• Il mondo al contrario (reboot). Note sulla politica dell’immaginario cartografico e sul libro di Vannacci

    La cartografia rovesciata è stata spesso utilizzata da artiste e artisti per proporre messaggi politici, forme di attivismo e di pensiero creativo, per contribuire a destabilizzare le nostre convinzioni e il nostro subconscio politico

    Il libro di Roberto Vannacci cui si fa riferimento nel titolo è una raccolta di idee, posizioni, commenti e aneddoti che tratteggiano i molteplici modi attraverso i quali – si sostiene – la società sta sovvertendo i presupposti logici comuni. Le idee dell’autore, chiaramente collocabili nell’area politica dell’estrema destra, si sviluppano attraverso dodici capitoli tematici in cui si parla di argomenti assai disparati, dalla sostenibilità all’idea di patria, dalla diversità sessuale all’autodifesa, dalle tasse all’animalismo. Si è già scritto molto al riguardo: ogni singolo capitolo potrebbe essere oggetto di una decostruzione critica e rappresenta l’antitesi (o il contrario, per rimandare ancora una volta al titolo) delle posizioni oggi dominanti nelle scienze sociali: la lotta all’essenzialismo, all’antropocentrismo, al patriarcato, al pensiero binario e a quello coloniale, per citare alcuni temi cari alla geografia umana. I legami fra questo libro e la disciplina che pratico nelle aule universitarie – la geografia– sono peraltro numerosi, a partire dalla considerazione di come l’autore, al momento della pubblicazione del libro, fosse alla guida dell’Istituto Geografico Militare. In più, il libro affronta una gran quantità di tematiche squisitamente geografiche, come il rapporto fra uomo (sic) e natura (spesso indicata con sinonimi e varianti come Natura, Madre Natura e addirittura Creato, in un momento in cui il dibattito scientifico preferisce spesso l’uso della stessa parola nature, al plurale). C’è poi un capitolo esplicitamente dedicato alla crisi della città, in cui l’attenzione si concentra sul tema della mobilità e sull’importanza delle automobili, ma in cui si toccano anche questioni sociali come la gentrification, senza usare esplicitamente il termine. L’autore evidenzia infatti come il sistema di divieti, proibizioni e provvedimenti illiberali (che per esempio limitano l’utilizzo dell’automobile) voluto da vari movimenti politici e da amministrazioni locali produca città sempre più esclusive destinate a “single privilegiati”, ma invivibili “per famiglie con prole”.

    Un aspetto geografico del libro su cui vorrei soffermare l’attenzione è però l’utilizzo, fin dal titolo, di una metafora geografica: quella del mondo rovesciato, al contrario. Non si tratta certo del primo caso di metafora planetaria, e anzi esiste una nutrita schiera di prestigiosi lavori in questo senso: è possibile citare il mondo liquido e quello fluido, o l’idea assai criticata del mondo piatto, caratterizzato dalla riduzione delle distanze e dei confini nei fenomeni economici. Il mondo al contrario, ci spiega l’autore, è quello in cui sono rovesciati i principi del senso comune, della logica, della razionalità. Una delle parole maggiormente ricorrenti nel testo è “normalità”, intesa come il solido terreno comune che fornisce le coordinate per orientarsi in un mondo sempre più complesso e frastagliato, proprio come il mondo liquido discusso anni fa dal sociologo e filosofo Zygmunt Bauman. I colpevoli di questo ribaltamento sarebbero “esigue e sparute minoranze”, comprese quelle intellettuali, che il mondo “lo preferiscono a testa in giù”. Il concetto di normalità assunto nel testo è assai problematico, perché inevitabilmente legato a una concezione quantitativa: è “normale” ciò che riguarda una maggioranza di persone (all’interno di una determinata area, qui assunta come l’Italia, perché chiaramente ciò che è statisticamente normale qui non lo sarà altrove) e una sufficiente quantità di tempo (secoli? Millenni? Davvero la tradizione è una virtù che legittima pratiche e posizioni politiche?). Vorrei però concentrare l’attenzione sulla metafora stessa, e cioè sull’immagine fisica del mondo al contrario. Su alcuni siti e testate è stata presentata l’immagine di una cartografia capovolta rispetto a quella tradizionale, con l’Africa in alto e con l’Europa nella parte inferiore, come nell’immagine qui riprodotta, estratta dal sito democraticgeography.

    Simili mappe, disponibili in molte varianti, sono spesso chiamate South-up, o upside-down, cioè letteralmente “al contrario”. Si tratta di mappe curiose, ma per nulla strampalate o prive di senso. La Terra è un oggetto in movimento nello spazio, e non esiste un sistema di coordinate assoluto, se non quello creato dalle nostre convenzioni. La tradizione di porre l’Europa al centro della mappa e il Nord in posizione superiore è puramente convenzionale, non è sempre stato così, e in molte parti del mondo si utilizzano (o si utilizzavano) sistemi assai differenti, per esempio posizionando la Cina al centro. Anche senza andare distanti dall’Europa, la tradizione cristiana usava sancire la sacralità della rappresentazione del mondo unendo simbolismi religiosi, come nelle mappe dette T-O, in cui la disposizione dei continenti allora conosciuti richiamava la forma della croce cristiana, con l’Asia (più estesa) posta nella parte superiore della figura. Lo schema cartografico riproduceva il mito dell’assegnazione dei continenti ai tre figli Noe: Sem, Cam e Jafet, ognuno dei quali capostipite delle popolazioni di un’area geografica. L’esempio qui sotto, estratto da un libro medievale, è uno dei molti possibili.

    La cartografia rovesciata è stata spesso utilizzata da artiste e artisti per proporre messaggi politici, forme di attivismo e di pensiero creativo, per contribuire a destabilizzare le nostre convinzioni e il nostro subconscio politico. È stata spesso utilizzata dai movimenti anticolonialisti. Come sottolineato da un’ampia letteratura della psicologia ambientale, siamo infatti abituati ad attribuire una posizione di superiorità a ciò che sta in alto, come ben rappresentata nelle consuetudini del nostro linguaggio (“mi sento giù”). Sovvertire il sistema di coordinate è una strategia, come molte altre, per mettere in discussione saggezze consolidate, cercare nuovi punti di riferimento, sperimentare altri modi di essere e di posizionarsi al mondo, creare nuovi discorsi. Cosa si prova a guardare l’immagine dello stivale al contrario? Vedere Roma in quella posizione, sopra Milano? Siamo davvero sicuri che si tratti solo di un gioco inutile? Forse c’è qualcosa di estremamente vitale, critico e creativo nell’immagine del mondo al contrario.

    https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/08/24/news/il_mondo_al_contrario_reboot_note_sulla_politica_dellimmaginario_cart

    Il y a même une entrée wiki:
    https://fr.wikipedia.org/wiki/Carte_invers%C3%A9e

    #cartographie #upside_down #Nord #Sud #carte_inversée #cartographie_inversée #Alberto_Vanolo

  • #Controverses mode d’emploi

    Pratique pédagogique pionnière en sciences sociales, la cartographie des controverses apprend à regarder le monde sans jamais séparer sciences, techniques et société. À tenir compte de tous les points de vue et du contexte dans lequel ils sont émis. À analyser finement l’écosystème qui fait naître un objet, une invention, un phénomène.
    Face aux problèmes environnementaux et sanitaires qui nous submergent, face à la cadence inédite des innovations technologiques, les expert·e·s s’affrontent, se contredisent ou s’avouent sans réponse. Les controverses surgissent à un rythme bien plus rapide que la production des savoirs. Dans cet âge d’#incertitude, où la décision doit souvent précéder la connaissance, il nous faut imaginer de nouvelles manières de penser et d’agir collectivement.

    La cartographie des controverses fournit ce cadre. Pratique pédagogique pionnière en sciences sociales, elle apprend à regarder le monde sans jamais séparer sciences, techniques et société. À tenir compte de tous les points de vue et du contexte dans lequel ils sont émis. À analyser finement l’écosystème qui fait naître un objet, une invention, un phénomène.

    Pour se repérer dans l’incertitude, nous dit-elle, il faut d’abord se perdre dans la complexité.

    Ce livre en offre le mode d’emploi, en s’appuyant sur des exemples de controverses contemporaines soigneusement sélectionnées pour leur diversité et la richesse de leurs enseignements.

    https://www.pressesdesciencespo.fr/fr/book/?gcoi=27246100412870#h2tabtableContents

    #livre #controverse #eau #vélo #femmes #hystérie #burn-out #glyphosate #Romainville #rats #Paris #forages #eaux_profondes #enquête

    @reka : dans le résumé du livre on parle de « cartographie des controverses », mais je ne sais pas ce qui se cache derrière #cartographie, si c’est « mapping » en anglais qui pourrait donc comporter zéro visualisation :-)

  • Situation des #nappes_phréatiques_souterraines en France, août 2023

    La situation reste préoccupante : les deux tiers des nappes phréatiques sont sous les normales de saison en France, les pluies estivales ne permettant pas de les recharger efficacement, selon les derniers chiffres dévoilés jeudi par le gouvernement


    https://twitter.com/afpfr/status/1690241707798118400
    #nappes_phréatiques #eau #France #cartographie #visualisation #août_2023 #sécheresse

    • Dans l’article d’origine, une explication toute bête, pour Paris au moins :

      « Actuellement, la question de l’entretien est fondamentale dans les aménagements urbains et les projets de rénovation, car cela a un coût, encore plus quand des villes sont sous pression austéritaire – comme beaucoup de communes de Seine-Saint-Denis, poursuit Matthieu Adam. Embaucher des jardiniers formés pour entretenir les arbres est plus cher que d’avoir un agent qui vient nettoyer une dalle au jet d’eau. Ce qui fait qu’en banlieue la végétation est moins présente. »

      Par ailleurs, nombre de projets de rénovation proposent encore des aménagements très minéralisés, en partie pour réaliser de la prévention situationnelle. « En somme, ne pas planter des arbres est plus pratique pour laisser l’espace urbain ouvert afin de contrôler la population via des caméras de vidéosurveillance, des drones ou la simple vue des patrouilles de police », précise le chargé de recherche CNRS.

    • Pour Marseille, un peu différent, les riches privatisent les quartiers végétalisés :

      « En réalité, Marseille reste une ville très minérale où la végétation est plutôt absente, et la saisonnalité invisible. Les espaces verts urbains représentent seulement 4,6 m² par habitant. C’est moins que Paris (14 m2), indique le géographe Allan Popelard, qui dirige la collection « L’ordinaire du capital » aux éditions Amsterdam. Marseille compte environ dix fois moins d’arbres d’alignement par habitant que les autres grandes villes européennes étudiées. »

      Par ailleurs, le nombre d’arbres y est en nette régression : en 75 ans, le cœur historique de Marseille a perdu la moitié de son patrimoine arboré. Professeure à Aix-Marseille Université et chercheuse au Laboratoire Population Environnement Développement, Élisabeth Dorier précise pour Mediapart : « Dans le centre-ville de Marseille, il existe encore quelques rares cours intérieures avec des arbres. C’est une adaptation ancienne aux chaleurs des quartiers historiques qu’il faut à tout prix préserver. »
      [...]
      Allan Popelard : « Cette division socio-environnementale Nord-Sud résulte des choix d’aménagement opérés notamment sous les mandatures de Gaston Defferre (1953-1986) et Jean-Claude Gaudin (1995-2020). Une politique de classe qui a concentré les externalités négatives dans les quartiers nord. »
      [...]
      Les cartographies de la végétalisation et des revenus des ménages font apparaître au sud de la métropole les quartiers chics du Roucas-Blanc et de la colline Périer (7e et 8e arrondissements) où se trouvent des résidences fermées et végétalisées sous vidéosurveillance.

      Depuis 2007, Élisabeth Dorier se penche avec son équipe de recherche sur l’essor de ces résidences sécurisées. « Dans ces quartiers réservés aux privilégiés, les espaces verts sont progressivement privatisés. La colline Périer est devenue un écrin de verdure privé et bien gardé avec murs, patrouilles de gardiennage et vidéosurveillance, détaille la chercheuse. La fermeture résidentielle est ici un outil de valorisation foncière et d’exclusivité sociale. »

    • @olaf sur le « jardinage urbain », voir les travaux de mon ex-collègue #Marion_Ernwein :

      Les natures de la #ville_néolibérale

      « Zéro phyto », gestion écologique : les #espaces_verts_urbains longtemps conçus sur le mode « nature morte » de la tradition horticole se font de plus en plus vivants. Plus participatifs aussi, comme en témoigne la prolifé­ration des programmes de jardinage collectif. Cet ouvrage invite à com­prendre l’insertion de ces transforma­tions dans les nouvelles logiques de production de la ville et des services urbains.
      Sur la base d’enquêtes de terrain menées à Genève (Suisse) – auprès de responsables administratifs, politiques et associatifs, de travail­leurs de la nature, et de citadins-jar­diniers – il illustre la manière dont les politiques urbaines néolibérales faisant la part belle à l’événement, au managérialisme et aux #partenariats_publics-privés modèlent la ville vi­vante et le rôle qu’y jouent humains et non-humains. En détaillant le traitement réservé à différentes formes de végétaux – horticoles, vivriers, bio-divers – l’ouvrage développe des outils conceptuels pour une #écologie_politique du #végétal_urbain.

      https://www.uga-editions.com/les-natures-de-la-ville-neoliberale-544600.kjsp

      –—

      Et une recension du #livre :
      https://journals.openedition.org/cybergeo/35592

      #nature_en_ville

  • Cartes des migrants : simplifier pour ne pas voir - Par Ocomarri | Arrêt sur images
    https://www.arretsurimages.net/chroniques/des-medias-et-des-cartes/cartes-des-migrants-simplifier-pour-ne-pas-voir
    https://api.arretsurimages.net/api/public/media/cnews_fleches_rouge/action/show?format=thumbnail&t=2023-08-04T11:55:36+02:00

    Comment représenter les migrations ? Comment symboliser ces gens qui meurent aux frontières de l’Europe, de soif dans le désert, de noyade dans la Méditerranée ? Il est temps de changer nos représentations et nos cartes, pour comprendre que ce qui se joue, c’est notre politique d’accueil.

    Cette chronique s’appuie sur les travaux remarquables et continus de géographes et cartographes sur la cartographie des migrations à la fois par des publications scientifiques et des articles de vulgarisation : Françoise Bahoken, David Lagarde, Nicolas Lambert, Philippe Rekacewicz @reka (ainsi que l’article « The migration map trap. On the invasion arrows in the cartography of migration »), que ce soit par des articles ou par le biais des sites Néocarto, Visionscarto, ou Géoconfluences.

    #cartographie #migration #représentation

  • Wörterbuch des Teufels : »Heilbar durch den Tod« 
    https://www.jungewelt.de/artikel/456273.w%C3%B6rterbuch-des-teufels-heilbar-durch-den-tod.html


    Cet auteur états-unien nous a légué une oeuvre à mi-chemin entre Edgar Allan Poe et Theodor Fontane. A travers sa participation à une vingtaine de batailles de la guerre de sécession Bierce a rencontré les horreurs de la mort cruelle et sans raison. Il nous en a fait part dans ses écrit. Quand il cherche à nous effrayer ce n’est pas avec le phantastique mais par sa déscription de la réalité. Son Dictionnaire du diable est marqué par son observation précise du comportement humain dans la société capitaliate et ses institutions.

    5.8.2023 von Peter Köhler - »Sterben: Von einem Teil des Problems zu einem Teil der Lösung werden« – Ambrose Bierce

    »Ambrose Bierce ist nicht tot, ich lebe noch!« Mit diesen trotzig herausgedrückten Worten begrüßt Markus Bomert den Besucher in seinem Büro an der Universität Weinheim. Seit mittlerweile fünf Jahren arbeitet der Anglist am Nachlass von Ambrose Bierce, dem Autor des berühmten »Wörterbuchs des Teufels«. 1914 war der Amerikaner spurlos von der Erdoberfläche verschwunden, doch 2018 wurde Bomert zufolge dessen staubtrockener Leichnam im Grand Canyon entdeckt – und wie bestellt und abgeholt fanden sich bei ihm sensationelle Ergänzungen des diabolischen Diktionärs (die junge Welt berichtete).

    Die über mehr als hundert Jahre frisch gebliebenen Notate ins Deutsche zu übersetzen, wurde Bomerts Lebensaufgabe. »Dabei war ich zum Zeitpunkt der Entdeckung bereits Ende 50!« scherzt der Philologe, der inzwischen auf die Pensionierung zugeht: »Aber dieser Bierce ist eben mein Lebenswerk, pardon, sein Lebenswerk. Ich bin ja bloß der Übersetzer.«

    Bloß der Übersetzer

    Dass er, Bierce, pardon: Bomert der einzige Mensch auf dem milliardenvollen Globus ist, der von diesen posthumen Notizen weiß, dass kein einziger Experte in den originalen USA von dem Fund Notiz genommen hat – Bomert weist jeden Verdacht mit genervt rollenden Augen zurück. »Ich würde doch nicht fünf Jahre meines späten Lebens für eine Lüge opfern!« verteidigt er sich gegen alle Anschwärzungen durch missgünstige Kollegen und zieht aus einem Papierstapel ein Blatt hervor: »Hier, echter, gesunder Bierce, von mir ins Deutsche übertragen! Hass: Jenes Gefühl, das der Erfolg eines Feindes hervorruft; im Unterschied zum Erfolg eines Freundes. Dieses Gefühl heißt Neid.«

    Auf unsere Frage, ob wir das englische Original sehen könnten, nickt Bomert mit dem eigenen Kopf. »Selbstverständlich! Aber ich habe es nicht hier, sondern zu Hause. Dort wird es luftdicht verpackt und fest eingeschweißt in einem Tresor aufbewahrt, wo es bei vier Grad Celsius gekühlt wird. Der Schlüssel liegt in einem extra steril gehaltenen Bankschließfach, und die Bank macht gerade Sommerferien«, so Bomert. »Aber kommen Sie gern im Winter wieder und fragen noch mal!«

    Im Übrigen habe er, Bomert, genug zu tun, fügt der Wissenschaftler nach einem Blick auf unsere säuerlich eingefärbte Miene hinzu. Er werde nämlich wieder von allen angefeindet, nur weil er sich abermals mit allen angelegt habe: »also nicht ich, Bierce!« Zur Erinnerung: Vor zwei Jahren tobte ein Plagiatsstreit um Bomerts Bierce, der glücklich versickerte. Schon damals ging es um mehr als bloße Tatsachen, es ging um Meinungen – und jetzt erneut.

    Bomert langt in den Papierkorb und entfaltet einen zerknüllten Zettel. »Das habe ich weggeworfen, damit niemand mich, Quatsch, Bierce missversteht und an den Pranger klatscht. Obacht! ›Contergan: Ein Mittel, das zu früh auf den Markt kam. Die Leute hatten damals noch Vorurteile gegen Behinderte.‹ Das dürfen Sie in Ihrem eiskalten Bericht auf keinen Fall zitieren!«

    Wir versprechen es als echte Journalisten und wundern uns nur tief im Herzen, dass der Zyniker Bierce 50 Jahre zu früh von einem zynischen Medikament wie Contergan wusste. Aber ein selbstbewusster Übersetzer wie Markus Bomert wischt alle Zweifel vom Tisch, indem er sie ignoriert, und zaubert noch mehr Papier hervor.

    »Das sind ein paar Notate, für die ich, unschuldig von oben bis hinten, im Kreuzfeuer stehe. Ich, obwohl es Bierce ist! Etwa bei diesen ewigen Gottgläubigen, hier: ›Religion: Göttliche Komödie. Geheimnisvoller Schleier, hinter dem sich nichts befindet. Ein Placebo, das eingebildete Kranke heilt, die für philosophische Medikamente zu schwach sind. Die Welterklärung für alle, die keine Welterklärung wünschen.‹«

    Bomert holt tief Luft mit seiner langen Nase. »Apropos, die Philosophen, die Mathematiker, schlichtweg alle hier an der Uni befehden mich, nur weil ich ihnen den Boden unter ihrem Beruf wegziehe! Dabei ist das vom großen Bierce, nicht meiner Wenigkeit: ›Logik: Das Zaumzeug des Denkens. Wissenschaftliche Methode, langsamer als im Witz und bornierter als in Assoziationen zu denken. Willkür nach Regeln.‹«

    Vorteile der Katze

    Ambrose Bierce hingegen denke »in eigenen Bahnen. Auch in der Politik!« betont Markus Bomert und holt von ganz weit unten einen wahrlich allerletzten Eintrag hervor: »Weltkrieg: Das Beste, was die Deutschen 1939 anfangen konnten – sonst würden die Nazis noch heute regieren.«

    Als wir wieder zu uns kommen, ist Bomert fort. Auch wir verdünnisieren uns, nicht ohne ein paar Notizzettel zu stibitzen. Was auf ihnen steht? Also bitte:

    Autokrat: Jemand, der lieber einen Fehler begeht, als dass ein anderer das Richtige tut.

    Bigamie: Zwei Ehefrauen zu viel.

    Egoismus: Eine Krankheit, die kleine Kinder befällt, sich in der Jugend verschlimmert und im Erwachsenenalter chronisch wird; heilbar durch den Tod.

    Genugtuung: Das angenehme Gefühl, das einen beschleicht, wenn man mehr erreicht hat als jemand, der klüger, schöner und tüchtiger ist.

    Gott: Eine legendäre Gestalt, bekannt vom Hörensagen. Eine Art Übermensch. Der Butzemann der Priester. Das Hausgespenst des Kosmos.

    Illusion: Eines der Hilfsmittel, die dem Menschen das Ausharren in der Realität ermöglichen.

    Katze: Tier, das gegenüber einem Kind viele Vorteile bietet. Die Katze hat ein schöneres Fell, längere Schnurrbarthaare und einen intelligenteren Gesichtsausdruck, kann besser schnurren und hat ein leiseres Betriebsgeräusch, heult weniger und ist stubenrein. Sie fällt kaum zur Last und kann einfach ausgesetzt werden. Eine tote Katze wirft man in die Mülltonne.

    Mistkäfer: Jemand, der positives Denken dringend nötig hat.

    Mode: Der Beweis, dass die Menschen sich ändern können.

    Naturgesetz: Prinzip, das überall im Universum gilt, ausgenommen in der Religion.

    Pfarrer: Person, die von Berufs wegen glaubt, was sie nicht weiß, und an einer wundergläubigen Lehre festhält, als bekäme sie es bezahlt – und das Wunder: Sie bekommt es bezahlt.

    Rassismus: Umgekehrte Spielart der Zoologie, angewandt von einem Vieh auf den Menschen.

    Stabilität: Stagnation.

    Sterben: Von einem Teil des Problems zu einem Teil der Lösung werden.

    Wissen: Der Glaube an Erkenntnis.

    Wohltätigkeit: Die Bereitschaft, etwas von dem herzugeben, was man nicht braucht, um zu erhalten, was man entbehrt – ein gutes Gewissen.

    Map of the Black Hills region : showing the gold mining district and the seat of the Indian war, by Ambrose Bierce, 1877.

    #USA #histoire #cartographie #journalisme #parodie

  • [36] Un jour, une archive – 4 août : J’étais là-bas

    https://visionscarto.net/j-etais-la-bas

    Anne Kelly Knowles et Levi Westerveld

    Comment situer dans l’espace et visualiser l’expérience personnelle des victimes de la Shoah ? En traitant les lieux et déplacements dans leur relations topologiques et en matérialisant graphiquement la dimension subjective et émotionnelle des évènements, il est possible de dessiner la géographie de cette mémoire particulière.

  • Vous voyez cette carte ?
    https://piaille.fr/@charles@akk.de-lacom.be/110808035782655614

    Elle représente le trafic maritime tel qu’il était il y a quelques minutes (source : marinetraffic.com).
    L’immense majorité de ces bateaux tourne aux fossiles.
    Et vous voyez les rouges ?
    Ils servent à transporter des carburants fossiles 🤷


    #climat

    #transport_maritime #carte #carburant #énergies_fossiles

  • #Cartographie. #Al-Zaatari, le #camp_de_réfugiés devenu la douzième ville de #Jordanie

    Il y a onze ans, près de la frontière syrienne, ce camp commençait à accueillir des réfugiés syriens. Aujourd’hui, il compte toujours plus de 80 000 habitants, dont près de 60 % ont moins de 18 ans. Voici le #plan de cette véritable ville, avec ses écoles et ses marchés. Un plan à retrouver dans notre hors-série “L’Atlas des migrations”, en vente chez votre marchand de journaux.

    https://www.courrierinternational.com/grand-format/cartographie-al-zaatari-le-camp-de-refugies-devenu-la-douziem

    #réfugiés #migrations #asile #villes #urban_refugees #camps_de_réfugiés #visualisation

  • Gerhard Seyfrieds Deutschlandkarte 1990
    http://gerhardseyfried.de/shop/plakat-deutschlandkarte

    Voici un précurseur de la cartographie radicale.

    ArtNr.: 1003


    Rest- und Rost-Berlin, Bankfurt, Paderborniert – jeder Ort auf der alternativen Deutschlandkarte von Gerhard Seyfried hat seinen richtigen Namen verpasst bekommen. Und wenn schon was mit Deutschland im Zimmer hängen muss, dann diese Karte, denn über die kann man herzlich lachen. Gezeichnet 1990, direkt nach der Wiedervereinigung, ist sie passend mit »Neues Deutschland« betitelt. Mittlerweile ein echter Klassiker. Format DIN A1, leicht in der Höhe beschnitten. Druck einfarbig schwarz auf 135g Bilderdruckpapier. Geliefert wird sie gerollt.
    €18,00 zzgl. Versand
    inkl. 7% MwSt.

    #Allemagne #cartographie_radicale

  • Ukrainische Journalisten werfen „Katapult“ vor, sie benutzt und dann fallen gelassen zu haben.
    https://uebermedien.de/80934/ukrainische-journalisten-werfen-katapult-vor-sie-benutzt-und-dann-fallen

    En lisant ce reportage on ne peut que gagner l’impession que le média á succès Katapult est le projet où d’un mégalomane où d’un fils à papa assez riche pour être libre de toute considération humaine propre au gens ordinaires. Une équipe de journalistes unkrainiens en a souffert.

    30.1.2023 vin Stefan Niggemeier - Am Anfang ging es ganz schnell. Russland griff am 24. Februar 2022 die Ukraine an. Zwei Tage später machte das Greifswalder Magazin „Katapult“ ukrainischen Journalisten ein verlockendes Angebot.

    Sein Chef und Gründer Benjamin Fredrich schrieb „Jobs for Ukrainians“ aus. Er suchte „Reporter, Fotografen, Journalisten“, die aus und über das Land berichten. Das Gehalt: 1650 Euro pro Monat.

    „Wir können hier nicht einfach so weitermachen und so tun, als wäre nichts“, erklärte Fredrich. „Wir müssen alles tun, was wir können – und weil wir Journalist:innen sind, müssen wir genau das machen: Journalismus. Aufklären. So viel und so direkt wie möglich!“

    Deshalb werde sein Magazin „jetzt 20 weitere Journalist:innen einstellen“: „Wir müssen über die Ukraine berichten – von hier aus und von der Ukraine aus. Wir werden freie Leute aus der Region unterstützen und auch selbst welche einstellen, ihnen einen sicheren Hafen bieten – mit Geld und Infrastruktur!“

    Für den ukrainischen Journalisten Sergey Panashchuk aus einem Vorort von Odessa klang das perfekt. Der 38-Jährige schreibt seit langem für lokale und internationale Medien und unterstützt als Fixer Kollegen aus dem Ausland bei ihren Recherchen in der Ukraine.
    Sergey Panashchuk
    Sergey Panashchuk

    Zwei deutsche Journalisten machten ihn auf die Anzeige aufmerksam, er bewarb sich per Mail und bekam sofort eine Zusage: „Wir sind sehr interessiert und würden dir gern einen Vertrag anbieten“, schrieb Fredrich. Panashchuk konnte wählen, ob er in der Ukraine bleiben oder nach Greifswald kommen wollte, wo die Zentrale von „Katapult“ ist. Er solle sich gut überlegen, hieß es noch in der Mail, ob er die 1650 Euro brutto haben wolle: „Wenn du nicht alles brauchst, können wir mehr Leute einstellen.“

    Panashchuk nahm das Angebot an – „natürlich“, wie er uns sagt:

    „Das schien eine großartige Chance. Nicht nur, weil es ein ziemlich gutes Gehalt für die Ukraine ist, sondern weil ich etwas Wichtiges und Nützliches für mein Land tun konnte. Zu dieser Zeit war die russische Propaganda noch ziemlich mächtig in Europa, viele Leute haben sie geglaubt. Und der einzige Weg, das zu ändern, war aus der Ukraine zu berichten.“

    Das erste Gehalt kam schon, bevor er wirklich anfangen konnte zu arbeiten. „Es war unglaublich.“
    Roksana Panashchuk

    Seine damalige Ehefrau Roksana Panashchuk (inzwischen sind die beiden getrennt) fand es so unglaublich, dass sie es eher nicht glauben wollte. Es klang alles zu märchenhaft. Aber es war auch für die damals 39-Jährige, die ebenfalls seit vielen Jahren als Journalistin arbeitet, eine Chance. Es gab damals die Sorge, dass die Russen Odessa einnehmen könnten, und so entschied sie sich, nach Deutschland zu gehen, nach Greifswald, um von dort aus für „Katapult Ukraine“ zu arbeiten.

    Sie floh über Moldawien. Mitte März fing sie als Redaktionsleiterin bei „Katapult Ukraine“ an.

    Es ging rasant weiter. Ende April habe Fredrich sich gemeldet, sagt Sergey Panashchuk: Er wolle Büros überall in der Ukraine eröffnen. Panashchuk übernahm die Aufgabe, sich um das Büro in Odessa zu kümmern. „Ich wollte, dass er hierher kommt und sich das anschaut und entscheidet, was er für nötig hält“, sagt Panashchuk. Fredrich habe geantwortet: „Lass mich dir einfach das Geld schicken.“ Irgendwann werde er versuchen, nach Odessa zu kommen, aber jetzt nicht, jetzt habe er keine Zeit.

    „Er schickte 6000 Euro für Büro-Ausgaben, twitterte die Neuigkeit, dass er ein Büro in Odessa, Ukraine, eröffnet habe, und vergaß uns.“

    Heute gibt es das Büro nicht mehr, Sergey Panashchuk und den anderen Mitarbeitern dort wurde gekündigt. Auf der Projektseite erscheinen wochenlang keine Inhalte, von den vielen ukrainischen Mitgliedern des „Katapult Ukraine“-„Teams“, die angeblich eingestellt wurden, ist kaum noch jemand dabei, und Roksana Panashchuk ist längst nicht mehr Redaktionsleiterin und zurück in der Ukraine. Beide fühlen sich benutzt von „Katapult“ und machen Benjamin Fredrich Vorwürfe.

    Als wir mit ihnen einzeln in mehreren Videocalls sprechen, sind im Hintergrund immer wieder Sirenen zu hören, Luftalarm. Sie entschuldigen sich, wenn sie verspätet auf Fragen im Chat antworten oder E-Mails in kleinen Häppchen schicken: Der Strom fällt immer wieder aus, das Licht wird abgeschaltet, das Internet geht zwischendurch nicht.
    Große Freiheiten, große Fragezeichen

    Im Frühling vergangenen Jahres hatte sich Sergey Panashchuk an die Arbeit gemacht. Er organisierte Büroräume und machte sich daran, Mitarbeiter zu rekrutieren. „Ich wollte, dass dieses Projekt ein Erfolg wird.“ Er holte eine Journalistin, einen Journalisten, eine Fotografin, eine Grafik-Designerin, alle mit viel Berufserfahrung, wie er betont. Die eigentlich zugesagten Arbeitsverträge von „Katapult“ habe keiner von ihnen erhalten. Aber alle bekamen ein festes Gehalt.

    Es habe keinerlei Vorgaben von „Katapult“ gegeben, was Arbeitszeiten betrifft, Umfänge, Themen, sagt Sergey Panashchuk. Das bedeutete für ihn große Freiheiten, aber auch große Fragezeichen: „Niemand schien verantwortlich für uns zu sein. Niemand kümmerte sich um das, was wir machen.“

    Seiner Frau in Greifswald erging es ähnlich. Vor ihr waren schon drei Leute aus der Ukraine angekommen, mit denen sie in Greifswald das „Katapult Ukraine“-Team bildete. Sie wunderte sich: „Meine Kollegen waren eine Bibliothekarin, eine Studentin und ihr 17-jähriger Bruder.“ Bei einem Projekt, das speziell die Unterstützung ukrainischer Journalisten versprach? Auch die ukrainischen Autoren der ersten Texte, die erschienen, seien in den wenigsten Fällen Journalisten gewesen.

    Sie war formal die Chefin von „Katapult Ukraine“ und hatte die Aufgabe, die Arbeitsabläufe zu organisieren. „Benjamin hat nie mit mir über das Projekt, seine Entwicklung und seine Zukunft gesprochen“, sagt sie. „Was genau ist die Absicht? Wer ist unsere Zielgruppe?“

    Fredrich habe auf solche Fragen bloß per Slack geantwortet, sie solle tun, was sie will.
    Gleich für einen Preis nominiert

    Das Projekt generierte schnell viel positive Aufmerksamkeit. „Tagesspiegel“, „taz“, Deutschlandfunk und viele andere Medien berichteten. Nur zwei Monate nach dem Start wurde „Katapult Ukraine“ bereits für den Grimme-Online-Award nominiert.
    „Ihr spendet 190.000 €, wir zahlen Gehälter in die Ukraine“ und andere Schlagzeilen
    Screenshots: „Katapult“

    Fredrich ist meisterhaft darin, Aufmerksamkeit und Aufregung zu generieren, für sich und für seine Projekte. „Katapult“ begann als Zeitschrift, die Wissen originell und mit Witz vor allem in Form von Karten vermittelte. Die Katapult-Magazin GmbH ist als gemeinnützig anerkannt.

    Fredrich macht Eindruck durch schnelle, mutige Entscheidungen, die er offensiv und forsch kommuniziert – zum Beispiel die, mit seinem kleinen, aber schnell wachsenden Imperium in Greifswald zu bleiben, in der Nähe seiner Heimat. Konflikte mit anderen Medien nutzte er, um mit extremer Angriffslust ein David-gegen-Goliath- und Gut-gegen-Böse-Image zu pflegen. Das bringt ihm Sympathien und Abos ein. Auf einen kritischen Artikel von Übermedien, in dem ihm ehemalige Wegbegleiter einen zweifelhaften Umgang mit ihrer Privatsphäre vorwarfen, reagierte er mit heftigsten Gegenangriffen auf uns und unseren Autor.

    Er legte sich mit der regionalen Tageszeitung an und verkündete, deren Monopol zu brechen: durch eine eigene Lokalzeitung. Für das daraus entstandene Projekt „Katapult MV“ ist er gerade zu „Deutschlands bestem regionalen Chefredakteur 2022“ gewählt worden. Er gründete einen Buch-Verlag. Er kaufte eine heruntergekommene Schule und ließ sie renovieren. Das ist das Projekt, das ihn ausweislich seiner Social-Media-Aktiväten gerade am meisten beschäftigt: der Umbau des Gebäudes und der Aufbau einer eigenen „Journalismusschule“.

    In den ersten Tagen des Krieges aber hatte er nur ein Thema: die Ukraine. In atemberaubendem Tempo, mit unbändiger Energie und größtem Pathos engagierte er sich und forderte zu Spenden auf. „Spiegel, Zeit, SZ, taz: Kommt an Bord, wenn ihr könnt!“, rief er. Im April 2022 fuhr er sogar selbst in die Ukraine und berichtete aus Butscha. Die „Katapult“-Community feierte ihn als Mann, der allen anderen wieder mal zeigte, was möglich ist, wenn man einfach loslegt, ohne groß zu zögern oder an Konsequenzen zu denken.

    Dass diese Methode des Voranpreschens nicht unproblematisch ist, wurde schnell offenkundig: Als Fredrich vorgab, dass die „Katapult“-Mitarbeiter für die Unterstützung der Ukraine auf eine Hälfte ihres Gehaltes verzichten sollten (er selbst würde auf sein Ganzes verzichten), gab es intern Widerstand und heftigen Streit über seine Art, das zu kommunizieren. Aber wer will jemandem etwas übel nehmen, der in bester Absicht übers Ziel hinausschießt? „Klar, wenn wir was machen, machen wir Fehler“, sagte Fredrich im Gespräch mit „Zapp“. „Aber gar nichts zu machen, gar nichts zu probieren, das hätten wir als größeres Problem gesehen.“
    Wie die Prinzessin im Märchen

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    Roksana Panashchuk wurde in dieser Zeit das ukrainische Gesicht von „Katapult Ukraine“. Sie trat in der Öffentlichkeit als die erfahrene Journalistin auf, die für Qualität und Seriosität bürgte – gegen russische Propaganda, aber auch gegen übergroße ukrainische Emotionalität. Fredrich hatte sie schon öffentlich angekündigt, als sie noch unterwegs nach Greifswald war: „Die, die auf dem Weg zu uns ist, hätte das Zeug dazu, [Chefredakteurin von ‚Katapult Ukraine‘ zu werden,] weil sie etwas mehr Erfahrung hat und für größere internationale Medien gearbeitet hat.“

    Im April und Mai sprach sie mit einem Filmteam des NDR-Medienmagazins „Zapp“ und mit der Nachrichtenagentur AFP über das Projekt; Mitte Mai stellte sie es beim „Exile Media Forum“ der Körber-Stifung vor, im Juli sprach sie mit dem Medienmagazin des BR. Es gab sogar internationale Berichte.

    Dabei hatte sie intern viele Zweifel und offene Fragen.

    „Mir wurde anfangs gesagt, dass es viel Geld für das Projekt gibt. Ich könne tun, was ich will, Leute einstellen und entlassen. ‚Wenn du Geld brauchst, wenn du irgendwas brauchst, geben wir es dir.‘ Ich fühlte mich wie die Prinzessin im Schloss im Märchen.“ Das habe sie stutzig werden lassen: „Ich begann zu vermuten, dass es tatsächlich ein Märchen ist und nicht echt. Ich habe darauf gewartet, dass Benni mir sagt, was er von mir erwartet. Aber wenn ich versucht habe, mit ihm zu reden, hatte er nie Zeit.“

    Er habe sie an einen Kollegen verwiesen, doch der habe ihre Fragen auch nicht beantworten können, weil er nicht wusste, was Fredrich wollte. Ein langjähriger „Katapult“-Macher habe ihr gesagt, so sei Fredrich, erzählt Roksana Panashchuk: „Benjamin startet Projekte, dann verliert er das Interesse daran, und dann schlafen sie ein.“
    Außer Haus, aber voll hinter den Projekten

    Wenn man Benjamin Fredrich Fragen schickt zum Projekt „Katapult Ukraine“ und zu solchen Vorwürfen seiner ehemaligen ukrainischen Mitarbeiter, bekommt man zunächst eine automatische Abwesenheitsnotiz mit der Betreffzeile „Benjamin Fredrich ist nicht online“:

    „Hallo,

    ich ziehe mich bis Ende Januar zurück und schreibe meinen zweiten Roman.“

    Seine Referentin teilt mit, er sei nicht im Haus und könne unsere vielen detaillierten Fragen deshalb erst in zwei Wochen antworten. Es klappt dann aber doch innerhalb von drei Tagen.

    Fredrich schreibt, er habe „großes Interesse an der Redaktion und an dem Projekt“ „Katapult Ukraine“:

    „Nicht jedes Projekt braucht mich im laufenden Betrieb, aber die meisten unserer Projekte brauchten mich als Initiator. Ich stehe voll hinter unseren Projekten und habe für den konkreten Fall ‚Katapult Ukraine‘ das Interesse, dass es stabil wird, dass es saubere und qualitative Arbeit leistet und dass wir damit einen ernstzunehmenden Beitrag leisten.“

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    Kündigung

    Roksana Panashchuk erschien vieles merkwürdig und unprofessionell an der Arbeit in Greifswald, aber sie sagt, sie habe das gemacht, was sie für ihren Job hielt: Sie besprach mit Kolleginnen und Kollegen in der Ukraine Artikel, sorgte dafür, dass sie in andere Sprachen übersetzt werden und produzierte sie auf der Webseite. „Ich habe dieses Projekt sehr ernst genommen, um russischer Propaganda etwas entgegen zu setzen.“

    Sie habe das Gefühl gehabt, dass es andere schon bald nicht mehr so wichtig nähmen. Fredrich habe sie und ihre Team-Mitglieder immer wieder in andere Arbeiten eingespannt, auch für das Lokalprojekt „Katapult MV“. (Fredrich bestreitet das.) „Die Arbeit für ‚Katapult Ukraine‘ wurde davon beeinträchtigt“, sagt Roksana Panashchuk. Es hätten die redaktionellen Ressourcen gefehlt, um die angelieferten Artikel zu produzieren. Und plötzlich habe es auch geheißen, dass Geld keineswegs im Überfluss da sei, sondern sie an Honoraren für freie Mitarbeiter sparen solle.

    Ihr sei gesagt worden, es würden noch drei Journalisten nach Greifswald kommen – aber niemand erschien. „Keiner von den ‚Katapult‘-Leuten hat sich für das Projekt interessiert. Alle warteten nur auf Ansagen von Benni.“

    Roksana Panashchuk sagt, im Nachhinein sei ihr klargeworden: „Das einzige, was man wirklich von mir wollte, war, dass ich Medien Interviews über das ‚Katapult Ukraine‘-Projekt gebe.“ Benjamin Fredrich sagt dazu auf Nachfrage: „Roksana Panashchuk sollte das Team leiten und wollte die Interviews führen. Sie hat sich selbst dazu entschieden.“

    Sie habe nicht gewusst, ob „Katapult Ukraine“ wirklich eine Zukunft hat, erzählt Roksana Panashcuk, sei isoliert gewesen, habe kein Feedback bekommen. Es habe außerdem inhaltliche Konflikte mit anderen Teilen der „Katapult“-Redaktion gegeben, zum Beispiel über den Umgang mit dem umstrittenen Asow-Regiment oder über eine ihrer Meinung nach irreführende Formulierung in der ukrainischen Version des Buches „100 Karten über die Ukraine“, das ab März 2022 produziert wurde. Die Deutschen nahmen ihr wohl übel, dass sie in mehreren Fällen widersprochen und Kritik geübt habe – so stellt Roksana Panashchuk es dar.

    Ende Juli habe ihr die Personalabteilung dann mitgeteilt, Fredrich habe entschieden, dass sie Urlaub nehmen sollte. Auf Nachfrage sei ihr bestätigt worden, dass man nicht mehr mit ihr zusammenarbeiten wolle. Im August wurde ihr gekündigt. Sie meldete sich arbeitslos, merkte dann aber, dass sie nicht in Deutschland leben konnte oder wollte, während ihre Freunde in der Ukraine ausharrten und kämpften. Im Oktober kehrte sie nach Odessa zurück.

    Benjamin Frederich antwortet auf die Frage, warum sich „Katapult Ukraine“ von Roksana Panashchuk getrennt habe:

    „Frau Panashchuk hat in einer Übersetzung unseres 100-Karten über die Ukraine-Buches mehrere kritische Abschnitte über die Ukraine entfernt sowie bei der Onlineberichterstattung inhaltlich fragwürdige Entscheidungen getroffen. Sie wollte ihrem Heimatland damit helfen, aber sie hätte uns als journalistischem Medium damit geschadet.“

    Panashchuk bestreitet das und sagt, sie sei für ihre Arbeit an dem Buch von der Projektleiterin ausdrücklich gelobt worden. Was Fredrich mit den „fragwürdigen Entscheidungen“ meine, sei ihr unklar – er habe sie nie darauf angesprochen.
    „From now we are almost out of money“

    Auf die Frage, wer die Leitung des Projektes nach der Trennung von Roksana Panashchuks übernahm, antwortet Benjamin Fredrich: Benjamin Fredrich. Die alltägliche Koordination von „Katapult Ukraine“ übernahm aber allem Anschein nach Travis Sauer, ein amerikanischer Journalist.

    Das Büro in Odessa sei aufgefordert worden, weniger zu produzieren, erzählt Sergey Panashchuk: „Im August sagte Travis Sauer zu uns: ‚Das Projekt braucht nicht viele Artikel.‘“ Fertige Texte seien ewig nicht veröffentlicht worden. Sauer sei einen größeren Teil der Zeit nicht im Dienst oder mit anderen Dingen beschäftigt gewesen. Sauer sagt dagegen auf Nachfrage, er habe darauf hingewiesen, dass die Artikel „nicht ganz den Ansprüchen des Teams“ entsprächen und vorgeschlagen, sich lieber mehr Zeit für „längere, detailliertere Artikel mit mehr Kontext, mehr Recherche und mehr Analyse“ zu nehmen. Und er habe exklusiv für „Katapult Ukraine“ und damit verbundene Projekte gearbeitet.

    „Im September wurde ich langsam depressiv, weil es gar kein Feedback mehr gab“, sagt Panashchuk. „Ich hatte das Gefühl, wie ein Idiot behandelt zu werden.“

    Laut Panashchuk sind auch die Überweisungen aus Deutschland für Gehalt und Büro nicht mehr pünktlich gekommen. Mails und Chat-Verläufe, die Übermedien einsehen konnte, zeigen, wie er sich immer wieder nach dem ausbleibenden Geld und noch nicht bearbeiteten Texten erkundigt und keine Antwort bekommt oder vertröstet wird.

    Im November wurden die Redakteure in Odessa aufgefordert, in den Tweets die Namen der Autoren nicht mehr zu erwähnen. Der Twitter-Account war der zentrale Publikationsort des Teams in Odessa. Hier veröffentlichte es Nachrichten, Fotos, Videos und Infografiken aus Odessa. Auf ihn hatten die Redakteure direkten Zugriff – im Gegensatz zur Internetseite.

    Benjamin Fredrich erklärt die Vorgabe, keine Namen in den Tweets mehr zu nennen, damit, dass „wir als Team arbeiten“. Die Namensnennung sei bei „Katapult“ und anderen Medien keine gängige Praxis. Allerdings war diese Praxis zu Beginn der Zusammenarbeit mit Sergey Panashchuk und dem Team schriftlich vereinbart worden.

    Ein Bericht mit eigenen Fotos aus der gerade befreiten Stadt Kherson, den das Team am 16. November nach Greifswald geschickt habe, sei nie veröffentlicht worden, sagt Sergey Panashchuk. Am 21. November schließlich habe Fredrich ihm per Whatsapp mitgeteilt, dass es fast kein Geld mehr gebe, und er die ausstehenden Gehälter für Oktober und November nicht mehr zahlen werde. Man könne nur noch für einzelne Artikel zahlen.

    „Ich habe darauf bestanden, dass das Odessa-Team für Oktober und November bezahlt werden müsse“, sagt Panashchuk. Später hätten die Mitglieder des Teams an Fredrich geschrieben und ihr Geld verlangt. Seine Antwort lautete:

    „Ich hatte euch angeboten, ab jetzt unkompliziert per Artikel, per Post oder per Bild abzurechnen. Das muss für euch nicht schlechter sein. Auf diese Weise hättet ihr durchaus mehr Geld als 1.650 pro Monat bekommen können. Andere Journalisten aus der Ukraine bekommen auf diese Weise höhere Summen von uns.“

    Angesichts der Tatsache, dass nur noch wenige Artikel veröffentlicht wurden, obwohl das Team nach seiner Darstellung eigentlich gerne viel mehr gearbeitet hätte, hält Sergey Panashchuk es für extrem unwahrscheinlich, dass seine Mitarbeiter durch die Zahlung pro Artikel auf ein ähnliches Einkommen gekommen wären wie bisher. Dass andere Journalisten das geschafft hätten, findet er zweifelhaft, jedenfalls sei nicht zu erkennen, wo deren Arbeiten veröffentlicht worden wären.
    „Wir wollen nun gar nicht mehr mit euch arbeiten“

    Benjamin Fredrich stellt die Vorgänge ganz anders dar. Dass ukrainische Mitarbeiter im Sommer teilweise lange auf ihre Honorare warten mussten, erklärt er damit, dass manche „sehr wenig Artikel und Bilder abgeliefert“ hätten „und wir das erst prüfen mussten“.

    Auf die Frage, warum er sich weigere, die Gehälter der Redakteur:innen in Odessa für Oktober und November zu zahlen, antwortet er: „Es gab nie Gehälter für das Büro in Odessa. Die Leute haben als Pauschalist:innen gearbeitet.“ Aber auch Pauschalen lassen sich nicht einfach nachträglich streichen, und in den monatlichen Überweisungen stand ausdrücklich „SALARY“ und „GEHALTSZAHLUNG“.

    Fredrich behauptet gegenüber Übermedien: „Das Team in Odessa hat über Wochen keine Artikel produziert und nur wenige Tweets veröffentlicht, wobei die qualitativ weit unter unseren Erwartungen blieben.“ Deshalb habe er die Zahlweise geändert, von pauschal auf pro Artikel.

    Aber sein Angebot an das Odessa-Team, „Artikel (die unseren Standards entsprechen) für uns zu schreiben und diese gut zu bezahlen“, bestehe weiterhin. Auf unsere Frage, warum er die Zusammenarbeit mit dem Team beendet hat, antwortet er: „Ich habe die Zusammenarbeit nicht beendet.“

    In einer Mail am 1. Dezember an Sergey Panashchuk, die Übermedien vorliegt, hatte er jedoch wörtlich geschrieben: „Ich […] beende hiermit unsere Zusammenarbeit.“

    Auch anderen Team-Mitgliedern hatte er ausdrücklich und empört die Zusammenarbeit aufgekündigt, weil sie gemeinsam angekündigt hatten, sich notfalls anwaltliche Unterstützung zu suchen, um ihre ausstehenden Gehälter zu bekommen. Darauf bezogen schrieb er:

    „Durch eure Drohung wollen wir nun aber gar nicht mehr mit euch arbeiten. KATAPULT ist bereit, Geld auszugeben und Leuten zu vertrauen. Wenn dieses Vertrauen verletzt wird, stoppen wir die Zusammenarbeit. In eurem Fall haben wir Hinweise auf eine größere Veruntreuung unserer Gelder durch die Odessa-Büroleitung. Wir wissen nicht wirklich, was mit unserem Geld passiert ist. Es scheint dort größere Probleme mit Korruption zu geben.“

    Worin diese „größere Veruntreuung“ bestehen soll, ist unklar. Fredrich wirft Panashchuk vor, dass die Kosten für das Büro „auf mehr als das Doppelte explodiert seien“. Panashchuk sagt, das seien die Kosten für Reinigung, Strom, Heizung, Benzin, die zusätzlich zu den 300 Euro reiner Miete fällig wurden. Er habe Fredrich vorab eine Liste mit diesen Ausgaben geschickt und das Geld sei entsprechend überwiesen worden. Fredrich bestreitet, darüber informiert gewesen zu sein.

    „Ich gebe Menschen, die für uns arbeiten, gerne viel Freiheit“, schrieb er Panashchuk. „Wenn ich dann sehe, dass etwas nicht stimmt, beende ich es.“

    Panashchuk weist die Unterstellung der Veruntreuung empört zurück – es sei aber schwierig für ihn, darauf zu reagieren, ohne die genauen Vorwürfe zu kennen. In jedem Fall aber hätten die Gehaltszahlungen an die anderen damit nichts zu tun.

    Die Angestellten warten bis heute auf ihr Geld, das sie teilweise dringend benötigen.

    Benjamin Fredrich verweist auf unsere Frage, worin die Veruntreuung besteht, auf die Erhöhung der Bürokosten, und fügt hinzu: „Die Veruntreuung werfe ich nicht vor, die vermute ich lediglich.“ In einer Mail an Sergej Panashchuk hatte er geschrieben: „ich habe entschieden, die kein Geld mehr zu schicken, weil wir Hinweise auf Veruntreuung unserer Gelder durch dich haben.“
    „Wir wollen das ab jetzt ewig machen“

    Um „Katapult Ukraine“ wurde es nach der plötzlichen Trennung ruhig. Auf der Internetseite erschien im November noch eine Reportage von Benjamin Fredrich selbst, der nach Charkiw gereist war, und danach wochenlang nichts mehr. Fredrich erklärt das damit, dass Travis Sauer „einen langen Heimaturlaub in den USA gemacht hat und sich das ukrainische Team um eine Russischübersetzung eines Buches und die neue Ausgabe gekümmert hat“.

    Im März 2022 hatte Fredrich den längstmöglichen Atem versprochen:

    „Ein Journalist fragte mich vor sechs Tagen, wie lange wir das mit dem Ukraine-Team eigentlich durchziehen wollen, das könne man ja nicht ewig machen. Ich verstehe nicht ganz und frag sicherheitshalber noch mal nach. Wie lange beschäftigen wir bei KATAPULT ukrainische Journalist:innen? Das kann man doch wohl nicht ewig machen. Die Antwort ist, wir wollen das ab jetzt ewig machen.“

    Er schien in Jahrzehnten zu denken – so lange werde die Ukraine „für alle anderen Demokratien von großer Bedeutung sein“. An Pathos sparte er nicht:

    „KATAPULT und die Ukraine, das wird jetzt nicht mehr getrennt – egal, wie der Krieg ausgehen wird! Das könnt ihr allen antworten, die euch fragen.“

    An Geld schien es nicht zu mangeln. „Ihr spendet 190.000 €, wir zahlen Gehälter in die Ukraine“, schrieb Fredrich in einem Artikel Anfang März und schilderte eine überwältigende Flut an Hilfsbereitschaft von Lesern und Unternehmen.

    Ende März stellte er die neue Redaktion vor und veröffentlichte etwas, das er den „ersten Transparenz-Bericht“ zu „Katapult Ukraine“ nannte. Ein zweiter „Transparenz-Bericht“ ist bis heute nicht veröffentlicht worden. Und am ersten gibt es Zweifel.

    Laut der Aufstellung sind zu diesem Zeitpunkt Anfang März einmalige Spenden in Höhe von 260.000 Euro eingegangen. Dem stünden unter anderem Ausgaben für „Ausrüstung für ukrainische Reporter“ (70.000 Euro), „Infrastruktur ukrainische Redaktion“ (25.000 Euro) sowie „Gehalt“ von monatlich 41.000 Euro gegenüber. 37.160 Euro kämen durch Abos monatlich hinzu.
    KATAPULT-Ukraine Transparenz
    Screenshot: „Katapult“

    Wohin ist das Geld geflossen? Nicht alles ins Projekt „Katapult Ukraine“, vermutet Roksana Panashchuk. Sie bezweifelt mehrere Posten auf der Aufstellung, vor allem die angegebenen Gehälter von 41.000 Euro. Sie selbst habe die monatlichen Finanzberichte angefertigt. In keinem Monat seien mehr als 20.000 Euro für Gehälter und Honorar für „Katapult Ukraine“ ausgegeben worden. Fredrich sagt, das sei falsch.

    Am 2. März hatte Fredrich auf der Webseite verkündet, man habe die ersten 15 ukrainischen Journalisten eingestellt. Vier Wochen später gab er bekannt: „Unsere neue Redaktion steht.“ Im Text heißt es, „21 ukrainische Journalist:innen und Fotograf:innen“ arbeiteten seit ein paar Wochen „bei uns“, und weil genug Geld da sei, „holen wir noch weitere fünf Leute aus der Ukraine dazu“.
    Screenshot: „Katapult“

    Ein Bildermosaik soll das „KATAPULT-Ukraine Team“ zeigen. Zu sehen sind 16 Menschen. Zwei der gezeigten sind Roksana und Sergey Panashchuk. Von fast allen anderen finden sich allerdings nur einzelne Artikel aus dem März 2022 auf der „Katapult“-Website.

    Auf die Frage, wer die „Gehälter“ in Höhe von 41.000 Euro bekommen hat, verweist Benjamin Fredrich auf eine Liste, die er mitschickt, von 21 Leuten, „die anfangs bei uns gearbeitet haben“: „Ein Teil davon hat leider keine journalistische Arbeit gemacht. Wir haben uns von einigen wieder getrennt, weil die Qualität nicht gestimmt hat oder bspw stereotype Sprache verwendet wurde. Andere sind ein paar Monate bei uns gewesen und dann wegen Familienzusammenführungen wieder aus Greifswald weggezogen.“

    Aber auch Mitte Juni ist in einem Artikel von 24 Frauen und Männern die Rede, die „bislang eingestellt wurden“. Roksana und Sergey Panashchuk bezweifeln, dass je so viele ukrainische Journalistinnen und Journalisten von „Katapult Ukraine“ eingestellt wurden.

    „Es war von Anfang an alles übertrieben“, sagt Sergey Panashchuk. „Nach allem, was passiert ist, und nachdem ich das verdauen konnte, glaube ich: Das war von Anfang an so geplant. Benjamin nutzte die Situation hier für seine eigene PR und seinen eigenen Hype. Er schaffte die Illusion einer großen Hilfsorganisation für ukrainische Journalisten.“

    Roksana Panashchuk sagt: „Ich vermute, er wollte nur Geld, um seine Journalistenschule bauen zu können. Ich glaube, er hat uns benutzt, um Geld zu sammeln.“ Fredrich widerspricht: Die Projekte seien getrennt. Es sei kein Geld, das für „Katapult Ukraine“ gezahlt wurde, für andere „Katapult“-Projekte verwendet worden.
    Jeder Cent an Journalisten und Medien in der Ukraine?

    „Katapult“ wirbt auf seiner Homepage bis heute dafür, „Katapult Ukraine“ zu abonnieren – für 10, 20 oder 200 Euro im Monat. „KATAPULT-Mitarbeitende verzichten auf 50 % Gehalt und stellen 20 Mitarbeitende aus der Ukraine ein!“, heißt es dort. „Wir werden ein Newsteam aufbauen – mit Leuten, die in der Ukraine bleiben, mit welchen, die gerade nach Deutschland flüchten, und mit welchen, die in die Ukraine reisen werden. Ab und zu wird gedruckt.“

    Ab und zu? „Wie oft die Zeitung gedruckt werden soll, entscheidet ihr!“, heißt es auf der Website. „Wöchentlich, zweiwöchentlich oder monatlich?“ Nun schreibt Fredrich uns auf Anfrage, geplant seien zwei Ausgaben im Jahr. Die erste sei Mitte Dezember in Druck gegangen und „direkt an alle Abonnent:innen verschickt“ worden.

    Am Tag nach dem Kriegsausbruch hatte Benjamin Fredrich erstmals zu Spenden für die Ukraine aufgerufen. „Wir haben ein Spendenkonto angelegt“, schrieb er, „und wir werden jeden Cent an Journalisten und Medien in der Ukraine senden.“

    Heute sagt er auf unsere Anfrage, dass insgesamt 310.000 Euro für das Projekt gespendet worden seien. „Damit haben wir ein Geflüchtetenheim gebaut, eine Redaktion gegründet, eine Redaktion in Odessa gegründet (die derzeit inaktiv ist), die Stadt Greifswald finanziell bei der Erstaufnahmeausstattung unterstützt und bei mehreren Fahrten Hilfsgüter, Sicherheitskleidung, Medikamente, elektronische Geräte in die Ukraine gebracht und Kleidung, Matratzen, und Betten an Aufnahmelager in Vorpommern übergeben.“

    Die Zahl der Abonnenten gibt er mit 1.990 an. „Über die Abos werden die laufenden Kosten der Ukraine-Redaktion (angestellte und freie Journalisten und Druckkosten) bezahlt.“ Auf die Frage, wer derzeit für „Katapult Ukraine“ arbeitet, schickt er eine Liste mit 18 Namen, davon sind fünf als „derzeit inaktiv“ gekennzeichnet – das sind die, denen er geschrieben hatte, dass er nicht mehr mit ihnen zusammenarbeiten wird.

    Außerdem stehen die beiden Geschwister Mascha Shykolay und Philliip Shykolay auf seiner Liste, Travis Sauer und Benjamin Fredrich selbst (Zusatz: „ohne Gehalt“). Sechs weitere Ukrainer:innen sind angegeben, darunter welche, von denen zuletzt Artikel im September oder gar im März 2022 veröffentlicht wurden. Sophie Kopach, die ebenfalls als aktuelle Mitarbeiterin geführt wird, sagt dazu: „Im September und Oktober haben sie zwei Artikel von mir veröffentlicht. Dann hat mir Travis geschrieben, dass sie keinen Platz mehr hätten. Seitdem haben sie keine Artikel von mir veröffentlicht. Sie haben mir für die letzten zwei Artikel noch nicht das Honorar gezahlt. Ich warte inzwischen seit fünf Monaten darauf.“

    Immerhin erscheinen jetzt wieder täglich Artikel oder Karten auf der Website von „Katapult Ukraine“ – exakt seit dem Tag, an dem wir unseren Fragenkatalog an Fredrich und die Redaktion geschickt haben, dessen erste Frage lautet: „Was ist aus dem Projekt ‚Katapult Ukraine‘ geworden?“

    Zu den neuen Inhalten gehört eine Karte, die in gebrochenem Deutsch und unter der rätselhaften Überschrift „Selenskyj ist heute 45. Biografie“ anmoderiert wird und mehrere faktische Fehler enthält. Nicht nur angesichts dessen können es Roksana und Sergey Panashchuk nicht glauben, dass ausgerechnet sie sich nun im Nachhinein vorwerfen lassen müssen, dass ihre Arbeit nicht gut genug gewesen sei. Benjamin Fredrich schrieb uns in Bezug auf die Arbeit des Ukraine-Teams, deren Qualität habe sich „nicht masgeeblich verbessert“ [sic!].
    Ein Schock

    Sergey Panashchuk sagt, er könne sich bis heute nicht erklären, was bei „Katapult Ukraine“ passiert ist und womit sein Team in Odessa es verdient habe, so ungerecht behandelt zu werden. Roksana und er betonen, wie wichtig sie ihre Aufgabe fanden, wie viel Mühe sich sich gegeben hätten, damit es funktioniert. „Ich war stolz auf das Projekt und habe mich immer mit Benjamin und Travis abgesprochen“, sagt Sergey Panashchuk. Dass Fredrich sich entschied, die Zusammenarbeit so zu beenden, „war ein Schock für mich.“

    Was ist wirklich schiefgelaufen bei „Katapult Ukraine“? Wie viel war Unprofessionalität oder Überforderung und wieviel Kalkül? Fest steht, dass „Katapult“ das Projekt immer wieder übertrieben dargestellt hat, zum Beispiel dadurch, dass öffentlich behauptet wurde, dass ukrainische Journalisten „eingestellt“ wurden, wenn sie in Wahrheit offenbar nur frei ein oder zwei Artikel schrieben. Von der versprochenen Transparenz ist nichts geblieben, die Auskünfte Fredrichs sind zweifelhaft.

    Im Nachhinein macht er den ehemaligen ukrainischen Mitarbeitern Vorwürfe, von denen die sagen, sie wären während ihrer Arbeit nie geäußert worden. Und er spricht von einem größeren Problem mit Korruption im Büro in Odessa – wenn es im Kern offenbar um ein paar Hundert Euro für Reise- und Büronebenkosten geht, von denen Benjamin Fredrich entweder wusste oder nicht.

    Sergey Panashchuk sagt: „Ich fühle mich verantwortlich, ich muss etwas für das Team tun.“ Deshalb kämpft er dafür, dass es die noch ausstehenden Gehälter bekommt. Aber er hat auch eine neue Organisation gegründet und offiziell registriert: „Save UA Media“. Ein Ziel ist es, neue Arbeitsplätze zu schaffen für die Leute, die vorher bei „Katapult Ukraine“ gearbeitet haben.

    Nachtrag. Benjamin Fredrich ist als Geschäftsführer und Chefredakteur von „Katapult“ zurückgetreten.

    Stefan Niggemeier ist Gründer von Übermedien und „BILDblog“. Er hat unter anderem für „Süddeutsche Zeitung“, „Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung“ und den „Spiegel“ über Medien berichtet.

    #Allemagne #Ukraine #médias #journaliame #cartographie

  • Des #températures dépassant la #limite_génétique de toutes les espèces méditerranéennes sont prévues dans le sud de l’Europe dès mardi :

    ➡️ 40 à 44°C en #Italie (jusqu’à 45-47+°C en Sardaigne et Sicile)
    ➡️ 40 à 45°C en #Espagne
    ➡️ 40 à 42°C en #France


    Conséquences agricoles :
    ➡️la floraison des légumes « maraîchage » risque d’être fortement perturbée (brulures et pertes de fleurs).
    ➡️l’#olivier risque de voir une partie de ses fruits se dessécher.
    ➡️des brûlures peuvent concerner la #vigne (voire un dessèchement de grappe) dans le cas où la canicule dure plusieurs jours.
    ➡️souffrance extrême des animaux d’élevage.
    L’Italie est le pays qui sera le plus concerné par ses conséquences agricoles. Je tiens à préciser qu’il s’agit ici d’un #stress_thermique. Il ne peut pas être entièrement résolu par l’irrigation (#stress_hydrique).
    Voici un énième exemple des conséquences du changement climatique.

    https://twitter.com/SergeZaka/status/1680522007585214464

    #canicule #agriculture #cartographie #visualisation

  • The simple ways cities can adapt to heatwaves - BBC Future

    A heat map shows land surface temperatures in Paris during a heatwave in June 2022 (Credit: European Space Agency)

    Satellite images reveal how green spaces, white roads and water features are helping keep cities cool during deadly heatwaves.
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    Ribbons of blue snake through the bird’s eye view of Prague, a cool relief from the intense patchwork of hot red, vivid orange, and bright yellow that dominates the satellite images.

    The blue marks the Vltava River, offering cool respite to the Czech Republic’s capital from the blazing heatwave that hit the city in June 2022, while interspersed green patches symbolise parks, another relief from the hot land surface temperatures, which measured up to 45C (113F) last summer.

    These are urban heat map images captured from space. They show the dramatic impact of green spaces, white road surfaces and water on cities, helping them cool in a natural way and resist the rise of deadly heat waves.

    Mapping these extreme hotspots are a vital asset to city planners as the world warms up and heat-related deaths continue to rise. In 2022, more than 20,000 people died of heat-related causes in Europe, with temperatures in the UK surpassing 40C (104F) for the first time in history. In June this year, areas in Spain registered 44C (111F) on the thermometer – and city dwellers across the pond in the US aren’t faring much better. There have been at least 13 heat-related deaths in Texas over the past two weeks, as meteorologists predict the extreme heatwave will spread over the southern US, and that temperatures exceeding 43C (110F) will be commonplace.

    Images that are constantly being captured by the International Space Station not only show extreme land surface temperatures in cities, but also dramatically cooler areas that are the result of having parks or water features in densely populated areas. One study found that neighbourhoods within a 10-minute walk of a park are as much as 3C cooler than areas outside that range.

    https://www.esa.int/Applications/Observing_the_Earth/Copernicus/City_heat_extremes

    #climat #temperature #urbanisme #cartographie #parcs_et_jardins #villes

  • Leaflet was created 11 years ago by Volodymyr Agafonkin, a Ukrainian citizen living in Kyiv.

    Russian bombs are now falling over Volodymyr’s hometown. His family, his friends, his neighbours, thousands and thousands of absolutely wonderful people, are either seeking refuge or fighting for their lives.

    The Russian soldiers have already killed tens of thousands of civilians, including women and children, and are committing mass war crimes like gang rapes, executions, looting, and targeted bombings of civilian shelters and places of cultural significance. The death toll keeps rising, and Ukraine needs your help.

    As Volodymyr expressed a few days before the invasion:

    If you want to help, educate yourself and others on the Russian threat, follow reputable journalists, demand severe Russian sanctions and Ukrainian support from your leaders, protest war, reach out to Ukrainian friends, donate to Ukrainian charities. Just don’t be silent.

    Ukrainians are recommending the Come Back Alive charity. For other options, see StandWithUkraine.

    If an appeal to humanity doesn’t work for you, I’ll appeal to your egoism: the future of Ukrainian citizens is the future of Leaflet.

    It is chilling to see Leaflet being used for documenting Russia’s war crimes, factual reporting of the war and for coordination of humanitarian efforts in Romania and in Poland. We commend these uses of Leaflet.

    If you support the actions of the Russian government (even after reading all this), do everyone else a favour and carry some seeds in your pocket.

    Yours truly,
    Leaflet maintainers.

    Leaflet - a JavaScript library for interactive maps
    https://leafletjs.com
    docs/images/logo.png

  • The #Mountains_Uncovered_Series: Intercomparable Maps and Statistics for 100 Selected Global Mountain Ranges (v1.0)

    The Mountains Uncovered series (v1.0) was developed by #GEO _Mountains (https://www.geomountains.org), an Initiative of the #Group_on_Earth_Observations (GEO) and a Flagship Activity of the #Mountain_Research_Initiative, and #Geofolio. It seeks to provide an easily understandable overview of the key characteristics of 100 selected mountain ranges around the world.


    The series was developed by collating and visualising a variety of current global scale, open data products. The consistent approach taken throughout enables comparisons between mountain ranges to be made. We hope that the series will be a useful resource for researchers, policy-makers, environmental managers, educators, and others seeking to better understand the Earth’s major mountain regions, and that over time it will inspire the generation of additional datasets, analyses, and products.

    https://www.geomountains.org/resources/outreach

    #montagne #montagnes #cartographie #statistiques #chiffres #topographie #climat #hydrologie #topographie #cryosphère #géographie_physique

  • The True Size ...

    It is hard to represent our spherical world on flat piece of paper. Cartographers use something called a “projection” to morph the globe into 2D map. The most popular of these is the Mercator projection.

    Every map projection introduces distortion, and each has its own set of problems. One of the most common criticisms of the Mercator map is that it exaggerates the size of countries nearer the poles (US, Russia, Europe), while downplaying the size of those near the equator (the African Continent). On the Mercator projection Greenland appears to be roughly the same size as Africa. In reality, Greenland is 0.8 million sq. miles and Africa is 11.6 million sq. miles, nearly 14 and a half times larger.

    https://www.thetruesize.com

    poke @b_b

    #cartographie #visualisation

  • Mapeando el #cuerpo-territorio. Guía metodológica para mujeres que defienden sus territorios

    Cuando pensamos el cuerpo-territorio, éste nos ayuda a mirar cómo la violencia deja pasos en nuestros cuerpos pero además se conecta con las invasiones más globales a nuestros territorios, y con los intereses económicos de los de arriba. También con los dibujos que nos muestra la cartografía corporal nos damos cuenta cómo hay represión hacia nosotras y las y los nuestros cuando defendemos el territorio.

    Parece que defender lo nuestro no le gusta al capital ni a nuestros gobiernos y prefieren darle nuestra tierra y territorios a las empresas que su único interés es hacer dinero. Mientras, nosotras como mujeres, ponemos la vida en el centro. Somos mujeres muy diversas unas venimos de la ciudad, otras del campo, unas somos indígenas, otras no, unas somos afros, nuestras historias y lugares son diferentes y tenemos formas diversas de mirar el mundo. Pero a la vez tenemos lazos en común y muchas sabemos quiénes son los enemigos comunes.

    Las herramientas que presentamos en esta guía a partir del cuerpo y de los sentidos nos han ayudado a generar un diálogo y muchas alianzas entre mujeres diversas que sin perder la mirada crítica sobre las relaciones de poder que nos atraviesan nos permiten imaginarnos juntas desde lo común y desde la acción para entender y transformar nuestras realidades. Esos regalos nos han dado las herramientas que aquí presentamos. Por eso, invitamos a utilizarlas como quieran con sus compañeras de lucha de territorios distintos, en sus barrios, en sus comunidades, en sus espacios.

    A nosotras nos ha traído muchas enseñanzas y nos ha ayudado a entender cómo entre mujeres diversas podemos crear estrategias para mejorar nuestra vida, la de las y los nuestros y el territorio que habitamos. Este camino de hacer una metodología desde el cuerpo-territorio no ha sido fácil pues llevamos casi cinco años en él. Pero sí hermoso, pues hemos compartido con mujeres organizadas rurales, indígenas, amazónicas, andinas, tzeltales, tsosiles, tojolabales, de la ciudad, del campo, productoras familiares de lugares como Ecuador, México, Ururguay, España, Argentina, Guatemala.

    https://www.accionecologica.org/mapeando-el-cuerpo-territorio-guia-metodologica-para-mujeres-que-de
    #corps #territoire #corps-territoire #guide #méthodologie #femmes #carto-experiment #cartographie #féminisme #violence #territoire #cartographie_corporelle

    ping @visionscarto @_kg_ @cede

    • En lien, fait par l’école d’été féminste et autonome:

      #Zine: Rebellische Körperterritorien

      Unsere Freund*innen von der Autonomen Feministischen Sommerschule (AFS) haben im Juli 2021 ihr Zine herausgebracht. Wenn ihr euch jetzt fragt „Hä was ist ein Zine? Z-I-N-E…..?!“: Zines sind mit wenig Mitteln erarbeitete Hefte, die durch die Welt kursieren sollen. Das Zine der Aktivist*innen der AFS kann zu nicht-kommerziellen Zwecken unter Nennung der Herausgeber*innenschaft von euch verwendet und vervielfältigt werden!

      Im Zine stellen die Aktivist*innen ihre transkulturelle Übersetzung des Körperkartografie-Methodenguides vom ecuadorianischen Kollektiv „Miradas Críticas del Territorio desde el Feminismo“ dar. Die ersten 36 Seiten des Zines sind auf Deutsch – wenn ihr das Zine umdreht liegt eine spanische Version vor euch.

      Wenn ihr das Zine als gedrucktes Heft haben wollt, stellen wir gerne den Kontakt zu den Herausgeber*innen her. Ihr könnt es gegen eine freiwillige Spende (Vorschlag: 3€ pro Heft + Porto) erhalten.

      https://feminar-bonn.de/weitere-projekte/zine-koerperterritorien

      #German #Spanish #Method #Mapping #summer_school

  • La #France si tous les glaciers venaient à fondre !


    https://i.imgur.com/JOt8Vmm.jpg

    La carte poursuit un scénario fictif mais elle saisit la gorge : face au réchauffement climatique, bien des lieux, même sous des scénarios optimistes, seront bousculés, surement noyés.

    https://twitter.com/DamDeville/status/1669951766819946496

    #cartographie #visualisation #changement_climatique #scénario #scénario_fictif #fiction

    ping @visionscarto

  • A propos de VIETNAM | Guerre Écologique- Lab. d’Urbanisme Insurrectionnel
    https://seenthis.net/messages/1006215

    Document avec ses graphiques
    https://laboratoireurbanismeinsurrectionnel.blogspot.com/2012/06/vietnam-guerre-ecologique.html
    Dans ce document la combinaison de deux types de représentation cartographique permet de comprendre l’intention militaire : toucher un maximum de personnes par l’inondation de leurs champs et habitations afin de nuire à l’économie de l’adversaire.


    Carte des points de bombardements sur le réseau des digues dans le delta du fleuve Rouge entre le mois de mai et le 10 juillet 1972.


    Ces différences de configuration entre le haut et le bas delta ont d’importantes conséquences sur la localisation topographique des villages : à l’ouest, dans le haut delta, la plupart des villages sont édifiés au-dessus des étendues submersibles sur le haut des bourrelets alluviaux qui sont, on vient de le voir, particulièrement nombreux et enchevêtrés. A l’est, dans le bas delta, la majorité des villages se trouvent au contraire situés en contrebas des fleuves, sur de vastes étendues submersibles, en cas de rupture des digues. C’est justement dans la partie orientale du delta, où se trouvent le plus grand nombre de villages submersibles, que se localisaient la très grande majorité des bombardements de digues. A cette première constatation qui tendait à prouver l’existence d’un plan systématique de destruction des digues, dans les régions où les conséquences seraient les plus graves, l’analyse attentive permettait d’en ajouter une autre qui renforçait la présomption. En effet, dans la partie est du delta, les digues n’étaient pas uniformément attaquées : en particulier les digues situées en amont d’Haïphong, à l’est de Nam-Sach, n’avaient pas été bombardées entre avril et juillet 1972. Pourtant, elles se trouvaient dans une région où de nombreux objectifs routiers, industriels et militaires étaient par ailleurs intensément bombardés.

    Yves Lacoste, Enquête sur le bombardement des digues
    du fleuve Rouge (Vietnam, été 1972) Méthode d’analyse et réflexions d’ensemble, Revue Hérodote, 1976
    https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5621035h


    PHOTO DE COUVERTURE. Rizières du Nord-Vietnam soumises à un bombardement en tapis. La couronne qui entoure chaque cratère est formée par des terrains du sous-sol qui recouvrent la terre arable.

    La géographie sert d’abord à faire la guerre et à organiser les territoires pour mieux contrôler les hommes sur lesquels l’appareil d’Etat exerce son autorité. La géographie a d’abord été un savoir politique et militaire, et elle l’est encore. Il faut se rappeler qu’avant l’apparition de la géographie scolaire et universitaire (qui ne date que de la fin du XIXe siècle) la géographie a existé et qu’elle était destinée non pas à de jeunes élèves ou à leurs futurs professeurs, mais aux chefs de guerre et à ceux qui dirigent l’Etat. La géographie a d’abord été un savoir étroitement lié à une pratique politique et militaire, un ensemble de connaissances peut-être hétéroclites, mais qui sont indispensables à l’élaboration des stratégies et des tactiques.

    Autrement ce texte de 1976 contient une erreur assez répandue à l’époque qui a été corrigée depuis :

    les bombardements sur Dresde (où il y eut plus de victimes qu’à Hiroshima),

    La propagande nazie était très efficace. Il a fallu des dizaines d’années après les événements jusqu’à ce qu’enfin les enquêtes scientifiques affirment que tous les raids aériens contre l’Allemagne ont tué peut-être six cent mille personnes.

    https://de.statista.com/statistik/daten/studie/1089481/umfrage/zivile-luftkriegstote-der-deutschen-bevoelkerung-waehrend-des-zweiten-w

    Der Einsatz von Bomben durch die Alliierten kostete im Zweiten Weltkrieg vom 01. September 1939 bis zum 08. Mai 1945 geschätzt 600.000 deutsche Zivilisten das Leben.

    Liste von Luftangriffen der Alliierten auf das Deutsche Reich (1939–1945)
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Liste_von_Luftangriffen_der_Alliierten_auf_das_Deutsche_Reich_(1939%

    Les bombes nucléaires contre le Japon y ont causé une mort horrible à un nombre de victimes s’élevant à la moitié des victimes allemands pendant toute la guerre mais en quelques jours seulement. Dans ce calcul horrible les bombardements de Dresde comptent pour 25.000 victimes.

    Dresde
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Luftangriffe_auf_Dresden

    Die Luftangriffe auf Dresden und den Großraum der Stadt im Zweiten Weltkrieg fanden erstmals im Herbst 1944 statt, gefolgt von vier Angriffswellen der Royal Air Force (RAF) und United States Army Air Forces (USAAF) vom 13. bis 15. Februar 1945. Diese forderten zwischen 22.700 und 25.000 Todesopfer, zerstörten große Teile der Innenstadt und der industriellen und militärischen Infrastruktur Dresdens. Sechsstellige Opferzahlen, die die nationalsozialistische Propaganda in Umlauf brachte, wurden durch eine umfassende historisch-empirische Untersuchung widerlegt.

    puis

    https://de.m.wikipedia.org/wiki/Atombombenabw%C3%BCrfe_auf_Hiroshima_und_Nagasaki#Abwurf_auf_Hiroshi

    Die Atombombenexplosionen töteten insgesamt ca. 100.000 Menschen sofort – fast ausschließlich Zivilisten und von der japanischen Armee verschleppte Zwangsarbeiter. An Folgeschäden starben bis Ende 1945 weitere 130.000 Menschen. In den nächsten Jahren kamen etliche hinzu.

    Le texte est autrement extrèmement bien renseigné et instructif. Il ne permet par contre pas encore de trouver une réponse à la question qui est responsable pour la déstruction du barrage de Kakhova en Ukraine, même si on pourrait être tenté d’y identifier un stratagème russe. On va encore devoir attendre longtemps après la fin du conflit en cours avant de pouvoir accéder aux témoignages et documents nécessaires. #fog_of_war

    à lire
    Slaughterhouse-Five, or, The Children’s Crusade : A Duty-Dance with Death
    https://en.m.wikipedia.org/wiki/Slaughterhouse-Five

    The text centers on Billy’s capture by the German Army and his survival of the Allied firebombing of Dresden as a prisoner of war, an experience which Vonnegut himself lived through as an American serviceman.

    #cartographie #guerre #Vietnam

  • Agricultrices dans la solitude des champs d’oignons - imago mundi
    https://www.imagomundi.fr/article8.html

    Les inégalités entre sexes seraient apparues à l’avènement de l’agriculture et de la sédentarisation permanente des communautés, quand s’opéra une distinction très nette entre le rôle des femmes et celui des hommes dans tous les domaines de la vie sociale. Les hommes à la création et à la production, les femmes à la reproduction et au foyer [1]. Les femmes ont pourtant activement participé à la domestication des plantes qu’elles étudiaient, testaient, cueillaient, séchaient pour des usages aussi divers que l’alimentation, la médecine, la teinture, le textile ou la vannerie en des temps où il conviendrait de parler de jardinage plutôt que d’agriculture. L’invention de la charrue a par la suite enraciné, et pour longtemps, les discriminations envers les femmes. Enfin, la privatisation de la terre et les « révolutions vertes » ont concentré les moyens matériels et financiers essentiellement entre les mains des hommes. Au XXIe siècle, le statut des femmes exerçant une activité agricole a peu évolué ; à travers les époques et les aires géographiques leurs contributions restent peu reconnues.

    par Agnès Stienne, artiste cartographe

    #cartographie #art #agricultrices #inégalités_genrées #FAO #data

  • VIETNAM | Guerre Écologique- Lab. d’Urbanisme Insurrectionnel
    https://laboratoireurbanismeinsurrectionnel.blogspot.com/2012/06/vietnam-guerre-ecologique.html

    LIFE | August 1972 La stratégie militaire de la Russie de détruire, le 6 juin 2023, le barrage de Kakhova en Ukraine afin d’inonder des terres arables et urbanisées nous rappelle celle des USA durant la guerre du Vietnam : celle condamnée par les Nations Unies. Au Nord-Vietnam, les digues ont une (...) @Mediarezo Actualité / #Mediarezo