• Blueberries. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

    La raccolta dei mirtilli, nel distretto della frutta saluzzese, si svolge dalla metà di giugno all’inizio di luglio: pochi giorni durante i quali i datori di lavoro hanno bisogno di tanta manodopera tutta insieme. Tra i filari assolati alle pendici del Monviso i carrettini sono spinti da braccianti maliani, gambiani, ivoriani, burkinabé ma anche cinesi, pakistani, albanesi e qualche giovane italiano. In alcune aziende i raccoglitori sono protetti da ombrelloni da spiaggia, in altre no. In media si lavora nove ore al giorno. La paga è tra i 5.50 e gli 8 euro all’ora, a seconda dell’accordo informale che si è riusciti a strappare con il datore del lavoro, i contratti non contano granché vista la sistematicità del lavoro grigio.
    Gli imprenditori sembrano schiacciati tra le esigenze del mercato globale che impone regole e tempi e la difficoltà di reperire manodopera per un periodo così breve.

    “Mentre nell’area mediterranea la stagionalità del consumo del mirtillo è legata al periodo estivo, esiste un mercato britannico che consuma piccoli frutti tutto l’anno. Li importa in inverno dal Sudamerica e poi dai Paesi europei: prima Spagna, poi Italia e quindi Polonia. Nel contesto nazionale il mirtillo delle Alpi è di norma precoce e viene raccolto e distribuito da metà giugno a tutto luglio.
    … il mirtillo ha spesso sostituito gli appezzamenti di pesche e kiwi, diventando nel tempo un investimento redditizio.
    In provincia si coltivano oltre 500 ettari, di cui più della metà nell’area Saluzzese/Pinerolese, da cui proviene il 25% del prodotto nazionale. Sono sorte sotto il Monviso una quarantina di medie aziende. Vi sono poi, specialmente in collina, una miriade di piccoli e medi produttori (quasi 400) che conferiscono a cooperative e organizzazioni di produttori, che a loro volta sono la cintura di collegamento con la grande distribuzione e i mercati europei.” (La Gazzetta di Saluzzo, 4 giugno 2020).

    “…Un ulteriore problema di difficile risoluzione pare essere quello della manodopera, non per quanto riguarda la questione costi, ma per quanto riguarda la reperibilità: “Il costo della manodopera è sempre lo stesso. Il problema è trovarla” afferma un imprenditore di Revello. “Noi crediamo che questa volta sarà necessario rivolgersi alle cooperative, ma anche in quel caso si tratta di un terno al lotto. Per quanto ci riguarda, con altre colture oltre ai mirtilli riusciamo a mantenere gli operatori per periodi più lunghi di una sola campagna di raccolta. Inoltre, in questo modo si stabilisce un rapporto più stretto con il personale che può durare anche più anni”.
    “Abbiamo una cascina con diverse camere da letto, cucina, bagni. Siamo attrezzati per far alloggiare i dipendenti gratuitamente. Se si trovano bene è più probabile che rimangano. Cerchiamo di parlare sempre con i dipendenti, in questo modo si crea un dialogo diretto e ci si accorda sulla durata, sulle tempistiche e sulle modalità del lavoro”.
    “Abbiamo una decina di dipendenti che dal 2016 lavorano con noi. Credo sia normale aspettarsi un ricambio del personale, per svariati motivi, ma devo dire che la maggior parte rimane con noi”.
    (sito Italian Berry, 11 marzo 2023).

    Dunque: la superficie coltivata a mirtilli è notevolmente aumentata negli ultimi anni, anticipando così l’inizio della stagione della raccolta che durerà fino a novembre inoltrato con le mele cosiddette tardive. Nella grande piantagione a cielo aperto del Saluzzese, costitutivamente orientata all’export (l’80% della merce prodotta è destinata al commercio estero), il mirtillo è un prodotto relativamente recente, inserito nel portfolio produttivo degli agricoltori locali per via dell’elevata domanda e buona redditività sul mercato internazionale.

    Di agroindustria si tratta, un comparto che fa girare milioni di euro e quindi i costi di produzione non possono essere lasciati al caso: tra questi la manodopera è il fattore sul quale più facilmente si può giocare per ottenere profitti più alti. Certamente è noto con anticipo il fabbisogno, ma la maggior parte dei braccianti in questo primo periodo non ha un contratto o viene reclutata “last minute” tramite cooperative, agenzie o altre modalità informali di intermediazione. Rigorosamente a chiamata. Che l’apparente scarsa programmazione delle aziende celi una strategia di compressione dei salari? A pensar male si fa peccato, ma chissà…

    A tal proposito si fa un gran parlare di caporalato, il buco nero del discorso dove ogni altra forma di critica tende a collassare. Senza negare che il fenomeno esista e possa avere tratti particolarmente odiosi e anti-solidali, occorrerebbe un inquadramento della questione radicalmente diverso rispetto a quello ideologico dominante. Per esempio: quando il padrone chiede ad Amadou, che ormai da anni ogni estate lavora per lui e col quale si è instaurato un rapporto di strumentale fiducia, di trovare «tra i suoi contatti africani» braccianti disponibili per i giorni della raccolta, Amadou di fatto sta svolgendo una mansione extra per cui non ci sembra scandaloso possa percepire una retribuzione o qualche privilegio. Del resto, anche le tante regolari agenzie di intermediazione del lavoro non sono propriamente delle ONLUS. Se poi Amadou taglieggia i suoi contatti, allora è una persona spregevole, senza se e senza ma. Altrimenti? Amadou sta davvero compiendo chissà quale crimine? Un crimine più grave delle tante giornate di lavoro sistematicamente non segnate dai datori? Delle condizioni di lavoro indegne e logoranti? Delle paghe sempre inferiori a quelle che dovrebbero essere corrisposte in rapporto alle mansioni svolte?

    Certo, anche le pratiche d’intermediazione informali, questa sorta di ‘caporalato soft’, s’inscrivono in una cornice di reclutamento della forza-lavoro fortemente neoliberista: il caporale è solo un (piccolo) imprenditore in un mondo dominato da (grandi) imprenditori. Ma rivalutare la questione in questi termini, più materialisti e meno moralisti, forse, aiuterebbe a spostare il focus sulle cause e non sugli effetti.

    Parliamo allora di sfruttamento. Sfruttamento non in quanto mero reato, ma come motore del processo di accumulazione di capitale. Per accelerare le operazioni e incentivare la produttività, in molti casi ai lavoratori viene proposto di raccogliere a cottimo, un euro a cassetta per quanto riguarda i mirtilli. Alcuni accettano, «perché comunque conviene: se sei veloce guadagni di più che essere pagato ad ora, e poi nelle campagne del sud siamo abituati a lavorare così…quindi perché no». Comprensibile, certamente, specie sul piano individuale. Ma onestamente problematico dal punto di vista collettivo. La produttività della forza-lavoro è infatti essenziale per incrementare i margini di profitto e il Capitale, impersonificato nella figura degli imprenditori agricoli, grandi o piccole che siano le loro aziende, cura questo aspetto con grande attenzione. Non solo e non tanto con un’organizzazione più efficiente del processo produttivo, ma anche e soprattutto a scapito dell’alienazione e della tenuta fisica dei lavoratori spesso trattati come se fossero dei macchinari e non anzitutto degli esseri umani. Ma non si creda che il lavoro vivo subisca sempre passivamente questo disciplinamento! «Pretendono di usare il telefono mentre lavorano, la sera fanno i loro ‘summit’ tra di loro e impongono alle squadre più veloci di rallentare, e così via…», si lamenta un imprenditore agricolo. «Cerchiamo di non andare troppo veloce, di lavorare in modo tranquillo, per respirare un po’» afferma un bracciante. Lo scontro sul ritmo del lavoro è uno dei principali punti di frizione tra salariati e datori di lavoro, il rallentamento della produttività una possibile linea di forza di questa working class, ancora sconosciuto nella sua forza.

    Ai padroni poco importa quanti chilometri percorrono in bicicletta per presentarsi sul campo o se non hanno un posto dove dormire. L’importante è che le preziose bacche non restino sulle piante e giungano in fretta sui mercati. Anche in questo caso però può succedere che i “mediatori” si offrano per risolvere un problema reale garantendo il trasporto o, meno frequentemente, un posto letto (a carico del lavoratore).

    In questo primo scorcio di stagione, le cosiddette accoglienze, coordinate dalla Prefettura di Cuneo (i containers e la casa del cimitero del comune di Saluzzo per circa 230 posti letto) e gestite da una cooperativa, sono in ampissima misura mantenute chiuse. Può sembrare una scelta paradossale visto che, in assenza di alternative, una quota di lavoratori e aspiranti lavoratori, tra i 25 e i 100, è costretta ad accamparsi nei giardini pubblici del Parco Gullino, da qualche anno diventato luogo di approdo e di socialità, sorvegliato giorno e soprattutto notte dalle forze dell’ordine.

    In realtà dietro questa scelta politica ben precisa una logica c’è, per quanto perversa e cinica essa sia. La motivazione ufficiale, buona da sbandierare sulla stampa locale, è che i Comuni aderenti al progetto di accoglienza, ‘al modello Saluzzo’ (sic!), sono tarati sull’inizio della raccolta delle pesche nella seconda metà di luglio e non sono pronti per aprire prima. Storie. La motivazione reale ha invece a che vedere con il timore delle amministrazioni di creare un fattore di attrazione che susciti un’eccedenza di proletari razzializzati presenti sul territorio, persone non gradite se non in quanto risorse produttive immediatamente impiegate nella fabbrica agricola. Si basa inoltre sulle “prenotazioni” di posti letto da parte di alcuni imprenditori per chi più avanti avrà un contratto per tutta la stagione.
    Va da sé che chi non ha un contratto non può accedere alle accoglienze.

    La fantasia governamentale è di disporre just-in-time, né prima né dopo i periodi delle raccolte, della giusta quota di forza-lavoro, né troppa né troppo poca.

    Ormai non c’è più soluzione di continuità tra mirtilli, albicocche, pesche e mele ma quantità diverse di frutta da raccogliere e quindi diverso numero di braccia da impiegare. Tutto chiaro, gli imprenditori e le organizzazioni che li rappresentano conoscono benissimo le dinamiche del mercato del lavoro bracciantile che attraverseranno l’intera stagione fino all’autunno inoltrato.

    https://www.meltingpot.org/2023/07/blueberries-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

    #Italie #Saluzzo #myrtilles #agriculture #exploitation #petits_fruits #migrations #travail #Pinerolo #main-d'oeuvre #exportation #industrie_agro-alimentaire #caporalato #hébergement #logement #SDF #sans-abris #Parco_Gullino #modello_Saluzzo #modèle_Saluzzo #fruits #récolte #récolte_de_fruits

    • #Golden_Delicious. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      La seconda parte di queste cronache del bracciantato saluzzese è riferita alla raccolta delle mele che è in pieno svolgimento.

      Quando, a Saluzzo e dintorni, si parla di lavoro migrante in agricoltura, in particolare di bracciantato africano, generalmente si finisce per parlare di accoglienza.

      Se, da un lato, viene millantata la bontà del ‘modello Saluzzo’ e delle cosiddette accoglienze diffuse e in azienda, dall’altra parte viene giustamente fatta notare la contraddizione degli insediamenti informali, simboleggiata dalla situazione al Parco Gullino 1. L’impressione, tuttavia, è che la condizione di chi dorme o ha dormito al parco venga generalizzata in modo problematico, prendendo uno specifico spaccato di realtà per il tutto. Senza voler minimizzare l’importanza della questione abitativa, che peraltro è molto più di ampia portata e andrebbe esaminata oltre la dialettica tra insediamenti informali e accoglienze, crediamo sia doveroso parlare anche e soprattutto di lavoro. Perché in fondo le persone a Saluzzo – tutte, dalla prima all’ultima – vengono per lavorare.

      «Quest’anno le mele cuneesi, pur a fronte di un lieve calo produttivo dovuto all’andamento climatico, sono contraddistinte da una qualità estetica e organolettica ovunque buona. E’ quanto evidenzia Coldiretti Cuneo in occasione dell’avvio della campagna di raccolta che si apre con buone prospettive commerciali…

      Le operazioni di raccolta sono iniziate per le mele estive mentre tra fine mese e inizio settembre si passerà alle varietà del gruppo Renetta, dopodiché sarà la volta delle mele a maturazione intermedia dei gruppi varietali Golden Delicious e Red delicious; la campagna di raccolta continuerà fino a dicembre con i gruppi varietali a maturazione tardiva.

      … La Granda, che vanta una produzione di eccellenza a marchio IGP, la Mela Rossa Cuneo, ha conosciuto negli ultimi anni una progressiva espansione degli impianti di melo, con oltre 2000 aziende frutticole coinvolte e una superficie dedicata di quasi 6000 ettari (+ 21% negli ultimi 5 anni), pari all’85% della superficie piemontese coltivata a melo». (Comunicato Stampa Coldiretti, 25 agosto 2023)

      Il problema principale è che la manodopera scarseggia.

      «In provincia di Cuneo, nel 2022, sono state 3232 le aziende assuntrici di manodopera agricola e 13200 i dipendenti in agricoltura , a fronte di 24844 pratiche di assunzione, perché ci sono dei lavoratori che, per via della stagionalità delle operazioni nel settore, hanno lavorato in più aziende…

      L’agricoltura garantisce sempre più occupazione per l’intero anno o una larga parte di questo ma la carenza di manodopera base e specialistica ormai è una realtà; le cause sono diverse ma occorre lavorare per fare diventare più attrattivo il lavoro in agricoltura, specie nei confronti dei giovani. Oggi la manodopera extracomunitaria è sempre più indispensabile ma bisogna semplificare gli iter di rilascio dei permessi di soggiorno per lavoro subordinato, che a volte sono un ostacolo nel fidelizzare i lavoratori stranieri rispetto ad altri paesi europei. In ultimo il costo del lavoro, che incide in maniera eccessiva sulle aziende agricole…Servono urgentemente interventi decontributivi. – lancia l’allarme Confagricoltura Cuneo – Oggi la difficoltà maggiore per le aziende è reperire manodopera ma i tempi di lavorazione in agricoltura non sono decisi dagli imprenditori bensì dalla natura. Lavoratori italiani non se ne trovano più ma calano anche i lavoratori neocomunitari e per gli extra UE permangono molte incertezze legate al decreto Flussi e ai tempi di rilascio dei visti di ingresso… Per le aziende agricole assumere manodopera sta diventando sempre più una corsa ad ostacoli con più regole, contributi e sanzioni». (Comunicato Confagricoltura Cuneo, luglio 2023)

      Ovviamente nessuno parla delle condizioni di lavoro e di salario. Altro che rendere appetibile il lavoro in agricoltura!

      Qual è dunque la cifra costitutiva del lavoro salariato in agricoltura (e forse non solo in agricoltura) nel Saluzzese (e forse non solo nel Saluzzese)?

      Crediamo di poter rispondere, senza timore di smentita, il surplus extra-legale di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la mancata corresponsione di una significativa porzione di salario. Inutile e controproducente utilizzare mezzi termini: si tratta di un vero e proprio furto, perpetrato con la massima naturalezza e serenità dagli imprenditori agricoli in un clima di generale impunità e accondiscendenza. Tanto più quando il lavoratore è straniero ed è strutturalmente più vulnerabile a causa del ricatto del permesso di soggiorno, tanto più quando non conosce abbastanza la lingua italiana ed è inconsapevole dei suoi diritti, tanto più quando ha a disposizione poche opportunità di impiego alternative.

      Non serve essere dei marxisti ortodossi per condividere che la ricchezza è prodotta dal lavoro degli operai ma appropriata dai possessori dei mezzi di produzione. Oggi, in un’epoca dominata dall’egemonia del pensiero capitalistico, questo pilastro non è forse più così in in evidenza, eppure il meccanismo è sempre quello. A partire dal caso del distretto della frutta del Saluzzese, vogliamo sottolineare come i padroni di oggi, oltre al plusvalore frutto dello sfruttamento legalizzato, si avvalgano di tutta una serie di tecniche extra-legali per garantirsi l’accaparramento di un’eccedenza di ricchezza.

      È sconcertante constatare come agli operai africani impiegati nel distretto della frutta non sia praticamente mai corrisposta la retribuzione che spetterebbe loro da contratto, che è comunque vergognosamente bassa rispetto alle condizioni generali di un lavoro del genere, duro e precario per definizione.

      La stragrande maggioranza dei braccianti dichiara infatti di lavorare circa dieci ore al giorno, durante le fasi intense di raccolta anche la domenica. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale degli Operai Agricoli e Florovivaisti, dopo le 6.30 ore di lavoro giornaliere (39 ore settimanali su 5 giorni) le ore svolte sono da considerarsi straordinari, e la maggiorazione per ogni ora di straordinario è pari al 30% e per i festivi pari al 60%. I sindacati coi quali abbiamo interloquito ci hanno detto di non avere quasi mai visto una busta paga contenente degli straordinari, mentre i lavoratori di non avere mai ricevuto ‘fuori busta’ paghe orarie superiori alla retribuzione oraria pattuita. Insomma, sebbene lavorare nei campi roventi d’estate e gelidi d’inverno sia già di per sé un lavoro duro e logorante, semplicemente il lavoro straordinario (che è la norma) non è riconosciuto, come se non esistesse tout court. 50/60 euro a giornata devono bastare.

      Un altro aspetto del furto di salario consiste nell’approvvigionamento del materiale di lavoro. Per legge, grazie ai risultati delle lotte del passato che l’hanno imposto anche sul piano legale, il datore di lavoro è tenuto a fornire al dipendente tutti i dispositivi di sicurezza di cui necessita per svolgere le mansioni richieste da contratto. Bene, è sufficiente farsi un giro alla Caritas, oppure al parco Gulino la domenica, per rendersi immediatamente conto di come ciò non avvenga e i lavoratori debbano procurarsi autonomamente i dispositivi di protezione (scarpe anti-infortunistica, guanti, etc.), altrimenti non vengono assunti.

      Se poi guardiamo oltre i picchi della raccolta stagionale e ci concentriamo sui non pochi operai agricoli africani che riescono ad ottenere contratti più lunghi, che magari si estendono sino a dicembre, anche qui si vedrà come raramente il lavoro è pagato il giusto prezzo. Pur svolgendo mansioni qualificate come ad esempio il diradamento o la potatura, spesso l’inquadramento salariale è quello del raccoglitore, a cui corrisponde ça va sans dire un salario inferiore.

      E si potrebbe andare avanti, e più avanti si va più si possono notare comunanze tra la condizione dei braccianti africani e quella di tanti lavoratori, in altri settori, stranieri ma anche italiani.

      I lavoratori africani nel Saluzzese accettano tutto ciò passivamente?

      No, specialmente oggi che il problema del contesto italiano (almeno nel nord del paese) sembra essere meno l’assenza di impiego e più il lavoro povero. La principale manifestazione di contropotere operaio è infatti l’atteggiamento iper-utilitaristico con cui si affrontano i padroni: “non mi paghi in modo soddisfacente, prendo e me ne vado. Immediatamente. Tanto riesco a trovare altro“. Non è sempre stato così, non è detto che sarà sempre così: in alcuni momenti l’offerta di lavoro era così ridotta che un lavoro, per quanto sfruttato e indegno, bisognava tenerselo stretto, perché serviva per mangiare, perché serviva per i documenti.

      Esistono poi molteplici linee di resistenza spontanea che agiscono sotterraneamente, di cui si viene a conoscenza solo creando un rapporto di fiducia e di ascolto reale con i lavoratori.

      Per esempio, la contrattazione informale sulle giornate di lavoro da segnare effettivamente in busta paga, almeno quel tot per raggiungere la soglia necessaria alla disoccupazione agricola, strumento peculiare per garantire continuità reddittuale nei mesi di inattività forzata. Il lavoro grigio, infatti, molto più che la qualità della frutta prodotta nelle piantagioni, è il vero marchio di fabbrica del distretto della frutta del Saluzzese.

      In zona è perfettamente noto a tutti, organi di controllo compresi, che le giornate di lavoro segnate ai braccianti non coincidono con quelle effettivamente svolte. Sebbene le situazioni varino di azienda in azienda, ipotizziamo che le giornate segnate siano meno della metà di quelle svolte. Un grande, enorme risparmio per le tasche degli imprenditori. Per rendersi conto dell’enorme volume di attività lavorativa non contabilizzato – quindi dei soldi risparmiati – sarebbe sufficiente disporre dei dati relativi alle giornate di lavoro necessarie in rapporto alla superficie di terreno coltivato e incrociarlo con le giornate documentate, ma guarda a caso questi dati non sono disponibili e custoditi gelosamente dagli organi di controllo e di rappresentanza delle aziende. (Dati che peraltro sarebbero estremamente utili anche per la programmazione della gestione abitativa della forza-lavoro stagionale, anziché agitare il solito spettro degli insediamenti informali)

      Sorvoliamo sui contributi non versati e sul conseguente mancato introito nelle casse dello Stato, perché il discorso sulla tassazione è lungo e complesso,ma guardiamo le cose dal punto di vista, anche egoistico se vogliamo, ma maledettamente materiale, del lavoratore che si spacca la schiena in campagna. Perché se il padrone risparmia, risparmia solo lui e l’operaio non ne trae alcun beneficio?

      Purtroppo però le linee di resistenza spontanea individuale faticano a comporsi in una forza collettiva organizzata. L’azione sindacale ha fatto pochi passi in avanti e resta schiacciata sull’azione legale piuttosto che sulla pratica di lotta diretta, con il risultato di non fare mai esperienza di un fronte comune ma di vincere o perdere in solitudine.

      Occorrerebbe infine guardare l’evidente diminuzione degli arrivi di braccianti in cerca di occupazione da un punto di vista diverso, diminuzione che si sovrappone e si sostituisce al ricambio pressoché totale di persone che arrivano a Saluzzo stagionalmente già registrato negli anni passati. Anche questo fenomeno andrebbe considerato infatti come una forma di “resistenza”, confermato dai continui appelli per mancanza di manodopera lanciati dalle organizzazioni datoriali e dal veloce passaggio ad altri settori produttivi di molti lavoratori africani che si sono stabiliti nel saluzzese.

      Sarebbe interessante approfondire che cosa intendono i padroni quando parlano di “fidelizzazione” dei propri dipendenti…

      Siamo perfettamente consapevoli che nella congiuntura attuale molti piccoli imprenditori agricoli stiano faticando, schiacciati dalla concorrenza del mercato internazionale, dal potere della grande distribuzione, dall’interdipendenza della distribuzione logistica.

      Alcune aziende sono a rischio fallimento, altre vengono assorbite dai pesci più grandi… ma è l’agriculutral squeeze, baby! Che altrove ha già comportato un cambio di scala nella dimensione aziendale. D’altro canto, è inaccettabile che l’insostenibilità della produzione agricola contemporanea per il piccolo imprenditore sia scaricata sui lavoratori salariati, non a caso persone razzializzate, che l’auto-sfruttamento dei datori di lavoro sia proiettato sui dipendenti. Già, perché a quanto pare il grado di sfruttamento nelle piccole aziende è ancora maggiore che nelle grandi. Ma se, anziché allearsi con le forze vive del lavoro per cambiare le regole del gioco, i contadini compartecipano al sistema di sfruttamento generalizzato, potendo sopravvivere solo grazie allo sfruttamento dell’ultimo anello della catena, allora la scelta di campo è stata fatta.

      https://www.meltingpot.org/2023/09/golden-delicious-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi
      #pommes

    • L’ultimo kiwi. Cronache dalle piantagioni saluzzesi

      Il lavoro stagionale nel distretto frutticolo di Saluzzo, tradizionalmente, si chiude con la raccolta dei kiwi nella seconda metà di novembre. Sei mesi sono trascorsi da quando i mirtilli, colorandosi di blu, avevano dato avvio alla stagione 2023.

      In realtà la produzione locale è notevolmente diminuita negli ultimi anni a causa della batteriosi e della cosiddetta “morìa” che hanno falcidiato ettari di frutteti, poi sostituiti da mirtilli e mele invernali ma anche in relazione a scelte imprenditoriali che hanno portato alla delocalizzazione delle piantagioni, verso il distretto di Latina in particolare. La raccolta, quindi, si concentra in poche giornate dai ritmi di lavoro massacranti, una corsa contro il tempo per sfruttare le ore di luce giornaliera che vanno diminuendo e anticipare le gelate precoci nella pianura ai piedi del Monviso.

      “L’Italia, con 320 mila tonnellate esportate nel 2021 in cinquanta paesi, per un fatturato di oltre 400 milioni di euro, è il principale produttore europeo di kiwi e il terzo nel mondo dopo Cina e Nuova Zelanda. – informa una accurata inchiesta condotta da IRPI Media pubblicata a marzo di quest’anno – La prima regione del nostro paese dove si coltiva la “bacca verde” è il Lazio. Globalmente, un terzo di tutti i kiwi commerciati nella grande distribuzione viene dalla multinazionale Zespri. Nata in Nuova Zelanda, oggi è leader nel settore e presente in sei paesi. Dalla provincia di Latina, arriva una buona parte della frutta venduta con il marchio Zespri (il 10,5%). Un mercato gigantesco, che solo in Italia conta quasi tremila ettari di campi, centinaia di produttori e migliaia di braccianti.” 4

      Anche sugli scaffali dei supermercati saluzzesi le varietà di kiwi sono vendute quasi tutte con il marchio Zespri: Green Premium, origine Italia confezionato in Lombardia, Sun Gold origine Nuova Zelanda e Hayward origine Grecia confezionati chissà dove.

      Alcune aziende locali producono in provincia di Latina i loro kiwi a polpa gialla (i Sun Gold) di cui Zespri detiene il brevetto e l’esclusiva della commercializzazione.

      Un colosso a livello internazionale è il Gruppo Rivoira che controlla Kiwi Uno S.p.A. con sede a Verzuolo, pochi chilometri da Saluzzo: “Da sempre in stretta relazione con il Cile, oggi grazie all’integrazione tra produzione italiana e cilena, abbiamo modo di essere sui mercati europei e d’oltre mare per dodici mesi all’anno” si legge sul sito dell’azienda. Rivoira controlla, tra le altre, anche un’azienda con sede a Cisterna di Latina, la capitale del kiwi italico, che vanta 110 ettari coltivati a kiwi, varietà hi-tech che hanno conquistato una loro nicchia di mercato.

      Ma restiamo a Saluzzo… Nell’annata in cui i lavoratori delle campagne non hanno più fatto notizia, scomparsi dalle cronache locali e nazionali, non più oggetto di studi eruditi in relazione a presunte emergenze ma sempre ben presenti in carne, ossa e muscoli tra i filari a reggere l’economia di questo angolo benestante di nord-ovest, la stagione del lavoro bracciantile si è chiusa mestamente nell’aula di un tribunale. A Cuneo il 23 novembre scorso, infatti, si è svolta l’udienza preliminare del processo a carico del datore di lavoro di Moussa Dembele, maliano, deceduto a Revello il 10 luglio 2022.

      Moussa lavorava in nero (“senza regolare contratto” secondo la fredda dicitura burocratica) presso un’azienda agricola dedita all’allevamento dei bovini.

      L’allevamento di bovini e suini è l’altro grande business della provincia di Cuneo da cui deriva la coltivazione intensiva del mais che, insieme a frutteti e capannoni di cemento, domina il paesaggio della pianura saluzzese.

      Nel settore zootecnico le condizioni di lavoro riescono ad essere forse persino peggiori che in agricoltura. Così almeno sostengono alcuni ex-lavoratori, i quali, stando a quanto ci dicono, ricordano il mestiere con un certo orrore. «Se lo fai troppo a lungo», ci racconta Ousmane, «diventi un vitello anche tu! È massacrante, fisicamente ma soprattutto mentalmente: lavori tutti i giorni, a orario spezzato, da solo, nell’aria pesante che puzza di animale e di merda. Per una paga nemmeno buona devi completamente rinunciare a farti una tua vita personale, eppure il padrone non è mai, mai contento…» Nell’invisibilità garantita dalle stalle diffuse nel profondo della campagna industrializzata il rapporto di forza tra l’azienda e il dipendente, che spesso lavora individualmente, è tutto a favore della prima.

      Quella domenica Moussa trasportava pesanti vasche di plastica colme di mangime insilato per l’alimentazione delle mucche, riempite di volta in volta al cassone di un inquietante macchinario denominato “desilatore portato”, attrezzatura agricola attaccata alla forza motrice di un trattore. Nella richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Cuneo, tale attrezzatura viene definita “non idonea ai fini della sicurezza”, priva cioè delle necessarie protezioni, modificata per facilitare le operazioni.

      Giunto ormai al termine del lavoro affidatogli, il manovale si è sporto oltre la sponda del cassone per spingere con una scopa i resti dell’insilato verso la coclea, rimanendo incastrato e schiacciato da un componente del macchinario in funzione. Questa la ricostruzione ufficiale. Moussa è deceduto per “arresto cardiorespiratorio a causa di shock midollare e ipovolemico”, in pratica è morto sul colpo con l’osso del collo fracassato nell’impatto.

      La storia di Moussa è simile a quella di tanti lavoratori e lavoratrici delle campagne, che accettano di lavorare in nero perché non sono in regola con il permesso di soggiorno e non hanno alternative oppure per integrare i contratti a chiamata che non garantiscono un salario sufficiente per sé e per poter aiutare le proprie famiglie nei paesi d’origine.

      «Si trovava in Italia dal 2013 e pare che lavorasse nell’azienda da circa sei mesi. Da più di un anno stava aspettando il rinnovo del permesso di soggiorno… Oltre alla moglie e alle due figlie, Moussa ha lasciato il fratello Makan, di due anni più giovane, che vive a Gambasca e lavora per un’azienda agricola del paese. I due erano arrivati in Italia in momenti diversi. E’ stato lui ad accompagnare la salma in Mali». (L’eco del Chisone, agosto 2023)

      Alla notizia della morte di Moussa un pugno di braccianti aveva manifestato spontaneamente dolore e rabbia per le strade di Saluzzo.

      In generale si dice che a Saluzzo, “a differenza del Sud” – il Sud preso come termine di paragone sempre negativo, il Sud diverso e lontano, il Sud selvaggio e criminale, il Sud che nel Piemonte profondo non ha mai smesso di venire razzializzato – il lavoro nero in agricoltura sia tutto sommato poco diffuso, un’eccezione e non la regola. Come abbiamo scritto qui, la cifra costitutiva degli attuali rapporti lavorativi locali è in effetti il lavoro ‘grigio’, cioè lavoro ‘nero a metà’ per dirla con un grande cantore del Meridione quale Pino Daniele. Tuttavia, a ben vedere, specialmente durante i picchi della raccolta, non sono affatto pochi i raccoglitori non contrattualizzati impiegati anche nel saluzzese.

      Abbiamo persino sentito dire che ci sono datori di lavoro che in quei momenti quando ci si gioca il raccolto di un anno intero, incuranti di un pericolo evidentemente non così temibile, cercano lavoratori disponibili a lavorare in nero, “perché per così pochi giorni, ma che senso ha fare un contratto?” Mera noia burocratica o cosciente risparmio sul costo del lavoro? Chissà, intanto il bracciante ha qualche giorno in meno per il calcolo della disoccupazione agricola e zero tutele dei propri diritti… Agli unici lavoratori che in un certo senso conviene, per il paradossale effetto della violenza strutturale sancita dalla legge Bossi-Fini, sono le persone, come Moussa, sprovviste di regolare permesso di soggiorno a causa delle estenuanti lungaggini burocratiche.

      Per una drammatica coincidenza, ma per chi conosce bene le condizioni di vita dei braccianti non è affatto una sorpresa, poco distante dal luogo del decesso di Moussa, nelle campagne di Revello, grosso comune agricolo dove lavorano centinaia di stagionali e di cui si parla spesso in quanto l’unico del distretto della frutta a non aver aderito al protocollo di accoglienza della Prefettura, nella primavera di quest’anno è morto Dahaba, 40 anni, anche lui maliano. Ma la notizia è passata praticamente sotto silenzio.

      L’uomo ha perso la vita la notte di Pasqua a causa delle esalazioni del monossido di carbonio: per riscaldarsi aveva acceso, nella sua stanza, un braciere ricavato da un secchio di metallo. Ad aprile fa ancora freddo da queste parti, i camini delle cascine fumano e le gelate notturne rischiano di compromettere i raccolti, è questa la preoccupazione maggiore.

      Dahaba era arrivato da Rosarno dove aveva raccolto le arance e si era appena recato in Questura a ritirare il suo permesso di soggiorno per “attesa occupazione”, il documento che viene rilasciato quando il titolare di un permesso per lavoro subordinato ne richiede il rinnovo ma non ha, al momento, un contratto e delle buste paga da esibire. A Revello abitava in un alloggio messo a disposizione dal suo datore di lavoro, a quanto pare non riscaldato adeguatamente. Il martedì seguente il giorno di pasquetta, lo stesso datore di lavoro, non vedendolo arrivare, è andato a cercarlo e ha trovato il cadavere.

      L’uomo era poco conosciuto nella numerosa comunità maliana che vive nel saluzzese.

      L’episodio dovrebbe suscitare una riflessione seria sulle condizioni di vita dei braccianti africani, sul pendolarismo forzato nelle campagne d’Italia alla ricerca di un lavoro, sulla precarietà esistenziale estrema, sulla solitudine di un corpo senza vita rinvenuto solo perché non si è presentato sul posto di lavoro.

      Per non parlare del problema della casa o della tanto invocata accoglienza in azienda, in questi anni considerata la panacea di tutti i mali ma niente affatto sinonimo di dignitosa qualità di vita. L’accoglienza in cascina, anche quando fatta nel migliore dei modi – e non è certo sempre il caso – è infatti problematica sotto molteplici punti di vista: rappresenta un ulteriore ricatto per il lavoratore, il cui datore di lavoro e il padrone di casa sono la stessa persona; è un fattore di isolamento spaziale che ha forti ripercussioni sulla socialità; impedisce una chiara separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro; e molto altro. Nel peggiore dei casi, si può dire che rievochi l’organizzazione sociale totale della piantagione coloniale…

      Moussa e Dakar chiedono di non essere dimenticati, di non essere considerati soltanto le note stonate di una narrazione dei fatti appiattita sul paternalismo padronale, ossessionata dal decoro urbano e dalla qualità delle eccellenze del territorio agricolo circostante. La morte che spesso attende in agguato chi lavora, in campagna e altrove, non è una tragica fatalità ma l’espressione più estrema di una condizione di ‘normale’ sfruttamento, che sistematicamente, a gradi variabili, produce sofferenza e afflizioni, fisiche e mentali.

      https://www.meltingpot.org/2023/12/lultimo-kiwi-cronache-dalle-piantagioni-saluzzesi

      #kiwi #kiwis

  • Termes nautiques
    https://www.annoncesbateau.com/conseils/termes-nautiques

    petit #dictionnaire

    Écrit par : Bénédicte Chalumeau
    ...
    Pour naviguer il est nécessaire d’avoir une compréhension du vocabulaire de la navigation, de la mer et des bateaux. Nous vous présentons ici les termes techniques les plus courants, utilisés dans le monde maritime.

    A
    #Abattre :
    Écarter sa route du lit du vent. Ce mouvement s’appelle une abattée.

    #Abord (en) :
    Sur le côté du bâtiment.

    #Accastillage :
    Objets et accessoires divers équipant un navire.

    #Accoster :
    Placer un bâtiment le long d’un quai ou le long d’un autre navire.

    #Acculée :
    Mouvement en arrière d’un navire, il cule.

    #Adonner :
    Le vent adonne pour un navire à voiles quand il tourne dans un sens favorable à la marche, c’est à dire quand il vient plus à l’arrière. Le contraire est refuser.

    #Affaler :
    Faire descendre, c’est le contraire de hâler. Affaler quelqu’un le long du bord, ou d’un mât, c’est le faire descendre au bout d’un filin.

    #Aiguillots :
    Pivots fixes sur une mèche du gouvernail ou sur l’étambot et tournant dans les fémelots.

    #Aileron :
    Partie de tente qui se place en abord. Prolongements en abord et généralement découverts de l’abri de navigation.

    #Ajut :
    Noeud servant à réunir momentanément deux bouts de cordage.

    #Allure :
    Direction d’un navire par rapport à celle du vent.

    #Amariner :
    Amariner un équipage : l’habituer à la mer.

    #Amarrage :
    Action d’amarrer.

    #Matelotage
     : bout de lusin, merlin, ligne, etc... servant à relier ensemble deux cordages.

    #Amarres :
    Chaînes ou cordages servant à tenir le navire le long du quai.

    #Amener :
    abaisser, faire descendre.

    #Amer :
    Point de repère sur une côte.

    #Amure :
    Manoeuvre qui retient le point inférieur d’une voile du côté d’où vient le vent (voiles carrées). Par extension est synonyme d’allure. Pour les bateaux latins, on continue à dire qu’ils naviguent bâbord ou tribord amures, selon que le vent vient de la gauche ou de la droite.

    #Anguillers :
    Conduits, canaux ou trous pratiqués dans la partie inférieure des varangues des couples pour permettre l’écoulement de l’eau dans les fonds.

    #Anspect :
    Ou barre d’anspect. Levier en bois dur servant à faire tourner un cabestan ou un guindeau. Primitivement, servait à pointer les canons en direction.

    #Aperçu :
    Pavillon signal que l’on hisse pour indiquer que l’on a compris un signal.

    #Apiquer :
    Hisser l’une des extrémités d’un gui ou d’une vergue de manière à l’élever au-dessus de l’autre.

    #Apparaux :
    Ensemble des objets formant l’équipement d’un navire.

    #Appel :
    Direction d’un cordage, de la chaîne de l’ancre.

    #Appuyer :
    Haler, raidir un cordage pour soutenir ou fixer l’objet auquel il aboutit. Appuyer un signal, c’est l’accompagner d’un signal sonore, coup de Klaxon, pour attirer l’attention. Appuyer la chasse : poursuivre obstinément.

    #Araignée :
    Patte d’oie à grand nombre de branches de menu filin qu’on installe sur les funes des tentes et tauds pour permettre de les maintenir horizontaux. Hamac : réseau de petites lignes à oeil placées à chaque extrémité de la toile du hamac pour le suspendre : elles se réunissent à deux boucles métalliques ou organeaux d’où partent les « rabans » de suspension.

    #Arborer :
    Arborer un pavillon, c’est le hisser au mât. En Méditerranée, dans la langue des galères, le mât s’appelait l’arbre.

    #Ardent :
    Un navire est ardent lorsqu’il tend de lui-même à se rapprocher du lit du vent. C’est le contraire du mou.

    #Armement :
    L’armement d’un bâtiment consiste à le munir de tout ce qui est nécessaire à son genre de navigation ; ce terme désigne aussi la totalité des objets dont un navire est muni. Ces objets sont inscrits sur les « feuilles d’armement ». Dans une embarcation, on appelle ainsi son équipage.

    #Armer :
    Armer un navire : le munir de son armement. / Armer un câble : le garnir en certains endroits pour le garantir des frottements.

    #Arraisonner :
    Arraisonner un navire c’est le questionner sur son chargement, sa destination, et toutes autres informations pouvant intéresser le navire arraisonneur.

    #Arrimage :
    Répartition convenable dans le navire de tous les objets composants son armement et sa cargaison.

    #Arrivée :
    Mouvement que fait le navire quand il s’éloigne du lit du vent pour recevoir le vent plus de l’arrière. Synonyme : « abattée ». Contraire : « auloffée ».

    #Arrondir :
    Passer au large d’un cap pour éviter les dangers qui le débordent.

    #Assiette :
    Manière dont le navire est assis dans l’eau, autrement dit sa situation par rapport à la différence de ses tirants d’eau avant et arrière.
    Assiette positive : T AV < T AR
    Assiette négative : T AV > T AR

    #Atterrir :
    Faire route pour trouver une terre ou un port.

    #Attrape :
    Cordage fixé sur un objet de façon à pouvoir en temps utile l’amener à portée de main.

    #Atterrissage :
    Action d’atterrir.

    #Auloffée :
    Mouvement d’un navire tournant son avant vers le lit du vent. Contraire : arrivée abattée (ou abattée).

    #Aveugler :
    Une voie d’eau, obstruer avec des moyens de fortune

    B
    #Bâbord :
    Partie du navire située à gauche d’un observateur placé dans l’axe de ce navire en faisant face à l’avant.

    #Baguer :
    Faire un noeud coulant.

    #Baille :
    Baquet (appellation familière donnée à leur école, par les élèves de l’école Navale).

    #Balancine :
    Manoeuvre partant du haut du mât et soutenant les extrémités d’une vergue ou l’extrémité d’un gui ou d’un tangon.

    #Ballast :
    Compartiments situés dans les fonds du navire et servant à prendre du lest, eau ou combustible.

    #Ballon :
    Défense sphérique que l’on met le long du bord.

    #Bande :
    Inclinaison latérale du navire. Synonyme de gîte. Mettre l’équipage à la bande : l’aligner sur le pont pour saluer un navire ou une personnalité.

    #Barbotin :
    Couronne à empreintes du guideau ou du cabestan sur laquelle les maillons d’une chaîne viennent s’engrener successivement.

    #Base :
    Banc de roche ou de corail formant un bas-fond.

    #Bastaque :
    Hauban à itague employé sur les petits bateaux. Il peut aussi servir à hisser certains objets.

    #Bastingage :
    Autrefois muraille en bois ou en fer régnant autour du pont supérieur d’un navire, couronnée par une sorte d’encaissement destiné à recevoir pendant le jour, les hamacs de l’équipage ; une toile peinte les recouvrait pour les protéger de la pluie et de l’humidité. On emploie aussi ce terme par extension pour désigner les gardes corps ou lisses de pavois.

    #Battant :
    Partie du pavillon qui flotte librement par opposition au guindant qui est le long de la drisse.

    #Bau :
    Poutres principales placées en travers du bateau pour relier les deux murailles de la coque et supporter les bordages de la coque.

    #Beaupré :
    Mât situé à l’avant du bâtiment.

    #Béquiller :
    #Empêcher un navire échoué de se coucher en le maintenant avec des béquilles.

    #Berceau :
    Assemblage en bois ou en fer destiné à soutenir un navire quand il est halé à terre.

    #Berne (en) :
    Mettre le pavillon à mi-drisse en signe de deuil.

    #Bigue :
    Très gros mât de charge maintenu presque vertical et portant à son extrémité supérieure des cordages et des appareils destinés à lever des poids très lourds. On nomme aussi bigues deux mâts placés et garnis comme le précèdent, et dont les têtes sont réunies par une portugaise.

    #Bittes :
    Pièce de bois ou d’acier fixé verticalement sur un pont ou un quai et servant à tourner les aussières.

    #Bitture :
    Partie d’une chaîne élongée sur le pont à l’avant et à l’arrière du guindeau, filant librement de l’écubier aussitôt qu’on fait tomber l’ancre (prendre une bitture).

    #Bollard :
    Point d’amarrage à terre constituée par un gros fût cylindrique en acier coulé, à tête renflée, pour éviter le glissement de l’amarre.

    #Bôme :
    Vergue inférieure d’une voile aurique.

    #Borde :
    #Ensemble des tôles ou des planches formant les murailles d’un navire.

    #Bordée :
    – Distance parcourue par un navire en louvoyant et sans virer de bord.
    – Division : de l’équipage pour faire le quart.

    #Border :
    – ne voile : la raidir en embarquant l’écoute.
    – La côte : la suivre de très près.
    – Un navire : mettre en place le bordé.

    #Bordure :
    Côté inférieur d’une voile ; la ralingue qui y est fixée se nomme ralingue de fond ou de bordure.

    #Bosco :
    Maître de manoeuvre (marine de guerre), Maître d’équipage (marine de commerce)

    B#osse :
    Bout de cordage ou de chaîne fixé par une de ses extrémités et qui, s’enroulant autour d’un cordage ou d’une chaîne sur lesquels s’exerce un effort, les maintient immobile par le frottement.

    #Bossoir :
    – Pièce de bois ou de fer saillant en dehors d’un navire et servant à la manoeuvre des ancres à jas ; par extension coté avant d’un navire. De capon - de traversières : sert à mettre l’ancre au poste de navigation ; d’embarcation ou portemanteau : sert à suspendre et à amener les embarcations.
    – Homme de bossoir : homme de veille sur le gaillard avant.

    #Bouge :
    Convexité transversale entre ponts et faux-ponts des navires.

    #Bouée :
    Corps flottant.

    #Bourlinguer :
    Se dit d’un bateau qui lutte dans une forte mer et d’un marin qui navigue beaucoup.

    #Braie :
    Sorte de collier en toile à voile ou en cuir que l’on applique autour du trou pratiqué dans le pont pour le passage d’un mât, d’une pompe, de la volée d’un canon afin d’empêcher l’infiltration de l’eau à l’intérieur du bateau.

    #Branles :
    Nom ancien des hamacs (d’où « branle-bas »).

    #Brasse :
    Mesure de longueur pour les cordages, 1m83, servant aussi à indiquer la profondeur de l’eau. Ce terme est en usage dans la plupart des nations maritimes mais la longueur en est différente : en France : 1m624, en Angleterre et en Amérique : 1m829 (six pieds anglais).

    #Brasser :
    Orienter les vergues au moyen des manoeuvres appelées bras. - carré : placer les vergues à angle droit avec l’axe longitudinal du navire. Brasser un tangon.

    #Brider :
    Étrangler, rapprocher plusieurs cordages tendus parallèlement par plusieurs tours d’un autre cordage qui les serre en leur milieu ; ou augmente ainsi leur tension.

    #Brigadier :
    Matelot d’une embarcation placé à l’avant pour recevoir les bosses ou les amarres, annoncer les obstacles sous le vent ou aider à accoster avec la gaffe.

    #Brin :
    Mot servant à indiquer la qualité du chanvre d’un cordage ; le meilleur est dit le premier brin. S’emploie aussi pour qualifier un homme remarquable.

    #Bulbe :
    Renflement de la partie inférieure d’une étrave.

    #Bulge :
    Renflement des flancs du navire.

    C
    #Cabaner :
    Chavirer sans dessus dessous en parlant d’une embarcation.

    #Cabestan :
    Treuil vertical servant à actionner mécaniquement ou à bras les barbotins.

    #Cabillot :
    Chevilles en bois ou en métal qui traversent les râteliers et auxquelles on amarre les manoeuvres courantes au pied des mâts ou en abord.

    #Câblot :
    Petit câble d’environ 100 mètres de longueur servant à mouiller les embarcations au moyen d’un grappin ou d’une petite ancre.

    #Cabotage :
    Navigation entre deux ports d’une même côte ou d’un même pays.

    #Caillebotis :
    treillis en bois amovible servant de parquet et laissant écouler l’eau.

    #Calfatage :
    Opération qui consiste à remplir d’étoupe, au moyen d’un ciseau et à coups de maillet, les coutures des bordages ou des ponts en bois d’un navire afin de les rendre étanches. L’étoupe est ensuite recouverte de brai.

    #Calier :
    Homme employé spécialement à la distribution de l’eau douce.

    #Caliorne :
    Gros et fort palan destiné aux manoeuvres de force.

    #Cap de mouton :
    Morceau de bois plat et circulaire percé de trois ou quatre trous dans lesquels passent des rides pour raidir les haubans, galhaubans, etc...

    #Cape (à la) :
    On dit qu’un navire est à la cape quand, par gros temps, il réduit sa voilure ou diminue la vitesse de sa machine en gouvernant de façon à faire le moins de route possible et à dériver le plus possible pour éviter les effets de la mer.

    #Capeler :
    Capeler un mât, c’est faire embrasser la tête du mât par toutes les manoeuvres dormantes qui doivent entourer cette tête et s’y trouver réunies.

    #Capeyer :
    Tenir la cape.

    #Capon :
    Palan qui servait à hisser l’ancre sur les anciens navires (bossoirs de capon).

    #Carène :
    Partie immergée de la coque d’un navire.

    #Caréner (un navire) :
    Nettoyer et peindre sa carène.

    #Cartahu :
    Cordage volant, sans affectation spéciale, destiné à hisser ou amener les objets qu’on y attache. Les cartahus de linge servent à mettre le linge au sec ; ils se hissent parfois entre les mâts de corde.

    #Chadburn :
    Système mécanique employé pour transmettre les ordres de la passerelle aux machines (marine de commerce).

    #Chambre (d’embarcation) :
    Partie libre, à l’arrière de l’embarcation où peuvent s’asseoir les passagers.

    #Chandeliers :
    Barres généralement en acier fixées verticalement en abord d’un pont, autour des panneaux et des passerelles pour empêcher les chutes. Les chandeliers sont percés de trous dans lesquels passent les tringles ou les filières de garde-corps.

    #Chapelle, #Faire_chapelle :
    Se dit d’un navire qui, marchant, sous un vent favorable, vient à masquer par suite, d’une cause quelconque et est obligé de faire le tour pour reprendre les mêmes amures.

    #Charnier :
    Tonneau à couvercle, ayant généralement la forme d’un cône tronqué et dans lequel étaient conservés les viandes et les lards salés pour la consommation journalière de l’équipage (ancien). Par extension réservoir rempli d’eau potable.

    #Chasser (sur son ancre) :
    Entraîner l’ancre par suite d’une tenue insuffisante de fond.

    #Château :
    Superstructure établie sur la partie centrale d’un pont supérieur et qui s’étend d’un côté à l’autre du navire.

    #Chatte :
    Grappin à patte sans oreilles dont on se sert pour draguer les câbles ou les objets tombés à la mer.

    #Chaumard :
    Pièce de guidage pour les amarres solidement fixées sur le pont dont toutes les parties présentent des arrondis pour éviter d’user ou de couper les filins.

    #Chèvre :
    Installation de trois mâtereaux réunis à leur tête pour les manoeuvres de force.

    #Choquer :
    Filer ou lâcher un peu de cordage soumis à une tension.

    #Claire :
    Ancre haute et claire :
    ancre entièrement sortie de l’eau, ni surpattée, ni surjalée. On dira de même :
    manoeuvre claire, pavillon clair.

    #Clan :
    Ensemble formé par un réa tournant dans une mortaise qui peut être pratiquée dans un bordage, une vergue ou un mât.

    #Clapot :
    Petites vagues nombreuses et serrées qui se heurtent en faisant un bruit particulier.

    #Clapotis :
    Etat de la mer qui clapote ou bruit de clapot.

    #Clin :
    Les bordages sont disposés à clin quand ils se recouvrent comme les ardoises d’un toit :
    embarcation à clins.

    #Clipper :
    Nom donné à un
    voilier
    fin de carène, spécialement construit pour donner une grande vitesse (clipper du thé, de la laine).

    #Coaltar :
    Goudron extrait de la houille (protège le bois de la pourriture).

    #Coffre :
    Grosse bouée servant à l’amarrage des navires sur une rade.

    #Connaissement :
    Document où est consigné la nature, le poids et les marques des marchandises embarquées. Cette pièce est signée par le capitaine après réception des marchandises avec l’engagement de les remettre dans l’état où elles ont été reçues, au lieu de destination sauf périls et accidents de mer.

    #Conserve, Naviguer de conserve :
    Naviguer ensemble (un bâtiment est ainsi « conserve » d’un autre).

    #Contre-bord (navire à) :
    Navire faisant une route de direction opposée à celle que l’on suit.

    #Coque :
    Boucle qui se forme dans les cordages.

    #Coqueron :
    Compartiment de la coque souvent voisine de l’étrave ou de l’étambot, servant e soute à matériel.

    #Corde :
    Ce mot n’est employé par les marins que pour désigner la corde de la cloche.

    #Cornaux :
    W-C. de l’équipage consistant en auges inclinées qui découlent dans les conduits aboutissant à la mer ; les cornaux étaient autrefois placés à tribord et à bâbord sur le plancher de la poulaine.

    #Corps-morts :
    Chaînes et ancres disposées au fond de la mer, solidement retenues par des empennelages, et dont une branche qui part dès la réunion des chaînes est nommée itague revient au-dessus de l’eau où elle est portée par un corps flottant (bouée ou coffre).

    #Coupée :
    Ouverture pratiquée dans les pavois ou dans le bastingage permettant l’entrée ou la sortie du bord.

    #Couples :
    Axes de charpente posés verticalement sur la quille.

    #Coursive :
    Terme général pour désigner des passages étroits tels que ceux qui peuvent se trouver entre des chambres ou autres distributions du navire.

    #Crachin :
    Pluie très fine. Crachiner.

    #Crapaud (d’amarrage) :
    Forts crampons pris sur le fond et servant au mouillage des coffres et des grosses bouées.

    #Crépine :
    Tôle perforée placée à l’entrée d’un tuyautage pour arrêter les saletés.

    #Croisillon :
    Petite bitte en forme de croix.

    #Croupiat :
    Grelin de cordage quelconque servant à amarrer l’arrière d’un navire à un quai ou à un bâtiment voisin. Faire croupiat :
    appareiller le navire en s’aidant d’une amarre pour éviter le navire vers la sortie du port ou du bassin.

    #Cul :
    Fond, partie arrière, basse ou reculée, d’un objet.
    – Cul d’une poulie :
    Partie de la caisse opposée au collet.
    – Cul de poule :
    Arrière allongé et relevé.
    – Cul de porc :
    Sorte de noeud.

    #Culer :
    En parlant d’un navire : marche arrière en avant.

    D
    #Dalot :
    Trous pratiqués dans les ponts et laissant s’écouler dans un tuyau placé au-dessous l’eau qui se trouve à la surface du pont.

    #Dames :
    Échancrures du plat-bord d’un canot garnies de cuivre et destinées à recevoir et à maintenir les avirons pendant la nage.

    #Darse :
    Bassin d’un port.

    #Déborder :
    Action de pousser au large une embarcation ou un bâtiment accosté à un navire ou à un quai.

    #Débouquer :
    Sortir d’un canal ou d’une passe pour gagner la mer libre.

    #Décapeler :
    Un mât, une vergue, c’est enlever les cordages qui y sont capelés ; un cordage, entourant un objet quelconque, c’est le dépasser par-dessus cet objet et l’enlever. De façon générale : ôter, décapeler un tricot, etc...

    #Défense :
    Tout objet suspendu contre le bord d’un navire ou d’une embarcation pour préserver la muraille du choc des quais et de toute construction flottante.

    #Déferler :
    Larguer les rabans de ferlage qui tiennent une voile serrée et la laisser tomber sur ses cargues. La lame déferle lorsqu’elle brise en s’enroulant sur elle-même ou en choquant une plage, une roche.

    #Déferler_un_pavillon :
    Peser sur la drisse pour permettre au pavillon de se déployer.

    #Déhaler :
    Déplacer un navire au moyen de ses amarres.

    Se déhaler :
    S’éloigner d’une position dangereuse au moyen de ses embarcations, de ses voiles.

    #Dérader :
    Quitter une rade.

    #Déraper :
    Une ancre : l’arracher du fond. Un navire dérape lorsqu’il enlève du fond sa dernière ancre.

    #Dérive :
    Différence entre le cap vrai du bâtiment et sa route vraie sous l’effet du vent de la mer et du courant.On appelle aussi « dérive » les surfaces que l’on immerge au centre de la coque ou sur les côtés pour s’opposer à la pression latérale du vent ; on devrait dire dans ce cas « contre dérive ». Être en dérive : navire ou objet qui flotte au gré du vent, des lames, des courants.

    #Désaffourcher :
    Relever une des deux ancres qui tiennent un navire affourché.

    #Désarmé :
    Un navire est désarmé lorsqu’il est amarré dans un port sans équipage et qu’il n’y a, en général, que des gardiens à bord.

    #Détroit :
    Ancre installée à la poupe d’un bâtiment.

    #Déventer :
    Une voile : la brasser en ralingue de façon à ce qu’elle fasseye.

    #Dévers :
    Inclinaison de l’étrave et courbure vers l’extérieur des couples de l’avant ayant pour avantage d’éviter l’embarquement des lames, formées par la vitesse du bâtiment.

    #Délester :
    Décharger le lest d’un navire, par exemple, alléger un navire.

    #Démailler :
    Séparer les maillons d’une chaîne, ou l’ancre de sa chaîne.

    #Demande :
    Filer à la demande un cordage qui fait effort, c’est le laisser (à la) filer en n’opposant qu’une faible résistance, mais en se tenant prêt à arrêter le mouvement au besoin.

    #Dépaler :
    Être dépalé : être porté par les courants, en dehors de la route que l’on doit suivre.

    #Déplacement :
    Poids du volume d’eau déplacé par un navire qui flotte. Le déplacement s’exprime en tonnes de 1000 kg.

    #Dévirer :
    (Cabestan, treuil, etc...) : tourner en sens contraire.

    #Dinghy :
    Embarcation en caoutchouc. L’on dit aussi
    zodiac quel que soit le modèle.

    #Double :
    Le double d’une manoeuvre : la partie qui revient sur elle-même dans le sens de la longueur après avoir passé dans une poulie ou autour d’un cabillot ou de tout autre objet. Quart de vin supplémentaire à titre de récompense.

    #Doubler :
    – Au vent : naviguer au vent de, passer au vent de...
    – Un cap : manoeuvrer et faire route de manière à contourner un cap.
    – Un bâtiment : le gagner de vitesse.
    – Les manoeuvres, cordages : les disposer en double en cas de mauvais temps ou autrefois à l’approche du combat.

    #Draille :
    Cordage tendu le long duquel une voile, une tente peuvent courir ou glisser par le moyen d’un transfilage ou d’anneaux.

    #Drisse :
    Cordage ou palan servant à hisser une vergue, une corne, une voile.
    – De flamme : cordage confectionné au moyen d’une machine spéciale, en une tresse ronde avec huit faisceaux, de trois fils à voile non goudronnés et destiné à hisser les signaux.

    #Drome :
    Ensemble des embarcations, des pièces de rechange : mâts, vergues, avirons, etc... embarqués à bord d’un bâtiment.
    – Des embarcations : rassemblement en bon ordre des avirons, mâts, gaffes d’un canot sur les bancs.

    #Drosse :
    Cordage en filin, en cuir, en fil d’acier, ou en chaîne qui sert à faire mouvoir la barre de gouvernail.

    #Drosser :
    Entraîner hors de sa route par les vents et la mer.

    #Ducs d’albe :
    Nom donné à un ou plusieurs poteaux réunis, enfoncés dans le fond d’un bassin ou d’une rivière afin d’y capeler des amarres quand on le déhale d’un navire.

    E
    #Echafaud :
    Planches formant une plate-forme que l’on suspend le long de la coque pour travailler.

    #Echouer :
    Toucher le fond.

    #Ecope :
    Pelle en bois à long manche qui sert à prendre de l’eau à la mer pour en asperger la muraille d’un bâtiment pour la nettoyer. Elle sert également à vider les embarcations.

    #Écoutille :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans le pont pour pouvoir accéder dans les entreponts et dans les cales.

    #Ecubier :
    Conduit en fonte, en tôle ou en acier moulé ménagé de chaque bord de l’étrave pour le passage des chaînes de l’ancre. Ouverture par laquelle passe la chaîne d’une ancre.

    #Elingue :
    Bout de filin ou longue estrope dont on entoure les objets pesants tels qu’une barrique, un ballot, une pièce de machine, etc... A cette élingue, on accroche un palan ou la chaîne d’un mât de charge pour embarquer ou débarquer les marchandises.

    #Embardée :
    Abattée d’un navire en marche en dehors de sa route ou au mouillage ou sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embarder :
    Se dit d’un navire qui s’écarte de sa route à droite ou à gauche en suivant une ligne courbe et irrégulière. On dit aussi qu’un navire, à l’ancre, embarde quand il change constamment de cap sous l’effet du vent ou du courant.

    #Embellie :
    Amélioration momentanée de l’état de la mer et diminution du vent pendant une tempête ou encore éclaircie du ciel pendant le mauvais temps ou la pluie.

    #Embosser :
    Un navire : mouiller ou amarrer le bâtiment de l’AV et de l’AR, pour le tenir dans une direction déterminée malgré le vent ou le courant.

    #Embouquer :
    S’engager dans un canal, un détroit ou une passe.

    #Embraquer :
    Tirer sur un cordage de manière à le raidir : embraquer le mou d’une aussière.

    #Embrun :
    L’embrun est une poussière liquide arrachée par le vent de la crête des lames.

    #Emerillon :
    Croc ou anneau rivé par une tige dans un anneau de manière à pouvoir tourner librement dans le trou de l’anneau.

    #Empanner :
    Un navire à voile empanne ou est empanné quand il est masqué par le côté de l’écoute de ses voiles.

    #Encablure :
    Longueur employée pour estimer approximativement la distance entre deux objets peu éloignés l’un de l’autre. Cette longueur est de 120 brasses (environ 200 mètres). Longueur normale d’une glène d’aussière. Autre définition de l’encablure : un dixième de mille soit environ 185 mètres.

    #Encalminé :
    Voilier encalminé : quand il est dans le calme ou dans un vent si faible qu’il ne peut gouverner.

    #Engager :
    Un navire est engagé quand il se trouve très incliné par la force du vent, le désarrimage du chargement ou la houle et qu’il ne peut se redresser. Cordage engagé : cordage qui bloque.

    #En grand :
    Tout à fait, sans retenue.

    #Entremise :
    Fil d’acier reliant deux têtes de bossoir et sur lequel sont frappés les tire-veilles. Pièces de bois, cornière, placées dans le sens longitudinal. Elles servent avec les barrots à établir la charpente des ponts, à limiter les écoutilles, etc...

    #Épauler :
    La lame : prendre la mer à quelques quarts de l’AV pour mieux y résister.

    #Epontille :
    Colonne verticale de bois ou de métal soutenant le barrot d’un pont ou d’une partie à consolider.

    #Erre :
    Vitesse conservée par un navire sur lequel n’agit plus le propulseur.

    #Espars :
    Terme général usité pour désigner de longues pièces de bois employées comme mâts, vergues, etc...

    #Essarder :
    Essuyer, assécher avec un faubert ou une serpillière.

    #Etale :
    – Sans vitesse.
    – Étale de marée : moment où la mer ne monte ni ne baisse

    #Etaler :
    Résister à.

    #Étalingure :
    Fixation de l’extrémité d’un câble, d’une chaîne sur l’organeau d’une ancre. - de cale : fixation du câble ou de la chaîne dans la cale ou le puits à chaînes.

    #Etambot :
    Pièce de bois de même largeur que la quille et qui s’élève à l’arrière en faisant avec celle-ci un angle généralement obtus qu’on nomme quête. Il reçoit les fémelots ou aiguillots du gouvernail.

    #Etamine :
    Étoffe servant à la confection des pavillons.

    #Etarquer :
    Une voile : la hisser de façon à la tendre le plus possible.

    #Étrangler :
    Une voile : l’étouffer au moyen de cordages.

    #Etrangloir :
    Appareil destiné à ralentir et à arrêter dans sa course une chaîne d’ancre.

    #Evitage :
    Mouvement de rotation d’un bâtiment sur ses ancres, au changement de marées ou par la force du vent qui agit plus sur lui que sur le courant. Espace nécessaire à un bâtiment à l’ancre pour effectuer un changement de cap, cap pour cap.

    F
    #Fanal :
    Lanterne d’embarcation.

    #Fardage :
    Tout ce qui se trouve au-dessus de la flottaison excepté la coque lisse et offrant de la prise au vent. Dans la marine de commerce, désigne aussi les planches , nattes, etc... que l’on place sur le vaigrage du fond pour garantir les marchandises contre l’humidité.

    #Fatiguer :
    Un bâtiment fatigue lorsque, par l’effet du vent, de la mer, ses liaisons sont fortement ébranlées.

    #Faubert :
    Sorte de balai fait de nombreux fils de caret et dont on fait usage à bord pour sécher un pont après la pluie ou le lavage.

    #Faux-bras :
    Cordage installé le long du bord, pour faciliter l’accostage des embarcations.

    #Femelots :
    Pentures à deux branches embrassant l’étambot ou le gouvernail et représentant des logements pour recevoir les aiguillots.

    #Ferler :
    – Une voile carrée : relever par plis sur la vergue une voile carguée et la fixer au moyen de rabans dits de ferlage qui entourent la voile et la vergue.
    – Un pavillon : le plier et le rouler en le maintenant ensuite avec sa drisse.

    #Filer :
    – Une amarre : laisser aller une amarre dont un des bouts est attaché à un point fixe.
    – La chaîne : augmenter la touée d’une chaîne en la laissant aller de la quantité voulue en dehors du bord.
    – Par le bout, une chaîne ou grelin : laisser aller du navire dans l’eau.

    #Filière :
    Cordage tendu horizontalement et servant de garde-corps ou à suspendre différents objets. - de mauvais temps : cordage qu’on tend d’un bout à l’autre du bâtiment et auquel les hommes se retiennent pendant les forts mouvements de roulis et de tangage.

    #Flux :
    Marée montante.

    #Forain :
    Ouvert : Rade foraine : rade sans abri, exposée au mauvais temps du large (mouillage d’attente).

    Forme :
    – Bassin de radoub, ou cale sèche : bassin de radoub.
    – Formes d’un navire : ses lignes.

    #Fraîchir :
    Se dit du vent qui augmente d’intensité.

    #Frais :
    Désigne la forme du vent : joli frais, bon frais, grand frais.

    #Franc-bord :
    Distance entre le niveau de l’eau à l’extérieur du navire et la partie supérieure du pont principal à la demi-longueur du navire.

    #Fret :
    Somme convenue pour le transport de marchandises par navire. Les marchandises composant le chargement du navire.

    #Fuir :
    Devant le temps ou devant la mer : gouverner de manière à recevoir le vent ou la mer par l’arrière.

    #Fune :
    Grelin qui traîne le chalut. Prolongement de la filière des tentes d’un navire (mettre les tentes en fune).

    G
    #Galhauban :
    Cordage en chanvre ou en acier servant à assujettir par le travers et vers l’arrière les mâts supérieurs.

    #Gambier :
    Changer la position d’une voile à antenne ou au tiers d’un côté à l’autre du navire en faisant passer la vergue de l’autre côté du mât. Synonyme : muder, trélucher.

    #Galipot :
    Sorte de mastic avec lequel on recouvre les pièces métalliques en cas de repos prolongé ou d’exposition à l’arrosage par l’eau de mer. Pâte formée en parties égales de céruse et de suif fondu, étalée à chaud, au pinceau, sur les surfaces à protéger. On l’enlève par grattage et lavage à l’huile. Galipoter (vieux).

    #Gite :
    Synonyme de bande : Giter.

    #Glène :
    De cordage : portion de cordage ployée en rond sur elle-même, c’est à dire lové.

    #Grain :
    Vent violent qui s’élève soudainement généralement de peu de durée. Les grains sont parfois accompagnés de pluie, de grêle ou de neige.

    #Gréement :
    L’ensemble des cordages, manoeuvres de toutes sortes et autres objets servant à l’établissement, à la tenue ou au jeu de la mâture, des vergues et des voiles d’un navire.

    #Guindeau :
    Appareil servant à virer les chaînes, à mouiller et à relever les ancres à bord d’un navire. Son axe de rotation est horizontal.

    H
    #Habitacle :
    Sorte de cuvette ou de caisse cylindrique en bois ou en cuivre recouverte à la partie supérieure d’une glace et qui contient le compas de route et les lampes qui l’éclairent.

    #Hale-bas :
    Petit cordage frappé au point de drisse des voiles enverguées sur des drailles et qui sert à les amener.

    #Haler :
    Remorquer un navire dans un canal ou le long d’un quai au moyen d’un cordage tiré au rivage. Tirer un cordage ou un objet quelconque au moyen d’un cordage sur lequel on fait un effort.

    #Hanche :
    Partie de la muraille d’un navire qui avoisine l’arrière. On relève un objet par la hanche quand il est à 45° par l’arrière du travers.

    #Haut-fond :
    Sommet sous-marin recouvert d’eau peu profonde et dangereux pour la navigation.

    #Hauturière :
    Navigation au large ; contrôlée par l’observation des astres. Long cours.

    I
    #Itague :
    Cordage passant par une poulie simple et sur lequel on agit à l’aide d’un palan pour augmenter la puissance. Chaîne retenant un coffre et maillée au point de jonction des chaînes des ancres de corps-mort.

    J
    #Jambettes :
    Montants, bouts d’allonges qui dépassent le plat-bord d’un bâtiment et sur lesquels on tourne des manoeuvres ou on prend un retour. Pièces de bois ou de fer légèrement inclinées et retenant les pavois.

    #Jarretière :
    Sangle qui sert à saisir une drôme dans une embarcation.

    #Jauge :
    Volume des capacités intérieures des navires exprimé en tonneaux de 2m3.83 ou 100 pieds cubes anglais.

    #Jauge brute :
    Volume de tous les espaces fermés du navire sans exception aucune.

    #Jauge nette :
    Volume des espaces utilisables commercialement.

    #Jaumière :
    Ouverture pratiquée dans la voûte d’un navire pour le passage et le jeu de la partie supérieure de la mèche du gouvernail.

    #Joue :
    Creux des formes de la coque à l’avant d’un navire. Synonyme : épaule. Face extérieure de la caisse d’une poulie.

    #Joute :
    Compétition d’embarcations à l’aviron.

    #Jusant :
    Marée descendante.

    L
    #Laisse :
    – De marée : partie du rivage alternativement couverte et découverte par la mer dans les mouvements de la marée.

    #Laize :
    Chacune des bandes de toile dont se compose une voile.

    #Lamanage :
    Pilotage restreint aux ports, baies, rade et rivières de peu d’importance. Dans la coutume d’Oléron, le pilote s’appelait loman, c’est à dire homme du lof (côté du vent) ; on en a fait laman, puis lamaneur.

    #Larder :
    Voir paillet.

    #Latte :
    – De hauban : patte métallique fixée sur le bordage pour servir de cadène de hauban.

    #Lège :
    Bâtiment lège : bâtiment vide.

    #Lest :
    Matières pesantes arrimées dans les fonds du navire pour en assurer la stabilité.

    #Libre pratique :
    Permission donnée par les autorités sanitaires d’un port à un navire de communiquer librement avec la terre.

    #Loch :
    Appareil servant à mesurer la vitesse du navire.

    #Lumières :
    Petits canaux ou conduits pratiqués sur la face antérieure des varangues et destinés à conduire les eaux de cale au pied des pompes. Synonyme : anguillers

    M
    #Mahonne :
    Chaland de port à formes très arrondies utilisé en Méditerranée.

    #Maille :
    Intervalle entre deux couples voisins d’un navire ou entre deux varangues. Ouverture laissée entre les fils des filets de pêche.

    #Main_courante :
    Barre en métal, ou pièces de bois mince, placées de chaque côté des échelles de dunette, de roof-passerelle, de gaillard, etc... pour servir de rampe.

    #Maistrance :
    (Marine Nationale) - L’ensemble des officiers mariniers de la Marine de guerre française et plus particulièrement ceux de carrière qui constituent le cadre de maistrance proprement dit.

    #Maître_bau :
    Bau situé dans la plus grande largeur du navire.

    #Maître_couple :
    Couple situé de même.

    #Maître_de_quart :
    (Marine nationale) - Gradé du service manoeuvre qui, à bord des bâtiments militaires, seconde l’officier de quart dans le service des embarcations et rend les honneurs du sifflet à l’arrivée et au départ des officiers.

    #Maniable :
    Modéré (vent) ; assez beau (temps).

    #Manifeste :
    Liste complète et détaillée par marque et numéros des colis de marchandises formant la cargaison d’un navire. Cette liste est remise à la Douane du port de destination.

    #Marie-Salope :
    Chaland à saletés.

    #Marnage :
    Synonyme : d’amplitude pour la marée.

    #Maroquin :
    Cordage tendu entre deux mâts pour servir à supporter une ou plusieurs poulies dans lesquelles passent des manoeuvres ou des drisses.

    #Mascaret :
    Phénomène qui se produit dans le cours inférieur d’un fleuve consistant en plusieurs lames creuses et courtes formées par la remontée du flot contre le courant du propre fleuve.

    #Mât_de_charge :
    Espar incliné tenu par des balancines portant des apparaux servant à déplacer des poids.

    #Mâter :
    Mettre un mât en place. Mâter une pièce, une barrique, les avirons : les dresser et le tenir dans une position verticale.

    #Mégaphone :
    Tronc de cône creux et léger servant à augmenter la portée de la voix.

    #Membrure :
    Pièce de bois ou de fer soutenant le bordé et les vaigres sur laquelle viennent se fixer les barrots (Synonyme : couple).

    #Midship :
    Aspirant ou enseigne de vaisseau, en général le plus jeune parmi les officiers. Désigne également des chaussures ouvertes utilisées à bord des bâtiments de la Marine en pays chaud.

    #Mole :
    Construction en maçonnerie, destinée à protéger l’entrée d’un port et s’élevant au-dessus du niveau des plus fortes marées.

    #Mollir :
    Diminuer de violence (vent / mer).

    #Mou :
    Un cordage a du mou quand il n’est pas assez tendu. Donner du mou : choquer une manoeuvre. Un navire est mou quand il a tendance à abattre.

    #Moucheter_un_croc :
    Amarrer un bout entre pointe et dos pour empêcher le décrochage.

    #Mouiller :
    Jeter l’ancre et filer la touée de la chaîne convenable.

    #Mousson :
    Vents périodiques, soufflant avec de légères variations pendant une moitié de l’année dans une direction et pendant l’autre moitié de l’année dans la direction opposée. (Mers de Chine et Océan Indien).

    #Musoir :
    Pointe extrême d’une jetée ou d’un môle ; se dit aussi de l’extrémité d’un quai à l’entrée d’un bassin ou d’un sas.

    N
    #Nable :
    Trou percé dans le fond d’une embarcation servant à la vider lorsque cette embarcation n’est pas à flot. S’obture au moyen d’un bouchon de nable.

    #Nage :
    Mouvement imprimé par l’armement aux avirons d’une embarcation.
    – Chef de nage : Nageurs assis sur le banc arrière dont les mouvements sont suivis par tous les autres.
    – Nage à couple : Quand il y a 2 (canot) ou 4 (chaloupe) nageurs sur chaque banc.
    – Nage en pointe : 1 nageur par banc (baleinière).

    #Natte :
    Nom donné aux paillets et aux sangles qu’on place en divers endroits de la mâture et du gréement qu’on veut garantir du frottement.

    #Nid de pie :
    Installation placée assez haut sur le mât avant de certains navires et dans laquelle se tient l’homme de vigie. A bord des navires polaires, on dit plutôt #nid_de_corbeau.

    O
    #Obéir :
    Un navire obéit bien à la barre quand il en sent rapidement l’action.

    #Obstructions :
    Défenses fixes, d’un port pour en interdire l’accès à un ennemi de surface, sous-marin ou aérien.

    #Oeil :
    Boucle formée à l’extrémité d’un filin.

    #Oeil de la tempête :
    Éclaircie dans le ciel au centre des ouragans.

    #Oeuvres_mortes :
    Partie émergée de la coque.

    #Oeuvres_vives :
    Partie immergée de la coque.

    #Opercule :
    Tape de hublot.

    #Oreilles_d_âne :
    Cuillers en tôle permettant d’augmenter le débit d’air entrant par les hublots.

    P
    #Paille de bitte :
    Tige de fer traversant la tête d’une bitte pour empêcher la chaîne ou l’aussière de décapeler.

    #Paillet :
    Réunion de fils de bitord, torons de cordage, etc... tressés ensemble et formant une sorte de natte. On les emploie pour garnir les manoeuvres dormantes afin empêcher le frottement.

    #Palanquée :
    Colis, ensemble de marchandises groupées dans une élingue ou un filet pour être embarquées ou débarquées en un seul mouvement de grue.

    #Palanquer :
    Agir sur un objet quelconque avec un ou plusieurs palans.

    #Panne (mettre en) :
    Manoeuvre qui a pour objet d’arrêter la marche du navire par le brasseyage de la voilure.

    #Pantoire :
    Fort bout de cordage terminé par un oeil muni d’une cosse.

    #Pantoire_de_tangon :
    Retient le tangon dans le plan vertical.

    #Paravane (un) :
    Deux brins de dragage fixés au brion terminés par des flotteurs divergents. Installation destinée à la protection contre les mines à orin.

    #Paré :
    Prêt, libre, clair, hors de danger.

    #Parer :
    – Un cap : le doubler ; - un abordage : l’éviter.
    – Une manoeuvre : la préparer.
    – Manoeuvres : commandement pour tout remettre en ordre.
    Faire parer un cordage : le dégager s’il est engagé ou empêcher de la faire.

    #Passerelle :
    Petit cordage servant de transfilage ou à passer une manoeuvre plus grosse dans les poulies ou un conduit.
    Aussière ou chaîne passée d’avance sous la coque d’un bâtiment afin de permettre une mise en place rapide d’un paillet makaroff.

    #Pataras :
    Hauban supplémentaire destiné à soulager temporairement à un hauban soumis à un effort considérable - très employé sur les yachts de course, ce hauban mobile appelle largement sur l’arrière.

    #Patente de santé :
    Certificat délivré à un navire par les autorités du port pour attester l’état sanitaire de ce port.

    #Pavois :
    Partie de coque au-dessus du pont formant garde corps.

    #Grand_pavois :
    Pavillon de signaux frappés le long des étais et de l’entremise dans un ordre déterminé.

    #Petit_pavois :
    Pavillons nationaux en tête de chacun des mâts. Au-dessus du pavois : Syn. « de montré » pour un signal par pavillon de 1 signe.

    P#eneau (faire) :
    Tenir l’ancre prête à mouiller par grands fonds après avoir filé une certaine quantité de chaîne pour atténuer la violence du choc sur le fond.

    #Perdant :
    Synonyme : jusant.

    #Perthuis :
    Détroit entre les îles, des terres ou des dangers.
    Ouverture d’accès dans une cale sèche.

    #Phare :
    Construction en forme de tour portant un feu à son sommet.
    Mât avec ses vergues, voiles et gréement. Ex. : phare de misaine, phare de l’avant, phare de l’arrière, phare d’artimon, phare carré.

    #Phoscar :
    Sorte de boîte à fumée et à feu jetée d’un bâtiment afin de matérialiser un point sur la mer.

    #Pic (a pic) :
    Position verticale de la chaîne de l’ancre au moment où celle-ci est sur le point d’être arrachée au fond. A long pic : laisser la chaîne de l’ancre un peu plus longue que pour être à pic.

    #Pied :
    Jeter un pied d’ancre : mouiller avec un peu de touée pour un court laps de temps.
    Mesure de longueur égale à 0,305mètre.

    #Pied_de_biche :
    Pièce de fonte, dans un guindeau.

    #Pied_de_pilote :
    Quantité dont on augmente le tirant d’eau pour être sur de ne pas talonner.

    #Pigoulière :
    Embarcation à moteur assurant à heures fixes à TOULON le service de transport du personnel entre différents points de l’Arsenal.

    #Piloter :
    Assurer la conduite d’un navire dans un port ou dans les parages difficiles de la côte.

    #Piquer_l_heure :
    Sonner l’heure au moyen d’une cloche.

    #Plat-bord :
    – Dans un bâtiment en bois : ensemble des planches horizontales qui recouvrent les têtes des allonges de sommet.
    – Dans un navire en fer : ceinture en bois entourant les ponts.

    #Plein :
    Synonyme : pleine mer.
    – Plus près bon plein : allure de 1 quart plus arrivée que le plus près.
    – Mettre au plein : échouer un bateau à la côte.

    #Poste (amarre de) :
    Aussière ou grelin de forte grosseur fournie par les ports pour donner plus de sécurité et plus de souplesse à l’amarrage des navires et éviter l’usure de leurs propres aussières d’amarrage.

    #Pot_au_noir :
    Zone des calmes équatoriaux caractérisés par des pluies torrentielles.

    #Poulaine :
    Partie extrême avant d’un navire : lieu d’aisance de l’équipage.

    #Poupée_de_guindeau :
    Bloc rond en fonte sur lequel on garnit les amarres que l’on veut virer au guindeau.

    #Prélart :
    Laize de toile à voile souple, cousues ensemble puis goudronnées, destinées à couvrir les panneaux d’une écoutille et empêcher l’accès de l’eau dans les entreponts ou la cale.

    #Puisard :
    Espace compris entre deux varangues et formant une caisse étanche dans laquelle viennent se rassembler les eaux de cale.

    #Pilot_chart :
    Cartes périodiques publiées par l’Office Météo des Etats-Unis fournissant des renseignements sur la direction et la force des vents et des courants probables et la position des icebergs.

    Q
    #Quart :
    32ème partie du tour d’horizon, vaut 11 degrés 15 minutes.
    Synonyme. : de rhumb de compas.

    #Queue _de_rat :
    – Cordage terminé en pointe.
    – D’un grain : rafale violente et subite à la fin d’un grain.
    – Aviron de queue : aviron servant de gouvernail.

    #Quille_de_roulis :
    Plan mince, en tôle, fixé normalement et extérieurement à la coque, dans la région du bouchain, sur une partie de la longueur du navire, et destiné à entraîner l’eau lors des mouvements de roulis pour les amortir plus rapidement.

    R
    #Raban :
    Tresse ou sangle de 8 à 9 mètres de long formée d’un nombre impair de brins de bitord.
    – De hamac : bout de quarantenier servant à suspendre le hamac.
    – De ferlage : cordon ou tresse servant à serrer une voile sur une vergue, un gui, etc...

    #Rabanter :
    Fixer ou saisir un objet à son poste avec les rabans destinés à cet usage.
    – Une voile : la relever pli par pli sur la vergue et l’entourer, ainsi que la vergue, avec les rabans.

    #Radier :
    Maçonnerie sur laquelle on établit les portes d’un bassin et d’une forme.

    #Radoub :
    Passage au bassin d’un navire pour entretien ou réparation de sa coque.

    #Rafale :
    Augmentation soudaine et de peu de durée du vent.

    #Rafiau ou #Rafiot :
    Petite embarcation, mauvais navire.

    #Rafraîchir :
    Un câble, une amarre, c’est en filer ou en embraquer une certaine longueur de manière à ce que le portage ne soit jamais à la même place.

    #Raguer :
    Un cordage rague lorsqu’il s’use, se détériore en frottant sur un objet dur ou présentant des aspérités. Se dit aussi d’un bâtiment frottant contre un quai.

    #Rail :
    Pièce en cuivre vissée sur un mât à pible ou un gui sur laquelle sont enfilés les coulisseaux.

    #Rambarde :
    Garde-corps.
    Synonyme : de main courante.

    #Ras :
    Radeau servant aux réparations à faire à un bâtiment près de sa flottaison.
    Petits appontements flottants.

    #Ratier :
    Argot de bord - Matelot sans spécialité chargé de l’entretien de la coque.

    #Rattrapant :
    Yacht rattrapant. Terme de régate : lorsque deux yachts font la même route ou à peu près, celui qui est en route libre derrière l’autre commence à être considéré comme « yacht rattrapant l’autre » aussitôt qu’il s’en approche assez près pour qu’il y ait « risque de collision » et continue à être tel jusqu’à ce qu’il redevienne en roue libre devant ou derrière, ou s’en soit écarté par le travers jusqu’à écarter le risque de collision.

    #Raz :
    Courant violent dû au flot ou au jusant dans un passage resserré.

    #Reflux :
    Mouvement rétrograde de l’eau après la marée haute.
    Synonyme : jusant, ébe.

    #Refuser :
    Le vent refuse lorsque sa direction vient plus de l’avant. Contraire : adonner.

    #Relâcher :
    Un navire relâche quand par suite du mauvais temps, avaries subies, etc... il est forcé d’interrompre sa mission et d’entrer dans un port qui n’est pas son port de destination.

    #Renard :
    Plateau sur lequel sont pointés les noms des officiers qui descendent à terre.

    #Rencontrer :
    La barre ou simplement rencontrer : mettre la barre du côté opposé à celui où elle était auparavant pour arrêter le mouvement d’abatée du navire.

    #Rendre :
    Un cordage rend lorsqu’il s’allonge. Une manoeuvre est rendue lorsqu’on l’a amenée à son poste en halant dessus. Rendre le mou d’un cordage : tenir le cordage à retour d’un bout tandis qu’on hale de l’autre bout. Rendre le quart : remettre le quart à son successeur.

    #Renflouer :
    Remettre à flot un navire échoué.

    #Renverse :
    Du courant : le changement cap pour cap de sa direction.

    #Ressac :
    Retour violent des lames sur elles-mêmes lorsqu’elles vont se briser sur une côte, un haut-fond.

    #Retenue :
    Cordage en chanvre, en acier ou chaîne servant à soutenir un bout-dehors, un bossoir.

    #Rider :
    Une manoeuvre dormante : c’est la raidir fortement à l’aide de ridoirs ou de caps de mouton.

    #Riper :
    Faire glisser avec frottement.

    #Risée :
    Petite brise subite et passagère.

    #Rocambeau :
    Cercle en fer garni d’un croc, servant notamment à hisser la vergue d’une voile au tiers et à amurer le point d’amure du foc le long de son bout-dehors.

    #Rôle :
    Rôle de combat, rôle d’équipage, etc...

    #Rondier :
    Gradé ou matelot chargé d’une ronde.

    #Roof :
    Superstructure établie sur un pont supérieur et ne s’étendant pas d’un côté à l’autre du navire.

    #Roulis :
    Balancement qui prend le navire dans le sens transversal.

    #Routier :
    Carte marine à petite échelle comprenant

    S
    #Sabaye :
    Cordage avec lequel on hâle à terre un canot mouillé près de la côte.

    ##Sabord :
    Ouverture rectangulaire pratiquée dans la muraille d’un navire.

    Saborder :
    Faire des brèches dans les oeuvres vives d’un navire pour le couler.

    #Safran :
    Surface du gouvernail sur laquelle s’exerce la pression de l’eau pour orienter le navire.

    #Savate :
    Pièce de bois sur laquelle repose un navire au moment de son lancement.

    #Saisine :
    Cordage servant à fixer et à maintenir à leur place certains objets.

    #Sangle :
    Tissu en bitord qui sert à garantir du frottement certaines parties du navire ou du gréement ou à maintenir au roulis des objets suspendus.

    #Sas :
    Partie d’un canal muni d’écluses, destinée à établir une jonction entre deux bassins de niveaux différents. Compartiment en séparant deux autres dont les ouvertures ne peuvent s’ouvrir que l’une après l’autre.

    #Saute_de_vent :
    Changement subit dans la direction du vent.

    #Sauve-Garde :
    Cordages fourrés ou chaînes servant à empêcher le gouvernail d’être emporté s’il vient à être démonté. Ils sont fixés d’un bout sur le gouvernail, de l’autre sur les flancs du bâtiment.

    #Sec (à) :
    Un bâtiment court à sec, est à sec de toile lorsqu’il navigue sans se servir de ses voiles, mais poussé par le vent.

    #Semonce :
    Ordre donné par un navire armé à un autre navire de montrer ses couleurs et au besoin d’arrêter pour être visité.

    #Coup (coup de) :
    Coup de canon appuyant cet ordre.

    #Servir :
    Faire servir : manoeuvre d’un navire à voiles pour quitter la panne et reprendre la route.

    #Seuil :
    Élévation du fond de la mer s’étendant sur une longue distance.

    #Sillage :
    Trace qu’un navire laisse derrière lui à la surface de la mer.

    #Slip :
    Plan incliné destiné à mettre à l’eau ou à haler à terre de petits bâtiments ou des hydravions au moyen d’un chariot sur rails.

    #Soufflage :
    Doublage en planches minces sur le bordé intérieur ou extérieur.

    #Souille :
    Enfoncement que forme dans la vase ou le sable mou un bâtiment échoué.

    #Sous-venté :
    Un voilier est sous-venté quand il passe sous le vent d’un autre bâtiment, d’une terre qui le prive de vent.

    #Spardeck :
    Pont léger au-dessus du pont principal.

    #Suceuse :
    Drague travaillant par succion du fond.

    #Superstructures :
    Ensemble des constructions légères situées au-dessus du pont supérieur.

    #Surbau :
    Tôle verticale de faible hauteur encadrant un panneau, un roof ou un compartiment quelconque.

    #Syndic :
    Fonctionnaire de l’Inscription Maritime remplaçant les Administrateurs dans les sous-quartiers.

    #Syzygie (marée des) :
    Marées correspondant à la nouvelle ou à la pleine lune. Synonyme : marée de vive-eau.

    T
    #Table_à_roulis :
    Table percée de trous.
    Par gros temps, on y met des chevilles appelées violons ou cabillots qui permettent de fixer les objets qui s’y trouvent.

    #Tableau :
    Partie de la poupe située au-dessus de la voûte.
    Dans un canot ou une chaloupe, partie arrière de l’embarcation.

    #Talon_de_quille :
    Extrémité postérieure de la quille sur laquelle repose l’étambot.

    #Talonner :
    Toucher le fond de la mer avec le talon de la quille.

    #Tangon :
    Poutre mobile établie horizontalement à l’extérieur d’un navire, à la hauteur du pont supérieur et perpendiculairement à la coque, sur laquelle on amarre les embarcations quand le navire est à l’ancre.
    – De spinnaker ou de foc : espars servant à déborder le point d’écoute du spinnaker ou du foc au vent arrière.

    #Tangage :
    Mouvement que prend le navire dans le sens longitudinal.

    #Tanker :
    Navire pétrolier.

    #Tape :
    Panneau en tôle ou pièce de bois obturant une ouverture.

    #Taud :
    Abri de grosse toile qu’on établit en forme de toit au-dessus des ponts pour garantir l’équipage contre la pluie. Etui placé sur les voiles serrées pour les garantir de la pluie.

    #Teck :
    Bois des Indes presque imputrescibles aussi fort et plus léger que le chêne ; très employé dans la construction navale.

    #Tenir :
    Navire tenant la mer : se comportant bien dans le mauvais temps.

    #Tenir le large :
    Rester loin de la terre.

    #Tenue :
    Qualité du fond d’un mouillage. Les fonds de bonne tenue sont ceux dans lesquels les pattes des ancres pénètrent facilement et ne peuvent cependant en être arrachées qu’avec difficulté.
    La tenue d’un mât est son assujettissement par les étais et les haubans.

    #Teugue :
    Partie couverte du pont supérieur avant, constituant un gaillard d’avant où les hommes de l’équipage peuvent s’abriter.

    #Tiens-bon ! :
    Commandement à des hommes qui agissent sur un cordage, un cabestan, etc... de suspendre leurs efforts tout en restant dans la position où ils sont (voir « Tenir bon »).

    #Tiers (voile au) :
    Synonyme : de bourcet
    Voiles des canots et chaloupes.

    #Tillac :
    Pont supérieur ou parfois plancher d’embarcation.

    #Tins :
    Pièces de bois carrées placées à des distances régulières sur le fond d’une cale-sèche et destinées à soutenir la quille des navires.

    #Tire-veilles :
    Nom donné à un bout de filin terminé par une pomme à la rambarde au bas de l’échelle de coupée d’un navire et auquel on se tient pour monter à bord ou pour en descendre.
    Bout amarré sur l’entremise des bossoirs d’embarcation et auxquels se tient l’armement d’une embarcation quand on la met à l’eau ou quand on la hisse.

    #Tomber :
    – Sous le vent : s’éloigner de l’origine du vent.
    – Sur un navire, une roche : être entraîné par le vent, le courant ou toute autre cause vers un navire, un rocher, etc...
    – Le vent tombe, la mer tombe : le vent diminue d’intensité, les vagues de force.

    #Tonnage :
    Capacité cubique d’un navire ou de l’un de ses compartiments exprimée en tonneaux. Le tonneau est égal à cent pieds cubes anglais ou à 2,83 mètres cubes (c’est le tonneau de jauge) ; Le tonnage exprime toujours un volume.

    #Tonne :
    Grosse bouée en bois, en fer ou en toile.

    #Top :
    Prendre un top : comparer une pendule réglée avec son chronomètre, ou relever un signal horaire au compteur.

    #Tosser :
    Un navire tosse lorsque, amarré le long d’un quai, sa coque frappe continuellement contre le quai par l’effet de la houle.
    A la mer, le navire tosse quand l’AV retombe brutalement dans le creux des vagues.

    #Touage :
    Remorquage, plus particulièrement en langage de batellerie.

    #Toucher :
    Être en contact avec le fond. Toucher terre : faire escale.

    #Touée :
    Longueur de la remorque avec laquelle on hale un navire pour le déplacer.
    Longueur de la chaîne filée en mouillant une ancre. Par extension : longueur d’une certaine importance d’un câble filé ou d’un chemin à parcourir.

    #Touline :
    Petite remorque et plus généralement lance-amarre.

    #Tourner :
    Une manoeuvre : lui faire faire un nombre de tours suffisant autour d’un point fixe pour l’empêcher de filer ou de lâcher.

    #Traîne :
    Tout objet que l’on file à l’arrière d’un navire à l’aide d’un bout de filin.
    A la traîne : un objet est à la traîne lorsqu’il n’est pas placé à la place qui lui est assignée.

    #Transfiler :
    – Deux morceaux de toile : les rapprocher bord à bord au moyen d’un bout de ligne passant alternativement des oeillets pratiqués dans l’un dans ceux pratiqués dans l’autre.
    – Une voile : la fixer à sa vergue, gui ou corne au moyen d’un filin nommé transfilage et passant d’un oeillet à l’autre en embrassant la vergue, le gui, la corne.

    #Traversier :
    Amarre appelant d’une direction perpendiculaire à l’axe longitudinal.
    Un vent traversier est un vent bon pour aller d’un port à un autre et pour un revenir.

    #Trou_d_homme :
    Ouverture elliptique d’un double fond ou d’un ballast.

    #Tunnel :
    Conduit en tôlerie de dimensions suffisantes pour permettre le passage d’un homme et à l’intérieur duquel se trouve une ligne d’arbres entre la chambre des machines et la cloison de presse-étoupe AR.

    V
    #Va_et_vient :
    Cordage en double servant à établir une communication entre deux navires ou entre un navire et la côte, notamment pour opérer le sauvetage des naufragés.

    #Vadrouille :
    Bouts de cordage défaits, serrés sur un manche et servant au nettoyage. Faubert emmanché.

    #Vague_satellite :
    Soulèvement de la mer produit par le mouvement du navire en marche.

    #Varangue :
    La varangue est la pièce à deux branches formant la partie inférieure d’un couple et placées à cheval sur la quille. La varangue est prolongée par des allonges. Tôle placée verticalement et transversalement d’un bouchain à l’autre pour consolider le petit fond du navire.

    #Vase :
    Terre grasse, noirâtre, gluante. La vase peut être molle, dure mêlée ; elle présente généralement une bonne tenue.

    #Veille (ancre de) :
    Ancre prête à être mouillée.

    #Veiller :
    Faire attention, surveiller. Veiller l’écoute : se tenir prêt à la larguer, à la filer. Veiller au grain : l’observer, le suivre.

    #Vélique :
    Point vélique = centre de voilure de toutes les voiles.

    #Ventre :
    La partie centrale d’un bâtiment surtout lorsque ses couples sont très arrondis.

    #Verine :
    Bout de filin terminé par un croc ou une griffe et dont on fait usage en simple ou en double pour manier les chaînes des ancres.

    #Videlle :
    Reprise faite à un accroc dans une toile.

    #Virer :
    Exercer un effort sur un cordage ou sur une chaîne par enroulement sur un treuil, guindeau ou cabestan.
    – Virer à pic : virer suffisamment le câble ou la chaîne pour amener l’étrave du navire à la verticale de l’ancre.
    – Virer à long pic : virer en laissant la chaîne un peu plus longue que la profondeur de l’eau.

    #Virer_de_l_avant :
    faire avancer un navire en embraquant ses amarres de l’avant au cabestan ou au guindeau.
    – Virer sur la chaîne : rentrer une partie de la chaîne en se servant du cabestan ou du guindeau.
    – Virer de bord : changer les amures des voiles.

    #Vit_de_nulet ou #Vi_de_mulet :
    Tige de métal articulée fixée à une vergue, à un gui, à un mât de charge pour le relier au mât qui porte une douille. Employé en particulier pour les mâts de charge.

    #Vitesse :
    L’unité marine de vitesse est le noeud qui représente un mille marin (1852 mètres) à l’heure. Ne jamais dire un noeud à l’heure.

    #Vive-eau :
    Grande marée.

    #Voie_d_eau :
    Fissure ou ouverture accidentelle dans des oeuvres vives.

    W
    #Wharf :
    Littéralement quai, plus spécialement pour désigner un appontement qui s’avance dans la mer au-delà de la barre sur la côte occidentale d’Afrique.

    Y
    #Youyou :
    Très petite embarcation de service à l’aviron et à la voile.

  • Braccianti bambini trattati come schiavi nelle campagne di Latina

    Giovanissimi migranti sfruttati da clan mafiosi e padroncini fascisti. La denuncia di un lavoratore italiano: «Agenti e politici locali in una delle aziende già conosciute alle forze dell’ordine»

    «Nella mia esperienza l’unica legge vigente in alcune aziende dell’#Agro_Pontino è quella del padrone, che decide tutto a partire da chi deve lavorare, quante ore di lavoro deve fare e quanto dobbiamo essere pagati. Se qualcuno si lamenta non ti richiama più, oppure ti insulta o minaccia in modo brutale. L’ho visto personalmente minacciare braccianti del Bangladesh e indiani con fucili e pistole per farli tacere dopo tre mesi di lavoro svolto senza stipendio». A parlare è un bracciante italiano di origine calabrese che da poche settimane ha lasciato la provincia di Latina perché stanco di umiliazioni e violenze. Ha lavorato infatti sotto padrone nelle campagne dell’Agro Pontino da quando aveva 16 anni. Le sue mani sembrano quelle di un anziano bracciante di ottant’anni. Ne ha invece solo quarantadue.

    Mostra delle foto fatte di nascosto col suo cellulare mentre lavora sotto le serre con la schiena piegata accanto a quella di altri suoi compagni immigrati. E con le foto anche alcuni eloquenti vocali. Dichiara e dimostra, ora che è al sicuro in un paese vicino Milano, qualcosa di inaspettato anche per chi si occupa di studiare e denunciare lo sfruttamento dei braccianti italiani e immigrati della provincia di Latina da vent’anni. «Ancora in queste settimane, soprattutto il venerdì, il sabato e la domenica, arrivano anche minori a lavorare come schiavi. Sono ragazzi provenienti dal Bangladesh e dall’India. Hanno 14 anni, altre volte 15. Qualcuno arriva al massimo a 17. Non parlano italiano se non pochissime parole che il caporale indiano, su mandato di sedicenti capi della comunità indiana o bangladese, fa imparare loro per eseguire correttamente gli ordini del padrone italiano. Devono soprattutto capire quando arriva l’ordine di scappare perché si teme l’arrivo dei Carabinieri o di qualche controllo specifico».

    Sono giovanissimi immigrati che anziché frequentare corsi di formazione e di lingua, le scuole italiane come i loro coetanei o pensare a vivere in modo sereno la loro adolescenza, sono impiegati senza contratto anche per dieci o dodici ore al giorno nella raccolta delle carote, delle cipolle o dei ravanelli che garantiscono profitti illeciti a padroni e criminali italiani e immigrati e a un sistema agromafioso che, ricorda l’Eurispes, fattura ogni anno circa 24,5 miliardi di euro.

    «Il padrone li recluta parlando coi caporali o con il capo indiano della comunità per pagarli appena 4 euro l’ora. Parliamo di 40 euro al giorno per svolgere un lavoro faticoso e pericoloso. Devono infatti camminare in ginocchio per raccogliere gli ortaggi, usare coltelli affilati per tagliare cespi di insalata o i famosi cavolirapa per il mercato tedesco, e sollevare cassette molto pesanti dopo averle riempite completamente. Le loro pause, come anche le mie, sono al massimo di quaranta minuti per tutta la giornata. I dolori alla schiena, anche a quell’età, o alle ginocchia, sono molto forti e qualcuno di loro per evitare di sentire la fatica prende, come anche molti altri immigrati sfruttati, pasticche o oppio che alcuni hanno dentro i loro zaini». Si tratta di un fenomeno già denunciato nel 2014 da “In Migrazione”, riscontrato peraltro anche in molti processi in corso presso il Tribunale di Latina.

    «Sono minori che vivono in famiglie i cui genitori fanno anche loro i braccianti. Se sommi lo stipendio di padre, madre e figlio minore, tutti sfruttati nelle campagne pontine in aziende molto note, si raggiunge a malapena il salario previsto per il lavoro di un singolo bracciante con regolare contratto. Insomma, ne fai lavorare tre al prezzo di uno, minore compreso. Quando ho provato a dire al padrone che doveva trattarci bene e darci quello che ci doveva, mi ha insultato. Mi ha chiamato calabrese di merda. Una volta mi ha anche preso a calci e a schiaffi, dicendomi che potevo rivolgermi tranquillamente ai sindacati o ai giornalisti, tanto non ha paura di nessuno». Il padrone in questione, peraltro, «è noto alle forze dell’ordine, ma sembra fregarsene. Forse è protetto o si sente protetto, anche perché in azienda, soprattutto nel fine settimana, arrivavano alcuni agenti e politici locali. Si ritrovava anche con alcuni imprenditori agricoli di successo che dicevano fossero molto vicini alla camorra. Si prendevano tutti sotto braccio e pranzavano insieme, mentre io, insieme a quei ragazzi che potevano avere l’età di mio figlio, lavoravamo per loro quasi gratuitamente. E quando qualcuno di noi ha cercato di ribellarsi è finito in ospedale con la testa rotta. Il caporale infatti lo ha preso a bastonate fino a lasciarlo in terra sporco di sangue mentre il padrone faceva sparire il bastone per evitare guai».

    Non solo pratiche però, anche il linguaggio del padrone è importante. E infatti «amava farsi chiamare Mussolini, tanto che aveva fatto montare in azienda busti e adesivi inneggianti al fascismo. Quando pagava i salari, spesso in contanti, ricordava ai braccianti immigrati, minori compresi, che in Italia ci vorrebbe Mussolini o Hitler per sistemare le cose. E poi li insultava definendoli degli indiani idioti, che in Italia devono obbedire agli ordini degli italiani e ringraziare per il lavoro che lui gli garantiva. Era un fascista amico».

    Questo è probabilmente uno di quegli imprenditori che secondo il presidente del Consiglio Giorgia Meloni non deve essere disturbato, come lei stessa ha dichiarato agli industriali durante un’iniziativa pubblica. Peraltro anticipando quanto affermato di fatto anche dal neo direttore generale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro il giorno del suo insediamento. Non disturbare il manovratore, dunque, anche quando sfrutta lavoratori, ambiente e minori. È la solita dottrina di una destra che è forte con gli sfruttati, italiani e immigrati, donne e uomini, e invece attenta a non disturbare i forti, soprattutto quando sono padroni e fascisti che portano voti e consenso.

    https://ilmanifesto.it/braccianti-bambini-trattati-come-schiavi-nelle-campagne-di-latina
    #exploitation #enfants #enfance #mineurs #braccianti #Italie #Latina #agriculture #néo-esclavage #Bangladesh #Inde #migrations #caporalato

  • #Caporalato in #Friuli_Venezia_Giulia : #Gorizia è solo la punta dell’iceberg

    A fine febbraio una telefonata anonima ha fatto scoprire 30 braccianti rumeni, tra cui due minori, segregati in case fatiscenti, obbligati a lavorare per pochi euro, minacciati e picchiati. Per la Flai Cgil «il caporalato sta dove c’è ricchezza: in Friuli è rappresentata dai vigneti»

    A fine febbraio tre persone sono state arrestate a Gorizia per intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera in agricoltura. Le accuse nei loro confronti sono aggravate dalle minacce, dal numero dei lavoratori coinvolti e dalla minore età di due di loro.

    Il nuovo caso di caporalato è emerso grazie a una segnalazione anonima. La guardia di finanza e la procura hanno così scoperto una trentina di persone segregate in case fatiscenti e in precarie condizioni igienico-sanitarie, costrette a lavorare come braccianti agricoli per pochi euro al giorno, minacciate e picchiate se tentavano di ribellarsi. Lavoratori e caporali sono di origine rumena.

    «Che il caporalato fosse diffuso in regione lo sapevamo già, almeno dal dicembre 2021, quando sono stati scoperti alcuni casi a Pordenone. Adesso tutti si meravigliano, ma quello che è accaduto a Gorizia è l’ennesima dimostrazione che il caporalato, come la mafia, sta dove c’è ricchezza. E la grande ricchezza a cielo aperto del Friuli, come del Veneto, sono i vigneti che da tempo hanno sostituito le vecchie coltivazioni», dice a Osservatorio Diritti Alessandro Zanotto, coordinatore regionale Flai Cgil Friuli.

    Caporalato in Italia: il fenomeno va da Sud a Nord

    Il caporalato è sempre più radicato anche al Nord. Sono 405 le aree interessate dal fenomeno lungo tutta la Penisola, di queste solo 194 si trovano al Sud.

    Le altre sono divise tra Nord e Centro. Tra le regioni del Nord, Veneto e Lombardia sono quelle più coinvolte con 44 e 21 aree individuate. Due quelle monitorate in Friuli-Venezia Giulia, a Pordenone. A cui ora si aggiunge Gorizia (dati Osservatorio Placido Rizzotto Flai Cgil).

    «L’operazione della Procura e della Guardia di finanza a Gorizia è la prova che nessuna regione, nessuna coordinata geografica è immune allo sfruttamento. Un menù tossico fatto di condizioni di lavoro umilianti e contesti di vita ripugnanti», spiega a Osservatorio Diritti Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil.

    Differenze non ce ne sono rispetto ai casi scoperti al Sud: spesso i lavoratori sono di origine straniera (nei casi scoperti a Pordenone erano pachistani, a Gorizia rumeni), i salari sono bassissimi, contratti non ce ne sono e neppure diritti.

    Anche se al Nord può capitare che ci si avvalga di società di somministrazione di manodopera o di consulenti del lavoro locali, «che danno una parvenza di legalità, ma che in realtà sono apparati schiavistici. A Gorizia poi erano coinvolti anche due minorenni e i lavoratori erano tutti di origine rumena, quindi cittadini europei. Una vicenda che smentisce la retorica sul permesso di soggiorno», afferma Bilongo.

    Caporalato in Friuli Venezia Giulia

    I casi scoperti in Friuli-Venezia Giulia, in particolare nel territorio di Pordenone (su cui il VI Rapporto Agromafie e Caporalato della Flai Cgil ha acceso i riflettori), sono «solo la punta dell’iceberg in un territorio che si vanta di avere come pilastro della propria società la rettitudine, ma che il caporalato riesce a scalfire ugualmente. E lo stesso numero di vertenze aperte sul territorio è paradigmatico dell’ampiezza del fenomeno», dice Bilongo.

    Anche Zanotto parla di punta dell’iceberg quando racconta dei casi scoperti in regione, in particolare a Pordenone: «In quel caso erano coinvolti lavoratori pachistani, rinchiusi in case in campagna o in centro, alcuni senza permesso di soggiorno. Anche il caporale era pachistano. Ma le vere menti sono locali. È ipocrita chi dice di non sapere e di non vedere: noi li vediamo, questi ragazzi e ragazze, lavorare nei vigneti alle potature, a novembre e dicembre, tutti i giorni, anche i sabati e le domeniche, dalla mattina presto alla sera tardi. Ragazzi e ragazze che arrivano attraverso la rotta dei Balcani e che vengono sfruttati nelle nostre campagne».

    La legge contro il caporalato esiste, ma va applicata

    Ma come si combatte il caporalato? Per Bilongo la risposta è semplice: applicando la normativa di cui l’Italia si è dotata.

    «La legge 199 del 2016 sul caporalato prevede un impianto repressivo, ma anche di prevenzione. E se i dati sui contenziosi non accennano ad arretrare nonostante le forze a contrasto insufficienti, la prevenzione, purtroppo, non decolla», dice il sindacalista.

    Bilongo, in particolare, fa riferimento alla Rete del lavoro agricolo di qualità, l’organismo autonomo istituito dalle legge 116/2014 che punta ad arginare il caporalato in agricoltura attraverso la creazione di una lista di imprese virtuose.

    La legge sul caporalato del 2016 ha potenziato la Rete, prevedendo l’istituzione di sezioni territoriali in ogni provincia. Ma a fine 2021, le sezioni attivate sono solo 21. E le aziende iscritte alla Rete sono 5.978 su un potenziale di 250 mila (dati Osservatorio Placido Rizzotto – Quaderno n. 1 Geografia del caporalato).

    Qual è il motivo di numeri così bassi? «Il caporalato è una via facile per avere manodopera da discount ed è ormai una modalità consolidata. Eppure la soluzione è lì perché se un’azienda non ha niente da rimproverarsi può iscriversi alla rete ed essere certificata come sana. Dobbiamo rivendicare la necessità di fare prevenzione attraverso la Rete», afferma Bilongo.

    In Friuli-Venezia Giulia ci stanno provando, ma, come precisa Zanotto, «spesso le controparti partecipano agli incontri ma poi finisce lì. Eppure ciò che vediamo noi dovrebbero vederlo anche loro e rendersi conto che chi utilizza questa forma di manodopera rappresenta una concorrenza sleale per le aziende in regola».
    Sindacato di strada: ecco come si combatte il caporalato oggi

    Nei luoghi di lavoro, in quelli di aggregazione o di preghiera, nelle piazze dove avvengono gli ingaggi giornalieri, la Flai Cgil da alcuni anni ha scelto di reinventarsi come sindacato di strada per poter incontrare i lavoratori, distribuire materiale informativo e contratti in diverse lingue, segnalare i servizi del territorio, sostenere chi vuole denunciare.

    «A Pordenone è stato grazie al lavoro del sindacato di strada che abbiamo scoperto quello che stava e sta accadendo», dice Zanotto.

    Con il camper dei diritti – presente in Campania, Sardegna, Puglia, Piemonte, Basilicata, Calabria, Sicilia, Veneto – sono stati avvicinati molti lavoratori che, per paura o problemi di natura logistica, non riuscivano a entrare in contatto con il sindacato.

    «I braccianti agricoli lavorano dall’alba al tramonto e quando rientrano il sindacato è chiuso. Abbiamo rovesciato il paradigma andando loro incontro per intercettare bisogni, farci carico delle criticità, infondere consapevolezza. Questo significa recarsi di notte nei luoghi da cui partono per andare nei campi, o la domenica nei mercati o in moschea. È un lavoro costoso ma efficace. Nel 2018 a Latina quasi 5 mila braccianti indiani sono scesi in piazza. Il coraggio per farlo è il frutto del lavoro del sindacato di strada che, per anni, ha presidiato quella zona», conclude Bilongo.

    https://www.osservatoriodiritti.it/2023/04/03/caporalato-friuli-venezia-giulia
    #Italie #exploitation #main_d'oeuvre #travail #agriculture #braccianti #migrations #vignobles #migrants_roumains #Pordenone #loi #legge_199 #industrie_agro-alimentaire

    • Exploitation, vulnérabilité et résistance : le cas des #ouvriers_agricoles indiens dans l’Agro Pontino

      De nombreuses représentations trompeuses continuent à peser sur l’exploitation des ouvriers agricoles étrangers en Italie, rendant difficile la compréhension du phénomène et l’intervention sur ses causes réelles. Cet article tente de questionner les principaux lieux communs sur le sujet, en analysant un cas particulièrement éclairant : celui de la communauté #Pendjabi de #religion_sikh employée sur l’Agro Pontino, dans le Latium. Cette étude de cas permet, d’une part, de faire ressortir les conditions d’exploitation systémiques, masquées derrière des mécanismes apparemment légaux ; de l’autre, il révèle que même les individus les plus vulnérables peuvent résister à l’exploitation et revendiquer activement leurs droits.

      https://www.cairn.info/revue-confluences-mediterranee-2019-4-page-45.htm

    • #In_migrazione

      In Migrazione è una Società Cooperativa Sociale nata nel 2015 dalla volontà di persone impegnate nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia.

      Diversi percorsi professionali e umani che hanno attraversato un ampio spaccato di esperienze diverse e che con In Migrazione si sono uniti per dare vita ad un soggetto collettivo, innovativo, aperto e trasparente.

      Una Cooperativa nata per sperimentare nuovi progetti di qualità e innovative metodologie al fine di interpretare e concretizzare percorsi d’aiuto efficaci verso i migranti che vivono nel nostro Paese situazioni di disagio e difficoltà. Esperienze concrete che sappiano diventare buone pratiche riproducibili, per contribuire a migliorare quel sistema di accoglienza e inclusione sociale degli stranieri.

      Le nostre ricerche e le concrete sperimentazioni progettuali mettono al centro la persona, con i suoi peculiari bisogni, aspettative e sogni.

      Mettiamo a disposizione queste esperienze e le nostre metodologie alle altre associazioni, cooperative, Enti pubblici e privati, professionisti e volontari del settore, convinti che nel sociale non possano e non debbano esistere copyright.

      https://www.inmigrazione.it

    • Progetto “Dignità-Joban Singh”, contro la schiavitù dei braccianti

      Una serie di sportelli di accoglienza, ascolto e sostegno, ma anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Un progetto per dare voce alle vittime di lavoro schiavo, in memoria del giovane di origini indiane, morto suicida il 6 giugno 2020 a Sabaudia

      Si chiama Dignità-Joban Singh ed è il progetto in corso organizzato dall’associazione Tempi Moderni contro le varie forme di schiavismo e sfruttamento che mortificano e riducono in schiavitù migliaia di persone, immigrati e italiani, indiani e africani, uomini e donne, in questa Italia fondata sul lavoro ma anche su una persistente presenza di razzisti, violenti, mafiosi e di sfruttatori che mortificano la democrazia ed esprimono chiaramente la loro natura predatoria.

      Joban Singh, di appena 25 anni e residente nel residence “Bella Farnia Mare”, nel Comune di Sabaudia, in provincia di Latina, il 6 giugno scorso è stato trovato senza vita all’interno del suo appartamento. Joban decise di impiccarsi dopo essere entrato in Italia mediante un trafficante di esseri umani indiano, essere stato gravemente sfruttato in una delle maggiori aziende agricole dell’Agro Pontino e aver subito il rifiuto da parte del padrone alla sua richiesta di emersione dall’irregolarità mediante art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020) del governo.

      Dedicare questo progetto alla sua memoria, per non dimenticare ciò che significa vivere come uno schiavo in un paese libero, è un impegno che viene sottoscritto da Tempi Moderni ma che può camminare solo sulle gambe di tanti, o meglio di una comunità di persone responsabili e ribelle contro i padroni e i padrini di oggi.

      In questa Italia ci sono, secondo il rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil (2020), tra 400 e 450mila lavoratori e lavoratrici che solo in agricoltura risultano esposti allo sfruttamento e al caporalato. Di queste ultime, più di 180mila sono impiegate in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale. Secondo il sesto Rapporto Agromafia dell’Eurispes, il business delle agromafie, che comprendono le forme di grave sfruttamento, vale 24,5 miliardi di euro l’anno, con un balzo, nel corso del 2018, del 12,4%.

      Un fiume di denaro che è espressione di un’ideologia della disuguaglianza penetrata nei processi culturali delle società occidentali e troppo spesso relazione fondamentale del mondo del lavoro, in particolare del lavoro di fatica. È questo un sistema che produce lo schiavismo contemporaneo, come più volte il “Rapporto Italia”, ancora dell’Eurispes, ha messo in luce.

      Ancora nel 2019, ad esempio, l’Eurispes aveva esplicitamente dichiarato che lo sfruttamento è una fattispecie criminale le cui principali vittime sono i migranti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina. Lo sfruttamento, infatti, risultava più diffuso nei comparti più esposti alle irregolarità, al sommerso e all’abuso, dove chi fornisce prestazioni lavorative è in condizione di maggiore vulnerabilità.

      Si registrano dunque casi più numerosi, ancora secondo l’Eurispes, nell’agricoltura e pastorizia, a danno di polacchi, bulgari, rumeni, originari dell’ex U.R.S.S., africani e, in misura crescente, pakistani e indiani; nell’edilizia, a danno di europei dell’Est; nel settore tessile e manifatturiero, a danno di cinesi; nel lavoro domestico (soprattutto come badanti), a danno di soggetti provenienti dall’Europa dell’Est, dall’ex U.R.S.S., dall’Asia e dall’America del Sud.

      Insomma, uomini e donne a cui viene violata la dignità ogni giorno, costretti ad eseguire gli ordini del padrone, a sottostare ai suoi interessi e logiche di dominio. Quando questo potere si esercita nei confronti delle donne, lo sfruttamento assume caratteri devastanti. Ci sono infatti anche casi di violenza sessuale, di subordinazione delle lavoratrici immigrate alle logiche di dominio del boss, del padrone, del capo di turno.

      In provincia di Latina e precisamente a Sabaudia, appena poco prima di Natale, un’operazione denominata “Schiavo” e condotta dalla guardia di finanza, ha permesso di liberare dallo sfruttamento 290 lavoratori, soprattutto di origine indiana, che da anni venivano retribuiti con salari mensili inferiori anche del 60% rispetto a quelli previsti dal contratto provinciale, senza il riconoscimento degli straordinari, con l’obbligo di lavorare anche la domenica, impiegati senza le necessarie misure di sicurezza.

      Dunque, cosa fare? Avere il coraggio di capire, organizzarsi e agire collettivamente. Non si hanno alternative. La povertà, lo sfruttamento, la schiavitù, la violenza, non si abrogano per decreto. Non basta una legge. Serve un’azione collettiva espressione di una volontà radicale di contrasto di questo fenomeno mediante innanzitutto l’accoglienza e l’ascolto delle sue vittime, la costruzione di una relazione orizzontale con loro, dialettica, professionale e anche in questo coraggiosa, perché si deve prevedere l’azione di denuncia dei padroni insieme a quella della tutela.

      Ed è questa la sintesi perfetta del progetto Dignità–Joban Singh che ha organizzato e avviato una serie di sportelli di accoglienza, ascolto, sostegno e anche di assistenza legale, sociale, di formazione e di informazione, in tutta la provincia di Latina. Si tratta di sportelli che hanno il compito di accogliere e di fornire assistenza legale gratuita alle donne e agli uomini gravemente sfruttati, di qualunque nazionalità, vittime di tratta e caporalato, di violenze, anche sessuali, obbligati al silenzio o alla subordinazione.

      Insomma, un progetto realizzato grazie all’ausilio di avvocati di grande esperienza e con mediatori culturali affidabili e professionali, fondato sulla pedagogia degli oppressi di Freire e gli insegnamenti di Don Milani, Don Primo Mazzolari e Don Sardelli. Un progetto che vuole anche contrastare le strategie (razziste) mediatiche, politiche e sociali di stigmatizzazione, stereotipizzazione ed esclusione di coloro che sono considerati antropologicamente diversi.

      Un progetto che però ha bisogno del sostegno della maggioranza di questo paese, donne e uomini che non vogliono vivere sotto il ricatto delle mafie, dei violenti, degli sfruttatori, dei neoschiavisti, dei razzisti, in favore di un’Italia che merita un futuro diverso, migliore.

      https://www.nigrizia.it/notizia/progetto-dignita-joban-singh-contro-la-schiavitu-dei-braccianti

    • Marco Omizzolo

      Marco Omizzolo is a sociologist, researcher and journalist, who has been documenting and denoucing human rights violations against Sikh migrant workers exploited in the fields in the province of Latina (central Italy). In a context where “agrimafia” is rampant and many farms are controlled by criminal organisations, migrants have to work for up to 13 hours a day in inhumane conditions and under the orders of “caporali” (gangmasters), they earn well below the minimum wage and they have to live in cramped accommodation. To document their situation, Marco has worked undercover in the fields and he also went to Punjab (India) to follow an Indian human trafficker, where he investigated the connections between human trafficking and the system of agrimafia. Marco is also one of the founders of InMigrazione, an organisation that supports migrant workers informing them about their rights, helping them organise and fight for labour rights, and giving them the legal support they might need. In 2016, Marco and some Sikh activists managed to organise the first mass strike in Latina, joined by over 4000 workers.

      Because of his work - and particularly because of his investigations denouncing the criminal organisations involved in the agribusiness and the local food industry - Marco Omizzolo has been receiving serious threats. His car has been repeatedly damaged, he is often under surveillance and he has been forced to relocate because of the threats received.

      https://www.frontlinedefenders.org/en/profile/marco-omizzolo

    • The Indian migrants lured into forced labor on Mussolini’s farmland

      Gurinder Dhillon still remembers the day he realized he had been tricked. It was 2009, and he had just taken out a $16,000 loan to start a new life. Originally from Punjab, India, Dhillon had met an agent in his home village who promised him the world.

      “He sold me this dream,” Dhillon, 45, said. A new life in Europe. Good money — enough to send back to his family in India. Clothes, a house, plenty of work. He’d work on a farm, picking fruits and vegetables, in a place called the Pontine Marshes, a vast area of farmland in the Lazio region, south of Rome, Italy.

      He took out a sizable loan from the Indian agents, who in return organized his visa, ticket and travel to Italy. The real cost of this is around $2,000 — the agents were making an enormous profit.

      “The thing is, when I got here, the whole situation changed. They played me,” Dhillon said. “They brought me here like a slave.”

      On his first day out in the fields, Dhillon climbed into a trailer with about 60 other people and was then dropped off in his assigned hoop house. That day, he was on the detail for zucchini, tomatoes and eggplant. It was June, and under the plastic, it was infernally hot. It felt like at least 100 degrees, Dhillon remembers. He sweated so much that his socks were soaked. He had to wring them out halfway through the day and then put them back on — there was no time to change his clothes. As they worked, an Italian boss yelled at them constantly to work faster and pick more.

      Within a few hours of that first shift, it dawned on Dhillon that he had been duped. “I didn’t think I had been tricked — I knew I had,” he said. This wasn’t the life or the work he had been promised.

      What he got instead was 3.40 euros (about $3.65) an hour, for a workday of up to 14 hours. The workers weren’t allowed bathroom breaks.

      On these wages, he couldn’t see how he would ever repay the enormous loan he had taken out. He was working alongside some other men, also from India, who had been there for years. ”Will it be like this forever?” he asked them. “Yes,” they said. “It will be like this forever.”

      Ninety years ago, a very different harvest was taking place. Benito Mussolini was celebrating the first successful wheat harvest of the Pontine Marshes. It was a new tradition for the area, which for millennia had been nothing but a vast, brackish, barely-inhabited swamp.

      No one managed to tame it — until Mussolini came to power and launched his “Battle for Grain.” The fascist leader had a dream for the area: It would provide food and sustenance for the whole country.

      Determined to make the country self-sufficient as a food producer, Mussolini spoke of “freeing Italy from the slavery of foreign bread” and promoted the virtues of rural land workers. At the center of his policy was a plan to transform wild, uncultivated areas into farmland. He created a national project to drain Italy’s swamps. And the boggy, mosquito-infested Pontine Marshes were his highest priority.

      His regime shipped in thousands of workers from all over Italy to drain the waterlogged land by building a massive system of pumps and canals. Billions of gallons of water were dredged from the marshes, transforming them into fertile farmland.

      The project bore real fruit in 1933. Thousands of black-shirted Fascists gathered to hear a brawny-armed, suntanned Mussolini mark the first wheat harvest of the Pontine Marshes.

      "The Italian people will have the necessary bread to live,” Il Duce told the crowd, declaring how Italy would never again be reliant on other countries for food. “Comrade farmers, the harvest begins.”

      The Pontine Marshes are still one of the most productive areas of Italy, an agricultural powerhouse with miles of plastic-covered hoop houses, growing fruit and vegetables by the ton. They are also home to herds of buffalo that make Italy’s famous buffalo mozzarella. The area provides food not just for Italy but for Europe and beyond. Jars of artichokes packed in oil, cans of Italian plum tomatoes and plump, ripe kiwi fruits often come from this part of the world. But Mussolini’s “comrade farmers” harvesting the land’s bounty are long gone. Tending the fields today are an estimated 30,000 agricultural workers like Dhillon, most hailing from Punjab, India. For many of them — and by U.N. standards — the working conditions are akin to slave labor.

      When Urmila Bhoola, the U.N. special rapporteur on contemporary slavery, visited the area, she found that many working conditions in Italy’s agricultural sector amounted to forced labor due to the amount of hours people work, the low salaries and the gangmasters, or “caporali,” who control them.

      The workers here are at the mercy of the caporali, who are the intermediaries between the farm workers and the owners. Some workers are brought here with residency and permits, while others are brought fully off the books. Regardless, they report making as little as 3-4 euros an hour. Sometimes, though, they’re barely paid at all. When Samrath, 34, arrived in Italy, he was not paid for three months of work on the farms. His boss claimed his pay had gone entirely into taxes — but when he checked with the government office, he found his taxes hadn’t been paid either.

      Samrath is not the worker’s real name. Some names in this story have been changed to protect the subjects’ safety.

      “I worked for him for all these months, and he didn’t pay me. Nothing. I worked for free for at least three months,” Samrath told me. “I felt so ashamed and sad. I cried so much.” He could hardly bring himself to tell his family at home what had happened.

      I met Samrath and several other workers on a Sunday on the marshes. For the Indian Sikh workers from Punjab, this is usually the only day off for the week. They all gather at the temple, where they pray together and share a meal of pakoras, vegetable curry and rice. The women sit on one side, the men on the other. It’s been a long working week — for the men, out in the fields or tending the buffaloes, while the women mostly work in the enormous packing centers, boxing up fruits and vegetables to be sent out all over Europe.

      Another worker, Ramneet, told me how he waited for his monthly check — usually around 1,300 euros (about $1,280) per month, for six days’ work a week at 12-14 hours per day. But when the check came, the number on it was just 125 euros (about $250).

      “We were just in shock,” Ramneet said. “We panicked — our monthly rent here is 600 euros.” His boss claimed, again, that the money had gone to taxes. It meant he had worked almost for free the entire month. Other workers explained to me that even when they did have papers, they could risk being pushed out of the system and becoming undocumented if their bosses refused to issue them payslips.

      Ramneet described how Italian workers on the farms are treated differently from Indian workers. Italian workers, he said, get to take an hour for lunch. Indian workers are called back after just 20 minutes — despite having their pay cut for their lunch hour.

      “When Meloni gives her speeches, she talks about getting more for the Italians,” Ramneet’s wife Ishleen said, referring to Italy’s new prime minister and her motto, “Italy and Italians first.” “She doesn’t care about us, even though we’re paying taxes. When we’re working, we can’t even take a five-minute pause, while the Italian workers can take an hour.”

      Today, Italy is entering a new era — or, some people argue, returning to an old one. In September, Italians voted in a new prime minister, Giorgia Meloni. As well as being the country’s first-ever female prime minister, she is also Italy’s most far-right leader since Mussolini. Her supporters — and even some leaders of her party, Brothers of Italy — show a distinct reverence for Mussolini’s National Fascist Party.

      In the first weeks of Meloni’s premiership, thousands of Mussolini admirers made a pilgrimage to Il Duce’s birthplace of Predappio to pay homage to the fascist leader, making the Roman salute and hailing Meloni as a leader who might resurrect the days of fascism. In Latina, the largest city in the marshes, locals interviewed by national newspapers talked of being excited about Meloni’s victory — filled with hopes that she might be true to her word and bring the area back to its glory days in the time of Benito Mussolini. One of Meloni’s undersecretaries has run a campaign calling for a park in Latina to return to its original name: Mussolini Park.

      During her campaign, a video emerged of Meloni discussing Mussolini as a 19-year-old activist. “I think Mussolini was a good politician. Everything he did, he did for Italy,” she told journalists. Meloni has since worked to distance herself from such associations with fascism. In December, she visited Rome’s Jewish ghetto as a way of acknowledging Mussolini’s crimes against humanity. “The racial laws were a disgrace,” she told the crowd.

      A century on from Italy’s fascist takeover, Meloni’s victory has led to a moment of widespread collective reckoning, as a national conversation takes place about how Mussolini should be remembered and whether Meloni’s premiership means Italy is reconnecting with its fascist past.

      Unlike in Germany, which tore down — and outlawed — symbols of Nazi terror, reminders of Mussolini’s rule remain all over Italy. There was no moment of national reckoning after the war ended and Mussolini was executed. Hundreds of fascist monuments and statues dot the country. Slogans left over from the dictatorship can be seen on post offices, municipal buildings and street signs. Collectively, when Italians discuss Mussolini, they do remember his legacy of terror — his alliance with Adolf Hitler, anti-Semitic race laws and the thousands of Italian Jews he sent to the death camps. But across the generations, Italians also talk about other legacies of his regime — they talk of the infrastructure and architecture built during the period and of how he drained the Pontine Marshes and rid them of malaria, making the land into an agricultural haven.

      Today in the Pontine Marshes, which some see as a place brought into existence by Il Duce — and where the slogans on one town tower praise “the land that Mussolini redeemed from deadly sterility” — the past is bristling with the present.

      “The legend that has come back to haunt this town, again and again, is that it’s a fascist city. Of course, it was created in the fascist era, but here we’re not fascists — we’re dismissed as fascists and politically sidelined as a result,” Emilio Andreoli, an author who was born in Latina and has written books about the city’s history, said. Politicians used to target the area as a key campaigning territory, he said, but it has since fallen off most leaders’ agendas. And indeed, in some ways, Latina is a place that feels forgotten. Although it remains a top agricultural producer, other kinds of industry and infrastructure have faltered. Factories that once bustled here lie empty. New, faster roads and railways that were promised to the city by previous governments never materialized.

      Meloni did visit Latina on her campaign trail and gave speeches about reinvigorating the area with its old strength. “This is a land where you can breathe patriotism. Where you breathe the fundamental and traditional values that we continue to defend — despite being considered politically incorrect,” she told the crowd.

      But the people working this land are entirely absent from Meloni’s rhetorical vision. Marco Omizzolo, a professor of sociology at the University of Sapienza in Rome, has for years studied and engaged with the largely Sikh community of laborers from India who work on the marshes.

      Omizzolo explained to me how agricultural production in Italy has systematically relied on the exploitation of migrant workers for decades.

      “Many people are in this,” he told me, when we met for coffee in Rome. “The owners of companies who employ the workers. The people who run the laborers’ daily work. Local and national politicians. Several mafia clans.”

      “Exploitation in the agricultural sector has been going on for centuries in Italy,” Giulia Tranchina, a researcher at Human Rights Watch focusing on migration, said. She described that the Italian peasantry was always exploited but that the system was further entrenched with the arrival of migrant workers. “The system has always treated migrants as manpower — as laborers to exploit, and never as persons carrying equal rights as Italian workers.” From where she’s sitting, Italy’s immigration laws appear to have been designed to leave migrants “dependent on the whims and the wills of their abusive employers,” Tranchina said.

      The system of bringing the workers to Italy — and keeping them there — begins in Punjab, India. Omizzolo described how a group of traffickers recruits prospective workers with promises of lucrative work abroad and often helps to arrange high-interest loans like the one that Gurinder took out. Omizzolo estimates that about a fifth of the Indian workers in the Pontine Marshes come via irregular routes, with some arriving from Libya, while many others are smuggled into Italy from Serbia across land and sea, aided by traffickers. Their situation is more perilous than those who arrived with visas and work permits, as they’re forced to work under the table without contracts, benefits or employment rights.

      Omizzolo knows it all firsthand. A Latina native, he grew up playing football by the vegetable and fruit fields and watching as migrant workers, first from North Africa, then from India, came to the area to work the land. He began studying the forces at play as a sociologist during his doctorate and even traveled undercover to Punjab to understand how workers are picked up and trafficked to Italy.

      As a scholar and advocate for stronger labor protections, he has drawn considerable attention to the exploitative systems that dominate the area. In 2016, he worked alongside Sikh laborers to organize a mass strike in Latina, in which 4,000 people participated. All this has made Omizzolo a target of local mafia forces, Indian traffickers and corrupt farm bosses. He has been surveilled and chased in the street and has had his car tires slashed. Death threats are nothing unusual. These days, he does not travel to Latina without police protection.

      The entire system could become even further entrenched — and more dangerous for anyone speaking out about it — under Meloni’s administration. The prime minister has an aggressively anti-migrant agenda, promising to stop people arriving on Italy’s shores in small boats. Her government has sent out a new fleet of patrol boats to the Libyan Coast Guard to try to block the crossings, while making it harder for NGOs to carry out rescue operations.

      At the end of February, at least 86 migrants drowned off the coast of Calabria in a shipwreck. When Meloni visited Calabria a few weeks later, she did not go to the beach where the migrants’ bodies were found or to the funeral home that took care of their remains. Instead, she announced a new policy: scrapping special protection residency permits for migrants.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      Tranchina, from Human Rights Watch, explained that getting rid of the “special protection” permits will leave many migrant workers in Italy, including those in the Pontine Marshes, effectively undocumented.

      “The situation is worsening significantly under the current government,” she said. “An army of people, who are currently working, paying taxes, renting houses, will now be forced to accept very exploitative working conditions — at times akin to slavery — out of desperation.”

      Omizzolo agreed. Meloni’s hostile environment campaign against arriving migrants is making people in the marshes feel “more fragile and blackmailable,” he told me.

      “Meloni is entrenching the current system in place in the Pontine Marshes,” Omizzolo said. “Her policies are interested in keeping things in their current state. Because the people who exploit the workers here are among her voter base.”

      And then there’s the matter of money and how people are paid. A few months into her administration, Meloni introduced a proposal to raise the ceiling for cash transactions from 2,000 euros (about $2,110) to 5,000 euros ($5,280), a move that critics saw as an attempt to better insulate black market and organized crime networks from state scrutiny.

      Workers describe that they were often paid in cash and that their bosses were always looking for ways to take them off the books. “We have to push them to pay us the official way and keep our contracts,” Rajvinder, 24, said. “They prefer to give us cash.” Being taken off a contract and paid under the table is a constant source of anxiety. “If I don’t have a work contract, my papers will expire after three months,” Samrath explained, describing how he would then become undocumented in Italy.

      Omizzolo says Meloni’s cash laws will continue to preserve the corruption and sustain a shadow economy that grips the workers coming to the Pontine Marshes. Even for people who once worked above the table, the new government’s laissez-faire attitude towards the shadow economy is pushing them back into obscurity. “That law is directly contributing to the black market — people who used to be on the books, and have proper contracts, are now re-entering the shadow economy,” he said.

      The idealistic image of the harvest was powerful propaganda at the time. Not shown were the workers, brought in from all over the country, who died of malaria while digging the trenches and canals to drain the marsh. It also stands in contrast to today’s reality. Workers are brought here from the other side of the world, on false pretenses, and find themselves trapped in a system with no escape from the brutal work schedule and the resulting physical and mental health risks. In October, a 24-year-old Punjabi farm worker in the town of Sabaudia killed himself. It’s not the first time a worker has died by suicide — depression and opioid addiction are common among the workforce.

      “We are all guilty, without exception. We have decided to lose this battle for democracy. Dear Jaspreet, forgive us. Or perhaps, better, haunt our consciences forever,” Omizzolo wrote on his Facebook page.

      Talwinder, 28, arrived on the marsh last year. “I had no hopes in India. I had no dreams, I had nothing. It is difficult here — in India, it was difficult in a different way. But at least [in India] I was working for myself.” His busiest months of the year are coming up — he’ll work without a day off. And although the mosquitoes no longer carry malaria, they still plague the workers. “They’re fatter than the ones in India,” he laughs. “I heard it’s because this place used to be a jungle.”

      Mussolini’s vision for the marsh was to turn it into an agricultural center for the whole of Italy, giving work to thousands of Italians and building up a strong working peasantry. Today, vegetables, olives and cheeses from the area are shipped to the United States and sold in upmarket stores to shoppers seeking authentic, artisan foods from the heart of the old world. But it comes at an enormous price to those who produce it. And under Meloni’s premiership, they only expect that cost to rise.

      “These days, if my family ask me if they should come here, like my nephew or relatives, I tell them no,” said Samrath. “Don’t come here. Stay where you are.”

      https://www.codastory.com/rewriting-history/indian-migrants-italy-pontine-marshes

  • Nella città delle piattaforme

    Sullo sfondo del lavoro precario del #delivery ci sono parchi, piazze e marciapiedi: i luoghi di lavoro dei rider. Dimostrano la colonizzazione urbana operata dalle piattaforme

    Non ci sono i dati di quanti siano i rider, né a Milano, né in altre città italiane ed europee. L’indagine della Procura di Milano che nel 2021 ha portato alla condanna per caporalato di Uber Eats ha fornito una prima stima: gli inquirenti, nel 2019, avevano contato circa 60mila fattorini, di cui la maggioranza migranti che difficilmente possono ottenere un altro lavoro. Ma è solo una stima, ormai per altro vecchia. Da allora i rider hanno ottenuto qualche piccola conquista sul piano dei contratti, ma per quanto riguarda il riconoscimento di uno spazio per riposarsi, per attendere gli ordini, per andare in bagno o scambiare quattro chiacchiere con i colleghi, la città continua a escluderli. Eppure i rider sembrano i lavoratori e le lavoratrici che più attraversano i centri urbani, di giorno come di notte, soprattutto a partire dalla pandemia. Dentro i loro borsoni e tra le ruote delle loro bici si racchiudono molte delle criticità del mercato del lavoro odierno, precario e sempre meno tutelato.

    Esigenze di base vs “capitalismo di piattaforma”

    Per i giganti del delivery concedere uno spazio urbano sembra una minaccia. Legittimerebbe, infatti, i fattorini come “normali” dipendenti, categoria sociale che non ha posto nel “capitalismo di piattaforma”. Questa formula definisce l’ultima evoluzione del modello economico dominante, secondo cui clienti e lavoratori fruiscono dei servizi e forniscono manodopera solo attraverso un’intermediazione tecnologica.

    L’algoritmo sul quale si basano le piattaforme sta incessantemente ridisegnando la geografia urbana attraverso nuovi percorsi “più efficienti”. Per esempio – in base al fatto che i rider si muovono per lo più con biciclette dalla pedalata assistita, riconducibili a un motorino – le app di delivery suggeriscono strade che non sempre rispondono davvero alle esigenze dei rider. Sono percorsi scollati dalla città “reale”, nei confronti dei quali ogni giorno i lavoratori oppongono una resistenza silenziosa, fatta di scelte diverse e soste in luoghi non previsti.

    Le piattaforme non generano valore nelle città unicamente offrendo servizi, utilizzando tecnologie digitali o producendo e rivendendo dati e informazioni, ma anche organizzando e trasformando lo spazio urbano, con tutto ciò che in esso è inglobato e si può inglobare, in una sorta di area Schengen delle consegne. Fanno in modo che gli spazi pubblici della città rispondano sempre di più a un fine privato. Si è arrivati a questo punto grazie alla proliferazione incontrollata di queste società, che hanno potuto disegnare incontrastate le regole alle quali adeguarsi.

    Come esclude la città

    Sono quasi le 19, orario di punta di un normale lunedì sera in piazza Cinque Giornate, quadrante est di Milano. Il traffico è incessante, rumoroso e costeggia le due aiuole pubbliche con panchine dove tre rider si stanno riposando. «Siamo in attesa che ci inviino un nuovo ordine da consegnare», dicono a IrpiMedia in un inglese accidentato. «Stiamo qui perché ci sono alberi che coprono dal sole e fa meno caldo. Se ci fosse un posto per noi ci andremmo», raccontano. Lavorano per Glovo e Deliveroo, senza un vero contratto, garanzie né un posto dove andare quando non sono in sella alla loro bici. Parchi, aiuole, marciapiedi e piazze sono il loro luogo di lavoro. Gli spazi pubblici, pensati per altri scopi, sono l’ufficio dei rider, in mancanza di altro, a Milano come in qualunque altra città.

    In via Melchiorre Gioia, poco lontano dalla stazione Centrale, c’è una delle cloud kitchen di Kuiri. È una delle società che fornisce esercizi commerciali slegati dalle piattaforme: cucine a nolo. Lo spazio è diviso in sei parti al fine di ospitare altrettante cucine impegnate a produrre pietanze diverse. I ristoratori che decidono di affittare una cucina al suo interno spesso hanno dovuto chiudere la loro attività durante o dopo la pandemia, perché tenerla in piedi comportava costi eccessivi. Nella cloud kitchen l’investimento iniziale è di soli 10mila euro, una quantità molto minore rispetto a quella che serve per aprire un ristorante. Poi una quota mensile sui profitti e per pagare la pubblicità e il marketing del proprio ristorante, attività garantite dall’imprenditore. Non si ha una precisa stima di quante siano queste cucine a Milano, forse venti o trenta, anche se i brand che le aprono in varie zone della città continuano ad aumentare.

    Una persona addetta apre una finestrella, chiede ai rider il codice dell’ordine e gli dice di aspettare. Siccome la cloud kitchen non è un “luogo di lavoro” dei rider, questi ultimi non possono entrare. Aspettano di intravedere il loro pacchetto sulle sedie del dehors riservate ai pochi clienti che ordinano da asporto, gli unici che possono entrare nella cucina. I rider sono esclusi anche dai dark store, quelli che Glovo chiama “magazzini urbani”: vetrate intere oscurate alla vista davanti alle quali i rider si stipano ad attendere la loro consegna, sfrecciando via una volta ottenuta. Nemmeno di questi si conosce il reale numero, anche se una stima realistica potrebbe aggirarsi sulla ventina in tutta la città.
    Un posto «dal quale partire e tornare»

    Luca, nome di fantasia, è un rider milanese di JustEat con un contratto part time di venti ore settimanali e uno stipendio mensile assicurato. La piattaforma olandese ha infatti contrattualizzato i rider come dipendenti non solo in Italia, ma anche in molti altri paesi europei. Il luogo più importante nella città per lui è lo “starting point” (punto d’inizio), dal quale parte dopo il messaggio della app che gli notifica una nuova consegna da effettuare. Il turno di lavoro per Luca inizia lì: non all’interno di un edificio, ma nel parco pubblico dietro alla stazione di Porta Romana; uno spazio trasformato dalla presenza dei rider: «È un luogo per me essenziale, che mi ha dato la possibilità di conoscere e fare davvero amicizia con alcuni colleghi. Un luogo dove cercavo di tornare quando non c’erano molti ordini perché questo lavoro può essere molto solitario», dice.

    Nel giardino pubblico di via Thaon de Revel, con un dito che scorre sul telefono e il braccio sulla panchina, c’è un rider pakistano che lavora nel quartiere. L’Isola negli anni è stata ribattezzata da molti «ristorante a cielo aperto»: negli ultimi 15 anni il quartiere ha subìto un’ingente riqualificazione urbana, che ha aumentato i prezzi degli immobili portando con sé un repentino cambiamento sociodemografico. Un tempo quartiere di estrazione popolare, ormai Isola offre unicamente divertimento e servizi. Il rider pakistano è arrivato in Italia dopo un mese di cammino tra Iran, Turchia, Grecia, Bulgaria, Serbia e Ungheria, «dove sono stato accompagnato alla frontiera perché è un paese razzista, motivo per cui sono venuto in Italia», racconta. Vive nel quartiere con altri quattro rider che lavorano per Deliveroo e UberEats. I giardini pubblici all’angolo di via Revel, dice uno di loro che parla bene italiano, sono «il nostro posto» e per questo motivo ogni giorno si incontrano lì. «Sarebbe grandioso se Deliveroo pensasse a un posto per noi, ma la verità è che se gli chiedi qualunque cosa rispondono dopo tre o quattro giorni, e quindi il lavoro è questo, prendere o lasciare», spiega.

    Girando lo schermo del telefono mostra i suoi guadagni della serata: otto euro e qualche spicciolo. Guadagnare abbastanza soldi è ormai difficile perché i rider che consegnano gli ordini sono sempre di più e le piattaforme non limitano in nessun modo l’afflusso crescente di manodopera. È frequente quindi vedere rider che si aggirano per la città fino alle tre o le quattro del mattino, soprattutto per consegnare panini di grandi catene come McDonald’s o Burger King: ma a quell’ora la città può essere pericolosa, motivo per il quale i parchi e i luoghi pubblici pensati per l’attività diurna sono un luogo insicuro per molti di loro. Sono molte le aggressioni riportate dalla stampa locale di Milano ai danni di rider in servizio, una delle più recenti avvenuta a febbraio 2022 all’angolo tra piazza IV Novembre e piazza Duca d’Aosta, di fronte alla stazione Centrale. Sul livello di insicurezza di questi lavoratori, ancora una volta, nessuna stima ufficiale.

    I gradini della grande scalinata di marmo, all’ingresso della stazione, cominciano a popolarsi di rider verso le nove di sera. Due di loro iniziano e svolgono il turno sempre insieme: «Siamo una coppia e preferiamo così – confessano -. Certo, un luogo per riposarsi e dove andare soprattutto quando fa caldo o freddo sarebbe molto utile, ma soprattutto perché stare la sera qui ad aspettare che ti arrivi qualcosa da fare non è molto sicuro».

    La mozione del consiglio comunale

    Nel marzo 2022 alcuni consiglieri comunali di maggioranza hanno presentato una mozione per garantire ai rider alcuni servizi necessari allo svolgimento del loro lavoro, come ad esempio corsi di lingua italiana, di sicurezza stradale e, appunto, un luogo a loro dedicato. La mozione è stata approvata e il suo inserimento all’interno del Documento Unico Programmatico (DUP) 2020/2022, ossia il testo che guida dal punto di vista strategico e operativo l’amministrazione del Comune, è in via di definizione.

    La sua inclusione nel DUP sarebbe «una presa in carico politica dell’amministrazione», commenta Francesco Melis responsabile Nidil (Nuove Identità di Lavoro) di CGIL, il sindacato che dal 1998 rappresenta i lavoratori atipici, partite Iva e lavoratori parasubordinati precari. Melis ha preso parte alla commissione ideatrice della mozione. Durante il consiglio comunale del 30 marzo è parso chiaro come il punto centrale della questione fosse decidere chi dovesse effettivamente farsi carico di un luogo per i rider: «È vero che dovrebbe esserci una responsabilità da parte delle aziende di delivery, posizione che abbiamo sempre avuto nel sindacato, ma è anche vero che in mancanza di una loro risposta concreta il Comune, in quanto amministrazione pubblica, deve essere coinvolto perché il posto di lavoro dei rider è la città», ragiona Melis. Questo punto unisce la maggioranza ma la minoranza pone un freno: per loro sarebbe necessario dialogare con le aziende. Eppure la presa di responsabilità delle piattaforme di delivery sembra un miraggio, dopo anni di appropriazione del mercato urbano. «Il welfare metropolitano è un elemento politico importante nella pianificazione territoriale. Non esiste però che l’amministrazione e i contribuenti debbano prendersi carico dei lavoratori delle piattaforme perché le società di delivery non si assumono la responsabilità sociale della loro iniziativa d’impresa», replica Angelo Avelli, portavoce di Deliverance Milano. L’auspicio in questo momento sembra comunque essere la difficile strada della collaborazione tra aziende e amministrazione.

    Tra la primavera e l’autunno 2020, momento in cui è diventato sempre più necessario parlare di sicurezza dei lavoratori del delivery in città, la precedente amministrazione comunale aveva iniziato alcune interlocuzioni con CGIL e Assodelivery, l’associazione italiana che raggruppa le aziende del settore. Interlocuzioni che Melis racconta come prolifiche e che avevano fatto intendere una certa sensibilità al tema da parte di alcune piattaforme. Di diverso avviso era invece l’associazione di categoria. In quel frangente «si era tra l’altro individuato un luogo per i rider in città: una palazzina di proprietà di Ferrovie dello Stato, all’interno dello scalo ferroviario di Porta Genova, che sarebbe stata data in gestione al Comune», ricorda Melis. La scommessa del Comune, un po’ azzardata, era che le piattaforme avrebbero deciso finanziare lo sviluppo e l’utilizzo dello spazio, una volta messo a bando. «Al piano terra si era immaginata un’area ristoro con docce e bagni, all’esterno tensostrutture per permettere lo stazionamento dei rider all’aperto, al piano di sopra invece si era pensato di inserire sportelli sindacali», conclude Melis. Lo spazio sarebbe stato a disposizione di tutti i lavoratori delle piattaforme, a prescindere da quale fosse quella di appartenenza. Per ora sembra tutto fermo, nonostante le richieste di CGIL e dei consiglieri comunali. La proposta potrebbe avere dei risvolti interessanti anche per la società che ne prenderà parte: la piattaforma che affiggerà alle pareti della palazzina il proprio logo potrebbe prendersi il merito di essere stata la prima, con i vantaggi che ne conseguono sul piano della reputazione. Sarebbe però anche ammettere che i rider sono dipendenti e questo non è proprio nei piani delle multinazionali del settore. Alla fine dei conti, sembra che amministrazione e piattaforme si muovano su binari paralleli e a velocità diverse, circostanza che non fa ben sperare sul futuro delle trattative. Creare uno spazio in città, inoltre, sarebbe sì un primo traguardo, ma parziale. Il lavoro del rider è in continuo movimento e stanno già nascendo esigenze nuove. Il rischio che non sia un luogo per tutti , poi, è concreto: molti di coloro che lavorano nelle altre zone di Milano rischiano di esserne esclusi. Ancora una volta.

    https://irpimedia.irpi.eu/nella-citta-delle-piattaforme

    #ubérisation #uber #géographie_urbaine #urbanisme #villes #urban_matters #espace_public #plateformes_numériques #Milan #travail #caporalato #uber_eats #riders #algorithme #colonisation_urbaine #espace_urbain #Glovo #Deliveroo #cloud_kitchen #Kuiri #dark_store #magazzini_urbani #JustEat #starting_point

  • Le nocciole turche (e chi le raccoglie) ostaggio del mercato

    La Turchia primo produttore globale. Ieri il presidente Erdogan ha annunciato il prezzo base per il 2022. Produttori e sindacati denunciano i guasti del monopolio Ferrero.

    La Turchia è il numero uno a livello mondiale nella produzione della nocciola. Seguita in seconda posizione dall’Italia. Ma nel 2021, mentre in Italia la produzione calava del 70%, in Turchia si registrava un aumento radicale. Una crescita che tuttavia non si è tradotta in un equo e proporzionale guadagno per i produttori. Nel 2015 la Turchia ha prodotto 240.134 tonnellate di nocciola e dalla vendita ha incassato circa 3 miliardi di dollari; nel 2021 la produzione è salita a 344.370 tonnellate, eppure l’incasso è sceso a 2.2 miliardi. Secondo le analisi di mercato, le inchieste giornalistiche e i report dei sindacati la situazione è il risultato del monopolio che l’azienda italiana Ferrero ha costruito negli anni in Turchia, in collaborazione con il governo centrale.

    ALI EKBER YILDIRIM, che scrive sul portale di notizie Dunya, sostiene che questa situazione è dovuta al fatto che a stabilire il prezzo della nocciola è la stessa Ferrero, che controlla circa il 70% del mercato nazionale. Ovviamente il fatto che dal 2003, gradualmente, lo Stato abbia deciso di non comprare più dai contadini le nocciole a prezzo garantito – è la prima volta che accade dalla fondazione della Repubblica – limitandosi a stabilire un prezzo minimo, ha permesso all’acquirente principale di arrivare a controllare il mercato più velocemente e a dettare le sue regole.

    «L’approccio che utilizza Ferrero nell’interfacciarsi con i produttori è quello di creare dei contratti stagionali, ovvero Ferrero scrive sul contratto il prezzo e le condizioni d’acquisto, ma qualora qualcosa non andasse come previsto, sarebbe facilmente il produttore a uscirne penalizzato». A parlare della situazione è Seyit Aslan, segretario generale del più grande sindacato del comparto alimentare, Gida-Is. «In questo settore – prosegue – i fattori naturali generano la quantità e la qualità del prodotto. Per esempio se parliamo del nord della Turchia, si tratta di una zona soggetta a vari fenomeni climatici estremi, quindi alla fine del raccolto il produttore si trova spesso a dover gestire notevoli perdite economiche».

    «NEL 2021 – PROSEGUE ASLAN – la nostra delegazione sindacale insieme ad alcuni membri del ministero del Lavoro ha fatto un grosso lavoro di monitoraggio sul campo. Le condizioni di lavoro sono estremamente precarie, i lavoratori prima di tutto sono stagionali e senza contratto, le loro condizioni abitative consistono semplicemente in tende, senza una lavanderia e nemmeno un servizio igienico. Ci sono parecchi lavoratori minorenni che nel periodo di impiego non seguono il ciclo scolastico. Ovviamente nelle zone di produzione non esiste nessun tipo di controllo».

    Il leader sindacale sottolinea il fatto che lungo la costa del Mar Nero per raccogliere le nocciole arrivano tanti lavoratori dal sud-est del paese. Sono spesso cittadini poveri e curdi che subiscono in questo periodo di lavoro numerosi atti di discriminazione. Secondo Aslan ciò che si vede nei media turchi è una piccolissima parte di quello che devono affrontare questi lavoratori, che per via di un’opportunità lavorativa di breve durata non si sentono di denunciare gli abusi. Nella raccolta delle nocciole in Turchia è dominante il sistema del caporalato, denuncia Aslan. Inoltre le persone qui sono obbligate a produrre o le nocciole o il tè, perché nella regione ormai impera il sistema della monocoltura.

    «IL SISTEMA CONTRATTUALE che ha deciso di adottare Ferrero, senza nessun tipo di intervento dello Stato, in questi ultimi due anni possiamo dire che è diventato un elemento estremamente penalizzante – aggiunge Aslan – considerando la profonda crisi economica. Per esempio i fertilizzanti, il costo del lavoratore e le tasse sono molto più alte rispetto agli anni precedenti. Dunque è evidente che la Ferrero abbia costruito un monopolio nel settore in Turchia adottando dei meccanismi dannosi».

    Da quando è entrata nel mercato turco, l’azienda italiana ha comprato diversi piccoli attori del settore, alcuni dal passato discutibile, e anche questo l’ha aiutata a diventare il numero uno del settore. Nel 2018 il partito politico Mhp e successivamente nel 2021 il Chp hanno chiesto al Comitato antitrust di aprire un’indagine perché avevano registrato «comportamenti e scelte mafiose» da parte della Ferrero.

    IERI IL PRESIDENTE ERDOGAN nella città di Ordu ha comunicato il prezzo d’acquisto della nocciola, visto il periodo della raccolta: 54 lire turche al chilo (2,95 euro). Secondo Aslan e secondo i produttori con la crisi economica profonda e con queste condizioni di lavoro estremamente precarie la cifra dovrebbe essere al di sopra della soglia delle 80 lire (4,35 euro).

    Questa è la condizione in cui si trova il produttore numero uno delle nocciole, grazie a un governo che crea le basi dello sfruttamento. Pian piano la produzione agricola viene distrutta e la dignità umana calpestata.

    https://ilmanifesto.it/le-nocciole-turche-e-chi-le-raccoglie-ostaggio-del-mercato

    #Turquie #noisettes #Ferrero #multinationales #globalisation #mondialisation #industrie_agro-alimentaire #Nutella #prix #monopole #conditions_de_travail #travail #caporalato #monoculture #agriculture

  • "L’estate di qualche anno dopo la chiamaro «L’estate delle lamiere» per via di un bracciante del Sud morto assassinato proprio mentre cercava di recuperarne alcune, di lamiere, e costruirsi qualcosa che assomigliasse a una casa. #Soumaila_Sacko, si chiamava. Ora a lui e a tutti gli altri hanno dedicato in nomi di vie, piazze o parchetti fatiscenti; i caduti di una guerra assurda e incredibile"

    in : Espérance H. Ripanti, “Lamiere”, in Igiaba Scego (a cura di), Future, il domani narrato dalle voci di oggi , effequ, 2019, p.200.

    #toponymie #toponymie_politique #migrations #caporalato #toponymie_migrante

    –-> ceci dit, j’ai pas trouvé sur la toile des rues dédiées à cette personne, ouvrier agricole assassiné en Italie :
    https://www.etui.org/fr/themes/sante-et-securite-conditions-de-travail/hesamag/cancer-et-travail-sortir-de-l-invisibilite/soumalia-sacko-visage-d-une-autre-europe

  • OutCross (#Black_Mediterranean)

    OutCross (Black Mediterranean) is wall-installation that provides a mapping of the main elements of the so-called gangmaster system of exploitation within the agricultural supply chain. By providing a backdrop for the video Radio Ghetto Relay, it places this system and the testimonies of the tomato harvesters broadcasted on Radio Ghetto Voci Libere, within a context of European neo-imperialism.


    https://www.alessandraferrini.info/copy-of-outcross
    #exploitation #tomates #agriculture #installation #art_et_politique #néo-impérialisme #Alessandra_Ferrini

    ping @postcolonial @cede


  • Exploités, battus, drogués : le calvaire des ouvriers agricoles étrangers en Italie
    https://www.letemps.ch/economie/exploites-battus-drogues-calvaire-ouvriers-agricoles-etrangers-italie

    Selon l’ONU, 400 000 travailleurs agricoles étaient exposés à l’exploitation en 2018 alors que 100 000 d’entre eux vivaient dans des conditions inhumaines. Le mois dernier, un jeune Malien est mort après une journée au travail au champ par des températures dépassant les 40°

    Pendant six longues années, Balbir Singh a touché une paye misérable, vécu dans une épave de caravane et s’est nourri des déchets alimentaires qu’il volait aux porcs ou que jetait son patron, un agriculteur italien. L’histoire de ce ressortissant indien est particulièrement sordide mais, comme lui, ils sont des dizaines de milliers d’ouvriers agricoles à connaître des conditions de vie et de travail proches de l’esclavage.


    « Je travaillais 12-13 heures par jour, y compris le dimanche, sans vacances, sans repos. Et il (le propriétaire de la ferme) me payait 100, 150 euros », par mois, raconte Balbir Singh à l’AFP. Le salaire minimum des employés agricoles en Italie est d’environ 10 euros l’heure.

    Appel à l’aide lancée sur Facebook
    L’homme a été libéré dans la région de Latina, au sud de Rome, le 17 mars 2017 après avoir lancé un appel au secours sur Facebook et Whatsapp à des responsables de la communauté indienne locale et à un militant italien des droits humains. Les policiers l’ont trouvé dans une caravane, sans gaz, ni eau chaude, ni électricité. Il mangeait les restes que son employeur jetait aux ordures ou donnait aux poulets et aux cochons.

    « Quand j’ai trouvé un avocat disposé à m’aider, (l’agriculteur) m’a dit « je vais te tuer, je creuserai un trou, je te jetterai dedans et je le refermerai ». Il avait une arme, je l’ai vue », se souvient-il. Il était parfois battu et ses papiers d’identité lui avaient été confisqués. Son ancien employeur est maintenant jugé pour exploitation. Singh, lui, vit dans un lieu tenu secret, par peur de représailles.

    Sous la coupe de « caporali »
    Le rapporteur spécial des Nations unies sur les formes contemporaines d’esclavage estimait en 2018 que plus de 400 000 ouvriers agricoles en Italie étaient exposés à l’exploitation et que près de 100 000 vivaient dans des « conditions inhumaines ». Le mois dernier, un Malien de 27 ans est mort dans les Pouilles (sud-est) après une journée de travail aux champs par des températures dépassant 40°C.

    Dans la région d’Agro Pontino, tapissée d’entreprises maraîchères et floricoles, réputée pour sa mozzarella produite à base de lait de buffle, les Indiens sont présents depuis les années 1980. Le sociologue Marco Omizzolo, le militant des droits humains qui a contribué à affranchir Balbir Singh, estime entre 25 000 et 30 000 le nombre d’Indiens vivant aujourd’hui dans la région, en majorité des Sikhs du Pendjab.

    Ils vivent sous la coupe de « caporali », des intermédiaires sans scrupules qui recrutent de la main d’oeuvre servile pour le compte des propriétaires. En général, les ouvriers se voient offrir un contrat mais ils ne reçoivent qu’une fraction de ce qui leur est dû. « Tu peux travailler 28 jours, ils n’en consignent que quatre sur ton bulletin de salaire, donc à la fin du mois tu reçois 200, 300 euros », explique Marco Omizzolo à l’AFP.

    Le salaire doublé à 5 euros l’heure
    La réalité est encore plus sombre : une récente enquête de police a mis en évidence la consommation à grande échelle d’opiacés parmi les Indiens. Un médecin arrêté dans la station balnéaire de Sabaudia est soupçonné d’avoir prescrit à 222 ouvriers agricoles indiens plus de 1500 boîtes de Depalgos, un traitement normalement réservé aux patients souffrant d’un cancer. « Le médicament est censé les aider à travailler plus longtemps aux champs en soulageant la douleur et la fatigue », précise à l’AFP le procureur en chef de Latina, Giuseppe De Falco.

    Le Parlement s’est saisi du fléau de l’exploitation des travailleurs agricoles. Une loi anti-« caporali » de 2016 a par exemple permis de poursuivre l’employeur de Singh. Mais pour les syndicats, les contrôles de l’inspection du travail sont encore trop rares. Le sociologue Marco Omizzolo, qui travaille avec le groupe de réflexion Eurispes, a passé des années à enquêter sur les abus dans la filière agroalimentaire dans la région de Latina. Il a vécu pendant trois mois à Bella Farnia, un village majoritairement occupé par des Indiens, travaillant incognito dans les champs.

    Lui aussi vit désormais sous protection policière, après avoir été la cible de menaces de mort. En 2019, il a été fait chevalier de l’ordre du Mérite par le président Sergio Mattarella, en reconnaissance de son « travail courageux ». Trois ans plus tôt, il a contribué, avec le syndicat Flai Cgil, à l’organisation de la toute première grève des travailleurs indiens d’Agro Pontino. Depuis, leur salaire est passé de 2,5-3 euros à 5 euros l’heure. La moitié du minimum légal.

    #italie #agriculture #travail #exploitation #tomates #caporalato #néo-esclavage #esclavage #esclavage_moderne #supermarchés #caporali #agroalimentaire #union_européenne

  • Je note pour pas l’oublier : mes amis qui ne plaisantent ni avec la cuisine napolitaine ni avec la qualité du café, me recommandent le bouquin : On va déguster l’Italie ; du panettone aux spaghetti al ragù de Scorsese ; tutta la cucina italiana, de François-Régis Gaudry et al.

    Il paraît que c’est vraiment très très bien, bourré d’informations que seuls les locaux de l’étape sont censés connaître, mais c’est déjà épuisé. Va falloir attendre une réimpression…

    Sinon, les mêmes amis sont passés cet été à Montpellier, et voyant qu’on mangeait des Barilla (d’ailleurs, sur leurs conseils d’il y a vingt ans), nous ont conseillé de passer à la marque Rummo. Et on confirme : c’est le jour et la nuit.

  • Puisque personne ne me le demande, c’est avec un grand plaisir que je vous partage mes 5 albums 2020.

    La playlist : https://radiooupah.netwazoo.info/?i=16

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    #Tigana_Santana - Vida-Código (Ajabu !)

    Chanteur, guitariste, auteur-compositeur, et originaire de #Salvador_de_Bahia, Tigana Santana est aussi doctorant en philosophie, à l’université de São Paulo où il vit désormais. L’artiste puise son inspiration dans la culture et la spiritualité #bantoue que l’on retrouve dans la #samba ou la #capoeira. Sa musique #folk est un murmure poétique et mystique qui vous captive comme sur le titre phare de son album Vida-Código ("Le code de la vie"), sorti sur le label suédois Ajabu !

    https://www.fip.fr/musiques-du-monde/tigana-santana-suspend-le-temps-dans-le-clip-vida-codigo-17824

    https://youtu.be/aihHzaHfsq0

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    #The_Leonard_Simpson_Duo – LSD (Jakarta Records)

    The pair met in Charles’ hometown of Auckland in 2016 whilst Simpson was on tour, and this wise collaboration is decorated in a psychedelic sound drawn from sampled records within New Zealand’s acid scene of the 1960s and 1970s, as well jazz/rock fusion from the same time period – notably using David Axelrod as a benchmark. The loftiness in Charles’ production is balanced with Simpson’s blunt lyricism that clamps us down to reality.

    https://www.rhythmpassport.com/articles-and-reviews/album-review/album-review-the-leonard-simpson-duo-lsd-jakarta-records-january-202

    https://youtu.be/x4nCRxiKNuA

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    #Seu_Jorge & #Rogê - Direct-To-Disc Sessions (Night Dreamer)

    Les deux compères ont gravé leurs retrouvailles dans la cire. Sans apprêt ni effets, ils y consacrent leur vieille amitié, et confirment leur immense talent de sambiste. Pour PAM, Rogê revient sur cette session « direct to disc », en passe de devenir un classique.

    https://pan-african-music.com/roge-seu-jorge-compagnons-sambistes
    https://seenthis.net/messages/854872

    https://www.youtube.com/watch?v=GuYMEsvoLZc

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    #Supergombo - Sigi Tolo (Z Production)

    La pochette de l’album SigiTolo qui verra le jour à l’automne prochain en dit long sur la dimension cosmique que veut donner le groupe à ce troisième album. Entouré de six musiciens chevronnés, le bassiste et leader #Etienne_Kermac continue de confronter sa passion pour le #jazz à la musique ouest-africaine transmise par son père. Le groupe est aussi composé de Guillaume Pluton à la trompette, Jérôme Bartolomé au saxophone, Francie Larue à la guitare, le réunionnais David Doris aux percussions et le burkinabé Wendlavim Zabsonré à la batterie. Ensemble, les Lyonnais nourrissent leur jazz funky d’#afrobeat nigérian, de #mbalax sénégalais, ou de #soukouss congolais dans un brassage culturel sans complexe.

    https://pan-african-music.com/supergombo-alien-felines-clip

    Via @rastapopoulos http://seen.li/ixyv

    https://www.youtube.com/watch?v=V-REbl3rQj0

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    #Farees - Border Patrol (Rez’Arts Prod)

    Farees possède un riche héritage multiculturel. Né de mère touarègue d’Algérie et de père Italien, Farees a grandi dans un environnement musical, sillonnant plusieurs pays. Son premier album MISSISSIPPI TO SAHARA a connu une très belle réussite.

    [...]

    Lors de sa dernière tournée Nord-américaine, il a été victime d’un #contrôle_au_faciès (profilage ethnique), arrêté, interrogé et traité comme un terroriste et sans motif, ensuite détenu en prison pendant 36h. Quelques mois après, et souffrant d’insomnies et de cauchemars du fait de toutes ces violences subies, il décide de raconter cela à travers un album-concept BORDER PATROL pour dénoncer le statu quo qui laisse se perpétuer et se généraliser ce genre de violence. “Le #spoken_word, le slam est arrivé comme une nécessité. Il est impossible de chanter tout ça. J’avais trop de choses à dire. Et en plus, il est venu le temps de s’exprimer et de se faire entendre, du coup je l’ai fait !”

    https://www.baladessonores.com/la-boutique/farees-border-patrol

    https://youtu.be/f58MHvn6K44

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    #brésil #musique #best-of_2020 #radioOupah #RadioSeenthis

  • #Esperanto, inventare l’avvenire coltivando un terreno confiscato alla camorra

    In un terreno confiscato alle mafie nella provincia di #Caserta, la cooperativa Esperanto porta avanti un progetto di agricoltura sociale che favorisce l’inserimento lavorativo di vittime del caporalato e altre persone in situazioni di difficoltà che qui hanno trovato il posto giusto per inventare il proprio avvenire.

    Cosa accade quando una persona è sul proprio sentiero? Quando fa quello che ama e lo fa solamente per un suo ideale e senza chiedere un compenso per il tempo investito? Succede l’inaspettato, succede la meraviglia.

    Penso che non ci sia altro modo per iniziare quest’articolo e per presentare #Gennaro_Ferilli, 58 anni, originario di Pozzuoli (NA), per lavoro sociologo e dirigente di un centro per l’impiego per mestiere, per amore presidente di Altro mondo Flegreo e fondatore della Cooperativa Esperanto (https://www.italiachecambia.org/mappa/esperanto).

    Gennaro inizia sette anni fa a creare un progetto di economia sociale. Facendo parte, attivamente, di R.E.S (Reti di Economia Solidale) attua percorsi di “buone pratiche del consumo etico” coinvolgendo #GAS (#Gruppi_di Acquisto_Solidale) e mercati di contadini. Si affianca poi ai Missionari Comboniani di #Castel_Volturno (CE) per offrire un sostegno concreto ai migranti attraverso il progetto agroalimentare #Green_Hope, che consiste nella riqualificazione di un terreno dei Missionari di 3000 metri sul quale attivare borse lavoro, per offrire un’opportunità di riscatto alla terra e ai migranti prevalentemente africani.

    Parliamo di un territorio molto particolare e di difficile gestione. Castel Volturno, provincia di Caserta, ha subito modifiche enormi negli ultimi cinquant’anni e da piccolo paese di contadini è diventato un luogo pregno di illegalità. Qui vi è un numero elevatissimo di migranti che vivono in grave situazione di disagio, la camorra locale è stata affiancata dalla mafia nigeriana ed entrambe si occupano di tratta delle persone, gestione della prostituzione, caporalato, spaccio di droga, appalti e smaltimenti rifiuti.
    Le case sono per lo più abusive e la #Terra_dei_Fuochi ha dato il colpo finale ad una cittadina già martoriata.

    Dopo Green Hope, Gennaro, collaborando con U.E.P.E (Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna), crea il secondo progetto per offrire lavoro ad ex detenuti in esecuzione alternativa e da qui, nasce l’idea di richiedere un terreno confiscato alla camorra. Con “#Effetto_Larsen-Aps”, altra cooperativa ad indirizzo sociale che lavorava già su terreni confiscati, fanno richiesta per avere anche loro un bene. Passano tre anni, prima di ricevere risposta affermativa. Corre l’anno 2018 quando nasce così la Cooperativa Esperanto.

    Il terreno confiscato è di circa 10 ettari nel Comune di #Cancello_ed_Arnone (CE) ed è intitolato alla memoria di #Michele_Landa, vittima innocente della camorra. I figli di Landa ancora chiedono risposte, ancora si domandano perché il padre, guardia giurata che il 6 settembre 2006 si trovava a svolgere il suo lavoro a Pescopagano (PZ) davanti ad un ripetitore telefonico, fu ucciso, poi bruciato nella sua macchina e non trovato prima di tre giorni. Si parlò di agguato della Camorra, la quale aveva scoperto il redditizio cavallo di ritorno delle apparecchiature telefoniche, ma ancora tutto è nell’ombra dell’omertà.

    Su questo terreno parte un progetto di Economia Solidale, “#La_Buona_Terra_Campania”, basato su una filiera Etica e partecipata. Esperanto e altre associazioni del luogo collaborano per combattere le #agromafie.

    Nel 2018/19 firmano il Patto con #DESBRI (#Distretto_dell’economia_solidale_della_Brianza) il quale fa parte della rete RES Lombardia, questo sancisce l’accordo dell’acquisto dei prodotti da parte del Nord, in quei territori così martoriati. Si parla in particolare della “Pummarola” e soprattutto si parla di trasparenza. Prezzi etici , prodotti biologici, garanzie partecipate, rilevazione dei costi di produzione, comunicazione trasparente e fiducia.
    Nel 2020 si aprono le porte ad altre reti: Bari, Pesaro, Bergamo, Varese e Milano attraverso i GAS locali, poi di seguito i circoli di #Libera_Terra in Piemonte.

    Durante gli anni, organizzano tour in tutta Italia per presentare la “#Buona_Terra_Campania” di cui “Esperanto” è il fulcro, fulcro di questa cooperazione territoriale in cui vi sono tre produttori agricoli e cinque trasformatori, ognuno dei quali in zona Campana. Testimonianza attiva del rafforzamento territoriale che questi progetti stanno creando.

    Con il tempo arrivano nuove idee, nuove culture. Nasce la coltivazione del grano “#Senatore_Cappelli” con la sua regale trasformazione in pasta 100% biologica, la quale viene venduta soprattutto nella rete di #Libera_Terra.
    Quest’anno lavorano con “#Co_Energia”, un’ Associazione nazionale di secondo livello, nata per avviare progetti di economia sociale, nella quale fluiscono varie cooperative impegnate in questo settore. Inoltre stanno avviando un nuovo progetto legato all’olio.

    “Esperanto” è composta da due lavoratori stagionali (un migrante e una persona del posto) e da tre soci volontari. Quando a Gennaro chiedo perché lo fa, la sua risposta è senza tentennamenti: «Credo nella sostenibilità ambientale e sociale, credo che praticare questo, migliori e soprattutto dia senso all’esistenza. Sono nato come un consumatore critico, questo mi gratificava ma non bastava. Volevo di più, volevo portare il mio contributo, volevo lottare con armi naturali in un territorio dalla difficile gestione. Volevo creare cooperazione, volevo che le persone si aiutassero, che diventassero solidali le une con le altre, volevo che l’individualismo fosse sostituito dal senso civico della collettività, volevo perseguire i miei ideali in questa realtà così contraddittoria dove la Mafia, la Camorra non ha problemi a farsi vedere e sentire, dove il recupero, il lavoro, l’integrazione e l’abbattimento delle barriere, possono essere l’unica chiave di lettura per il cambiamento».

    «L’agricoltura sociale – continua Gennaro – è un ambito del Welfare in forte sviluppo e io ho deciso di usarla come strumento di svolta. Oggi quando mi guardo intorno e indietro mi stupisco e meraviglio piacevolmente di quanto i miei sogni perseguiti con tenacia, siano diventati realtà. Sicuramente una realtà molto più grande di quello che potessi sperare».

    Gennaro ha da poco presentato un progetto per #Confagricoltura sugli orti sociali: «Se dovessi vincerlo realizzerei un altro sogno nel cassetto».
    Chiediamo a Gennaro se teme ritorsioni. «Alla camorra ancora non do fastidio, sono piccolo, ma non ho paura».

    https://www.italiachecambia.org/2020/11/esperanto-inventare-avvenire-coltivando-terreno-confiscato-camorra
    #coopérative #tomates #cooperativa_esperanto #alternative #coopérative_Esperanto #camorra #confiscation #mafia #Italie #agriculture #agriculture_sociale #caporalato #agromafia #travail

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    Pour la petite histoire... c’est à cette coopérative qu’on a fait un achat groupé ici à Grenoble... Hier soir sont arrivés 2200 bouteilles de coulis de tomates !
     :-)
    Si d’autres personnes en France sont intéressées, je peux vous mettre en contact !
    Leur page FB :
    https://www.facebook.com/coopesperanto

  • Pubblicato il dossier di RiVolti ai Balcani

    L’obiettivo: rompere il silenzio sulla rotta balcanica, denunciando quanto sta avvenendo in quei luoghi e lanciando chiaro il messaggio che i soggetti vulnerabili del #game” non sono più soli.

    Il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” della neonata rete “RiVolti ai Balcani” è composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali.

    Il report è la prima selezione e analisi ragionata delle principali fonti internazionali sulle violenze nei Balcani che viene pubblicata in Italia. Un capitolo esamina la gravissima situazione dei respingimenti alla frontiera italo-slovena.

    http://www.icsufficiorifugiati.org/la-rotta-balcanica-i-migranti-senza-diritti-nel-cuore-delleurop

    #rapport #rivolti_ai_balcani #ICS #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #Balkans #route_des_balkans #the_game

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    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

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    ajouté à la métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans :
    https://seenthis.net/messages/1009117

    • Riammissioni tra Italia e Slovenia : 32 migranti rimandati di nuovo sulla Rotta

      „Tante sono le persone che il Dipartimento di polizia di #Capodistria ha ricevuto da parte delle autorità italiane. Nel giro di qualche settimana tenteranno nuovamente di passare“

      Continua il fenomeno delle riammissioni di migranti che le autorità italiane riconsegnano alla polizia slovena in base agli accordi firmati tra Roma e Lubiana nel 1996. Nelle ultime 24 ore sono 32 le persone rimandate nel territorio della vicina repubblica. Nel dettaglio, sono 31 cittadini di origine pakistana e una persona proveniente invece dal Marocco. La Rotta balcanica alle spalle di Trieste ha ripreso vigore nelle ultime settimane, con la conferma che arriva dai dati diffusi dal Dipartimento di polizia di Capodistria negli ultimi 10 giorni e dal corposo rintraccio avvenuto due giorni fa nella zona della #val_Rosandra, in comune di #San_Dorligo_della_Valle/Dolina.

      I dati dell’ultimo periodo

      Ai circa 150 migranti rintriaccati dalle autorità slovene negli ultimi giorni, vanno agigunti altri 13 cittadini afghani e quattro nepalesi. Dai campi profughi della Bosnia è iniziata la fase che vede i migranti tentare di passare i confini prima dell’arrivo delle rigide temperature che caratterizzano l’inverno sulla frontiera con la Croazia. Riuscire a farcela prima che cominicino le forti nevicate signfiica non dover aspettare fino a primavera. Nel frattempo, gli addetti ai lavori sono convinti che non passeranno troppe settimane prima che gli stessi migranti riammessi in Slovenia vengano nuovamente rintracciati in territorio italiano.

      https://www.triesteprima.it/cronaca/rotta-balcanica-migranti-slovenia-italia-riammissioni.html

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission

      –—

      ajouté à cette liste sur les accords de réadmission entre pays européens :
      https://seenthis.net/messages/736091

    • "Le riammissioni dei migranti in Slovenia sono illegali", il Tribunale di Roma condanna il Viminale

      Per la prima volta un giudice si pronuncia sulla prassi di riportare indietro i richiedenti asilo in base a un vecchio accordo bilaterale. «Stanno violando la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali». L’ordinanza nasce dal ricorso di un 27 enne pakistano

      «La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia è illlegittima sotto molteplici profili». Non sono le parole di un’associazione che tutela i diritti dei migranti o di una delle tante ong che denuncia da mesi violenze e soprusi sulla rotta balcanica. Questa volta a dirlo, o meglio, a scriverlo in un’ordinanza a suo modo storica e che farà giurisprudenza, è una giudice della Repubblica. E’ il primo pronunciamento di questo tipo. Un durissimo atto d’accusa che porta l’intestazione del «Tribunale ordinario di Roma - Sezione diritti della persona e immigrazione» e la data del 18 gennaio 2021. Con le riammissioni informali sul confine italo-sloveno, che si tramutano - come documentato di recente anche da Repubblica - in un respingimento a catena fino alla Bosnia, il governo italiano sta violando contemporaneamente la legge italiana, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e persino lo stesso accordo bilaterale.

      La storia di Mahmood

      L’ordinanza emessa dalla giudice Silvia Albano è l’esito di un procedimento cautelare d’urgenza. Il pakistano Mahmood contro il ministero dell’Interno. Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si chiedeva al Tribunale «di accertare il diritto del signor Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia». La storia di questo 27 enne non è diversa da quella di migliaia di migranti che partecipano al Game, come nei campi profughi della Bosnia è stata beffardamente ribattezzata la pericolosa traversata dei boschi croati e sloveni. A metà del luglio scorso Mahmood raggiunge la frontiera di Trieste dopo il viaggio lungo rotta balcanica durante il quale ha subito violenze e trattamenti inumani, provati da una serie di fotografie che ha messo a disposizione del magistrato. E’ fuggito dal Pakistan «per le persecuzioni a causa del mio orientamento sessuale». Giunto in Italia insieme a un gruppo di connazionali, è rintracciato dagli agenti di frontiera e portato in una stazione di polizia italiana.

      «Minacciato coi bastoni dalla polizia italiana»

      Nel suo ricorso Mahmood sostiene di aver chiesto esplicitamente ai poliziotti l’intenzione di presentare la domanda di protezione internazionale. Richiesta del tutto ignorata. La sua testimonianza, evidentemente ritenuta attendibile dalla giudice Albano, prosegue col racconto di quanto accaduto all’interno e nelle vicinanze della stazione di frontiera. Si legge nell’ordinanza: «Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone». Da lì in poi il suo destino del pakistano è segnato: riportato nell’affollato campo bosniaco di Lipa, ha dormito alcune notti in campagna, infine ha trovato rifugio in un rudere a Sarajevo.

      Il Viminale non poteva non sapere

      Secondo il Tribunale di Roma ci sono tre solide ragioni per ritenere illegali le riammissioni in Slovenia. La prima. Avvengono senza che sia rilasciato alcun pezzo di carta legalmente valido. «Il riaccompagnamento forzato - scrive Albano - incide sulla sfera giuridica degli interessati quindi deve essere disposto con un provvedimento amministrativo motivato impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria». La seconda attiene al rispetto della Carta dei diritti fondamentali, che impone la necessità di esame individuale delle singole posizioni e vieta espulsioni collettive. E’ uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza. «Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali. Il ministero era in condizioni di sapere, alla luce dei report delle Ong, delle risoluzioni dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazioanale, che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani».

      Infine la terza ragione, che sbriciola la posizione ufficiale del Viminale, rappresentata al Parlamento dal sottosegretario Achille Variati durante un question time in cui è stato affermato che le riammissioni si applicano a tutti, anche a chi vuol presentare domanda di asilo. Scrive invece la giudice: «Non si può mai applicare nei confronti di un richiedente asilo senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale e lo stesso contenuto dell’Accordo bilaterale con la Slovenia».

      La condanna

      Per queste tre ragioni, il Viminale è condannato a prendere in esame la domanda di asilo di Mahmood, consentendogli l’immediato ingresso nel territorio italiano, e a pagare le spese legali. E’ la vittoria di Gianfranco Schiavone, componente del direttivo Asgi e presidente del Consorzio italiano di Solidarietà, che da mesi denuncia quanto sta accadendo sul confine italo-sloveno. Nel 2020 le riammissioni informali sono state circa 1.300. E’ la vittoria soprattutto delle due legali che hanno presentato il ricorso e sostenuto la causa, Anna Brambilla e Caterina Bove. «Siamo molto soddisfatte della pronuncia», commenta Brambilla. «Alla luce di questa ordinanza si devono interrompere subito le riammissioni informali in Slovenia perché sia garantito l’accesso al diritto di asilo».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/21/news/viminale_condannato_riammissioni_illegali_respingimenti_slovenia_migranti

      #condamnation #justice

    • I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

      Per il Tribunale di Roma le “riammissioni” del Viminale a danno dei migranti hanno esposto consapevolmente le persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. Il caso di un cittadino pachistano respinto a catena in Bosnia. L’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso, ricostruisce la vicenda e spiega perché l’ordinanza è importantissima

      I respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano e praticati con sempre maggior intensità dalla primavera 2020 al confine con la Slovenia sono “illegittimi”, violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale, e hanno esposto consapevolmente i migranti in transito lungo la “rotta balcanica”, inclusi i richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” oltreché a “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.

      A cristallizzarlo, demolendo la prassi governativa delle “riammissioni informali” alla frontiera orientale, è il Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione) con un’ordinanza datata 18 gennaio 2021 e giunta a seguito di un ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla (foro di Trieste e Milano, socie Asgi) nell’interesse di un richiedente asilo originario del Pakistan respinto dall’Italia nell’estate 2020 una volta giunto a Trieste e ritrovatosi a Sarajevo a vivere di stenti.

      Le 13 pagine firmate dalla giudice designata Silvia Albano tolgono ogni alibi al Viminale, che nemmeno si era costituito in giudizio, e riconoscono in capo alle “riammissioni informali” attuate in forza di un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 1996 la palese violazione, tra le altre fonti, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E non solo quando colpiscono i richiedenti asilo ma tutte le persone giunte al confine italiano.

      Abbiamo chiesto all’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso insieme a Brambilla, di spiegarci perché questa ordinanza segna un punto di svolta.

      Avvocata, facciamo un passo indietro e torniamo al luglio 2020. Che cosa è successo a Trieste?
      CB Dopo aver attraversato la “rotta balcanica” con grande sofferenza e aver tentato almeno dieci volte di oltrepassare il confine croato, il nostro assistito, originario del Pakistan, Paese dal quale era fuggito a seguito delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo, ha raggiunto Trieste nell’estate 2020. Lì, è stato intercettato dalla polizia italiana che lo ha accompagnato in un luogo gestito dalle autorità di frontiera.

      E poi?
      CB Presso quella che noi ipotizziamo si trattasse di una caserma (probabilmente la Fernetti, ndr) il ricorrente ha espresso più volte la volontà di accedere alla procedura di asilo. Invece di indirizzarlo presso le autorità competenti a ricevere la domanda di asilo, è stato fotosegnalato, trattenuto insieme ad altri in maniera informale e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli hanno fatto solo firmare dei documenti scritti in italiano e sequestrato il telefono. Dopodiché lo hanno ammanettato, caricato bruscamente su una camionetta e poi rilasciato su una zona collinare al confine con la Slovenia.

      In Slovenia, scrivete nel ricorso, hanno trascorso una notte senza possibilità di avere accesso ai servizi igienici, cibo o acqua. Quando chiedevano di usare il bagno “gli agenti ridevano e li ignoravano”.
      CB Confermo. Veniamo ora al respingimento a catena in Croazia. Il ricorrente e i suoi compagni vengono scaricati dalla polizia al confine e “accolti” da agenti croati che indossavano magliette blu scuro con pantaloni e stivali neri. I profughi vengono fatti sdraiare a terra e ammanettati dietro la schiena con delle fascette. Vengono presi a calci sulla schiena, colpiti con manganelli avvolti con filo spinato, spruzzati con spray al peperoncino, fatti rincorrere dai cani dopo un conto alla rovescia cadenzato da spari in aria.

      Queste circostanze sono ritenute provate dal Tribunale. In meno di 48 ore dalla riammissione a Trieste il vostro assistito si ritrova in Bosnia.
      CB Il ricorrente ha raggiunto il campo di Lipa, a pochi chilometri da Bihać, che però era saturo. Così ha raggiunto Sarajevo, dove vive attualmente spostandosi tra edifici abbandonati della città. La polizia bosniaca lo sgombera di continuo.

      Come avete fatto a entrare in contatto con lui?
      CB La sua testimonianza è stata prima raccolta dal Border Violence Monitoring Network e poi dal giornalista danese Martin Gottzske per il periodico Informatiòn.

      “La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia e anche in danno dell’odierno ricorrente è illegittima sotto molteplici profili”, si legge nell’ordinanza. Possiamo esaminarne alcuni?
      CB Il punto di partenza del giudice è che l’accordo bilaterale firmato nel settembre 1996 non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano e ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

      “Sono invece numerose le norme di legge che vengono violate dall’autorità italiana con la prassi dei cosiddetti ‘respingimenti informali in Slovenia’”, continua il Tribunale.
      CB Infatti. La riammissione avviene senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo. Le persone respinte non vengono informate di cosa sta avvenendo nei loro confronti, non ricevono alcun provvedimento amministrativo scritto e motivato e dunque non hanno possibilità di contestare le ragioni della procedura che subiscono, tantomeno di provarla direttamente. Questo viola il loro diritto di difesa e a un ricorso effettivo, diritti tutelati dall’articolo 24 della Costituzione, dall’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Dunque è una violazione che non dipende dalla condizione di richiedente asilo.
      CB Esatto, anche qui sta l’importanza del provvedimento e la sua ampia portata. Poi c’è la questione della libertà personale: la persona sottoposta a riammissione si vede ristretta la propria libertà personale senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.

      Arriviamo al cuore della decisione. La giudice scrive che “Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero ricevuto [in Croazia, ndr] in ordine al rispetto dei loro diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti e quello di proporre domanda di protezione internazionale”. E aggiunge che il ministero “era in condizioni di sapere” delle “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
      CB È accolta la nostra tesi, fondata su numerosi report, inchieste giornalistiche, denunce circostanziate di autorevoli organizzazioni per i diritti umani.
      La riammissione, anche a prescindere dalla richiesta di asilo, viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che reca il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento in caso lo straniero possa correre il rischio di subire tali trattamenti. Ogni Stato è cioè responsabile anche se non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è stata allontanata.
      In questo senso è un passaggio molto importante perché allarga la portata della decisione a tutte le persone che arrivano in Italia e che vengono rimandate indietro secondo la procedura descritta.
      È noto il meccanismo di riammissione a catena ed è nota la situazione in Croazia.

      La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il 13 gennaio 2021, ha ribadito però che Slovenia e Croazia sarebbero “Paesi sicuri”.
      CB Il Tribunale descrive una situazione diversa e ribadisce che la riammissione non può mai essere applicata nei confronti dei richiedenti asilo e di coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

      Che cosa succede ora?
      CB Considerato il comportamento illecito delle autorità italiane, il Tribunale fa diretta applicazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione consentendo l’ingresso sul territorio nazionale al ricorrente al fine di presentare la domanda di protezione internazionale, possibilità negatagli al suo arrivo. Non c’è un diritto di accedere al territorio italiano per chiedere asilo “da fuori” però, in base a questa norma come declinata dalla Corte di Cassazione, esiste tale diritto di ingresso se il diritto d’asilo sul territorio è stato negato per un comportamento illecito dell’autorità.
      Quindi il ricorrente dovrà poter fare ingresso il prima possibile per fare domanda di asilo. Spero che possa essergli rilasciato al più presto un visto d’ingresso.

      E per chi è stato respinto in questi mesi? Penso anche ai richiedenti asilo respinti, pratica confermata dal Viminale nell’estate 2020 e recentemente, a parole, “rivista”.
      CB Purtroppo per il passato non sarà facilissimo tutelare le persone respinte attraverso simili ricorsi perché le persone subiscono lungo la rotta la sistematica distruzione dei loro documenti di identità, dei telefonini e delle foto e, anche tenuto conto di come vivono poi in Bosnia, diventa per loro difficile provare quanto subito ma anche provare la propria identità. Per il futuro questa decisione chiarisce l’illegalità delle procedure di riammissione sia nei confronti dei richiedenti asilo sia dei non richiedenti protezione. Deve essere assicurato l’esame individuale delle singole posizioni.

      https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min

    • Tratto dal rapporto “#Doors_Wide_Shut – Quarterly report on push-backs on the Western Balkan Route” (Juin 2021):

      Pushbacks from Italy to Slovenia have been virtually suspended, following the visibility and advocacy pursued by national civil society actors on chain pushbacks and potentially reinforced by the January Court of Rome ruling. However, at least two reports on chain pushbacks from Italy through Slovenia and Croatia to BiH have been recorded in May 2021, by the Border Violence Monitoring Network (BVMN). As irregular movements continue, the question remains whether Italy will ensure access to individual formal procedures for those entering its territory from Slovenia and seeking asylum.

      https://helsinki.hu/en/doors-wide-shut-quarterly-report-on-push-backs-on-the-western-balkan-route
      https://seenthis.net/messages/927293

    • Italian Court Ruling on Chain Pushback

      A new ruling from the Court of Rome has been released, finding in favour of an applicant who was subject to an illegal chain pushback from Italy, via Slovenia and Croatia, to Bosnia-Herzegovina. This important development was brought to the court by Italian legal association ASGI, and supported by the Border Violence Monitoring Network (BVMN), who provided a first hand testimony from the applicant. The court found unequivocal evidence of violations of international law, and acknowledged the applicant’s right to enter Italy immediately, and to full and proper access to the asylum system.

      The pushback, which was recorded by BVMN member Fresh Response in Sarajevo, involved violations from all three EU member states who combined to eject the transit group into Bosnia-Herzegovina. In particular, the court found Italian authorities, who initiated the pushback, to have breached:

      - Access to asylum
      - Obligations on Non-refoulement
      - Application of detention
      - Right to effective remedies

      You can read more about the ruling in the press release below:
      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/Decisione-del-Tribunale.pdf

      https://www.borderviolence.eu/italian-court-ruling-on-chain-pushback

  • Sicilia, ucciso per aver difeso i #braccianti dai caporali: la storia di Adnan

    #Adnan_Siddique, pakistano di 32 anni è stato ucciso la sera del 3 giugno scorso a #Caltanissetta, nella sua abitazione di via San Cataldo. La sua colpa? Quella di essersi fatto portavoce di alcuni braccianti vittime di caporalato. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, la vittima qualche mese fa aveva accompagnato un suo connazionale a sporgere denuncia, perché quest’ultimo non era stato pagato per il lavoro prestato e alla richiesta di chiarimenti sarebbe stato aggredito. Da allora aveva iniziato a ricevere minacce, tutte denunciate. Fino alla sera dell’omicidio. Adesso sta prendendo piede l’ipotesi che gli aggressori operassero una mediazione tra datori di lavoro e connazionali, per procacciare manodopera nel settore agricolo. In cambio avrebbero trattenuto una percentuale sulla loro paga.

    Ieri è stata eseguita l’autopsia su cadavere dal medico legale. Cinque i fendenti: due alle gambe, uno alla schiena, alla spalla e al costato. Quest’ultimo è risultato quello fatale. Trovata poche ore dopo il delitto, dai carabinieri anche l’arma utilizzata, un coltello di circa 30 centimetri. Il gip Gigi Omar Modica ha interrogato ieri i quattro fermati per l’omicidio: Muhammad Shoaib, 27 anni, Alì Shujaat, 32 anni, Muhammed Bilal, 21 anni, e Imrad Muhammad Cheema, 40 anni e il connazionale Muhammad Mehdi, 48 anni, arrestato per favoreggiamento. Restano in carcere i primi quattro, il quinto è stato rimesso in libertà con l’obbligo di firma. Secondo la ricostruzione dei carabinieri la vittima, che per lavoro si occupava di riparazione e manutenzione di macchine tessili, aveva presentato denuncia per minaccia nei confronti dei suoi carnefici. Intanto, dall’autopsia è emerso che la vittima è stata colpita con cinque coltellate in diverse parti del corpo: due alle gambe, uno alla schiena, alla spalla e al costato. Quest’ultimo è risultato quello fatale. I carabinieri, poche ore dopo il delitto, hanno trovato anche il coltello, lungo 30 centimetri, utilizzato dai presunti assassini.

    Adnan Siddique era arrivato in Italia dal Pakistan cinque anni fa con la speranza di costruirsi un futuro. A Lahore, metropoli pakistana di oltre 11 milioni di abitanti, viveva con il padre e la madre e altri 9 fratelli. Una famiglia povera che riponeva in Adnan tante aspettative. A Caltanissetta lavorava come manutentore di macchine tessili e si era fatto degli amici.

    “Quasi ogni giorno Adnan passava dal bar Lumiere nel centro storico, ordinava un caffè o una coca cola. E con il suo carattere limpido, educato, gentile, si era fatto subito amare dai proprietari: Giampiero Di Giugno, la moglie Piera e il figlio Erik. Tanto che a volte lo avevano anche invitato a pranzo da loro. In quelle ore insieme, Adnan aveva raccontato dei suoi sogni ma anche delle sue preoccupazioni per via di un gruppo di connazionali che lo tormentavano”, riporta l’Ansa. Adnan si era confidato con il cugino, che vive in Pakistan. “Aveva difeso una persona e lo minacciavano per questo motivo – riferisce Ahmed Raheel – Voleva tornare in Pakistan per la prima volta dopo tanti anni per una breve vacanza ma non lo rivedremo mai più. Adesso non sappiamo neanche come fare tornare la salma in Pakistan. Noi siamo gente povera, chiediamo solo che venga fatta giustizia”.

    https://www.tpi.it/cronaca/sicilila-ucciso-difeso-braccianti-caporali-20200608616384
    #caporalato #décès #meurtre #assassinat #agriculture #Italie #Sicile

  • De l’Assurance maladie à l’Assurance santé. A propos des masques et de la prévention en général | francoisberdougo
    https://francoisberdougo.wordpress.com/2020/05/09/de-lassurance-maladie-a-lassurance-sante-a-propos-des-ma

    La question des masques a fait couler beaucoup d’encre, au cours des dernières semaines, que ce soit sur l’approvisionnement, la distribution ou l’accessibilité. L’enjeu des prix a été maintes fois soulevé, face à la culbute qu’ont opéré tantôt les producteurs, qui font face à une demande mondiale sans précédent, ou les distributeurs. De 0,08€ le masque chirurgical, on est passé à un prix plafonné, en France, à 0,95€ ; la grande distribution s’est engagée à pratiquer une vente « à prix coûtant », situant le prix de ces masques entre 0,30€ et 0,60€ pièce. Sur les masques en tissu, la puissance publique ne s’est pas embarrassée de précautions : pas de prix plafond, car cela découragerait « l’innovation ». Refrain bien connu de l’économie de marché, qui n’a jamais démontré sa pertinence, mais passons. D’autant qu’en guise d’innovation, chacun conviendra que des masques fabriqués selon les recommandations de l’AFNOR feront l’affaire : or, ces modèles ne sont couverts par aucun brevet – dont on rappelle que l’objet premier est précisément de rémunérer l’innovation (avec tous les abus que l’on connaît bien en matière de médicaments et autres produits de santé).

    Ainsi, si l’on suit les recommandations (pas plus de 4 heures d’usage), ce sont, au bas mot, deux masques chirurgicaux par jour qu’un individu est censé porter. Calcul fait, il ressort que s’approvisionner en cette denrée devenue désormais aussi rare que précieuse, pourrait faire peser sur une famille une charge financière de 200€ par mois. Ceci conduira les individus à devoir arbitrer entre s’équiper en matériel de prévention d’un agent infectieux particulièrement transmissible/contagieux et d’autres dépenses non moins nécessaires, pour ne pas dire vitales. Rappelons que, en 2020, le salaire médian dans la population française est toujours de 1 750€ net par mois.

    La gratuité devient, dès lors, une question majeure au regard de l’équité, pour ne pas dire de l’égalité de chacun.e devant sa capacité à se protéger – et à protéger les autres, car c’est bien autour de cet objectif que l’usage des masques est promu.

    Lors du débat du projet de loi de prorogation de l’état d’urgence sanitaire, un député a défendu son amendement en faveur de la gratuité de cette phrase toute simple : « La sanction ne peut aller qu’avec la gratuité ».

    Il se trouve de nombreux acteurs sociaux, y compris dans le monde de la santé (publique), pour contester l’importance de la gratuité : cette charge financière pèserait peu sur les individus, chacun.e devrait faire preuve de responsabilité dans la période, on ne devrait pas attendre de l’Etat que tout arrive tout cuit et tout offert… Ces proclamations oublient qu’il ne s’agit pas d’attendre quoi que ce soit de « l’Etat » mais de la société qui s’incarne en lui et dont il n’est censé être que le bras armé. Tous les outils de prévention ne sont pas traités de la même façon, et c’est bien le problème.

    Parmi les recherches biomédicales menées actuellement dans le contexte du Covid-19, outre les diverses modalités de traitement ou un potentiel vaccin, les pistes qui intéressent particulièrement les responsables de santé publique sont celles qui visent à identifier un médicament préventif. Une « prophylaxie pré-exposition » (PreP) à ce nouveau coronavirus, le SARS-CoV-2. Evidemment, un tel outil de prévention changerait la donne pour les personnes les plus exposées et surtout celles à risque de formes graves de l’infection. A l’échelle collective, de même, puisqu’il rendrait moins nécessaires (ou même utiles) les « gestes barrière » et autres masques destinés à protéger ces mêmes personnes. Imaginons qu’une telle molécule (ou plusieurs) soit identifiée – certains imaginent que ce pourrait être le cas d’ici juillet ou septembre 2020 – et alors, il n’y a aucun doute sur le fait qu’elle serait illico remboursée par l’Assurance maladie. Plus encore : s’il était envisagé qu’elle ne le soit pas, cela ferait scandale.

    Suit une comparaison avec les capotes (payantes) et les médocs contre le VIH.

    La prévention, parent pauvre du système de santé français ? Certainement, cela est largement documenté, et cette idée constitue une ligne de force des revendications d’un grand nombre d’acteurs. La liste est longue des stratégies de santé non biomédicales ou non pharmaceutiques qu’il est question de faire reconnaître et admettre au remboursement. Une terminologie s’est même imposée dans le débat public : « thérapeutiques non médicamenteuses » ou « interventions non médicamenteuses », parmi lesquelles on inclut les règles hygiéno-diététiques (régimes diététiques, activité physique et sportive ou règles d’hygiène), les traitements psychologiques ou les thérapeutiques physiques (rééducation, kinésithérapie). Les choses évoluent un peu, par exemple avec l’introduction du « sport sur ordonnance » pour les personnes concernées par une affection de longue durée (ALD), tant l’activité physique a démontré son bénéfice en matière de prévention tertiaire. En matière de santé mentale, on est loin du compte en ce qui concerne la couverture des frais occasionnés par le recours aux professionnel.le.s, dès lors qu’ils/elles ne sont pas médecins… Aujourd’hui, ce sont les mutuelles qui sont le plus en pointe dans le remboursement de ces thérapeutiques ou interventions.

    l’inventeur d’un vaccin sauve des vies là où celui (ou celle, d’ailleurs) qui apprend à se laver les mains ou à se brosser les dents ne fait pas le poids. Rappelons pourtant que parmi les grandes réussites de la santé publique, depuis le 19ème siècle, celles qui ont permis de prolonger la vie ainsi que la vie en bonne santé, on trouve évidemment l’hygiène et l’amélioration des conditions matérielles de vie telles que l’habitat. Aujourd’hui encore, 5 millions d’enfants meurent chaque année de maladies évitables grâce à l’hygiène et à l’approvisionnement en eau potable.

    Le 19 avril dernier, le Président du Conseil scientifique Covid-19 notait, avec une certaine gourmandise, que l’on « allait faire de la médecine, après avoir fait de la santé publique ». Il entendait par là que le temps allait enfin être venu de parler sérieusement molécules, que ce soit en traitement ou en prévention (PreP ou vaccin).

    Discipline déconsidérée et désertée par les futurs médecins, on voit pourtant bien tout l’intérêt d’une santé publique forte (et pas que médicale) dans des périodes comme celle-ci. Or, mener des recherches sur des thématiques comme le lavage des mains ou l’usage des masques, hors de l’hôpital du moins, n’attire que peu de financements et est difficilement valorisable dans une carrière universitaire.

    La crise liée à l’épidémie de Covid-19 nous rappelle pourtant l’importance de ce type de comportements dans la réponse aux problèmes de santé. On le voit, en l’absence de tout agent pharmaceutique efficace, c’est sur des procédés d’hygiène très simples que reposent, d’abord et avant tout, les stratégies destinées à faire barrage au virus.

    #prévention #santé_publique #masques #solution_technique #médecine

  • #Coronavirus fears for Italy’s exploited African fruit pickers

    As panic buyers empty supermarket shelves across the world, are the agricultural workers who fill them being protected?

    As Italy’s north struggles to contain the spread of coronavirus, fears are growing in the south for thousands of migrant workers, mostly from Africa, who pick fruit and vegetables for a pittance and live in overcrowded tent camps and shantytowns.

    The health infrastructure in the south is not as advanced as that in the north, and a vast infection outbreak could be devastating.

    “Coronavirus cases have steadily increased also in other regions in Italy over the past weeks,” said public health expert Nino Cartabellotta. “There is a delay of around five days compared with the north, although we are witnessing the same growth curve across the country.”

    In the north, foreign farm workers hailing from Eastern Europe have returned to their home countries, choosing to risk poverty over disease, and there are no new arrivals.

    But fruit pickers in the south are stuck in camps, often lacking water and electricity and facing exploitation.

    Italy is not alone.

    Migrant workers are exploited across the European Union, forced to work endless hours and denied minimum wage or safety equipment, research by the EU Agency for Fundamental Rights shows.

    Now, the coronavirus pandemic endangers them further.

    In 2016, Coldiretti, a farmers’ group, estimated that there were around 120,000 migrant workers in Italy, mostly from Africa and Eastern Europe.

    Some 2,500 African crop pickers work in Calabria’s Gioia Tauro plain, a farming hot spot in the south known for tangerines, oranges, olives and kiwis and for being an infamous mafia stronghold.

    Agricultural employers often work by the “caporalato”, an illegal employment system in which labourers are exploited for little pay.

    Two weeks ago, the region had no known coronavirus cases. Today, there are at least 169.

    Last summer, the largest shantytown in the plain was shut down. Italian civil defence built a new camp with running water and electricity a few metres away from the old informal settlement, but equipped it with just 500 beds.

    This tent camp was eventually sanitised on Sunday, after repeated calls from humanitarian associations and the town’s mayor.

    Although hygiene conditions are better than in the nearby slums, strongly advised social distancing measures are almost impossible to implement.

    After the old shantytown was evacuated, its residents were not provided alternative housing, save for a small tent camp, forcing many to look for new improvised shelters somewhere else.

    In the neighbouring towns of Taurianova and Rizziconi, two overcrowded slums hosting 200 people each have emerged. Migrants live in shacks built from cardboard, wood, plastic and scrap metal.

    Potable water and electricity are nowhere to be found. Workers build makeshift toilets or simply relieve themselves in the fields.

    “This requires an immediate intervention from the authorities to put these people in a condition of safety and dignity,” Francesco Piobbichi, who works with Mediterranean Hope FCEI, a project run by Italy’s Evangelical Church Federation, told Al Jazeera. "These workers are key to fill supermarkets’ shelves with fresh fruits and vegetables. We cannot deny them protection amid the emergency.

    “Our protracted attempt of dismantling the slums now needs a drastic acceleration. We are telling the civil defence, the government and regional councils they need to provide these workers with a housing solution as soon as possible to avoid the spread of the infection.”

    There are some 35,000 empty houses in the agricultural plain. Aid agencies say that instead of investing in more camps, workers should be allowed to use these homes.

    Hand sanitiser has been distributed at settlements, said Andrea Tripodi, mayor of San Ferdinando, adding he also managed to secure gloves and finalised the purchase of cameras with a thermal scanning system to quickly identify people with a fever - one of the coronavirus symptoms.

    “We certainly need more measures and other devices amid this health emergency, also to prevent social tension from rising,” Tripodi said. “We are doing everything we can. We are also collecting soaps and shampoos to distribute among the workers. But we are left alone.”

    Aid groups, meanwhile, are busy raising awareness.

    “But it is really complex to explain to them that they need to wash their hands for about 25 seconds when they lack water in their settlements because the prefecture dismantled their camp’s illegal connection,” Piobbichi said, adding that the current nationwide lockdown restricts the movement of both aid workers and migrants.

    In the southern province of Foggia, 500 kilometres north of Gioia Tauro, thousands pick tomatoes, olives, asparagus, artichokes and grapes in the country’s largest agricultural plain.

    “The situation has become a race against the clock,” said Alessandro Verona, a health worker with the humanitarian group INTERSOS. “We are expecting a peak of the pandemic in Apulia towards the end of the month or beginning of the next.”

    Apulia has more than 200 infected patients. But like in Calabria, no infection has yet been confirmed among the migrant workers.

    “We are making blanket prevention activities across all settlements. We have reached around 500 people so far. Still, this is not enough.”

    In many of these settlements, water shortages are common and in emergencies people resort to farm water.

    “The only efficient prevention measure is to take these people out of the ghettos as soon as possible, especially from the most crowded ones. If not, we will face an unmanageable situation. But only the government and the institutions are capable of such a thing,” Verona said.

    In southern Campania, migrant workers are still gathering near large roundabouts of busy roads to meet their bosses. The region has now more than 650 infected patients.

    Jean d’Hainaut, cultural mediator with the anti-exploitation Dedalus cooperative, said among the people his association supports, many are waiting for their asylum requests to be completed - meaning they lack a residency permit and cannot access basic healthcare.

    Italy grants residency permits to migrant workers possessing contracts. But lengthy bureaucratic processes mean permits frequently arrive late, often towards their expiration. This process has been suspended amid the pandemic.

    In November 2018, Italy passed the so-called “migration and security decree” drafted by former Italian interior minister and far-right League party leader, Matteo Salvini - a move that pushed hundreds of vulnerable asylum seekers onto streets.

    The document cracked down on asylum rights by abolishing the “humanitarian protection” - a residence permit issued for those who do not qualify for refugee status or subsidiary protection but were deemed as vulnerable.

    “Over 90 percent of the people we meet at the roundabouts hail from Africa’s sub-Saharan countries. We are talking about a couple of hundred of workers, though numbers are difficult to pin down precisely,” d’Hainaut says.

    “We have been distributing a safety kit among workers for the past couple of years,” he says. “This has now turned to be very useful as it includes gloves, paper-made protective clothing and protective masks.”

    The agency has decided to remain on the street to keep offering its services to the migrant workers whose daily job means survival.

    “Last Thursday, I only saw around 20 people waiting for recruiters. The information campaign has been successful. Still, demand for workers has also decreased. I’ve asked the municipality to help distribute food,” d’ Hainaut.

    “This would further limit people’s presence on the street. I’d feel more reassured to tell workers to stay home while providing them with something to eat.”

    https://www.aljazeera.com/indepth/features/coronavirus-fears-italy-exploited-african-fruit-pickers-200318154351889.h
    #Italie #travail #exploitation #tomates #Campania #fruits #Gioia_Tauro #Calabre #Calabria #caporalato #Taurianova #Rizziconi #campement #baraccopoli #légumes #Pouilles #prévention

  • Mafia nei mercati ortofrutticoli. Sud Pontino epicentro della filiera criminale

    Le mafie hanno da tempo deciso di insediarsi e condizionare non solo i processi produttivi agricoli del Paese ma anche quelli commerciali. Per questa ragione quando riescono a mettere le mani sui grandi mercati ortofrutticoli del Paese o sul sistema della logistica, finiscono col condizionare l’intera filiera agricola italiana e internazionale, trasformandola in un pericoloso collettore di interessi criminali.
    Si tratta di un avanzamento importante e pericoloso della strategia delle agromafie italiane che non deve essere sottovalutata e che è annualmente analizzato dal dossier Agromafie di Eurispes. Proprio nell’ultima edizione è presente un focus specifico sulle mafie dei mercati ortofrutticoli e della logistica che è, peraltro, in perfetta coerenza con quanto, ai primi di agosto, ha rilevato la Dia di Catania con riferimento alla consorteria criminale che ha legato insieme alcune delle famiglie mafiose e camorristiche più importanti e pericolose d’Italia.
    La Dia di Catania, infatti, ha ufficialmente confiscato 10 milioni di euro a #Vincenzo_Enrico_Auguro_Ercolano, figlio di #Giuseppe_Ercolano, considerato da molti il reggente di un sodalizio criminale assai pericoloso tra la mafia siciliana e la camorra. «Le indagini – dichiara la Dia – hanno riguardato i vertici dei clan camorristici dei #Casalesi e dei #Mallardo di Giuliano (Napoli), alleati con le famiglie siciliane dei #Santapaola ed #Ercolano, operanti del territorio catanese con diramazioni anche all’estero». Un network criminale che stritola e soffoca lo stato di diritto, la legalità, i diritti di milioni di persone e di aziende e che ogni consumatore paga ogni volta che si reca a fare la spesa. Secondo ancora la Dia, la società intestata a Vincenzo Ercolano, la #Geotrans, avrebbe gestito il trasporto dell’ortofrutta con modalità tipicamente mafiose.
    Questa confisca, dunque, contribuisce a disarticolare la logistica mafiosa che operava nel territorio nazionale e che schiacciava la libertà degli imprenditori onesti locali, di aziende agricole e dei lavoratori. L’operazione della Dia contrasta anche la costituzione di un nuovo sodalizio criminale che rischia di articolare e consolidare un’organizzazione mafiosa nuova, capace di intrecciare competenze e metodi di intervento originali, non più in competizione tra i vari clan ma in coordinamento tra di loro, sino a dare vita ad un direttorio in cui le diverse organizzazioni concordano strategie e obiettivi. Una sorta di “Quinta Mafia” che esprime la pervasività di questa organizzazione criminale nel sistema economico ed istituzionale, sino a diventare avanguardia di un modello mafioso avanzato.
    Si tratta di una riflessione che emerge anche da alcune importanti inchieste giudiziarie, a partire da quelle denominate “#Sud_Pontino” del 2006 e “#Caronte” del 2014. Ancora una volta, grazie alla Dia, epicentro di questa filiera criminale è risultato il #Mercato_Ortofrutticolo_di_Fondi (#MOF), nel Sud Pontino. Una realtà più volte indagata dalla Magistratura che spesso è riuscita a dimostrare l’influenza su di esso delle varie mafie. Si pensi all’inchiesta “#Bilico”, oppure “#La_Paganese” o “#Aleppo”. Tutte prove di una collusione pericolosa tra un sistema nevralgico per l’agricoltura nazionale, quale il Mercato di Fondi e le mafie.
    Un settore, dunque, quello della logistica e dei mercati ortofrutticoli, che la sociologa Fanizza ha recentemente analizzato in una pubblicazione d’inchiesta sociologica molto avanzata (Caporalato. An authentic Agromafia. Mimesys International, 2019) e che, secondo gli studi di Eurispes, è ormai arrivato a contare 24,5 miliardi di euro l’anno. Un business che deve essere aggredito con sempre maggiore efficienza affinché quelle risorse tornino ai loro legittimi proprietari ossia i cittadini italiani onesti.

    https://www.leurispes.it/mafia-nei-mercati-ortofrutticoli-sud-pontino-epicentro-della-filiera-crimi

    #mafia #agriculture #Italie #marchés #logistique #commerce #agro-mafia #agromafia #industrie_agro-alimentaire
    ping @albertocampiphoto

    • #Caporalato. An Authentic Agromafia

      The essay investigates the effects produced by criminal networks involved in the production and harvest of agricultural products. Focused on the analysis of caporalato, it explores the enslavement of immigrant agricultural labourers and territorial segregation practices. Moreover, it deals with the topic of the agromafias’ role and discusses matters related to the deregulation of the agricultural market, as well as the general crisis of the agroindustries.
      Because caporalato has become a methodological instrument in the framework known as globalization of the farmlands, this essay tries to evaluate the complex relationship between the agromafias’ power and the operational conditions of Italy’s local economies. The authors then explore elements of the extremely pervasive criminal network, that determines productive trends of entire agricultural departments, with the intention of denouncing the dangerous socio-cultural drift that mafia-like criminal organizations are creating in Europe.

      http://mimesisinternational.com/caporalato-an-authentic-agromafia
      #livre

  • #Agromafie e #caporalato: 430 mila lavoratori a rischio sfruttamento

    L’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil fotografa la situazione nel suo quarto rapporto «Agromafie e caporalato». Un fenomeno che si estende dal Sud al Nord Italia. Tra giornate lavorative di 12 ore e pagate una manciata di euro

    https://www.flai.it/osservatoriopr
    #mafia #agriculture #exploitation #travail #Italie #agromafia

    Pour télécharger le #rapport (c’est la troisième édition):


    https://www.flai.it/osservatoriopr/ilrapporto
    –-> La principale attività dell’Osservatorio è la redazione del rapporto Agromafie e Caporalato, un rapporto biennale sull’infiltrazione delle mafie nella filiera agroalimentare e sulle condizioni di lavoro nel settore. Dopo la prima (2012) e la seconda (2014) edizione, a Maggio del 2016 è stato presentato il terzo rapporto Agromafie e Caporalato, ormai un lavoro di inchiesta e ricerca diventati in pochi anni un riferimento per chiunque voglia approfondire il tema delle Agromafie e delle condizioni di lavoro in agricoltura.

    • ‘Agromafia’ Exploits Hundreds of Thousands of Agricultural Workers in Italy

      In Italy, over 400,000 agricultural labourers risk being illegally employed by mafia-like organisations, and more than 132,000 work in extremely vulnerable conditions, enduring high occupational suffering, warns the fourth report on Agromafie and Caporalato.

      The report, released this July by the Italian trade union for farmers, Flai Cgil, and the research institute Osservatorio Placido Rizzotto, sheds light on a bitter reality that is defined by the report itself as “modern day slavery”. The criminal industry is estimated to generate almost five billion euros.

      “The phenomenon of ‘Caporalato’ is a cancer for the entire community,” Roberto Iovino from Osservatorio Placido Rizzotto, told IPS. “Legal and illegal activities often intertwine in the agro-food sector and it ultimately becomes very difficult to know who is operating in the law and who is not.”

      The criminal structure is called Caporalato or Agromafia when it touches a number of aspects of the agri-food chain. It is administered by ‘Caporali’, who decide on working hours and salaries of workers. The phenomenon is widespread across Italy. From Sicilian tomatoes, to the green salads from the province of Brescia, to the grape harvest used for producing the ‘Franciacorta’ sparkling wine in Lombardia, to the strawberries harvested in the region of Basilicata—many of these crops would have been harvested by illegally-employed workers, according to the report.

      Miserable salaries and excessive working hours

      The average wages of the exploited, warns the report, range between 20 and 30 euros per day, at an hourly rate of between three to four euros. Many reportedly work between eight to 14 hours per day, seven days a week. The majority of the collected testimonies show that many workers are paid less than their actual time worked and their salaries are 50 percent lower than the one outlined by the national contract for farmers.

      In some areas like Puglia or Campania in southern Italy, most salaries are paid on a piecework basis or per task.

      Some workers reported to Flai-Cgil that they were paid only one euro per hour and that they had to pay 1.5 euros for a small bottle of water, five euros for the transportation to reach the field and three euros for a sandwich at lunchtime each day. Day labourers are also required to pay between 100 to 200 euros for rent, often in abandoned, crumbling facilities or in remote and less-frequented hotels.

      The money was paid to the ‘Caporale’ or supervisor.

      According to the report, a ‘Caporale’ earns between 10 to 15 euros a day per labourer under their management, with each managing between 3,000 to 4,000 agricultural workers. It is estimated that their average monthly profit fluctuates between tens to hundreds of thousands of euros per month, depending on their position in the pyramid structure of the illegal business. It is alleged in the report that no tax is paid on the profits and this costs the state in lost income and also impacts on companies operating within the law.

      “Those people [‘Caporali’] are not naive at all,” one of the workers told the trade union’s researchers. “They know the laws, they find ways of counterfeiting work contracts and mechanisms to [circumvent] the National Social Security Institute.” The institute is the largest social security and welfare institute in Italy.

      “They have a certain criminal profile,” the worker explained.

      Migrant victims

      The ‘Caporali’ are not just Italians but Romanians, Bulgarians, Moroccans and Pakistanis, who manage their own criminal and recruiting organisations. The report warns that recruitment not only takes place in Italy but also in the home countries of migrants like Morocco or Pakistan.

      In 2017, out of one million labourers, 286,940 were migrants. It is also estimated that there are an additional 220,000 foreigners who are not registered.

      African migrants also reportedly receive a lower remuneration than that paid to workers of other nationalities.

      These victims of Agromafia live in a continuous state of vulnerability, unable to claim their rights. The report points out that some workers have had their documents confiscated by ‘Caporali’ for the ultimate purpose of trapping the labourers. It also highlights the testimonies of abuse, ranging from physical violence, rape and intimidation. One Afghan migrant who asked to be paid after months without receiving any pay, said that he had been beaten up because of his protests.

      The report also estimates that 5,000 Romanian women live in segregation in the Sicilian countryside, often with only their children. Because of their isolation many suffer sexual violence from farmers.

      Luana told Flai-Cgil of her abuse. “He offered to accompany my children to school, which was very far to reach on foot,” she said. “If I did not consent to this requests, he threatened not to accompany them any more and even to deny us drinking water.”

      “We have to put humanity first, and then profit”

      Many of the victims hesitate to report their exploiters because they are fearful of losing their jobs. A Ghanaian boy working in Tuscany told Flai-Cgil that Italians have explained to him how to lay a complaint, but he holds back because he still has to send money to his family.

      During the report release Susanna Camusso, secretary general of the country’s largest trade union, CGIL, said: “We must rebuild the culture of respect for people, including migrants. These are people who bend their backs to collect the food we eat and who move our economy.

      “We must help these people to overcome fear, explaining to them that there is not only the monetary aspect to work. A person could be exploited even if he holds a decent salary. We have to put humanity first, and then profit .”

      http://www.ipsnews.net/2018/07/agromafia-exploits-hundreds-thousands-agricultural-workers-italy

    • Is Italian Agriculture a “Pull Factor” for Irregular Migration—and, If So, Why?

      In discussions on irregular migration in Europe, undeclared work is generally viewed as a “pull factor”—positive aspects of a destination-country that attract an individual or group to leave their home—for both employers as well as prospective migrants, and especially in sectors such as agriculture. A closer examination of the agricultural model, however, reveals that structural forces are driving demand for work and incentivizing exploitation. This is particularly evident in Southern Italy, a region famous for its produce, where both civil society organizations and the media have documented exploitation of migrant workers. A closer examination of EU and member states efforts to avoid exploitation is needed.

      In Is Italian Agriculture a ‘Pull Factor’ for Irregular Migration—and, If So, Why?, a new study, authors from the Open Society Foundations’ European Policy Institute and the European University Institute look at how Europe’s Common Agricultural Policy, the practices of supermarket chains, organized crime, and gang-master recruitment practices contribute to migrant exploitation. The study further recommends a closer examination of EU member state efforts to counter exploitation and offers an overview of private sector practice’s intended to combat exploitation—such as the provision of information on workers’ rights, adequate housing and transport, and EU-wide labeling schemes, among others.

      https://www.opensocietyfoundations.org/reports/italian-agriculture-pull-factor-irregular-migration-and-if-s
      #rapport #pull-factor #facteur_pull

    • #Reggio_Calabria, pagavano i braccianti meno di un euro a ora per lavorare dall’alba al tramonto: cinque arresti

      Con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione e istigazione alla corruzione, i carabinieri hanno arrestato cinque persone a Sant’Eufemia d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria.


      https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/05/reggio-calabria-pagavano-i-braccianti-meno-di-euro-allora-per-lavorare-dallalba-al-tramonto-5-arresti/5015030

  • Les Brésiliens sont des dribbleurs nés - Libération
    http://www.liberation.fr/sports/2018/06/22/les-bresiliens-sont-des-dribbleurs-nes_1660934

    En fin de thèse à l’université Paris-Descartes, où il travaille sur le thème de la vulnérabilité sociale des athlètes, Seghir Lazri passera pendant le Mondial quelques clichés du foot au tamis des sciences sociales. Aujourd’hui : les Brésiliens, dribbleurs nés.

    Ayant débuté la compétition par un résultat nul, le Brésil devra produire, sans doute, un jeu plus intéressant pour battre le Costa Rica. D’ailleurs, les représentations collectives vous invitent souvent à associer au jeu brésilien, l’art du dribble. De Garrincha à Neymar, en passant évidemment par Pelé ou Ronaldinho, les grands joueurs brésiliens n’ont fait qu’inscrire dans le show footballistique cet ensemble de gestes artistiques mais aussi très sociaux.
    Le dribble, toute une histoire

    Dans un récent et riche ouvrage sur l’histoire populaire du football, le journaliste Mickaël Correia s’attache à retracer l’origine du dribble. Intronisé et popularisé au milieu du XXe siècle après l’accession au niveau professionnel de joueurs issus du métissage brésilien, le dribble auriverde va devenir le symbole d’une autre forme de jeu bien éloignée du style hégémonique européen. Il va revêtir, de nouveau, l’image d’un geste contestataire face à l’ordre établi. A la fermeté de la tactique et de la planification du mouvement sportif va s’opposer la spontanéité du geste et la primauté du spectacle. Au sens où Marcel Mauss l’entendait des pratiques corporelles, le dribble correspond à un fait social total, autrement dit, il est un objet permettant de rendre compte des mécanismes et des structures qui régissent une société. Comprendre le dribble, c’est aller au fondement de ce qui constitue la société brésilienne.

    La capoeira, mère du dribble…

    Comme le souligne le journaliste Olivier Guez, l’essence même du dribble provient de la ginga, un mouvement rythmé de balancement du corps propre à la capoeira, une pratique apparue au XVIe siècle, suite à l’arrivée au Brésil d’esclaves en provenance d’Afrique. Ces derniers avaient apporté différentes techniques de luttes guerrières, qu’ils ont dû transformer sous le régime esclavagiste. La ginga a donc été une animation incorporée à ces techniques de combats, afin de présenter la capoeira comme un rituel dansé et, surtout, dissimuler au maître son côté martial. La ginga était alors une tromperie, une ruse permettant à l’esclave de se réapproprier son corps pour résister. Pour preuve, la pratique de la capoeira a permis la fuite de nombreux esclaves et la mise en place de communautés autonomes organisées dans l’arrière-pays brésilien (que les autorités mettront plus deux siècles à détruire). Tout cela entraînant la prohibition de cette pratique par le gouvernement brésilien au XVIIIe.

    Du corps à l’esprit

    Officiellement interdite, la pratique de la capoeira sera l’adage d’initiés, et sa transmission ne se fera que dans les milieux populaires afro-indigènes marqués par une forte présence de la culture candomblé (syncrétisme entre christianisme, religions africaines, et rites indigènes). Et c’est dans l’illégalité la plus totale que l’idée de la ruse propre à la ginga va se trouver plus accentuée, se transformant en un état d’esprit, et se déployant bien en dehors de la pratique. Elle deviendra un véritable éthos, prenant le nom de malandragem et faisant émerger la figure sociale du malandro. Ce dernier étant, selon les propos de Mickaël Correia, « un voyou hédoniste et séducteur qui se joue de l’ordre établi ». Vêtu comme un bourgeois, mais issu des classes laborieuses, il réinvente sans cesse les codes et les comportements, devenant, très rapidement, la figure d’une nouvelle contre-culture, mais aussi d’un nouveau contre-pouvoir, inspirant toute une nouvelle classe populaire.

    Par la suite, la mutation plus démocratique du Brésil au début du XXe siècle va permettre de populariser cette mentalité, au point de retrouver cet esprit de ruse dans un ensemble de nouvelles pratiques, dont le football. Pour exemple, l’usage de surnom qui est apparu dans les années 40 est, au-delà de l’aspect pratique (des noms beaucoup trop longs), un véritable héritage culturel issu de la contre-culture afro-brésilienne. Cet appelido (littéralement le surnom) provenant de cette tradition de la dissimulation et de la tromperie, permet aussi une réinvention de l’identité. Ainsi, Manoel Francisco Dos Santos se voit attribuer l’appelido de Garrincha (petit oiseau préférant mourir que de se laisser prendre) pour souligner son caractère tenace.

    Néanmoins, c’est surtout à travers le dribble que les joueurs métis afro-brésiliens vont faire valoir la malandragem, en la reproduisant, essentiellement, dans une nouvelle technique du corps. Dribbler devient le moyen de tromper l’adversaire, de contester les plans établis, mais aussi de se réinventer sur le terrain. Le dribble est une lutte émancipatrice. Au fond, comprendre un geste footballistique, comme le dribble, c’est déchiffrer l’histoire d’une société, saisir ses rapports de force, mais aussi mieux appréhender ses problèmes.

    Passionnant le lien entre dribble et capoeira. Ça ouvre plein de perspectives de réflexions.

    #football #capoeira #brésil #esclavage #seghir_lazri

  • Elaine Herzberg : enquête à distance
    https://tcrouzet.com/2018/04/11/elaine-herzberg-enquete-a-distance

    Trois semaines qu’Elaine Herzberg a été tuée par un robot autonome et toujours rien sur elle ou presque dans les médias, rien sur a vie, son intimité, l’endroit où elle se rendait quand elle a traversé 640 North Mille Avenue en poussant son vélo. Un message envoyé à quelques-uns de ses amis Facebook n’a suscité aucune Source : Thierry Crouzet

    • Je recevrais ce genre de correspondance d’un french author :

      Hello, my name is Thierry Crouzet. I’m a French writer. Since I heard about Elaine’s death, I have read everything I could find online about Elaine’s life. I’m angry to see that the press doesn’t really care about her but only about the Uber technology. I would like to write about her, about her life. I want to make a tribute to her, as she is the first human victim of a robot. Today, I’m sending this message to any of Elaine’s friends I can find. If you would like to share your vision of who Elaine was .

      Ma réponse ne serait pas très polie : Go fuck yourself !

      #charognard

    • Cela faisait très longtemps que je n’avais pas lu une ligne du gars, tout de suite je tombe sur son message que je cite plus haut et qui immédiatement me fait vomir.

      Donc c’est sans doute hâtif de ma part, et je n’ai pas l’intention d’aller plus loin dans ma lecture du gars, mais oui, une certaine propension à beaucoup travailler à attirer l’attention sur soi, à s’étudier soi-même, à gérer les informations comme un patrimoine médiatique, à systématiquement vouloir être l’home qui a vu l’home qui a vu l’homme, bref une certaine agitation fébrile, tout ça me fait disqualifier rapidement la manoeuvre surtout, once again , après le passage déjà cité et qui est donc à vomir.

    • Oui, j’ai un peu parcouru le reste. Je suis déjà très mal à l’aise quand c’est Truman Capote ou Emmanuel Carrère qui produit ce genre de choses, alors imagine un type qui est très très loin d’avoir leur talent littéraire.

      Et j’ai naturellement beaucoup de mal à avaler aussi cette histoire d’enquête à distance, regardez comme je suis fort en utilisant les moyens connectés, ça sent décidément très fort l’ego-trip

    • #récupération (un thème sur lequel il faudrait faire une recherche/thèse/texte : C’est un vaste sujet puisque toutes et tous, nous utilisons une immense quantité de données et d’informations que nous glanons ici et là pour construire nos propres narrations, nos propres images, notre propre monde intellectuel en sorte, et les frontières entre copies, plagiats, inspiration, etc... sont souvent très fragiles. Et quand on signe en plus. Et au moment de signer nos créations, un rapide regard en arrière pour essayer d’estimer ce qu’est vraiment la part de nous dans ce qu’on offre publiquement...

  • #The_harvest

    Gurwinder viene dal #Punjab, da anni lavora come bracciante delle serre dell’Agro Pontino. Da quando è arrivato in Italia, vive insieme al resto della comunità #sikh in provincia di Latina. Anche Hardeep è indiana, ma parla con accento romano, e si impegna come mediatrice culturale.
    Lei, nata e cresciuta in Italia, cerca il riscatto dai ricordi di una famiglia emigrata in un’altra epoca, lui è costretto, contro le norme del suo stesso credo, ad assumere metanfetamine e sostanze dopanti per reggere i pesanti ritmi di lavoro e mandare i soldi in India.

    La storia di Gurwinder è rappresentativa di un vasto universo di sfruttamento: un esercito silenzioso di uomini piegati nei campi a lavorare, senza pause, attraversa oggi l’Italia intera. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate sotto il sole; chiamano padrone il datore di lavoro, subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo. Quattro euro l’ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e “allontanamenti” facili per chi tenta di reagire.
    The Harvest racconta tutto questo: la vita delle comunità Sikh stanziate stabilmente nella zona dell’Agro Pontino e il loro rapporto con il mondo del lavoro. I membri di queste comunità vengono principalmente impiegati come braccianti nell’agricoltura della zona. Gli episodi di sfruttamento (caporalato, cottimo, basso salario, violenza fisica e verbale) sono stati rilevati in numerosi casi, quasi sempre da associazioni che operano sul territorio locale. A fianco di questi fenomeni è inoltre cresciuto in maniera esponenziale l’uso di sostanze dopanti per sostenere i faticosi ritmi del lavoro nei campi. Sostanze che, nello specifico, si compongono di metanfetamine, oppiacei e antispastici.
    La questione dello sfruttamento del lavoro agricolo e in particolare della manodopera migrante diventa centrale ogni qualvolta si avvicina la stagione estiva, ricevendo attenzione dai media e portando alla ribalta questioni cruciali come quella del caporalato. Ciò nonostante questa attenzione è ciclica e il fenomeno passa in secondo piano con l’arrivo dell’autunno.
    The Harvest affronta la questione attraverso una lente innovativa che coniuga lo stile del documentario con quello del musical, utilizzato come espediente narrativo per raccontare la fatica del lavoro nei campi e l’utilizzo di sostanze. Attraverso una ricerca musicale e cinematografica il film vuole far emergere una determinata condizione che sarebbe altrimenti difficile da portare all’attenzione del pubblico senza toni retorici o didascalici. Trovare una forma artistica innovativa per narrare una realtà brutale, ma che tende a nascondersi nelle pieghe della quotidianità, è il nodo stilistico che il film affronta.

    Un docu-musical che, per la prima volta, unisce il linguaggio del documentario alle coreografie delle danze punjabi, raccontando l’umiliazione dei lavoratori sfruttati dai datori di lavoro e dai caporali. Due storie che si intrecciano nel corso di una giornata, dalle prime ore di luce in cui inizia il lavoro in campagna alla preghiera serale presso il tempio della comunità.
    Un duro lavoro di semina, fatto giorno dopo giorno, il cui meritato raccolto, tra permessi di soggiorno da rinnovare e buste paga fasulle, sembra essere ancora lontano.

    https://www.silenzioinsala.com/photos/4693/locandina4693.jpeg
    https://www.theharvest.it/il-film
    #film #caporalato #Italie #Inde #agriculture #exploitation #travail #film #documentaire

  • Caporalato e macellazione carne: cosa c’è dietro al cotechino di Natale

    In alcuni casi i salumi arriveranno sulle nostre tavole a Natale attraverso appalti illegali, contratti irregolari e giornate lavorative di 13 ore. Negli impianti di macellazione della carne si diffonde il nuovo caporalato. La denuncia arriva dalla Flai Cgil dell’Emilia Romagna


    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/12/18/caporalato-macellazione-carne
    #caporalato #travail #exploitation #Italie #industrie_de_la_viande #viande #alimentation

  • #Caporalato: ecco il vero costo dei vestiti

    «Presso le nostre sedi arrivano numerosissime testimonianze di veri e propri fenomeni di caporalato industriale che coinvolgono sia lavoratori del territorio, sia numerosi immigrati»: la Cgil Filctem denuncia le condizioni dei lavoratori nel settore della moda

    https://www.osservatoriodiritti.it/2017/10/02/caporalato-vestiti-abbigliamento-moda
    #mode #Italie #industrie_textile #migrations #travail #exploitation #esclavage_moderne