• [Daydream Nation] #carte_blanche #fitz_roy
    https://www.radiopanik.org/emissions/daydream-nation/carte-blanche-fitz-roy-1

    Ce mardi 18 avril 2023 dès 22h, c’est au tour de Fitz Roy de venir à #daydream_nation pour une carte blanche pleine de kitscheries (dixit Fitz Roy). On s’attend au meilleur...

    Le groupe vient de sortir une nouvelle plaque, Might Be About You, et a célébré cette sortie tout récemment dans une Rotonde déchaînée et pleine à craquer.

    Stay tuned 😎🎶

    #fitz_roy,carte_blanche,daydream_nation
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/daydream-nation/carte-blanche-fitz-roy-1_15805__1.mp3

  • Pesticide Atlas 2022: Facts and figures about toxic chemicals in agriculture | Heinrich Böll Stiftung | Brussels office - European Union
    https://eu.boell.org/en/PesticideAtlas

    The European Union is one of the world’s biggest markets for pesticides with almost a quarter of all pesticides sold in the EU. It is also the top exporting region, increasingly selling to countries of the Global South to which pesticides that are banned in the EU can still be exported. The Pesticide Atlas raises awareness, provides comprehensive information and fosters nuanced debate around agrochemicals used for pest control. It sheds light on different aspects from scientific research, including the impact of pesticides on soils, waters, biodiversity and health, and highlights alternative models with a more stringent implementation of integrated pest management where synthetic substances are only a last resort option.

    Le pdf
    https://eu.boell.org/sites/default/files/2023-04/pesticideatlas2022_ii_web_20230331.pdf

    #pesticides #agro-alimentaire #cartographie #data #visu

  • Petite cartographie des polices parisiennes
    https://lundi.am/Cartographie-des-polices-parisiennes

    Voilà le printemps ! dans les campagnes comme dans les villes et en sus des allergies au pollen, chacun a pu constater la prolifération de forces de l’ordre aux costumes divers et à l’hostilité variable. De nombreux observateurs en déduisent que le pouvoir d’Emmanuel Macron n’aurait plus que la maréchaussée pour se faire respecter et repousser par la violence toute idée d’une prise de son palais. Si nous sommes temporairement amenés à croiser de plus en plus régulièrement ces fonctionnaires dont le comportements ne s’avère pas toujours des plus appropriés, nous avons pu constater une méconnaissance diffuse et inquiétante quant à leur organisation, leur organigramme, leur fonction. Combien de fois avons-nous vu un voyou de la BAC accusé à tort d’appartenir à la Brav-M, un gendarme pris pour un CRS ? Cette confusion et ce brouillage semblent d’ailleurs s’étendre jusqu’à la Préfecture de police de Paris qui s’est avérée incapable de savoir pour qui travaillent les 5 militants fascistes cagoulés en intervention chez Cyril Hanouna. Trève de fake news et d’approximations : sigles, emblèmes, QG, équipement et anecdotes historiques croustillantes, l’un de nos reporters s’est plongé dans les méandres de cette institution qui maintient l’ordre... et l’institution. Voici une cartographie critique, précise, historique et imagée des différentes unités de maintien de l’ordre.

    #police #Paris

  • Navigators From The Marshall Islands Used Wave Charts To Guide Their Way
    https://www.neatorama.com/2023/03/25/Navigators-From-The-Marshall-Islands-Used-Wave-Charts-To-Guide-Their-Way

    For the untrained eye, the sea only looks like a featureless expanse of water. But for master navigators of Oceania, the sea is full of signs and clues that could help them reach their destination — from driftwood, birds, and even the direction of the waves.

    Navigators from the Marshall Islands use wave charts to travel through the small islands and atolls in the region. These charts, which capture the distinctive patterns of ocean swells, are a result of constant observation of the sea from land. But as these are not maps, they are not brought to sea. Instead, the sailors memorize these stick charts.

    Wave charts have three types: the rebbelib, which show whole island chains; meddo, which represent ocean swell patterns in small areas; and mattang, which teach basic interactions between land and sea.

    The wave charts have been a crucial element in making the Pacific Ocean trade routes possible. These routes stretched “at some points all the way from New Zealand to South America.” Now that’s bonkers!

    #cartographie

  • Guerre en Ukraine : cartographie inédite des attaques de l’armée russe contre les civils
    https://disclose.ngo/fr/article/guerre-ukraine-cartographie-inedite-des-attaques-russes-contre-les-civils

    Depuis un an, les soldats de Vladimir Poutine terrorisent la population civile ukrainienne. Exécutions arbitraires, tortures, viols, mais aussi attaques contre des écoles, des hôpitaux ou des infrastructures énergétiques… Disclose a recensé et cartographié près de 6 000 événements susceptibles d’être qualifiés de crimes de guerre par la Cour pénale internationale. Lire l’article

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

    • Sa #thèse de #doctorat :
      La fabrique du parcours migratoire sur la route des #Balkans. Co-construction des récits et écritures (carto)graphiques

      Cette thèse de géographie analyse le #parcours_migratoire sur la route des Balkans, à la lumière de la parole des migrants, par la médiation du #récit_migratoire.

      Dans un contexte d’externalisation du contrôle des flux migratoires vers l’Union européenne, cette recherche place l’expérience du déplacement au cœur de l’analyse, pour répondre à la question suivante : Comment les migrants parviennent-ils à parcourir la route des Balkans, un espace où les États, par l’intermédiaire d’outils de contrôle, tentent de les interrompre ?

      Cette recherche questionne ainsi le déterminisme politique sur lequel se fonde l’externalisation qui voudrait que le contrôle façonne les choix des migrants, et par voie de conséquence, hypothèque l’accomplissement de leurs parcours. À l’inverse, cette thèse soutient l’idée selon laquelle le parcours migratoire relève d’une fabrique : les migrants parviennent à construire la continuité de leur parcours, là où le politique tente d’introduire des ruptures.

      Ce questionnement est posé dans une période qui constitue un temps fort de l’histoire de la route des Balkans : de septembre 2015 à fin août 2016, au moment de ladite « crise migratoire », lorsque l’intensité des flux migratoires est sans précédent dans la région (près de 900 000 migrants enregistrés selon le Haut-Commissariat des Nations Unies pour les Réfugiés) et lorsque les États des Balkans instaurent un dispositif politique inédit dans la région, le « corridor ».

      En accordant une place centrale à la parole des migrants, cette recherche contribue à la compréhension du parcours migratoire et à l’enrichissement de sa conceptualisation. Elle participe aussi aux réflexions éthiques développées autour de l’approche biographique.

      Enfin, elle place au centre de l’écriture scientifique une diversité de (carto)graphies. En cela, elle réaffirme la portée heuristique de ces outils qui constituent les points de départ et d’aboutissement du travail du géographe.

      https://luciebacon.com/these-de-doctorat-la-fabrique-du-parcours-migratoire
      #migrations #frontières #route_des_Balkans

  • Les mégabassines : tout comprendre en une #carte

    Une carte du bassin de la #Sèvre niortaise, avec des #bassines_artificielles et des #zones_humides, pour comprendre ce qui se passe dans cette région du #marais poitevin.

    Aujourd’hui, dans la région et plus précisément à #Sainte-Soline, on attend une grande #manifestation « anti-bassines ». Cette #mobilisation doit rassembler les opposants à ce programme de stockage de l’eau pour l’#agriculture, mais elle a été interdite par la préfecture des Deux-Sèvres, en raison de la violence des affrontements avec les forces de l’ordre lors des précédents rassemblements. Les organisateurs promettent en revanche une mobilisation historique à laquelle sont censées participer des délégations étrangères, européennes mais aussi venues d’outre-Atlantique.

    Delphine Papin, cartographe au journal Le Monde explique comment a été pensée cette carte du bassin de la Sèvre niortaise, qui coule entre les départements de la #Vendée, des #Deux-Sèvres et de la #Charente-Maritime.

    « En bleu, on a tracé les principaux cours d’eau comme la Sèvres niortaise, la Vendée ou le #Mignon. On a aussi tracé les zones humides très étendues dans cette région, puisque nous sommes ici entre terre et mer, dans la région du marais poitevin, qui est la deuxième plus grande #zone_humide de France, après la Camargue. C’est une zone qui concentre une #biodiversité très riche, mais à l’équilibre écologique fragile et qui a subi dans le temps une forte pression humaine avec entre autres la conversion de certaines prairies en zone de #cultures_céréalières.

    En 2014, cette région a retrouvé son statut de #parc_naturel_régional - qu’elle avait perdu en 1996 en raison de ces transformations - : nous avons représenté avec un liseré vert ce périmètre à l’intérieur duquel l’environnement doit être en principe préservé. En jaune justement, on voit les #zones_agricoles, qui sont prépondérantes dans cette région rurale, ponctuée de zone urbains comme #Niort : on y pratique la #polyculture et l’#élevage, mais surtout la #céréaliculture, avec des grandes étendues irriguées très gourmandes en eau. »

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-cartes-en-mouvement/les-megabassines-tout-comprendre-en-une-carte-6229163

    #cartographie #visualisation #méga-bassines #mégabassines #eau #agriculture #résistance #irrigation

  • CLEARMAP Application
    https://geoservices.un.org/Html5Viewer/index.html?viewer=clearmap

    The United Nations Clear Map (hereinafter “Clear Map”) is a background reference web mapping service produced to facilitate “the issuance of any map at any duty station, including dissemination via public electronic networks such as Internet” and “to ensure that maps meet publication standards and that they are not in contravention of existing United Nations policies” in accordance with the in the Administrative Instruction on “Regulations for the Control and Limitation of Documentation – Guidelines for the Publication of Maps” of 20 January 1997 (http://undocs.org/ST/AI/189/Add.25/Rev.1).

    #nations_unies #cartographie #frontières #référence

  • La prima analisi globale dell’attivismo delle donne contro l’industria estrattiva

    Una ricerca ha esaminato 104 conflitti estrattivi registrati nell’Atlante della giustizia ambientale con l’obiettivo di identificare nel contesto globale i punti in comune e le differenze della presenza femminile nelle lotte. Dal Perù al Guatemala, dall’India al Sudafrica. Non solo duri impatti ma anche nuove pratiche di resistenza

    Nei conflitti contro progetti estrattivi di materie prime, le donne non sono solo vittime ma prendono parte in maniera attiva alle azioni di protesta, opposizione e denuncia delle conseguenze ambientali e sanitarie di questi progetti. Assumendo un ruolo predominante nell’opposizione all’industria estrattiva, le donne stanno rimodellando le pratiche esistenti, creando nuove possibilità di lotta che rifiutano l’imposizione della cultura dominante e di un’unica narrazione del progresso.

    Una recente pubblicazione, apparsa sulla rivista Journal of Political Ecology, ha analizzato 104 conflitti estrattivi registrati nell’Atlante della giustizia ambientale (Environmental Justice Atlas – EJA) con l’obiettivo di identificare nel contesto globale i punti in comune e le differenze della presenza femminile nelle lotte per la giustizia ambientale. Si tratta della prima analisi globale dell’attivismo delle donne contro l’industria estrattiva. I ricercatori hanno incluso nell’analisi progetti di estrazione di materie prime come oro, argento, rame, ferro, alluminio, piombo, metalli rari per la produzione di prodotti tecnologici, petrolio, ma anche diamanti e miniere di carbone. La mappatura dei conflitti comprende zone da tutto il mondo, in tutti e cinque i continenti.

    L’Atlante è il più grande inventario esistente di conflitti socio-ambientali, con oltre 3.800 casi segnalati a marzo 2023. Circa il 23% di questi (896 casi) identifica le donne come attori importanti nelle proteste. È il risultato di un lavoro collaborativo da parte di accademici, singoli attivisti e organizzazioni che contribuiscono con approfondimenti per ciascun caso. Alle informazioni dell’Atlante i ricercatori hanno aggiunto, quando disponibili, quelle contenute in testi accademici pubblicati su riviste specialistiche, rapporti istituzionali e altre pubblicazioni di organizzazioni internazionali e locali coinvolte. I conflitti legati all’attività estrattiva possono verificarsi come conseguenza degli impatti socio-ambientali sulla terra, sull’acqua e sui mezzi di sussistenza, come reazione all’esclusione delle donne ai processi decisionali e quindi come proteste contro gli ostacoli all’autodeterminazione femminile, oppure a causa di compensazioni giudicate insufficienti.

    I risultati dell’analisi mostrano che le attività estrattive producono sulle donne quattro tipi di impatti diversi: sulla loro salute e sul lavoro di cura che svolgono; sulle attività legate al sostentamento e al reddito; producono inoltre maggiore violenza nei loro confronti e influenzano le relazioni sociali all’interno delle comunità locali. Le quattro categorie di impatti non si escludono a vicenda, ma possono intrecciarsi tra loro. Di tutti i casi analizzati, il 67% indica conseguenze negative visibili o potenziali che riguardano specificamente le donne.

    In molte comunità rurali, infatti, i compiti quotidiani delle donne sono determinati dalla divisione di genere del lavoro. Occupandosi della produzione di cibo e della gestione dell’acqua, le donne sono particolarmente consapevoli degli impatti che le industrie estrattive hanno sul territorio e sull’ambiente, e sono spesso le prime a denunciarne le conseguenze negative. Le conseguenze sulla salute si devono principalmente alle fonti d’acqua contaminate con cui entrano in contatto che determinano malattie della pelle, problemi legati alla salute riproduttiva come perdita di fertilità e malformazioni durante la gravidanza, problemi respiratori dovuti all’inquinamento da polveri fino allo sviluppo di cancro. Impatti dello stesso tipo possono manifestarsi anche sulla salute di figli e di altri componenti della famiglia, aumentando così il carico del lavoro di cura svolto esclusivamente dalle donne.

    L’occupazione dei terreni coltivabili da parte delle industrie riduce inoltre l’accesso alle risorse, fonti tradizionali di reddito per loro. In questo modo la sicurezza economica delle donne diminuisce, mentre aumenta la dipendenza economica dal lavoro salariato degli uomini, alcuni dei quali lavorano proprio nei luoghi di estrazione.

    Attraverso questi meccanismi, la presenza delle industrie estrattive rafforza le dinamiche patriarcali esistenti nei territori, accrescendo il privilegio maschile e rafforzando il dominio degli uomini. Una condizione che porta le donne a perdere lo status economico, sociale e culturale e a subire anche diverse forme di violenza. Sono minacciate fisicamente, uccise per la loro opposizione all’attività mineraria o sopravvissute a tentativi di assassinio. È il caso di Nasreen Hug che stava preparando una causa internazionale contro il progetto minerario di Phulbari in Bangladesh quando è stata assassinata. Diodora Hernández e Yolanda Oqueli sono entrambe sopravvissute a tentativi di omicidio per il loro attivismo contro i progetti Marlin e El Tambor in Guatemala. Inoltre, la violenza sessuale è usata sia da chi lavora nelle compagnie estrattive sia dalle forze di sicurezza.

    Eppure, dai dati raccolti dalla pubblicazione, emerge che le donne non subiscono passivamente, ma partecipano attivamente all’organizzazione dell’opposizione alle industrie. Il documento distingue otto diverse modalità di protesta: azioni dirette come blocchi stradali, proteste e scioperi; organizzazione di eventi pubblici, come mostre o esibizioni artistiche; vigilanza del territorio, anche per monitorare gli impatti ambientali; promozione di campagne di sensibilizzazione e informazione; avvio di procedimenti legali contro le aziende responsabili di inquinamento; creazione di spazi per lo svolgimenti di attività sociali e politiche; pressione politica nei confronti delle autorità locali, del governo e delle stesse industrie per sensibilizzare alla loro causa e per garantire norme ambientali più severe; gestione dei bisogni materiali, sanitari ed emotivi della comunità come la preparazione di cibo durante le azioni di protesta.

    La pubblicazione è ricca di esempi di donne che hanno lottato e continuano a lottare per la difesa dell’ambiente in cui vivono. Alcune attiviste si sono distinte per aver rifiutato di vendere la terra alle aziende e per aver resistito ai tentativi di esproprio, come nel caso dell’opposizione di Maxima Acuña alla compagnia Yanacocha, promotrice del progetto Conga per l’estrazione di oro e rame in Perù. In Guatemala, Estela Reyes ha bloccato da sola l’avanzata di un trattore, scatenando la resistenza alla miniera d’oro di El Tambor. Altre forme di resistenza comprendono le attività portate avanti da Mukta Jhodia, in India, che ha attraversato i villaggi del Kashipur per informare la popolazione dei potenziali effetti negativi che la miniera di Baphlimali avrebbe avuto sui terreni coltivabili, e quelle di Lorraine Kakaza che in Sudafrica ha lanciato una serie di podcast sui costi che l’estrazione del carbone avrebbe avuto sulla vita delle persone nella provincia di Mpumalanga. Alcune attiviste hanno anche deciso di proseguire il loro impegno entrando in politica: Francia Márquez, leader che si opponeva all’estrazione illegale di oro a La Toma, è stata eletta a giugno 2022 vicepresidente della Colombia.

    Le donne svolgono molto più che un semplice ruolo di supporto, ma la loro capacità di impegnarsi nell’opposizione alle attività estrattive è spesso ostacolata. Se devono far fronte a compiti quotidiani che richiedono tempo, come la produzione di cibo, le faccende domestiche e la cura dei figli, hanno meno tempo da dedicare alla protesta. A volte subiscono pressioni da parte di familiari e di componenti della comunità ad abbandonare l’attivismo. L’analisi, infatti, mostra che esistono relazioni patriarcali anche all’interno dei movimenti di resistenza, che contribuiscono a riprodurre la disuguaglianza di genere anche all’interno dei gruppi di protesta. Le donne devono così affrontare sia le compagnie estrattive sia i partner maschili all’interno della comunità che in alcuni casi organizzano azioni di boicottaggio nei confronti dell’attivismo femminile.

    La volontà di affermare la propria voce nei processi decisionali anche all’interno dei movimenti di opposizione, ha spinto molto spesso la formazione di gruppi di protesta formati da sole donne, alleati a livello locale e internazionale con altri movimenti. Per gli autori della pubblicazione, l’attivismo anti-estrattivista delle donne può contribuire a sfidare le tradizionali percezioni di genere all’interno delle comunità e a promuovere cambiamenti collettivi più ampi in alcuni contesti. È il lavoro, per esempio, portato avanti dalle afrocolombiane di La Toma, in Colombia, e dalle boliviane di Huanuni e Corocoro. Il loro attivismo sta recuperando pratiche ancestrali ripensandole attraverso nuove relazioni con il territorio e all’interno delle comunità, affermando la possibilità di una leadership anche femminile.

    https://altreconomia.it/la-prima-analisi-globale-dellattivismo-delle-donne-contro-lindustria-es

    #femmes #résistance #extractivisme #justice_environnementale

  • #Mapping_Diversity

    Mapping Diversity is a platform for discovering key facts about diversity and representation in street names across Europe, and to spark a debate about who is missing from our urban spaces.

    We looked at the names of 145,933 streets across 30 major European cities, located in 17 different countries. More than 90% of the streets named after individuals are dedicated to white men. Where did all the other inhabitants of Europe end up? The lack of diversity in toponymy speaks volumes about our past and contributes to shaping Europe’s present and future.


    https://mappingdiversity.eu
    #cartographie #noms_de_rue #toponymie #toponymie_féministe #toponymie_politique #visualisation #Europe #base_données #villes #urban_matter #ressources_pédagogiques

    ping @_kg_ @cede

    • Pocas y ocultas: la infrarrepresentación de las mujeres en el callejero de Europa

      Da igual que sea una calle principal en las afueras de una gran ciudad o un pequeño callejón en el centro histórico; en Escandinavia o en el Mediterráneo; en la ciudad más occidental de Europa o en la sufrida Kiev. Las calles del Viejo Continente tienen una cosa en común: rinden homenaje a muchos más hombres que mujeres.

      La European Data Journalism Network (EDJNet) ha analizado, con la participación de El Orden Mundial, 145.933 calles en 30 grandes ciudades de 17 países de la Unión Europea o candidatos a formar parte del grupo comunitario. De todas ellas, el 91% llevan nombre masculino. Incluso en la ciudad con menor brecha de género, Estocolmo, las calles que homenajean a hombres siguen suponiendo más del 80% del callejero.

      No todas las ciudades son iguales

      En algunas ciudades de Europa, particularmente en el norte y el este del continente, es relativamente común dedicar nombres de calles a personas. Además de la capital sueca, las urbes con mayor representación de mujeres son las españolas (Madrid, Barcelona y Sevilla) y Copenhague, aunque en el caso de España las cifras están condicionadas por la gran cantidad de calles dedicadas a las vírgenes católicas (211 calles en 3 ciudades). En el lado contrario, menos de un 5% de las calles de Atenas, Praga y Debrecen (Hungría) tienen nombre de mujer.

      En total, la EDJNet ha identificado 41.000 individuos con al menos una calle en su honor, y aunque Europa es una región densamente poblada y con cientos de años de rica historia, solo 3.500 mujeres aparecen en el callejero de las 30 ciudades que forman parte de la investigación. Si todas ellas hubiesen coincidido en el tiempo, apenas ocuparían las casas y viviendas de una simple avenida. La preponderancia de figuras masculinas en las calles de Europa es un fuerza sublime pero constate que ayuda a perpetuar la marginación de las mujeres y su contribución a la historia, la cultura y la ciencia.

      La Virgen María y Santa Ana son las figuras femeninas mas populares en el callejero de las ciudades analizadas por la EDJNet. Pese a esto, la mayoría de calles dedicadas a mujeres no son de figuras religiosas, sino del mundo de la cultura y la ciencia, incluidas escritoras y artistas. La nobleza y la política son otros campos con una representación fuerte en el callejero femenino de Europa.

      Existen, eso sí, diferencias entre ciudades. Tanto Copenhague como Cracovia tiene 71 calles dedicadas a mujeres, pero en la primera ciudad solo hay una figura religiosa, mientras que en la capital polaca son diez. Las diferencias son mucho más pequeñas cuando se analiza el origen de estas mujeres: aparte de algunas santas de Oriente Medio, la inmensa mayoría son mujeres europeas. Solo destacan dos excepciones: la líder india Indira Gandhi y la artista sudafricana Miriam Makeba.
      Una brecha que no se cierra

      La gran brecha de género en el callejero europeo no sorprende si se tienen en cuenta los siglos de discriminación que han sufrido las mujeres en la educación, la vida pública y la economía. Los paisajes urbanos tienden a reflejar las relaciones de poder que existían cuando se construyeron las calles. En el caso de Europa, esto sucedió en el siglo XIX y principios del XX.

      Gracias al esfuerzo de activistas o intelectuales, la concienciación en torno a la sobrerrepresentación de hombres blancos y ricos en el callejero ha crecido en Europa. Sin embargo, los datos sugieren que esta concienciación aún no se ha visto acompañada de un cambio significativo en los nombres de las calles. Durante los últimos diez años, ninguna de las grandes ciudades de Europa ha estado cerca de cerrar la brecha de género, y en algunos casos se ha perpetuado: en el periodo 2012-2022, ciudades como Ámsterdam, Berlín, Valencia o Milán siguieron dedicando más calles a hombres que mujeres.

      «Desde 2017, hemos aplicado estrictamente el reparto equitativo en la denominación de las calles, homenajeando a una nueva mujer por cada nuevo hombre. Sin embargo, todavía recibimos muchas más propuestas de nombres masculinos, unas diez veces más, que nombres femeninos», dice Antonella Amodio, la funcionaria a cargo de seleccionar los nombres de las calles en Milán. Una mayor sensibilidad hacia el tema ha llevado a una mayor concienciación: la ciudad ahora monitorea la brecha de género y está construyendo un sitio web dedicado a explorar lugares y monumentos dedicados a mujeres destacadas y sus vidas.

      Pero aplicar la paridad no es suficiente para cerrar la brecha de género. De hecho, ni siquiera sería suficiente si todas las calles nuevas llevasen nombre de mujer. Las ciudades europeas simplemente no crecen tan rápido como solían hacer, y solo se construyen algunas decenas de calles cada año. En la actualidad hay 43.330 calles más dedicas a hombres que a mujeres en las ciudades analizadas, por lo que la desigualdad tardaría siglos en cerrarse.

      Es más, los expertos advierten de que las nuevas valles dedicadas a mujeres tienden a estar localizadas en áreas periféricas, zonas residenciales donde la visibilidad es menor, como el barrio de Sanchinarro en Madrid. Por contra, las calles con nombres de hombres siguen siendo las avenidas y plazas más importantes de los centros históricos.

      https://elordenmundial.com/mapas-y-graficos/infrarrepresentacion-mujeres-callejero-europa

  • La carte des absent·e·s : Téhéran 1979-1988
    https://visionscarto.net/carte-absent-e-s-teheran

    Bahar Majdzadeh cartographie l’absence des militant·e·s de la Révolution de 1979 dans la capitale iranienne. Sa carte interactive et participative fait remonter à la surface la répression sanglante qu’ont subi les partis politiques opposés à la république islamique pendant les années 1980. Cette destruction politique a été suivie par celle de la mémoire de ces révolutionnaires, une mémoire que la chercheuse réinscrit patiemment dans l’espace symbolique des cartes. par Bahar Majdzadeh, docteure en arts, (...) #Billets

  • David Libeau @DavidLibeau ->
    J’ai créé ce week-end un site qui permet de récupérer facilement les vidéos des caméras de surveillance qui vous filment (car oui c’est un droit).
    https://twitter.com/DavidLibeau/status/1629877954070077445?s=20

    #cartographie de la #vidéosurveillance de Paris

    Madame, Monsieur,
    Conformément à l’article L253-5 du Code de la sécurité intérieure, je souhaite avoir accès aux enregistrements vidéos qui me concernent. Je pense avoir été filmé le 26 février 2023 vers 20h-3 par ces caméras :
    – caméra n° 46685 : Lemonnier / Rivoli
    – caméra n° 44805 : Rivoli / 29 juillet
    Merci d’avance.
    Cordialement,

    https://camerci.fr

  • Sécheresse : 27 jours sans pluie en France, du jamais vu en hiver
    https://meteofrance.com/actualites-et-dossiers/actualites/climat/secheresse-27-jours-sans-pluie-en-france-du-jamais-vu-en-hiver

    La pluie n’est pas tombée en France depuis le 21 janvier, soit une série record de 27 jours. Du jamais vu en hiver . Cette situation se traduit par un assèchement des sols, déjà affaiblis par la sécheresse de l’été 2022. Source : Météo-France

    • Abstract

      A prolonged drought affected Western Europe and the Mediterranean region in 2022 producing large socio-ecological impacts. The role of anthropogenic climate change (ACC) in exacerbating this drought has been often invoked in the public debate, but the link between atmospheric circulation and ACC has not received much attention so far. Here we address this question by applying the method of circulation analogs, which allows us to identify atmospheric patterns in the period 1836-2021 very similar to those occurred in 2022. By comparing the circulation analogs when global warming was absent (1836-1915) with those occurred recently (1942-2021), and by excluding interannual and interdecadal variability as possible drivers, we identify the contribution of ACC. The 2022 drought was associated with a persistent anticyclonic anomaly over Western Europe. Circulation analogs of this atmospheric pattern in 1941-2021 feature 500 hPa geopotential height anomalies larger in both extent and magnitude, and higher temperatures at the surface, relative to those in 1836-1915. Both factors exacerbated the drought, by increasing the area affected and enhancing soil drying through evapotranspiration. While the occurrence of the atmospheric circulation associated with the 2022 drought has not become more frequent in recent decades, the influence of the Atlantic Multidecadal oscillation cannot be ruled-out.

      https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/acbc37

    • Même en hiver, la France a soif de pluie

      L’hiver n’a pas été aussi sec depuis 35 ans. La faute à l’homme, qui dérègle le climat. Le niveau des nappes phréatiques est si bas qu’il pourrait mettre en péril les cultures du printemps et de l’été 2023.

      On se croirait un 15 août. Rivières à sec, maigres filets d’eau au départ des #sources, fleuves aux allures de banc de sable : partout dans l’Hexagone, habitant·es et autorités relaient les mêmes images d’une France aux prises avec l’une des #sécheresses_hivernales les plus importantes de son histoire. Il n’a pas plu, selon Météo France, depuis le 21 janvier, ce qui n’était plus arrivé depuis près de 35 ans.

      Si le phénomène préoccupe, c’est qu’il s’inscrit dans un temps devenu très long. Depuis août 2021, tous les mois sont déficitaires en pluie, à l’exception des mois de décembre 2021, juin 2022 et septembre 2022. Après un été très sec, l’hiver 2023 devrait figurer parmi « les dix hivers les moins arrosés depuis 1959 », explique l’institution météorologique.

      Deux départements dans le sud de la France ont pris des mesures de restriction d’eau et au moins une dizaine d’autres ont été placés en « vigilance », selon le ministère de l’écologie. Dans le département du Var, rapporte le journal Ouest-France, alors que les dernières mesures de restriction de l’usage de l’eau avaient été levées le 15 décembre 2022 seulement, 85 communes ont à nouveau été placées en situation d’alerte sécheresse, ce qui a permis au préfet d’interdire d’arroser les jardins la journée, de laver les véhicules des particuliers ou d’utiliser des jeux d’eau. Le milieu agricole n’est pas ciblé par ces mesures.

      Dans les Pyrénées-Orientales, également concernées par des restrictions, l’interdiction prise en janvier de prélever de l’eau dans le fleuve Têt avait déjà provoqué l’ire des syndicats agricoles et d’une partie des élus politiques locaux. Un millier de représentants d’une partie du monde rural avait alors défilé à Montpellier, racontait le journal Le Monde, pour défendre l’accès à l’eau, un bien « de plus en plus rare et convoité ».

      Sans apport de pluie depuis six mois, le fleuve L’Agly, irriguant le Roussillon plus au nord, dévoile lui aussi son fond pierreux à des habitantes et habitants catastrophés, un phénomène très rare selon le syndicat mixte du bassin versant, interrogé par TF1.

      Le journal La Dépêche relaie lui aussi le faible niveau des barrages du Tarn sud, « source d’inquiétudes », malgré les appels dès le début de l’hiver à limiter la consommation d’eau. Les hameaux du Livradois-Forez ou du Velay, dans le Massif central, sont eux carrément alimentés en eau potable par des camions-citernes. La région est pourtant considérée comme « le château d’eau » de la France pour sa pluviométrie.

      Les grands fleuves, comme la Loire ou le Rhin, ne sont pas épargnés. Le faible niveau de ce dernier était même au cœur d’un atelier européen qui s’est tenu jusqu’au 18 février 2022, selon RFI. La France, l’Allemagne, les Pays-Bas, la Belgique, la Suisse et le Luxembourg étaient rassemblés à Strasbourg pour pour lutter contre « le même fléau » : sur cet axe navigable capital pour l’économie, certains transporteurs fluviaux ne peuvent plus circuler. À tel point que l’Union européenne envisage de remplacer une partie de la flotte par des bateaux à faible tirant d’eau.

      La météo pourrait changer la semaine prochaine. Une nouvelle vague froide de pluie et de neige s’annonce en remplacement du soleil et du vent qui prévalaient jusqu’ici. Mais un tel niveau de sécheresse sera difficile à rattraper.

      Le Bureau de recherches géologiques et minières (BRGM) a précisé début janvier dans un rapport que « la recharge des nappes phréatiques reste peu intense. Plus des trois quarts des nappes demeurent sous les normales mensuelles ». Une « bombe à retardement » pour l’été 2023 « si les nappes phréatiques ne sont pas rechargées d’ici le mois d’avril », a mis en garde récemment Serge Zaka, consultant et docteur en agroclimatologie, sur France Info.

      Ces sécheresses quatre saisons, une « anomalie anticyclonique » que l’Europe de l’Ouest affronte tout particulièrement depuis le début de l’année 2022, sont la conséquence directe du dérèglement climatique et de l’activité humaine, comme l’a démontré un nouveau rapport du CNRS (Centre national de recherche scientifique), publié le 27 janvier 2023.

      Commentant leurs résultats, les trois scientifiques à l’origine de cette étude considèrent qu’elle apporte « une preuve claire du rôle du changement climatique dû à l’homme dans l’exacerbation de la sécheresse exceptionnelle de 2022 et souligne la nécessité de poursuivre et d’intensifier les recherches et les actions pour faire face aux impacts du changement climatique sur nos communautés ».

      https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/190223/meme-en-hiver-la-france-soif-de-pluie
      #sécheresse_hivernale

    • Parler de « canicule d’hiver » me semble biaisé : la canicule d’un point de vue étymologique est une période de chaleur sèche se produisant de fin juillet à fin août

      Du latin caniculis (« petite chienne »), Canicula étant également l’un des anciens noms de l’étoile Sirius. Les périodes de grande chaleur furent ainsi nommées parce qu’on les attribuait à l’influence de Sirius. En effet, pendant l’Antiquité, au cours de la période annuelle du 20 juillet au 24 août, cette étoile se couchait et se levait en même temps que le Soleil.

      Donc le phénomène est bien lié à une réalité due à la mécanique céleste.
      Il serait plus pertinent de parler d’anomalies persistantes dans la circulation atmosphérique qui se manifestent par des situations de blocages anticycloniques sur l’Europe de l’Ouest.
      On pourrait aussi parler d’anomalies de géopotentiel mais là ça devient plus technique.
      De toute façon, les conséquences sont on ne peut plus problématiques : nous allons manquer d’eau. Pour nous mêmes dans nos usages domestiques mais plus préoccupant encore, pour les autres êtres vivants que sont les animaux et les végétaux. Et je pense qu’on ne mesure pas l’ampleur du désastre à long terme.

  • La France en plein pic de pollution aux particules fines
    https://reporterre.net/La-France-en-plein-pic-de-pollution-aux-particules-fines

    Cet épisode de #pollution hivernale aux #particules_fines est liée au #refroidissement des températures. D’une part, les émissions dues au chauffage, particulièrement au bois augmentent, s’ajoutant à celles causées par le trafic routier. D’autre part, « lors de journées froides et sans vent, notamment au petit matin, on peut assister à un phénomène d’inversion thermique, explique Atmosud, sur son site internet. La température à quelques centaines de mètres d’altitude est supérieure à celle du sol. Les polluants se trouvent donc piégés sous un couvercle d’air plus chaud et s’accumulent. »

    Ces particules fines (PM10 et PM2,5) présentent de nombreux risques pour la santé, notamment des plus fragiles comme les enfants et ont contraint certaines régions à instaurer des mesures de restriction. Baisse du chauffage à 18 °C, abaissement de la vitesse sur les routes, interdiction de brûler des déchets verts ou d’utiliser le bois comme chauffage d’agrément.

    La carte Atmo
    https://www.atmo-france.org
    Le Mans sent mauvais

  • L’importance des aménagements cyclables dans la pratique du #Vélo
    http://carfree.fr/index.php/2023/02/14/limportance-des-amenagements-cyclables-dans-la-pratique-du-velo

    Quand vous parlez aux gens des différences de pratique vélo selon les endroits, très souvent on vous explique que si la pratique du vélo est plus forte ailleurs, c’est que Lire la suite...

    #Belgique #bruxelles #cartographie #culture #cyclistes #pistes_cyclables #travail

    • En moyenne, l’utilisation du vélo est environ 10 fois inférieure en Wallonie par rapport à celle enregistrée en Flandre.

      Il est rare de voir un phénomène social (la pratique du vélo) correspondre aussi bien à une limite régionale et culturelle. Alors, quelle est la raison profonde d’un tel clivage ? [...] On est donc allé chercher la carte des aménagements cyclables sur le site Geovelo, carte qui regroupe les voies dédiées, les double-sens cyclables, les voies partagées et les zones apaisées. Et surprise, on retrouve la séparation nord-sud que l’on peut constater en matière de pratique vélo…

  • Non si fermano le riammissioni al confine tra Italia e Austria

    Scarsa informativa legale, assenza di mediatori, mancanza di provvedimenti scritti: al Brennero l’attività delle polizie dei due Paesi nega i diritti alle persone in transito. Le Ong denunciano le violazioni e chiedono la fine dei controlli

    Brennero, primi giorni dell’anno 2023. Un operatore del servizio Assistenza umanitaria al Brennero -gestito dal Gruppo Volontarius in collaborazione con la Caritas di Bolzano-Bressanone- attende l’arrivo del treno regionale da Innsbruck al binario tronco Nord. Di solito, quando incontra un migrante in transito gli si avvicina per un primo orientamento legale sulle normative riguardo l’iter di protezione internazionale e la regolare permanenza sul territorio. Ma in presenza delle forze dell’ordine la sua possibilità di intervento è più limitata. “In quel caso è molto difficile avvicinarsi attivamente alle persone per dare informazioni. La possibilità di presentare richiesta d’asilo non viene menzionata dalle forze dell’ordine, che si limitano a far salire le persone intercettate sul primo treno regionale diretto in Austria, se la persona proviene da lì, o in Italia se sta tentando il percorso inverso”, spiega l’operatore.

    È quello che accade dopo la perquisizione dell’Eurocity 81 delle dieci, proveniente da Monaco di Baviera e diretto a Bologna. All’arrivo del treno le forze dell’ordine italiane operano secondo una prassi ben consolidata, con l’impiego di sette agenti di polizia e tre militari. In otto salgono a bordo del treno e procedono con il controllo delle carrozze, mentre due militari restano sul binario seguendo il percorso dei loro colleghi all’interno. L’operazione dura meno di dieci minuti. Due cittadini pakistani vengono fatti scendere. Senza un servizio di mediazione che permetta loro di comprendere quanto stia accadendo, né la consegna di alcun provvedimento, i due vengono scortati al binario tronco Nord. Qui sono sorvegliati a vista da due agenti di polizia e due militari. All’arrivo del regionale proveniente da Innsbruck vengono caricati sul convoglio che dopo cinque minuti riparte in direzione Nord.

    Ogni giorno al Brennero circolano dieci Eurocity della compagnia austriaca ÖBB: cinque percorrono la tratta Bologna-Monaco, gli altri viaggiano in direzione opposta. Al Brennero rimangono fermi quindici minuti. In questo lasso di tempo le forze dell’ordine italiane entrano in azione. Sui treni Eurocity diretti a Monaco, inoltre, tre agenti della polizia austriaca salgono sul convoglio già al Brennero. Si posizionano in coda e procedono con i controlli appena varcato il confine. Le persone sprovviste di un regolare titolo di soggiorno sul territorio austriaco vengono fatte scendere alla prima stazione, Gries am Brenner, e lì, dopo una rapida perquisizione -e in alcuni casi una multa da cento a mille euro che si traduce nel sequestro di soldi e spesso del telefono cellulare, una pratica consentita dalla normativa sull’immigrazione austriaca (articolo 120, par. 1 e 1a del Fremdenpolizeigesetz)- vengono caricate sui furgoni della gendarmeria e riportati subito in Italia.

    Le modalità di controllo sistematiche mostrano che le polizie italiana e austriaca sono particolarmente attente nel colpire i movimenti secondari dei migranti su questa striscia di confine. “Nei mesi invernali le persone soggette a riammissione dall’Italia verso l’Austria e nella direzione opposta sono in media dieci al giorno”, spiega Manocher Moqimi, referente del servizio Assistenza umanitaria al Brennero. Mentre il “Consuntivo della Polizia ferroviaria 2022” rivela che lo scorso anno “le attività svolte in forma congiunta con le polizie austriaca e tedesca lungo le fasce confinarie di Brennero e Tarvisio, hanno permesso di controllare 4.474 stranieri, di cui 949 rintracciati in posizione irregolare”.

    Le riammissioni lungo il confine del Brennero avvengono sulla base dell’accordo bilaterale sottoscritto da Italia e Austria il 7 novembre 1997. Matteo Astuti, operatore legale dell’Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione (Asgi), spiega che “le riammissioni dovrebbero essere effettuate secondo le procedure previste dall’accordo tra i due Paesi, che comprendono sempre la notifica di un provvedimento scritto alle persone soggette a riammissione, il diritto all’informazione e a poter manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale”. Quando questi diritti non vengono rispettati la procedura di riammissione si configura come illegittima. Come sottolineato dal report “Lungo la rotta del Brennero”, pubblicato da Antenne migranti, Fondazione Langer e Asgi già nel 2017, le riammissioni informali al Brennero avvengono in contrasto con l’articolo 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché attuate “sulla base di decisioni delle autorità di frontiera non scritte, in nessun modo formalmente notificate […] e in alcun modo contestabili e impugnabili di fronte alle autorità giurisdizionali astrattamente competenti”.

    Particolarmente problematico poi è il tema dei controlli effettuati dalle forze di polizia. Italia e Austria hanno ripristinato formalmente quelli sulle rispettive frontiere solo nel periodo tra novembre 2015 e maggio 2016, e pertanto “la presenza di controlli sistematici alle frontiere interne viola l’articolo 22 del Codice Schengen che non prevede ‘verifiche’ per chi attraversa la frontiera qualunque sia la sua nazionalità”, chiarisce Astuti. Al Brennero, inoltre, il diritto all’informazione viene costantemente leso. Il servizio di mediazione, che dovrebbe essere garantito dagli accordi tra il governo italiano l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) è assente. A volte gli operatori di Assistenza umanitaria al Brennero sono chiamati dalle forze di polizia a svolgere la mediazione, visto che alcuni collaboratori del servizio conoscono lingue quali l’arabo e il farsi. Limitandosi a raccogliere informazioni da tradurre, però, gli enti di tutela corrono il rischio di essere strumentalizzati dalla pubblica autorità per giustificare una pratica eseguita in maniera illegittima.

    Per ovviare a situazioni come queste Asgi ha iniziato un ciclo di formazioni per gli operatori del servizio del Brennero. “In questo modo possono disporre di più strumenti per comprendere quando la polizia di frontiera agisce in maniera illegittima”, spiega l’operatore legale che auspica anche il ripristino di un’attività di monitoraggio indipendente, nel solco delle precedenti esperienze “Brenner/o border monitoring” e “Antenne migranti” -operative rispettivamente dal 2014 al 2016 e dal 2016 al 2020- per testimoniare quanto accade su questa frontiera e denunciare le violazioni dei diritti delle persone migranti. “Le persone cercheranno sempre di passare: chi non ce la fa la prima volta spesso ci riprova ancora e ancora -afferma l’operatore del Gruppo Volontarius-. Forse all’ennesimo tentativo riuscirà a varcare la frontiera. Ma in che modo e a quale prezzo?”.

    https://altreconomia.it/non-si-fermano-le-riammissioni-al-confine-tra-italia-e-austria

    #frontière_sud-alpine #Brenner #Italie #Autriche #réadmission #push-backs #refoulements #Alpes #migrations #asile #réfugiés

  • Combattre l’extrême droite partout où elle s’implante ! - La Horde
    https://lahorde.samizdat.net/Combattre-l-extreme-droite-partout-elle-s-implante

    Les groupes d’extrême droite en France actuellement se caractérisent par leur instabilité mais aussi par leur identité locale au détriment de réseaux nationaux : c’est pourquoi, en collaboration avec des groupes antifascistes locaux, nous avons élaboré cette #carte (que nous tâcherons de mettre à jour régulièrement), en complément de notre schéma de l’#extrême_droite.

  • PLUS VITE QUE LE COEUR D’UN MORTEL – Editions Grevis
    https://editionsgrevis.com/2021/11/02/plus-vite-que-le-coeur-dun-mortel

    Il vient de sortir, le bel ouvrage de Max Rousseau et Vincent Béal ! Un #livre qui revient sur les effets de la crise économique sur les #villes à travers l’expérience américaine, mais aussi sur le vernis de la ville décroissante qui cache mal parfois les processus de #ségrégation à l’oeuvre. Le tout accompagné d’un travail de #cartographie de David Lagarde et d’#illustrations de Lauren Hamel !

    Ségréguée, paupérisée et vidée, #Cleveland est passée du statut de métropole florissante à celui de cauchemar urbain. Massivement démolis, ses quartiers noirs sont progressivement rendus à la nature. Les conservateurs y extraient les dernières richesses tandis que racisme et austérité avancent masqués derrière des algorithmes.

    De ce paysage dystopique, une vision alternative émerge pourtant : celle d’un futur agricole et coopératif. Dix ans après le crash déclenché par l’effondrement des subprimes, ce livre offre une plongée dans l’épicentre de la dernière crise globale. En donnant la parole à celles et ceux qui sont confrontés au déclin extrême, il cherche à éclairer l’Amérique urbaine abandonnée.