• Andrea Di Michele. Il segno coloniale

    Dopo decenni di rimozione collettiva, l’epoca delle colonie italiana viene oggi riletta in chiave critica. Di Michele, professore di Storia contemporanea a Bolzano, delinea le fasi di un passato ancora presente nelle piazze e nelle vie.

    Monumenti, mausolei, bassorilievi, intitolazioni di vie: le tracce del colonialismo italiano sono presenti ancora oggi in molte città. Negli ultimi anni il dibattito culturale e politico si è interrogato su come intervenire su queste opere. Lo storico Andrea Di Michele vede nelle iniziative di ricontestualizzazione la possibilità di leggere criticamente l’epoca coloniale italiana e di fornire alla cittadinanza gli strumenti per conoscere e approfondire questo periodo che costituisce una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.

    Professor Di Michele, in quale cornice temporale si ascrive l’epoca coloniale italiana?
    ADM Si tende erroneamente a fare coincidere il colonialismo italiano con il fascismo, mentre il suo inizio si colloca immediatamente dopo l’unificazione del Paese e più precisamente nel 1869 con l’acquisto della baia di Assab, in Eritrea, da parte di una compagnia di navigazione privata. Nei primi anni Ottanta dell’Ottocento questo avamposto venne poi acquistato dallo Stato italiano e nel 1885 l’occupazione di Massaua segnò l’inizio dell’esperienza coloniale statale italiana.

    Come si sviluppò questo primo periodo coloniale?
    ADM In questa fase l’Italia fece i conti con i suoi limiti, subendo molte sconfitte. Nel 1887, a Dogali, cercò di espandere senza successo la propria posizione, arrivando a contare cinquecento morti tra le proprie fila. Ancora più pesante fu la sconfitta di Adua, in Etiopia, nel 1896: i morti italiani furono migliaia, il Governo Crispi cadde e la politica coloniale si arrestò temporaneamente per riprendere nel 1911 con la guerra di Libia.

    L’avvento del fascisco cambiò le cose?
    ADM Benito Mussolini ampliò le conquiste dell’Italia liberale e lo fece con una violenza inaudita nei confronti della popolazione civile. Ad esempio per invadere definitivamente la Cirenaica, all’inizio degli anni Trenta, più di un terzo della popolazione di questo territorio -circa 100mila persone- venne deportata e rinchiusa in veri e propri campi di concentramento con una tasso di mortalità spaventosa. Nel 1937, il fallito attentato a Rodolfo Graziani, a quel tempo viceré di Etiopia, scatenò una vera e propria caccia all’uomo che provocò migliaia di morti. Non va poi dimenticata la legislazione che portò alla “zonizzazione”, ovvero a un sistema di apartheid con aree separate per bianchi e neri.

    Il 1869 è stato l’anno in cui gli storici collocano l’inizio del colo-nialismo italiano che coincide con l’acquisto della baia di Assab, in Eritrea, da parte di una compagnia di navigazione privata

    La caduta del fascismo sancì una rottura con l’epoca coloniale?
    ADM No. Dopo il 1945 l’Italia cercò di mantenere il controllo dei territori che deteneva prima del fascismo. Vi fu anche una netta continuità nell’amministrazione pubblica: fino al 1953 ha operato il ministero dell’Africa italiana, in cui lavorava chi aveva le “competenze” giuste, ovvero chi aveva lavorato nel Paese fino a poco prima.

    Quando si è iniziato a guardare al passato coloniale italiano con uno sguardo critico?
    ADM L’immagine di un colonialismo italiano sostanzialmente un po’ “all’acqua di rose” ha resistito a lungo. Solo a partire dagli anni Ottanta una nuova generazione di studiosi si è interrogata sul ruolo dei fenomeni profondamente razzisti che avevano caratterizzato la storia d’Italia. Si sono ricostruite quindi le gravi responsabilità italiane nelle colonie, ad esempio per quanto riguarda l’uso dei gas, per molti anni negato. Poi dagli archivi militari sono emersi i documenti ufficiali, in molti casi tenuti prima volutamente nascosti, e con loro la verità storica.

    Secondo lei perché questo processo è stato così lento e osteggiato?
    ADM La politica della memoria è un tema molto caldo che rimanda spesso a dinamiche a livello nazionale e locale. Va inoltre sottolineato il ruolo giocato dalla presenza di forze politiche che non hanno mai rinnegato il passato fascista e coloniale. In questo senso è interessante monitorare cosa avviene nelle singole Regioni e nei Comuni, dove ancora oggi una determinata maggioranza politica e un certo clima consentono di intitolare monumenti e vie a personaggi che ebbero un ruolo drammatico in quel periodo storico.

    Ci può fare un esempio?
    ADM A Filettino, in provincia di Roma, nel 2012 è stato dedicato un mausoleo a Rodolfo Graziani. L’amministrazione comunale di destra si è giustificata dicendo di voler ricordare il proprio concittadino che fece “anche cose buone”.

    Che cosa fare con l’eredità architettonica e odonomastica del colonialismo?
    ADM Credo che la strada da percorrere non sia l’eliminazione di queste opere, ma la loro ricontestualizzazione. Ci sono, ad esempio, diversi progetti di mappatura dell’odonomastica, che coniugano ricerca e attivismo. Penso al caso di Bologna, dove “Resistenze in Cirenaica” (resistenzeincirenaica.com) ha operato una ridenominazione -non ufficiale ma parallela- delle vie, intitolandole a partigiani e ad altri personaggi politici e non della città. Un esempio forse unico è poi quello di Bolzano, con la risignificazione del Monumento alla Vittoria e del bassorilievo con il duce a cavallo.

    Di che cosa si tratta?
    ADM Il primo è un monumentale complesso marmoreo costruito tra il 1926 e il 1928, che celebrava la vittoria italiana sull’Austria-Ungheria nella Prima guerra mondiale. La seconda opera andò a decorare la “Casa Littoria”, sede del Partito nazionale fascista ed è costituita da 57 pannelli di larghezza variabile, alti 2,75 metri, posti su due file sovrapposte, per uno sviluppo lineare di 36 metri e una superficie di 198 metri quadrati.

    Quale intervento è stato fatto su queste due opere?
    ADM Nel 2011, un accordo tra Stato, Provincia e Comune di Bolzano ha previsto di accompagnare il restauro del Monumento con un intervento di contestualizzazione storica. Si è deciso di aprire al suo interno uno spazio museale su Bolzano, l’Alto Adige e i totalitarismi che ne hanno segnato la storia e di apporre all’esterno un segno visibile, che si è tradotto in un anello a led con un testo luminoso rotante recante la scritta “Un Monumento, una città, due dittature. Un percorso espositivo” intorno a una delle colonne dei fasci littori. Opposto è stato invece quanto fatto sul bassorilievo.

    “La strada da percorrere non è l’eliminazione delle opere, ma la loro ricontestualizzazione. Ci sono diversi progetti di mappatura dell’odonomastica, che coniugano ricerca e attivism0″

    Ovvero?
    ADM In questo caso l’equilibrio tra opera visiva e approfondimento storico è stato ribaltato. Si è scelto di privilegiare il linguaggio visivo ed emozionale, apponendo davanti al bassorilievo una frase di Hannah Arendt in tre lingue, italiano, tedesco e ladino: “Nessuno ha il diritto di obbedire”. Contestualmente nella piazza di fronte all’opera è stato realizzato un intervento di approfondimento storico con dei pannelli esplicativi.

    Che cosa ha reso possibile questo tipo di operazione a Bolzano?
    ADM La ricontestualizzazione di queste opere è avvenuta perché erano monumenti che continuavano a rappresentare un elemento di divisione e tensione tra i gruppi di lingua italiana e tedesca. Quello che per decenni ha rappresentato un problema quindi si è trasformato in una possibilità di apprendimento e approfondimento e, al contempo, il tema del monumentalismo fascista ha perso la sua carica divisoria.

    Questo intervento locale ha sortito qualche effetto a livello nazionale?
    ADM La stampa ha acceso i riflettori sul “caso-Bolzano” che però a oggi resta un esempio unico. Forse non è nemmeno necessario fare un lavoro del genere dappertutto, ma almeno nei luoghi dove un monumento ha un impatto a causa delle sue dimensioni sì. Penso all’Obelisco di Mussolini a Roma, dove un intervento sarebbe auspicabile. Se ne potrebbero immaginare differenti da quelli di Bolzano, magari legati a installazioni artistiche o utilizzando le nuove tecnologie.

    A quali progetti sta lavorando attualmente?
    ADM Da qualche settimana ho iniziato “Curating fascism”, un progetto in collaborazione con la facoltà di Design. Ho scritto un testo immaginando una passeggiata sulle tracce del colonialismo a Bolzano a partire dal retro del Monumento alla Vittoria, quindi la Colonna romana, le iscrizioni dei palazzi di Piazza Vittoria, le vie intitolate a personaggi e luoghi di quell’epoca come Reginaldo Giuliani e la battaglia dell’Amba Alagi. L’idea è di realizzare una pubblicazione in cui testo e immagini si combinino così da offrire alla cittadinanza e a chi visita la città una guida per conoscere i suoi monumenti, la loro storia e il loro significato.

    https://altreconomia.it/andrea-di-michele-il-segno-coloniale

    #toponymie #toponymie_coloniale #Italie #passé_colonial #présent_colonial #colonialisme_italien #Italie_coloniale #traces #recontextualisation #Erythrée #histoire_coloniale #Libye #fascisme #camps_de_concentration #Rodolfo_Graziani #Ethiopie #apartheid #zonizzazione #responsabilité #mémoire #politique_de_la_mémoire #Filettino #héritage #Bologne #Resistenze_in_Cirenaica #Bolzano #Monumento_alla_vittoria #Casa_Littoria #monuments #Reginaldo_Giuliani

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    Ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

  • Les revers de la modernité au #Maroc
    https://metropolitiques.eu/Les-revers-de-la-modernite-au-Maroc.html

    À travers une enquête ethnographique au sein des quartiers marginalisés de la capitale économique marocaine, Cristiana Strava montre les évolutions des politiques qui visent à les moderniser, mais aussi les continuités qui caractérisent le rejet et le contrôle des #classes_populaires de l’ère coloniale à nos jours. Dans Precarious Modernities, Cristiana Strava aborde la modernité depuis les marges de la ville de #Casablanca. Par son analyse des évolutions urbanistiques, économiques et politiques du #Commentaires

    / Casablanca, Maroc, #quartiers_populaires, #périphérie, #rénovation_urbaine, #ségrégation, #capitalisme, classes populaires, (...)

    #résistance
    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met_amarouche.pdf

  • Présences fascistes en Suisse. Autour du doctorat honoris causa de Benito Mussolini (1937)

    Colloque international et Conférence publique

    En 1937, l’Université de Lausanne a décerné un doctorat honoris causa (d.h.c.) à Benito Mussolini. Dès le départ, cette décision suscite de nombreuses interrogations au sein de la communauté universitaire et de la société suisse. En 1987, et face à l’incompréhension croissante quant aux raisons qui ont conduit à honorer un dictateur, l’UNIL commence un travail historique en publiant certaines pièces du dossier. À nouveau interpellée en 2020, la Direction de l’UNIL mandate le Centre interdisciplinaire de recherche en éthique (CIRE) pour qu’il donne à l’UNIL les outils nécessaires pour reconsidérer sa posture relative à l’attribution du d.h.c à Mussolini. S’appuyant sur ces travaux, la Direction de l’UNIL annonce vouloir engager l’institution et sa communauté dans une politique mémorielle active comprenant plusieurs axes dont l’un concerne la recherche.

    Le colloque Présences fascistes en Suisse entend remettre l’attribution du d.h.c. dans une perspective transnationale mais aussi de longue durée. Pour ce faire, le programme veut croiser les approches tout en replaçant l’épisode vaudois dans le contexte des relations entre la Confédération et son voisin transalpin, de l’attraction exercée par le fascisme sur de nombreux milieux politiques, économiques et culturels et sur le rôle de la Suisse dans la recomposition de certains réseaux d’extrême-droite dans l’après-guerre. Une réflexion qui doit tirer parti des travaux les plus récents sur l’histoire du fascisme tout en nous invitant à réfléchir sur la postérité d’une histoire qui trouve des résonances multiples au sein de notre monde contemporain.

    https://www.infoclio.ch/de/pr%C3%A9sences-fascistes-en-suisse-autour-du-doctorat-honoris-causa-de-beni

    #Mussolini #Benito_Mussolini #doctorat_honoris_causa #Université_de_Lausanne #présence_fasciste #fascisme #histoire #Suisse

    • Mussolini et la Suisse (1/5) : Le dossier

      En 1937, l’Université de Lausanne décerne un doctorat honoris causa à Benito Mussolini et honore celui qui est au sommet de son parcours de dictateur. L’affaire rebondit depuis des décennies : que faire de cette distinction si solennelle envers une des figures les plus sombres du XXème siècle ?

      Un doctorat honoris causa représente une belle distinction. L’université qui le décerne honore une personnalité, voire une célébrité, pour l’associer à son histoire. Chacun partage un petit bout de son prestige avec l’autre pour briller plus fort aux yeux du monde.

      Avec Nadja Eggert, chercheuse en éthique à l’université de Lausanne et directrice du groupe d’experts, co-auteure, avec Gabrielle Duboux, du dernier rapport en date sur les circonstances de l’octroi d’un doctorat honoris causa à Mussolini en 1937.

      Lien : Les informations sur le colloque « Présences fascistes en Suisse. Autour du doctorat honoris causa de Benito Mussolini (1937) » et l’exposition « Docteur Mussolini. Un passé sensible » : https://www.labo-histoire.ch/evenement/pour-une-histoire-globale-du-fascisme.

      https://www.rts.ch/audio-podcast/2024/audio/mussolini-et-la-suisse-1-5-le-dossier-28681508.html

      #audio #podcast #Lausanne

    • Mussolini et La Suisse (2/5) : L’apprentissage du futur Duce

      Pour justifier le doctorat honoris causa, l’Université de Lausanne célèbre les liens de Mussolini avec la Suisse, arguments classiques.

      Nous regardons de plus près la part de sa biographie en Suisse avec Simone Visconti, historien et auteur d’une thèse qui s’intéresse particulièrement aux années de #formation de Mussolini sur le territoire suisse entre 1902 et 1904.

      https://www.rts.ch/audio-podcast/2024/audio/mussolini-et-la-suisse-2-5-l-apprentissage-du-futur-duce-28681506.html
      #socialisme #propagande #parti_socialiste #socialisme_révolutionnaire #ascension_politique #expulsion #journalisme #avanguardia_socialista #amnistie

    • Mussolini et La Suisse (3/5) : La légende helvétique d’un dictateur

      Il y a l’histoire des années suisses de Mussolini, entre 1902 et 1904, et puis il y a le récit qu’on brode ensuite pour transformer l’épisode en légende merveilleuse, en expérience créatrice de son génie politique, en tout cas pour ses partisans. Du maçon immigré au Duce, le mythe de Mussolini passe par la Suisse.

      C’est Simone Visconti, qui nous l’explique. Il est historien et auteur d’un doctorat bien réel celui-là, sur les années de formation de Mussolini et la place qu’elles occupent ensuite dans la propagande fasciste. Une propagande qui a déjà démontré son efficacité en 1937, au moment où l’université de Lausanne prépare son 400e anniversaire et l’octroi de ce fameux doctorat honoris causa.

      https://www.rts.ch/audio-podcast/2024/audio/mussolini-et-la-suisse-3-5-la-legende-helvetique-d-un-dictateur-28681507.html
      #colonisation #conquête_coloniale #image #néo-nazisme #Hitler #fascisme #fasci #marcia_su_Roma #dictature #image #mythe #Angelica_Balabanova #nationalisme #virilité #homme_fasciste

    • Mussolini et La Suisse (4/5) : L’attraction fasciste

      Après la Deuxième Guerre mondiale, il n’était plus de bon ton de défendre l’œuvre de Benito Mussolini. Quand on mentionnait le doctorat honoris causa que l’Unil lui avait décerné, on entendait souvent des alibis : au minimum une erreur de casting, voire un piège tendu par la diplomatie fasciste. Aujourd’hui après le Livre blanc de 1987 puis les différentes recherches et le rapport du comité d’experts de 2022, ces arguments n’opèrent plus aussi bien qu’avant. En 1937, on savait que le fascisme italien réprimait toutes oppositions à l’intérieur et on savait, après la conquête de la Lybie et de l’Ethiopie, que c’était un gouvernement prédateur à l’extérieur. On sait aussi que Mussolini a séduit en Suisse.

      C’est justement sur cette force d’attraction en territoire helvète que l’historien Marc Perrenoud s’est penché pour comprendre le contexte de ces honneurs universitaire rendus à Mussolini en 1937.

      https://www.rts.ch/audio-podcast/2024/audio/mussolini-et-la-suisse-4-5-l-attraction-fasciste-28681513.html

    • Mussolini et La Suisse (5/5) : L’#antifascisme

      Benito Mussolini, docteur de l’université de Lausanne, est une opération dont les promoteurs ont été identifiés dans les épisodes précédents. Mais les antifascistes ont eu leur mot à dire aussi.

      Après l’exploration de la sensibilité suisse au fascisme italien, on se tourne vers les opposants de Mussolini et de ses admirateurs avec Colin Rutschmann, auteur d’un mémoire de Master intitulé : Antifascisme sur le territoire lausannois durant l’entre-deux-guerres : Modalités, Antagonismes et Conflictualité.

      https://www.rts.ch/audio-podcast/2024/audio/mussolini-et-la-suisse-5-5-l-antifascisme-28681515.html

      #Casa_d'Italia #doctrine_fasciste

    • En 1932, prison ferme pour un #tag antifasciste

      L’affaire du #monument aux morts italiens du #cimetière_de_Montoie défraie la chronique et remonte jusqu’au niveau fédéral.

      On imagine mal la tête que fait Charles Felber, concierge jardinier du cimetière de Montoie, quand il découvre, au petit matin du dimanche 6 novembre, le noble monument aux morts italiens de la Grande Guerre (1915-1918 en ce qui les concerne), revêtu de graffitis d’un rouge offensant. Rouge non pas sang, non pas royal, mais soviétique.

      C’est une de ces affaires connues, mais qu’on revoit aujourd’hui comme révélatrice de la place du fascisme à Lausanne et de la position des autorités vaudoises dans l’entre-deux-guerres.

      Novembre 1932 donc. La communauté italienne célèbre en même temps le 5e anniversaire du régime et le 14e de l’armistice. Il faut dire que les Italiens de Lausanne sont déjà passablement ceinturés par les réseaux fascistes qui s’approprient la Casa d’Italia, les sociétés culturelles… et le monument de Montoie. Érigé en 1923, il est, déjà, l’occasion d’une manifestation de la section locale du fascio lausannois, à peine fondée. Le groupe, dit « l’#indomito », soit « l’#indompté », s’y rend en #cortège.

      Mais cette fois-ci, ça ne se passe pas comme prévu. Déjà la veille, le consul d’Italie s’était inquiété de la présence « d’éléments subversifs » autour du cortège se formant à Montbenon. Le Canton fait surveiller les « perturbateurs » connus et prévoit d’envoyer la Sûreté et dix gendarmes sécuriser les lieux. Cela ne suffira pas.

      La nuit précédente, le monument est complètement « souillé d’une peinture de couleur rouge », note le rapport des inspecteurs qui parlent d’une « profanation particulièrement grave », certainement du fait des communistes antifascistes et de la main d’un locuteur italien.

      Mussolini, le bourreau

      Sur l’obélisque, des #tags ont en effet de quoi alimenter les soupçons du limier : « Viva Lenin », « Vogliamo la testa del boia Mussolini », « Viva il partito comunista ! » ainsi que le marteau et la faucille. La police enquête, retarde le cortège. On nettoie le #monument comme on peut. La Sûreté suit de près. Pendant que les fascistes en uniforme sont protégés par les gendarmes, on surveille aux abords la présence de dirigeants communistes lausannois, « qui poussent l’outrecuidance jusqu’à s’approcher du monument ».

      L’affaire se répand rapidement. Le Ministère public de la Confédération suit le dossier tandis que la presse d’alors se montre particulièrement remontée. « Odieuse profanation », titrent les journaux locaux. « Espérons qu’on mettra rapidement la main sur ces indignes personnages et que le châtiment qu’ils recevront sera exemplaire », tonne « La Revue ». Le ton monte. Les courriers des lecteurs s’accumulent. Le Conseil d’État promet au consul d’Italie « des ordres sévères » et la Ville de Lausanne présente également ses regrets. Chaque jour, les journaux donnent des nouvelles de l’enquête… la gauche radicale est loin d’avoir bonne presse.

      Lutte dans la rue

      Il faut dire que fascistes déclarés et opposants sont alors à couteaux tirés, dans ce que l’historien Colin Rutschmann appelle une véritable « lutte pour le contrôle de l’#espace_public » lausannois, loin de se limiter aux seuls exilés, et au cours de laquelle la police va plutôt, confirme-t-il, « protéger les chemises noires ». Les mêmes sont capables d’actions violentes en Italie. Mais en Suisse, ce sont les « rouges » qui sont vus comme dangereux et fauteurs de troubles.

      La police vaudoise se montre en effet très efficace. Quatre jours après les faits, #Fulvio_Rusconi, un des « extrémistes » de la place, est déjà arrêté et incarcéré au Bois-Mermet malgré ses dénégations. Le même jour, un communiste qui avait le tort de manifester dans la rue est emporté par la Sûreté, qui découvre de la #peinture_rouge dans son veston… Il va être interrogé pendant quatre heures, le temps de lui faire lâcher le nom de ses complices. Des Tessinois, des ouvriers, dont un « extrémiste dangereux ».

      Tous sont attrapés en quelques jours et passent aux aveux. L’idée leur est venue début novembre. Ils piquent de la peinture sur un chantier, achètent un pinceau à Uniprix et se retrouvent au Café de Couvaloup avant de gagner Montoie à minuit. La Sûreté les dénonce pour « profanation de sépulture ».

      #Sanction lourde

      Janvier 1933, l’audience devant le Tribunal de police est également sans appel… l’avocat des anciens combattants italiens alarme du « début d’une série de manifestations terroristes ». Le chroniqueur de la « Gazette de Lausanne » rajoute une couche : « L’acte de ces trois « mauvais garçons » est d’autant plus stupide que le fascisme auquel ils prétendant avoir voulu s’attaquer n’existait pas lorsque moururent les 250 Italiens à la mémoire de qui le monument est élevé. »

      Les trois principaux responsables écopent de 75 jours de réclusion et 5 ans de privation de droits civique. Avec expulsion du territoire.

      https://www.24heures.ch/lausanne-en-1932-prison-ferme-pour-un-tag-antifasciste-117949027630
      #Suisse #fascisme #anti-fascisme #cimetière #Lausanne #communisme #Giuseppe_Motta

  • « Les jeunes préfèrent mourir en mer que mourir socialement au Sénégal »
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/08/05/les-jeunes-preferent-mourir-en-mer-que-mourir-socialement-au-senegal_6268891

    « Les jeunes préfèrent mourir en mer que mourir socialement au Sénégal »
    Propos recueillis par Célia Cuordifede (Dakar, correspondance)
    Publié le 05 août 2024 à 19h00, modifié le 06 août 2024 à 07h26
    Le long des côtes sénégalaises, sur les flots périlleux de l’Atlantique, un combat se joue entre la marine nationale et les pirogues chargées de plusieurs dizaines, voire centaines de personnes en direction de l’Europe. Vendredi 26 juillet, une embarcation avec à son bord 200 migrants a été interceptée au large de Saint-Louis. La dernière en date d’une longue série ces dernières semaines.
    Au Sénégal, où 75 % de la population a moins de 35 ans et où le taux de chômage se maintient autour de 20 % depuis près de dix ans, les jeunes sont de plus en plus nombreux à fuir la pauvreté et, en dépit des périls, à prendre le chemin de l’émigration clandestine. Pour Le Monde Afrique, Abdoulaye Ngom, enseignant-chercheur en sociologie à l’université Assane-Seck de Ziguinchor, décrypte cette recrudescence des départs et leurs conséquences.
    Ces dernières semaines, on observe une recrudescence des interceptions de pirogues au large du Sénégal. Comment l’expliquez-vous ?
    La hausse du nombre de départs de bateaux irréguliers s’explique d’abord par des conditions climatiques favorables pour voyager en mer. Chaque année, pendant la période estivale, nous assistons au même phénomène.
    – Néanmoins, durant mes récentes enquêtes de terrain auprès des migrants, j’ai constaté que la politique de déguerpissement des marchands ambulants mise en place par les nouvelles autorités ces derniers mois, notamment à Dakar, a créé un appel d’air. Ces gens, qui pour la plupart n’avaient pour vivre que cette activité sur le marché informel, choisissent souvent de tenter leur chance en mer. Ces dernières semaines, ils sont surreprésentés parmi les candidats au départ. D’après le président de l’association nationale des marchands ambulants, 83 d’entre eux seraient décédés en mer au cours des trois derniers mois. Enfin, il y a une certaine désillusion de la jeunesse par rapport aux promesses faites par les nouvelles autorités, notamment en ce qui concerne l’emploi [le taux de chômage était de 23,2 % au premier trimestre, selon l’Agence nationale de la statistique et de la démographie]. Depuis l’arrivée au pouvoir de Bassirou Diomaye Faye, début avril, elle ne voit pas d’amélioration.
    N’est-ce pas un peu tôt pour accuser le nouveau président d’inertie ?
    –Oui, il est encore tôt pour le dire. Mais les jeunes qui ont accompagné et soutenu le projet du Pastef [le parti du président Bassirou Diomaye Faye et de son premier ministre, Ousmane Sonko] pensaient que les choses pourraient changer du jour au lendemain.
    En outre, si le phénomène de migration irrégulière est hypermédiatisé au Sénégal, on ne peut que constater le manque d’intérêt des autorités politiques, passées comme actuelles, pour cette question. C’est pourtant un dossier urgent. Des centaines de personnes sont déjà mortes ou portées disparues depuis le début de l’année.
    Les causes de départ sont-elles les mêmes aujourd’hui qu’en 2006, lors des premières vagues de départ ?
    –Le désespoir des jeunes s’est profondément accentué. En 2006, beaucoup de jeunes partaient, mais lorsqu’ils revenaient, rescapés d’un naufrage ou refoulés aux portes de l’Europe, ils ne retentaient pas ou peu la traversée, du moins de façon clandestine. Ces dernières années, 99 % des jeunes que j’ai interrogés disent qu’ils sont conscients du danger du voyage mais préfèrent mourir en mer plutôt que mourir socialement au Sénégal. Lorsqu’ils échouent à gagner l’Europe, ils retentent leur chance.En outre, depuis les années 2015, les réseaux de passeurs se sont largement développés au Sénégal, de Dakar à la Casamance [sud]. Aujourd’hui, il existe des personnes appelées les « intermédiaires », qui vont recruter les candidats à la migration. Ils vont démarcher dans les villages les plus reculés, dans les marchés, dans les ateliers de menuiserie et à tous les points de rencontre des jeunes, comme les terrains de foot…Depuis le début de l’année 2024, nous observons une multiplication des lieux de départ des pirogues le long des côtes sénégalaises. Jusqu’à présent, ceux-ci se concentraient dans les régions de Dakar, Saint-Louis [nord] et en Casamance. Désormais, il n’est plus rare de voir des embarcations partir de Djiffer, depuis le Sine Saloum [ouest], et plus largement dans la région de Fatick. C’est en grande partie lié au fait que les réseaux de passeurs organisés cherchent à déjouer la surveillance mise en place par les gardes-côtes, qui s’est renforcée notamment grâce à l’acquisition récente par la marine de trois patrouilleurs.
    Quel est le profil des candidats à l’émigration ?
    –Les personnes sans emploi et les travailleurs du secteur informel sont surreprésentés. De nombreux pêcheurs, touchés par la raréfaction des ressources halieutiques liée à la surpêche et qui ont vu leurs revenus baisser ces dernières années, font également partie des candidats au départ. D’autant plus que leur connaissance de l’océan est sollicitée par les réseaux de passeurs pour emmener des pirogues vers les îles Canaries, aux portes de l’Europe.Il faut toutefois préciser que depuis l’élection de Bassirou Diomaye Faye, des avancées ont été faites, puisqu’il y a eu des renégociations de contrats annoncées avec les bateaux étrangers qui viennent pêcher dans les eaux sénégalaises. La situation pourrait donc favorablement évoluer pour les pêcheurs dans les prochains mois.
    Mais désormais, de plus en plus de personnes qui ont un emploi stable prennent la route de l’exil, car elles considèrent que leur salaire ne leur permet pas de « bien vivre » et qu’elles n’ont pas « réussi leur vie ». Ces deux notions sont très importantes aujourd’hui.
    Quelles sont les conséquences de ces départs sur ceux qui restent ?
    –Nous n’arrivons pas encore à les mesurer de façon précise, mais elles existent et sont de plus en plus visibles. Par exemple, en Casamance, on observe de plus en plus de champs laissés à l’abandon par leurs propriétaires qui ont émigré. Le Sénégal étant un pays d’agriculture, cela risque de poser des problèmes dans les années à venir. Dans beaucoup de villages, les hommes sont partis en masse. Restent alors les femmes, qui doivent gérer seule la charge de leurs enfants, de leur famille et de leur belle-famille. D’autre part, ceux qui restent, comme ceux qui partent, subissent des conséquences psychologiques, jusqu’ici très peu prises en charge au Sénégal. Dans les années à venir, l’un de nos défis sera de mesurer les conséquences de cette émigration.

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#famille#emigration#jeune#peche#casamance#pauvrete#sante#santementale

  • Hymnes à Mussolini et « Sieg Heil » : à l’intérieur du mouvement de jeunesse du parti de #Giorgia_Meloni

    Une journaliste du site italien Fanpage s’est infiltrée au sein du mouvement de jeunesse de la première ministre Giorgia Meloni. Son enquête #vidéo montre le vrai visage de ces jeunes : derrière une façade respectable, la #Gioventù_nazionale célèbre le fascisme.

    Dans leurs chants, les militantes et militants se présentent comme « la migliore gioventù » (« la meilleure des jeunesses »). En public, Giorgia Meloni les qualifie de « ragazzi stupendi » (« jeunes magnifiques »). Fratelli d’Italia (Frères d’Italie) les définit tout simplement comme « l’âme et le moteur » nécessaires à la victoire du parti de la première ministre italienne. Cependant, derrière une façade respectable, la Gioventù nazionale (« Jeunesse nationale »), l’aile jeunesse de Fratelli d’Italia, célèbre le fascisme et scande « Duce » (Benito Mussolini, fondateur du fascisme) et « Sieg Heil », tout en regrettant l’époque du terrorisme néofasciste des années 1970.

    C’est ce que révèle une enquête vidéo réalisée par le site italien Fanpage, que Mediapart diffuse. On y voit de jeunes militants appartenant à Fratelli d’Italia, qui participent à des concerts d’extrême droite en effectuant le salut fasciste, ou en chantant des slogans fascistes comme « Boia chi molla » (« ceux qui abandonnent sont des traîtres »). Entre eux, ils se désignent comme des « légionnaires ». Ces actions, menées au vu et au su des chefs du mouvement, sont non seulement tolérées mais parfois même encouragées.

    Créée en 2014, la Gioventù nazionale compte aujourd’hui des milliers de membres et prétend être le mouvement de jeunesse le plus important parmi les partis italiens. Sur la scène d’#Atreju, le festival annuel organisé par Fratelli d’Italia, la première ministre Giorgia Meloni a remercié les jeunes militants de son parti : « C’est ce que tant de gens nous envient, que nous ayons des jeunes qui croient encore à la politique et au militantisme ! C’est rare ; c’est inestimable. »

    L’enquête de Fanpage révèle comment #Flaminia_Pace, la jeune leader émergente du mouvement de jeunesse, qui dans le passé a publiquement défendu le parti contre les accusations de fascisme, affirme en privé son souhait de voter « trois fois pour le Duce » aux élections européennes et insulte les minorités. La journaliste infiltrée de Backstair, l’unité d’investigation de Fanpage, rapporte que Pace a également révélé auprès de militants des liens familiaux avec des personnalités historiques du terrorisme néofasciste des années 1970, responsable de nombreux morts, notamment dans l’attentat de Bologne en 1980 (85 morts et plus de 200 blessés).

    La formation des militants est imprégnée d’idéologies extrémistes. Les adolescents et les jeunes étudiants universitaires qui rejoignent le mouvement sont plongés dans un environnement où il est accepté d’insulter les professeurs queers et de tenir des propos racistes.

    Comme le montre l’enquête vidéo, l’un des moments les plus significatifs pour les militants est le rite consistant à scander « présent » en commémoration de leurs camarades d’extrême droite tombés au combat. Lors de ces cérémonies, les jeunes militants font preuve de discipline militaire, et les responsables veillent attentivement à ce que des comportements compromettants, comme le salut romain, ne soient pas filmés.

    Les partis d’opposition dénoncent le « silence incompréhensible » de Giorgia Meloni

    Les caméras de Fanpage ont vu l’eurodéputé #Nicola_Procaccini, coprésident du groupe de l’#ECR, celui des conservateurs radicaux dans la précédente législature, les députés #Marco_Perissa et #Paolo_Trancassini effectuer des gestes typiquement fascistes, comme le fait de se saluer en se tenant les avant-bras. L’enquête révèle également la participation des jeunes militants à des événements secrets, comme des concerts de musique d’extrême droite au siège même de Fratelli d’Italia où, loin de la presse, les jeunes militants de Giorgia Meloni se déchaînent, se livrant à des saluts romains et à des chants fascistes.

    L’enquête a provoqué des réactions. Les partis italiens d’opposition, le Parti démocrate (PD), le Mouvement cinq étoiles (M5S) et l’Alliance des Verts et de la gauche, ont réclamé une enquête et dénoncé le « silence incompréhensible » de Giorgia Meloni. La présidente du groupe SD (Socialistes et démocrates), Iratxe García Pérez, a jugé sur le réseau social X qu’« il n’y a pas de normalisation possible de l’extrême droite en Europe ». « Ces images choc nous rappellent le passé impardonnable de ceux qui vantent encore le fascisme, le racisme, l’intolérance », a-t-elle ajouté. « J’étais trop près de quelqu’un. L’un de nous s’est saisi de mon biceps, il s’est saisi de mon coude », s’est défendu Procaccini.

    Nous avons interrogé la journaliste qui s’est infiltrée, Selena Frasson.

    Mediapart : Qu’est-ce qui vous a décidée à entreprendre cette enquête ?

    Selena Frasson : La Gioventù nazionale est le mouvement de jeunesse le plus important d’Italie et elle jouit d’une excellente représentation dans la presse. Il suffit de penser qu’en janvier dernier, l’un des principaux journaux télévisés nationaux de la télévision publique a consacré un reportage entier à l’une des manifestations organisées par le mouvement au cimetière de Verano, à Rome, la qualifiant d’apolitique alors qu’en réalité, seuls des membres de Gioventù nazionale l’avaient organisée et y avaient participé. Malgré ce récit, les liens entre certains représentants du mouvement et des mouvements d’extrême droite, comme Casaggì, à Florence, sont connus.

    À partir de ces éléments, Backstair, l’unité d’investigation de Fanpage pour laquelle je travaille et qui est spécialisée dans les enquêtes sous couverture, a voulu comprendre les connexions du mouvement à Rome, dans la capitale, où les relations avec les institutions et le parti sont plus solides. Dès le premier instant, il est apparu clairement que les mêmes militants qui montrent le visage le plus modéré devant les caméras ressentent un lien profond avec la sous-culture d’extrême droite, celle qu’ils ne peuvent pas rappeler en public mais dont ils ne cessent de se vanter en privé, au sein des sections et lors de rassemblements.

    Combien de temps avez-vous mis pour réaliser l’enquête ?

    Plusieurs mois. Dans ce type de travail, il n’y a pas que la phase opérationnelle qui demande du temps. Il y a d’abord une longue phase de planification et d’étude. Le point crucial du journalisme d’infiltration est la construction d’un profil fiable concernant l’environnement dans lequel on décide d’entrer ; nous devons acquérir la confiance des personnes avec lesquelles nous entrons en contact, et ce n’est qu’après avoir surmonté cet obstacle que nous commençons à découvrir quelque chose qui pourrait être très pertinent pour l’opinion publique, ce qui est toujours notre objectif.

    N’était-ce pas psychologiquement exigeant de mener une telle enquête ?

    Lorsque vous travaillez sous couverture, vous devez faire attention à tout ce qui vous entoure : vous devez observer ce qui se passe et être prêt à l’intercepter sans attirer l’attention pour ne pas éveiller les soupçons et protéger votre identité secrète.

    J’ai vécu les moments les plus difficiles au camp communautaire, par exemple, parce que l’endroit était très isolé, que le téléphone ne fonctionnait pas et que je ne pouvais pas entrer en contact avec mon équipe ; dans ces cas-là, la seule façon de se protéger et de protéger son travail est de rester extrêmement lucide. Ce type de travail implique différents niveaux d’implication émotionnelle et psychologique, et il devient compliqué de ne pas se laisser absorber ; il faut aussi savoir trouver des espaces pour reprendre contact avec sa réalité, et dans cette perspective, le travail d’équipe est essentiel.

    Quelles réactions avez-vous eues après la diffusion de votre enquête ? Craignez-vous des pressions ou des intimidations ?

    Nous ne nous attendions pas au silence et à l’absence totale de réponses de la part des institutions, à commencer par la première ministre, Giorgia Meloni, cheffe du parti qui a célébré avec enthousiasme son mouvement de jeunesse. En effet, vous ne pouvez ignorer aucun signal lorsque vous décidez de vous engager dans un travail comme celui-ci.

    Vous savez que vous prenez des risques, mais Backstair, en tant qu’unité d’investigation, et Fanpage, en tant que journal, mènent des enquêtes sous couverture depuis plusieurs années, et nous savons tous comment nous préparer à n’importe quel scénario. Je suis journaliste, et tout journaliste a le devoir de documenter les choses et de raconter ce qu’il voit. Même si ce que vous montrez met mal à l’aise le pouvoir en place, je n’ai fait que mon travail.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/270624/hymnes-mussolini-et-sieg-heil-l-interieur-du-mouvement-de-jeunesse-du-part

    #Fratelli_d'Italia #fascisme #néo-fascisme #Italie #jeunesse #TAR #Nazione_futura #Ferrante_de_Benedictis #Giovanni_Donzelli #Andrea_Piepoli #Piermarco_Silvestroni #Marco_Silvestroni #Casa_Italia #Arianna_Meloni #Colle_Oppio #Fabio_Rampelli #Patrizio_Silvestroni #musique #Aurora #Azione_giovani #Fabio_Roscani #Marco_Perissa #Paolo_Trancassini #Cabiria #extrême_droite

  • Aux Canaries, l’île d’El Hierro, nouvelle porte d’entrée des migrants vers l’Espagne
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/11/04/aux-canaries-l-ile-d-el-hierro-nouvelle-porte-d-entree-des-migrants-vers-l-e

    Aux Canaries, l’île d’El Hierro, nouvelle porte d’entrée des migrants vers l’Espagne
    Par Sandrine Morel (El Hierro (Canaries), envoyée spéciale)
    Plus de 13 000 migrants sont arrivés dans l’archipel espagnol durant le seul mois d’octobre, dont près de 7 300 sur le territoire le plus petit, qui tente d’échapper à « l’effet Lampedusa », du nom de l’île italienne débordée par les arrivées. Coque contre coque, douze pirogues sénégalaises aux couleurs vives et autant de barques mauritaniennes sont amarrées sur la jetée du tout petit port de pêche traditionnelle de La Restinga, aux Canaries. Sur le quai, deux ouvriers, débordés, s’affairent pour les détruire et faire de la place. Longtemps, lorsque des migrants accostaient sur l’île d’El Hierro, la plus petite et la plus occidentale de l’archipel espagnol, ce n’était que par « accident », parce qu’ils s’étaient perdus dans l’immensité de l’océan Atlantique baignant les côtes rocheuses, noires et escarpées, de cet ancien volcan situé au large du sud du Maroc. A présent, non seulement ils s’y rendent volontairement mais, depuis cet été, El Hierro, qui ne compte que trois communes et moins de 10 000 habitants sur un territoire de 268 kilomètres carrés, est devenue la principale porte d’entrée en Espagne par la mer.
    « Le Maroc a renforcé la surveillance de ses côtes, et même si des canots pneumatiques et des barques continuent d’en partir, on observe une certaine reconfiguration des routes migratoires, explique Sofia Hernandez, responsable du centre de coordination de la société publique de sauvetage en mer Salvamento maritimo, à Las Palmas de Gran Canaria. En s’éloignant du littoral, pour ne pas être interceptées par les garde-côtes, avant de mettre le cap au nord, les pirogues qui partent du Sénégal se dirigent droit sur El Hierro… » Si tout va bien, après six à huit jours en mer et près de 1 500 kilomètres parcourus, les passagers, essentiellement sénégalais, mais aussi gambiens et guinéens, arrivent dans cette réserve de la biosphère.
    Durant le seul mois d’octobre, près de 7 300 migrants y ont ainsi accosté – du jamais-vu en un si court laps de temps. « Même la “crise des pirogues” de 2006 n’est pas comparable à ce qui se passe ici », explique Javier Armas, sénateur et conseiller municipal du village El Pinar, en référence aux 31 000 migrants qui, cette année-là, avaient débarqué aux Canaries. Un nombre sur le point d’être dépassé : près de 30 000 migrants sont déjà arrivés sur l’archipel entre le 1er janvier et 31 octobre. Au moins 778 sont morts ou ont disparu durant le premier semestre lors de la traversée périlleuse, selon le collectif d’aide aux migrants Caminando Fronteras.
    Bacari Djassi y a échappé de peu. Parti en avril 2021 de Nouakchott, en Mauritanie, à bord d’un bateau de pêche où 65 migrants comme lui avaient pris place, le périple de ce jeune Sénégalais, alors âgé de 16 ans, devait durer quatre ou cinq jours. « Au sixième jour, on a compris que l’on s’était perdus. On n’avait plus rien à boire ni à manger. Un premier passager est mort après avoir bu de l’eau de mer. Les jours suivants, il a fallu jeter à l’eau 17 corps… », explique le jeune homme, originaire de Kolda, en Casamance.
    Au douzième jour, un chalutier les a finalement repérés au large d’El Hierro. « Quand les secours nous ont amenés au port, personne ne pouvait marcher, sauf le capitaine et ses deux amis, qui avaient gardé de l’eau », se souvient Bacari Djassi, assis sur un muret qui domine la mer à Valverde, la capitale de l’île. Après deux ans dans un centre d’accueil pour mineurs isolés, il y vit désormais avec sa petite amie espagnole et leur bébé de 2 mois. Volontaire à la protection civile, il aide les secouristes et fait partie du club de lutte canarienne, revitalisé grâce à la venue des jeunes migrants.
    Eviter un « effet Lampedusa » Comme lui, Siny Diop, Sénégalais de 22 ans, fait partie des « anciens » arrivés avant la vague de cet été qui se sont intégrés. Embauché dans une exploitation de bananiers avec trois autres compatriotes, il gagne près de 1 100 euros par mois, paie 250 euros de loyer et envoie 150 euros à sa famille. Il économise le reste, avec l’espoir un jour de retourner monter un négoce au Sénégal. En attendant, il joue dans la petite équipe de football Atletico El Pinar.
    Sur l’île, longtemps très pauvre, les arrivées de migrants ont d’abord suscité une vague de solidarité. « Nous avons tous des grands-parents ou des arrière-grands-parents qui ont émigré à Cuba ou au Vénézuéla pour fuir les pénuries et nous savons ce que signifie chercher ailleurs un avenir meilleur », rappelle Francis Mendoza, chef des volontaires des services de protection civile qui n’a pas hésité à écourter ses vacances pour revenir prêter main-forte à ses collègues cet été. Javier Armas souligne toutefois qu’il « faut prendre garde à ce que les services publics suivent et que les habitants ne se sentent pas délaissés. Les pêcheurs, les centres de plongée et les hôteliers sont gênés. Le port est encombré, la rade polluée, et le personnel de la Croix-Rouge, les volontaires et les capitaines de bateaux de sauvetage sont épuisés ».
    Prise de court cet été, la population a vu le médecin et l’infirmière de garde de l’unique centre médical de Valverde mobilisés pour soigner les migrants, qui souffrent souvent de brûlures et des symptômes de déshydratation. Depuis, une équipe a été envoyée en renfort, mais le petit hôpital de 20 lits reste sous tension et les hôteliers du port de La Restinga craignent que les touristes fuient l’île. Le président du parti d’extrême droite Vox, Santiago Abascal, a d’ores et déjà tenté de récupérer politiquement ces tensions lors d’une visite à La Restinga, le 19 octobre, pour dénoncer « l’invasion migratoire ».
    Malgré les défis posés par les arrivées de migrants, tout est fait pour éviter sur l’île d’El Hierro un « effet Lampedusa », du nom de l’île italienne débordée par les arrivées. Une fois identifiés par la police dans le centre d’accueil précaire aménagé sous une vaste tente, dans l’ancien pavillon des sports de San Andres, les adultes sont transférés en moins de soixante-douze heures sur l’île de Tenerife, plus grande et mieux préparée, avec un ordre d’expulsion en poche – peu effectif étant donné les difficultés posées par les pays d’origine pour accepter les rapatriements. Lorsque les capacités d’accueil des Canaries sont atteintes (6 300 places), ils sont envoyés sur la péninsule, où des ONG leur procurent un hébergement durant un mois. Le gouvernement espagnol prévoit d’ouvrir 11 000 places supplémentaires.
    Devant le centre de migrants de Las Canteras, installé dans une ancienne caserne militaire à 15 kilomètres au nord de Santa Cruz de Tenerife, les Sénégalais Oussénou Bouich, pêcheur, et Moussa N’Diaye, soudeur, tous deux âgés de 20 ans, et Daouda Gningue, conducteur d’engin agricole, arrivés il y a moins d’une semaine après avoir payé entre 400 000 et 450 000 francs CFA (environ 680 euros), attendent avec impatience de gagner le continent et de poursuivre leur route. Ils partagent le même souhait de trouver « du travail » et « une bonne vie » à Madrid, Paris, Londres ou Berlin. Plus que la crise politique qui secoue le Sénégal, ils disent fuir « la misère » et « le manque d’espoir ».Sur l’île d’El Hierro, seuls restent les mineurs isolés, placés sous la tutelle des régions. Ils sont ainsi près de 260, actuellement, répartis entre une résidence étudiante, une ancienne garderie et d’autres sites provisoires. « Les habitants sont très empathiques mais nous n’avons pas les moyens matériels d’accueillir, de scolariser et d’intégrer socialement autant d’enfants. Si nous voulons le faire bien, nos capacités ne nous permettent pas de prendre en charge plus d’une cinquantaine d’entre eux », estime le président socialiste du cabildo, le gouvernement insulaire, Alpidio Armas. Le ministre de l’intérieur espagnol, Fernando Grande-Marlaska, qui met la recrudescence des arrivées sur le compte de l’« instabilité dans le Sahel », s’est rendu le 30 octobre à Dakar afin de renforcer les mécanismes de lutte contre les réseaux de trafic de migrants et tenter de réactiver les vols de rapatriement, très impopulaires pour les gouvernements africains. Au contingent de 33 gardes civils et de 5 policiers espagnols – dotés de quatre embarcations, d’un hélicoptère et de 13 véhicules tout-terrain – qui collaborent avec les autorités sénégalaises, s’est ajouté, le 17 octobre, un avion de la garde civile pour surveiller les côtes sénégalaises et mauritaniennes. Sur l’île d’El Hierro, ces derniers jours, seul le mauvais temps en mer a été capable de ralentir le rythme des arrivées.

    #Covid-19#migration#migrant#espagne#canaries#iledelhierro#routemigratoire#traversee#atlantique#maroc#mauritanie#senegal#casamance#kolda#sahel#migrationirrreguliere#rapatriement#politiquemigraroire

  • Le Maire, Mussolini et le musée

    En Italie, le maire #Giorgio_Frassineti estime que l’éducation est aujourd’hui le seul moyen de combattre l’#héritage du #fascisme. À #Predappio, sa ville, qui est aussi la ville natale de #Mussolini devenue une destination de #pèlerinage_fasciste, il veut créer un #musée sur le fascisme. Son successeur à la mairie poursuivra-t-il ce combat ?

    https://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/67258
    #film #film_documentaire #documentaire

    #néo-fascisme #Casa_del_Fascio #urbanisme #mémoire #histoire #Braunau_am_Inn #négation #Berghof #Munich

  • L’affare CPR, un sistema che fa gola a detrimento dei diritti

    Sono 56 i milioni di euro previsti complessivamente, nel periodo 2021-2023, dagli appalti per affidare la gestione dei #Centri_di_Permanenza_per_il_Rimpatrio (CPR) ai soggetti privati. Costi da cui sono esclusi quelli relativi alla manutenzione delle strutture e del personale di polizia. Cifre che fanno della detenzione amministrativa una filiera molto remunerativa che, non a caso, ha attratto negli ultimi anni gli interessi economici di grandi multinazionali e cooperative. La privatizzazione della gestione è, infatti, uno degli aspetti più controversi di questa forma di detenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattere di eccezionalità: il consentire che su quella privazione della libertà personale qualcuno possa trarne profitto.

    Ad illustrare questa situazione è la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), che questa mattina a Roma ha presentato un nuovo rapporto sul tema, intitolato “L’affare CPR. Il profitto sulla pelle delle persone migranti”, all’interno del quale grande attenzione è stata dedicata alle multinazionali #Gepsa e #ORS, alla società #Engel s.r.l. e alle Cooperative #Edeco-Ekene e #Badia_Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia.

    Una storia tutt’altro che nobile fatta di sistematiche violazioni dei diritti delle persone detenute, con la possibilità per gli enti gestori di massimizzare -in maniera illegittima- i propri profitti anche a causa della totale assenza di controlli da parte delle pubbliche autorità. Nel Rapporto, infatti, si dà ampio spazio alla denuncia delle condizioni di detenzione che rischiano di configurarsi come inumane e degradanti e alla strutturale negazione dei diritti fondamentali dei detenuti. Il diritto alla salute, alla difesa, alla libertà di corrispondenza non sono, infatti, tutelati all’interno dei CPR: luoghi brutali che consentono ai privati di speculare sulla pelle dei reclusi, grazie anche alla totale assenza di vigilanza da parte del pubblico.

    “Da sempre questi centri – ha dichiarato Arturo Salerni, presidente di CILD – hanno rappresentato un buco nero per l’esercizio dei diritti da parte delle persone trattenute. Essi rappresentano un buco nero anche sotto il profilo delle modalità e dell’entità della spesa, a carico dell’erario, a fronte delle gravi carenze nella gestione e delle condizioni in cui si trovano a vivere i soggetti che incappano nelle maglie della detenzione amministrativa, ovvero della privazione della libertà in assenza di qualunque ipotesi di reato. Il proposito del governo di aumentarne il numero è il frutto di scelte dettate da un approccio tutto ideologico che non trova fondamento nell’analisi del fenomeno. L’esperienza degli ultimi 25 anni, a prescindere dalla gestione pubblica o privata dei centri, ci dice che bisogna guardare a forme alternative e non coercitive per affrontare la questione delle presenze irregolari sul territorio nazionale, che bisogna accompagnare le persone in percorsi di regolarizzazione e di emersione, cancellando l’obbrobrio della detenzione senza reato”.

    https://cild.eu/blog/2023/06/08/laffare-cpr-un-sistema-che-fa-gola-a-detrimento-dei-diritti

    Une #carte localisant les lieux de rétention administrative en Italie :


    #cartographie

    Pour télécharger le rapport :
    https://wp-buchineri.cild.eu/wp-content/uploads/2023/06/ReportCPR_2023.pdf

    #rapport #CPR #CILD #détention_administrative #rétention #business #privatisation #Italie #multinationales #coopératives #profits #droits_humains #CIE

    –—

    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

    • “L’affar€ CPR”: un rapporto di CILD mette alla sbarra gli enti gestori

      Il profitto sulla pelle delle persone migranti

      Nel giugno scorso la Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) ha pubblicato un accurato rapporto dal titolo “L’affar€ CPR: il profitto sulla pelle delle persone migranti” 1, che analizza la gestione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani da parte delle principali cooperative e imprese private che ne detengono o ne hanno detenuto l’appalto, vincendo i diversi bandi di gara istituiti dalle prefetture.

      Introdotta formalmente nel 1998 2 la detenzione amministrativa in Italia prevedeva inizialmente la facoltà per i questori, qualora non fosse possibile eseguire immediatamente l’espulsione delle persone extracomunitarie, di disporne il trattenimento per un massimo di 20 giorni (prorogabile di ulteriori 10) all’interno dei CPTA, Centri di Permanenza Temporanea e di Assistenza.

      Nel 2008 3, i CPTA diventano Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), e, nel 2009 4, i termini massimi di trattenimento vengono estesi a 180 giorni, per poi venire portati a 18 mesi nel 2011 5. Nel 2017 6, la c.d legge Minniti-Orlando ha ulteriormente modificato la denominazione di tali centri, rinominandoli Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR). Infine, il decreto Lamorgese del 2020 ha emendato alcune disposizioni, riducendo i termini massimi di trattenimento a 90 giorni per cittadini stranieri il cui paese d’origine ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri con l’Italia 7.

      Inizialmente, i CPTA erano gestiti dall’ente pubblico Croce Rossa Italiana, e già all’ora diverse organizzazioni della società civile avevano denunciato le pessime condizioni di trattenimento, l’inadeguatezza delle infrastrutture e il sovraffollamento. In seguito al “pacchetto sicurezza” varato dal Ministro Maroni nel 2008, la situazione si aggrava, con la progressiva tendenza dello Stato a cercare di contenere i costi il più possibile. Così, diverse cooperative iniziano a partecipare ai bandi di gara, proponendo offerte a ribasso ed estromettendo la Croce Rossa. Infine, dal 2014, non solo le cooperative ma anche grandi multinazionali che già gestiscono centri di trattenimento in tutta Europa, iniziano a presentarsi e vincere i diversi bandi per l’assegnazione della gestione dei CPR.

      Multinazionali che si aggiudicano gare d’appalto proponendo ribassi aggressivi, a totale discapito dei diritti umani delle persone trattenuti. L’esempio più lampante è l’assistenza sanitaria, in quanto nei CPR, non è il SSN ad esserne competente, bensì l’ente gestore. Infine, nel triennio 2021-2023, le prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per la gestione dei 10 CPR presenti in Italia, complessivamente, per 56 milioni di euro, da sommare al costo del personale di polizia e la manutenzione delle strutture.

      Tra le principali imprese messe alla sbarra dal Report di CILD ci sono:

      Gruppo ORS (Organisation for Refugees Services). Multinazionale con sede a Zurigo, gestisce oltre 100 strutture di accoglienza e detenzione tra Svizzera, Austria, Germania e Italia. Sebbene risulti iscritta nel registro delle imprese dal 2018, ha iniziato la sua attività economica in Italia solo nel 2020. Nel 2019, si aggiudica l’appalto per la gestione del CPR di Macomer, in Sardegna (sebbene risultasse ancora “inattiva”). Nel 2020, gestisce il Cas di Monastir (Sardegna), due centri d’accoglienza a Bologna nel 2021, alcuni Cas a Milano, il CPR di Roma (Ponte Galeria) e quello di Torino.

      Nel centro di Macomer, personale medico ha denunciato l’assenza di interventi da parte delle autorità competenti in seguito a diversi episodi che hanno visto i trattenuti mettere a rischio la propria sicurezza. Inoltre, a più riprese è stata riportata l’impossibilità di effettuare ispezioni all’interno del centro da parte del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Infine, un’avvocata che seguiva diversi clienti trattenuti, ha denunciato la sporcizia e l’inadeguatezza delle visite mediche di idoneità, che ha portato, tra l’altro, al trattenimento di soggetti affetti da gravi forme di diabete e soggetti sottoposti a terapia scalare con metadone, condizioni incompatibili con la detenzione amministrativa.

      Nel CPR di Roma è stata più volte denunciata l’insufficienza di personale, l’inadeguatezza dei locali di trattenimento (per esempio, l’assenza di luce naturale) e l’assenza della possibilità, per le persone recluse, di svolgere qualsiasi attività ricreativa. Anche a Torino, la delegazione CILD in visita ha riportato l’illegittimo trattenimento di persone soggette a terapia scalare con metadone, alto tasso di autolesionismo e abuso di psicofarmaci e tranquillanti somministrati.

      Cooperativa EKENE. Cooperativa sociale padovana che nel corso degli ultimi 10 anni ha spesso cambiato nome (nata come Ecofficina, poi Edeco 8 e infine Ekene), in quanto spesso al centro di inchieste giornalistiche, interrogazioni parlamentari e procedimenti giudiziari legati ad una cattiva gestione di alcuni centri d’accoglienza, come lo SPRAR di Due Carrare (Padova), dove la Procura di Padova aveva aperto un’indagine per truffa e falso in atto pubblico, tramutatasi in una maxi indagine estesasi ad alcuni vertici della Prefettura di Padova, per gare truccate e rivelazioni di segreto d’ufficio.

      Nel 2016, diversi giornalisti e ricercatori avevano ripetutamente denunciato il sovraffollamento e la malnutrizione di diversi centri in gestione alla cooperativa, come l’ex Caserma Prandina, il centro di Bagnoli e Cona (VE), dove, nel 2017, la donna venticinquenne Sandrine Bakayoko è morta per una trombosi polmonare, quando all’interno del centro erano ospitate più di 1.300 persone, in una situazione di sovraffollamento e forte carenza di personale. Nel 2016, è stata espulsa da Confcooperative Veneto, con l’accusa di gestire l’accoglienza seguendo un modello che guardava al business a discapito della qualità dei servizi.

      Tuttavia, nel 2019 si aggiudica l’appalto del CPR di Gradisca d’Isonzo, a Gorizia in FVG, un appalto da circa 5 milioni di euro per un anno, attualmente in proroga tecnica. Dalla riapertura nel 2019, il CPR di Gradisca è quello dove si sono verificati più decessi. Dal 2019, quattro persone sono decedute, due per complicazioni in seguito all’abuso di farmaci, e due suicidi. Ciò mette in risalto la malagestione delle visite di idoneità all’ingresso, nonché l’inadeguatezza delle condizioni di trattenimento. Inoltre, diversi avvocati hanno denunciato la difficoltà nello svolgere colloqui coi trattenuti, e come le persone trattenute non venissero nemmeno informate del diritto a fare domanda d’asilo una volta entrate in Italia.
      Nel dicembre 2021 Ekene si aggiudica anche la gestione del CPR di Macomer.

      ENGEL ITALIA S.R.L. Società costituita nel 2012 con sede legale a Salerno. Nata come ente gestore nel settore alberghiero, presto inizia ad occuparsi di strutture d’accoglienza per persone richiedenti asilo nella zona di Capaccio-Paestum. Sebbene sia una società fallibile dal 2020, è riuscita ad ottenere la gestione del CPR di Palazzo San Gervasio (Basilicata) e Via Corelli (Milano), grazie alla cessione di un ramo dell’azienda ad una società terza, Martinina s.r.l, con la stessa persona come amministratrice unica.

      Già nel 2014, Engel era stata al centro della cronaca per la discutibile gestione del centro di accoglienza di Capaccio-Paestum, dove agli ospiti non venivano erogati beni di prima necessità come cibo e vestiti. Era stata denunciata anche l’assenza di corsi d’italiano e l’irregolarità nell’erogazione del pocket money. Inoltre, molti ospiti avevano denunciato abusi e maltrattamenti all’interno del centro.

      Nel 2018 Engel si aggiudica l’appalto del CPR di Palazzo San Gervasio, con un ribasso sul prezzo d’asta del 28,60%, che ha gestito fino al marzo 2023. Fin da subito, il Garante nazionale per le persone private della libertà, in seguito ad una visita al centro, ne aveva denunciato le pessime condizioni: assenza di locali comuni, trattenuti costretti a consumare i pasti in piedi, e la presenza di solo tre docce comuni. Gli ambienti di pernotto, privi di un sistema di isolamento, risultavano caldissimi d’estate e molto freddi d’inverno.

      Sebbene il centro sia stato chiuso a metà del 2020 per lavori e riaperto a febbraio 2021, secondo CILD le condizioni continuerebbero ad essere critiche. Continua a mancare un locale mensa, e in stanze da 25mq sono ospitate fino ad 8 persone. Inoltre, anche per Palazzo San Gervasio è stata denunciata l’inadeguatezza delle visite di idoneità al trattenimento e la difficoltà per i trattenuti di avere accesso alla corrispondenza coi propri avvocati.

      Anche nel CPR di Milano, per il quale Engel ha ottenuto l’appalto nel 2021 e nel 2022, sono state denunciate le terribili condizioni dei locali, e l’incredibile numero di gabbie e reti di ferro, che danno l’impressione di isolamento estremo, non solo dall’esterno ma anche dal personale all’interno del centro. Anche il cibo e i letterecci erogati risultano di pessima qualità.

      GEPSA. Multinazionale francese che dal 2011 inizia ad investire in Italia nel campo dell’accoglienza, si aggiudica diversi appalti proponendo una strategia aggressiva, con un ribasso sulle basi d’asta dal 20% al 30%. Dal 2014 al 2017 gestisce il CIE di Ponte Galeria, dal 2014 al 2017 il CIE di Milano e dal 2015 al 2022 il CIE di Torino. Dal 2011 al 2014 avrebbe dovuto gestire anche il CIE e CARA di Gradisca d’Isonzo, ma l’aggiudicazione è stata annullata dal TAR del Friuli-Venezia Giulia per la mancanza di requisiti adeguati delle imprese facenti parti della rete.

      Del CPR di Torino, era stata denunciata l’eccessiva militarizzazione e la carenza di personale civile, nonché l’assenza di relazioni tra trattenuti ed operatori, che non entravano quasi mai nelle aree di detenzione. In particolare, Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, in seguito ad una visita al centro, aveva denunciato come i trattenuti fossero costantemente sorvegliati da personale militare, che stavano letteralmente in mezzo tra trattenuti ed operatori, con funzioni di sorveglianza, ma senza interagire coi primi. Sempre nel CIE di Torino, sono stati riportati numerosi casi di malasanità, assenza di personale medico e la presenza di locali per l’isolamento dei trattenuti, che, secondo ASGI, poteva protrarsi fino a 5 mesi, in maniera del tutto arbitraria e illegittima.
      Durante gli anni della gestione Gepsa, nel CPR di Torino si sono verificate due morti e numerosi casi di autolesionismo e rivolta.

      BADIA GRANDE. Cooperativa sociale fondata nel febbraio 2007, con sede legale a Trapani, e presto si impone come colosso nel settore dell’accoglienza migranti nel Sud d’Italia, vincendo numerose gare d’appalto, soprattutto nel siciliano. Dal 2018 al 2022 gestisce il CPR di Bari-Palese e dal 2019 al 2020 quello di Trapani Milo. Nel 2021, diverse fonti giornalistiche denunciano la mala gestione del CPR di Bari, e diverse personalità dipendenti della cooperativa vengono rinviate a giudizio per casi di frode nell’esecuzione del contratto d’affidamento, in particolare nell’assistenza sanitaria e le misure di sicurezza sul lavoro.

      Anche per la gestione del CPR di Trapani la cooperativa viene indagata per frode nelle pubbliche forniture e truffa. Inoltre, in una visita nel 2019, il Garante nazionale riscontra l’assenza di vetri in molte finestre, assenza di porte e separatori che garantiscano la privacy nell’accesso ai servizi igienici, e l’assenza di locali per il consumo dei pasti, che i trattenuti sono obbligati a consumare sui letti o in piedi.

      Il rapporto si conclude con un’accurata riflessione sull’istituto della detenzione amministrativa, e su come ciò si sia dimostrata terreno fertile per “una pericolosissima extraterritorialità giuridica”, in cui non trovano applicazione neanche quei principi costituzionali che dovrebbero considerarsi inderogabili”. Infine, CILD sostiene che, sebbene la detenzione amministrativa abbia progressivamente creato un sistema che consente ad enti privati di “fare profitto sulla pelle delle persone detenute”, la soluzione non sarebbe la gestione dei CPR da parte del settore pubblico, bensì il superamento del sistema della detenzione amministrativa, da collocare in un quadro più ampio di gestione del fenomeno migratorio attraverso politiche più aperte verso la regolarizzazione degli ingressi, per motivi di lavoro, familiari o di protezione internazionale.

      https://www.meltingpot.org/2023/08/laffare-cpr-un-rapporto-di-cild-mette-alla-sbarra-gli-enti-gestori

    • Le prefetture non controllano i Cpr. Inchiesta su appalti e gestione

      Dall’esame delle offerte di gara presentate da diversi enti gestori dei centri per il rimpatrio emergono carte false o promesse inverosimili. Da Nord a Sud, il monitoraggio pubblico latita. Mentre si vuole esportare il modello in Albania.

      Protocolli falsi o palesemente inverosimili negli appalti milionari indetti dalle prefetture per la gestione dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Dai corsi di chitarra e computer al bricolage fino ai gruppi di lettura: sono alcune delle promesse irrealizzabili che gli enti gestori di alcuni Cpr italiani hanno indicato nero su bianco per aggiudicarsi le gare pubbliche. Con il benestare (e il mancato controllo) prefettizio.

      “Un quadro estremamente preoccupante considerando che questi appalti intaccano diritti fondamentali delle persone”, spiega la professoressa Nicoletta Parisi, ex membro dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che ha analizzato i documenti inediti ottenuti tramite accesso civico da Altreconomia. Per il Governo Meloni, invece, un modello da replicare anche in Albania. A #Gjader, stando agli annunci del governo, entro il 20 maggio sarà operativo un Cpr da 144 posti.

      Emblematico è il caso di Ekene, ente che gestisce i Cpr di #Macomer (NU) e #Gradisca_d’Isonzo (GO). Nell’offerta tecnica – quel documento in cui si illustra come verrà gestito il centro- presentata il 18 novembre 2019 per la struttura friulana, la cooperativa promette di realizzare spettacoli, attività di bricolage e pittura per gli “ospiti”. Offre la “presenza di console per videogiochi” e di “interazione con la comunità dei gamer” con la possibilità di incontri alla “fiera dell’elettronica di Pordenone”. E poi gruppi di lettura e cineforum organizzati con l’assessorato alla Cultura di Gradisca che avrebbe dovuto anche favorire l’esposizione delle “tele dipinte a mano dagli ospiti”.

      “Ekene ci aveva contattato per collaborare su un’altra struttura del territorio e noi non avevamo assentito -spiega la sindaca, Linda Tomasinsig-. Non ci hanno mai scritto per il Cpr né poi contattato per realizzare queste attività”. Ma proprio sull’efficienza “degli accordi con soggetti istituzionali volti alla realizzazione di iniziative ricreative, sociali e religiose”, si legge nei documenti di gara, la cooperativa ha ottenuto il punteggio più alto tra i concorrenti.

      Ekene, che non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento, gestisce il centro di Gradisca dal 18 novembre 2019 e oggi è alla terza “proroga tecnica”: la nuova gara d’appalto è ancora aperta dal 22 febbraio 2022. Intanto, dal gennaio 2020 a oggi, nella struttura sono morte quattro persone. La prefettura scrive ad Altreconomia di aver svolto una sola ispezione a inizio febbraio 2023. Il risultato? “Gli esiti non sono tutt’oggi ancora consolidati in un documento finale”. Anche in Sardegna i controlli sono pochi.

      La prima ispezione della prefettura di Nuoro nel Cpr di #Macomer è del 23 febbraio 2023, a tre anni dalla sua apertura. A quell’accesso ne è seguito solo un altro, il 17 gennaio 2024: nel verbale si dà conto dello svolgimento nel centro di attività ricreativa e dell’utilizzo di “colori a tempera, ‘das’ e palloni”. “Da quanto ho visto non succede niente di tutto questo”, spiega la deputata di Alleanza Verdi-Sinistra Francesca Ghirra, che a fine marzo di quest’anno ha visitato la struttura con l’associazione Naga e la rete Mai più lager-No ai Cpr. La prefettura elenca tra le attività svolte anche “esami universitari con Uni Sassari”. L’ateneo ha scritto ad Altreconomia di non avere avuto alcun contatto con la struttura.

      La cooperativa Ekene promette però nell’offerta tecnica corsi di formazione oltre che “attività ludico-ricreative e laboratoriali” e presenta protocolli siglati con quattro associazioni per realizzarle. La prima è la “#World_Promus” di Catania, con un codice fiscale che risulta inesistente. E poi altri tre enti con sede però nel padovano: #Tuendelee (molto vicina alla stessa Ekene), l’#International_online_university e l’associazione #Spes, con il compito di fare una presunta informativa sui rimpatri volontari. Quella che dovrebbe essere la rappresentante legale (Spes non compare in nessuno dei diversi elenchi di associazioni consultati online) dichiara di non aver mai svolto attività nella struttura.

      Nell’offerta tecnica di Macomer lo stretto legame con Padova e il Cpr di Gradisca è forte. Quasi tutto il personale individuato per essere operativo nella struttura sarda risulterebbe infatti residente in Veneto. E alcuni nomi tornano in entrambi documenti presentati da Ekene sia a #Nuoro sia a #Gorizia nel 2019: quelli del medico e del responsabile del magazzino. Che è #Roberto_La_Rosa, rinviato a giudizio per omicidio colposo insieme all’ex rappresentante legale di Ekene #Simone_Borile, a seguito della morte di #Vakhtang_Enukidze, avvenuta nel Cpr friulano il 18 gennaio 2020.

      Il ministro dell’Interno #Matteo_Piantedosi ha dichiarato il 19 febbraio 2024 che ci sono “sistemi di monitoraggio continui rispetto alle condizioni basilari di vita nei Cpr” e che “il richiedente asilo non è previsto che sia trattenuto all’interno delle strutture”. Secondo i dati forniti ad Altreconomia dallo stesso ministero dell’Interno, invece, sono 256 i richiedenti protezione internazionale reclusi tra gennaio 2023 e febbraio 2024.

      Anche i nomi delle aziende individuate per fornire i pasti ritornano in entrambe le offerte tecniche: contattate da Altreconomia, però, hanno spiegato che non coprono la Sardegna o non hanno forniture attive a Macomer. La #Vi&Vi Srl, addirittura, è fallita a inizio 2022. “Questa distanza geografica rilevabile dagli atti -spiega Maria Teresa Brocchetto, avvocata amministrativista e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)- così come l’impossibilità materiale della prestazione offerta sollevano gravi dubbi sull’effettiva capacità di controllo di ciò che avviene nel centro sardo, sulla qualità delle forniture e sulle connesse responsabilità”.

      Spostandosi a #Bari, invece, l’ente #La_Mano_di_Francesco_Ets, con sede a Favara (AG), scrive nell’offerta tecnica che “per le peculiarità che caratterizzano il Cpr” sono stati coinvolti “enti selezionati con cura per la loro serietà ed affidabilità”. Su 14 protocolli presentati alla prefettura, dieci riguardano associazioni che operano a quasi 700 chilometri da Bari, soprattutto nell’agrigentino, dove si trova la ha sede dell’ente gestore.

      Uno prevede lo sviluppo di “attività riparative a favore della collettività”, sottoscritto con l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna del ministero della Giustizia. E poi c’è l’azienda #Cyan_Developer di Taranto per corsi di computer. “Non conosco l’ente gestore e non ho firmato protocolli”, dichiara il titolare #Angelo_Cimino. Altreconomia non ha potuto verificare la veridicità degli altri accordi perché la prefettura ha inviato solo i quattro “ritenuti pertinenti al servizio oggetto di gara”.

      “La stazione appaltante non può selezionare solo alcuni elementi dell’offerta tecnica perché è come se la modificasse -sottolinea Parisi, ex membro dell’Anac-. Se uno fosse effettivamente falso, non si può escludere che l’intera offerta diventi inammissibile”. Anche la pertinenza di quelli che abbiamo potuto consultare è problematica.

      Il primo è semplicemente la ricevuta dell’invio della pec con la quale #La_Mano_di_Francesco aveva richiesto la collaborazione dell’Asl (che ci ha confermato di non aver siglato alcun accordo), il secondo riguarda l’#Efal_Salento per “attività di formazione e aggiornamento professionale”. L’accordo è a firma dell’ex presidente #Gregorio_Dell’Anna, ma #Sandro_Renis, che ricopre la carica da fine febbraio 2023, dichiara ad Altreconomia di essere all’oscuro di tutto.

      Una terza associazione, #Anas_Puglia, avrebbe dovuto realizzare attività “di promozione di politiche dell’immigrazione”. Il referente #Luigi_Favia dichiara che non è mai entrato nel Cpr. Infine, “#Avetrana_Soccorso” doveva svolgere “attività di trasporto sanitario”. Ma la sede dell’associazione è in provincia di Taranto, a quasi due ore d’auto da Bari. Dell’unica ispezione della prefettura nel centro dall’insediamento del nuovo gestore, avvenuto il 6 novembre 2023, “gli esiti sono ancora in via di definizione”.

      Nel Cpr di Trapani, dove per la Corte europea dei diritti dell’uomo le condizioni di vita sono “degradanti”, la prefettura ha svolto una sola visita ispettiva il 29 agosto 2023

      A Trapani, invece, #Consorzio_Hera e #Vivere_Con, attuali enti gestori del Cpr, hanno allegato più di 50 protocolli all’offerta tecnica, esaminati da Altreconomia insieme all’Asgi e alla Clinica legale migrazioni e diritti dell’Università di Palermo. Sono previste attività sportive “per eliminare le barriere di genere e la segregazione dei migranti trattenuti” aumentando “autopercezione e immagine di sé” ma almeno due accordi presenterebbero date incompatibili con le sottoscrizioni: quello siglato nel 2021 con l’#Asd_Pallavolo ‘95 Mazara del Vallo porta la firma di un presidente che si era dimesso tre anni prima. Idem, da riscontri online, sull’Asd Mazara calcio.

      Altri protocolli, invece, siglati per attività in Cas e Sprar sono stati usati anche per il Cpr. “Un aspetto che la prefettura avrebbe dovuto verificare in sede di gara”, sottolinea Parisi. Un problema che ritorna anche con le attività ludiche. Viene previsto un corso di chitarra acustica per “24 incontri dalla durata di un’ora e mezza circa” ma l’unica associazione, tra quelle firmatarie dei protocolli, che li prevede espressamente è “#L’arrotino_e_l’ombrellaio”: nell’accordo non si cita il Cpr e il rappresentante conferma di non esserci mai entrato.

      Le ispezioni svolte in nove Cpr, secondo quanto riferito dalle prefetture, sono state 33. Il 30% a Palazzo San Gervasio (11 nel periodo 2019-2024), a seguire Milano (sei tra il 2020 e il 2023), Bari (sei tra il 2022 e il 2023), Roma (tre, 2022-agosto 2023). Due a Macomer (2020-2024) e Caltanissetta (2023). Solo una a Brindisi (2023-2024), Trapani e Gradisca d’Isonzo (non specificato il periodo). Di queste, sono stati inviati ad Altreconomia e Asgi 24 verbali

      Lo stesso vale per l’assistenza religiosa: suor #Alessandra_Martin è la direttrice dell’associazione #Casa_della_Comunità_Speranza, che compare in uno dei protocolli (senza data): “Sono la presidente da sei anni e non ho mai visto quel documento -spiega-. Il paradosso è che nel 2023 ho chiesto per due volte alla prefettura di entrare nel Cpr senza poterlo fare”.

      Ancor più eclatante l’accordo con la #Parrocchia_Maria_SS_Ausiliatrice di Trapani: il parroco, monsignor #Antonino_Adragna, sarebbe andato in pensione cinque mesi prima della firma avvenuta nel dicembre 2021. Gli enti gestori non hanno risposto alle nostre richieste relative a quali attività si svolgano nel centro. Nel Cpr in cui le condizioni di vita erano “degradanti” -parole dei giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo dello scorso 7 febbraio- la prefettura ha svolto una sola visita ispettiva il 29 agosto 2023.

      Dal Cpr di Trapani è stato trasferito in quello di Roma #Ousmane_Sylla, 22enne guineano morto suicida il 5 febbraio 2024. Il centro è gestito da #Ors_Italia Srl che, per la mancata applicazione delle attività previste dai protocolli, è stata multata di 23mila euro dalla prefettura a seguito di un’ispezione del 16 novembre 2023.

      Un sistema che fa acqua da tutte le parti. Con la propaganda governativa che si scioglie di fronte ai numeri: a gennaio 2024 sono appena 462 le persone transitate nei Cpr (a gennaio 2023 erano stati 559). Quasi il 50% è di origine tunisina. Impressionante: benché nei centri l’anno scorso siano transitate persone di 45 cittadinanze e i tunisini rappresentino poco più del 10% degli sbarchi del 2023, una persona trattenuta su due proviene dalla Tunisia -spiega l’avvocato Maurizio Veglio-. Sempre di più lo Stato bersaglio delle politiche repressive e liberticide dell’Italia”.

      Non ci sono stati inviati i documenti relativi alle gare di #Brindisi e #Palazzo_San_Gervasio (PZ). I rispettivi enti gestori - #Consorzio_Hera (già analizzata su Trapani) e #Officine_Sociali (in gara anche a #Gorizia in cordata con #Martinina_Srl, sotto indagine per la gestione dei Cpr di #Potenza e #Milano, di cui a metà aprile è stata annunciata la temporanea chiusura)- ritengono che l’invio possa ledere il know how aziendale. “Stiamo predisponendo il ricorso al Tar per ottenerli -spiega l’avvocato Nicola Datena-. Visto il quadro preoccupante, la trasparenza è il minimo”. Le due cooperative sono ancora in gara, a metà aprile, per aggiudicarsi gli oltre 150 milioni di euro per la gestione dei centri in Albania. Vite in appalto, senza controllo, anche oltre il mar Adriatico.

      https://altreconomia.it/le-prefetture-non-controllano-i-cpr-inchiesta-su-appalti-e-gestione

      #sous-traitance #statistiques #2024

  • Valle di Susa, occuparono degli spazi per aiutare i migranti: tutti assolti

    La Procura aveva chiesto 19 condanne, riconoscendo però come attenuante che si era trattato di un’azione per scopi umanitari

    È finito con il proscioglimento di tutti i 19 imputati a Torino il processo per il caso degli edifici occupati in Alta Valle di Susa da gruppi di anarchici e antagonisti, nel 2018, per prestare assistenza e soccorso ai migranti diretti verso la Francia. Per la casa cantoniera di Oulx il tribunale ha sancito la «tenuità del fatto»; per i locali di pertinenza di una parrocchia a Claviere ha stabilito il non luogo a procedere per mancanza di querela. 

    La procura aveva chiesto 19 condanne riconoscendo però, come attenuante, che si era trattato di una azione per scopi umanitari. «Siamo soddisfatti parzialmente - è il commento di uno dei difensori, l’avvocato Danilo Ghia - perché, alla luce di quanto ha dimostrato il processo, bisognava arrivare a una assoluzione per «stato di necessità», in quanto gli imputati agirono per salvare la vita a delle persone».

    https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/22_dicembre_07/valle-di-susa-occuparono-degli-spazi-per-aiutare-i-migranti-tutti-as

    #casa_cantoniera #Oulx #justice #Chez_Jesuoulx #Val_de_Suse #frontière_sud-alpine #Italie #France #frontières #solidarité #acquittement #migrations #asile #réfugiés #Alpes #humanitaire

  • Italian fascists quoting #Samora_Machel and #Sankara

    The use of Marxist-inspired arguments, often distorted, to support racist or nationalist political positions, is known as “rossobrunismo” (red-brownism) in Italy.

    Those following immigration politics in Europe, especially Italy, may have noticed the appropriation of the words of Marxist and anti-imperialist heroes and intellectuals by the new nationalist and racist right to support their xenophobic or nationalist arguments. From Samora Machel (Mozambican independence leader), Thomas Sankara (Burkinabe revolutionary), Che Guevara, Simone Weil (a French philosopher influenced by Marxism and anarchism), to Italian figures like Sandro Pertini an anti-fascist partisan during World War II, later leader of the Socialist Party and president of the Italian republic in the 1980s, or Pier Paolo Pasolini (influential communist intellectual).

    The use of Marxist-inspired arguments, often distorted or decontextualized, to support racist, traditionalist or nationalist political positions, is referred to as rossobrunismo (red-brownism) in Italy.

    In Italy it got so bad, that a group of writers—some gathered in Wu Ming collective—made it their work to debunk these attempts. They found, for example, that a sentence shared on several nationalist online pages and profiles—attributed to Samora Machel—that condemned immigration as a colonial and capitalist tool to weaken African societies, was fake news.

    It also contaminated political debate beyond the internet: During his electoral campaign, Matteo Salvini, leader of the anti-immigration party Lega and current minister for internal affairs in Italy’s government, explicitly mentioned the Marxist concept of “reserve army of labor” to frame the ongoing migration across the Mediterranean as a big conspiracy to import cheap labor from Africa and weaken Italy’s white working class. As for who benefits from cheap, imported labor (as Afro-Italian activists Yvan Sagnet and Aboubakar Soumahoro have pointed out), Salvini says very little.

    The typical representative of red-brownism is Diego Fusaro, a philosopher who first became known, about a decade ago, for a book on the revival of Marxism in contemporary political thought. More recently, he promoted through his social media profiles and collaborations with far-right webzines like Il Primato Nazionale (published by neo-fascist party Casa Pound), a confused version of an anti-capitalist critique aggressively targeting not only the liberal left, but also feminist, LGBT, anti-racist activists and pro-migrant organizations. Fusaro has theorized that immigration is part of a “process of third-worldization” of Europe, where “masses of new slaves willing to do anything in order to exist, and lacking class consciousness and any memory of social rights” are deported from Africa. As if collective action, social movements and class-based politics never existed south of the Sahara.

    Yet, the appropriation of pan-Africanist thinkers and politicians like Machel and Sankara brings this kind of manipulation to a more paradoxical level. What could motivate the supporters of a xenophobic party, whose representatives have in the past advocated ethnic cleansing, used racial slurs against a black Italian government minister, or campaigned for the defense of the “white race,” to corroborate their anti-immigration stance through (often false) quotations by Machel or Sankara?

    To make this sense of this, it is useful to consider the trajectory of Kemi Seba, a Franco-Beninese activist who has sparked controversies in the French-speaking world for quite some time, and has only recently started to be quoted in Italian online discussions and blogs.

    Initially associated with the French branch of the American Nation of Islam, Kemi Seba has been active since the early 2000s in different social movements and his own associations, all positioned across the spectrum of radical Afrocentrism. In the polarized French debate, traditionally wary of even moderate expressions of identity politics, Kemi Seba’s radical statements predictably created public outcry and earned him the accusations of racial hatred—for which he has been repeatedly found guilty. An advocate of racial separatism (or ethno-differentialisme, as he defined it), he has quoted among his sources Senegalese historian Cheikh Anta Diop, from whom he took inspiration for his “kemetic” ideology claiming a black heritage for ancient Egyptian culture, and Marcus Garvey, whose ideas he reformulated in his call for all the black people living in France and in Europe to return to the African motherland—while classifying those remaining as “traitors.”

    While one would expect white oppressors to be his main target, Kemi Seba’s vehement attacks have often been directed toward other black activists and personalities living in France, accusing them of promoting integration or collaborating with the white system (and often qualifying them as macaques, monkeys, or as nègres-alibis, “negroes-alibis”). In recent years, however, he has declared he would abandon his initial supremacist positions to embrace a broader pan-African stance, and moved his main residence first to Senegal, later to Benin. Now addressing a predominantly West African audience, he has co-opted personalities, such as the late Burkinabe president and revolutionary Thomas Sankara—still the most powerful political reference for the youth in Francophone Africa—among his claimed sources of inspiration. He has also endorsed the struggle against the CFA France—an ongoing critical reflection that was started by the work of economists such as Ndongo Samba Sylla and Kako Nubupko, well before Seba started campaigning about the issue. In August 2017, he burned a CFA banknote in public in Dakar—an illegal act under the Senegalese law—and was briefly detained before being deported from the country.

    The ambiguous relationship between Kemi Seba’s ideology and the far right has a long history, especially in France. Understandably, his initial racial separatism and his call for a voluntary repatriation of all blacks to Africa constituted an appealing counterpart for French white racists committed to fight the possibility of a multiracial and multicultural France. Kemi Seba, on his side, repeatedly hinted at possible collaborations with white nationalists: in 2007, he declared:

    My dream is to see whites, Arabs and Asians organizing themselves to defend their own identity. We fight against all those monkeys (macaques) who betray their origins. (…) Nationalists are the only whites I like. They don’t want us, and we don’t want them.

    Some years later, in 2012, commenting the electoral growth of Greek neo-nazi party Golden Dawn in a radio program, he argued:

    I want people to understand that today there is nothing to win by remaining in France, and everything to win by remaining in Africa. And the best solution for this… unfortunately, black people only awaken when they realize that they are in danger, when they are slapped in the face. (…) Black people are unfortunately slow on the uptake, they understand only when there is bestiality, brutality. So, maybe, if we had a movement similar to Greece’s Golden Dawn, established in France, and if they threw black people in the sea, if they raped some, then maybe someone would understand that it is not so nice to remain in France and would return to their fucking country, to their motherland the African continent.

    His supporters later qualified his statements as simple provocations, but Seba continued to be a favorite guest and interlocutor for far-right groups. For example, the webzine Egalité et Reconciliation, founded by Alain Soral—a well-known personality of French red-brownism who shifted from his juvenile communist engagement to later support for Front National and has been condemned for homophobic and anti-Semitic statements—has often provided a platform for Seba’s declarations. In 2006, Seba praised young white nationalist activists in a long interview with Novopress, an online publication by Bloc Identitaire. The latter is a white nationalist movement which works to popularize the conspiracy theory of the “great replacement”—an alleged plan of “reverse colonialism” to replace demographically the white majority in Europe with non-white migrants and which inspired anti-semitic white nationalists in the US. Bloc Identitaire recently formed extra-legal patrols in order to stop asylum seekers from crossing the border between Italy and France.

    In 2008, Seba’s association organized a tiny demonstration against French military presence abroad with Droite Socialiste, a small group whose members were later involved in shootings and found guilty of illegal possession of weapons and explosive material. Their hideout was also full of Adolf Hitler’s books and other neo-Nazi propaganda.

    Relatively unknown until recently on the other side of the Alps, Seba has made his appearance on Italian websites and Facebook profiles in recent months. Since Lega’s promotion to national government in coalition with the Five Star Movement, the country has become the avant-garde of an attempt to connect different reactionary political projects—rossobrunismo, anti-EU and anti-global sovranismo (nationalism), white nationalism, neo-Fascism and others—and has attracted the attention of globally known ideologues, such as Trump’s former counselor Steve Bannon and pro-Putin populist philosopher Alexander Dugin (who, not by chance, organized a meeting with Seba in December 2017). Small webzines like Oltre la Linea and L’Intellettuale Dissidente, which following Dugin’s example mix pro-Putin positions with an anti-liberal critique and traditionalist nostalgia, inspiring attacks against feminism, anti-racism and “immigrationism.” Collectively, they have dedicated space to Seba’s ideas and interviewed him, profiting from his visit to Rome in July 2018.

    Invited by a group of supporters in Italy, Seba visited a center hosting asylum seekers and gave a speech where, amidst launching broadsides against the EU and African elites who are impoverishing Africa (thus forcing young people to try their luck as migrants in Europe), he slipped in a peculiar endorsement to Italy’s xenophobic minister of internal affairs:

    Matteo Salvini [he then asked people in the audience who started booing when they heard the name to let him finish] defends his people, but he should know that we will defend our people too!

    He repeated this sentiment in an interview published later on a nationalist blog. Seba basically endorsed the ongoing anti-NGO campaign voiced by representatives of the Italian government. The interviewer suggested to Seba:

    Salvini’s battle against boats owned by NGOs, which transport migrants from Lybian shores to Italian harbors, sometimes funded by Soros’ Open Society, reflects your [Kemi Seba’s] same struggles for the emancipation from those Western humanitarian associations that operate in the African continent and enclose you all in a permanent state of psychological and moral submission.

    “Yes, I realize this very well, we have the same problem,” replied Seba.

    Attacks against the NGOs organizing rescue operations in the Mediterranean have multiplied in the Italian political debate since last year. The Five Star Movement started a campaign against what they called the “sea taxis” and the previous government tried to force them to sign a code of conduct imposing the presence of police personnel on their boats. NGOs have been alternatively accused of complicity with Libyan smugglers (but neither the investigation of a parliamentary committee, nor judges in different Sicilian courts, could find evidence for this allegation).

    More broadly, a dysfunctional regime governing migration flows, and the bungled reception of asylum seekers, allows such positions to take root in the Italian political sphere. What is often obscured, though, is that such a dysfunctional regime was originated by the restrictive policies of the Italian government and the European Union, through the abandonment of a state-sponsored rescue program and the externalization of border control to Libya (where media reported the dehumanizing treatment reserved to Sub-Saharan migrants) and other third countries.

    Echoing Seba, Italian right-wing bloggers and opinion-makers make increasing use of anti-imperialist quotations—for example, by Thomas Sankara—to fuel this anti-NGO backlash and denounce the plundering of Africa’s wealth and resources by multinational corporations in consort with venal governments, abetted by the development industry. By the right’s bizarre logic, stopping migration flows to Europe would be a part of the same coordinated strategy to reverse Africa’s impoverishment by Europe. This use not only overlooks the fact that African migration to Europe is a tiny portion of the massive migration flows taking place across the whole planet, but also that intra-African migration is significantly more common.

    It also distorts Thomas Sankara’s critical views of development, which he formulated at a time when aid mainly consisted of bilateral contributions and loans from international financial institutions, rather than NGO-sponsored interventions. And, ultimately, it generates confusion between the critique of the classical development sector—which is fundamental and has been developed for a long time by dependency theory and other schools of critical scholarship—and an analysis of the rescue sector: indeed, most NGOs currently operating in the Mediterranean are associations created in the last few years with the explicit goal of reducing mortality along the Libyan or the Aegean routes. They have never participated in development projects in sub-Saharan Africa.

    What would Samora Machel and Thomas Sankara think today of the so-called “refugee crisis” and of the populist and xenophobic reactions it has provoked all over Europe? White nationalists think that they would be on their side. But what we know from their writings is that their revolutionary politics was never based on an exclusionary form of nationalism, let alone on racial separatism. Rather, it was associated with an analysis of the production of material inequalities and exploitation at the global level, and with class-based internationalism.

    This is clearly articulated in many speeches pronounced by Sankara, for example in his frequently quoted intervention on foreign debt at the African Union summit in July 1987 (a few months before he was murdered), where he declared that “by refusing to pay, we do not adopt a bellicose attitude, but rather a fraternal attitude to speak the truth. After all, popular masses in Europe are not opposed to popular masses in Africa: those who want to exploit Africa are the same who exploit Europe. We have a common enemy.”

    While many representatives of red-brownism and the new right would probably declare that they subscribe to this principle on paper, most of them are currently engaged in defusing any possibility of a class-based critique of capitalism, to which they prefer sovranismo and its emphasis on renewed national sovereignties. Furthermore, they are more or less directly legitimizing the action of a government that capitalizes on the anxieties of the white majority and of the impoverishment of middle and lower classes, building a consensus around xenophobia, racial discrimination and policies of strict border control, no matter the consequences. The creative use, made by the African youth, of Sankara’s thought in reclaiming and obtaining political change, such as in the Burkinabe revolution in 2014, is a demonstration of the legacy of his thinking as an effective tool for emancipatory struggles—a precious legacy that anti-racists should protect from the re-appropriation and manipulation attempted by the European racist right.

    https://africasacountry.com/2018/09/twisting-pan-africanism-to-promote-anti-africanism
    #Italie #fascisme #marxisme #rossobrunismo #racisme #nationalisme #anti-impérialisme #Thomas_Sankara #Che_Guevara #Simone_Weil #Sandro_Pertini #Pier_Paolo_Pasolini #rouge #brun #Salvini #Matteo_Salvini #Diego_Fusaro #Casa_Pound #extrême_droite #extrême_gauche
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    • Il rossobrunismo

      Perché anche un giornalista noto come Andrea Scanzi [1] si è soffermato sul tema del rossobrunismo, descrivendolo peraltro impropriamente come un neologismo? Approfittiamone per fare chiarezza da un punto di vista marxista sul tema, già trattato tangenzialmente in altre occasioni, come ad esempio nel passo seguente [2]:

      «si è assistito in effetti anche a questa sottile strategia messa in atto negli ultimi anni in Italia: alcuni settori della “sinistra”, al fine di legittimare il prosieguo di un eclettismo ideologico “liberal”, hanno iniziato a tacciare di rossobrunismo tutti coloro che ponevano la contraddizione antimperialista come la contraddizione principale.

      Ci sono cioè settori della “sinistra” che si presentano come “progressisti”, talvolta perfino come “comunisti”, ma alla prova dei fatti utilizzano la questione antifascista come prioritaria su ogni altro aspetto (antimperialismo, anticapitalismo, lotta di classe), approdando spesso e volentieri ad una posizione morbida, se non conciliante, con il PD, con il centro-sinistra e con le strutture e sovrastrutture imperialiste (prime tra tutte NATO, UE, euro), in nome dell’unità contro le “destre”.»

      ORIGINE STORICA E POLITICA

      Negli anni ’70 si diceva “nazimaoista” quel settore del radicalismo di destra che univa suggestioni nazionaliste e sociali ad una lettura spiritualista dell’esperienza maoista e stalinista.

      Un ulteriore precedente storico-politico è il concetto di “nazional-bolscevico” o “nazional-comunista”, nato in Germania nel primo dopoguerra e usato sia da una branca dell’estrema destra rivoluzionario-conservatrice sia dai marxisti del KAPD di Amburgo, fautori entrambi di una convergenza strategica fra nazionalisti rivoluzionari e comunisti contro il “nuovo ordine europeo” uscito a Versailles. Da notare che il KAPD fu poi criticato da Lenin per questa strategia.

      Il termine “rossobruno” invece, come viene spiegato da Matteo Luca Andriola nella nuova edizione de La Nuova Destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist [3], nasce nel 1992 in Russia coniato dai giornalisti vicini all’entourage di Boris El’cin per screditare Gennadij Zjuganov, leader comunista russo a capo del Fronte di salvezza nazionale, coalizione patriottica antiliberista guidata dal PCFR a cui si aggregheranno piccoli soggetti patriottici e nazionalisti fra cui il piccolo Fronte nazionalbolscevico il cui leader era Eduard Limonov [4] e l’ideologo l’eurasiatista Aleksandr Dugin.

      ACCUSATORI E ACCUSATI ODIERNI

      Oggi, in Italia, assistiamo ad una deconcettualizzazione del termine e al suo uso spregiudicatamente propagandistico. Rossobruno è etichetta dispregiativa con cui liberali, libertari e “ex comunisti” convertitisi al globalismo e all’atlantismo delegittimano nel dibattito democratico i marxisti-leninisti, i socialisti internazionalisti [5] e la sinistra sovranista costituzionale [6].

      Di fatto le principali derive revisioniste del nostro tempo (apertura all’identity politics di stampo americano, al cosmopolitismo senza radici e all’immigrazionismo borghese, utopie di “riforma dell’Unione Europa dall’interno” e anacronistici “fronti popolari” con la sinistra borghese) vengono giustificate proprio con il pretesto della lotta al rossobrunismo.

      I rossobruni veri e propri quindi non esistono? Esistono sì, e non sono pochi, ma il conflitto di cui sopra li riguarda solo saltuariamente e incidentalmente. Il conflitto vero, infatti, è quello tra marxisti/socialisti e sinistra neoliberale/antimarxista (ovvero la sinistra oggi rappresentata in Parlamento, e anche una parte di quella extraparlamentare).

      LA DEFINIZIONE DI FUSARO

      Diego Fusaro [7] ha definito pubblicamente così il rossobrunismo:

      «Rossobrunismo è la classificazione di ogni possibilità di resistere al mondialismo, mentre l’unica resistenza possibile può scaturire solo da una dinamica di deglobalizzazione, difesa nazionale e risovranizzazione dell’economia. Rossobruno è chiunque che, consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali, oggi rigetti destra e sinistra. Pertanto, viene bollato come gli estremi di esse. Oggi chiunque propugni un’economia di mercato sovrana, viene automaticamente chiamato Rossobruno. La classe dirigente è tale non soltanto in termini economici e sociali, ma anche e soprattutto nella concezione simbolica del linguaggio. Previa una neolingua del modernismo postmoderno, il pensiero unico politicamente corretto, viene demonizzata ogni possibilità del “Pensare altrimenti”, di dissentire dal pensiero unico. Ci convincono così a orientarci come masse che legittimano il loro dominio. Dissentire da ciò è il reato di Rossobrunismo.»

      Ci sono elementi di verità in questa analisi, ma l’esposizione è carente, inadeguata e imprecisa; tanto meno sono condivisibili e accettabili la collaborazione con alcuni settori del nazifascismo italiano [8] e le conclusioni politiche di Fusaro: avere «idee di sinistra e valori di destra» [9].

      FASCISMO & ANTIFASCISMO, DESTRA & SINISTRA

      Nell’Introduzione teorico-politica al marxismo-leninismo di In Difesa del Socialismo Reale non ho affrontato direttamente il tema del rossobrunismo, per quanto la questione sia posta in maniera abbastanza chiara al lettore attento nel paragrafo “Il nesso strutturale tra fascismo e imperialismo”, che vado a riportare integralmente:

      «Alcuni di questi attacchi inconsulti odierni riguardano ad esempio la questione posta da alcuni intellettuali autodefinitisi marxisti secondo cui occorrerebbe rinnegare la dicotomia fascismo/antifascismo in nome della costruzione di un fronte comune antimperialista e anticapitalista. Questi assunti partono dal giusto assunto che dopo il 1991 e la ripresa di egemonia delle teorie socialdemocratiche (con evidenti e grossolani cedimenti all’ideologia liberista) all’interno delle organizzazioni progressiste, le “destre” e le “sinistre”, così come sono percepite a livello popolare, abbiano sostanzialmente messo in pratiche le stesse politiche (reazionarie), giungendo ad esempio in Italia a rafforzare l’idea che tutta la politica non sia altro che un gioco di corrotti e delinquenti (la questione insomma della cosiddetta “antipolitica” e della “casta”).

      È evidente che analizzando gli ultimi 20-30 anni le sinistre socialdemocratiche siano sempre più assimilabili alle destre popolari, all’insegna di una comune accettazione del sistema capitalistico imperialista. Da tutto ciò potrebbe anche scaturire una riflessione utile sull’utilità o meno per un’organizzazione comunista di utilizzare una parola sempre più logora e deturpata come “sinistra”, ormai forse perfino più bistrattata di termini considerati vetusti (ma sempre più sconosciuti per le giovani generazioni) come “socialista” o “comunista”.

      Da ciò non deve derivare però la caduta del concetto ontologico di destra e sinistra nato con la Rivoluzione Francese, che sanciva in maniera storica la differenza antropologica tra reazionari e progressisti, tra conservatori e rivoluzionari, tra chi in definitiva guarda al bene del proprio orticello e chi invece volge lo sguardo all’interesse di tutta l’umanità.

      Questa è la stessa differenza sostanziale che vige tra fascismo e antifascismo: il primo è un’ideologia reazionaria, nazionalista e xenofobo-razzista che nulla può avere a che vedere con chi si professa comunista, il quale invece pone l’internazionalismo e quindi l’antirazzismo come uno dei suoi fondamenti necessari e costituenti verso la lotta al Capitale.

      C’è però anche un altro motivo ben più evidente che rende questa alleanza non solo impossibile ma inconcepibile. Ciò risiede nel fatto che il capitalismo ed il fascismo altro non sono che due facce della stessa medaglia. Lo insegna la storia del movimento operaio. Non è un caso che la XIII sessione plenaria del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista definisse il fascismo al potere come “la dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario”.

      Il fascismo non è altro quindi che una mostruosa creatura partorita e sostenuta nei momenti di crisi dalla stessa borghesia per i suoi obiettivi. Gramsci lo spiega assai bene:

      “Il ‘fascismo’ è la fase preparatoria della restaurazione dello Stato, cioè di un rincrudimento della reazione capitalistica, di un inasprimento della lotta capitalistica contro le esigenze piú vitali della classe proletaria. Il fascismo è l’illegalità della violenza capitalistica: la restaurazione dello Stato è la legalizzazione di questa violenza.”

      Questo è il motivo che rende chiaro a Gramsci il fatto che “la liquidazione del fascismo deve essere la liquidazione della borghesia che lo ha creato”.

      Impossibile quindi essere antifascisti senza essere anticapitalisti, come riuscì a sentenziare in maniera quasi poetica Bertolt Brecht:

      “Coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello senza però che il vitello venga scannato. Vogliono mangiare il vitello, ma il sangue non lo vogliono vedere. Per soddisfarli basta che il macellaio si lavi le mani prima di servire la carne in tavola. Non sono contro i rapporti di proprietà che generano la barbarie, ma soltanto contro la barbarie. Alzano la voce contro la barbarie e lo fanno in paesi in cui esistono bensì gli stessi rapporti di proprietà, ma i macellai si lavano ancora le mani prima di servire la carne in tavola.”

      Ma nell’epoca in cui il capitalismo è nella sua fase imperialistica come si può quindi predicare l’unione con i fascisti che dell’imperialismo rappresentano l’agente più terribile? Non val la pena approfondire ulteriormente tale questione posta da settori dell’intellettualità che evidentemente nulla hanno a che spartire con il marxismo.»

      IL ROSSOBRUNISMO COME USCITA DAL CAMPO DEL COMUNISMO

      C’è un confine nella normale dialettica interna al campo comunista. Non si possono accettare pensieri nazionalisti, razzisti o in qualche pur morbida maniera “esclusivisti”. Non si può cioè pensare che i diritti debbano essere riservati eternamente solo ad alcune comunità umane, andando ad escluderne altri per criteri di etnia, religione, lingua, sesso, ecc.

      Ci sono ragioni accettabili per considerare comunista solo chi utilizza e coniuga opportunamente le categorie di patriottismo, internazionalismo, materialismo storico (e dialettico), lotta di classe, imperialismo, ecc.

      Partendo dal patrimonio (per quanto ormai semi-sconosciuto e assai scarsamente condiviso, quantomeno in Italia) del marxismo-leninismo, si può discutere su alcuni questioni tattiche, strategiche e di teoria ancora insolute; queste non sono poche e riguardano anche la dialettica e la concretizzazione dei diritti sociali e civili, oltre che le differenti caratterizzazioni nazionali al socialismo. Su questi temi i comunisti nel resto del mondo (cinesi, cubani, coreani, portoghesi, ecc.) sono molto più avanzati di noi italiani, che scontiamo ancora il retaggio dell’eurocomunismo.

      Tra i temi strategici del dibattito troviamo quelli del potere politico ed economico. Il rossobruno rifiuta la lotta di classe e considera prioritario non l’obiettivo del miglioramento sociale della classe lavoratrice, ma la difesa strategica della sovranità nazionale in un’ottica corporativa e interclassista. In questa ottica non c’è un nesso tra la sovranità nazionale e quella popolare. Si arriva così a elaborare concetti ambigui come «economia di mercato sovrana», in continuità con il mantenimento di un regime borghese. Il rossobruno insomma non propone la presa del potere politico ed economico da parte della classe lavoratrice ma nei casi migliori si limita a proporre una moderna “aristocrazia borghese” illuminata, che non mette in discussione il controllo sociale e politico dei mezzi di produzione dell’attuale classe dominante. Il “welfare state” non è implicito per il rossobruno, così come in generale alcuna forma di regime sociale avanzato. Qualora vi sia tale rivendicazione, essa non cessa di essere ambigua se non accompagnata dalla messa in discussione della struttura imperialista del proprio Paese.

      Ben diverso è il discorso del “socialismo di mercato”, ossia di un regime in cui il potere politico resta saldamente in mano alla classe lavoratrice organizzata dalla sua avanguardia, il partito comunista. Il potere economico viene in questo caso spartito consapevolmente e in spazi più o meno limitati con la borghesia nazionale non come obiettivo strategico, bensì tattico, con lo scopo di sviluppare le forze di produzione, creando ricchezza sociale che, seppur redistribuita in maniera inizialmente diseguale, è una delle condizioni concrete per il futuro passaggio al socialismo.

      Dietro la normale dialettica del dibattito democratico interno al campo marxista-leninista c’è sempre il pericolo del revisionismo, come mostra la crescita di certe correnti reazionarie nei partiti comunisti della seconda metà del ‘900: si pensi all’ala migliorista nel PCI, o alle correnti riformiste e nazionaliste rafforzatesi nel PCUS dagli anni ’70. Tale pericolo è ancora più accentuato oggi, sia per la fase di sbandamento ideologico (soprattutto europeo) conseguente al crollo del muro di Berlino, sia per i rischi insiti nel socialismo di mercato, che come abbiamo visto consentono in forme e modalità variegate il ripristino di alcuni elementi di un’economia capitalistica, con tutte le conseguenze moralmente corruttrici del caso. Il passaggio però non è automatico, ed in ultima istanza è il potere politico che ha l’ultima parola, il che ripropone il tema dell’adeguatezza ideologica del Partito come guida della classe lavoratrice.

      SUI REGIMI NAZIONALISTI DEL “TERZO MONDO”

      Un ulteriore tema di riflessione è dato da uno scambio di battute avuto con Francesco Alarico della Scala, uno dei maggiori esperti italiani della Repubblica Popolare Democratica di Corea, il quale mi ha messo in guardia da una semplificazione nell’uso del termine “nazionalismo”:

      «Nonostante i suoi ovvi limiti di classe, il nazionalismo borghese può svolgere e ha svolto una funzione progressiva nei paesi colonizzati o in genere asserviti all’imperialismo straniero, mentre ha un ruolo completamente reazionario solo nelle metropoli imperialiste.

      Proprio questo è il caso di Hitler e Mussolini, da te citati, che agirono in contesti dove la rivoluzione proletaria era, se non proprio all’ordine del giorno, una concreta possibilità che terrorizzava le classi sfruttatrici, e quindi assolsero non una funzione progressiva (di liberazione nazionale) ma regressiva (di contenimento e repressione della spinta rivoluzionaria delle masse lavoratrici), peraltro favoriti in ciò dal fatto che il movimento comunista dell’epoca non aveva saputo levare per primo la bandiera degli interessi nazionali e unire il destino della nazione alla causa del socialismo – come più volte osservato da Lenin e Stalin e contrariamente a quanto accadde vent’anni dopo.

      In altre realtà (Libia di Gheddafi, Egitto di Nasser, Iraq di Saddam, Siria degli Assad, ecc.) regimi molto diversi ma che comunque si richiamavano ad analoghe dottrine corporativiste hanno dato vita ad esperimenti molto interessanti, di fronte ai quali che fare: preoccuparsi per le deviazioni rossobrune che potrebbero veicolare oppure riconoscere la loro funzione storica positiva e il loro contributo alla diffusione degli ideali socialisti sia pur non rigorosamente marxisti?

      I comunisti coreani sono di questo secondo avviso, e da sempre intrattengono buoni rapporti con alcune forze nazionaliste non solo in patria e nel mondo post-coloniale ma anche in Giappone, in Europa e in America, e per questo incorrono spesso in accuse di “rossobrunismo” o di fascismo vero e proprio. Nondimeno la loro posizione è la più conforme alle tradizioni del movimento comunista mondiale intese in modo non folcloristico e nominale.»

      Al suo intervento stimolante ho risposto nella seguente maniera:

      «Tutte le realtà che possiamo definire “nazionaliste progressive”, quelle che hai citato ne sono esempi, sono alleate del movimento comunista nella lotta contro l’imperialismo internazionale, ma non le considero modelli marxisti-leninisti, seppur varianti nazionali del socialismo rispettabili per i differenti contesti.

      Per quanto riguarda l’Italia credo che la soluzione resti uno sviluppo diverso del marxismo-leninismo, che non apra a tali versioni eclettiche che sono adatte per Paesi molto diversi da noi per cultura, società, economia, ecc.

      È sbagliato comunque ritenerli rossobruni, così come bollare di rossobrunismo i comunisti che collaborino con loro in ambito nazionale o internazionale. Credo però che loro stessi sarebbero d’accordo a non considerarsi parte del movimento comunista internazionale.

      Sono d’accordo con te comunque che i maggiori pericoli ideologici vengano da altri fronti, ma proprio perché il nemico è ancora forte non bisogna dare il minimo argomento ai suoi attacchi, evitando di fare errori (o provocazioni) come quelle dell’ultimo Preve che è arrivato a dare indicazioni di voto per la Le Pen.»

      NON È MEGLIO RIGETTARE IL TERMINE ROSSOBRUNISMO?

      No. La storia [10] ci ha mostrato che le classi reazionarie hanno sempre cercato di infiltrare i movimenti rivoluzionari, talvolta pianificando a tavolino strategie culturali per introdurre elementi revisionisti e degeneratori nel campo culturale proletario. Questo vale chiaramente in particolar modo per il marxismo e il movimento comunista, che sono stati e sono tuttora il nemico principale dell’imperialismo.

      La borghesia dispone infatti dei mezzi politici, economici e mediatici per fomentare ad arte delle “deviazioni” politico-ideologiche, introducendo modelli “riformisti” o “rossobruni”, intendendo per questi ultimi, come abbiamo visto, delle teorie ibride tra socialismo e nazionalismo borghese che costituiscono forme degenerative della teoria rivoluzionaria in grado di confondere larghi strati della classe lavoratrice, sfruttando parole d’ordine e slogan solo apparentemente rivoluzionari. In questa maniera sono riusciti a “sfondare” casi famosi come Mussolini e Hitler, due esempi classici in tal senso, visto l’enorme sostegno che hanno ottenuto dal mondo industriale.

      La categoria di “rossobruno” è quindi valida tutt’oggi? Si. Pur essendo nata in un contesto borghese, essa esprime una posizione politica che per anni è stata respinta, seppur con altri termini, dal movimento comunista internazionale. Oggi resta valida in questa accezione, come arma ideologica a disposizione del movimento operaio, tenendo conto però che nella confusione ideologica in cui versa attualmente il movimento comunista, specie quello italiano, tale categoria è stata fatta propria dai think tank della borghesia liberale per delegittimare paradossalmente soprattutto i comunisti.

      Il che non deve stupire troppo, dato che la borghesia liberale è già riuscita a conquistare la categoria analitica della “sinistra”, bollando i comunisti prima come “estrema sinistra” (anni ’90 e inizio ’00), poi, negli ultimi tempi, di fronte ad alcuni nuovi fermenti teorico-politici che rischiano di incrinare la narrazione del totalitarismo liberale, come “rossobruna”.

      Per queste ragioni credo che in alcuni casi sia utile mantenere la categoria di rossobrunismo, specie laddove ci siano dei casi palesi di revisionismo anticomunista. Occorre insomma sempre mantenere la guardia imparando a muoversi in questo «mondo grande e terribile» (cit. Gramsci).

      NOTE

      [1] A. Scanzi, L’ossessione “rossobruna”: come etichettare il nemico, Ilfattoquotidiano.it, 31 dicembre 2018, disp. su https://infosannio.wordpress.com/2019/01/01/andrea-scanzi-lultimo-insulto-della-sinistra-a-chi-non-vota-be.

      [2] A. Pascale, Risposta alle accuse di Iskrae su Berlinguer e rossobrunismo, Intellettualecollettivo.it, 30 dicembre 2018, disp. su http://intellettualecollettivo.it/risposta-alle-accuse-di-iskrae-su-berlinguer-e-rossobrunismo.

      [3] La nuova edizione, riveduta, ampliata e corretta, è in uscita per le Edizioni Paginauno.

      [4] Un personaggio diventato famoso grazie al bel libro E. Carrère, Limonov, Adelphi, 2012.

      [5] F. Chernov, Il cosmopolitismo borghese e il suo ruolo reazionario, Bol’ševik, n° 5, 15 Marzo 1949, disp. su http://intellettualecollettivo.it/la-lotta-mondiale-contro-limperialismo-cosmopolita.

      [6] V. Giacché, Per una sovranità democratica e popolare. Cioè costituzionale. L’ultimo libro di Alessandro Somma: “Sovranismi”, Marx21.it, 3 gennaio 2019, disp. su https://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/29467-vladimiro-giacche-per-una-sovranita-democratica-e-popolare-cioe-costitu.

      [7] C. Fantuzzi, Fusaro: “Rossobrunismo e Interesse Nazionale: Armi Culturali Contro il Capitalismo mondialista”, Ticinolive.ch, 30 marzo 2017, disp. su http://www.ticinolive.ch/2017/03/30/fusaro-rossobrunismo-interesse-nazionale-armi-culturali-capitalismo-mondi.

      [8] Si veda ad esempio l’intervista al leader di Casapound Di Stefano sul sito dell’associazione culturale di Fusaro: A. Pepa, Di Stefano: “fascismo e antifascismo? Non c’è nessuna guerra civile in atto: è una truffa montata ad arte per distrarci”, Interessenazionale.net, 1 marzo 2018, disp. su https://www.interessenazionale.net/blog/di-stefano-fascismo-e-antifascismo-non-c-nessuna-guerra-civile-a.

      [9] D. Fusaro, Il vero rivoluzionario: idee di sinistra, valori di destra, Diegofusaro.com, 5 giugno 2018, disp. su https://www.diegofusaro.com/idee-sinistra-valori-destra.

      [10] Su questo non posso che rimandare alle ricerche presentate in A. Pascale, In Difesa del Socialismo Reale e del Marxismo-Leninismo, Intellettualecollettivo.it, 15 dicembre 2017, disp. su http://intellettualecollettivo.it/scarica-in-difesa-del-socialismo. Ulteriori elementi sono aggiunti nel volume A. Pascale, Il totalitarismo liberale. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2019.

      https://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/marxismo/il-rossobrunismo

    • Rossobruni. Le prospettive dell’unione tra le frange più estreme della nostra politica.

      I l 28 aprile 2017, pochi giorni dopo il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, Marine Le Pen ha rotto gli indugi: “Mi rivolgo agli elettori della France Insoumise (il partito di estrema sinistra del candidato Jean-Luc Mélenchon, nda) per dire loro che oggi bisogna fare muro contro Emmanuel Macron: un candidato agli antipodi rispetto a quello che hanno sostenuto al primo turno”. Più che una mossa della disperazione, si è trattata di una mossa logica, seguita a una campagna elettorale che la leader del Front National ha condotto nelle fabbriche, nelle periferie, tra i piccoli agricoltori. E che soprattutto l’ha vista prevalere nel voto operaio, dove ha conquistato il 37% (laddove Mélenchon si è invece fermato al 24%).

      Il tentativo della candidata dell’estrema destra di accreditarsi presso l’estrema sinistra era anche una logica conseguenza delle tante somiglianze, già più volte sottolineate, tra il suo programma e quello di Mélenchon: abrogazione della legge sul lavoro targata Hollande, ritorno dell’età pensionabile a 60 anni, innalzamento del salario minimo (pur se con misure diverse), no alla privatizzazione delle aziende pubbliche, protezionismo fiscale sotto forma di tasse sulle importazioni, rinegoziazione dei trattati europei e uscita dalla NATO.

      Lo sfondamento a sinistra, però, non ha funzionato: secondo l’istituto sondaggistico francese IFOP, solo il 13% degli elettori di Mélenchon ha deciso di votare Le Pen (percentuale comunque degna di nota), mentre la metà esatta si è rassegnata a votare per il liberista Macron (vincitore delle presidenziali) e il 37% si è rifugiato nell’astensionismo. Lo steccato ideologico destra/sinistra – seppur ammaccato – ha retto, facendo naufragare i sogni di gloria di Marine Le Pen e rendendo vani i suoi tentativi, che ormai durano da anni, di definirsi “né di destra né di sinistra” (stessa definizione utilizzata in campagna elettorale da Macron e che si sente spesso anche in Italia, mostrando come la corsa post-ideologica appartenga un po’ a tutti).

      Ma è proprio il fatto che Marine Le Pen abbia avuto la forza di rivolgersi direttamente all’estrema sinistra – senza timore di alienarsi la base elettorale – a dimostrare quanto sia ammaccata la divisione destra/sinistra. D’altra parte, è stato davvero politicamente più coerente che il voto di Mélenchon sia andato in larga parte al liberista Macron (che tra gli operai si è fermato al 16%)? Macron si può davvero considerare un candidato di sinistra? Su alcuni temi – come l’ambientalismo (sul quale si è speso molto) e i diritti civili – la risposta è senz’altro positiva; ma sul piano economico è difficile giudicare di sinistra chi ha in programma un taglio della spesa pubblica di sessanta miliardi di euro l’anno e la riduzione dal 33% al 25% delle imposte sulle società.

      Dal punto di vista economico, la collocazione più naturale di Macron è in quel liberalismo (o neo-liberalismo) al quale possiamo ricondurre buona parte dei candidati moderati che hanno imperversato per l’Europa in questi ultimi anni.

      Il fatto che Marine Le Pen si sia rivolta direttamente all’estrema sinistra – senza timore di alienarsi la base elettorale – dimostra quanto sia ammaccata la divisione destra/sinistra.

      Il campo liberale attraversa aree ben precise della destra e della sinistra ed è, in fin dei conti, quell’area alla quale Silvio Berlusconi (che agli esordi della sua carriera politica proponeva la “rivoluzione liberale”) si è sempre riferito con il termine “moderati”. La provenienza, ovviamente, conta e le differenze restano, ma sono superabili senza eccessivi traumi, come dimostra la pacifica convivenza delle numerose “grandi coalizioni” che negli anni hanno attraversato (notoriamente) Italia, Spagna e Germania, ma anche Austria, Belgio, Finlandia, Grecia, Irlanda e altri ancora. Grandi coalizioni spesso rese necessarie dal rifiuto delle ali estreme dello scacchiere politico di unirsi ai grandi partiti moderati della loro area (diversa, ma non troppo, la tripolare situazione italiana in cui il populista M5S rifiuta ogni apparentamento rendendo di fatto obbligatorie, nel quadro proporzionale, le larghe intese).

      E poco importa che i moderati di destra e di sinistra abbiano ancora le loro differenze: perché se i primi sono più duri su immigrazione e sicurezza, e i secondi (dovrebbero essere) più coraggiosi su diritti civili e ambientalismo, la decennale crisi economica ha concentrato tutta l’attenzione sui temi dell’economia e del lavoro. Così, i liberali di destra e di sinistra hanno avuto gioco facile a unirsi (o addirittura a fondersi, com’è il caso di En Marche di Macron) in nome dell’Europa e del liberismo economico.

      Un’unione di fatto che rende più facile la vittoria politica ma che viene pagata a caro prezzo in termini elettorali: le forze moderate si sono ormai alienate le simpatie delle classi più disagiate e vedono i loro consensi complessivi contrarsi elezione dopo elezione. In Italia, le due uniche formazioni che si possono considerare a tutti gli effetti liberali (Partito Democratico e PDL/Forza Italia) sono passate dai 25,6 milioni di voti complessivi del 2008 ai 15,9 milioni del 2013. Se si votasse oggi (considerando i sondaggi e l’astensione prevista) non andrebbero oltre i 13,7 milioni.

      Situazione non troppo dissimile in Francia: i due grandi partiti (UMP/Les Républicains e PSF) che solo cinque anni fa mettevano assieme venti milioni di voti, oggi sono scesi a 9 milioni. Unendo tutte le forze definibili (con qualche forzatura) come liberali, si scopre che il trio Hollande/Sarkozy/Bayrou, nel primo turno del 2012, aveva conquistato 23,1 milioni di voti; il trio Hamon/Macron/Fillon si ferma a 18 milioni. Tutti voti raccolti dalle ali estreme e “populiste” di Le Pen (quasi un milione e mezzo di voti in più) e di Mélenchon (oltre 3 milioni di voti in più).

      Le forze moderate si sono ormai alienate le simpatie delle classi più disagiate e vedono i loro consensi complessivi contrarsi elezione dopo elezione.

      I due turni di elezioni legislative francesi seguiti alle presidenziali hanno ampiamente sgonfiato il Front National (che ha preso solo il 13% dei voti al primo turno e conquistato otto seggi al secondo), così come la France Insoumise di Mélenchon (meno 8 punti percentuali, nel primo turno, rispetto alle presidenziali) e anche il partito Repubblicano di Fillon (che ha lasciato per strada cinque punti). L’unico a conquistare voti è stato En Marche di Macron (assieme agli alleati MoDem), salito al 32% e in grado di conquistare la maggioranza assoluta.

      Questa inversione di tendenza rispetto alle presidenziali, però, non deve essere fraintesa con un cambiamento sostanziale della dinamica in atto. E non solo perché, per fare un esempio, già nel 2012 il Front National era ampiamente sceso nei consensi nel passaggio tra le presidenziali e le legislative (dal 18% al 13%; il che non gli ha comunque impedito di diventare primo partito nelle seguenti Europee, elezioni fondamentali ai fini del nostro discorso), ma soprattutto perché la struttura stessa delle elezioni francesi è pensata affinché le legislative rafforzino il presidente appena eletto (e quindi in piena luna di miele), aiutandolo a conquistare una salda maggioranza parlamentare che lo aiuti a governare con stabilità (allo stesso modo, non si deve dare eccessivo peso ai risultati delle recenti amministrative italiane: elezioni in cui i temi fondamentali di oggi – Europa, immigrazione e politiche del lavoro – hanno un peso secondario se non irrilevante, rispetto a questioni di pubblica amministrazione locale, e in cui è quindi possibile riproporre con successo i vecchi schemi).

      I dati del primo turno delle presidenziali francesi (quelli che meno subiscono distorsioni), confermano quanto visto (pur nelle sue particolarità) anche nel referendum costituzionale italiano e (in maniera più controversa) nel referendum sulla Brexit: i partiti liberali sono ormai appannaggio degli “ottimisti”, di chi guadagna mediamente bene o comunque è soddisfatto della propria posizione sociale o delle prospettive che vede davanti a sé. Ma dieci anni di crisi economica hanno ingrossato enormemente le fila dei pessimisti e degli arrabbiati che, anno dopo anno, stanno ampliando gli spazi elettorali dei partiti populisti, di destra o sinistra che siano.

      Stando così le cose, non è per niente stupefacente che Marine Le Pen si rivolga agli elettori di estrema sinistra: il nemico non è più nel campo opposto, ma al centro. L’avversario non è la sinistra radicale, ma il liberalismo; la frattura politica fondamentale oggi è l’Europa governata dall’establishment. Per Marine Le Pen, “il nemico del mio nemico è mio alleato”. Tanto più se, lungo la strada, si scopre che ci sono anche parecchi aspetti che uniscono le due estremità: l’anti-atlantismo e l’anti-capitalismo (da sempre), e poi l’importanza della sovranità nazionale (riscoperta da parte della sinistra), la contrarietà all’euro e anche il problema dell’immigrazione (visto da sinistra, in chiave marxista, come “esercito industriale di riserva” del grande capitale); tutto condito da una consistente spruzzata di complottismo.

      Le due estremità sono unite da diversi aspetti: l’anti-atlantismo e l’anti-capitalismo, la contrarietà all’euro, l’importanza della sovranità nazionale e il problema dell’immigrazione.

      Tra i vari punti di contatto tra destra e sinistra populiste, il più interessante è quello della sovranità nazionale. Quando e perché la sinistra radicale, da sempre legata a concetti internazionalisti, ha riscoperto il valore della nazione? “Che la sovranità dello stato-nazione sia precondizione (…) del proprio stesso essere cittadini appartenenti a una comunità politica capace di decidere per il proprio futuro e per gli assetti e le strutture economico-sociali che si vogliono prevalenti, è cosa così ovvia che non dovrebbe neanche essere detta”, si legge sul sito Comunismo e Comunità. “Che la sinistra italiana sia stata fagocitata dall’ideologia ‘globalista’ e ‘unioneuropeista’ da ormai più di vent’anni, scambiando forse l’internazionalismo con la globalizzazione capitalistica e la tecnocrazia sovranazionale, è una tragedia storica i cui frutti si sono ampiamente manifestati da tempo”.

      Sulla questione della sovranità nazionale si sofferma anche un comunista duro e puro come Marco Rizzo: “Siamo assolutamente contrari all’Europa unita. Molti dicono che bisogna riformare questa Europa, che bisogna creare un’unione politica e non solo economica, ma noi pensiamo che l’Unione non sia riformabile, perché frutto di un progetto preciso che risponde agli interessi del Grande Capitale. Mettiamocelo in testa, questa è l’Europa delle grandi banche, dei grandi capitali e non sarà mai l’Europa dei popoli”. In chiusura, come salta all’occhio, Rizzo utilizza le stesse identiche parole sentite più volte da Matteo Salvini o Giorgia Meloni.

      Ovviamente, riviste online come Comunismo e Comunità o personaggi politici come Marco Rizzo sono dei punti di riferimento ascoltati solo da una sparuta minoranza di elettorato, insignificante dal punto di vista numerico. Eppure, discorsi simili sulla sovranità si possono sentire da figure più mainstream come Stefano Fassina, ex PD (oggi Sinistra Italiana) e soprattutto ex viceministro dell’Economia. Sostenitore a corrente alternata dell’uscita dall’euro, il deputato ha dichiarato in una lettera al Corriere che gli ostacoli insuperabili della moneta unica e dell’unione vanno ricercati nei “caratteri profondi, morali e culturali dei popoli europei e gli interessi nazionali degli Stati”.

      Se per la sinistra alternativa le radici dell’anti-europeismo vanno cercate nella sovranità popolare, come opposizione alla “tecnocrazia sovranazionale”; per la destra radicale, le ragioni per recuperare la sovranità perduta trovano nell’identità nazionale parte integrante del suo DNA. La cosa più importante, però, è che la ricetta è la stessa: uscire dall’euro e recuperare il controllo monetario. E così, oltre al comune nemico del liberalismo e del capitalismo, a unire le categorie alternative della politica europea troviamo anche uno degli aspetti più importanti dei nostri giorni: il rifiuto della moneta unica e del progetto europeo tout court.

      Con l’avvento di una generazione meno legata ai vecchi schemi ideologici, il superamento della dicotomia destra/sinistra potrebbe portare alla nascita di movimenti capaci di sintetizzare forze politiche oggi opposte.

      Ovviamente, sottolineare i punti di contatto non significa in alcun modo ritenere che estrema destra ed estrema sinistra siano uguali, ma solo che le tendenze storiche e politiche della nostra epoca, il graduale superamento della dicotomia destra/sinistra in direzione europeismo/populismo, l’avvicinamento delle forze liberali e moderate di destra e di sinistra potrebbero, con l’avvento di una nuova generazione meno legata ai vecchi schemi ideologici, portare alla nascita di movimenti in grado di fare una sintesi di forze politiche che oggi sono obbligate a guardarsi in cagnesco.

      “La convergenza al centro contro i populismi non può durare in eterno”, scrivono su Internazionale i ricercatori Marta Fana e Lorenzo Zamponi. Non è detto: potrebbe durare in eterno se i populismi di destra e di sinistra si uniranno a loro volta in ottica anti-liberale, dando ufficialmente forma a ciò che finora è rimasto più che altro un vagheggiamento limitato alle zone più estreme della politica europea (ma non in Italia, come vedremo più avanti): il rossobrunismo.

      D’altra parte, perché mai le due ali estreme dovrebbero continuare a restare separate, consegnandosi a inevitabile sconfitta? Il rossobrunismo, allora, si configurerebbe come la necessità di fare blocco contro la fusione delle forze liberali (Macron, in questo, è davvero un precursore). Le richieste di un “populismo di sinistra” da una parte e dall’altra di una “destra che deve diventare sempre più di sinistra” (come ebbe a dire l’ex Alleanza Nazionale Roberta Angelilli, in gioventù vicina a Terza Posizione), potrebbero (il condizionale è d’obbligo) sfociare tra qualche tempo nel proliferare di forze unitarie anti-establishment che, lungi dal definirsi rossobrune, potrebbe però attingere indifferentemente agli elettorati che oggi si rivolgono all’estrema destra e all’estrema sinistra.

      L’alternativa, comunque, esiste, ed è oggi incarnata dalla politica britannica che – dopo una lunga parentesi liberale (incarnata, in tempi recenti dalla segreteria del Labour di David Milliband e da David Cameron alla guida dei conservatori) – è tornata su posizioni più tradizionali, dando il partito laburista in mano a Jeremy Corbyn e il partito conservatore in mano alla securitaria Theresa May. Un ritorno all’antico che ha immediatamente cancellato l’UKIP (orfano di Nigel Farage), i cui elettori, stando a quanto scrive il Guardian, si sono rivolti in massa ai laburisti rossi di Corbyn.

      La lezione britannica – che potrebbe far riflettere profondamente chi continua a ritenere valido il mantra del “si vince al centro” – non è l’unico ostacolo che deve fronteggiare il rossobrunismo, una definizione che viene solitamente considerata come un insulto. Lo dimostra il fatto che tutte le figure ritenute appartenenti a questa galassia (da Stefano Fassina ad Alberto Bagnai, da Giulietto Chiesa allo scomparso Costanzo Preve e tanti altri ancora) rifiutano sdegnosamente l’etichetta.

      Perché le due ali estreme dovrebbero continuare a restare separate, consegnandosi alla sconfitta? Il rossobrunismo si configurerebbe come la necessità di fare blocco contro la fusione delle forze liberali.

      Esiste una sola eccezione: Diego Fusaro. Per quanto si tratti di un personaggio spesso criticato (se non sdegnato) da larga parte del mondo intellettuale italiano, può essere interessante vedere come lui stesso – ormai diventato, di fatto, il volto pubblico del rossobrunismo – inquadri il problema: “Rossobruno è chiunque – consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali – oggi rigetti destra e sinistra”, ha spiegato in un’intervista. “Oggi chiunque propugni un’economia di mercato sovrana, viene automaticamente chiamato rossobruno. (…) Rossobruno è colui che critica il capitale, che vuole una riorganizzazione in termini di sovranità e si pone in contrasto al capitalismo”.

      Non è una storia nuova, anzi: basti rievocare le origini di sinistra del primo fascismo italiano, la composizione ricca di ex socialisti ed ex comunisti delle SA tedesche o le idee del sovietico Karl Radek, secondo il quale era necessaria un’unione dei comunisti con i nazisti in funzione “anti-pace di Versailles” (ma ci sarebbero tantissime altre personalità “rossobrune ante litteram” da scovare nei primi decenni del Ventesimo secolo). I veri precursori del rossobrunismo, però, possono essere identificati in quei gruppi extraparlamentari che all’epoca della contestazione venivano etichettati come nazimaoisti – oggi passano sotto il nome di comunitaristi – e che sono il vettore principale attraverso il quale nei movimenti di estrema destra come Forza Nuova o CasaPound è entrata la spiccata attenzione per le questioni sociali. “Oggi, scomparso il problema politico del socialismo, questi si sono confusi con la retorica anti-globalizzazione”, si legge sul sito antagonista di sinistra Militant. “Hanno iniziato a usare linguaggi a noi affini e a dotarsi di una simbologia para-socialista che li rende facilmente fraintendibili”.

      Abbiamo quindi una sinistra che accoglie elementi di destra (sovranismo e critica nei confronti dell’immigrazione) e una destra che sposa battaglie di sinistra (l’attenzione al sociale e anche l’ambientalismo, come dimostra la fascinazione nei confronti della “decrescita felice” di Serge Latouche). A questi aspetti possiamo unire alcune radici storiche comuni e soprattutto la convergenza al centro del comune nemico (le forze liberali) che potrebbe costringerli a un’unione futura.

      E allora, perché tutto ciò non avviene? Perché la Le Pen riesce a sfondare tra gli operai (così come fa Salvini) ma non è in grado di raccogliere i voti di chi si considera di sinistra? Probabilmente, perché lo steccato ideologico destra/sinistra non può essere superato, per definizione, da forze che hanno le loro radici antiche proprio in questa divisione.

      Una vera forza anti-liberale capace di raccogliere voti da entrambi i lati degli schieramenti (contribuendo al consolidamento della nuova frattura establishment/populismo) e fare così concorrenza all’unione delle forze liberali (divise da steccati più facilmente aggirabili) può sorgere solo in chiave post-ideologica. In questo senso, è un’impresa che non può riuscire al Front National come non può riuscire a Syriza, forze troppo legate alla tradizione. Può però riuscire, e infatti sta riuscendo, a un partito nato già post-ideologico come il Movimento 5 Stelle.

      Una vera forza anti-liberale capace di raccogliere voti da entrambi i lati degli schieramenti può sorgere solo in chiave post-ideologica.

      Il movimento fondato da Beppe Grillo potrebbe cadere vittima delle sue enormi e vaste contraddizioni – e anche, come si è intravisto nelle ultime amministrative, di una classe politica spesso non all’altezza – ma oggi come oggi conserva un enorme vantaggio su tutti gli altri: è l’unica vera forza populista e anti-liberale non più definibile con le vecchie categorie, ma già definibile con le nuove. Una forza capace di unire temi sociali, ambientalismo, durezza nei confronti dell’immigrazione (fino a opporsi, di fatto, alla legge sullo ius soli), critica all’establishment e ai poteri forti, derive complottiste, ritorno alla lira e pure una certa fascinazione geopolitica per l’uomo forte Vladimir Putin (aspetto che farebbe la gioia del rossobruno nazional-bolscevico Aleksandr Dugin, teorico dell’euroasianesimo).

      Se le forze rossobrune “vere” (come i comunitaristi) sono confinate nelle nicchie più nascoste della politica italiana; se chi propugna il superamento della destra e della sinistra deve costantemente fare i conti con il passato (come Marine Le Pen e, in parte, la Lega Nord), ecco che l’unione dell’elettorato di destra e di sinistra radicale in nome del populismo e della rabbia nei confronti dei liberali, legati inestricabilmente ai poteri forti, può riuscire a chi, come il M5S, non deve scontare un passato ideologico e può contare su una percentuale elevatissima (42%) di elettori che si considerano “esterni” alle vecchie categorie politiche.

      E allora, chiariamo una cosa: utilizzare l’etichetta “rossobrunismo” è utile perché fa subito capire di che cosa si sta parlando; allo stesso tempo, però, non si può fare riferimento ai vecchi steccati ideologici per individuare il futuro della politica alternativa. Il rossobrunismo è ancorato fin dal nome a categorie che stiamo consegnando alla storia. È improbabile la nascita di un partito che includa Stefano Fassina e Giorgia Meloni, o Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, insieme in nome di ciò che li unisce e al netto di ciò che li divide. L’unione in chiave post-ideologica delle ali estreme dell’elettorato potrebbe però diventare realtà grazie a movimenti populisti post-ideologici che mettano in primo piano quegli stessi aspetti che accomunano la destra radicale e la sinistra alternativa, senza minimamente doversi curare del retaggio storico-politico.

      Il Movimento 5 Stelle è la prima forza di questo tipo, capace di unire il populismo di destra e di sinistra e di dimostrare quali siano le potenzialità elettorali di un progetto simile. Per questa ragione è assurdo il dibattito sul “M5S di destra e di sinistra”. Il Movimento 5 Stelle è oltre le vecchie categorie ed è già legato alle nuove, trovandosi così in posizione di netto vantaggio sulle vecchie forze radicali. Chiamarlo rossobrunismo può essere comodo, ma è un termine che lega al passato ciò che invece guarda al futuro.

      https://www.iltascabile.com/societa/rossobruni

  • Don’t separate Covid-positive children from parents, Western diplomats ask China | South China Morning Post
    https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3173025/dont-separate-covid-positive-children-parents-western

    Don’t separate Covid-positive children from parents, Western diplomats ask China. French and British envoys raise concerns about practice in Shanghai as city tries to stop spread of coronavirus. Western diplomats have expressed concern about separating children from their parents as part of Covid-19 curbs in Shanghai as the government tries to stamp out the spread of the virus.The city has been separating Covid-positive children from their parents, citing epidemic prevention requirements, which has prompted a widespread public outcry.Diplomats from more than 30 countries have written to the Chinese foreign ministry urging authorities not to take such a step.“We request that under no circumstances should parents and children be separated,” the French consulate in Shanghai said in a letter addressed to the foreign affairs office in the city on Thursday.
    Shanghai locks down western bank of Huangpu River as Covid fight continues in China’s biggest city
    In a separate letter to the Chinese foreign ministry dated the same day, the British embassy in Beijing said it was concerned by “recent instances when local authorities have sought to separate minors who tested positive for Covid-19 from their parents” and requested assurances that this would not happen to diplomatic staff.The French consulate and British embassy both said they were writing the letters on behalf of European Union states as well as other countries including Norway, Switzerland, Australia and New Zealand.They said they had heard about difficulties caused by Shanghai’s lockdown, which the city started carrying out in two stages starting March 28.The French consulate letter said asymptomatic or mild cases should be sent to “a specialised isolation environment with staff who can communicate in English”.Currently, asymptomatic cases are sent to centralised quarantine centres, some of which have been described as unsanitary and overcrowded.The British embassy said there were concerns over the conditions and lack of privacy in recently deployed mobile hospital facilities, adding that isolating in diplomatic housing was a “preferable solution and consistent with our Vienna Convention privileges”.“The British consulate general in Shanghai has been raising its concerns about various aspects of the current Covid policies in relation to all British nationals in China, with the relevant Chinese authorities,” a consulate spokesman said.
    Locked down in Shanghai: China’s biggest city grapples with its worst Covid outbreak since 2020The French consulate declined to comment on the letter. The Australian consulate general in Shanghai, which was cited in the letters, also declined to comment but said it had been engaging with local authorities on the Covid-19 restrictions.The United States did not appear as a signatory on either letter.However, the US consul general in Shanghai, Jim Heller, told members of a private chat group for US citizens that the consulate had been underscoring many of the concerns raised by the European letter with the Shanghai government.A US embassy spokesman declined to comment on Heller’s remarks but said the treatment of embassy staff in the Covid-19 pandemic was “job one” and that the embassy was engaging on Covid-related policy with the Chinese government.Other countries, such as Norway, Switzerland and New Zealand, which were mentioned in the letters, did not respond to requests for comment.
    The Chinese foreign ministry also did not respond to a request for comment.On Monday, Shanghai official Wu Qianyu said children could be accompanied by their parents if the parents were also infected, but separated if they were not, adding that policies were still being refined.
    China has sent the military and thousands of health workers into Shanghai to help carry out Covid-19 tests for all of its 25 million residents.
    Cases continued to rise on Monday amid a city lockdown, in one of the country’s biggest-ever public health responses.

    #Covid-19#migrant#migration#chine#france#grandebretagne#etatsunis#norvege#suisse#nouvellezelande#shangai#isolement#famille#expatrie#restrictionsanitaire#caspositif#casasymptomatique#confinement

  • Marion Maréchal dit « pencher » pour Eric Zemmour, au grand dam de Marine Le Pen

    La candidate du Rassemblement national à l’élection présidentielle a connu, la semaine dernière, trois défections au profit de son rival à l’extrême droite.

    « Si je soutiens Eric, ce n’est pas juste pour passer une tête et dire coucou », avait-elle déjà déclaré la veille au Parisien, jugeant que le candidat de Reconquête avait fait « beaucoup de progrès dans la posture, le ton, la gravité » depuis son entrée en campagne, le 30 novembre 2021. « Je ne sais pas qui est le mieux placé. La campagne est encore longue. Eric Zemmour a une marge de progression plus grande chez les classes populaires et les abstentionnistes que Marine Le Pen auprès des classes supérieures », analysait-elle.

    [tout ça tout ça] quelques jours à peine après les ralliements de Gilbert Collard, de Jérôme Rivière et de Damien Rieu, venus du RN.
    https://www.lemonde.fr/election-presidentielle-2022/article/2022/01/28/presidentielle-2022-marine-le-pen-deplore-que-marion-marechal-dise-reflechir

    faut bien qu’elle ait lieu quelque part l’alliance Le P**, Z******, ce dernier ne piquera pas assez d’électeurs à lui seul

    et, partout, des éléments qui peuvent faire casserole (même sans les diamants de Bokasssa)

    La « GUD connexion » toujours présente dans les coulisses de la campagne de Marine Le Pen

    Ils sont les fantômes d’un passé que Marine Le Pen voudrait faire oublier, les symboles d’une radicalité idéologique et d’un affairisme qui cadrent mal avec sa « dédiabolisation ». Frédéric Chatillon, Axel Loustau et Nicolas Crochet : l’imprimeur, le grand argentier et le comptable. Trois vieux amis de « la présidente », au cœur des scandales politico-financiers qui ont valu au Rassemblement national (#RN) quatre enquêtes judiciaires, dont la première a abouti à une condamnation en 2019. Tenus à l’écart des projecteurs, ces trois hommes jouent toujours un rôle dans les coulisses du RN, y compris pour l’actuelle campagne présidentielle de Marine Le Pen.
    https://justpaste.it/8zoj5

    #extrême_droite

  • Dérives alimentaires : une star du crudivorisme visée par la justice

    https://www.leparisien.fr/faits-divers/derives-alimentaires-une-star-du-crudivorisme-visee-par-la-justice-22-10-


    Avec plus de 600 saisines, dont 70 en 2020, Thierry Casasnova est la personnalité la plus signalée à la Miviludes.

    Depuis une dizaine d’années, Thierry Casasnovas s’est fait connaître par ses vidéos, cumulant plus de cent millions de vues, où il défend le manger cru et l’abstinence pour mieux vivre, régénérer et détoxifier son corps.
    Une information judiciaire, notamment pour des faits « (d’)exercice illégal de la médecine », a été ouverte à la fin de l’été à l’encontre du naturopathe Thierry Casasnovas, l’ex chantre du jeûne et crudivorisme sur YouTube, a-t-on appris jeudi auprès du parquet de Perpignan (Pyrénées-Orientales).

    Cet influenceur, basé dans le village de Taulis à une trentaine de kilomètres de Perpignan, qui était jusqu’en juin dernier l’un des Youtubeurs francophones les plus influents dans le domaine, avec 525 000 abonnés et des dizaines de millions de vues cumulées, avait annoncé mi-juin qu’il arrêtait sa chaîne YouTube et se retirait « de la vie publique » dans une ultime vidéo.

    Thierry Casanovas disait être « épuisé par le harcèlement » dont il était l’objet, en particulier du fait de la Miviludes (Mission interministérielle de vigilance et de lutte contre les dérives sectaires) qu’il qualifiait de « police de la pensée ». Avec plus de 600 saisines, dont 70 en 2020, il est la personnalité la plus signalée à la Miviludes.
    Manger cru et abstinence pour mieux vivre

    Courant 2020, le parquet de Perpignan a ouvert une information judiciaire à son encontre pour « exercice illégal de la profession de médecin », « abus de faiblesse » et « pratiques commerciales trompeuses », avant de confier le 3 août dernier le dossier à un juge d’instruction.

    Depuis une dizaine d’années, ce naturopathe s’est fait connaître par ses vidéos, cumulant plus de cent millions de « vues », où il défend le manger cru et l’abstinence pour mieux vivre, régénérer et détoxifier son corps. Parallèlement, le Youtubeur y faisait la promotion d’une marque d’extracteur de jus indispensable à ces pratiques alimentaires.

    Selon ces vidéos, ces pratiques peuvent prévenir voire guérir cancer, diabète ou dépression… Il y rejette la médecine traditionnelle et ne « croit pas à la vaccination ». Il n’hésite pas également à affirmer que lui « ministre de la Santé », le coronavirus « serait réglé rapido : bain froid et jeûne pour tout le monde, un petit jus de carottes et vas-y que je t’envoie », affirme-t-il face caméra.

    S’il a aujourd’hui quitté YouTube, Thierry Casanovas indique dans sa dernière vidéo du 12 juin que ses adeptes pourront toujours suivre « le message » de son association Régènère sur un autre réseau social, la messagerie Telegram.

    Début juin, l’association nationale de défense des victimes des sectes, (Unadfi) saisie par plusieurs familles dont des proches suivant les préceptes de Régènère, a déposé plainte contre l’influenceur notamment pour « abus de faiblesse », « exercice illégal de la médecine et de la pharmacie » et « mise en danger délibéré d’autrui », peut-on voir sur son site.

    #secte #antivax #casanovas

  • La #mobilité des #femmes dans les #villes africaines : Comment expliquer les #inégalités d’accès ?

    Impliqué dans l’élaboration de plans de mobilité urbaine soutenable de 5 villes africaines (#Casablanca, #Tanger, #Sousse, #Dakar, #Yaoundé), Transitec a analysé la mobilité quotidienne des femmes pour esquisser des tendances dans ces villes du Maghreb et d’Afrique Subsaharienne.

    Introduction

    Dans les villes du monde entier, la mobilité quotidienne des hommes et des femmes a des caractéristiques différentes. Dans les villes en développement, on constate une plus faible accessibilité des femmes par rapport à leurs homologues masculins. Pourtant, à l’instar des travaux conduits par Amartya Sen, on peut considérer que ces inégalités fondées sur le genre ralentissent les dynamiques de développement et de réduction de la pauvreté. Aussi, afin d’orienter les politiques de mobilité, il nous semble utile de renseigner les déterminants de la moindre accessibilité des femmes, pour s’interroger ensuite sur les actions qui peuvent réduire ces inégalités d’accès.

    Dans le cadre de l’élaboration de plans de mobilité urbaine soutenable, nous avons eu accès à des enquêtes ménages-déplacements (EMD) réalisées entre 2015 et 2020 dans 5 villes africaines : Casablanca et Tanger (Maroc), Sousse (Tunisie), Dakar (Sénégal), Yaoundé (Cameroun). L’analyse de ces bases de données nous a permis de constater l’ampleur des inégalités dans les villes concernées et d’esquisser des tendances différentes entre les villes du Maghreb et d’Afrique Subsaharienne.

    Des inégalités notables entre femmes et hommes

    Un niveau d’immobilité plus élevé

    Dans les villes du Maghreb, les femmes se déplacent moins que les hommes. Les Casablancaises ont ainsi un taux d’immobilité de l’ordre de 25% quand il est de 8% pour leurs homologues masculins. Dans les villes sub-sahariennes étudiées, le phénomène n’est toutefois pas aussi marqué : à Dakar le taux d’immobilité est respectivement de 19 % et 11 % pour les femmes et les hommes. Par ailleurs, dans l’ensemble des villes concernées, les femmes réalisent des déplacements 10 à 30% plus courts que les hommes.

    Des motifs de déplacements différents

    Les hommes se déplacent davantage pour des motifs liés au travail, avec un différentiel de +11 à +36% par rapport aux femmes. A l’inverse, les achats représentent une part très importante de la mobilité des femmes (de 20% à Casablanca à 39% à Tanger), soit trois fois plus que les hommes. C’est à Casablanca que le différentiel homme-femme est le plus marqué, en lien avec un taux d’activité féminin relativement faible (28,20%) - le plus faible des 5 villes étudiées.

    Un budget transport plus faible

    Des différences de revenus entre hommes et femmes interrogées sont également observées. Dans l’agglomération casablancaise, près de 70% des femmes touchent moins de 3’000 dirhams (~275 euros), contre 44% des hommes. Le même constat est noté à Sousse, où plus de 60% des femmes touchent moins de 890 dinars (~270 euros) alors que les hommes ne sont que 47% dans cette catégorie. Cela se traduit par des budgets moyens par déplacement inférieurs pour les femmes ; l’écart le plus grand étant observé à Casablanca (37%).

    Des facteurs explicatifs

    L’analyse des pratiques de mobilité des femmes ne peut se concevoir uniquement par rapport à celles des hommes. En effet, les publications de référence indiquent que celles-ci varient selon que les femmes soient actives ou sans emploi, qu’elles aient ou non des enfants à charge, et en fonction de leur âge. Nous avons analysé l’influence de ces 3 facteurs sur les pratiques de mobilité.

    Les femmes actives sont les plus mobiles

    Dans nos 5 villes d’étude, les femmes sont moins actives que les hommes. Plus de la moitié des femmes dans les 3 villes maghrébines sont inactives professionnellement (au foyer, à la retraite ou à la recherche d’un emploi) contre moins de 20% des hommes. Dans les deux villes d’Afrique Sub-saharienne, le taux d’inactivité apparait moins important. Or, on remarque que l’occupation ou non d’un emploi, qu’il soit à temps complet ou partiel, influence positivement le nombre moyen de déplacements effectué quotidiennement. A Casablanca, les femmes actives réalisent 2,4 déplacements par jour, contre 1,6 pour les femmes au foyer. A Dakar, cette différence varie entre 3,2 déplacements par jour pour les femmes actives et 2,5 pour les femmes au foyer. Par ailleurs, même lorsqu’elles sont actives, les femmes continuent à s’occuper davantage des tâches domestiques, tandis que les hommes consacrent davantage de temps aux loisirs.

    Le fait d’avoir un emploi génère également une différence très marquée dans l’usage des modes. Les femmes sont plus nombreuses à utiliser des modes motorisés lorsqu’elles sont actives. Elles recourent plus à la marche lorsqu’elles sont sans emploi.

    Les femmes âgées se déplacent moins

    La corrélation entre l’âge et la mobilité quotidienne est très forte. Le nombre de déplacements décline rapidement et l’écart se creuse particulièrement au moment de la retraire : les hommes sont alors deux fois plus mobiles que les femmes. Cela peut s’expliquer en partie par la difficulté à continuer à utiliser les transports en commun, et par la plus faible possession du permis de conduire chez les femmes âgées.

    Toutefois, à l’inverse de ce qui a été observé en Europe, il n’est pas constaté d’hypermobilité chez les femmes entre 25 et 35 ans. Les systèmes de garde des enfants, le recours plus facile à des membres de la famille pour l’accompagnement à l’école et le fait que les activités extra-scolaires soient moins répandues expliquent cette différence.

    Une différence marquée dans l’utilisation des modes

    Un taux de motorisation faible accentue les inégalités

    L’accès des femmes aux modes motorisés privés est un indicateur central des disparités homme-femme, marqueur à la fois des inégalités matérielles et des différences de rôle au sein des ménages. Le constat le plus flagrant est à Dakar, Tanger et Casablanca, où les hommes sont deux fois plus nombreux à utiliser la voiture. Le deux-roues motorisé et le vélo restent également des

    modes majoritairement masculins. Sousse se démarque ici avec un faible écart homme-femme dans l’utilisation des modes motorisés privés – ceux-ci représentant autour de 50% de modes motorisés. Ce faible écart peut s’expliquer par un taux de motorisation relativement élevé (44% - le plus élevé des 5 villes), et laisse supposer que plus une ville se motorise, plus les inégalités d’accès aux modes motorisés privés diminuent. Incidemment, on note une utilisation plus élevée des modes motorisés privés chez les femmes des villes du Maghreb (Casablanca, Sousse, Tanger).

    Une "confiscation" du véhicule par les hommes

    Cette faible utilisation de la voiture par les femmes est renforcée par le fait qu’elles sont 2 à 7 fois moins nombreuses à détenir le permis de conduire ; la différence la plus faible étant une fois de plus à Sousse, et la plus élevée à Dakar (qui affiche un des taux de motorisation les plus faibles - 25,6%). Par ailleurs, même lorsque le ménage dispose d’une voiture, les femmes n’y ont pas accès de la même manière que les hommes et restent captives des modes de transport public. Cela a un impact non négligeable sur le taux de mobilité quotidienne. Ainsi, les Casablancaises ayant accès à un véhicule du ménage effectuent 2,1 déplacements par jour, contre 1,7 lorsqu’elles n’y ont pas accès. Ce phénomène a été théorisé et plusieurs auteurs parlent de « confiscation » de l’automobile par les chefs de ménage (Olvera & Plat, 1997).

    Un recours différent au transport public

    La résultante du faible taux d’utilisation des modes motorisés individuels par les femmes est un fort taux d’utilisation des transports publics. Au sein même des transports publics, on observe que les hommes utilisent davantage les systèmes de transport institutionnels, tandis que les femmes utilisent davantage les systèmes non-réguliers ou semi-collectifs (taxis). Ce constat peut s’expliquer par le fait que les femmes réalisent moins de déplacements radiaux, où le transport institutionnel est plus présent. Leurs déplacements sont plus complexes. Elles sont plus souvent chargées et accompagnées ; et elles se déplacent plus souvent en dehors des heures de pointe. Le taxi offre alors une plus grande flexibilité et un plus grand confort. Le taxi est également susceptible d’assurer une desserte plus locale, sur des trajets plus courts, ce qui est cohérent avec les observations faites précédemment.

    Une plus grande #mobilité_piétonne

    On observe dans l’ensemble des villes que les femmes marchent beaucoup plus que les hommes. Ce constat est d’autant plus intéressant qu’il concerne des villes aux profils très différents, en termes de taux de motorisation et d’offre de transport public. Les facteurs socio-économiques présentés plus haut expliquent en partie cette part élevée de la marche dans les déplacements des femmes (revenus plus faibles, moindre poids dans la décision financière, déplacements à une échelle plus locale en lien avec un faible taux d’activité, déplacements plus complexes avec segments multiples).

    Conclusion

    L’analyse des 5 EMD nous a permis de confirmer l’intuition selon laquelle, pour des raisons culturelles, sociologiques, économiques, les femmes sont moins mobiles que les hommes et ont des pratiques de mobilité différentes : utilisation majoritaire des transports publics et du taxi, moindre accès aux modes motorisés privés, part significative des déplacements réalisés à pied, faible utilisation du vélo etc.

    Ces pratiques sont le résultat de facteurs variés (emploi, parentalité, âge, motifs de déplacement, détention du permis de conduire, poids financier dans le ménage, éléments culturels etc.) dont la compréhension notamment par les décideurs et les aménageurs est indispensable au développement de schémas de mobilité répondant aux besoins de toutes et de tous.

    La comparaison entre les villes d’Afrique du Nord et les villes d’Afrique Sub-sahariennes, au-delà des aspects culturels, laisse penser que l’accroissement du #niveau_de_vie et la #motorisation associée accentuent les inégalités femme-homme.

    https://transitec.net/fr/actualites/item/11054-la-mobilite-des-femmes-dans-les-villes-africaines-comment-expliquer

    #Afrique #accès #géographie_urbaine #urbanisme #urban_matter #genre

    Pour télécharger le #rapport :
    https://transitec.s3.eu-central-1.amazonaws.com/uploads/public/614/d9e/6f4/614d9e6f4d132530117769.pdf

  • A #Oulx un nuovo rifugio per i migranti « Più posti e più dignitosi in vista dell’inverno »

    Il ministero dell’Interno ha confermato la disponibilità a finanziarne il mantenimento, mentre la #Fondazione_Magnetto si occuperà dell’acquisto dell’immobile. #Don_Luigi_Chiampo: «Niente più container per gli ospiti»

    Ci sarà un nuovo rifugio per i migranti a Olux. Lo ha annunciato la prefettura di Torino al termine di un incontro a cui hanno partecipato il capo dipartimento delle libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno, Michele di Bari, l’arcivescovo Cesare Nosiglia, il prefetto di Torino, Claudio Palomba, i sindaci dei Comuni di Bardonecchia (capofila del progetto MigrAlps), Oulx e Claviere e le associazioni che da anni lavorano per assistere i migranti al confine alpino.

    Se da un lato il ministero ha confermato l’impegno economico per sostenere le spese di gestione del rifugio con un contributo di 240mila euro fino alla fine dell’anno, il nuovo spazio in cui potrebbe essere trasferito il #rifugio_Massi è il risultato dell’iniziativa privata della fondazione Magnetto che sta perfezionando l’acquisto della casa salesiana che sorge vicino al rifugio attuale, a due passi dalla stazione e dalla sede degli alpini.

    Se l’acquisto andrà in porto renderà immediatamente utilizzabili i nuovi spazi che offrono un’organizzazione migliore per la gestione del rifugio. «È una struttura più stabile e dignitosa», spiega don Luigi Chiampo dell’associazione #Talita-Kum che gestisce il rifugio Massi dove dal 2018 operano i medici di #Raimbow4Africa, la #Croce_Rossa e i volontari di #Valsusa_Oltre_Confine. L’aumento esponenziale dei passaggi sul confine alpino tra Italia e Francia e l’arrivo di tante famiglie sulla rotta balcanica ha costretto il rifugio Massi a trovare il sistema di ampliarsi con moduli e conteiner esterni. «Con i nuovi spazi useremo i container soltanto per allestire un ambulatorio medico esterno - spiega don Luigi - la casa salesiana ha una cucina industriale, un refettorio adeguato e stanze più piccole che garantiscono un’accoglienza migliore delle famiglie».

    Fin dall’inizio dell’estate Oulx vede un flusso di almeno 60 o 70 perdone a giorno, che gestisce con l’aiuto della Croce Rossa di Susa che ha messo a disposizione il suo spazio polivalente di Bussoleno. «Per risparmiare le forze in estate abbiamo ridotto gli orari - prosegue Don Chiampo - ma da ottobre riapriremo 24 ore al giorno. Ci aspettiamo un aumento ulteriore delle persone a partire dall’inverno. Sono molto soddisfatto dell’incontro di ieri. Fino ad ora siamo andati avanti con risorse private, ora sono arrivate promesse per un sostegno pubblico». La nuova struttura avrà a disposizione 70 posti.

    Soddisfatto anche il sindaco di Oulx Andrea Terzolo. «Sarà un aumento qualitativo del servizio - dice - Da inizio anno i numeri dei passaggi fanno spavento e l’intervento di Magnetto è stato provvidenziale. Siamo molto soddisfatti anche di come è stata gestita l’assistenza medica, sempre presente e sempre più importante. Il controllo stretto ci ha permesso di non avere nessun caso covid e di aiutare perso che da mesi avevano bisogno di assistenza. In prefettura abbiamo trovato istituzioni sensibili a questi temi».

    «I contributi finanziari garantiti dal Ministero dell’Interno, dalla Diocesi di Susa e dalla Fondazione Magnetto hanno reso possibile fornire assistenza ed accoglienza d’urgenza», spiega in una nota la prefettura. Al termine dell’incontro il Capo Dipartimento, nel ringraziare per il lavoro svolto, ha sottolineato come «la sinergia interistituzionale può rispondere efficacemente alle sfide che questo periodo storico, caratterizzato anche da flussi migratori, ci pone quotidianamente».

    https://torino.repubblica.it/cronaca/2021/09/17/news/a_oulx_un_nuovo_rifugio_per_i_migranti_piu_posti_e_piu_dignitosi_i

    #solidarité #refuge #Italie #frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #Val_Susa #Val_di_Susa #Italie #France #Hautes-Alpes

    Pour rappel, le refuge autogéré #Chez_Jésoulx (#casa_cantoniera) avait été expulsé en mars 2021 :
    https://seenthis.net/messages/907802

    –-

    ajouté à la métaliste sur le #Briançonnais :
    https://seenthis.net/messages/733721

    • pour les non-italophones la traduction automatique deepl donne :

      A #Oulx un nouvel abri pour les migrants « Plus de places et plus de dignité en vue de l’hiver ».

      Le ministère de l’intérieur a confirmé sa volonté de financer son entretien, tandis que la #Fondazione_Magnetto se chargera de l’achat du bâtiment. #Don_Luigi_Chiampo : « Plus de conteneurs pour les invités ».

      Il y aura un nouveau centre d’accueil pour les migrants à Oulx. C’est ce qu’a annoncé la préfecture de Turin à l’issue d’une réunion à laquelle ont participé le chef du département des libertés civiles et de l’immigration du ministère de l’Intérieur, Michele di Bari, l’archevêque Cesare Nosiglia, le préfet de Turin, Claudio Palomba, les maires des communes de Bardonecchia (chef de file du projet MigrAlps), Oulx et Claviere et les associations qui travaillent depuis des années pour aider les migrants à la frontière alpine.

      Alors que le ministère a confirmé son engagement financier pour soutenir les coûts de gestion du refuge avec une contribution de 240 000 euros jusqu’à la fin de l’année, le nouvel espace dans lequel le #refugio_Massi pourrait être déplacé est le résultat d’une initiative privée de la fondation Magnetto, qui est en train de finaliser l’achat de la maison salésienne qui se trouve près du refuge actuel, à deux pas de la gare et du quartier général des troupes alpines.

      Si l’achat se concrétise, les nouveaux locaux seront disponibles immédiatement, offrant une meilleure organisation pour le fonctionnement du refuge. « C’est une structure plus stable et plus digne », explique Don Luigi Chiampo de l’association #Talita-Kum, qui gère le refuge de Massi où travaillent depuis 2018 des médecins de #Raimbow4Africa, la #Croix-Rouge et des volontaires de #Valsusa_Oltre_Confine. L’augmentation exponentielle du nombre de passages à la frontière alpine entre l’Italie et la France et l’arrivée de tant de familles sur la route des Balkans ont obligé le refuge Massi à trouver un moyen de s’agrandir avec des modules et des conteurs externes. « Avec les nouveaux espaces, nous n’utiliserons les conteneurs que pour installer une clinique médicale externe », explique don Luigi, « la maison salésienne dispose d’une cuisine industrielle, d’un réfectoire adéquat et de pièces plus petites qui garantissent un meilleur accueil des familles ».

      Depuis le début de l’été, Oulx connaît un flux d’au moins 60 à 70 personnes par jour, qu’elle gère avec l’aide de la Croix-Rouge de Suse, qui a mis à disposition son espace polyvalent de Bussoleno. « Afin d’économiser de l’énergie en été, nous avons réduit les heures d’ouverture », poursuit Don Chiampo, « mais à partir d’octobre, nous serons de nouveau ouverts 24 heures sur 24. Nous prévoyons une nouvelle augmentation du nombre de personnes à partir de l’hiver. Je suis très satisfait de la réunion d’hier. Jusqu’à présent, nous avons avancé avec des ressources privées, maintenant les promesses de soutien public sont arrivées ». Le nouvel établissement disposera de 70 places.

      Le maire d’Oulx, Andrea Terzolo, est également satisfait. "Depuis le début de l’année, le nombre de passages a été effrayant et l’intervention de Magnetto a été providentielle. Nous sommes également très satisfaits de la manière dont a été gérée l’assistance médicale, toujours présente et de plus en plus importante. Ce contrôle rigoureux nous a permis de ne pas avoir de cas de covidie et d’aider des personnes qui avaient besoin d’aide depuis des mois. Dans la préfecture, nous avons trouvé des institutions sensibles à ces questions.

      « Les contributions financières garanties par le ministère de l’Intérieur, le diocèse de Suse et la Fondation Magnetto ont permis d’apporter une aide d’urgence et un accueil », explique la préfecture dans une note. À la fin de la réunion, le chef du département, en remerciant pour le travail accompli, a souligné comment « la synergie interinstitutionnelle peut répondre efficacement aux défis que cette période historique, également caractérisée par des flux migratoires, nous pose quotidiennement ».

      ...mais pourquoi du côté français (Briançon) les autorités continuent de faire comme si il n’y avait pas d’hébergement à assurer/financer ?

  • Oulx, sgomberata la #Casa_cantoniera occupata dagli anarchici italiani e francesi

    Lo scorso gennaio un migrante era stato ferito con un’arma da taglio dopo una lite con un altro poi fuggito

    OULX. È in corso dalle prime ore di questa mattina lo sgombero della Casa cantoniera alle porte di Oulx, in #Valle_di_Susa, sulla statale 24, occupata da anarchici francesi e italiani nel dicembre 2018. Digos, carabinieri e vigili del fuoco stanno cercando di abbattere una delle barriere.

    L’occupazione dell’edificio, dopo lo sgombero del seminterrato della parrocchia di Claviere, si inseriva nella contestazione della galassia anarchica contro le frontiere e le politiche immigratorie. La prima tappa era stata un’assemblea a San Didero nel dicembre 2018, dove anarchici e antagonisti della rete «#Briser_les_frontières» avevano annunciato forme di sostegno ai migranti che affrontano il Colle della Scala per raggiungere la Francia. All’inizio c’erano state iniziative di raccolte di indumenti e di contributi alimentari ed economici. Poi era arrivata la propaganda politica e di protesta contro il sistema di accoglienza organizzato dalle amministrazioni locali: una saletta nella stazione ferroviaria di Oulx, i presidi umanitari della Croce Rossa di Susa e delle associazioni di volontariato.

    https://www.lastampa.it/torino/2021/03/23/news/oulx-sgomberata-la-casa-cantoniera-occupata-dagli-anarchici-italiani-e-fran

    #Oulx #chez_Jésoulx #asile #migrations #réfugiés #Italie #Briançonnais #Val_Susa #frontières #destruction #démantèlement #frontière_sud-alpine

    ping @isskein @karine4

    • Migranti, sgombero al presidio in #Val_di_Susa. “Persone fragili finiranno in strada”

      Le forze dell’ordine hanno mandato via gli occupanti dell’ex casa cantoniera diventata un rifugio per i transitanti sulla rotta alpina. Franchi (Rainbow for Africa): “Nostri operatori al lavoro per organizzare assistenza, non ci sono alternative”

      https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/migranti_sgombero_al_presidio_di_oulx_rischio_persone_fragili_finis

    • Sgomberato Chez JesOulx

      Brutto risveglio questa mattina alla ex casa cantoniera di Oulx, divenuta, dopo l’occupazione del dicembre 2018, un rifugio autogestito per la gente in viaggio.
      All’alba polizia in antosommossa, digos, vigili del fuoco e Croce Rossa hanno circondato il rifugio.
      Le barricate antisgombero hanno retto per un’ora e mezza. Poi, grazie all’intervento dei vigili del fuoco, le forze dell’ordine sono riuscite ad entrare nella casa, dove dormivano una quarantina di uomini, donne e bambini.
      I solidali sono stati circondati ed isolati all’esterno della casa, la gente in viaggio è stata accompagnata alla tenda della Croce Rossa per un controllo sanitario. Successivamente i migranti sono stati spostati nella struttura dei salesiani di Oulx e in un istituto di suore a Susa.
      Le persone senza documenti sono state portate al commissariato di Bardonecchia.
      I solidali accorsi nel frattempo sono stati tenuti lontani.

      In questo stesso giorno comincia il processo per l’occupazione del primo rifugio autogestito, il sottochiesa occupato di Claviere.

      Questo sgombero è un ulteriore tassello nel processo di criminalizzazione della solidarietà attiva ai migranti. Sappiamo bene che la gente in viaggio continuerà a cercare di bucare la frontiera. Da oggi, senza sostegno, informazioni, scarpe adatte, la lista, già pesante delle vite inghiottite dalla frontiera si allungherà ancora.

      Ne abbiamo parlato con due solidali, Nina e Monica

      https://radioblackout.org/2021/03/sgomberato-chez-jesoulx

  • #Evelop / #Barceló_Group : deportation planes from Spain

    The Barceló Group is a leading Spanish travel and hotel company whose airline Evelop is an eager deportation profiteer. Evelop is currently the Spanish government’s main charter deportation partner, running all the country’s mass expulsion flights through a two-year contract, while carrying out deportations from several other European countries as well.

    This profile has been written in response to requests from anti-deportation campaigners. We look at how:

    - The Barceló Group’s airline Evelop has a €9.9m, 18-month deportation contract with the Spanish government. The contract is up for renewal and Barceló is bidding again.
    - Primary beneficiaries of the contract alternate every few years between Evelop and Globalia’s Air Europa.
    – Evelop also carried out deportations from the UK last year to Jamaica, Ghana and Nigeria.
    – The Barceló Group is run and owned by the Barceló family. It is currently co-chaired by the Barceló cousins, Simón Barceló Tous and Simón Pedro Barceló Vadell. Former senator Simón Pedro Barceló Vadell, of the conservative Partido Popular (PP) party, takes the more public-facing role.
    – The company is Spain’s second biggest hotel company, although the coronavirus pandemic appears to have significantly impacted this aspect of its work.

    What’s the business?

    The Barceló Group (‘#Barceló_Corporación_Empresarial, S.A.’) is made up of the #Barceló_Hotel_Group, Spain’s second largest hotel company, and a travel agency and tour operator division known as #Ávoris. Ávoris runs two airlines: the Portuguese brand #Orbest, which anti-deportation campaigners report have also carried out charter deportations, and the Spanish company, #Evelop, founded in 2013.

    The Barceló Group is based in Palma, #Mallorca. It was founded by the Mallorca-based Barceló family in 1931 as #Autocares_Barceló, which specialised in the transportation of people and goods, and has been managed by the family for three generations. The Barceló Group has a stock of over 250 hotels in 22 countries and claims to employ over 33,000 people globally, though we don’t know if this figure has been affected by the coronavirus pandemic, which has caused massive job losses in the tourism industry.

    The Hotel division has four brands: #Royal_Hideaway_Luxury_Hotels & Resorts; #Barceló_Hotels & Resorts; #Occidental_Hotels & Resorts; and #Allegro_Hotels. The company owns, manages and rents hotels worldwide, mostly in Spain, Mexico and the US. It works in the United States through its subsidiary, Crestline Hotels & Resorts, which manages third-party hotels, including for big brands like Marriott and Hilton.

    Ávoris, the travel division, runs twelve tour brands, all platforms promoting package holidays.

    Their airlines are small, primarily focused on taking people to sun and sand-filled holidays. In total the Barceló Group airlines have a fleet of just nine aircraft, with one on order, according to the Planespotters website. However, three of these have been acquired in the past two years and a fourth is due to be delivered. Half are leased from Irish airplane lessor Avolon. Evelop serves only a few routes, mainly between the Caribbean and the Iberian peninsula, as well as the UK.

    Major changes are afoot as Ávoris is due to merge with #Halcón_Viajes_and_Travelplan, both subsidiaries of fellow Mallorcan travel giant #Globalia. The combined entity will become the largest group of travel agencies in Spain, employing around 6,000 people. The Barceló Group is due to have the majority stake in the new business.

    Barceló has also recently announced the merger of Evelop with its other airline Orbest, leading to a new airline called Iberojet (the name of a travel agency already operated by Ávoris).

    The new airline is starting to sell scheduled flights in addition to charter operations. Evelop had already announced a reduction in its charter service, at a time when its scheduled airline competitors, such as #Air_Europa, have had to be bailed out to avoid pandemic-induced bankruptcy. Its first scheduled flights will be mainly to destinations in Central and South America, notably Cuba and the Domican Republic, though they are also offering flights to Tunisia, the Maldives and Mauritius.

    Deportation dealers

    Evelop currently holds the contract to carry out the Spanish government’s mass deportation flights, through an agreement made with the Spanish Interior Ministry in December 2019. Another company, Air Nostrum, which operates the Iberia Regional franchise, transports detainees within Spain, notably to Madrid, from where they are deported by Evelop. The total value of the contract for the two airlines is €9.9m, and lasts 18 months.

    This is the latest in a long series of such contracts. Over the years, the beneficiaries have alternated between the Evelop- #Air_Nostrum partnership, and another partnership comprising Globalia’s #Air_Europa, and #Swiftair (with the former taking the equivalent role to that of Evelop). So far, the Evelop partnership has been awarded the job twice, while its Air Europa rival has won the bidding three times.

    However, the current deal will end in spring 2021, and a new tender for a contract of the same value has been launched. The two bidders are: Evelop-Air Nostrum; and Air Europa in partnership with #Aeronova, another Globalia subsidiary. A third operator, #Canary_Fly, has been excluded from the bidding for failing to produce all the required documentation. So yet again, the contract will be awarded to companies either owned by the Barceló Group or Globalia.

    On 10 November 2020, Evelop carried out the first charter deportations from Spain since the restrictions on travel brought about by the cCOVID-19 pandemic. On board were 22 migrants, mostly Senegalese, who had travelled by boat to the Canary Islands. Evelop and the Spanish government dumped them in Mauritania, under an agreement with the country to accept any migrants arriving on the shores of the Islands. According to El País newspaper, the number of actual Mauritanians deported to that country is a significant minority of all deportees. Anti-deportation campaigners state that since the easing up of travel restrictions, Evelop has also deported people to Georgia, Albania, Colombia and the Dominican Republic.

    Evelop is not only eager to cash in on deportations in Spain. Here in the UK, Evelop carried out at least two charter deportations last year: one to Ghana and Nigeria from Stansted on 30 January 2020; and one to Jamaica from Doncaster airport on 11 February in the same year. These deportations took place during a period of mobile network outages across Harmondsworth and Colnbrook detention centres, which interfered with detainees’ ability to access legal advice to challenge their expulsion, or speak to loved ones.

    According to campaigners, the company reportedly operates most of Austria and Germany’s deportations to Nigeria and Ghana, including a recent joint flight on 19 January. It also has operated deportations from Germany to Pakistan and Bangladesh.

    Evelop is not the only company profiting from Spain’s deportation machine. The Spanish government also regularly deports people on commercial flights operated by airlines such as Air Maroc, Air Senegal, and Iberia, as well as mass deportations by ferry to Morocco and Algeria through the companies #Transmediterránea, #Baleària and #Algérie_Ferries. #Ferry deportations are currently on hold due to the pandemic, but Air Maroc reportedly still carry out regular deportations on commercial flights to Moroccan-occupied Western Sahara.

    Where’s the money?

    The financial outlook for the Barceló Group as a whole at the end of 2019 seemed strong, having made a net profit of €135 million.

    Before the pandemic, the company president said that he had planned to prioritise its hotels division over its tour operator segment, which includes its airlines. Fast forward a couple of years and its hotels are struggling to attract custom, while one of its airlines has secured a multimillion-euro deportation contract.

    Unsurprisingly, the coronavirus pandemic has had a huge impact on the Barceló Group’s operations. The company had to close nearly all of its hotels in Europe, the Middle East and Africa during the first wave of the pandemic, with revenue down 99%. In the Caribbean, the hotel group saw a 95% drop in revenue in May, April and June. They fared slightly better in the US, which saw far fewer COVID-19 restrictions, yet revenue there still declined 89%. By early October, between 20-60% of their hotels in Europe, the Middle East and the Caribbean had reopened across the regions, but with occupancy at only 20-60%.

    The company has been negotiating payments with hotels and aircraft lessors in light of reduced demand. It claims that it has not however had to cut jobs, since the Spanish government’s COVID-19 temporary redundancy plans enable some workers to be furloughed and prevent employers from firing them in that time.

    Despite these difficulties, the company may be saved, like other tourism multinationals, by a big bailout from the state. Barceló’s Ávoris division is set to share a €320 million bailout from the Spanish government as part of the merger with Globalia’s subsidiaries. Is not known if the Barceló Group’s hotel lines will benefit from state funds.

    Key people

    The eight members of the executive board are unsurprisingly, male, pale and frail; as are all ten members of the Ávoris management team.

    The company is co-chaired by cousins with confusingly similar names: #Simón_Barceló_Tous and #Simón_Pedro_Barceló_Vadell. We’ll call them #Barceló_Tous and #Pedro_Barceló from here. The family are from Felanitx, Mallorca.

    Barceló Tous is the much more low-key of the two, and there is little public information about him. Largely based in the Dominican Republic, he takes care of the Central & Latin American segment of the business.

    His cousin, Pedro Barceló, runs the European and North American division. Son of Group co-founder #Gabriel_Barceló_Oliver, Pedro Barceló is a law graduate who has been described as ‘reserved’ and ‘elusive’. He is the company’s executive president. Yet despite his apparent shyness, he was once the youngest senator in Spanish history, entering the upper house at age 23 as a representative for the conservative party with links to the Francoist past, #Partido_Popular. For a period he was also a member of the board of directors of Globalia, Aena and #First_Choice_Holidays.

    The CEO of Evelop is #Antonio_Mota_Sandoval, formerly the company’s technical and maintenance director. He’s very found of #drones and is CEO and founder of a company called #Aerosolutions. The latter describes itself as ‘Engineering, Consulting and Training Services for conventional and unmanned aviation.’ Mota appears to live in Alcalá de Henares, a town just outside Madrid. He is on Twitter and Facebook.

    The Barceló Foundation

    As is so often the case with large businesses engaging in unethical practises, the family set up a charitable arm, the #Barceló_Foundation. It manages a pot of €32 million, of which it spent €2m in 2019 on a broad range of charitable activities in Africa, South America and Mallorca. Headed by Antonio Monjo Tomás, it’s run from a prestigious building in Palma known as #Casa_del_Marqués_de_Reguer-Rullán, owned by the Barceló family. The foundation also runs the #Felanitx_Art & Culture Center, reportedly based at the Barceló’s family home. The foundation partners with many Catholic missions and sponsors the #Capella_Mallorquina, a local choir. The foundation is on Twitter and Facebook.

    The Barceló Group’s vulnerabilities

    Like other tourism businesses, the group is struggling with the industry-wide downturn due to COVID-19 travel measures. In this context, government contracts provide a rare reliable source of steady income — and the Barcelós will be loathe to give up deportation work. In Spain, perhaps even more than elsewhere, the tourism industry and its leading dynasties has very close ties with government and politicians. Airlines are getting heavy bailouts from the Spanish state, and their bosses will want to keep up good relations.

    But the deportation business could become less attractive for the group if campaigners keep up the pressure — particularly outside Spain, where reputational damage may outweigh the profits from occasional flights. Having carried out a charter deportation to Jamaica from the UK earlier in the year, the company became a target of a social media campaign in December 2020 ahead of the Jamaica 50 flight, after which they reportedly said that they were not involved. A lesser-known Spanish airline, Privilege Style, did the job instead.

    https://corporatewatch.org/evelop-barcelo-group-deportation-planes-from-spain
    #Espagne #business #compagnies_aériennes #complexe_militaro-industriel #renvois #expulsions #migrations #réfugiés #asile #tourisme #charter #Maurtianie #îles_Canaries #Canaries #Géorgie #Albanie #Colombie #République_dominicaine #Ghana #Nigeria #Allemagne #Standsted #UK #Angleterre #Pakistan #Bangladesh #Air_Maroc #Air_Senegal #Iberia #Maroc #Algérie #ferrys #Sahara_occidental #covid-19 #pandémie #coronavirus #hôtels #fondation #philanthrocapitalisme

    ping @isskein @karine4

  • «Come eri vestita? » Gli abiti delle vittime di stupro in mostra - Tiscali Milleunadonna

    _La mostra «What Were You Wearing?» è stata organizzata in una scuola del Kansas dal Centro prevenzione e formazione sessual_ e

    https://www.milleunadonna.it/attualita/articoli/abiti-vittime-stupro-mostra-stereotipi

    A nessuna vittima di un reato si chiede cosa indossasse al momento dell’offesa, solo alle donne stuprate. Una delle prime domande che le sventurate si sentono porgere da chi raccoglie le loro testimonianze è “com’era vestita?”. E proprio questo assurda richiesta è diventata il titolo di una mostra allestita dagli studenti dell’Università del Kansas, nel Midwest degli Stati Uniti. Ma “What Were You Wearing?” è un tale cazzotto allo stomaco che sta facendo il giro del mondo. Le immagini di quegli abiti “da stupro” stanno colpendo la coscienza di tanti anche grazie alle condivisioni sui social.
    I racconti raccolti dagli studenti

    Si tratta di 18 vestiti, esposti ognuno accanto a un pannello con una storia (vera) di poche righe raccontata da una donna che ha subito abusi sessuali e che indossava un vestito proprio simile a quello quand’è successo. La mostra, voluta dalla direttrice dell’Istituto universitario per la prevenzione e l’educazione sessuale Jen Brockman, è fatta di pantaloni, maglioni, vestiti, magliette di uso comune. Non sono i «reperti» dei casi di violenze indossati davvero dalle vittime, li hanno portati gli studenti sulla base dei racconti raccolti, in alcuni casi, parlando direttamente con le vittime.

    I cartelli a fianco agli abiti

    «T-shirt e jeans. È successo tre volte nella mia vita, con tre persone diverse. E ogni volta avevo addosso t-shirt e jeans», racconta uno dei cartelli. «Un vestitino carino. Mi è piaciuto appena l’ho visto (...) volevo solo divertirmi quella notte (...) Mi ricordo di come strisciavo sul pavimento cercando quello stupido vestito», è la storia legata a un abitino rosso. «Un prendisole. Mesi dopo mia madre, in piedi davanti al mio armadio, si sarebbe lamentata del fatto che non lo avevo più messo. Avevo sei anni», rivela un’ex bambina dall’infanzia violata.
    Il pregiudizio che non muore

    Dicono tanto quei 18 vestiti e prima di tutto dicono che l’abito non conta nulla, che non importa cosa indossi: lo stupratore abusa di te a prescindere da cosa tu abbia messo su quel giorno maledetto. Potevi avere la tuta ed essere coperta dalla testa ai piedi perché stavi andando a correre al parco, potevi avere la minigonna perché stavi andando a ballare, potevi avere i jeans e una maglietta perché stavi semplicemente andando a farti i fatti tuoi. Oppure potevi avere un prendisole sbracciato perché eri una bambina di sei anni e quel giorno faceva caldo. La mostra parla di questo: di uno stereotipo duro a morire secondo il quale la vittima di uno stupro potrebbe avere provocato il suo aguzzino con un atteggiamento equivoco, con una abbigliamento “invitante”: una delle tante versione del “te la sei cercata” che ancora vige soprattutto nelle aule dei tribunali dove, immancabilmente, la linea difensiva dei legali degli stupratori è sempre la stessa: la vittima era consenziente.

  • Senza stringhe

    La libertà di movimento è riconosciuta dalla nostra Costituzione; se questa sia un diritto naturale oppure no, bisogna allora riflettere su cosa effettivamente sia un diritto naturale. Tuttavia, essa è una parte imprescindibile della vita umana e coloro che migrano, ieri come oggi, hanno uno stimolo ben superiore all’appartenenza territoriale. Ogni giorno, ci sono due scenari paralleli e possibili che avvengono tra le montagne italo-francesi: coloro che raggiungono la meta e coloro che vengono respinti; il terzo scenario, fatale e tragico, è solamente intuibile.
    Eppure la frontiera è stata militarizzata ma qui continuano a passare: nonostante tutto, c’è porosità e c’è un passaggio. Prima che arrivasse il turismo privilegiato, l’alta valle compresa tra Bardonecchia, Oulx e Claviere ha da sempre vissuto la propria evoluzione dapprima con il Sentiero dei Mandarini e successivamente con la realizzazione della ferrovia cambiando la geografia del posto. Le frontiere diventano incomprensibili senza aver chiara l’origine dei vari cammini: la rotta balcanica, il Mar Mediterraneo centrale, i mercati del lavoro forzato e le richieste europee. Le frontiere si modellano, si ripetono e si diversificano ma presentano tutte una caratteristica isomorfa: la politica del consenso interno oltre che strutturale. In una valle come questa, caratterizzata dagli inverni rigidi e nevosi, dal 2015 non si arresta il tentativo di attraversare il confine tra i due stati sia per una necessità di viaggio, di orizzonte retorico, di ricongiungimento familiare ma soprattutto, dopo aver attraversando territori difficili o mari impossibili, per mesi o anni, non è di certo la montagna a fermare la mobilità che non segue logiche di tipo locale. Le mete finali, a volte, non sono precise ma vengono costruite in itinere e secondo la propria possibilità economica; per viaggiare hanno speso capitali enormi con la consapevolezza della restituzione alle reti di parentato, di vicinato e tutte quelle possibili.
    La valle si presenta frammentata geograficamente e ciò aumenta le difficoltà per raccogliere dei dati precisi in quanto le modalità di respingimento sono molto eterogenee, ci sono diversi valichi di frontiera: ci sono respingimenti che avvengono al Frejus e ci sono respingimenti che avvengono a Montgenèvre. Di notte, le persone respinte vengono portate al Rifugio Solidale di Oulx, sia dalla Croce Rossa sia dalla Polizia di stato italiana. Durante il giorno, invece, la Polizia di stato italiana riporta le persone in Italia e le lascia tra le strade di Oulx o a Bardonecchia. Dall’altra parte, ad Ovest del Monginevro, a Briançon è presente il Refuge Solidarie: solo con la collaborazione tra le associazioni italo-francesi si può avere una stima di quante sono state le persone accolte e dunque quante persone hanno raggiunto la meta intermedia, la Francia. Avere dei dati più precisi potrebbe essere utile per stimolare un intervento più strutturato da parte delle istituzioni perché in questo momento sul territorio sono presenti soprattutto le associazioni e ONG o individui singoli che stanno gestendo questa situazione, che stanno cercando di tamponare questa emergenza che neanche dovrebbe avere questo titolo.

    Non sono migranti ma frontiere in cammino.

    https://www.leggiscomodo.org/senza-stringhe

    #migrations #frontières #Italie #montagne #Alpes #Hautes-Alpes #reportage #photo-reportage #photographie #Briançon #Oulx #liberté_de_mouvement #liberté_de_circulation #militarisation_des_frontières #porosité #passage #fermeture_des_frontières #Claviere #Bardonecchia #chemin_de_fer #Sentiero_dei_Mandarini #Frejus #refoulements #push-backs #jour #nuit #Refuge_solidaire #casa_cantonniera #froid #hiver #Busson #PAF #maraude #solidarité #maraudes #Médecins_du_monde #no-tav
    #ressources_pédagogiques

    ajouté à la métaliste sur le Briançonnais :
    https://seenthis.net/messages/733721#message886920

  • Covid-19 : à Bagneux, vaste opération de dépistage en milieu scolaire après une contamination au variant anglais
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/01/09/a-bagneux-vaste-operation-de-depistage-en-milieu-scolaire-apres-une-contamin

    Une personne travaillant comme animateur d’école maternelle a contracté le variant anglais, sans que l’on puisse établir de lien avec un voyage outre-Manche. Un dépistage est organisé jusqu’à mardi pour tenter de comprendre d’où vient ce premier cas « autochtone ».Que se passe-t-il à Bagneux (Hauts-de-Seine), où deux écoles et un collège sont invités à participer à un testing massif depuis le vendredi 8 janvier ? Une personne travaillant comme animateur d’école maternelle « exerçant dans deux établissements de la ville », selon le rectorat de Versailles, a été testé positif au Covid-19 avant les vacances de Noël – et s’est ensuite révélé porteur du variant anglais du virus. Les enseignants et agents territoriaux des écoles Henri-Barbusse et Maurice-Thorez, ainsi que ceux du collège Henri-Barbusse, étaient invités à réaliser un test PCR, vendredi. La communauté scolaire a « joué le jeu », puisque « 200 personnes se sont présentées », selon l’entourage de la maire de la commune, Marie-Hélène Amiable (PC). A partir de samedi et jusqu’au mardi 12 janvier, tous les habitants de Bagneux qui le souhaitent – dont les élèves des établissements concernés et leurs parents – sont invités à venir se faire tester dans une salle polyvalente du quartier. Samedi à midi, au moins 236 personnes avaient été testées.
    A première vue, la méthode a de quoi interroger : pourquoi tester massivement adultes et écoliers si le malade a contracté le Covid avant les congés et a respecté les règles de quarantaine ? « La chaîne de contamination a été cassée, puisque cette personne s’est confinée et que le traçage des cas contacts a été réalisé », précise au Monde l’agence régionale de santé (ARS) d’Ile-de-France. Mais la détection du variant anglais a ensuite décidé cette dernière à organiser ce dépistage. Tous les tests réalisés dans ce cadre seront analysés pour tenter d’y retrouver le variant. « Nous avons également demandé à tous les laboratoires de la commune de retester les PCR positives », ajoute l’ARS. Jusqu’ici, les cas du variant anglais repérés en France étaient tous liés à des voyages outre-Manche. La personne employée par la ville de Bagneux représente le premier cas « autochtone ». « Elle ne s’est pas rendue au Royaume-Uni, insiste-t-on à l’ARS. Ce qui signifie que le virus circule à Bagneux. Pour la première fois, on cherche donc à comprendre qui a contaminé la personne malade, et non pas qui elle a contaminé. » Une « photographie » de la présence du virus dans la ville pourra ainsi être dressée, espèrent les autorités de santé. Dans les rangs des enseignants, la situation interroge pourtant : dans ce cas précis, un nombre important de tests PCR ont pu être déployés pour mener une opération massive de dépistage. Mais ailleurs, la politique de test promise par l’éducation nationale peine à se mettre en place. 10 000 tests antigéniques avaient été réalisés avant les congés de Noël, en particulier au lycée, et l’institution affirme qu’un million d’entre eux sont « prêts » à être déployés dans les établissements sur le mois de janvier. L’affaire devient d’autant plus pressante que les variants anglais et sud-africain, tous deux présents sur le territoire hexagonal, circuleraient plus parmi les jeunes.

    #Covid-19#migrant#migration#france#bagneux#sante#depistage#casautochtone#mutationvirus#grandebretagne

  • Comienza a funcionar el primero de los siete campamentos de emergencia que Migraciones levanta en Canarias

    Este viernes han comenzado las derivaciones de personas desde la #Casa_del_Marino hasta el recurso de emergencia instalado en el #CEIP_León, en #Las_Palmas de #Gran_Canaria

    El campamento de emergencia para migrantes instalado en el #CEIP León comenzará a funcionar esta noche. En la tarde de este viernes han comenzado las derivaciones desde la Casa del Marino hasta el antiguo colegio ubicado en el barrio de El Lasso, en Las Palmas de Gran Canaria, tal y como han explicado fuentes cercanas al operativo. El Ministerio de Inclusión, Seguridad Social y Migraciones ha confirmado este primer traslado, pero no ha ofrecido más datos.

    La Casa del Marino comenzó a albergar a migrantes antes de la pandemia, a principios de noviembre de 2019. El espacio se habilitó después de que un fallo de coordinación dejara durmiendo en el Parque Santa Catalina, en la capital grancanaria, a un grupo de 40 personas, entre ellas siete mujeres. En ese momento, la Delegación del Gobierno en Canarias aseguró a este periódico que era «una incógnita» la causa por la que la Policía Nacional no informó de la situación de los migrantes procedentes de Malí y Sierra Leona, que quedaron en la calle y sin ningún recurso alojativo tras pasar 72 horas en la comisaría.

    El recurso, cedido por el Ayuntamiento capitalino, tiene capacidad para 300 personas y es uno de los siete campamentos de acogida que el Ministerio de Inclusión, Seguridad Social y Migraciones ha comenzado a levantar en el Archipiélago. El ministro José Luis Escrivá explicó que el objetivo es desalojar antes de final de año los hoteles habilitados para acoger de forma temporal a personas llegadas en pateras y cayucos a las Islas. Sin embargo, a partir de 2021, se prevé que estos campamentos sean sustituidos por edificios más estables.

    Gran Canaria contará en total con tres campamentos. Además del CEIP León, Migraciones cuenta con el regimiento Canarias 50, cedido por el Ministerio de Defensa y que tendrá 650 plazas. Por otra parte, #Bankia ha cedido una nave en el Puerto de Las Palmas con una capacidad para 550 personas. Se trata de una nave de cuatro plantas y una superficie total de 7.000 metros cuadrados situada en el Polígono Industrial de El Sebadal que Bankia utilizó como edificio de oficinas y después como centro de formación. En el #Centro_de_Atención_Temporal_para_Extranjeros (#CATE) de #Barranco_Seco, que hasta ahora está siendo gestionado por Interior para la reseña policial, Migraciones contará con 500 plazas, según informó Escrivá en su última visita a Canarias.

    En #Tenerife, Migraciones incorpora a su red de recursos 3.250 plazas en los acuartelamientos de #Las_Canteras y de #Las_Raíces, también cedidos por Defensa.

    El departamento de Escrivá también compartirá espacio con el Ministerio del Interior en #El_Matorral (#Fuerteventura), en un espacio que se podrá dedicar a la acogida humanitaria durante tres años.

    #camps_d'urgence #camp_d'urgence #urgence #réfugiés #asile #migrations #Espagne #Canaries #îles_Canaries

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    voir aussi:
    https://seenthis.net/messages/885310

  • La Réunion, un « crash test » pour la rentrée de métropole
    https://www.lemonde.fr/education/article/2020/08/26/la-reunion-un-crash-test-pour-la-rentree-de-metropole_6049972_1473685.html

    Si l’île a été jusqu’à présent peu touchée par l’épidémie, le nombre de cas de Covid-19 se multiplie. « Pour la première fois, La Réunion connaît une réelle circulation virale », a déclaré, le 21 août, le préfet Jacques Billant. Dimanche, le département a battu un record avec 92 tests positifs en une journée. Les nouveaux cas ne sont plus identifiés comme « importés » de métropole. Les chiffres de l’agence régionale de santé (ARS) montrent désormais une forte progression des « cas autochtones ». L’identification de deux clusters à Saint-Denis, liés à des fêtes familiales, a entraîné le report de la rentrée au 7 septembre dans 24 écoles de la commune sur 77 « pour la protection des enfants et de leurs familles », a indiqué la maire Ericka Bareigts (divers gauche). A Saint-André, une école privée ne rouvrira ses portes que le 31 août car un membre du personnel a été testé positif.
    Depuis la rentrée, les annonces de fermeture partielle ou totale d’écoles ou d’établissements scolaires se succèdent à un rythme soutenu.

    #Covid-19#migrant#migration#france#lareunion#sante#casimporte#cascontact#casautochtone#circulation

  • #Ernesto_Ricou : « Mon sentiment profond, c’est qu’on dérange à #Lausanne »

    Depuis le 1er janvier 2016 et le #déménagement forcé du centre interculturel #Casa_Mundo, le #Musée_de_l’immigration_de_Lausanne vit entre quatre murs derrière une petite porte en bois défraîchi d’une arrière-cour de l’avenue Tivoli.

    En ce matin d’hiver 2016, Ernesto Ricou reçoit à l’heure du café, dans ce musée qu’il dirige depuis 18 ans. La poignée de main ferme, le visage rayonnant et la moustache frétillante, cette figure lausannoise entame chaleureusement la conversation, comme à son habitude. Aujourd’hui plus qu’hier, il semble apaisé, heureux, soulagé. Dès mon arrivée, il me présente Alexandre, celui par qui la lumière jaillira d’ici peu dans ce petit cocon dédié à l’immigration. Alexandre est électricien. Un énième bienfaiteur pour le musée, dont Ernesto dira qu’il « fait déjà partie de la famille ». Grâce à Alexandre, même si la lumière extérieure peine à percer à travers les rideaux les jours de beaux temps, le maître des lieux pourra enfin mettre dans la lumière les centaines d’oeuvres disséminées dans ce bric-à-brac rempli d’humanité. « Il y aura des prises un peu partout, des lampes, des néons, sans oublier deux chauffages d’appoint », ajoute Ernesto avec passion.

    Aujourd’hui Alexandre, et demain ? Ce matin-là, Ernesto Ricou ne sait pas de quoi demain sera fait, mais il parvient désormais à croire en un avenir meilleur pour son musée : « Je ne pouvais pas tout arrêter, pas maintenant, pas avec tout ce qu’il se passe en ce moment avec les immigrés. » Le ton a radicalement changé par rapport à nos premières rencontres. Lui qui rêve toujours de locaux spacieux pour accueillir les personnes dans le besoin, d’étagères remplies de livres qui formeraient « un labyrinthe symbolisant les difficultés des migrants », d’un jardin avec des bancs disposées en cercle pour former une sorte de place de village, se recroqueville pour l’heure derrière cette porte en bois chancelante d’un bleu azur en attendant un signe.

    31 décembre 2015. Pour la plupart d’entre nous, cette date est synonyme de repas gargantuesque, verres qui trinquent et meilleurs voeux. Pour Ernesto, le 31 décembre 2015 restera toujours ce jour où il a rendu les clés de son centre associatif et interculturel sis au 14 avenue de Tivoli à Lausanne. Ce soir-là, une porte se ferme sur presque vingt années de partages, de rencontres et d’histoires humaines. Une clé, une poignée de main, et au revoir monsieur Ricou. Fin de l’histoire. Lui qui se démène pour les autres depuis tant d’années termine 2015 seul, par un état des lieux chargé d’émotion. Un long moment, alors que le gérant neuchâtelois échange avec les nouveaux locataires des lieux, Ernesto reste seul, en retrait, le regard dans le vide, perdu dans ses pensées : « Le gérant était très gentil et avenant. Il m’a demandé « ça va Ernesto ? ». Je ne savais pas quoi lui répondre sur le moment. » Ernesto « va ». Ni bien, ni mal. Il sent juste que ce lieu qu’il a tant apprécié malgré la froideur de ses murs blancs lui échappe définitivement. Après tant de semaines à tout vider et tout nettoyer, parfois accompagné mais le plus souvent seul, un chapitre de sa vie se referme, sur lequel il ne manque toutefois pas d’humour : « Ils me connaissent bien maintenant dans les déchetteries ! J’ai même sympathisé avec un agent de service équatorien grâce à mes allées et venues. On ne se refait pas vous savez ! » Combien de trajets faits pour débarrasser le plancher ? Une bonne dizaine sûrement, sans compter tout ce qu’Emmaüs a emporté et les quelques objets achetés par des visiteurs pour quelques dizaines de francs qui finiront dans la tirelire du musée, sans doute pour payer la maigre facture d’électricité. « J’ai tenté une négociation sur le loyer comme un dernier baroud d’honneur, mais mes demandes auprès de la gérance ont toutes été refusées. Le prix du mètre carré dans ce quartier est assez cher, et il y a 120m2, ça vaut beaucoup d’argent. Je ne sais pas ce qu’ils veulent en faire car l’endroit est vétuste. Il y a besoin de travaux, il n’y a pas de chauffage. Ici, nous avons tenu presque vingt ans sans chauffage, vous vous rendez compte ? »

    Ernesto en fera d’ailleurs le constat lorsqu’il apprendra que d’un locataire à un autre, d’une main à une autre, rien qu’en donnant une clé, l’atelier avait vu son loyer mensuel bondir de plus de 500.-. « Nous ne pouvions plus payer le loyer de 1’200.- tous les mois. Il nous prenait presque toujours les deux tiers des sommes qu’on recevait chaque mois. En août, nous n’avions déjà plus d’argent, plus un centime dans les caisses », explique-t-il. L’homme à l’allure de druide n’avait donc aucune chance de demeurer entre ces murs devenus un manque à gagner trop important pour la riche propriétaire genevoise des lieux.

    Qu’une gérance souhaite récupérer un bien locatif, soit. Mais quid de l’attitude de la ville de Lausanne et du canton de Vaud ? « La ville de Lausanne, avec tout mes remerciements, nous a aidés en assurant le loyer de la salle d’activité jusqu’au 31 décembre 2015, mais mon sentiment profond, c’est qu’on dérange à Lausanne. J’ai l’impression que le Musée de l’immigration n’entre pas dans les plans de la municipalité lausannoise, et le chantier du nouveau musée cantonal des Beaux-Arts intéresse plus le canton et la ville que nos activités. Le Mudac et l’Elysée sont les grandes occupations des services culturels, pas le Musée de l’immigration. C’est comme ça. Notre musée, sur ce plan, il fait tache. Nous ne sommes pas intéressants pour eux. Les autres musées lausannois rapportent plus de prestige à la commune et à l’Etat que notre musée. On prête plus vite un million à un client d’une banque que 10’000.- à quelqu’un de “normal“ qui veut s’acheter une voiture ! C’est comme ça. Je remercie sincèrement l’Etat pour ce qu’ils ont fait pour nous dans le passé », confessait-il avant de se lancer dans son déménagement puis d’ajouter : « Je ne veux pas entrer dans une polémique sur ce dossier, car les services de la ville nous ont fait économiser des milliers de francs et que nous sommes une maison de paix et d’harmonie. On est en décalage avec le fonctionnement du BCI (Bureau cantonal pour l’intégration des étrangers et la prévention du racisme) et du BLI (Bureau lausannois pour les immigrés). Ils nous ont aidés au compte-gouttes, mais même avec ce très peu, nous faisions des miracles. Nous n’avons jamais eu autant d’activités depuis deux ans. »

    Dans les faits, le Musée de l’immigration et sa structure Casa Mundo ont organisé 32 événements sur l’année 2014 et prit part, notamment, à la Nuit des Musées de Lausanne et de Pully ces trois dernières années, pour un bilan qui dépassait les attentes du maître des lieux : « Le bilan de la Nuit des Musées 2015 a été très positif, puisque nous avons accueilli un nombre record de 440 visiteurs sur la journée (contre 212 en 2014 et 300 en 2013, et une moyenne annuelle des 700 visiteurs sur 100 jours d’ouverture à l’année, ndla).

    Après avoir connu des périodes difficiles début 2016, Ernesto Ricou s’est pris à croire de nouveau aux miracles, lui l’homme de foi : « Ma vie, c’est un apostolat. Je me rends compte maintenant que je suis un grand-père, que depuis 42 ans j’ai accumulé des compétences qui me permettent d’avoir le courage de dire cela. Il faut une grande dose de détermination, d’amour du prochain et de bonté pour venir ici depuis 18 ans avec des conditions de travail difficiles, sans structure réelle ni secrétariat, ni ligne téléphonique fixe, avec une photocopieuse qui marche au ralenti et sans chauffage ! »

    Encouragé et reboosté par la nouvelle génération qu’il voit s’investir dans cette cause migratoire, le descendant de Huguenots reprend finalement du poil de la bête. « Un jour, l’une de nos directrices à Casa Mundo, Rosemarie Andrey, me dit que sa fille et trois de ses amies voulaient monter une association humanitaire et qu’elles souhaitaient absolument que cette association soit lancée officiellement dans nos locaux. » Lassé et usé, Ernesto hésite, prend le temps de réfléchir et d’écouter son corps. Physiquement, cette période l’a fatigué, mais un brin de force est toujours là, « cette force qu’ont les Portugais du nord comme moi, cette force granitique ! », lâche t’il en en bombant le torse avec son sourire malicieux. Séduit par le projet des jeunes Vaudoises, il décide donc de relever un nouveau défi, comme un dernier tour de piste. Le lancement de cette nouvelle structure associative, baptisée Individuals United, a donc eu lieu le 11 décembre 2015 à l’Atelier Casa Mundo. A force de travail, d’acharnement et d’entraide comme à chaque fois que quelque chose se passe dans ces murs.

    « Ces filles sont complètement folles, tellement folles ! C’est sans doute l’innocence qui les perd ! » Il en rigolerait presque. « Voir cette soirée de lancement ici, c’était presque irréel ! » Pour que tout devienne bien réel, Aurélia Fischer et ses amies mettent les petits plats dans les grands : « Une des filles travaillait à la communication du Lausanne Hockey Club, et c’est comme ça que le club s’est retrouvé impliqué dans cette aventure folle. Ils ont apporté des tables, des sièges en cuir, monté un bar, mis des guirlandes lumineuses, fait venir un traiteur libanais. Il y avait même des filles du club en uniforme pour accueillir les gens ! » Les filles parviennent à tout cacher, tout décorer, pour que les objets entassés dans chaque recoin de la salle et attendant leur voyage à la déchetterie n’importunent pas les invités. L’espace d’une soirée, tout disparait comme par enchantement et l’atelier d’artistes insalubre et non chauffé devient un véritable carré VIP, laissant le moustachu au grand coeur sans voix. « C’était tout simplement féérique, » dira-t-il avec des étoiles plein les yeux. Résultat : près de 4’000 francs collectés. Dans les mois qui viennent, Ernesto suivra de très près l’aventure d’Individuals United, et nul besoin de lui poser la question, il est certain qu’il les aidera du mieux qu’il pourra le moment venu. Toujours avec l’humilité qui le caractérise tant, cette humilité qui va de paire avec une envie de repartir de l’avant et de relancer des projets qu’il avait enterré.

    « Ces derniers mois ont été difficiles. J’ai contacté tout le monde pour essayer de sauver le centre interculturel : l’UNESCO, l’ONU, quelques consulats et ambassades, des responsables municipaux, cantonaux….C’était très dur, car je gardais l’espoir de trouver encore une petite aide. Nous allons donc resté dans la précarité, exactement comme les migrants que nous accueillons ici. » Malgré cette instabilité, Ernesto l’assure, les hommes et les femmes du Musée de l’immigration continueront leur mission jusqu’à ce que les autorités en ait « ras-le-bol » et ferment les locaux. « Par la nature de notre travail, nous sommes plus que jamais dans l’actualité, alors nous allons garder cela tant que nous le pouvons, comme nous le pouvons, avec toutes nos forces et qui sait ? Un miracle peut se passer, quelqu’un peut se dire « c’est le moment d’aider cette équipe ! » »

    https://sept.club/ernesto-ricou-mon-sentiment-profond-cest-quon-derange
    #Suisse #migrations #musée #mémoire