on the boat and measured the rooms with a tape measure. On average they are about 10ft by 12ft. The bunk bed mattresses are about 6ft long. If you’re taller than 6ft you’re stuffed. The Langham family need to have more humanity. They are only interested in making money. It’s shocking.”

      (#paywall)
      https://www.mirror.co.uk/news/politics/family-firm-profiteering-misery-providing-30584405.amp

      #UK_Independence_Party

    • ‘This is a prison’: men tell of distressing conditions on Bibby Stockholm

      Asylum seekers share fears about Dorset barge becoming even more crowded, saying they already ‘despair and wish for death’

      Asylum seekers brought back to the Bibby Stockholm barge in Portland, Dorset, have said they are being treated in such a way that “we despair and wish for death”.

      The Guardian spoke to two men in their first interview since their return to the barge on 19 October after the vessel lay empty for more than two months. The presence of deadly legionella bacteria was confirmed on board on 7 August, the same day the first group of asylum seekers arrived. The barge was evacuated four days later.

      The new warning comes after it emerged that one asylum seeker attempted to kill himself and is in hospital after finding out he is due to be taken to the barge on Tuesday.

      A man currently on the barge told the Guardian: “Government decisions are turning healthy and normal refugees into mental patients whom they then hand over to society. Here, many people were healthy and coping with OK spirits, but as a result of the dysfunctional strategies of the government, they have suffered – and continue to suffer – from various forms of serious mental distress. We are treated in such a way that we despair and wish for death.”

      He said that although the asylum seekers were not detained on the barge and could leave to visit the nearby town, in practice, doing so was not easy.

      He added: “In the barge, we have exactly the feeling of being in prison. It is true that they say that this is not a prison and you can go outside at any time, but you can only go to specific stops at certain times by bus, and this does not give me a good feeling.

      “Even to use the fresh air, you have to go through the inspection every time and go to the small yard with high fences and go through the X-ray machine again. And this is not good for our health.

      “In short, this is a prison whose prisoners are not criminals, they are people who have fled their country just to save their lives and have taken shelter here to live.”

      The asylum seekers raised concerns about what conditions on the barge would be like if the Home Office did fill it with about 500 asylum seekers, as officials say is the plan. Those on board said it already felt quite full with about 70 people living there.

      The second asylum seeker said: “The space inside the barge is very small. It feels crowded in the dining hall and the small entertainment room. It is absolutely clear to me that there will be chaos here soon.

      “According to my estimate, as I look at the spaces around us, the capacity of this barge is maximum 120 people, including personnel and crew. The strategy of ​​transferring refugees from hotels to barges or ships or military installations is bound to fail.

      “The situation here on the barge is getting worse. Does the government have a plan for shipwrecked residents? Everyone here is going mad with anxiety. It is not just the barge that floats on the water, but the plans of the government that are radically adrift.”

      Maddie Harris of the NGO Humans For Rights Network, which supports asylum seekers in hotels, said: “Home Office policies directly contribute to the significant deterioration of the wellbeing and mental health of so many asylum seekers in their ‘care’, with a dehumanising environment, violent anti-migrant rhetoric and isolated accommodations away from community and lacking in support.”

      A Home Office spokesperson said: “The Bibby Stockholm is part of the government’s pledge to reduce the use of expensive hotels and bring forward alternative accommodation options which provide a more cost-effective, sustainable and manageable system for the UK taxpayer and local communities.

      “The health and welfare of asylum seekers remains the utmost priority. We work continually to ensure the needs and vulnerabilities of those residing in asylum accommodation are identified and considered, including those related to mental health and trauma.”

      Nadia Whittome and Lloyd Russell-Moyle, the Labour MPs for Nottingham East and Brighton Kemptown respectively, will travel to Portland on Monday to meet asylum seekers accommodated on the Bibby Stockholm barge and local community members.

      The visit follows the home secretary, Suella Braverman, not approving a visit from the MPs to assess living conditions as they requested through parliamentary channels.

      https://www.theguardian.com/uk-news/2023/oct/29/this-is-a-prison-men-tell-of-distressing-conditions-on-bibby-stockholm
      #prison #conditions_de_vie

  • The Only Way to Deal With the Threat From AI ? Shut It Down | Time

    https://time.com/6266923/ai-eliezer-yudkowsky-open-letter-not-enough

    Many researchers steeped in these issues, including myself, expect that the most likely result of building a superhumanly smart AI, under anything remotely like the current circumstances, is that literally everyone on Earth will die. Not as in “maybe possibly some remote chance,” but as in “that is the obvious thing that would happen.” It’s not that you can’t, in principle, survive creating something much smarter than you; it’s that it would require precision and preparation and new scientific insights, and probably not having AI systems composed of giant inscrutable arrays of fractional numbers.
    More from TIME

    Without that precision and preparation, the most likely outcome is AI that does not do what we want, and does not care for us nor for sentient life in general. That kind of caring is something that could in principle be imbued into an AI but we are not ready and do not currently know how.

    Absent that caring, we get “the AI does not love you, nor does it hate you, and you are made of atoms it can use for something else.”

    Bon bah y’avait les monstres #Nucléaires et #ChangementClimatique. On peut rajouter #IntelligenceArtificielle dans les menaces à l’échelle de l’espèce humaine.

  • Guerre en #Ukraine : « On aura une immigration de grande qualité dont on pourra tirer profit »

    Le président de la commission des Affaires étrangères à l’Assemblée nationale, #Jean-Louis_Bourlanges, a évoqué dans « Europe Matin » vendredi la « vague migratoire » qui se prépare en Europe, après l’invasion militaire russe en Ukraine. « Ce sera sans doute une immigration de grande qualité », prévient toutefois le député MoDem.

    C’est l’une des conséquences majeures de l’invasion militaire russe en Ukraine. Des milliers d’Ukrainiens vont fuir leur pays pour échapper aux combats. Jeudi, près de 100.000 d’entre eux avaient déjà quitté leur foyer, selon l’ONU. Invité d’Europe Matin vendredi, le président de la commission des Affaires étrangères à l’Assemblée nationale, Jean-Louis Bourlanges, a dit s’attendre « à des mouvements » de population, sans en connaître l’ampleur. « Il faut prévoir (le flux migratoire). Ce sera sans doute une immigration de grande qualité », a évoqué le député MoDem au micro de Lionel Gougelot.

    Pourquoi Poutine a intérêt à pousser à l’immigration

    Pour Jean-Louis Bourlanges, les Ukrainiens qui s’apprêtent à quitter leur pays seront « des intellectuels, et pas seulement, mais on aura une immigration de grande qualité dont on pourra tirer profit », a-t-il ajouté. En revanche, le député a estimé que cela allait dans le sens du président russe. « Pour des raisons politiques très claires, monsieur Poutine aura intérêt à ce qu’il y ait ces mouvements pour deux raisons », a affirmé Jean-Louis Bourlanges.

    D’abord, « pour se débarrasser d’opposants potentiels dans son pays. S’ils sont à l’extérieur, ils ne le gêneront pas », analyse le président de la commission des Affaires étrangères à l’Assemblée nationale. « Et pour nous embarrasser nous-même », a-t-il ajouté, « exactement comme a fait Loukachenko à la frontière de la Biélorussie et de la Pologne. » "Nos amis polonais s’apprêtent à recevoir des flots massifs", a souligné Jean-Louis Bourlanges.

    https://www.europe1.fr/politique/guerre-en-ukraine-on-aura-une-immigration-de-grande-qualite-dont-on-pourra-t

    #classification #tri #réfugiés #asile #migrations #Urkaine #réfugiés_ukrainiens #bon_réfugié #mauvais_réfugié
    #à_vomir #racisme

    –-

    Les formes de #racisme qui montrent leur visage en lien avec la #guerre en #Ukraine... en 2 fils de discussion sur seenthis :
    https://seenthis.net/messages/951232

    ping @isskein @karine4

    • « Il y a un geste humanitaire évident parce que la nature des réfugiés n’est pas contestable, on voit bien ce qu’ils fuient.
      Ensuite parce que ce sont des européens de culture.
      Et puis nous ne sommes pas face à des migrants qui vont passer dans une logique d’immigration »


      https://twitter.com/caissesdegreve/status/1497579243944878082

      Commentaire de Louis Witter sur twitter :

      Ce genre de waf waf de la casse automobile remonteront au créneau quand on verra ces mêmes exilés à Calais.

      https://twitter.com/LouisWitter/status/1497685913429815299

      #réfugiés_européens #européens_de_culture #culture #vrais_réfugiés

    • For Ukraine’s Refugees, Europe Opens Doors That Were Shut to Others

      Thousands of Ukrainians will end up in countries led by nationalist governments that have been reluctant to welcome refugees in the past.

      Russia’s invasion of Ukraine has pushed tens of thousands of people out of their homes and fleeing across borders to escape violence. But unlike the refugees who have flooded Europe in crises over the past decade, they are being welcomed.

      Countries that have for years resisted taking in refugees from wars in Syria, Iraq and Afghanistan are now opening their doors to Ukrainians as Russian forces carry out a nationwide military assault. Perhaps 100,000 Ukrainians already have left their homes, according to United Nations estimates, and at least half of them have crowded onto trains, jammed highways or walked to get across their country’s borders in what officials warn could become the world’s next refugee crisis.

      U.N. and American officials described their concerted diplomatic push for Ukraine’s neighbors and other European nations to respond to the outpouring of need. President Biden “is certainly prepared” to accept refugees from Ukraine, Jen Psaki, the White House press secretary, said on Thursday, but she noted that the majority of them would probably choose to remain in Europe so they could more easily return home once the fighting ended.

      “Heartfelt thanks to the governments and people of countries keeping their borders open and welcoming refugees,” said Filippo Grandi, the head of the U.N. refugee agency. He warned that “many more” Ukrainians were moving toward the borders.

      That means thousands will end up in countries led by nationalist governments that in past crises have been reluctant to welcome refugees or even blocked them.

      In Poland, government officials assisted by American soldiers and diplomats have set up processing centers for Ukrainians. “Anyone fleeing from bombs, from Russian rifles, can count on the support of the Polish state,” the Polish interior minister, Mariusz Kaminski, told reporters on Thursday. His government is spending hundreds of millions of dollars on a border wall, a project it began after refugees and migrants from the Middle East tried to reach the country last year but ended up marooned in neighboring Belarus.

      The military in Hungary is allowing in Ukrainians through sections of the border that had been closed. Hungary’s hard-line prime minister, Viktor Orban, has previously called refugees a threat to his country, and his government has been accused of caging and starving them.

      Farther West, Chancellor Karl Nehammer of Austria said that “of course we will take in refugees if necessary” in light of the crisis in Ukraine. As recently as last fall, when he was serving as interior minister, Mr. Nehammer sought to block some Afghans seeking refuge after the Taliban overthrew the government in Kabul.
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      “It’s different in Ukraine than in countries like Afghanistan,” he was quoted as saying during an interview on a national TV program. “We’re talking about neighborhood help.”

      Mr. Nehammer also said the number of Ukrainians seeking help was expected to be relatively small. At least 1.3 million people — mostly from Syria, Iraq and Afghanistan — applied for asylum in Europe in 2015 during what was widely regarded as the worst refugee crisis since World War II, stretching national budgets and creating a backlash of political nativism in countries across the continent.

      Some estimates project that at least one million refugees will flee Ukraine because of the Russian invasion. Linda Thomas-Greenfield, the U.S. ambassador to the United Nations, said this past week that the fighting could uproot as many as five million people, “putting pressure on Ukraine’s neighbors.”

      Diplomats and experts said European states that are willing to take in Ukrainians might be trying, in part, to highlight Russian aggressions against civilians by offering a humanitarian response. “If you think of causing the refugee crisis as one of Putin’s tools to destabilize the West, then a calm, efficient, orderly response is a really good rebuke to that,” said Serena Parekh, a professor at Northeastern University in Boston and the director of its politics, philosophy and economics program.

      “On the other hand,” said Ms. Parekh, who has written extensively about refugees, “it’s hard not to see that Ukrainians are white, mostly Christian and Europeans. And so in a sense, the xenophobia that’s really arisen in the last 10 years, particularly after 2015, is not at play in this crisis in the way that it has been for refugees coming from the Middle East and from Africa.”

      The Biden administration is also facing calls to take in Ukrainian refugees, much in the way it gave residency or humanitarian parole to more than 75,000 Afghans when the Taliban seized power in August.

      It is unlikely, at the moment at least, that the United States would offer a humanitarian parole program for Ukrainians that goes above what is currently allowed for the total number of refugee admissions for the current fiscal year. That number is capped at 125,000 this year — including 10,000 refugees from Europe and Central Asia. The guidelines set aside another 10,000 slots for refugees from any part of the world, as regional emergencies warrant.

      Ms. Psaki did not comment when asked by a reporter whether the administration would offer temporary residency protections, a program known as T.P.S., to Ukrainian students, workers and others who are in the United States to ensure they are not deported when their legal visas expire.

      “The war in Ukraine is exactly the type of crisis T.P.S. was created for — to allow people to live and work in the United States when they are unable to return home safely,” Senator Bob Menendez, Democrat of New Jersey and the chairman of the Foreign Relations Committee, said on Thursday night.

      Ms. Psaki said the United States had sent an estimated $52 million in humanitarian aid to Ukraine over the last year to help people, mostly in the eastern Donbas region, where the current war began as a slow-burn conflict between Ukraine’s military and Russian-backed separatists in 2014. Nearly 1.5 million people had been forced from their homes by the fighting even before the invasion this past week.

      Additionally, the U.S. Agency for International Development sent a team of disaster experts to Poland in the past week to assess demand for aid to the region — including water, food, shelter, medicine and other supplies — and to coordinate its delivery. Hours after the invasion began, the United Nations announced it would divert $20 million in emergency funds for humanitarian assistance to Ukrainians, mostly to the Donbas region.

      A European diplomat who is closely watching the refugee flow from Ukraine said neighboring nations might also feel the pull of history in welcoming people in danger as a direct result of Russia’s aggressions. A Soviet crackdown on a Hungarian uprising in 1956, for example, resulted in 200,000 refugees, most of whom fled to Austria before they were settled in dozens of countries across Europe. Between 80,000 and 100,000 people — and perhaps even more than that — left what was then Czechoslovakia to escape a Soviet invasion in 1968 that was launched to silence pro-democracy Prague Spring protests.

      In both cases, the United States sent aid to help European countries settle refugees and, in the Hungarian crisis, “in a matter of months, there were no more refugees — they had been found a permanent home,” Ms. Parekh said.

      That was largely the result of the United States working with European states to resettle the Hungarians, she said, calling the effort “an exception, historically.”

      “It was a similar thing — people fleeing our Russian enemy — that motivated us,” she said.

      https://www.nytimes.com/2022/02/26/us/politics/ukraine-europe-refugees.html?smid=tw-share

      #fermeture_des_frontières #ouverture_des_frontières #frontières

    • Deserving and undeserving refugees ...

      On February 24, 2022, Russia invaded Ukraine. Appearing on television from an undisclosed location, Ukraine’s president, Volodymyr Zelenskyy, warned the world that Vladimir Putin was attacking not only his country, but waging “a war against Europe.”

      Following the all-out invasion of Ukraine by land, air and sea, Ukrainians began fleeing their homes in the eastern part of the country. Most were headed to other parts of Ukraine, while others began to trickle across international borders into Poland and other Central European countries. It is hard to predict how many of the 44 million Ukrainians will seek refugee outside the borders of their country.

      When refugees flee, we watch who offers safe haven and assistance.

      Hours after the Russian attack on Ukraine, the Bureau for Foreigners’ Affairs in the Polish Ministry of Interior set up a website, in Polish and in Ukrainian, offering information on available assistance to Ukrainian refugees. The website provides legal information on how to launch an asylum claim and regularize one’s stay in Poland. It also provides scannable QR codes for eight reception centers near crossing points on the 500-kilometer Polish-Ukrainian border. Adam Niedzielski, the Polish Health Minister, said Poland will set up a special medical train to ferry injured people to 120 Polish hospitals. “We think that at this moment it would be possible to accept several thousand patients — wounded in military actions,” he told Politico.

      Poland has even made an exception for Ukrainians evacuating with their pets. The Chief Veterinarian of Poland has eased restrictions on dogs and cats crossing the Polish border.

      Don’t get me wrong, I think Ukrainians (and their pets) should receive as much assistance as they need, but the irony of this immediate offer to help, extended by the Polish government and the rest of the Visegrád 4, is not lost on me.

      The Ukrainian refugees are white, European, and Christian. They are the “deserving refugees.”

      Slovakia’s Prime Minister explicitly stated that everyone fleeing the war deserves help according to international law. The Visegrád group’s position was quite different following the “refugee crisis” of 2015.

      The Polish government led by the nationalist Law and Justice (PiS) party refused to take part in the EU efforts to relocate and resettle asylum seekers arriving in other member countries. Hungary recruited border hunters and erected barbed wire fence along its border with Serbia. On September 16, 2016, the V4 issued a joint statement expressing concern about the decreasing sense of security resulting from the arrival of Muslim refugees from war-torn Syria; vowing to cooperate with third countries to protect borders, and calling for “flexible solidarity.”

      I am glad that Poland, my country of birth, wants to extend a helping hand to Ukrainians fleeing war and accept as many as one million refugees if necessary.

      At the same time, I cannot forget the Afghans and Syrians at the Polish-Belarusian border, dying in the cold winter forest in an attempt to cross into Poland to launch an asylum claim. They are kept at arm’s length. Because they are Muslim, the Polish government sees them as a security threat. Citing danger to Polish citizens living in the borderlands, on September 2, 2021, the President of Poland declared a state of emergency in 15 localities in the Podlasie Province and 68 localities in the Lublin Province.

      These brown and non-Christian asylum seekers are apparently not the deserving ones.

      https://www.elzbietagozdziak.com/post/deserving-and-undeserving-refugees

    • Propositions d’accorder une #protection_temporaire aux réfugiés urkainiens de la part des pays de l’UE :

      While a proposal to activate the 2001 #Temporary_Protection_Directive for Ukrainians fleeing the country was “broadly welcomed” by the ministers during their extraordinary meeting on Sunday (27 February), a formal decision will only be made on Thursday, EU Home Affairs and Migration Commissioner Ylva Johansson said after the talks.
      The exceptional measure, which has never been activated before, is meant to deal with situations where the standard asylum system risks being overburdened due to a mass influx of refugees.

      https://seenthis.net/messages/951046

    • [Thread] Here is a collection of most racist coverage of #Russia's attack on #Ukraine. We are being told who deserves war, missiles, & who looks like a good refugee.
      This only serves to mislead viewers & decontextualise conflicts. Hypocrisy & its randomness..

      https://twitter.com/saracreta/status/1498072483819307011

    • Réfugiés ukrainiens : l’indignité derrière la solidarité

      Pour justifier leur soudain élan d’humanité, certains éditorialistes et responsables politiques n’ont rien trouvé de mieux que de distinguer les bons et les mauvais réfugiés. Ils convoquent leur « ressemblance » avec les Ukrainiens, mais n’expriment rien d’autre que leur racisme.

      Pour justifier leur soudain élan d’humanité, certains éditorialistes et responsables politiques n’ont rien trouvé de mieux que de distinguer les bons et les mauvais réfugiés. Ils convoquent leur « ressemblance » avec les Ukrainiens, mais n’expriment rien d’autre que leur racisme.

      « L’hypocrisie, toujours la même. » Cédric Herrou n’a pas caché son écœurement en découvrant le message posté, samedi dernier, par le maire de Breil-sur-Roya (Alpes-Maritimes) en solidarité avec la population ukrainienne. « Le même maire qui a fait sa campagne électorale contre l’accueil que nous avions fait pour d’autres populations victimes de guerres. Seule différence, ces populations étaient noires », a réagi l’agriculteur, l’un des symboles de l’aide aux migrants, grâce auquel la valeur constitutionnelle du principe de fraternité a été consacrée en 2018.

      Un principe qui se rappelle depuis quelques jours au souvenir de nombreuses personnes qui semblaient l’avoir oublié, trop occupées qu’elles étaient à se faire une place dans un débat public gangréné par le racisme et la xénophobie. Il y a deux semaines, lorsque la guerre russe était un spectre lointain et que la campagne présidentielle s’accrochait aux seules antiennes d’extrême droite, rares étaient celles à souligner que la solidarité n’est pas une insulte et qu’elle ne constitue aucun danger.

      Les mêmes qui jonglaient avec les fantasmes du « grand remplacement » et agitaient les questions migratoires au rythme des peurs françaises expliquent aujourd’hui que l’accueil des réfugiés ukrainiens en France est un principe qui ne se discute pas. À l’exception d’Éric Zemmour, dont la nature profonde – au sens caverneux du terme – ne fait plus aucun mystère, la plupart des candidat·es à la présidentielle se sont prononcé·es en faveur de cet accueil, à quelques nuances près sur ses conditions.

      Mais parce que le climat politique ne serait pas le même sans ce petit relent nauséabond qui empoisonne toute discussion, des responsables politiques et des éditorialistes se sont fourvoyés dans des explications consternantes, distinguant les réfugiés de l’Est de ceux qui viennent du Sud et du Moyen-Orient. Ceux auxquels ils arrivent à s’identifier et les autres. Ceux qui méritent d’être aidés et les autres. Les bons et les mauvais réfugiés, en somme.

      Ainsi a-t-on entendu un éditorialiste de BFMTV expliquer que cette fois-ci, « il y a un geste humanitaire immédiat, évident [...] parce que ce sont des Européens de culture » et qu’« on est avec une population qui est très proche, très voisine », quand un autre soulignait qu’« on ne parle pas là de Syriens qui fuient les bombardements du régime syrien [mais] d’Européens qui partent dans leurs voitures qui ressemblent à nos voitures, qui prennent la route et qui essaient de sauver leur vie, quoi ! »

      Dès le 25 février, sur Europe 1, le député MoDem Jean-Louis Bourlanges, qui n’occupe rien de moins que la présidence de la commission des affaires étrangères de l’Assemblée nationale, avait quant à lui indiqué qu’il fallait « prévoir un flux migratoire ». Mais attention : « ce sera sans doute une immigration de grande qualité », avait-il pris soin de préciser, évoquant « des intellectuels, et pas seulement ». Bref, « une immigration de grande qualité dont on pourra tirer profit ».

      Ces propos ont suscité de vives réactions que l’éditorialiste de BFMTV et l’élu centriste ont balayées avec la mauvaise foi des faux crédules mais vrais politiciens, le premier les renvoyant à « la gauche “wokiste” » – un désormais classique du genre –, le deuxième à « l’extrême gauche » – plus classique encore, éculé même. « Il faut avoir un esprit particulièrement tordu pour y voir une offense à l’égard de quiconque », a ajouté Jean-Louis Bourlanges, aux confins du « on ne peut plus rien dire ».

      C’est vrai enfin, s’indignerait-on aux « Grandes Gueules », « c’est pas du racisme, c’est la loi de la proximité ». D’ailleurs, le même type de commentaire a fleuri dans des médias étrangers, tels CBS News, Al Jazzeera, la BBC ou The Telegraph, comme autant de « sous-entendus orientalistes et racistes » condamnés par l’Association des journalistes arabes et du Moyen-Orient (Ameja). Preuve, s’il en fallait, que le racisme – pardon, « la loi de proximité » – n’est pas une exception française.

      Suivant la directive d’Emmanuel Macron qui a confirmé que « la France prendra sa part » dans l’accueil des réfugiés ukrainiens, le gouvernement multiplie lui aussi les communications depuis quelques jours, le plus souvent par la voix du ministre de l’intérieur. Ces réfugiés « sont les bienvenus en France » a ainsi déclaré Gérald Darmanin lundi, avant d’appeler « tous les élus […] à mettre en place un dispositif d’accueil » et à « remonter, les associations, les lieux d’hébergement au préfet ».

      Dans le même élan de solidarité, la SNCF a annoncé que les réfugiés ukrainiens pourraient désormais « circuler gratuitement en France à bord des TGV et Intercités ». « Belle initiative de la SNCF mais je rêve d’une solidarité internationale étendue à TOUS les réfugiés, qu’ils fuient la guerre en Ukraine ou des conflits armés en Afrique ou encore au Moyen-Orient. Les réfugiés ont été et sont encore trop souvent refoulés et maltraités », a réagi la présidente d’Amnesty International France, Cécile Coudriou.

      Car au risque de sombrer dans le « wokisme » – ça ne veut rien dire, mais c’est le propre des appellations fourre-tout –, on ne peut s’empêcher de noter que ces initiatives, plus que nécessaires, tranchent singulièrement avec les politiques à l’œuvre depuis des années au détriment des exilé·es : l’absence de dispositif d’accueil digne de ce nom ; le harcèlement quasi quotidien de la part des forces de l’ordre, qui lacèrent des tentes, s’emparent des quelques biens, empêchent les distributions de nourriture ; le renforcement permanent des mesures répressives…

      Or comme l’écrivait récemment la sociologue et écrivaine Kaoutar Harchi, « un accueil digne, une aide sans condition, un accès immédiat à des repas, à des soins, à des logements, un soutien psychologique, devraient être accordés à toute personne qui est en France et qui souffre. Mais c’est sans compter le racisme qui distribue l’humanité et l’inhumanité ». C’est bien lui qui se profile aujourd’hui derrière la solidarité retrouvée de certain·es.

      Le 16 août 2021, alors que les images d’Afghans s’accrochant au fuselage d’avions pour fuir l’avancée des talibans faisaient le tour du monde, Emmanuel Macron déclarait : « L’Afghanistan aura aussi besoin dans les temps qui viennent de ses forces vives et l’Europe ne peut pas à elle seule assumer les conséquences de la situation actuelle. Nous devons anticiper et nous protéger contre les flux migratoires irréguliers importants. » Imagine-t-on cette phrase prononcée dans le contexte actuel ? La réponse est évidemment non. Et son corollaire fait honte.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/010322/refugies-ukrainiens-l-indignite-derriere-la-solidarite

    • They are ‘civilised’ and ‘look like us’: the racist coverage of Ukraine

      Are Ukrainians more deserving of sympathy than Afghans and Iraqis? Many seem to think so

      While on air, CBS News senior foreign correspondent Charlie D’Agata stated last week that Ukraine “isn’t a place, with all due respect, like Iraq or Afghanistan, that has seen conflict raging for decades. This is a relatively civilized, relatively European – I have to choose those words carefully, too – city, one where you wouldn’t expect that, or hope that it’s going to happen”.

      If this is D’Agata choosing his words carefully, I shudder to think about his impromptu utterances. After all, by describing Ukraine as “civilized”, isn’t he really telling us that Ukrainians, unlike Afghans and Iraqis, are more deserving of our sympathy than Iraqis or Afghans?

      Righteous outrage immediately mounted online, as it should have in this case, and the veteran correspondent quickly apologized, but since Russia began its large-scale invasion on 24 February, D’Agata has hardly been the only journalist to see the plight of Ukrainians in decidedly chauvinistic terms.

      The BBC interviewed a former deputy prosecutor general of Ukraine, who told the network: “It’s very emotional for me because I see European people with blue eyes and blond hair … being killed every day.” Rather than question or challenge the comment, the BBC host flatly replied, “I understand and respect the emotion.” On France’s BFM TV, journalist Phillipe Corbé stated this about Ukraine: “We’re not talking here about Syrians fleeing the bombing of the Syrian regime backed by Putin. We’re talking about Europeans leaving in cars that look like ours to save their lives.”

      In other words, not only do Ukrainians look like “us”; even their cars look like “our” cars. And that trite observation is seriously being trotted out as a reason for why we should care about Ukrainians.

      There’s more, unfortunately. An ITV journalist reporting from Poland said: “Now the unthinkable has happened to them. And this is not a developing, third world nation. This is Europe!” As if war is always and forever an ordinary routine limited to developing, third world nations. (By the way, there’s also been a hot war in Ukraine since 2014. Also, the first world war and second world war.) Referring to refugee seekers, an Al Jazeera anchor chimed in with this: “Looking at them, the way they are dressed, these are prosperous … I’m loath to use the expression … middle-class people. These are not obviously refugees looking to get away from areas in the Middle East that are still in a big state of war. These are not people trying to get away from areas in North Africa. They look like any.” Apparently looking “middle class” equals “the European family living next door”.

      And writing in the Telegraph, Daniel Hannan explained: “They seem so like us. That is what makes it so shocking. Ukraine is a European country. Its people watch Netflix and have Instagram accounts, vote in free elections and read uncensored newspapers. War is no longer something visited upon impoverished and remote populations.”

      What all these petty, superficial differences – from owning cars and clothes to having Netflix and Instagram accounts – add up to is not real human solidarity for an oppressed people. In fact, it’s the opposite. It’s tribalism. These comments point to a pernicious racism that permeates today’s war coverage and seeps into its fabric like a stain that won’t go away. The implication is clear: war is a natural state for people of color, while white people naturally gravitate toward peace.

      It’s not just me who found these clips disturbing. The US-based Arab and Middle Eastern Journalists Association was also deeply troubled by the coverage, recently issuing a statement on the matter: “Ameja condemns and categorically rejects orientalist and racist implications that any population or country is ‘uncivilized’ or bears economic factors that make it worthy of conflict,” reads the statement. “This type of commentary reflects the pervasive mentality in western journalism of normalizing tragedy in parts of the world such as the Middle East, Africa, south Asia, and Latin America.” Such coverage, the report correctly noted, “dehumanizes and renders their experience with war as somehow normal and expected”.

      More troubling still is that this kind of slanted and racist media coverage extends beyond our screens and newspapers and easily bleeds and blends into our politics. Consider how Ukraine’s neighbors are now opening their doors to refugee flows, after demonizing and abusing refugees, especially Muslim and African refugees, for years. “Anyone fleeing from bombs, from Russian rifles, can count on the support of the Polish state,” the Polish interior minister, Mariusz Kaminski, recently stated. Meanwhile, however, Nigeria has complained that African students are being obstructed within Ukraine from reaching Polish border crossings; some have also encountered problems on the Polish side of the frontier.

      In Austria, Chancellor Karl Nehammer stated that “of course we will take in refugees, if necessary”. Meanwhile, just last fall and in his then-role as interior minister, Nehammer was known as a hardliner against resettling Afghan refugees in Austria and as a politician who insisted on Austria’s right to forcibly deport rejected Afghan asylum seekers, even if that meant returning them to the Taliban. “It’s different in Ukraine than in countries like Afghanistan,” he told Austrian TV. “We’re talking about neighborhood help.”

      Yes, that makes sense, you might say. Neighbor helping neighbor. But what these journalists and politicians all seem to want to miss is that the very concept of providing refuge is not and should not be based on factors such as physical proximity or skin color, and for a very good reason. If our sympathy is activated only for welcoming people who look like us or pray like us, then we are doomed to replicate the very sort of narrow, ignorant nationalism that war promotes in the first place.

      The idea of granting asylum, of providing someone with a life free from political persecution, must never be founded on anything but helping innocent people who need protection. That’s where the core principle of asylum is located. Today, Ukrainians are living under a credible threat of violence and death coming directly from Russia’s criminal invasion, and we absolutely should be providing Ukrainians with life-saving security wherever and whenever we can. (Though let’s also recognize that it’s always easier to provide asylum to people who are victims of another’s aggression rather than of our own policies.)

      But if we decide to help Ukrainians in their desperate time of need because they happen to look like “us” or dress like “us” or pray like “us,” or if we reserve our help exclusively for them while denying the same help to others, then we have not only chosen the wrong reasons to support another human being. We have also, and I’m choosing these words carefully, shown ourselves as giving up on civilization and opting for barbarism instead.

      https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/mar/02/civilised-european-look-like-us-racist-coverage-ukraine?CMP=Share_iOSAp

    • Guerre en Ukraine : « Nos » réfugiés d’abord ?

      Il est humainement inacceptable que l’Europe et la Belgique fassent une distinction entre des réfugiés qui fuient la guerre depuis un pays du continent européen et les autres.

      Bonne nouvelle : le secrétaire d’Etat à l’Asile et à la Migration Sammy Mahdi met tout en œuvre pour accueillir dans notre pays le plus grand nombre possible de personnes fuyant l’Ukraine. Elles peuvent compter sur une protection automatique d’un an, extensible à trois ans si nécessaire. Cet accord (européen) inconditionnel, sans procédure d’asile, est unique et sans précédent. Mais sur quoi se base-t-il ?

      « Nous avons le devoir moral d’aider et de faire preuve de solidarité », a déclaré le secrétaire d’État dans De Zevende Dag. « Nous ne devons pas tarder à mettre à disposition un refuge sûr. »

      Un demi-million d’Ukrainiens ont déjà fui le pays vers l’Europe, et six à sept millions d’autres pourraient suivre. Une telle réponse humaine et directe aux personnes qui fuient la guerre doit être saluée. Les personnes dont la vie est menacée par la guerre méritent un refuge sûr ailleurs, un statut légal et une aide de base pour survivre. En cela, l’hospitalité de Mahdi suit l’esprit de la Convention des Nations unies sur les réfugiés de 1951 et du Protocole de New York de 1967. C’est un geste logique et humain.
      Frontières sacrées

      Toutefois, le contraste est troublant avec la réaction européenne envers tant d’autres personnes démunies qui ont dû quitter des zones de conflit turbulentes et qui sont « accueillies » à nos frontières extérieures par de hauts murs, des barbelés et une surveillance numérique dans laquelle l’UE investit des milliards. Les mêmes ministres européens de la Migration qui accueillent aujourd’hui les Ukrainiens/nes à bras ouverts se tenaient à la frontière entre la Lituanie et la Biélorussie en janvier dernier, en contemplant le nouveau parapet de la forteresse Europe.

      Un mur similaire est actuellement en cours de construction entre la Pologne et la Biélorussie, pour un coût de 350 millions d’euros : 5,5 m de haut, 186 km de long. Sur Facebook, le Premier ministre polonais a posté : « La frontière polonaise n’est pas seulement une ligne sur une carte. La frontière est sainte – le sang polonais a été versé pour elle ! »

      C’est précisément sur cette frontière sacrée qu’au moins 19 personnes ont été retrouvées mortes (gelées) depuis le début des travaux : des personnes originaires du Yémen, d’Irak et du Nigeria.

      Apparemment, la souffrance est mesurable sur une échelle. Apparemment, comme l’écrit la philosophe Judith Butler, certaines vies méritent d’être pleurées tandis que d’autres peuvent être traquées, illégalisées, exploitées sur le marché du travail et laissées à la merci de la politique belge d’asile et de migration. Comme si un habitant de Kaboul avait moins de raisons humaines de fuir qu’un habitant de Kiev ? Comme si notre « devoir moral d’aider » était aussi un interrupteur que l’on peut allumer et éteindre à volonté ? Alors que sous l’ancien secrétaire d’État Theo Francken, un projet de loi autorisait la police à faire une simple descente chez tous ceux qui accueillent des personnes déplacées, le hashtag #PlekVrij (#EspaceLibre) appelle désormais les citoyens/nes à libérer des chambres pour les familles ukrainiennes. Il n’y a pas plus schizophrène que cela dans l’État belge.

      Trouvez les dix différences

      Une mère réfugiée avec son enfant et une mère réfugiée avec son enfant : cherchez les dix différences. La principale différence est claire : si la mère porte un foulard ou si l’enfant est moins blanc, on aurait moins envie de les laisser entrer. Plusieurs Ukrainiens/n.s et résidents/es en Ukraine noirs témoignent aujourd’hui sur les médias sociaux de la façon dont ils ont été arrêtés/es à la frontière polonaise, volés/es et abandonnés/es à leur sort. La conclusion évidente va à l’encontre de toute convention internationale : notre politique d’asile européenne et belge est discriminatoire sur la base de la couleur et de la religion. Nos réfugiés à nous passent avant tout le monde.

      La décision véhémente de Mahdi rappelle presque l’« opération de sauvetage » controversée et très sélective de 1.500 chrétiens syriens menée par Francken en 2015. En même temps, les Afghans/nes n’ont pas pu compter sur la solidarité de Mahdi sur Twitter lors de la prise du pouvoir par les talibans l’année dernière. À l’époque, il avait écrit, avec cinq collègues de l’UE, une autre lettre à la Commission européenne pour demander que les rapatriements forcés vers l’Afghanistan ne cessent pas : « L’arrêt des retours forcés envoie un mauvais signal et incite probablement encore plus de citoyens/nes afghans/nes à quitter leur foyer. »

      Ceux qui insinuent que fuir la guerre en Ukraine est en effet « quelque chose de différent » que de fuir un conflit armé en Afghanistan, doivent enfin invoquer le type de solidarité populaire historique que beaucoup méprisent aujourd’hui chez Poutine. Il s’agit d’une distinction peu différente de l’aryanisme latent dont un procureur ukrainien s’est fait l’écho sur la BBC : « Cette guerre est très émotionnelle pour moi parce que je vois maintenant des Européens aux yeux bleus et aux cheveux blonds se faire tuer. » (1) Dans l’Europe de 2022, même dans la mort, tout le monde n’est pas égal.

      Pensez aux 23.000 personnes qui sont mortes en Méditerranée depuis 2014 à cause du régime frontalier européen. Le nationalisme de la Russie et le continentisme de l’UE ont peut-être des visages différents, mais des conséquences mortelles similaires.
      #InMyName

      Par conséquent, la préoccupation actuelle pour l’Ukraine ne devrait pas être une exception, mais devrait devenir la norme pour tous ceux qui sont contraints de quitter leur patrie. Tant que cette égalité n’est pas atteinte, le régime d’accueil spécial de l’Europe n’indique pas l’hospitalité, mais la suprématie blanche. Une fois de plus, ce statut spécial pour les Ukrainiens/nes confirme ce que 160 avocats/es belges spécialisés/es dans le droit de l’immigration ont dénoncé dans une lettre ouverte parue dans La Libre en décembre : notre politique de régularisation n’est que du vent.

      Devrons-nous donc espérer qu’à chaque crise, le secrétaire d’État se comporte en héros : « tel ou tel groupe a désormais droit à notre accueil temporaire et exceptionnel » ?

      Non, nous avons besoin de cadres juridiques équitables pour le long terme. Ce que l’État belge offre aujourd’hui, à juste titre, aux citoyens/nes ukrainiens/nes devrait s’appliquer à tout le monde : attention, confiance fondamentale, action rapide, absence d’ambiguïté. Si nous pouvons prendre en charge des millions de victimes de Poutine, nous devrions également être en mesure de garantir un avenir à quelques dizaines de milliers de concitoyens/nes sans papiers en Belgique. On dirait qu’il y a un #EspaceLibre.

      https://www.lesoir.be/427956/article/2022-03-04/guerre-en-ukraine-nos-refugies-dabord
      #Belgique

    • Le vrai ou faux : les réfugiés ukrainiens sont-ils mieux accueillis que d’autres ?

      En plus d’une exemption de procédure, les réfugiés venant d’Ukraine bénéficient d’un effort d’accueil en décalage par rapport aux standards européens.
      Depuis des semaines, la Belgique laisse chaque jour une partie des demandeurs d’asile sur le carreau, sans prise en charge, renvoyant les déçus vers les réseaux d’accueil de sans-abrisme, voire les squats et la rue. L’Etat est en faute, il a été condamné pour cela. Mais le secrétaire d’Etat et son administration n’ont cessé d’assurer faire leur possible pour aménager de nouvelles places, ne pouvant cependant couvrir les besoins. Avec le déclenchement de la guerre en Ukraine et le mouvement de solidarité face aux déjà deux millions de réfugiés boutés hors du pays, 24.000 places d’accueil ont été mises à disposition en quelques jours par les communes et les particuliers pour accueillir les réfugiés en Belgique. Le système est encore boiteux, mais la mobilisation est là. Les élus tonnent au Parlement et sur les réseaux sociaux : il n’est pas question de laisser un Ukrainien sans toit. Et Theo Francken (N-VA) de surenchérir : un toit ne suffit pas, il faut penser à l’accompagnement psychologique des personnes traumatisées par la guerre. Voilà des années pourtant que les associations alertent sur l’indigence de la prise en charge psychologique des réfugiés, sans trouver d’écho.

      L’Union européenne est-elle en train de formaliser un double standard pour les réfugiés, avec des Ukrainiens bénéficiant d’un statut automatique et des Erythréens, Syriens, Afghans soumis à une procédure d’asile longue et souvent douloureuse ? Oui. Y a-t-il lieu de s’en offusquer ? Tout dépend de ce dont on parle.

      L’activation de la protection temporaire qui octroie automatiquement une série de droits aux ressortissants ukrainiens ayant quitté le pays depuis le début du conflit a été unanimement saluée, tout comme l’élan de solidarité qui l’accompagne dans les pays européens. La question qui se pose depuis est plutôt de savoir pourquoi elle n’avait jamais été appliquée jusqu’à maintenant ? Qu’il s’agisse des déplacements de populations provoqués par les printemps arabes (en Tunisie, en Libye) ou la guerre en Syrie, les occasions n’ont pas manqué depuis sa création en 2001.

      Meltem Ineli Ciger a passé près de sept ans de sa vie à étudier la question. Pour sa thèse, à l’université de Bristol, puis à l’occasion de diverses publications jusqu’en 2018. De quoi construire une solide analyse expliquant pourquoi la directive est de facto inapplicable : maladresse dans la définition des termes et conditions, mécanisme d’activation trop complexe, défaut de solidarité structurel… Il n’aura fallu que quelques jours pour envoyer son travail à la poubelle (ou pas loin). « Comme j’ai pu avoir tort », relève non sans humour et amertume la juriste turque dans une note de blog du réseau Odysseus, spécialisé dans le droit européen de la migration. « Les événements de ces deux dernières semaines montrent une chose : les raisons que j’avais identifiées au fil des ans se réduisent à une réflexion : la directive protection temporaire n’a pas été implémentée avant 2022 parce que la Commission et le Conseil n’avaient simplement pas la volonté politique de le faire. »

      Un flux massif et inédit

      La chercheuse, aujourd’hui professeur assistante à l’université Suleyman Demirel, en Turquie, a donc revu sa copie, dressant des constats que rejoignent les différents experts contactés.

      D’abord, le caractère massif et inédit des flux de réfugiés ukrainiens. Même si les grands mouvements d’asile de 2015-2016 ont amené plus de 2 millions de personnes dans l’Union européenne, les flux se sont répartis sur deux ans. Et les Syriens, qui auraient pu prétendre à une protection automatique, ne représentaient qu’un gros quart des demandeurs. Une pression jugée absorbable par le système classique d’asile. Ici, deux millions de personnes ont traversé les frontières en 12 jours. Impossible de mener des évaluations individuelles détaillées sans provoquer des engorgements dramatiques, que ce soit à la frontière ou dans les pays d’arrivée où le système d’asile est parfois déjà en état de saturation (comme en Belgique). Surtout qu’il n’y a pas de débat quant à savoir les personnes déplacées ont besoin de protection.

      L’autre facteur, c’est la crainte de l’appel d’air, qui a jusque-là systématiquement retenu les Etats membres. « L’enjeu, c’est l’hinterland », souligne Jean-Louis De Brouwer (Institut Egmont), qui a participé à la création de la directive. « Quand il y a la crise en Syrie ou en Afghanistan, les réfugiés vont traverser de vastes territoires qui peuvent être des pays de premier accueil. La réaction systématique et immédiate de l’Union européenne, c’est de dire : on va aider les pays limitrophes. La crainte étant qu’en activant un statut perçu comme potentiellement trop généreux tout le monde veuille venir en Europe. » Une forme de solidarité a minima qui s’accompagne d’un travail de sécurisation de la frontière via des accords avec des pays tiers d’accueil ou de transit (comme la Turquie, le Niger ou la Libye), des entraves (barbelés, murs), voire des opérations de refoulement illégales. « Ici, il n’est pas question d’appel d’air : quand les réfugiés franchissent la frontière, ils sont sur le territoire européen. »
      Une empathie sélective

      Enfin, les Ukrainiens sont européens (eux). Les médias n’ont pas tardé à rapporter les dérapages d’hommes politiques ou journalistes qualifiant cette population réfugiée d’inhabituelle car « éduquée » et issue de régions « civilisées », signes d’une empathie sélective reposant parfois sur des biais douteux. Sans parler des discriminations des étudiants étrangers, notamment nigérians, bloqués à la frontière polonaise.

      Une des rares modifications apportée par les Etats membres à la proposition de la Commission pour activer la directive a été d’exclure du mécanisme les ressortissants de pays tiers sans résidence permanente (les étudiants et les demandeurs d’asile par exemple). Et parce que les Ukrainiens sont européens, les Etats membres ont totalement renversé les paradigmes cadrant normalement les questions d’asile : les réfugiés sont ici invités à s’installer dans le pays de leur choix. La solidarité européenne se construira à partir de cette répartition spontanée et non en vertu de règles définissant des pays (frontaliers) responsables. Si cette approche résulte d’un certain pragmatisme (les Ukrainiens n’ont pas d’obligation de visa et peuvent se déplacer librement pendant 90 jours), elle est encouragée et présentée très positivement par la Commission. A 180 degrés des discours portés ces dernières années concernant les demandeurs d’asile, bloqués par le carcan d’une procédure Dublin (*) que tout le monde reconnaît pourtant comme inefficace et coûteuse.

      A vrai dire, l’enjeu du double standard devrait peser surtout dans les mois qui viennent, à supposer que le conflit en Ukraine se poursuive. La protection temporaire et le statut de réfugié ouvrent des droits assez similaires (séjour, accès au marché du travail, aux droits sociaux…). Il s’agira donc de voir si les dispositifs déployer pour aider et accueillir les Ukrainiens – pour l’accès au logement, au travail, à l’apprentissage de la langue – sans laisser sur la touche les autres réfugiés, voire les populations européennes précarisées

      https://www.lesoir.be/428815/article/2022-03-08/le-vrai-ou-faux-les-refugies-ukrainiens-sont-ils-mieux-accueillis-que-dautres

      #double_standard #empathie_sélective

    • #Grèce : Πραγματική προσφυγική πολιτική μόνο για Ουκρανούς
      –->

      Une véritable politique des réfugiés uniquement pour les Ukrainiens

      Πολλοί από τους χιλιάδες Ουκρανούς πρόσφυγες που έφτασαν στην Ελλάδα δεν έχουν χαρτιά, αλλά κανείς δεν διανοήθηκε να τους πει « παράνομους » ή « λαθραίους », να τους χαρακτηρίσει « υγειονομική απειλή » λόγω της πανδημίας, να μιλήσει για απειλή στην εδαφική ακεραιότητα, να υπαινιχθεί αλλοίωση του εθνικού μας πολιτισμού, να επισημάνει ανυπέρβλητες γλωσσικές και πολιτισμικές διαφορές που εμποδίζουν την ένταξή τους στην ελληνική κοινωνία, να εκφράσει φόβο για αύξηση της εγκληματικότητας ή να υπαινιχθεί ότι θα μας πάρουν τις δουλειές.

      Μέσα σε μια νύχτα τα κλειστά σύνορα άνοιξαν και δημιουργήθηκε ασφαλής και νόμιμη διαδρομή μέσω του Προμαχώνα, όπου οι πρόσφυγες υποβάλλουν αίτημα για ταξιδιωτικά έγγραφα. Το υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου διαθέτει άμεσα χώρο στέγασης και σίτιση και ο κ. Μηταράκης, που μέχρι πρόσφατα ανακοίνωνε κλείσιμο δομών και εξώσεις, τώρα επιθεωρεί δομές της βόρειας Ελλάδας που ξαναγεμίζουν. Η υπηρεσία Ασύλου, κλειστή από τον Νοέμβριο για χιλιάδες νεοεισερχόμενους πρόσφυγες της ενδοχώρας που δεν μπορούν να ζητήσουν άσυλο, ανοίγει ξαφνικά για να δεχτεί τα αιτήματα των Ουκρανών για προσωρινή προστασία.

      Οι αρχές προαναγγέλλουν άμεση έκδοση ΑΜΚΑ και ΑΦΜ και γρήγορη πρόσβαση στην αγορά εργασίας, ενώ το υπουργείο Παιδείας απλοποιεί την εγγραφή των Ουκρανών προσφυγόπουλων στα σχολεία, που έχει ήδη αρχίσει. Μέσα σε λίγες μέρες το κράτος μοιάζει ξαφνικά με καλολαδωμένη μηχανή που λύνει προβλήματα αντί να βάζει εμπόδια. Η νέα κανονικότητα που δημιουργεί στο προσφυγικό η ρωσική εισβολή στην Ουκρανία είναι επιθυμητή και καλοδεχούμενη. Αναδεικνύει όμως τη βαθιά υποκρισία της ευρωπαϊκής και ελληνικής αντιπροσφυγικής πολιτικής των τελευταίων χρόνων, που εξακολουθεί να θεωρείται κανονικότητα για τους πρόσφυγες της Μέσης Ανατολής, της Ασίας και της Αφρικής, είναι όμως πια απογυμνωμένη από προφάσεις, ψέματα και φαιδρά επιχειρήματα και φαίνεται καθαρά το αποκρουστικό πρόσωπο του ρατσισμού.

      https://www.efsyn.gr/stiles/ano-kato/335992_pragmatiki-prosfygiki-politiki-mono-gia-oykranoys

      commentaire de Vicky Skoumbi via la mailing-list de Migreurop :

      Miracle : L’accueil digne des réfugiés devient possible, même en Grèce, dans un laps de temps record ! Pourvu que ceux-ci sont blonds aux yeux bleus et qu’ils ne menacent pas le « mode de vie européen »...Quant aux autres, qu’ils crèvent frigorifiés sur un îlot d’Evros ou sous les flots

    • #Emmanuel_Macron :

      « Quand on a peur des phénomènes migratoires, je pense qu’il faut là aussi défendre notre ADN, c’est-à-dire notre devoir d’accueillir celles et ceux qui fuient un pays en guerre comme les Ukrainiennes et les Ukrainiens aujourd’hui, mais en même temps de savoir lutter contre l’immigration clandestine [ie non européenne - NdR]. C’est par cette clarté et cette exigence que, je pense, on peut répondre aux peurs et en même temps tenir une réponse républicaine »

      https://seenthis.net/messages/955991

    • Gli studenti ucraini arrivati in Italia dopo l’invasione potranno essere ammessi alle classi successive anche in mancanza dei requisiti necessari ed essere esonerati dagli esami di Stato

      Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha firmato un’ordinanza che prevede che gli studenti ucraini arrivati in Italia a seguito dell’invasione dell’Ucraina potranno essere ammessi alle classi successive anche in mancanza dei requisiti necessari e, se necessario, esonerati dagli esami di Stato. L’ordinanza riguarda i soli studenti ucraini iscritti alle scuole elementari, medie e superiori italiane a partire dallo scorso 24 febbraio, data d’inizio dell’invasione ucraina.

      Per gli studenti iscritti alle scuole superiori l’ordinanza prevede che, in mancanza dei requisiti necessari, si potrà essere ammessi all’anno successivo ma dovrà essere redatto un piano didattico individuale per raggiungere i livelli di apprendimento richiesti. Il piano dovrà essere predisposto tenendo conto dell’impatto psicologico della guerra e delle difficoltà che comporta l’apprendimento in un paese straniero.

      Per quanto riguarda gli esami di Stato, invece, l’ordinanza prevede la possibilità di esonero per gli studenti che si trovino nelle classi «terminali» (cioè terza media e quinta superiore) e non abbiano raggiunto i livelli linguistici e le competenze disciplinari necessarie a sostenerli: in questo caso, il consiglio di classe rilascerà un attestato di credito formativo, che nel caso degli studenti di terza media sarà sufficiente per iscriversi alle superiori, e nel caso degli studenti di quinta superiore per frequentare nuovamente la quinta.

      https://www.ilpost.it/2022/06/07/studenti-ucraini-ordinanza-ministero-istruzione

      #étudiants #étudiants_ukrainiens #Italie

  • The Woman in Black

    The last judicial duel in France hinged on whether a woman could be believed.

    On a freezing December day in 1386, at an old priory in Paris that today is a museum of science and technology—a temple of human reason—an eager crowd of thousands gathered to watch two knights fight a duel to the death with lance and sword and dagger. A beautiful young noblewoman, dressed all in black and exposed to the crowd’s stares, anxiously awaited the outcome. The trial by combat would decide whether she had told the truth—and thus whether she would live or die. Like today, sexual assault and rape often went unpunished and even unreported in the Middle Ages. But a public accusation of rape, at the time a capital offense and often a cause for scandalous rumors endangering the honor of those involved, could have grave consequences for both accuser and accused, especially among the nobility.

    Marguerite de Carrouges, descended from an old and wealthy Norman family, had claimed that in January of that year she had been attacked and raped at her mother-in-law’s château by a squire (the rank below knighthood) named Jacques Le Gris, aided by one of his closest companions, one Adam Louvel. Marguerite’s father, Robert de Thibouville, had once betrayed the king of France, and some may have wondered whether this “traitor’s daughter” was in fact telling the truth.

    Marguerite’s husband, Sir Jean de Carrouges, a reputedly jealous and violent man—whose once close friendship with Le Gris had soured in recent years amid court rivalry and a protracted dispute over land—was traveling at the time of the alleged crime. But when he returned a few days later and heard his wife’s story, he angrily brought charges against Le Gris in the court of Count Pierre of Alençon, overlord to both men. Le Gris was the count’s favorite and his administrative right hand. A large and powerful man, Le Gris was well educated and very wealthy, though from an only recently ennobled family. He also had a reputation as a seducer—or worse. But the count, infuriated by the accusation against his favorite, declared at a legal hearing that Marguerite “must have dreamed it” and summarily dismissed the charges, ordering that “no further questions ever be raised about it.”

    Carrouges, without whom his wife could not even bring a case, resolutely rode off to Paris to appeal for justice to the king. A 1306 royal decree based on ancient precedent allowed the duel as a last resort for nobles involved in capital cases—e.g., murder, treason, and rape—but by now judicial duels were extremely rare. That July, at the old royal palace on the Île de la Cité, the knight formally challenged the squire, throwing down the gauntlet, as witnessed by the young Charles VI, many other royals, and the magistrates of the Parlement of Paris, the nation’s highest court.

    The challenge did not lead directly to a duel, however, but marked the start of a formal investigation by the Parlement, which would authorize a duel only if unable to reach a verdict on the basis of the available evidence. Over the next several months, famous lawyers were hired, witnesses were summoned, and testimony was gathered. Marguerite herself—now pregnant, perhaps as a result of the rape—came to Paris and testified in great detail about the alleged attack by Le Gris and his accomplice. “I fought him so desperately,” she claimed, “that he shouted to Louvel to come back and help him. They pinned me down and stuffed a capucium [a hood] over my mouth to silence me. I thought I was going to suffocate, and soon I couldn’t fight them anymore. Le Gris raped me.”

    Le Gris countered with a detailed alibi for not just the day in question but the entire week, calling numerous witnesses to establish his whereabouts in or near another town some twenty-five miles away. Le Gris’ attorney, the highly respected Jean Le Coq, kept notes in Latin that still survive, allowing us a glimpse into attorney-client discussions. Le Coq seems to have had some doubts about his client’s truthfulness, while admitting that this was the thorniest of “he said, she said” cases. Despite the lady’s many oaths, and those of the squire, he confided to his journal, “No one really knew the truth of the matter.”

    Photograph of Northern League leader Umberto Bossi smoking in his car, by Pier Marco Tacca, 2006.

    Northern League leader Umberto Bossi smoking in his car, Pavia, Italy, 2006. Photograph by Pier Marco Tacca. © Pier Marco Tacca / Getty Images.

    The Parlement ultimately failed to reach a verdict, and in September it officially ordered a trial by combat, where—in theory—God would assure a just outcome. If Carrouges won the duel, the couple would go free, their claims vindicated. But if Marguerite’s husband and champion lost, thus “proving” her accusation to be false, she too would be put to death. And not just any death. In accord with ancient tradition, she would be burned alive as a false accuser.

    By now the case had become a cause célèbre. The entire royal court was gossiping about the rape, the trial, and the likelihood of a duel. Beyond the court the dispute was being spoken of “as far as the most distant parts of the kingdom,” according to the chronicler Jean Frois­sart. News back then traveled, archival research has shown, at the rate of an average day’s journey by horseback: about thirty miles per day. Word of the scandalous affair spread far and wide via merchants, soldiers, itinerant clergy, and others who carried the latest tidings along the rutted roads to far-flung towns and villages.

    The mortal combat, set for December 29, promised to be the season’s highlight in the capital, as thousands of Parisians flocked to see it, and the young king and his court took their places in colorful viewing stands set up alongside the field at the monastery of Saint-Martin-des-Champs. Froissart portrays Marguerite, who had recently given birth to a son, praying to the Virgin as she anxiously awaits her fate. “I do not know,” he adds in a poignant aside, “for I never spoke with her, whether she had not often regretted having gone so far with the matter that she and her husband were in such grave danger—and then finally there was nothing for it but to await the outcome.”

    After many preliminary ceremonies decreed by tradition (an arms inspection, a series of solemn oaths, the requisite dubbing of Le Gris as a knight to make the combatants equal in rank, etc.), the duel began as a joust on horseback, with lances. The two combatants “sat their horses very prettily,” writes Froissart, “for both were skilled in arms. And the lords of France delighted to see it, for they had come to watch the two men fight.” Besides the resolution to a deadlocked legal case, the duel also provided eagerly anticipated blood sport for the nobility.

    After dismounting, Carrouges and Le Gris fought on foot with swords, “both very valiantly.” But Le Gris managed to get within Carrouges’ defenses and wound him in the thigh. “All who loved him were in a great fright,” adds the chronicler in what is the narrative equivalent of a cinematic reaction shot.

    Although now losing blood, Carrouges mounted a daring counterattack and “fought on so stoutly” that he managed to throw his opponent to the ground. Other accounts provide more technical detail, even suggesting that Le Gris slipped on his opponent’s blood. Froissart says simply that Carrouges “felled” his opponent and, “thrusting his sword into his body, killed him on the spot.”

    With the duel concluded, Froissart continues, “Jacques Le Gris’ body was delivered to the executioner of Paris, who dragged it to Montfaucon and hung it there.” For months afterward, at the great stone gibbet on the infamous hilltop outside the city’s northern gates, this grisly sight greeted any townsman or traveler passing by. The moral was plain: Le Gris rose in the world and then suddenly fell, he dominated but finally was vanquished, he committed a crime in secret and was publicly exposed. In the end the city expelled the contagion, and the body politic was cleansed.

    T
    he contest between Carrouges and Le Gris would turn out to be the last judicial duel sanctioned by the Parlement of Paris. In the six centuries after the quarrel ended, however, the moral that was to be derived from it changed considerably. Many skeptics—including chroniclers, historians, partisans, and even historical novelists—have cast doubt on the official verdict. Some have echoed Count Pierre’s dismissive decree, saying that Marguerite made it all up, perhaps to cover up an affair with another man. Some have suggested that her husband forced the story out of her to avenge himself on Le Gris, his former friend turned rival at court. And some, invoking the most popular theory, acknowledge the rape but say that Marguerite mistakenly accused the wrong man, an “honest” but tragic error that robbed Le Gris of his life, fortune, and good name.

    The theory of mistaken identity ultimately derives from two sources that began circulating more than a decade after the duel. The earlier of the two is the Saint-Denis Chronicle, an official royal history by the monk Michel Pintoin probably written around 1400. It states that Le Gris’ innocence “was later recognized by all, for a man condemned to death by the law confessed to having committed the heinous crime. When the lady learned this and realized that the error was her fault, she retreated to a convent after her husband’s death, vowing perpetual chastity.”

    It is one thing to slander, another to accuse.
    —Marcus Tullius Cicero, 56 BC

    A similar report with a significant difference of detail appears in Jean Juvénal des Ursins’ Histoire de Charles VI, written no earlier than the 1420s and perhaps closer to 1430. Born in 1388, two years after the fatal duel, Juvénal, a bishop, wrote at an even greater remove in time and may have been influenced by Pintoin’s account. He likewise claims that Marguerite had been deceived about her attacker’s identity, although the supposed “truth” comes out under rather different circumstances: “Later it was discovered that [Le Gris] had not really done it, but that it had been done by another, who died of illness in his bed and, at the moment of death, confessed before others that he had done the deed.”

    One ground for skepticism about these two reports—apart from their priestly sources, notoriously suspicious of women—is that each tells a substantially different story. One identifies the supposed felon as a condemned man about to be executed, the other as a sick man on his deathbed. And one includes the lady’s penitential retreat to a convent, while the other omits this finale. Furthermore, neither report has ever been independently corroborated, although the existence of two such reports, despite their differing details, may have allowed each to vouch for the other in the minds of those eager to believe them.

    The earlier, more detailed account of the supposed confession, in Pintoin’s chronicle, not only differs from the other but also diverges sharply from Marguerite’s official testimony before the Parlement in ways that make its scenario clearly impossible. According to Pintoin, Marguerite and her assailant dined together before the attack, and it was while showing him to his room for the night that he assaulted her. These details are wholly at odds with Marguerite’s court testimony about her assailant’s daytime visit, whose timing (if not its specific allegations) was corroborated by her mother-in-law’s departure that morning and her return a few hours later that same day. In his alibi, Le Gris himself cited the narrow window of time available for his alleged visit, strictly during daylight hours. And even if the assailant, as Pintoin claims, had actually (and contra the actual testimony) made his visit late in the day, it’s wholly unlikely that Marguerite, who must have been very familiar with her husband’s complaints against the squire, would have offered a meal and overnight lodging to her husband’s rival (or to a man she mistook for the same), especially during her husband’s absence.

    Centuries later the story of the “innocent” Le Gris falsely accused and forced to defend himself in a barbaric and unjust trial by combat was further popularized by Enlightenment thinkers. Diderot’s Encyclopédie and Voltaire’s Histoire du Parlement de Paris used the 1386 affair to denounce the supposed ignorance and cruelty of the Middle Ages. By the early nineteenth century, the notion that it all had been a case of mistaken identity was firmly established, as typified in an 1824 retelling by Norman historian and politician Louis Du Bois, who “explains” the supposed miscarriage of justice by speculating that the actual rapist “was a squire who doubtless bore some resemblance to the unfortunate Le Gris.”

    The mistaken-identity theory was also embraced abroad, as by American historian Henry Charles Lea, who in his influential 1866 study of medieval law, Superstition and Force, stated as a matter of fact that “Le Gris was subsequently proved innocent by the deathbed confession of the real offender.” Lea even faulted Froissart for having omitted any mention of the confession.

    Man with the Moneybag and Flatterers, by Pieter Brueghel the Younger, c. 1592. © HIP / Art Resource, NY.

    Man with the Moneybag and Flatterers, by Pieter Brueghel the Younger, c. 1592. © HIP / Art Resource, NY.

    A century and more after the philosophes had popularized the theory, it solidified as hard fact in authoritative encyclopedias. In an entry on duels, the Grand dictionnaire universel (1866–77), overseen by respected editor Pierre Larousse, describes the 1386 affair as “one of the most remarkable” in history, claiming that the wide belief in its injustice helped to bring the custom of trial by combat to a speedy end. The article offers a garbled, error-strewn version where, “in 1385,” Le Gris was accused of attacking the lady “by night,” with “his face masked,” as she awaited her husband’s return from the Holy Land. After the fatal duel, the “truth” comes out: “Sometime later, a criminal on the point of atoning for his other crimes confessed that he was guilty of the odious act of which Le Gris had been accused. This cruel error moved the Parlement to systematically reject all appeals for the duel…This was the end of judicial combat.”

    A similar story is retailed by the famed eleventh edition of the Encyclopedia Britannica (1910–11), which likewise gives the erroneous date of 1385 and has the rapist attacking the lady by night, although here “in the guise of her husband” as she awaits his return from the Crusades—an implausible bed trick recalling the story of Martin Guerre. The denouement, too, echoes the Grande dictionnaire: “Not long after, a criminal arrested for some other offense confessed himself to be the author of the outrage. No institution could long survive so open a confutation, and it was annulled by the Parlement.”

    Popular historical fiction abetted the theory of mistaken identity, exploiting its shock effect. An elaborate example appeared in 1829, just a few years after Du Bois’ conjecture that the accused squire had been mistaken for a look-alike, in L’historial du jongleur, an anonymous collection of “medieval” tales. The forty-page story “Le jugement de Dieu” begins with throngs of excited, gossiping Parisians arriving at Saint-Martin’s field to watch the long-awaited duel. As might be expected, the deadly trial by combat before the huge crowd of spectators unfolds with genuine drama and suspense. But then, just moments after Carrouges has killed Le Gris on the battlefield, a dusty courier rides up with the astounding news that another man has confessed to the crime—news that is now too late to save the innocent Le Gris. What sets this version apart, besides its unusual length, is how quickly the judicial “error” on the battlefield is revealed by the sudden arrival of the “truth.” Rather than a belated discovery taking many years—as in the chronicles—it’s just a matter of minutes from Le Gris’ death to the “proof” of his innocence.

    A
    part from the dubious, sketchy, and inconsistent reports in the two chronicles, no external evidence for this hazy legend has ever been offered in support of the oft-told tale of a last-minute confession by the “true” culprit. It’s strange that so many authorities seem to have been untroubled by the obvious factual errors in these reports, their mutual inconsistencies, or the lack of any corroborating evidence. If there are reasons for believing in the possibility of Le Gris’ innocence, the doubtful story of a belated confession by another man certainly is not and never has been one of them.

    Despite the claims of naysayers and novelizers, Marguerite’s testimony suggests that she was almost certainly not mistaken about the identity of her attackers. That testimony takes up nearly a thousand words of Latin in the Parlement’s official summary of the case, preserved today at the Archives Nationales, on the Right Bank, in the Marais, a short walk from the old priory where the battle unfolded on that cold winter day.

    Marguerite testified repeatedly under oath that on a certain day in January 1386—Thursday the eighteenth—she was attacked by the two men, Le Gris and Louvel. This happened, she said, in the morning hours at the modest château of her widowed mother-in-law, Nicole de Carrouges, on a remote Normandy estate known as Capomesnil, about twelve miles southwest of Lisieux. At the time of the attack, Jean de Carrouges was away on a trip to Paris from which he would return a few days later. Nicole, in whose care Jean had left his wife, was also absent for part of the day in question, having been called away on legal business to the nearby abbey town of Saint-Pierre. Marguerite claimed that Nicole took with her nearly all of the household servants, including a maidservant whom Jean had specifically instructed never to leave Marguerite’s side, thus leaving Marguerite “virtually alone.”

    Marguerite also testified that Adam Louvel was the first to arrive at the château, and that he began his visit by urging her to ask her husband to extend the term of an outstanding loan for one hundred gold francs. Louvel then added a greeting from Jacques Le Gris, who he said “greatly admired her” and was eager to speak with her. Marguerite replied that she had no wish to speak with Le Gris, and that Louvel should stop his overtures at once.

    The Murder of Patrona Halil and His Fellow Rebels, by Jean Baptiste Vanmour, c. 1730. Rijksmuseum.

    At this point Le Gris himself suddenly entered the château’s hall (aulam, probably referring to the main chamber or “great hall” where guests were typically received). Greeting Marguerite, he declared that she was “the lady of all the land,” that he loved her the most and would do anything for her. When Marguerite told Le Gris that he must not speak to her in this way, he seized her by the hand, forced her to sit down beside him on a bench, and told her that he knew all about her husband’s recent money troubles, offering to pay her well. When Marguerite adamantly refused his offer, saying she had no wish for his money, the violence escalated.

    The two men seized her by the arms and legs, she testified, and dragged her up a nearby stairway, while she struggled and shouted for help. Forced into an upstairs bedroom, she tried to escape by running through a door at the other end of the room but was blocked from doing so by Le Gris. The squire then threw her onto a bed but could not hold her down without help from Louvel, who rushed back into the room on Le Gris’ orders to help his friend subdue and finally rape Marguerite. She continued shouting for help, she says, until silenced by Le Gris’ hood.

    As noted in the 1850s by the Norman historian Alfred de Caix, one of the few to credit her story, Marguerite’s testimony is impressively “circumstantial and detailed.” Certain details in her account raise serious problems for the mistaken-identity theory. In particular, Marguerite testified that she saw both men in the light of day, that Louvel specifically mentioned Le Gris by name before the latter appeared shortly afterward, and that she spoke with both men at some length before they attacked her. Marguerite’s claim that Louvel mentioned Le Gris by name is especially telling, for it is hard to fit this detail into a plausible scenario in which she is genuinely mistaken, as many have claimed she was, about the identity of her assailants, particularly Le Gris.

    In his own defense, Le Gris claimed that Nicole had found nothing amiss upon her return and didn’t believe her daughter-in-law’s later allegations. In court, he also claimed to have seen Marguerite only twice in his entire life: during the Parlement’s official inquiry, and also “not less than two years earlier” at a social gathering at the home of a mutual friend, Jean Crespin, where Carrouges and Le Gris apparently put aside their recent quarrels and Carrouges ordered his wife to kiss Le Gris as a sign of renewed friendship.

    So the mistaken-identity theory has in its favor Marguerite’s relative unfamiliarity with Le Gris’ physical appearance at the time of the alleged rape in January 1386, over a year after Marguerite had first met and seen Le Gris at Crespin’s. Still, the theory cannot plausibly account for Louvel’s having named Le Gris while in conversation with Marguerite. Louvel’s naming of Le Gris just prior to the squire’s own arrival would seem to put Le Gris indisputably there—unless Marguerite’s story was a deliberate fabrication.

    It’s also significant that the Parlement of Paris found Marguerite’s story credible enough to vacate Count Pierre’s official exoneration of Le Gris and to authorize the rare judicial duel, whose official purpose, however doubtful the procedure may seem today, was to determine the truth in cases where witness testimony and other evidence was insufficient for reaching a verdict. Marguerite’s story must have seemed at least plausible to the magistrates who ordered the duel, something the Parlement had not done for over thirty years in a rape case.

    I
    f the mistaken-identity theory is wrong, that forces us back onto the sharp horns of a dilemma: Was Marguerite lying, or was she telling the truth? The view that Marguerite was lying—a conjecture unsupported by any evidence, apart from Le Gris’ dubious alibi—holds either that she concocted the rape story herself, perhaps to cover an adultery, or that it was extorted from her by her opportunistic husband in order to avenge himself on his rival. The latter explanation is the very one that Le Gris put forward in his own defense, and it has been echoed by at least one modern historian as recently as 1992. In his book Tales of the Marriage Bed from Medieval France, R.C. Famiglietti claimed that Carrouges, after learning that Marguerite had been raped, “resolved to turn the rape to his advantage” and “forced his wife to agree to accuse Jacques of having been the man who raped her.” In this view, Marguerite accused the wrong man not in honest error but in knowing collusion (or fearful compliance) with her husband. And her court testimony is reduced to nothing more than her husband’s “script”—as Famiglietti calls it—for destroying his hated rival.

    A bad reputation is easy to come by, painful to bear, and difficult to clear.
    —Hesiod, 700 BC

    The fly in this ointment is another aspect of Marguerite’s testimony that has not been given due attention—namely, the inclusion of Adam Louvel in the criminal charges. Given the absence of any witnesses in her own favor, Marguerite’s accusations against Louvel were a gratuitous and risky addition to her testimony if her story of the attack and rape was indeed a deliberate lie. The more complicated her story, the more vulnerable it was to challenge; including Adam Louvel in the charges simply added to her burden of proof. Only Le Gris’ alibi survives in the court records, but if Louvel had separate witnesses who placed him elsewhere at the time of the crime, their testimony would have exonerated Le Gris as well, just as Le Gris’ alibi would have helped exonerate Louvel. Two separate alibis are harder to disprove than one. And two suspects are harder to convict than one, unless they can be turned against each other. Yet Adam Louvel reportedly confessed to nothing, not even under torture. But if Marguerite’s story is true and Le Gris was guilty as charged, why did the squire increase his risk of being found out by bringing an accomplice in the first place?

    This tangled and still-controversial case leaves many tantalizing questions, not least of all why Jacques Le Gris did it, if indeed he did. And if the Parlement of Paris could not establish even the basic facts, there’s little chance of our discovering hidden motives all of these centuries later. But the doubts greeting Marguerite’s scandalous story, the initial rejection of her claims in court, and the shadow cast over her reputation by the later chronicle accounts are not so different from the skepticism and prejudice faced by more recent victims of sexual assault. Much as Le Gris is said to have silenced Marguerite with his hood, a legion of clerics, historians, and partisans managed to muffle and stifle her story with vague rumors and inconsistent reports that have shrouded the matter almost to the present day.

    Yet the case does reveal the way in which scandal, as a cousin to the word slander (both derive from the Old French escandle), ultimately resides in the spoken or written word, whether in the gossip of neighbors or the hearsay of the chronicler. Historical scandals, much like the contemporary ones filling our tabloids, news sites, and now-ubiquitous Facebook feeds, are built on a widely shared sense of certainty about “what really happened”—a feeling that often belies the elusive truth. While some touched by scandal may resurrect their lives and reputations, others never will: what happened, or is said to have happened, may follow them even through the pages of history.

    #viol #culture_du_viol #violophilie #duel #metoo #historicisation

    Il y a une église de Sainte Marguerite de Carrouges en normandie

    • Ben, je croyais que le dernier duel judiciaire en France était celui opposant M. de Jarnac à Lachâtaigneraye, le 10 juillet 1547.

      D’ailleurs, WP dit bien,…

      Duel judiciaire — Wikipédia
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Duel_judiciaire

      En France, l’un des tout derniers duels judiciaires autorisés a lieu fin décembre 1386, à Paris, ordonné par la chambre des seigneurs du parlement de Paris et approuvé par Charles VI.
      […]
      Le dernier duel à être autorisé publiquement a lieu le 10 juillet 1547 au château de Saint-Germain-en-Laye : il oppose Guy Chabot de Jarnac à François de Vivonne, à la suite d’une demande de Jarnac au roi Henri II de pouvoir venger son honneur.

    • Pas étonnant que l’histoire de France et wikipédia l’ai oublié vu que ca concerne une femme.
      du coup j’ajoute #invisibilisation et wikipédia dit "un des derniers" du coup c’est pas le dernier, c’est seulement le dernier qui compte car il n’implique aucune femme.

      Ah mais c’est pire que ca ! J’avais pas fini de lire "Des siècles plus tard, l’histoire des « innocents » Le Gris faussement accusés et forcés de se défendre dans un procès barbare et injuste au combat a été davantage popularisée par les penseurs des Lumières. L’Encyclopédie de Diderot et l’Histoire du Parlement de Paris de Voltaire se sont servis de l’affaire de 1386 pour dénoncer l’ignorance et la cruauté supposées du Moyen Âge." - (je vais chercher ca )

    • Mais si le mari et le champion de Marguerite perdaient, prouvant ainsi que son accusation était fausse, elle aussi serait mise à mort. Et pas n’importe quelle mort. Conformément à la tradition ancienne, elle serait brûlée vive en tant que fausse accusatrice.

      @simplicissimus pendant que tu passe par ici. Je cherche depuis un moment une histoire que j’avais entendu dans une conf écouté sur la chaine youtube de la cour de cassassions qui mentionnant un certain Othon (1er ? )qui rendait la justice dans une histoire impliquant le viol de l’épouse du plaignant et s’étant tromper il avait fait punir sa propre épouse en réparation. Est-ce que ca te dit quelquechose ? Dans mes recherches pour étayé cette histoire j’ai fait choux blancs.

    • Au-delà des apparences : Jean Froissart et l’affaire de la dame de Carrouges
      https://journals.openedition.org/crm/13079
      Il y a quand même une fiche wiki sur ce duel
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Duel_Carrouges-Legris
      Et comme d’hab « Une autre école émet l’hypothèse que Jacques Legris était innocent. Les éléments de preuve apportés par le comte d’Alençon semblent crédibles[interprétation personnelle]. » Cette affirmation non sourcée n’est pas supprimé car on y valide la culture du viol.

      –—
      Louis de Carbonnières. La procédure devant la chambre criminelle du parlement de Paris au XIVe siècle [compte-rendu]

      https://www.persee.fr/doc/bec_0373-6237_2007_num_165_1_463497_t10_0221_0000_3

    • Mais si l’histoire de Marguerite est vraie et que Le Gris a été reconnu coupable, pourquoi l’écuyer a-t-il accru son risque d’être découvert en faisant appel à un complice ?

      Celle ci est bien typique du point de vue masculin de l’historien ! La réponse est d’une simplicité déconcertante et il le dit lui même au début. En 1380 comme en 2020 tu peu violer peindard même en bande tu risque pas grand chose.
      « Comme aujourd’hui, les agressions sexuelles et les viols sont souvent restés impunis et même non signalés au Moyen Âge. »
      et « L’histoire de Marguerite a dû sembler au moins plausible aux magistrats qui ont ordonné le duel, ce que le Parlement n’avait pas fait depuis plus de trente ans dans une affaire de viol. » et « Mais si le mari et le champion de Marguerite perdaient, prouvant ainsi que son accusation était fausse, elle aussi serait mise à mort. Et pas n’importe quelle mort. Conformément à la tradition ancienne, elle serait brûlée vive en tant que fausse accusatrice. » ce qui est tout de même bien pire que de mourrir dans un duel ! Mais l’historien se demande comment le violeur à pris le risque de violer avec son pote et trouve que c’est en faveur du violeur ...

      #male_gaze

    • Pour l’église Saint Marguerite de Carrouges c’est pas que cette femme violée ai été cannonisé (les curés font parti de ceux qui l’accusent de mentir) mais le village de Sainte Marguerite avait pour seigneur un Carrouges (probablement de la même famille que cette femme).

    • Centuries later the story of the “innocent” Le Gris falsely accused and forced to defend himself in a barbaric and unjust trial by combat was further popularized by Enlightenment thinkers. Diderot’s Encyclopédie and Voltaire’s Histoire du Parlement de Paris used the 1386 affair to denounce the supposed ignorance and cruelty of the Middle Ages.

      « Le duel entre Carrouges et Legris est très documenté, il est notamment mentionné par Brantôme, Diderot et d’autres. Ce duel est souvent cité en exemple comme l’illustration d’une injustice profonde : Voltaire s’en sert ainsi pour faire du jugement de Dieu une injustice. »
      http://cornucopia16.com/blog/2014/01/20/compte-rendu-de-la-septieme-seance-de-chorea

      #déni

    • Cinq siècles durant, les descendants de Le Gris dénoncèrent ce jugement de Dieu comme une erreur judiciaire.

      Ce jugement de Dieu fut le dernier autorisé en France. Il y eu bien des demandes de procès par combat soumises au Parlement de Paris mais aucune ne put déboucher sur un duel de Jugement de Dieu et plus aucun duel n’opposa des nobles en mettant en jeu le salut de leur âme immortelle.

      Comment fabrique t-on une légende ? :

      Jean Froissard, le chroniqueur qui écrivit vers 1390 affirme que le roi et la foule se réjouirent de l’issue du duel mais l’avocat de Le Gris affirme que les avis étaient très partagés.
      La chronique de Saint Denis, compilation en latin datant de 10 à 15 ans après le duel, affirme que Marguerite avait eu tort mais avait été de bonne foi et qu’un criminel avait avoué le crime par la suite.
      Autour de 1430, Jean Juvenal des Ursins répéta ce récit dans sa chronique française en mettant en scène, à la place du criminel, un mourant sur son lit.

      La légende de l’accusation fausse, du châtiment injuste et de la révélation tardive eut la vie dure.

      Marguerite avait juré avoir vu Le Gris et Adam Louvel en pleine lumière, parlé un certain temps avec eux avant d’être attaquée. Mais surtout Marguerite avait mis en cause deux hommes ce qui rend invraisemblable la confession tardive d’un seul coupable. De plus, l’hypothèse du mensonge de Marguerite, avec ou sans la contrainte de Carrouges, se heurte à l’inclusion d’Adam Louvel dans l’accusation. C’était ajouter un risque supplémentaire, une histoire plus compliquée.

      Cette idée que Marguerite aurait accusé de bonne foi un innocent pour s’apercevoir ensuite de son erreur est un mythe construit par une société chevaleresque troublée par les doutes jamais ôtés sur la culpabilité ou l’innocence des trois acteurs.

      Et cette légende qui innocente tout le monde survécut :
      Elle est mentionnée dans l’Encyclopédie de Diderot et D’Alembert (1767) où il est dit que Le Gris fut condamné à tort et un criminel découvert ensuite.
      De la même façon, elle est citée par Voltaire. Embarassed
      Louis Du Bois, en 1824, dans son récit de l’histoire normande, répète la légende en précisant que Marguerite avait confondu un homme très ressemblant avec Le Gris et qu’elle se fit ensuite religieuse par désespoir.
      En 1848, Auguste Le Prevost publie une histoire de Saint Martin du Tilleul ayant appartenu au père de Marguerite. Lui, affirme que Marguerite disait juste, que Le Gris était coupable et il constate que depuis le Moyen-Age, sa culpabilité a été souvent remise en cause car la cour du roi Charles VI était favorable à Le Gris, hostile à Marguerite et il déplore que les historiens contemporains suivent cette pente en rappelant que l’indignation d’une femme avait peu de poids dans cette cour du Moyen-Age et qu’avait été rappelée par Le Gris la traîtrise du père de Marguerite, Robert de Thibouville. Le Prevost rappelle alors les notes de Jean le Coq : « après avoir exposé avec une grande loyauté les arguments dans les 2 sens, c’est contre son client qu’il fait pencher la balance ».

      A l’inverse,vers 1890, F. Le Grix White, qui se disait descendant de Le Gris, conteste certains détails de la chronique de Froissart mais croit dans les aveux d’un autre homme.

      Malgré l’insistance d’Auguste Le Prevost qui incite à relire les sources premières, la 11ème édition de l’Encyclopedia Britannica (1910) transforme le récit comme un duel ayant fait perdre toute foi dans le Jugement de Dieu : un certain Legris accusé par la femme de Carrouges de s’être introduit chez elle, en se faisant passer pour son mari dont elle attendait le retour des croisades, la viola. Le Parlement de Paris ordonna un duel où Le Gris vaincu fut pendu puis, peu après, un criminel accusé pour un autre crime, avoua être l’auteur du viol et la décision fut annulée par le Parlement. (!!!)

      Dans les années 1970, la même Encyclopedia Britannica relate le même récit mais en précisant que Marguerite fut « séduite ».
      Finalement, ce récit disparaît de la 15ème édition de l’Encyclopedia Britannica mais sans aucun rectificatif.

      http://lebaldeversailles.forum-actif.eu/t2388-le-dernier-jugement-de-dieu

      « Et cette légende qui innocente tout le monde survécut »
      Non la légende n’innocente pas tout le monde, elle innocente tout le monde avec un pénis. Et elle fait de Marguerite de Carrouges une menteuse adultère puisque du viol il y eu un enfant...

    • Je t’ai pas fournis beaucoup d’éléments faut dire. Otton 1er c’est probablement pas la période la mieux documenté
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Otton_Ier_(empereur_du_Saint-Empire)
      Il a eu deux femmes Otton (mais c’etait peut etre des hommes car wikipédia les indique comme conjoint au masculin)
      Édith d’Angleterre (1) - on sais juste qu’elle est morte brutalement et qu’il en était peiné
      Adélaïde de Bourgogne (2) - morte après son époux en 999

      ca va pas etre facile de trouvé cette histoire car wikipédia dit :
      « La justice reste une prérogative royale mais Otton n’a pas de cour suprême pour l’aider dans cette tâche. Elle est rendue par oral. »

      trouvé au passage = les femmes de l’an mille
      https://books.google.fr/books?id=c8dXDwAAQBAJ&pg=PT267&lpg=PT267&dq=edith+d%27angleterre+mort+o

    • Ah j’ai trouvé c’etait Othon III pas Othon Ier !

      Le théologien augustinien Jan van Haeght, chargé de trouver un thème adéquat, choisit la légende de la justice de l’empereur Otton III. Suivant cette légende, Otton III fit décapiter un comte, faussement accusé de tentative de séduction par l’impératrice, après qu’elle eut elle-même tenté en vain de conquérir celui-ci. Avant l’exécution, la comtesse promit à son époux de prouver son innocence en subissant l’épreuve du feu. C’est ainsi qu’après la décollation, elle démontra que l’accusation était fausse en tenant en main, sans se brûler, une barre de fer incandescente. Convaincu par ce jugement de Dieu, Otton III condamna sa propre épouse au bûcher. En allant jusqu’à la sacrifier, il se comporta en juge intègre.

      https://artsandculture.google.com/asset/justice-of-emperor-otto-iii-beheading-of-the-innocent-count-and-ordeal-by-fire-dirk-bouts/5AGtQbEd3j5HnA?hl=fr
      https://lh3.ggpht.com/Ght-fZiu57y-n5cQ8Qmlki5r6zXj82BgngQQZur8xKCUJqS2Brbjd0tXaMMV=s1200


      Dirk Bouts, La justice de l’empereur Otton III : Le supplice du comte innocent et L’épreuve du feu
      Dirk Boutscirca 1473-1475

      pour l’icono de Bouts voire ici
      http://kerdonis.fr/ZBOUTS01
      et sur cette page il y a le supplice de Saint Érasme aussi c’est mon martyre préféré !

      Mon souvenir avait déformé l’histoire, ici il est aussi question de viol, ou tentative de viol (qu’on appel séduction chez les historiens) et donc on retrouve cette fois la condamnation à laquelle Marguerite de Carrouges à échappé... parce que l’épouse du violeur à résisté à la torture...

    • oui, #brava @mad_meg !
      la recherche, c’est comme le vélo, ça s’apprend en allant ; plus on en fait, plus on trouve ;-)

      sinon, les tentatives de séduction faussement dénoncées par de viles manipulatrices, ça ne nous rajeunit pas ! Au moins Joseph et la femme de Putiphar dans la Genèse, mais ça ne m’étonnerait pas qu’il y en ait des versions encore antérieures.

      https://fr.wikipedia.org/wiki/Joseph_et_la_femme_de_Putiphar

    • Il me résistais depuis longtemps ce teuton d’Othon !
      Pour la femme sans nom de Putiphar, ca doit être aussi vieux que la culture du viol. Les femmes mentent toujours et le viol ca n’existe pas. Même au XXIeme on donne aux violeurs des Césars et des prix Renaudot pour les félicité.

      et pour l’antériorité du viol de Mme Putiphare il y a le conte des deux frères
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Conte_des_deux_fr%C3%A8res

      Le soir venu Bata mène le bétail à l’étable et Anubis rentre chez lui auprès de sa femme. Mais la maison est plongée dans le noir. La lumière est éteinte et le repas du soir n’est pas préparé. Dans la crainte d’une dénonciation, l’épouse qui a été prise de désir, dans sa panique, s’est enduite de graisse et de suif pour faire croire qu’elle a été battue. La femme dit à Anubis que Bata a voulu la séduire mais que devant son refus, il l’a battue. Elle ajoute que si Anubis permet à Bata de continuer à vivre, elle se tuera avant que ce dernier ne s’en prenne à elle.

      –-

      Le Conte des deux frères est une histoire égyptienne qui date du règne de Séthi II, qui régna au XIIe siècle avant notre ère à la XIXe dynastie (Nouvel Empire). L’histoire est consignée dans le papyrus d’Orbiney, actuellement conservé au British Museum qui l’a acquis en 1857.

      Plus vieux il y aura peut etre des tablettes akkadiennes mais pour aller plus loin dans le temps ca va etre difficile sans la machine de H.G.Wells

    • J’y ai repensé et il y a peut etre la chaste Suzanne mais elle à pas subit de viol, plutot une agression sexuelle car pour le viol en fait si la femme survie c’est qu’elle est coupable de mentir.
      Et les peintres s’en sont donné à cœur joie niveau culture du viol aussi sur ce motif
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Suzanne_et_les_Vieillards

      cc @antoine1 et @touti peut être que tout ceci vous intéressera.

    • Un film a été réalisé d’après cette histoire

      Le Dernier Duel s’appuie sur une structure redoutablement efficace. Co-écrit par Ben Affleck, Matt Damon et Nicole Holofcener, le film est divisé en trois chapitres, racontant trois versions de la même affaire. Chaque partie a sa spécificité, mais les faits de base sont les mêmes : Marguerite raconte à son mari avoir été violée par Legris. Outré, Carrouges demande à affronter Legris en duel. Si l’accusé ressort vainqueur, il sera innocenté et Marguerite sera brûlée vive pour faux témoignage. Pour laver son propre honneur, le mari risque donc… la vie de sa femme.

      https://seenthis.net/messages/936295#message936325

    • Je ne connaissais pas ce passage de la bible
      Livre des juges chapitre 19

      https://www.aelf.org/bible/Jg/19

      15 Ils firent un détour pour passer la nuit à Guibéa. Le lévite entra, s’assit sur la place, mais personne ne lui offrit l’hospitalité pour la nuit.

      16 Voici qu’un vieillard, le soir venu, rentrait de son travail des champs. Il était originaire de la montagne d’Éphraïm, mais il résidait à Guibéa, dont les habitants étaient Benjaminites.

      17 Levant les yeux, il remarqua le voyageur sur la place de la ville. Il lui demanda : « Où vas-tu, et d’où viens-tu ? »

      18 L’homme lui répondit : « Partis de Bethléem de Juda, nous faisons route vers l’arrière-pays de la montagne d’Éphraïm. C’est de là que je suis originaire. Je me suis rendu à Bethléem de Juda et je retourne dans ma maison. Personne ne m’a offert l’hospitalité.

      19 Pourtant, nous avons de la paille et du fourrage pour nos ânes ; j’ai aussi du pain et du vin pour moi, pour ta servante et pour le jeune homme qui accompagne tes serviteurs. Nous ne manquons de rien ! »

      20 Le vieillard dit alors : « Sois en paix ; laisse-moi pourvoir à tous tes besoins, mais ne passe pas la nuit sur la place. »

      21 Il le fit entrer dans sa maison et donna du fourrage aux ânes. Les voyageurs se lavèrent les pieds, ils mangèrent et ils burent.

      22 Pendant qu’ils se restauraient, des hommes de la ville, de vrais vauriens, cernèrent la maison. Ils frappèrent à coups redoublés contre la porte et dirent au vieillard, propriétaire de la maison : « Fais sortir l’homme qui est entré chez toi pour que nous le connaissions ! »

      23 Le propriétaire de la maison alla au-devant d’eux et leur dit : « Non, mes frères, non, ne faites pas le mal ! Après que cet homme a été reçu dans ma maison, ne commettez pas cette infamie !

      24 Voici ma fille, qui est vierge ; je vais la faire sortir. Abusez d’elle ! Faites avec elle ce qui vous semblera bon, mais ne commettez pas contre cet homme un acte infâme. »

      25 Les hommes de la ville ne voulurent pas l’écouter. Alors, le lévite saisit sa concubine et la leur amena dehors. Ils s’unirent à elle et s’en amusèrent toute la nuit, jusqu’au matin. Quand vint l’aurore, ils la relâchèrent.

      26 Comme le matin approchait, la femme s’en vint tomber à l’entrée de la maison de l’homme chez qui était son mari, et elle resta là jusqu’à ce qu’il fît jour.

      27 Au petit matin, son mari se leva, ouvrit la porte de la maison, sortit pour reprendre sa route. Voici que sa concubine gisait à l’entrée de la maison, les mains sur le seuil !

      28 « Lève-toi, lui dit-il, et partons ! » Il n’obtint pas de réponse. Il la mit sur son âne, partit et rentra chez lui.

      29 Une fois arrivé dans sa maison, il prit un couteau, saisit sa concubine, la dépeça, membre après membre, en douze morceaux, qu’il envoya dans tout le territoire d’Israël.

      30 Quiconque voyait cela disait : « Jamais ne s’est fait, jamais ne s’est vu un crime aussi affreux, depuis le jour où les fils d’Israël sont montés du pays d’Égypte jusqu’à ce jour ! » Le lévite avait donné cet ordre à ses messagers : « Vous parlerez ainsi à tous les hommes d’Israël : “Un crime aussi affreux a-t-il jamais été commis depuis le jour où les fils d’Israël sont montés du pays d’Égypte jusqu’à ce jour ? Réfléchissez, tenez conseil, prononcez-vous !” »

      On a vraiment l’impression qu’on parle du bétail ici. C’est bon pour dieu de faire violer sa femme à sa place, tant qu’elle est bien crevé après.

  • #métaliste de documents (surtout cartes et visualisations) qui traitent des #migrations_intra-africaines et qui peuvent servir à combattre les #préjugés de la #ruée vers l’Europe de migrants d’#Afrique subsaharienne...

    –---

    Voir notamment le livre de #Stephen_Smith qui entretien ce #mythe :
    La #ruée vers l’#Europe. La jeune #Afrique en route pour le Vieux Continent


    https://seenthis.net/messages/673774

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    Les documents pour contrer ce mythe...

    Le #développement en #Afrique à l’aune des #bassins_de_migrations


    https://seenthis.net/messages/817277

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    Les migrations au service de la transformation structurelle


    https://seenthis.net/messages/698976

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    Many more to come ? Migration from and within Africa


    https://seenthis.net/messages/698976#message699366

    –-----------

    #Infographie : tout ce qu’il faut savoir sur les migrants intra-africains


    https://seenthis.net/messages/615305

    –-----------

    Une population en pleine expansion, fuyant les régions sous tension


    https://seenthis.net/messages/615305#message763880

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    Les #migrations_internes vont-elles recomposer l’Afrique ?


    https://seenthis.net/messages/615305#message800883

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    African migration : is the continent really on the move ?


    https://seenthis.net/messages/605693

    –-------------

    Africa : International migration, emigration 2015


    https://seenthis.net/messages/526083#message691033

    –-----------

    Un premier atlas sur les #migrations_rurales en Afrique subsaharienne - CIRAD


    https://seenthis.net/messages/647634

    #cartographie #visualisation #ressources_pédagogiques

    ping @reka @karine4 @fil

  • Du commerce triangulaire à l’esclavage moderne - Philippe Rekacewicz - Visionscarto
    https://visionscarto.net/esclavage-moderne

    Le musée Kuben d’Arendal en Norvège a inauguré, en juin 2018, une exposition consacrée à l’esclavage moderne. Il se trouve que cette petite ville de la côte sud du détroit du Skagerrak (qui fait face au Danemark) entretient un lien particulier avec l’histoire de l’esclavage.