• "#Gardes-frontières, pas tortionnaires" : quand les douaniers dénoncent des ordres dangereux pour les migrants qui traversent la Manche

    Le #syndicat #Solidaires_Douanes a adressé une #lettre_ouverte à son directeur national ce lundi 23 juin, dans laquelle il dénonce certaines #consignes données sur le #littoral du #Pas-de-Calais, pour surveiller des embarcations de personnes migrantes. Des #ordres qui « les détournent de leur #mission initiale » et insécurisent les exilés qui prennent la mer.

    C’est une lettre ouverte salée, que le syndicat Solidaires Douanes a fait parvenir aux oreilles du directeur national garde-côtes des douanes, ce lundi 23 juin 2025. « Gardes-frontières, pas tortionnaires », le ton est donné dès les premiers mots.

    Dans ce communiqué, les douaniers s’insurgent contre un évènement survenu dans la matinée du jeudi 19 juin, il y a presque une semaine, au large du #Touquet (Pas-de-Calais). Une embarcation contenant plusieurs personnes migrantes se trouvait alors en difficulté, maintenue sous la surveillance du patrouilleur garde-côtes « #Kermovan ». Les douaniers, chargés d’assurer la sécurité des exilés vers les eaux britanniques ou de les récupérer en cas de sinistre, reçoivent alors une #consigne du #Centre_régional_opérationnel_de_surveillance_et_de_sauvetage (#CROSS) Gris-Nez.

    Le Kermovan reçoit pour ordre « de signaler tout changement de cap indiquant que le pneumatique ferait route vers la plage pour embarquer à son bord des personnes supplémentaires. » En cas d’opération de secours, le CROSS, qui coordonne les opérations, peut être amené à donner des consignes aux #garde-côtes. Mais dans l’ordre donné ce 19 juin, quelque chose fait tiquer les douanes. Rémi Vandeplanque, représentant Solidaires Douanes, soupçonne qu’il « s’agissait de faciliter l’intervention des forces de l’ordre pour faire obstacle à l’embarquement de personnes supplémentaires. »

    Selon Rémi Vandeplanque, l’embarcation que les douaniers sécurisaient s’est finalement échouée sur la plage de Sainte-Cécile vers 10 heures « de mémoire », visiblement après avoir crevé en heurtant un bouchot, « apparu à la faveur de la marée descendante ».

    Les garde-côtes, détournés de leur mission ?

    Solidaires Douanes dénonce un détournement de la mission initiale des agents, et une consigne dangereuse pour les personnes migrantes, des civils en situation précaire, sur une embarcation de fortune au beau milieu du détroit du Pas-de-Calais. Celle-ci « ne relève pas de la fonction du patrouilleur Kermovan » et « a pour objectif de permettre une intervention de police en mer (de facto dangereuse). » Car, rappelons que les forces de l’ordre n’ont plus le droit d’interpeller les personnes migrantes lorsqu’elles se trouvent déjà dans leur embarcation, posée sur l’eau. Ils doivent donc attendre leur retour sur la terre ferme pour procéder à des #interpellations.

    Le syndicat dénonce justement « un contexte de #maltraitance_institutionnelle croissante, à l’encontre des personnes en exil », lors des tentatives de traversée notamment, et « de mise sous pression de la France par le Royaume-Uni qui attend que toutes les mesures possibles soient prises par le ministère de l’Intérieur afin d’empêcher les traversées de la Manche ».

    Au moment où cet article est publié, la Préfecture maritime de la Manche et de la mer du Nord (Prémar) n’a pas donné suite à nos sollicitations.

    https://france3-regions.franceinfo.fr/hauts-de-france/pas-calais/touquet/gardes-frontieres-pas-tortionnaires-quand-les-douaniers-d
    #migrations #réfugiés #frontières #France #GB #Angleterre #résistance

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    voir aussi :
    Récit « Je n’avais jamais vu ça de la part de la police » : près de #Dunkerque, des migrants interceptés dans l’eau à coups de #bombes_lacrymogènes
    https://seenthis.net/messages/1121815

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    ajouté à la métaliste, mais pour l’instant tout à fait incomplète, de #témoignages de #forces_de_l'ordre, #CRS, #gardes-frontière, qui témoignent de leur métier. Pour dénoncer ce qu’ils/elles font et leurs collègues font, ou pas :
    https://seenthis.net/messages/723573

  • La prima operazione di rimpatrio del governo italiano direttamente dall’Albania

    Il 9 maggio un #charter partito da Roma e diretto a Il Cairo ha fatto scalo a Tirana per far salire a bordo cinque cittadini egiziani rinchiusi nel Centro di permanenza per il rimpatrio di #Gjadër. Un’operazione dai dubbi profili di legittimità che il governo italiano ha fatto passare in sordina. “Un fatto gravissimo -sottolinea Gianfranco Schiavone dell’Asgi- perché il trasferimento dalla struttura all’aeroporto è avvenuto al di fuori della giurisdizione italiana”

    L’Italia ha effettuato il suo primo rimpatrio direttamente dall’Albania. Lo scorso 9 maggio un volo partito da Roma e diretto a Il Cairo ha fatto tappa sul suolo albanese per far salire a bordo cinque persone di origine egiziana trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gjadër. Una procedura inedita che il governo italiano ha deciso di far passare in sordina. “Un fatto grave che mette a rischio la tenuta del quadro giuridico europeo e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte”, denuncia Francesco Ferri, esperto di migrazioni per ActionAid Italia.

    Secondo il Viminale da quando l’11 aprile a fine giugno la struttura albanese ha riaperto i battenti come Cpr sono transitate 110 persone. Al 21 maggio in totale sono state 24 quelle riportate in Italia per poi essere rimpatriate nei loro Paesi d’origine. Si pensava dunque che nessuno fosse stato espulso direttamente da Gjadër ma i documenti della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia di frontiera, consultati da Altreconomia, dicono altro.

    Lo scorso 28 aprile, infatti, l’ufficio in seno al ministero dell’Interno ha pubblicato un bando pubblico per richiedere un servizio di noleggio di un aeromobile per l’espulsione di stranieri irregolari. Una procedura standard che però, questa volta, aveva una particolarità: l’operazione di rimpatrio verso l’Egitto richiedeva ai partecipanti alla gara una “tappa” intermedia a Tirana.

    Nel tardo pomeriggio dell’8 maggio l’operatore #Pas_professional_solution Srl, tramite il suo procuratore speciale #Angelo_Gabriele_Bettoni, firma il contratto da 113.850 euro per i servizi richiesti dal Viminale. Il giorno successivo un aereo parte da Roma Fiumicino alla volta della capitale albanese, dove atterra intorno alle 15.30, per poi ripartire un’ora e mezza dopo verso Il Cairo, con a bordo le persone provenienti dal Cpr di Gjadër.

    Secondo i dati ottenuti da Altreconomia a metà giugno dall’11 aprile al 21 maggio risultano cinque transiti e altrettanti rimpatri di cittadini egiziani dal Cpr albanese, proprio quelli finiti sul volo. Il ministero dell’Interno, interpellato sul punto, non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento. Quello che si sa per certo, però, è che quando la Direzione centrale ha pubblicato il bando e programmato l’operazione il 28 aprile, a Gjadër non c’era nessun cittadino egiziano: questi sarebbero stati “appositamente” portati nei primi giorni di maggio per poi essere caricati sul charter a Tirana.

    La mossa del governo italiano, tenuta fino a oggi “segreta”, apre molti interrogativi, innanzitutto sulla legittimità della procedura. “Anche qualora si volesse sostenere, con una tesi a mio avviso infondata, che il Cpr di Gjadër sia equiparabile ai centri posti nel territorio nazionale -spiega Gianfranco Schiavone, esperto di migrazioni e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-, non risulta in alcun modo ammissibile prevedere che la persona sia portata fuori dall’area del centro di trattenimento, sul territorio albanese, e poi da lì rimpatriata”.

    Secondo Schiavone vi è una grave violazione nella riserva di giurisdizione prevista dall’articolo 13 della Costituzione. “Le operazioni di polizia condotte fuori dal centro di Gjadër in territorio albanese nei confronti delle persone trasportate in questo caso in aeroporto sono prive di controllo giurisdizionale e avvengono dunque senza alcuna copertura normativa. Quanto avvenuto è dunque un fatto gravissimo”.

    In questo quadro, poi, potrebbe aver giocato un ruolo importante anche l’Egitto. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha incontrato in un bilaterale il suo omologo egiziano Mahmoud Tawfiq lo scorso 9 aprile a margine dell’incontro del “Processo di Khartoum”, una piattaforma di cooperazione. Durante l’incontro, secondo quanto dichiarato dal Viminale, i ministri hanno fatto il punto su diverse tematiche tra cui quella dei flussi migratori. Non è detto però che non si sia parlato anche dell’operazione di volo da Tirana.

    Chi con molta probabilità era al corrente dell’operazione è l’aeroporto internazionale di Tirana da cui è transitato il charter. A partire dal 2020, la proprietà dello scalo è stata acquisita da #Kastrati_Group Sha, società energetica albanese che gestisce una serie di stazioni di servizio in tutto il Paese. Fa parte del consiglio direttivo #Piervittorio_Farabbi, ingegnere aeronautico italiano e direttore operativo, che supervisiona la gestione operativa quotidiana dell’aeroporto dall’aprile 2023. Farabbi in passato è stato direttore dello scalo di Perugia e della #Sacal, società aeroportuale calabrese. La direzione dell’aeroporto, contattata da Altreconomia, non ha risposto così come il ministero albanese degli Affari interni. La polizia di Stato invece ha glissato dicendo di rivolgersi alle autorità italiane.

    Per Francesco Ferri di ActionAid Italia, che con il Tavolo asilo e immigrazione (Tai) il 17 e 18 giugno ha visitato la struttura di Gjadër, questa operazione fa fare un’ulteriore salto di qualità in termini di opacità all’operazione Albania. “Con la trasformazione delle strutture in Cpr dell’11 aprile la mancanza di trasparenza si è aggravata -spiega-. Abbiamo saputo di una persona rimpatriata da Tirana durante la visita ed è un fatto gravissimo”.

    Da un lato l’Italia anticipa artigianalmente quanto previsto dalla proposta di nuovo Regolamento sui rimpatri “minando la tenuta del quadro giuridico europeo”, dall’altro le persone sono esposte a gravi violazioni dei diritti. “Già in questi mesi abbiamo faticato molto a rintracciare chi veniva riportato in Italia da Gjadër e lasciato libero se le persone vengono rimpatriate direttamente questo diventa pressoché impossibile -sottolinea-. Diventa ancora più difficile ricostruire e conoscere in che condizioni sono state rinchiuse le persone e se i loro diritti sono stati rispettati”.

    Infine, resta rilevante il tema dei costi: la “tappa” di Tirana è costata solo di affitto charter 31.779 euro in più rispetto all’ultima operazione di rimpatrio, dello stesso numero di persone, verso l’Egitto. Significa, per cinque rimandati indietro dall’Albania, più di 6.300 euro a testa.

    https://altreconomia.it/il-primo-rimpatrio-italiano-di-migranti-irregolari-direttamente-dallalb
    #Albanie #migrations #réfugiés #Italie #externalisation #renvois #expulsions #Egypte #rétention #détention_administrative #prix #coût

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Florida building ’#Alligator_Alcatraz' migrant detention centre in #Everglades

    Florida has begun building a detention centre - dubbed the ’Alligator Alcatraz’ - to temporarily hold migrants on an air strip in the Everglades.

    Department of Homeland Security Secretary Kristi Noem said the facility would be funded “in large part” by the Federal Emergency Management Agency’s shelter and services programme, which was previously used to provide accommodation and other aid for undocumented migrants.

    The plan has been criticised by several lawmakers, including the mayor of Miami-Dade County, who argued it could be environmentally “devastating”.

    The proposal comes as Trump tries to deliver on a campaign pledge to ramp up deportations of illegal migrants.

    “Under President Trump’s leadership, we are working at turbo speed on cost-effective and innovative ways to deliver on the American people’s mandate for mass deportations of criminal illegal aliens,” Noem said in a statement.

    “We will expand facilities and bed space in just days, thanks to our partnership with Florida.”

    The facility is to be built on the site of the #Dade-Collier_Training_and_Transition_Airport, a public airport around 58km (36 miles) from Miami. It will cost about $450m (£332m) a year to run.

    In a video posted on X, Florida’s Attorney General James Uthmeier called the airport a “virtually abandoned facility”.

    He said the detention centre could be built in 30 to 60 days and hold an estimated 1,000 people.

    He argued the location acted as a natural deterrent for escapees.

    Uthmeier said in the video: “[If] people, get out, there’s not much waiting for them other than alligators and pythons. Nowhere to go, nowhere to hide.”

    The mayor of Miami-Dade County, Daniela Levine Cava, a Democrat, criticised the plan, saying “the impacts to the Everglades ecosystem could be devastating”.

    The Florida Everglades are a unique environmental region comprising marshes, prairies, forests, mangroves and estuaries. Uthmeier said the facility would not be located within #Everglades_National_Park.

    https://www.bbc.com/news/articles/c0rvq1eg8w9o
    #Floride #USA #Etats-Unis #migrations #sans-papiers #détention_administrative #rétention #parc_national #centre_de_rétention_administrative #CRA #nature #hostile_environment #environnement_hostile #crocodiles #pythons

  • Sans retenue

    Le podcast « Sans retenue » donne la parole à celles et ceux qui militent contre l’#enfermement des #personnes_étrangères. Ces personnes retenues pour raison administrative n’ont commis aucun délit : simplement, elles ne possèdent pas les bons papiers. Masquer

    Ce podcast s’inscrit dans le cadre d’action de #sensibilisation de la société civile pour témoigner de la réalité de l’enfermement des personnes étrangères. #Zones_d’attente, locaux et #centres_de_rétention_administrative, prisons… ce podcast a pour objectif de donner à voir les conséquences concrètes de l’enfermement sur les premier⋅es concerné⋅es, de rendre visible leurs #témoignages et #luttes pour y mettre fin.
    Décliné en #série, ce podcast aborde tous les aspects de l’enfermement : la vie dans ces lieux, les audiences judiciaires, le rôle des associations, les luttes à l’intérieur et aux abords… Cette série a également une vocation pédagogique lorsque sont abordés des thèmes méconnus et plus complexes.
    Ce podcast est réalisé par l’Observatoire de l’Enfermement des Etrangers (OEE), créé en 2010, qui rassemble seize associations militant contre l’enfermement, sous toutes ses formes, subi par les personnes étrangères. Ses membres défendent leur accès effectif aux droits fondamentaux, sans distinction de genre, de langue, de nationalité, d’opinion politique, d’orientation sexuelle, d’origine ou de religion.

    https://spectremedia.org/sans-retenue
    #podcast #audio
    #migrations #réfugiés #sans-papiers #rétention #détention_administrative #laissez-passer_consulaire (#LPC)

    ping @isskein @karine4

  • Un dictionnaire franco-tahitien du nucléaire en #Polynésie

    Trente ans d’#essais_nucléaires français en Polynésie ont laissé des traces profondes dans l’environnement et dans la société. En s’appuyant sur de récentes déclassifications d’#archives, l’historien Renaud Meltz en retrace l’#histoire à travers un dictionnaire franco-tahitien mis en ligne début 2025.

    En 1964, le Centre d’expérimentation du Pacifique (CEP) ouvre à Papeete. Pourquoi la France fait-elle le choix de rapatrier ses essais nucléaires en Polynésie après les premiers essais dans le Sahara ?
    Renaud Meltz1 Dès 1961, un an après les premiers essais nucléaires et alors que la guerre d’Algérie s’oriente vers la négociation de l’indépendance, la France cherche deux sites de secours pour remplacer ceux de Reggane (pour les essais atmosphériques) et In Ecker (pour les souterrains) dans le Sahara. Après avoir abandonné la piste d’essais en métropole, notamment en Corse, en raison d’oppositions locales, l’État fait le choix de la Polynésie, qu’il avait déjà considéré en 1957. L’Algérie lui avait alors été préférée pour sa proximité géographique avec l’Hexagone et l’impossibilité logistique de rallier Papeete par vol direct ou avec escale sur un territoire français.

    La Polynésie est finalement retenue pour trois raisons. Tout d’abord, son isolement géographique à l’égard de pays étrangers, en particulier les atolls de Fangataufa et Moruroa, dans l’archipel des Tuamotu, en comparaison de La Réunion ou de la Nouvelle-Calédonie, respectivement proches de l’Afrique et de l’Australie. Ensuite, pour des raisons géopolitiques. Le général de Gaulle, alors président de la République, n’est pas mécontent de replanter, via le #CEP, le drapeau français dans un Pacifique vu comme un lac anglo-américain. Conçu comme projet industriel modernisateur d’un des rares territoires ultramarins qui n’a pas choisi l’indépendance, le CEP est l’occasion de développer l’économie de l’archipel pour le rattacher à la France.

    Enfin, le choix de la Polynésie n’est pas exempt d’un exotisme implicite, particulièrement visible dans les brochures d’information que l’armée distribue à ses troupes : toutes contiennent des représentations aussi bien des paysages balnéaires que des vahinés, ravivant l’imaginaire de la Polynésienne lascive et sexuellement disponible aux hommes blancs.

    Comment la population locale accueille-t-elle le CEP et ces premiers essais nucléaires ?
    R. M. Placés devant la politique étatique du fait accompli, les élus polynésiens parviennent à obtenir des compensations du général de Gaulle. Après une première phase de doute, marquée par des protestations officielles scientifiquement fondées et des pétitions de femmes, le boom économique qu’engendre le CEP éteint les contestations au temps des essais aériens, pourtant les plus polluants. En effet, les emplois au CEP étant nettement plus rémunérateurs que toute autre activité salariée dans l’archipel, c’est l’ensemble de la société polynésienne qui se mobilise pour bénéficier du Centre, aussi bien pour ses salaires que pour les effets de ruissellement qu’il génère, comme les nombreuses constructions immobilières pour loger ses cadres militaires ou civils. Sur une population de 80 000 habitants dans les années 1960, on estime à 10 000 le nombre de Polynésiens ayant directement travaillé pour le CEP au cours des trois décennies d’essais.

    Les choses changent à la fin des années 1970, avec l’essor du Front de libération de la Polynésie. Le CEP devient alors la pierre de touche des indépendantistes qui, par-delà les inquiétudes sanitaires, l’accusent de déraciner la population, de la rendre consumériste et de l’arracher à ses pratiques traditionnelles. À ce moment, la société polynésienne et la vie politique se polarisent – pour ou contre le CEP.

    Au-delà de la Polynésie, les essais nucléaires français dans le Pacifique ont des répercussions internationales.
    R. M. En effet, car si les États-Unis et le Royaume-Uni soutiennent la France, les pays voisins de la Polynésie estiment au contraire le Pacifique saturé d’essais nucléaires. L’Australie et la Nouvelle-Zélande appellent ainsi à dénucléariser cet océan à travers le traité de Rarotonga, en 1985, que la France considère comme une attaque à son égard. Dans le même temps, les nouvelles nations du Pacifique, à commencer par les Fidji, portent leurs propres revendications à partir des années 1980-1990 contre le colonialisme nucléaire français, à travers un répertoire d’actions proprement polynésien (festivals, danses, chants, etc.) qui contribue à diffuser l’information sur le nucléaire.

    Aux États riverains s’ajoutent, à partir des années 1970, les ONG – notamment Greenpeace, qui mène des campagnes en mer pour rendre visible le combat contre les essais nucléaires. La réponse française à leur endroit va jusqu’à l’attentat, en juillet 1985, dans le port d’Auckland, contre le Rainbow Warrior, un navire de Greenpeace, qui coûte la vie à un membre de l’équipage et constitue le premier acte terroriste sur le sol néo-zélandais.

    De plus en plus mal vue dans le Pacifique, la France tente de jouer la carte de la diplomatie scientifique auprès des gouvernements voisins, en fournissant son expertise scientifique et technologique dans la mesure des retombées radioactives. Force est de constater que cette stratégie rate sa cible. Lorsque Jacques Chirac décide en 1995 d’une dernière campagne d’essais nucléaires, on observe une coagulation de l’opinion publique mondiale hostile à cette décision.

    Presque trente ans après les derniers essais, peut-on aujourd’hui estimer l’impact environnemental et sanitaire des 193 essais nucléaires à Fangataufa et Moruroa ?
    R. M. Au niveau sanitaire, malgré la communication lénifiante des autorités militaires et des mesures de contrôle préalables, on observe un échec du gouvernement du risque dès le premier tir, le 2 juillet 1966, à Moruroa. Alors que la fenêtre météo pour cet essai atmosphérique se dégrade, l’armée maintient le tir et, une fois les retombées avérées sur les Gambier, refuse de distribuer des solutions d’iode ou d’évacuer de manière curative les 500 habitants et les quelques dizaines de civils et militaires qui se trouvent à Mangareva.

    En d’autres termes, sous prétexte de ne pas alarmer la population, on laisse délibérément des gens – dont des enfants – se faire arroser par le nuage radioactif, au risque de dépasser les seuils prévus, afin d’éviter une remise en cause des essais nucléaires, voire de la présence française en Polynésie. D’autres incidents du même acabit se produisent lors de tirs suivants, notamment à #Tureia, l’atoll peuplé le plus proche de #Moruroa. À chaque fois, l’armée dissimule les retombées pour ne pas compromettre la poursuite des essais nucléaires.

    De leur côté, les conséquences environnementales sont de deux ordres. D’une part, les conséquences directes des essais nucléaires, qui voient la contamination par les radionucléides des eaux des lagons des sites, la disparition d’une espèce d’oiseau endémique sur un atoll, malgré le projet d’un retour au statu quo ante, et la fragilisation par les tirs souterrains du socle de Moruroa, dont l’effondrement pourrait créer un tsunami susceptible d’engloutir Tureia. D’autre part, les conséquences indirectes liées au CEP, qui a agrandi le port de Papeete, stimulé le boom immobilier sur les pentes du volcan de Tahiti et le développement de l’automobile… Autant d’activités qui ont conduit à la dégradation de la qualité de l’eau du lagon aussi à Tahiti.

    Vous rapportez tous ces éléments dans un dictionnaire historique en français et en tahitien. Pourquoi le publier maintenant ? Et pourquoi sous cette forme ?
    R. M. L’histoire du CEP s’est longtemps heurtée à la non-communicabilité de ses archives régaliennes, car l’État jugeait qu’elles contenaient un certain nombre de documents proliférants, c’est-à-dire susceptibles d’amener à la prolifération des essais nucléaires, alors que la France a signé en 1998 le Traité d’interdiction complète des essais nucléaires. C’est seulement en juillet 2021 que le président de la République, Emmanuel Macron, a annoncé la déclassification des archives, hors sources proliférantes. Dès lors a pu s’écrire l’histoire du CEP.

    Par-delà nos publications scientifiques, nous avons choisi de raconter cette histoire sous la forme d’un dictionnaire bilingue en mettant en ligne, au fil de l’eau, des notices rédigées par des spécialistes de plusieurs disciplines. Du fait de son statut, la Polynésie française peut adapter les programmes scolaires et enseigner le fait nucléaire. Alors qu’il existe peu d’ouvrages spécialisés sur la question et que le livre imprimé demeure un bien peu accessible dans les archipels, un dictionnaire sous forme numérique, conciliant exigence scientifique et clarté pédagogique, nous paraissait la formule la plus à même de toucher les jeunes, tout en nourrissant la communauté scientifique internationale.

    D’autre part, à la requête des autorités locales et des associations d’anciens travailleurs du nucléaire, nous avons traduit l’ensemble des notices, et nous le faisons désormais en lien avec l’Académie tahitienne, de façon à proposer la première ressource savante sur le nucléaire en tahitien et un nouveau corpus de littérature scientifique susceptible d’être étudié dans les filières de langues polynésiennes.

    https://lejournal.cnrs.fr/articles/un-dictionnaire-franco-tahitien-du-nucleaire-en-polynesie
    #Tahiti #dictionnaire #nucléaire

  • L’#Italie et le transfert des migrants en #Albanie : le laboratoire et les cobayes

    Les gouvernements italien et albanais ont collaboré pour ouvrir deux centres, à #Shëngjin et à #Gjadër, destinés au #transfert_forcé, à la #détention et au #rapatriement des migrants arrivés en Italie. Ce laboratoire d’#externalisation des frontières, observé avec intérêt par d’autres pays, a un précédent : les #navires_de_quarantaine utilisés pendant la pandémie de Covid-19.

    En novembre 2023, les gouvernements italien et albanais ont signé un #accord selon lequel que les migrants et migrantes secourues par les autorités italiennes en mer Méditerranée ne sont pas conduits vers un port italien, mais en Albanie, où on a ouvert de centres de détention, d’#identification et d’#expulsion et de rapatriement. Dans les récits et les analyses, y compris les plus critiques, de la création de ces centres, on dit souvent qu’il s’agit d’un #laboratoire : avant tout, un laboratoire pour les politiques répressives et autoritaires d’Europe et d’ailleurs. On pourrait se demander laboratoire pour quoi, laboratoire pour qui, et avec le consentement de qui. Ou plutôt, on pourrait partir d’un postulat fondamental : que les laboratoires supposent généralement des cobayes.

    Le cas des centres extraterritoriaux albanais voulus par le gouvernement de Giorgia Meloni est en train de devenir un « #modèle » pour d’autres pays européens. Pourtant, ils ne sortent pas de nulle part. Ils sont eux aussi issus d’autres laboratoires. Plus précisément, d’autres tentatives d’#externalisation des frontières et de la gestion de ses migrants et demandeurs d’asile. Cependant, tout cela ne doit pas faire oublier que, tandis que les laboratoires procèdent habituellement par hypothèses potentielles, pour les personnes concernées, les mécanismes de #rétention, de #concentration et d’#exclusion sont tout sauf hypothétiques : elles les vivent en ce moment même, en cette heure.

    Du laboratoire au modèle

    En 2006, Ismaïl Kadaré avait intitulé l’un de ses derniers essais « L’identité européenne des Albanais ». On peut se demander si ce grand écrivain albanais, qui avait publié la plupart de ses œuvres sous une dictature si répressive, n’aurait jamais pu imaginer que l’Union européenne et l’Albanie seraient aujourd’hui liées par une tentative ambiguë d’externalisation de ces mêmes frontières européennes que Kadaré a vu changer au cours de sa vie.

    En octobre 2024, le gouvernement italien avait déclaré avoir achevé la construction d’un centre de détention pour migrants à Gjadër, en Albanie. Ce centre avait été ouvert en octobre dernier et était initialement destiné à accueillir des demandeurs d’asile secourus en mer et provenant de pays considérés comme « sûrs » par le gouvernement italien et l’Union Européenne. Mais les centres construits par l’Italie en Albanie n’avaient encore jamais fonctionné, car les tribunaux italiens n’ont jamais confirmé la détention des trois groupes de demandeurs d’asile qui y ont été transférés.

    Pourtant, le 11 avril 2025, alors que plusieurs centaines de migrants débarquaient à Lampedusa, une quarantaine de migrants, transférés depuis différents centres de rétention italiens, sont partis de Brindisi, dans les Pouilles, et arrivés dans le port et « #hotspot » albanais de Shëngjin, avant d’être emmenés au centre de Gjadër. Un mois plus tard, le 15 mai dernier, la Chambre des députés italienne a voté la #loi visant à transformer officiellement les centres albanais en « #centres_de_rapatriement ».

    Pour ces personnes migrantes, le passage du statut de « transféré » à celui de « détenu » a été immédiat et injustifié. Tout s’est déroulé dans l’opacité la plus totale. Selon un communiqué d’un réseau d’associations, des sources gouvernementales ont déclaré que les personnes transférées constituaient un « #danger_social » et avaient commis des délits, mais rien de tout cela n’a été prouvé. Le caractère punitif du projet albanais est donc évident. Certaines de ces personnes ont découvert qu’elles allaient être transférées en Albanie au moment même où elles sont arrivées, souvent menottées. Aucune information, aucun avertissement, aucune mesure officielle. Cela nous ramène à la dimension de modèle : comme le souligne l’Association italienne d’études juridiques sur l’immigration dans son rapport, cette affaire marque en effet un tournant dans les politiques migratoires et de gestion des frontières, ouvrant la voie à des scénarios inédits dans le contexte européen.

    Le précédent des #navires-quarantaine

    Pourtant, ce laboratoire italo-albanais n’est pas sorti de nulle part. Les pratiques d’#externalisation_des_frontières sont une caractéristique récurrente du régime actuel de gestion des migrations qualifiées d’« illégales » – et aussi, de plus en plus souvent, de « légales », comme nous le constatons par exemple aux États-Unis ces derniers mois. Un exemple parmi d’autres, ou plutôt des précurseurs : les centres de détention pour demandeurs d’asile ouverts en 2001 par le gouvernement australien sur les îles de Manus et de #Nauru. Dans le même temps, je pense qu’il est important de se pencher en priorité sur un exemple interne, européen, qui concerne à nouveau le gouvernement italien, avant même l’arrivée du gouvernement de #Giorgia_Meloni : il s’agit des navires de quarantaine mis en service pendant l’épidémie de #Covid-19.

    Le 7 avril 2020 le gouvernement italien publie un #décret dans lequel il déclare que les ports italiens ne devaient plus être considérés comme des « #POS#Place_of_safety ». Peu de jours après ce décret, en collaboration encore une fois avec la Croix-Rouge italienne, le système de navires-quarantaine a été mis en place et rapidement rendu actif, à travers de nombreuses #dérogations et #exceptions légitimées par l’#urgence_sanitaire. Le premier navire a levé l’ancre le 7 mai 2020. Immédiatement après, cinq autres grands navires sont affrétés et immédiatement mis en service.

    Exactement comme dans le cas des centres albanais, il n’y a jamais eu de communication officielle aux individus, qui n’ont même pas eu la possibilité d’un contact avec le monde extérieur. En outre, de nombreuses personnes contraintes d’embarquer sur des navires-quarantaine ont été soumises à l’obligation de quitter le territoire italien immédiatement après la fin de leur période d’isolement sur le navire en question, sans la possibilité de demander l’asile ou le regroupement familial. Les navires-quarantaine devenaient alors non seulement des centres d’expulsion externalisés et informels, mais aussi des espaces de droits suspendus : le confinement sur une base sanitaire se transformait immédiatement en un outil de gestion des frontières profondément ambigu. Ce que le gouvernement italien a pu faire sous prétexte de pandémie et de biosécurité, il tente désormais de le faire plus ouvertement à travers les centres albanais.

    Les #cobayes, c’est nous

    Les politiques migratoires sont classiquement un laboratoire d’expérimentation de pratiques et de normes à vocation autoritaire. Le cas des centres italiens en Albanie accélère ce processus. Tout cela repose avant tout sur le principe du chantage exercé sur les personnes classées comme migrants « illégaux » : désormais, tout migrant faisant l’objet d’un ordre de retour arbitraire et extrajudiciaire pourra être envoyé en Albanie et y être détenu.

    Ce qui est préoccupant dans cette dimension d’exemple ou de laboratoire, et de leur triste efficacité réelle, c’est qu’il ne s’agit ni d’une hypothèse, ni d’un projet lointain dans le temps. Pour revenir aux navires-quarantaine, il faut noter comment, pendant la pandémie, l’exemple italien a effectivement été suivi par certains : le navire #Bibby_Stockholm mis en place à l’été 2023 par le gouvernement britannique pour le confinement des demandeurs·euses d’asile, par exemple ; ou la proposition du maire de New York, Eric Adams, d’utiliser des #navires_de_croisière comme « solution créative » pour les supposées « vagues de migrants » arrivées dans la ville au cours des mois précédents. Et c’est déjà le cas pour les centres albanais. Pendant sa visite récente en Albanie, Keir Starmer, premier ministre britannique, vient de déclarer : « Nous négocions actuellement avec plusieurs pays au sujet des centres de rapatriement, que je considère comme une #innovation vraiment importante. » Il appelle ces centres « #return_hubs ».

    Face à la facilité avec laquelle ces types d’exemples répressifs sont aujourd’hui suivis et se propagent, il est nécessaire de rester vigilant et de se rappeler que, dans des situations où ces droits fondamentaux sont bafoués et où des personnes qui n’ont commis aucun crime sont soumises à des traitements inhumains et dégradants, le terme « laboratoire » s’avère alors pertinent : mais les cobayes de cette expérimentation sont nos démocraties, et nous tous et toutes.

    https://blogs.mediapart.fr/carta-academica/blog/060625/l-italie-et-le-transfert-des-migrants-en-albanie-le-laboratoire-et-l

    sur les #navi_quarantena :
    https://seenthis.net/messages/866072

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • L’#Algérie a refoulé 16 000 migrants dans le #désert nigérien en deux mois

    Depuis le mois d’avril, plus de 16 000 migrants en situation irrégulière, dont des enfants et des femmes, ont été expulsés d’Algérie vers le Niger, selon les autorités. Et ces expulsions représentent plus de la moitié des 31 000 migrants refoulés sur toute l’année 2024 par Alger, souvent dans « des conditions brutales », rappelle l’ONG locale Alarme Phone Sahara.

    L’Algérie a refoulé plus de 16 000 migrants irréguliers africains vers le #Niger depuis avril 2025, dont des femmes et des enfants, soit plus de la moitié des expulsions de 2024, ont annoncé mercredi 4 juin les autorités nigériennes.

    Dimanche et lundi, 1 466 migrants au total sont arrivés à #Assamaka, localité frontalière de l’Algérie, ont indiqué mercredi les autorités préfectorales d’Arlit, une ville du nord du Niger. Le premier groupe, arrivé dimanche, comptait 688 ressortissants d’une dizaine de pays ouest-africains, parmi lesquels 239 Nigériens, ont précisé les autorités.

    Le deuxième groupe, qui rassemblait 778 Nigériens dont 222 mineurs, est arrivé lundi à bord de 13 camions et d’une fourgonnette, ont-elles ajouté.

    Entre le 1er et le 30 mai déjà, 8 086 migrants (5 287 Nigériens et 2 799 personnes d’autres nationalités africaines) avaient été expulsés par Alger, selon un décompte des autorités. En avril, 6 737 autres avaient été refoulés.

    Toutes ces expulsions représentent plus de la moitié des 31 000 migrants refoulés sur toute l’année 2024 par Alger, souvent dans « des conditions brutales », selon l’ONG locale Alarme Phone Sahara. Elle a récemment dénoncé une « violation des droits humains » et exigé « l’arrêt immédiat des rafles et des expulsions massives » par l’Algérie.

    Accélération des retours « volontaires »

    Face à ces arrivées massives - qui ont cours depuis des années -, le Niger avait annoncé en mai vouloir appuyer l’#Organisation_internationale_de_la_migration (#OIM) pour accélérer le #rapatriement dans leur pays d’origine - d’ici juillet - d’environ 4 000 migrants. Les autorités nigériennes disent vouloir éviter un « désastre humanitaire ».

    Mais ces retours « volontaires » prennent du temps. De manière générale, l’OIM est tributaire des processus imposés par les États d’origine pour délivrer les #laissez-passer. Chaque nouvelle exigence de ces derniers - entretiens en vidéoconférence avec le migrant, formulaires rébarbatifs, etc. - entraîne un peu plus de retard pour les migrants originaires de ces pays, bloquant ainsi tout le processus et provoquant l’embolie du système d’accueil onusien sur le territoire nigérien.

    Cette surpopulation de migrants - notamment à Assamaka et #Agadez - concentre toutes les frustrations.

    Cette situation « perturbe l’équilibre sécuritaire » du pays, avait déclaré fin janvier le général Mohamed Toumba, ministre nigérien de l’Intérieur de ce pays gouverné depuis près de deux ans par un régime militaire.
    Le double discours d’Alger

    Les autorités algériennes, elles, affichent un double discours sur leur politique migratoire. D’un côté, Alger expulse ces sans-papiers dans le désert, de l’autre, le pays communique sur leur accueil et leur intégration.

    Les personnes expulsées doivent survivre dans des conditions de vie particulièrement difficiles. Dans un environnement désertique, elles sont confrontées à un climat très hostile qui cumule de très fortes températures (souvent 47°C- 48°C), l’absence d’abri ainsi qu’un manque d’accès à l’eau, à la nourriture et aux soins.

    Abandonnés par Alger dans la zone dite du « #Point_Zero » - un lieu désertique en Algérie à une quinzaine de kilomètres de la frontière avec le Niger, les migrants doivent ensuite parcourir à pied pendant des heures le chemin vers Assamaka où se trouve le #centre_de_transit de l’Organisation internationale des migrations (OIM), le bras de l’ONU qui assiste les retours volontaires des migrants vers leur pays d’origine.

    L’Algérie n’est pas le seul pays de la région à abandonner des migrants dans le désert. La #Libye aussi. Entre le 28 mars et le 25 avril 2025, 792 migrants, majoritairement nigériens, ont débarqué dans des zones désertiques de la région de #Siguidine (centre-est du Niger) après avoir été renvoyés du sol libyen. Parmi eux, on comptait plusieurs femmes et mineurs.

    En Libye, les exilés peuvent être interpellés dans la rue, sur leur lieu de travail, dans leur appartement... puis placés dans des camions de marchandises à destination du sud du pays, près de la frontière nigérienne. D’autres sont expulsés directement depuis les centres de détention libyens, selon Alarme phone Sahara.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/64971/lalgerie-a-refoule-16-000-migrants-dans-le-desert-nigerien-en-deux-moi
    #asile #migrations #réfugiés #abandon #expulsions #renvois #déportation #désert #Sahara #désert_du_Sahara #retour_volontaire #désert_du_Ténéré

  • #Libye : « L’ensemble de l’appareil sécuritaire a compris que l’immigration rapporte beaucoup d’argent », rappelle un chercheur libyen

    Les ONG estiment que 20 000 migrants sont aujourd’hui détenus dans des prisons en #Libye. Ces exilés y subissent toutes sortes d’#abus : #traite, #torture, #travail_forcé, #extorsion et conditions de détention intolérables. Malgré ces faits, le gouvernement libyen reçoit toujours l’#aide de l’#Union_européenne pour retenir les migrants et les empêcher de rallier l’Europe. Après avoir accumulés les preuves depuis des années, un militant et chercheur libyen brise le silence.

    #Tarek_Lamloum a recueilli les témoignages de migrants interceptés en mer et dans le désert par les gardes-frontières. Il visite régulièrement les #centres_de_détention.

    Ce chercheur qui préside le Centre d’études de Benghazi sur les migrants et les réfugiés dénonce une #corruption généralisée au sein des services sécuritaires : « L’ensemble des appareils sécuritaires a compris que l’immigration leur rapporte beaucoup d’argent. Ces appareils sont en concurrence entre eux. Qui, parmi eux, devrait gérer les migrants ? Et il y a au moins six appareils sécuritaires qui interviennent sur ce dossier. »

    Tout le monde ferme les yeux

    Tarek Lamloum raconte les confiscations des téléphones portables, les vols d’argent des migrants, parfois même le vol de leurs habits et chaussures dès qu’ils sont interceptés en mer par les gardes-côtes.

    Les #exactions et les #vols des migrants sont devenus la norme, explique le chercheur, et les autorités libyennes et européennes ferment les yeux : « Le ministre de l’Intérieur à Tripoli est lui-même impliqué dans cette affaire, il sait très bien ce qui se passe dans les centres de détention qu’il est censé gérer. C’est lui le premier responsable des #gardes-côtes_libyens et des #gardes-frontières. C’est une première inédite : un ministère de l’intérieur qui intervient pour garder les frontières. Normalement, c’est du ressort de l’armée. »

    Malgré ces exactions, le nombre de migrants en Libye a augmenté de 4% depuis le début de l’année, estime l’Organisation internationale des migrations (OIM). En 2024, 200 000 migrants avaient franchi la Méditerranée depuis les rivages d’Afrique du Nord.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/64932/libye--lensemble-de-lappareil-securitaire-a-compris-que-limmigration-r
    #business #complexe_militaro-industriel

  • « C’est la #stratégie de tout #pouvoir_colonial : #nourrir et #tuer »

    #Rami_Abou_Jamous écrit son journal pour Orient XXI. Ce fondateur de GazaPress, un bureau qui fournissait aide et traduction aux journalistes occidentaux, a dû quitter en octobre 2023 son appartement de Gaza-ville avec sa femme Sabah, les enfants de celle-ci, et leur fils Walid, trois ans, sous la menace de l’armée israélienne. Réfugiée depuis à Rafah, la famille a dû ensuite se déplacer vers Deir El-Balah et plus tard à Nusseirat, coincés comme tant de familles dans cette enclave miséreuse et surpeuplée. Un mois et demi après l’annonce du cessez-le-feu, Rami est enfin de retour chez lui avec sa femme, Walid et le nouveau-né Ramzi. Pour ce journal de bord, Rami a reçu le prix de la presse écrite et le prix Ouest-France au Prix Bayeux pour les correspondants de guerre. Cet espace lui est dédié depuis le 28 février 2024.

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    Mercredi 28 mai 2025.

    Hier, des milliers de Palestiniens, dans la zone d’#Al-Mawassi, de #Rafah et de #Khan_Younès, dans le sud de la bande de #Gaza, se sont précipités vers un nouveau poste de « distribution d’aide (in)-humanitaire » que l’armée d’occupation avait installé avec l’association américaine basée en Suisse #Gaza_Humanitarian_Foundation (GHF), et qui est protégé par la compagnie de sécurité américaine #Security_&_Risk_Solutions (SRS).

    Vous avez dû voir ces images montrant des gens se précipiter pour recevoir des colis. Parce qu’ils sont affamés. Depuis deux mois, notre peuple n’a ni à manger ni à boire. Quand ils ont vu ces centres, les gens s’y sont précipités. Cela s’est passé à Rafah, c’est-à-dire au milieu d’un terrain vague grisâtre, car la ville a été entièrement rasée. Pourquoi ont-ils fait ce choix ? Pour obliger les gens à aller vers le sud. C’est l’arme de la faim : #nourriture contre #déplacement.

    Hier, c’était un premier test. Le centre était installé au rond-point dit du Drapeau, à l’ouest de la ville. Pour attirer les Gazaouis, les Israéliens ont publié des photos sur les réseaux sociaux. Elles montraient des gens recevant des cartons contenant tout ce qui manque à Gaza : un kilo de farine, un kilo de sucre, du riz, de l’huile végétale, des biscuits, etc. Le ministre de la guerre israélien, et Nétanyahou lui-même, l’ont dit clairement : cette distribution a pour objectif d’encourager les populations à se déplacer vers le sud de la bande de Gaza. Il faudrait plutôt dire « pour les obliger », car dans la situation de famine où se trouvent les Gazaouis, cette aide alimentaire peut faire la différence entre la vie et la mort.
    Encadrés par des tôles… comme les moutons

    Les conditions devaient être les suivantes : un carton d’aide par père de famille et par semaine. Chaque père de famille devait se présenter avec une pièce d’identité pour recevoir une security clearance prouvant qu’il est clean (propre), c’est-à-dire qu’il ne fait partie ni du Hamas, ni du Jihad islamique ni d’aucune faction. La taille et la composition du colis dépendront du nombre de personnes par famille.

    Mais hier, l’armée d’occupation a ouvert la porte pour tout le monde, sans vérification d’identité. On a vu des milliers de personnes faire la queue, parmi eux des gamins de douze ans, et même des enfants plus jeunes. Ils ont commencé par se regrouper dans des couloirs, dont il ne fait pas de doute qu’ils avaient été installés par les Israéliens eux-mêmes, et non par SRS. Ces files étaient encadrés par des tôles bien reconnaissables : on les retrouve à tous les barrages israéliens en territoire palestinien, à Erez, à la frontière avec Israël d’avant la guerre, mais aussi en Cisjordanie, comme à Kalandia, le barrage sur la route de Ramallah. Nous les appelons halabat, comme les couloirs que nous utilisons pour canaliser les moutons, pour les emmener boire… ou à l’abattoir.

    Puis la foule a grossi, la bousculade a commencé. Les hommes de la compagnie de sécurité américaine se sont retirés. Les soldats israéliens, qui n’étaient pas loin, ont commencé à tirer en l’air. Ils ne voulaient visiblement pas tirer dans la foule, comme à leur habitude, de crainte de faire échouer la distribution. Ils auraient voulu montrer au monde entier que leur système fonctionnait et que les Gazaouis étaient venus parce qu’ils détestaient le Hamas et qu’ils préféraient les Occidentaux. Mais ils sont tombés dans leur propre piège. Certes, les gens sont venus nombreux. Mais ils ont tout pris (je n’aime pas employer le terme « piller ») : les cartons de nourriture, et même...les halabat, les tôles étant un objet très recherché à Gaza, où elles servent à construire des abris de fortune. Ils ont aussi pris les tables où on distribuait la nourriture, pour en faire du petit bois qui alimentera les fours en argile, seul moyen de faire cuire des aliments.

    C’était donc un échec lamentable. La SRS a annoncé la suspension de l’opération pour vingt-quatre heures, mais je crois que cela prendra plus d’une journée. Ils veulent instaurer de nouvelles mesures de sécurité, et surtout lancer le vrai dispositif destiné à attirer vers le Sud ceux qui, comme moi, vivent dans le nord de l’enclave, et ce en créant plusieurs centres de distribution d’aide alimentaire. Le plus proche devrait être installé à l’intérieur du corridor de Netzarim, qui coupe la bande de Gaza en deux à quelques kilomètres au sud de la ville de Gaza. Mais ce sera un déplacement à sens unique, a prévenu l’armée israélienne. Ceux qui, venant du nord, pénétreront dans le corridor pour recevoir de l’aide alimentaire ne pourront pas faire demi-tour. Ils ne pourront aller que vers le sud.

    Voilà, c’est toujours la même stratégie de guerre psychologique : prétendre qu’ils sont en train de nous sauver en nous donnant à manger, tout en nous détruisant. Dans le même temps, il y a eu des massacres comme on n’en avait pas encore vu.
    Des missiles qui carbonisent tout là où ils frappent

    Tout le monde a été choqué par l’image de cette petite fille de cinq ans, Ward Al-Shaikh Khalil, qui s’échappait, au milieu des flammes, de l’école où venait de mourir toute sa famille. Cette école, bombardée par Israël, abritait des déplacés. La famille de Ward en faisait partie, ils s’étaient déjà déplacés plusieurs fois, fuyant au début de la guerre leur quartier de Chajaya, dans la ville de Gaza, pour aller à Rafah, puis à Khan Younès, puis à Deir el-Balah, pour revenir à Gaza-ville après le cessez-le-feu, comme beaucoup d’autres déplacés ; comme ma famille et moi.

    Les Al-Khalil avaient trouvé leur maison de Chajaya détruite. Ils avaient planté une tente sur les décombres. Mais quand Nétanyahou a violé le cessez-le-feu au mois de mars, Chajaya a été envahie par l’armée israélienne, et la famille de Ward a dû fuir de nouveau, pour se réfugier dans leur dernier abri : cette école où ils ont été brûlés vifs. Victimes d’une nouvelle technologie israélienne : des missiles qui carbonisent tout là où ils frappent. C’est un exemple de la stratégie israélienne : nourrir et tuer. C’est la stratégie de tout pouvoir colonial : affaiblir les colonisés pour qu’ils aient besoin d’être secourus. Ils nous tuent 24 heures sur 24, ils exercent un blocus total de la bande de Gaza ; et en même temps, ils veulent nous faire croire que c’est le Hamas qui nous prive de nourriture, et que eux, les Israéliens, sont là pour nous sauver. Parce qu’ils sont l’armée « la plus morale du monde ».

    Il en résulte une grande confusion dans l’esprit des Gazaouis. Beaucoup de gens ont du mal à comprendre ce qu’il se passe exactement. Est-ce que les Israéliens veulent notre bien ? Pourquoi nous frappent-ils, et en même temps nous donnent-ils à manger ? Ce qu’ils cherchent, en réalité, c’est nous détruire psychologiquement, détruire notre sens du réel. L’ennemi qui nous bombarde 24 heures sur 24 est maintenant le sauveteur.

    Israël dit en substance : oui, nous vous privions de nourriture, parce que le Hamas détourne l’aide humanitaire. Il utilise ce prétexte depuis le début. Ils ont commencé à arrêter l’aide humanitaire à cause, disaient-ils, des gangs de bédouins ou autres qui pillaient les convois les armes à la main.
    Le sac de farine… à 1 000 euros

    Comme je l’ai déjà raconté, on sait que ces clans de pillards sont protégés par les Israéliens eux-mêmes, à l’aide de drones qui s’attaquent aux hommes tentant de protéger les convois. Comme par hasard, à Rafah, il n’y a quasiment plus personne, sauf l’armée et les gangs palestiniens armés de kalachnikovs. L’armée prétend être là pour protéger l’aide humanitaire. Mais protéger de quoi et de qui ? Alors qu’elle travaille mains dans la main avec ces clans mafieux.

    Aujourd’hui, c’est le Hamas qui est accusé de détourner l’aide humanitaire. C’est peut-être vrai, peut-être pas. J’ai eu souvent cette discussion avec nombre d’amis, parmi eux des diplomates qui me disent : « On a des rapports qui démontrent que le Hamas détourne l’aide. » Je réponds par une question : « Puisque vous avez des rapports fiables et sérieux, vous devez savoir pourquoi le Hamas fait cela ? » Mais non, ils ne savent pas. Je dis alors : « Si c’était vrai, ce serait soit pour revendre l’aide afin de payer les salariés, soit pour donner à manger et à boire à la base populaire du Hamas. Mais vous ne prenez en compte que la version israélienne. »

    Si 500 camions d’aide humanitaire passaient tous les jours, est-ce que le Hamas la détournerait ? Si tout le monde était servi, il n’y aurait pas d’acheteurs. On en a fait l’expérience après le cessez-le-feu et l’ouverture des terminaux. L’aide humanitaire était entrée en grande quantité, et le sac de 25 kilos de farine était retombé à 5 shekels, c’est-à-dire 1,25 euro. Il y a trois jours, j’ai payé le même sac l’équivalent de 1 000 euros. Oui, vous avez bien lu, 1 000 euros.
    Nous, Palestiniens, sommes toujours écoutés avec méfiance

    Si vous voulez vraiment le bien des Palestiniens qui tentent de survivre à Gaza, faites passer beaucoup plus d’aide humanitaire et le marché parallèle disparaîtra. Malheureusement, la majorité des gens croient toujours ce que disent les Israéliens, et non la parole des Gazaouis. Nous sommes parfois écoutés, parfois à moitié, mais toujours avec méfiance. Mais toute affirmation de quelqu’un qui n’est ni gazaoui ni sur place est prise comme argent comptant.

    C’est pour cela que les Israéliens interdisent la bande de Gaza aux journalistes étrangers, aux diplomates et en général à toute personne concernée par cette réalité. Nous vivons cela depuis longtemps : notre parole passe toujours en dernier. Bien sûr, il y a des exceptions, quand ces observateurs extérieurs sont de vrais connaisseurs de Gaza, comme l’historien français Jean-Pierre Filiu, que j’ai rencontré lors de son séjour d’un mois à Gaza, dont il a tiré un livre qui vient de sortir. Je sais que son récit a un grand retentissement en France, et je le remercie.

    Je dis au monde occidental : n’écoutez pas les Israéliens. C’est l’occupant. Le voleur ne dit pas :« Je suis en train de voler. » Le tueur ne dit pas :« Je suis en train de tuer. » Et quand la victime dit : « On me tue, on me vole, on me fait mourir de faim », elle ne ment pas. Pourtant, cette inversion des rôles fonctionne. Nous, les victimes, nous sommes désignés comme les bourreaux. La machine de guerre est accompagnée d’une machine médiatique.
    Cessez de regarder l’épouvantail du Hamas

    Vous voulez arrêter cette famine ? Inondez Gaza d’aide humanitaire. Et cessez de regarder l’épouvantail du Hamas. Israël l’utilise depuis longtemps. Israël veut nous affamer ? C’est à cause du Hamas. Israël veut nous déporter tous dans des pays étrangers ? C’est à cause du Hamas.

    J’ai aussi un message pour le Hamas. Je ne vais pas parler une nouvelle fois de la différence entre le courage et la sagesse, mais il faut regarder plus loin que le bout de son nez, il faut regarder très loin. Le projet israélien, c’est la déportation, c’est un projet qui met en jeu l’existence même des Palestiniens. Il ne faut pas donner à Israël le moindre prétexte pour le mener à bien. Je sais que les négociateurs présents au Caire ou au Qatar font d’autres calculs. Ils pensent qu’il faut maintenir une position ferme, faire une démonstration de force à l’occupant. Certes, le Hamas est toujours fort, il a toujours une base populaire. Peut-être qu’il ne sera pas éradiqué, mais la population le sera. Il faut être pragmatique. Ce n’est pas une honte de lever le drapeau blanc si c’est pour le bien de notre population. Le plan israélien n’est plus caché, il est sur la table. C’est la déportation de 2,3 millions de Palestiniens. Arrêtez ça ! Faites n’importe quelle concession ! Même si vous êtes fort, s’il n’y a plus de Palestiniens en Palestine, il n’y aura plus de Hamas. Il doit comprendre que ces milliers de victimes se précipitant vers le bourreau pour obtenir un #colis de nourriture, c’est l’image de sa défaite, que c’est la pire #humiliation de notre peuple, et qu’il faut que cela s’arrête, à n’importe quel prix.

    https://orientxxi.info/dossiers-et-series/c-est-la-strategie-de-tout-pouvoir-colonial-nourrir-et-tuer,8257
    #faim #colonialité #Palestine #arme_de_la_faim #Israël #aide_alimentaire #security_clearance #colis #halabat #échec #centres_de_distribution_d’aide_alimentaire #corridor_de_Netzarim #guerre_psychologique #nourrir #tuer #aide_humanitaire #déportation

  • #Tegel könnte das neue Moria werden“

    Am ehemaligen Flughafen Tegel wird ein Aufnahmezentrum für Asylsuchende nach den neuen EU-Regeln eingerichtet. Pro Asyl befürchtet Einschränkungen des Asylrechts.

    Flüchtlingsorganisationen sehen den neuen Beschluss des Berliner Senats zur Notunterkunft in Tegel mit großer Sorge. Der Sprecher von Pro Asyl, Tareq Alaows, befürchtet, dass Tegel unter den EU-Regeln zum Gemeinsamen Europäischen Asylsystem (GEAS) das größte „Haftzentrum“ für Asylsuchende in Deutschland, vielleicht sogar in Europa wird. „Tegel könnte das neue Moria werden“, sagte Alaows am Mittwoch der taz.

    Auch beim Berliner Flüchtlingsrat lässt die Ankündigung von CDU und SPD, Tegel werde zum zentralen Ankunftszentrum nach den GEAS-Regeln, die Alarmglocken klingeln. „Unter dem Deckmantel eines einheitlichen Verfahrens droht eine massive Einschränkung des individuellen Asylrechts – inklusive Schnellverfahren, eingeschränkter Rechtsmittel und haftähnlicher Unterbringung“, sagte Mitarbeiterin Djairan Jekta der taz.

    Der Senat hatte am Dienstag auf Vorlage der zuständigen Senatorin für Integration, Cansel Kiziltepe (SPD), eine Verlängerung der Unterbringung von Geflüchteten in Tegel bis 2031 beschlossen. Bisher lief die Genehmigung nur bis Ende 2025. Zugleich sollen die Kapazitäten von derzeit 7.000 auf 2.600 Plätze verkleinert, die Großzelte abgebaut und durch Container ersetzt werden.

    Die Betriebserlaubnis wird verlängert, weil Tegel übergangsweise zum zentralen Ankunftszentrum für Asylsuchende nach den GEAS-Regeln werden soll. Das derzeitige zentrale Ankunftszentrum auf dem Gelände der ehemaligen Karl-Bonhoeffer-Nervenklinik in Berlin-Reinickendorf entspreche nicht den EU-Standards, so der Senat – es soll saniert werden.

    Zu GEAS gehört die zentrale Unterbringung von neu ankommenden Asylsuchenden und das so genannte Screening, bei dem es um Identität, Gesundheitszustand und Bleibeperspektive der Geflüchteten geht.
    Screening nach Bleibeperspektive

    Was genau die neuen GEAS-Regeln für den Asylprozess in Berlin wie auch in den anderen Bundesländern bedeuten, ist noch nicht klar, weil die Richtlinien noch nicht in nationales Recht überführt wurden. Dies muss bis Jahresende geschehen, das neue EU-System gilt ab Januar 2026.

    Nach taz-Informationen stellt sich der Senat unter anderem auf die Vorgabe ein, dass Menschen ohne „gute“ Bleibeperspektive nach dem Screening, das etwa eine Woche dauern soll, nicht in eine Gemeinschaftunterkunft in der Stadt verteilt werden, sondern in Tegel bleiben müssen. Gleiches könnte für sogenannte Dublin-Fälle gelten, für die andere EU-Länder zuständig sind. Damit würde Tegel nicht nur Aufnahmezentrum sondern auch eine Art Gewahrsam bis zur Abschiebung.

    Auch an den EU-Außengrenzen sollen laut GEAS Aufnahmelager entstehen, in denen Flüchtlinge interniert werden – und solche mit „schlechter“ Bleibeperspektive sollen in der Regel gar nicht erst einreisen dürfen. Laut Alaows soll das Screening normalerweise in den Lagern an den EU-Außengrenzen geschehen. „Dass nun auch für Tegel von einem Screening die Rede ist, weist darauf hin, dass hier ähnliches geplant ist wie an den Außengrenzen.“

    Auch die Gesamtzahl der geplanten Plätze in Tegel weise in die Richtung einer riesigen Haftanstalt, so der Experte von Pro Asyl. Tatsächlich sind laut Senatsbeschluss von den geplanten 2.600 Plätzen im neuen Ankunftszentrum nur 600 für das Screening vorgesehen – wofür die übrigen gedacht sind, wird nicht erwähnt.
    „Isolation, Gewalt, Krankheiten“

    Dem Flüchtlingsrat gibt die große Kapazität von Tegel ebenfalls zu denken: „Große Sammelunterkünfte schaffen Abhängigkeit, Isolation, Gewalt, Krankheiten und erschweren gesellschaftliche Teilhabe, insbesondere wenn sie mit restriktiven Verfahren verknüpft sind“, so Jekta.

    Vor zwei Wochen hatte die beim Regierenden Bürgermeister Kai Wegner (CDU) angesiedelte Task Force Unterbringung noch weitere Vorschläge gemacht. Dazu gehörte unter anderem der weitere Ausbau der Unterbringung am ehemaligen Flughafen Tempelhof sowie die Festlegung, bis zu 8.700 weitere Plätze in dezentralen Unterkünften schaffen zu wollen. Zu all dem beschloss der Senat am Dienstag nichts – offenbar gibt es dazu keine Einigkeit in der Koalition aus CDU und SPD.

    Die Notunterkunft in Tegel war kurz nach Beginn des Ukraine-Kriegs Anfang 2022 entstanden. Ursprünglich war sie nur als Verteilzentrum geplant, von dem aus Kriegsflüchtlinge binnen weniger Tage in andere deutsche Kommunen oder in Gemeinschaftsunterkünfte in Berlin gebracht werden sollten. Mit der Zeit wurde Tegel jedoch zu Deutschlands größter Notunterkunft, in der skandalöse Zustände herrschen.

    Menschen müssen teils weit länger als ein Jahr in Großzelten leben, in denen jeweils bis zu 320 Menschen auf engstem Raum untergebracht sind. Das Lager ist mit etwa 250 Euro Kosten pro Platz und Tag vermutlich auch die teuerste Flüchtlingsunterbringung Deutschlands.

    In den vergangenen Monaten wurde Tegel immer leerer, Mitte Mai lebten dort laut Landesflüchtlingsamt knapp 3.000 Menschen. Ohnehin kommen in Berlin immer weniger neue Flüchtlinge an. Bis Ende April nahm Berlin 2.278 Geflüchtete auf – 30 Prozent weniger als im Vorjahreszeitraum.

    Der Senatsbeschluss von Dienstag schafft außerdem die Voraussetzungen für die Umsetzung des Projekts „Urban Tech Republic“ sowie des Wohnungsbauprojekts „Schumacher-Quartier“. Auch die Berliner Feuerwehr- und Rettungsakademie will auf dem früheren Flughafengelände bauen.

    https://taz.de/Fluechtlingsunterbringung-in-Berlin/!6090824
    #Berlin #Allemagne #accueil #réfugiés #demandeurs_d'asile #centre_d'accueil #aéroport

  • Human Rights Watch appelle l’UE et le Royaume-Uni à ne pas traiter les Balkans comme un « entrepôt à migrants  » - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/64806/human-rights-watch-appelle-lue-et-le-royaumeuni-a-ne-pas-traiter-les-b
    https://scd.infomigrants.net/media/resize/my_image_small/69dada4893e965989b45a8ec5a7db74e1f1ebcc1.jpe

    Human Rights Watch appelle l’UE et le Royaume-Uni à ne pas traiter les Balkans comme un « entrepôt à migrants  »
    Par Clémence Cluzel Publié le : 27/05/2025 Dernière modification : 28/05/2025
    Lundi, Human Rights Watch a mis en garde l’Union européenne et le Royaume-Uni sur leurs projets d’implantation de « centres de retour » pour les demandeurs d’asile qui transformeraient les Balkans en « un entrepôt à migrants ». L’ONG appelle à cesser cette externalisation de la gestion des exilés à des pays tiers tels que la Bosnie. La situation des migrants et demandeurs d’asile risquerait de s’y aggraver.
    "L’Union européenne et le Royaume-Uni devraient cesser de traiter les Balkans "comme un entrepôt à migrants" et s’interroger sur leurs projets d’en faire des pays tiers où envoyer les demandeurs d’asile", a averti, lundi 26 mai, Human Rights Watch (HRW).Une mise en garde qui survient à la suite d’une proposition de la Commission européenne, à la mi-mars, d’établir des « centres de retour » pour migrants hors de ses frontières. L’objectif serait de faciliter le retour de migrants dont la demande d’asile aurait été refusée et qui feraient face à une obligation de quitter le territoire. Le dispositif permettrait également aux États membres d’ouvrir des centres dans des pays tiers désignés comme « sûrs » pour y envoyer des demandeurs d’asile en attente du traitement de leur dossier.
    Lors d’une visite en Albanie en mai dernier, le Premier ministre britannique Keir Starmer avait annoncé avoir entamé des discussions « avec un certain nombre de pays » pour la mise en place de « centres de retour » hors du Royaume-Uni pour les demandeurs d’asile déboutés. Parmi eux, les Balkans sont particulièrement ciblés. La Bosnie-Herzégovine, ainsi que la Serbie, et l’Albanie ont été proposés par les autorités britanniques comme sites potentiels pour accueillir ces plateformes de retour. La Macédoine du Nord pourrait également être concernée et le Kosovo s’est également dit prêt à ouvrir des négociations.
    Mais le Premier ministre albanais, Edi Rama, avait rapidement rejeté cette idée. L’Albanie accueille déjà deux centres de rétention italiens pour migrants en situation irrégulière. « L’externalisation de la responsabilité des migrants et des demandeurs d’asile est intrinsèquement problématique » a déclaré Human Rights Watch (HRW) qui craint une exacerbation des violations des droits des migrants dans les pays tiers. À rebours des récentes annonces, HWR encourage l’UE et le Royaume-Uni à jouer un « rôle important en soutenant le développement de systèmes d’asile fonctionnels ».
    Déjà inquiétante, la situation des migrants risque de s’aggraver en Bosnie
    L’ONG s’est concentrée sur la situation en Bosnie-Herzégovine. Ce pays pauvre du Sud-Est de l’Europe est situé sur la route migratoire des Balkans, très empruntée par les migrants désireux de rejoindre l’Europe du Nord ou de l’Ouest. « Le traitement réservé par la Bosnie-Herzégovine aux migrants détenus devrait inquiéter les gouvernements qui envisagent d’envoyer de nouveaux migrants dans le pays », a déclaré HWR. La communauté internationale devrait aider ce pays « à améliorer ce qui existe déjà pour protéger les demandeurs d’asile et les migrants, et non pas l’encourager à prendre des mesures qui ne feront qu’empirer les choses », indique l’ONG.
    Si la loi sur l’asile prévoit un délai de traitement de six mois des demandes, dans la réalité, obtenir une décision peut prendre jusqu’à 344 jours, renseigne le Haut Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés (HCR) en Bosnie. La lenteur des traitements des demandes d’asile, y compris celles permettant la réadmission dans l’UE, prive les migrants de leurs droits et les empêche de travailler durant neuf mois après leur enregistrement.
    « L’ajout de demandeurs d’asile déboutés du Royaume-Uni, ou potentiellement de l’UE, au système de détention déjà troublant de la Bosnie ne ferait qu’exacerber les problèmes existants et aggraver les abus », s’est inquiété Hugh Williamson, directeur pour l’Europe et l’Asie centrale à Human Rights Watch. L’ONG craint une hausse des risques de violation des droits des migrants du fait de « détentions prolongées », certaines s’étendant jusqu’à 18 mois.D’après des fonctionnaires du Service des affaires étrangères, qui gère les centres de détention de l’immigration en Bosnie, les migrants et demandeurs d’asile sont généralement détenus pour des raison de sécurité nationale, certains pour des accusations criminelles. Ou bien encore quand les chances de rapatriement forcé ou de réadmission dans le pays d’entrée (souvent la Serbie) sont élevées. Dans tous les cas, les détails des accusations ne sont jamais communiqués aux détenus ou à leurs avocats, surtout lorsqu’il s’agit d’une menace présumée pour la sécurité nationale.
    Alors que les personnes placées en centre de détention devraient pouvoir bénéficier de conseils juridiques gratuits, l’organisation d’aide juridique Vasa Prava BiH déplore la restriction de l’accès aux centres par le personnel. La Bosnie fait partie des Balkans, qui constituent la route migratoire la plus active pour gagner l’Europe. Des milliers de personnes en provenance d’Afrique et du Moyen-Orient l’ont empruntée lors de « la crise des réfugiés » en 2015. Suite à l’accord conclu entre l’UE et la Turquie en 2016, la route avait officiellement été fermée. Avec le renforcement des contrôles aux frontières, les itinéraires vers l’UE se sont déplacés vers la Bosnie-Herzégovine, au départ de la Serbie ou d’Albanie, en passant par le Monténégro.
    La Bosnie est ainsi devenu un point de transit et un foyer temporaire pour les migrants et demandeurs d’asile originaires principalement d’Ukraine, de Serbie, du Kosovo, de Turquie, de Syrie et d’Afghanistan, du Pakistan, d’Iran. Depuis des années, de nombreux refoulements violents ont lieu à la frontière entre la Bosnie et la Croatie, bien qu’ils soient interdits dans l’UE. « La Bosnie est déjà utilisée comme un dépotoir pour les personnes qui transitent par elle pour se rendre dans l’UE », a déclaré M. Williamson. Plus de 4 000 ressortissants de pays tiers ont été renvoyés en Bosnie en 2023 par des États membres de l’UE dans le cadre d’accords de réadmission, qui facilitent le retour des personnes dans le pays par lequel elles ont transité.
    Les autorités bosniaques ont transféré 298 personnes dans le cadre d’accords de réadmission, la plupart vers la Serbie, en 2023. De son côté, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM) a aidé au « retour volontaire » de 96 personnes dans leur pays d’origine, et les autorités bosniaques ont aidé au retour volontaire de 381 personnes, majoritairement des ressortissants turcs. Seules quatre personnes ont obtenu le statut de réfugié en 2023 en Bosnie, sur les 147 dossiers déposés. L’année précédente, les autorités l’avait accordé à 349 demandeurs d’asile. En 2023, les autorités bosniaques ont pris 683 décisions de détention et 79 décisions d’expulsion sans que l’on sache combien ont réellement été exécutées.

    #Covid-19#migrant#migrant#balkans#UE#OIM#bosnieherzegovine#bosnie#centrederetour#sante#droit#kosovo

  • Le Royaume-Uni envisage des « centres de retour » pour migrants hors de ses frontières

    En déplacement en #Albanie, le Premier ministre britannique #Keir_Starmer a évoqué avoir entamé des discussions pour créer, hors du Royaume-Uni, des « centres de retour » pour les demandeurs d’asile déboutés. Depuis son arrivée au pouvoir en juillet 2024, le gouvernement travailliste multiplie les annonces visant à lutter contre l’immigration irrégulière.

    Quelques jours après avoir annoncé un nouveau tour de vis contre l’immigration légale, le Premier ministre britannique a annoncé jeudi 15 mai avoir entamé des discussions pour la mise en place hors du Royaume-Uni de « centres de retour » pour les demandeurs d’asile déboutés.

    « Nous sommes en discussions avec un certain nombre de pays à propos de centres de retour, je les considère comme une innovation vraiment importante », a déclaré Keir Starmer en déplacement à Tirana, lors d’une conférence de presse avec son homologue albanais Edi Rama.

    Il n’a toutefois pas donné de détails sur la façon dont ces « hubs » fonctionneraient ni avec quels pays ces pourparlers étaient menés. Il a simplement précisé vouloir rendre plus efficaces les expulsions des personnes n’ayant pas le droit de rester dans le pays. « Cela s’appliquera essentiellement aux personnes qui ont épuisé toutes les voies légales pour rester au Royaume-Uni », a précisé un porte-parole de Keir Starmer.

    De son côté, le Premier ministre albanais a déclaré que son pays n’avait pas vocation à accueillir un « centre de retour » britannique. L’Albanie accueille déjà deux centres de rétention italiens dans son pays, gérés par Rome, pour des migrants en situation irrégulière.

    « C’est un modèle qui demande du temps pour être testé. S’il fonctionne, [il) pourra être repris, non en Albanie, mais dans les autres pays de la région », a ajouté Edi Rama alors que ces structures sont quasiment vides suite à de nombreux revers judiciaires en Italie depuis leur ouverture.

    Un « modèle » pour toute l’Europe

    Avec ces déclarations, le Premier ministre ouvre la voie à une politique similaire à celle avancée par l’Union européenne (UE). Le 11 mars dernier, la Commission européenne a présenté des mesures pour accélérer les expulsions de migrants en situation irrégulière sur le Vieux continent. Et parmi elles figuraient celle d’offrir un cadre légal à la création de « hubs de retour » en dehors de ses frontières. Une proposition réclamée avec force par certains États membres.

    Ces « centres de retours » sont très critiqués par les ONG, qui redoutent de les voir se transformer en zones de non-droit, et soulèvent de nombreuses questions. L’exemple italien montre d’ailleurs qu’il s’agit d’un système difficile à mettre en place.

    Ce projet d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe, par Giorgia Meloni affiche aujourd’hui un bilan plus que mitigé. Seulement une quarantaine de personnes ont été envoyées dans les centres albanais pour l’instant pour un coût de « plusieurs centaines de millions d’euros », avait dénoncé l’opposition italienne.

    Pour Enver Salomon, directeur général du Refugee Council, une ONG d’aide aux réfugiés, ces « centres de retour » sont « inhumains » et « impraticables ». Le renvoi de personnes qui n’ont pas le droit de rester au Royaume-Uni doit se faire de manière « ordonnée et humaine » pour être efficace, a-t-il ajouté.
    Durcissement de la politique migratoire

    Londres avait également tenté d’externaliser le traitement des demandes d’asile en envoyant les migrants arrivés illégalement, notamment par « small boats », vers le Rwanda. Un projet de l’ancien gouvernement de Rishi Sunak, abandonné par Keir Starmer à son arrivée au pouvoir en juillet 2024.

    Le Premier ministre s’est toutefois engagé à réduire l’immigration - régulière comme irrégulière - dans le pays. Lundi, il a annoncé de nouvelles mesures pour réduire l’immigration légale, notamment en restreignant les conditions d’accès à la nationalité et en empêchant le recrutement à l’étranger pour le secteur des soins aux personnes âgées.

    Il s’est aussi engagé à combattre les réseaux de passeurs et l’immigration irrégulière. Malgré toutes ces annonces, les chiffres d’arrivées de migrants traversant la Manche sur de petits bateaux ne cessent d’augmenter. Quelque 36 800 migrants ont atteint l’Angleterre l’an dernier et près de 13 000 depuis janvier, plus que l’an dernier sur la même période. Les demandes d’asile, elles, ont triplé au Royaume-Uni ces dernières années avec 84 200 en 2024, contre une moyenne de 27 500 entre 2011 et 2020, selon les chiffres officiels.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/64600/le-royaumeuni-envisage-des-centres-de-retour-pour-migrants-hors-de-ses
    #hubs_de_retour #centres_de_retour #UK #Angleterre #migrations #déboutés #asile #réfugiés #hubs

    ajouté à ce fil de discussion :
    The Brief – Solidarity replaced by calls for tougher measures in EU migration debate
    https://seenthis.net/messages/1077010

  • Şanlıurfa, ville de prophètes et de #tourisme
    https://metropolitiques.eu/Sanliurfa-ville-de-prophetes-et-de-tourisme.html

    Depuis les années 1990, l’État turc tente de reconquérir les régions kurdes sur le plan militaire, économique mais aussi culturel. À partir du cas de #Şanlıurfa, Julien Boucly met en lumière un consensus néolibéral implicite sur la patrimonialisation et la mise en tourisme des centres historiques. À la suite du coup d’État militaire de 1980, la séculaire cité d’Urfa devient Şanlıurfa, littéralement Urfa « la Glorieuse ». Comme ses voisines Gaziantep et Kahramanmaraş, et par opposition à sa capitale régionale #Terrains

    / #Turquie, #patrimoine, tourisme, #politiques_culturelles, #aménagement, #centre-ville, Şanlıurfa

    https://metropolitiques.eu/IMG/pdf/met-boucly.pdf

  • Chi chiede asilo torna in Italia : l’accordo con Tirana è carta straccia

    La Corte d’appello della capitale non convalida il trattenimento a #Gjader di un cittadino del Marocco: mancano i requisiti del protocollo. Ma Piantedosi esulta per il primo rimpatrio di un migrante del Bangladesh che, comunque, è dovuto ripassare da Roma.

    C’è un buco nella seconda fase del protocollo Roma-Tirana: se un migrante trasferito da un Cpr italiano a quello di Gjader fa domanda d’asilo non può essere trattenuto in Albania. Lo ha stabilito ieri la Corte d’appello della capitale nel primo caso di questo tipo, per un uomo del Marocco. Una sentenza esplosiva che manda in cortocircuito il nuovo tentativo del governo di riempire i centri d’oltre Adriatico.

    DOPO LA RICHIESTA di protezione internazionale, infatti, serve una nuova udienza di convalida della detenzione e siccome riguarda un richiedente asilo la competenza passa dal giudice di pace alla Corte d’appello. Che ieri ha stabilito l’assenza di requisiti per il trattenimento in Albania. L’uomo dovrà essere riportato in Italia e andrà anche liberato, difficile ci siano i tempi tecnici per un’altra udienza.

    Dei primi 40 migranti trasferiti dal territorio nazionale l’11 aprile tre erano già stati rimandati indietro nei giorni scorsi. Due per ragioni sanitarie e uno per il ricorso pendente al momento della deportazione. Un “irregolare” di origini algerine è stato invece spedito a Gjader l’altro ieri. Erano quindi in 38 nel centro alla decisione della Corte sul trentenne marocchino, difeso dagli avvocati Donato Pianoforte e Ginevra Maccarrone.

    L’UOMO ERA ARRIVATO in Italia nel 2021. Nel 2023 ha ricevuto una condanna penale. Dopo averla scontata non è stato liberato, ma è finito nel Cpr di Potenza. Da là lo hanno portato a Gjader, dove ha chiesto asilo per la prima volta. In 24 ore la commissione ha risposto negativamente, consegnandogli un diniego. La domanda è stata esaminata seguendo la procedura prevista per chi si trova in detenzione amministrativa. Procedura «accelerata» ma diversa da quella «accelerata di frontiera», riservata a chi non è mai entrato nel territorio nazionale. Come le persone salvate in acque internazionali e mandate in Albania nei primi tre round di trasferimenti: il target iniziale del progetto.

    Poi a fine marzo, per scavalcare lo stop dei giudici sul tema «paesi sicuri», il governo ha modificato la legge di ratifica del protocollo estendendo l’uso dei centri agli “irregolari”. Per l’esecutivo l’ampliamento di funzioni è possibile senza toccare l’accordo con Tirana perché quel testo consente la permanenza in Albania «al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o rimpatrio». Le prime per i richiedenti mai entrati in Italia, le seconde per gli “irregolari” destinatari di espulsione già sul territorio nazionale. Ma se il migrante chiede asilo successivamente si crea un terzo caso che richiede, appunto, un’altra procedura. Sta qui il buco, l’errore di sistema. Il cittadino marocchino era alla prima richiesta, parzialmente diversa sarebbe una «domanda reiterata», presentata dopo uno o più dinieghi. Anche in questo caso, però, l’esame seguirebbe un iter accelerato ma non «di frontiera».

    IL CASO DI IERI era prevedibile, già il 12 aprile il manifesto aveva scritto che ci sono varie strade per invocare quel controllo giurisdizionale che il governo vuole evitare a tutti i costi. Chiedere asilo era la seconda di tre. Potrebbe sembrare l’ennesimo cavillo giuridico, uno di quelli evocati dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi alla presentazione del decreto, ma succede esattamente il contrario. È l’esecutivo che, con la sponda della Commissione Ue, sta giocando sul filo di leggi nazionali, dettato costituzionale e normative europee per provare ad attuare un progetto che solleva numerose illegittimità dal punto di vista dei diritti fondamentali.

    In primis il diritto alla libertà personale che non a caso i costituenti hanno messo al riparo dagli abusi dell’autorità con la doppia riserva, di legge e di giurisdizione, prevista dall’articolo 13 della Costituzione. La verità è che il progetto Albania è sempre più un test sui margini di arbitrio del potere esecutivo. Una dinamica preoccupante, soprattutto guardando a ciò che avviene negli Usa di Trump: non a caso sullo stesso terreno dell’immigrazione.

    SEMPRE ieri, giusto tre ore dopo il deposito della sentenza, Piantedosi ha annunciato: «Primo rimpatrio dall’Albania di un cittadino straniero trattenuto a Gjader». È un uomo del Bangladesh di 42 anni con precedenti, ritenuto «socialmente pericoloso». Dal Viminale, però, confermano che tutti i rimpatri devono avvenire dall’Italia. Quindi il migrante è stato spedito in Albania la settimana scorsa, parcheggiato per un po’, riportato indietro e poi rimpatriato.

    L’unico successo della mossa potrebbe essere distogliere l’attenzione da quanto stabilito dalla Corte d’appello. Per qualche giorno forse funzionerà. Ma da ieri le fondamenta del protocollo Albania sono ricominciate a crollare.

    https://ilmanifesto.it/chi-chiede-asilo-torna-in-italia-laccordo-con-tirana-e-carta-straccia

    #asile #migrations #réfugiés #externalisation #Italie #Albanie #justice

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Migration Outsourcing to Albania: The Italian PM’s On-Again, Off-Again Grand Plan

      Despite the Italian migrant centres in Albania officially opening in October, the facilities have lain empty over a legal dispute. Migrants are now once again being sent there, though the project remains a source of controversy as well as hope for local communities.

      In the Albanian port of Shengjin, November’s icy coastal winds turn hands blue with the cold. The view of the water’s surface is dotted with rusted boats, which appear as if they have remained there, unmoved, for a long time. A truck cuts across the horizon, hauling away the last batches of debris left over from the construction of a migrant reception centre. The facility, set against the backdrop of empty port buildings and ships, looks sleek and modern. With its high metal walls and containers located inside, it resembles a prison.

      Shengjin is set to be the first stop for irregular migrants caught by the Italian coast guard in international waters. Here they will be held for a limited time, undergoing a short interview and health check, before being moved to a detention centre in Gjader, around 20 kilometres inland.

      The two facilities form the foundations of Italian Prime Minister Giorgia Meloni’s flagship immigration project. The idea behind it is simple – outsourcing migrant asylum procedures from Italy to Albania, which is just across the sea.

      “It is a new, courageous, unprecedented path, but one that perfectly reflects the European spirit and has all the makings of a path to be taken with other non-EU nations as well,” Meloni declared to the Senate in February last year.

      It is also proving a costly path: the building of the facilities alone has soaked up around 100 million euros already, with an estimated 700 million more to be spent over the five years of the agreement with Albania. Opposition politicians in Italy and a source closely connected to the Italian embassy in Tirana disclose that the final cost will be closer to 1 billion euros.

      Only a specific group of migrants will come to Albania: adult men, physically and mentally healthy, from 19 countries deemed safe by the Italian government. Authorities aim to use the offshore facilities to fast-track the processing of their asylum claims – a procedure that sometimes takes years in Italy will be shortened to 28 days in the case of migrants brought to Albania.

      That is, if the project finally get properly up and running. Despite being launched in October, Meloni’s plan has faced multiple setbacks in the Italian courts. The facilities built to detain up to 30,000 asylum seekers annually have so far been used only for two groups of migrants of Egyptian and Bangladeshi origin – one of 16 people and another of eight.

      Both groups were ordered by the Civil Court of Rome to be returned to Italy immediately. But after a two-month hiatus, on January 26, an Italian Navy ship set sail with 49 migrants from those two countries on board, which arrived in Shengjin three days later, on January 28.

      Headed home

      Shengjin is a small resort town northwest of Tirana that attracts Albanian and foreign tourists during the summer months. In autumn, the town seems almost deserted, with empty bars lining the seaside promenade. Only in some bars can a few men be found drinking an afternoon beer.

      One such place is a dingy tavern near the harbour, frequented by a group of Italian carabinieri and policemen who had emerged from behind the high gate of the reception centre. One of them sits on a plastic chair in front of the entrance and regards us from behind sunglasses.

      “I didn’t volunteer to be here; I was assigned. I won’t say whether it’s good or bad, it’s just that the decision was made,” he says offhandedly.

      Surely, the pay rate is higher than for serving at home, we ask?

      “It depends on where you served before. I may come out a little better, someone else not necessarily. And the work? Now it’s mostly paperwork, because we don’t have any migrants. Basically, there’s no point in me being here. I’m going back in a couple of days, because it was decided that I would be more useful in [Italy],” he says.

      There are many more like him. In December, more than half of the Italian officers were returned home, because the legal skirmishes between the Italian courts and the authorities will inevitably mean the project cannot start for at least another six months.

      One main street leads from the port to the town centre. Along the way we meet a few locals, but most don’t want to talk about the reception centre. In this post-communist country, people are taught not to discuss political topics openly.

      A few, however, enthusiastically argue that this project is an opportunity for local, small-scale entrepreneurs to make money; others are sure nothing good will come from it for them.

      “What could the city possibly gain from it? After all, no one will make any money on these migrants, and Italian officials sit and eat at the hotel,” BIRN hears from one among a group of men in their 20s.

      “We don’t want this camp for many reasons, but mostly because it will be against the rights of those migrants being sent here,” says one of two elderly men smoking cigarettes in the nearby hotel’s fancy restaurant. “They started their journey to be in Italy, not in Albania. Who has the right to change their route? And besides, for us there is nothing to be gained from it.

      Dancing to a different beat

      Before leaving Shengjin, we meet with an MP from the opposition Democratic Party of Albania, Agron Gjekmarkaj, who is from this coastal area. We talk in a restaurant near one of the local gas stations.

      “People feel that this is purely a propaganda move by Prime Minister Meloni. Her country has enough capacity to receive these migrants at home. It’s just a matter of convincing her citizens that she has gotten rid of the problem. And what concerns us most is how our prime minister is using his power for her own interests,” Gjekmarkaj argues.

      Albanian Prime Minister Edi Rama of the ruling Socialist Party is a controversial figure, wielding power with a heavy hand in a country that continues to struggle with corruption, social injustice and high levels unemployment three and a half decades after the end of Communism.

      “There is a perception that Prime Minister Rama has done Meloni a personal favour to strengthen his position with the Italian government,” Gjekmarkaj says. “This is not the first time he has done something like this. But for our country to build facilities reminiscent of prisons for migrants is just ruining our image.”

      From what Gjekmarkaj and others say, no one – apart from the prime ministers themselves – and not even members of the ruling party knew about the Italian-Albanian project before it was officially announced. This is because, they say, Rama is not in the habit of consulting other officials about his decisions.

      The Democratic Party MP argues that he is not against granting asylum to those fleeing from Africa or the Middle East. He stresses that Albanians are themselves a nation of migrants; today, more than 40 per cent of this nation of 5 million people work abroad due to the lack of prospects and low wages in their own country.

      “However, we cannot accept being treated as a country on which others can dump their problems,” Gjekmarkaj adds.

      He is not the only one to oppose the project. The Vatican, international NGOs and the Italian opposition, among others, have also expressed their doubts or disagreement.

      “What remains in Albania is a colossal structure built by local entrepreneurs with the taxes of Italian families, a structure destined to rot. What remains in Albania is the face of Giorgia Meloni, the author of an unprecedented waste of resources, wanted only on an electoral whim,” wrote former Italian prime minister Matteo Renzi on X in November. “And the judges have nothing to do with this, make no mistake: the Albania operation does not hold up, both in terms of numbers and the law.”

      Building walls and fences

      Shengjin might be the planned first stop for irregular migrants, but if the Albanian operation does eventually take off, they will spend most of the time in the detention centre – a facility located further north, on a road which leads to the centre of a village called Gjader.

      You can’t see the high steel fences from the heart of this small hamlet, but you can’t miss them going in or out of it. Those fences are an eyesore for the inhabitants, many of whom have relatives who have migrated themselves. Aleksander Preka, the village head, claims that some people felt it was testimony to how their loved ones are also treated abroad.

      Whatever reservations they might have, however, pale in comparison to the potential benefits that the Italian investment promises.

      “Until now, the people of Gjader saw only good things coming from this deal. They are selling more products, and they received a promise from the Italian embassy that they would get an improved energy system,” states Preka.

      The detention centre – unlike the one in Shengjin – also brings with it a promise of better employment opportunities. BIRN met people who work there, either hired to clean or help construct the facilities. The 400-euro monthly salary that the camp’s authorities offer may not seem like much to Italians, but in Gjader it is an enticing offer. Preka says that once Meloni’s project gets under way, it will create a significant influx of jobs.

      “We were promised by the municipal authorities that if the camp reaches its capacity, at least 150 people from the area will work there. And when we met with the Italian ambassador, we made a deal that if we don’t protest against the project, any additional workforce that will be needed will have to come from the village,” he says.

      If these promises are kept, Meloni may have thrown Gjader a lifeline. The village used to have a state agricultural cooperative and a military airfield during Communism, which ensured the availability of work for anyone living here. But those times are long gone; Gjader is now depopulating at a steady clip.

      Locals show us how many of the houses along the main road are abandoned as people leave for either the bigger cities or abroad. Agriculture and remittances from family members working in Italy, Germany or Austria are the main sources of income here. So even though we hear some concerns about the ethics of turning some of Gjader’s territory into a ‘prison’ for migrants headed to another country, no one with whom we talked directly opposes the project.

      Rrok Rroku, who claims to be the former mayor of the commune in Gjader, states that despite his opposition to the current local administration, he also would have allowed the facilities to be built.

      “Those who say that it’s a prison do so for political reasons. I have been inside the centre and the conditions there are really good. And yes, there are walls around it, because the people that will come here want to go to the European Union, so if there aren’t walls, we won’t be able to keep them in for even those 28 days,” he points out.

      He also justifies Meloni’s project: “Migration is a problem for all of the European countries, even the developed ones. Some are building fences; some are building walls. If I live in my home with my family and 10 other people come, I can’t house and feed everyone.”

      Dangerous precedent

      Outside of Gjader, we come across many who openly criticise the plan cooked up by these two prime ministers. Even before the centres in Albania were finished, human rights organisations pointed out that Meloni and Rama’s project could prove a dangerous precedent in European migration law.

      “Experience shows that offshore asylum schemes can’t be implemented in a way that respects people’s rights and international law,” says Judith Sunderland, associate Europe and Central Asia director at Human Rights Watch.

      “The 16 men taken to Albania by an Italian Navy ship are being put at risk for the sake of a terrible experiment,” she comments about the group of migrants who were eventually returned to Bari in Italy by a court, but are likely to be part of the group of 49 who were sent back to Shengjin on January 25.

      In the Albanian capital of Tirana, BIRN meets with Erida Skendaj, a lawyer and representative of the Albanian Helsinki Committee, which, like Sunderland, has had concerns about the project from the very outset. His organisation issued a statement and an open letter to the Albanian prime minister, demanding he rip up the deal, as it violates human rights and was adopted without public consultation.

      “We have not received any response,” says Skendaj.

      The lawyer is particularly worried about the fast-track asylum procedure, which she believes is aimed at deporting foreigners to their countries of origin as quickly as possible. “Besides, sending migrants to Albania, meaning outside the EU, is illegal. Non-EU countries do not provide the same protection of human rights as member countries,” she points out.

      Less critical of the agreement is Albania’s ombudsman, Erinda Ballanca. As she welcomes us into her office, she puts things straight from a legal perspective: “The project and whether it was possible or not to implement, went through the Constitutional Court of Albania. It declared that the deal is in line with the law.”

      Still, she has some concerns about certain parts of the project from a human rights perspective, especially the lack of transparency in the process of drafting and negotiating the agreement, as well as the double standards shown towards migrants.

      “Those who come to our country to ask for asylum are not held in the detention centres, whereas other migrants will be sent to the Italian facilities, also in Albania, which they cannot leave. This could be discrimination,” Ballanca points out.

      She presented those doubts to the Constitutional Court, which acknowledged that the Italian law – meaning EU law – must be applied and prevail in that case. “But we are not against the agreement in principle,” she adds.

      Facility fears

      People who have had the chance to visit the centres voice their concerns as well. Damien Boeslager, a member of the European Parliament from the Volt Europa party, inspected the facility in Gjader in November.

      “It’s very much a container village, reminding me of similar facilities in EU member states. It looks very uncomfortable, very prison-like. It’s mostly concrete with very high walls around it – not a place where you’d want human beings to be,” he says.

      Boeslager thinks the Italian government has merely created an ex-territorial camp in Albania, while everything would be much better if it were located in Italy. “It’s got a very small capacity, so it’s not a systemic solution. This is a propaganda move to send the signal that migration is being dealt with,” he claims.

      But a number of European leaders don’t seem too concerned about the humanitarian aspect of outsourcing the processing of asylum claims. On the contrary, Meloni’s flagship project is being observed with great interest from the outside.

      Ursula von der Leyen, president of the European Commission, openly called on other member states to “explore the idea of developing return hubs outside the EU”. Keir Starmer, the prime minister of the UK – which had already tried to implement a plan of relocating asylum seekers and irregular migrants to Rwanda under the previous Conservative government – admitted that he had discussed the concept of the Albanian project with Meloni herself.

      And in Albania, more than one source told BIRN that representatives of the Dutch government had visited the centre in Gjader and inquired about the possibility of building a similar facility.

      This interest petered out as soon as Meloni’s program hit a legal speed bump. Days before the official inauguration of the centres on October 11, the Court of Justice of the European Union (ECJ) ruled that a state cannot be deemed a “safe third country” by any EU government if there is a risk of persecution in any of its parts or territories. That is why the migrant groups from Bangladesh and Egypt – two countries with numerous well-documented human rights issues – were immediately returned to Italy.

      This decision put the Italian designation of 19 safe third countries under additional scrutiny, and the ECJ has now been asked to review whether the list prepared by Meloni’s government is compliant with EU law. The ECJ is set to hear the case on February 25.

      Regardless of whether that decision goes the prime minister’s way or not, sources have told BIRN of their confidence that, in time, the centres will start to function as planned. The source close to the Italian embassy in Tirana assures that a legal solution will be found, even if only because of the fact that any other outcome would be embarrassing for both Italy and Albania.

      Meloni has already used the decision of the court in Rome to further the idea that the Italian judiciary is acting against the people’s interests and that it is obstructing the current government’s plans in the name of a political vendetta. She also stated that, “the centres for migrants in Albania will work, even if I have to spend every night there from now until the end of the term of the Italian government.”

      Yet even if Meloni gets her way and the centres do get up and running, questions over the value and logic of them remain. Offshoring definitely is a new solution, as Meloni claims, but it will also be a costly one, with many legislative question marks continuing to hang over it.

      https://balkaninsight.com/2025/01/28/migration-outsourcing-to-albania-the-italian-pms-on-again-off-again-g

  • Il “clima di terrore” tra i lavoratori dei centri per migranti in Albania

    Riservatezza e “obbligo di fedeltà” sono alcune delle clausole che i dipendenti di Medihospes Albania hanno dovuto sottoscrivere per iniziare a lavorare nelle strutture di #Shëngjin e #Gjadër. Gli operatori lamentano cattiva gestione e licenziamenti improvvisi. A un anno dall’aggiudicazione dell’appalto, la prefettura di Roma e il gestore non hanno ancora firmato il contratto. Mentre il governo ha riavviato i trasferimenti nella massima opacità. La nostra inchiesta.

    “Firmando il contratto abbiamo dovuto accettare una clausola che prevede ‘l’obbligo di fedeltà’: all’interno dei centri c’era un clima di terrore”, dice Arben, nome di fantasia di un ex dipendente della Cooperativa #Medihospes, l’ente gestore delle strutture per migranti di Shëngjin e Gjadër, in Albania, volute dal Governo Meloni. Un castello di carta retto da silenzio e “fedeltà” che poche informazioni fanno crollare in fretta.

    Documenti ottenuti da Altreconomia dimostrano infatti la confusionaria gestione del ministero dell’Interno dopo la frettolosa apertura di metà ottobre 2024, quando i centri erano in gran parte inagibili. A pochi mesi di distanza, la sostanza non è cambiata: il nuovo avvio dell’11 aprile è avvenuto nel buio più totale e ancora senza un contratto esistente tra la prefettura di Roma e Medihospes.

    Riavvolgiamo però il nastro per capire che cosa è successo. Esattamente un anno fa, il 16 aprile 2024, viene aggiudicato l’appalto da oltre 133 milioni di euro per la gestione dei centri e quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si reca in Albania il 5 giugno 2024 per inaugurarli, l’apertura sembra imminente. Non è così: tutto resta fermo per settimane con l’esecutivo che posticipa di mese in mese l’apertura. Poi, in pochissimi giorni arriva un’accelerazione.

    L’8 ottobre avviene il doppio passaggio di “consegna” della struttura di Gjadër, il cuore del progetto albanese che prevede oltre 800 posti tra l’hotspot, il Cpr e la sezione destinata al carcere: il ministero della Difesa italiano, che ha svolto i lavori, consegna le strutture alla prefettura di Roma che a sua volta ne affida la gestione a Medihospes. Il documento, ottenuto da Altreconomia, sottolinea che l’avvio è parziale e “in via d’urgenza” ma il motivo dell’improvvisa fretta del governo non è indicato. Quel che è lampante, invece, è il ritardo dei lavori come dimostra la mappa allegata al verbale di inizio attività in cui vengono delimitate le aree ancora oggetto di cantiere che coprono gran parte del perimetro dei centri.

    I problemi non sono solo relativi agli spazi inagibili. Con una nota del 14 ottobre 2024, a tre giorni dall’arrivo dei primi migranti intercettati in mare, Medihospes indica alla prefettura tutte le criticità di un avvio della gestione così precipitoso. “Sono state consegnate all’ente gestore due palazzine alloggi ma, come poi verificato nelle ore successive presso il sito di Gjadër, solo una è utilizzabile dal personale atteso che la seconda è priva di letti”. I posti destinati ad alloggi per l’ente gestore “da capitolato risultano essere 60” mentre al 14 ottobre erano stati consegnati “soli 24 posti e non 48”, come era stato evidentemente pattuito. Secondo la cooperativa ciò rappresenta una “enorme criticità che comporta un notevole aggravio dei costi per la conseguente sistemazione del personale trasfertista”.

    Ancora. “Il numero delle aree destinate a spogliatoio del personale dell’ente gestore risulta assolutamente insufficiente”. Un’altra criticità è l’assenza di un locale da destinare a mensa o sala per la distribuzione dei pasti, così come l’affidamento a Medihospes della gestione di una “control room” non rientrante nelle prestazioni previste dal capitolato e dagli atti di gara. Solo per questa attività, comunicata all’ente gestore a sette giorni dall’avvio del servizio, serviranno un totale di 336 ore settimanali per le operazioni di videosorveglianza, antintrusione, antincendio, gestione di accessi e la filodiffusione.

    La cooperativa si mette addirittura a disposizione per fornire servizi non previsti del bando di gara, compresa la citata “control room”. Il confine tra gestione e sorveglianza si fa così progressivamente sempre più labile. Tanto che l’ente segnala le problematiche relative ai “varchi con cancelli motorizzati, non essendoci cancelli pedonali per entrare nei singoli lotti”. Medihospes sottolinea che “l’apertura frequente dei cancelli carrabili aumenterebbe il rischio di tentativi di fuga dal singolo lotto verso le aree comuni”, auspicando la realizzazione di “cancelli metallici dotati di tornello” così da garantire un maggior controllo.

    Insomma, i centri allora sono ancora lontani dall’essere pronti ma il 15 ottobre, mentre la nave Libra sta trasportando le prime persone soccorse al largo di Lampedusa verso le coste albanesi, arriva la firma del “verbale di esecuzione anticipata”. La giustificazione indicata dalla prefettura è “l’esigenza e l’urgenza di assicurare nell’interesse pubblico l’avvio del servizio di accoglienza e dei servizi connessi”.

    “La mancata firma del contratto sembra testualmente fondarsi su ragioni di urgenza che tuttavia sono correlate all’interesse pubblico di vedere avviati i centri -osserva Maria Teresa Brocchetto, avvocata amministrativista di Milano e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)– con una formulazione che suona solo tautologica e lascia inspiegata la ragione stessa dell’urgenza, a fronte di un protocollo della durata di cinque anni e di un contratto di gestione della durata di due anni prorogabile per altri due”. Un contratto che ancora oggi, a un anno di distanza, non sembra essere stato firmato.

    La confusione organizzativa poi ha avuto effetti negativi soprattutto sui lavoratori assunti da Medihospes, che a luglio 2024 ha aperto una filiale con sede a Tirana. “Ho siglato il contratto la notte prima dell’arrivo della nave Libra, non ho avuto neanche il tempo per leggere attentamente tutte le clausole”, riprende Arben, che racconta di non aver mai neanche ricevuto una copia dell’originale. “Ci è stata consegnata solo la fotocopia ma due mesi dopo la firma”, aggiunge, raccontando poi nel dettaglio come ha vissuto la prima operazione del governo. “Quando le prime persone sono arrivate sembravano spaventate, con gli sguardi assenti e sopraffatti dalle informazioni ricevute nell’hotspot di Shëngjin. Anche per noi è stato difficile seguire queste procedure”.

    Dopo il primo sbarco non sono stati solo i migranti ad affrontare la confusione ma anche gli operatori albanesi che non avevano ricevuto alcuna formazione. “Ci è stato detto di mantenere un ruolo di osservazione durante quella operazione. Non conoscevamo altri colleghi, né avevamo una visione d’insieme sul funzionamento dei centri. Fino alla fine di dicembre non abbiamo avuto nemmeno un ufficio”, sottolinea l’ex lavoratore, criticando la cattiva gestione e il caos della prima operazione avvenuta in fretta e furia. Tanto che i turni di lavoro sono stati forniti ai lavoratori molto tardi. “Tra le nove e le dieci della sera prima, e questo è accaduto anche nella seconda operazione”, spiega Arben.

    Inoltre, la prima formazione dello staff, durante la quale i lavoratori sono stati istruiti su tutte le procedure che si svolgono a Shëngjin e Gjadër con esercizi di simulazione sarebbe avvenuta solo una settimana dopo il primo trasferimento. Le sessioni informative sarebbero state condotte da Benedetto Bonaffini, imprenditore di Messina e già vicepresidente nazionale della Federazione italiana esercenti pubblici e turistici (Fiepet) di Confesercenti nonché colui che ha supportato Medihospes (allora Senis Hospes, come raccontato qui) a implementare le proprie attività nella città siciliana, soprattutto nell’ambito dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

    I lavoratori albanesi assunti da Medihospes nei primi mesi di attività nei centri sono stati 99. Il contratto che hanno firmato ha stringenti clausole di riservatezza e fedeltà

    Nonostante gli esorbitanti investimenti per i centri stimati in 800 milioni di euro, i lavoratori hanno poi lamentato l’assenza di condizioni adeguate di base per il personale, tra cui il fatto che hanno dovuto viaggiare a proprie spese per coprire i venti chilometri di distanza che separano l’hotspot di Shëngjin ai centri di Gjadër. “Il mio turno più lungo è durato dalle otto del mattino alle undici di sera, anche se per legge non possiamo lavorare più di 12 ore -denuncia il lavoratore-. La cooperativa ci ha pagato tutti gli straordinari che abbiamo lavorato, ma non ci ha riconosciuto l’aumento del 25% del salario per le ore extra dopo le 19 previsto dal contratto”.

    Sulla base di una lista interna di lavoratori ottenuta da Altreconomia, Medihospes Albania avrebbe assunto 99 lavoratori nei primi mesi di attività dei centri. Tra ottobre 2024 e metà gennaio 2025 sono stati contrattualizzati dieci mediatori, 14 informatori legali, sette operatori sociali e altri professionisti sanitari e amministrativi. Uno di questi ci ha mostrato il contratto di lavoro, basato sul diritto albanese, evidenziando le stringenti clausole di riservatezza che hanno costretto molti dei suoi colleghi a non parlare con i giornalisti. L’articolo 11 s’intitola “Riservatezza”, quello successivo “Obbligo di fedeltà” e prevede il dovere dei lavoratori a “mantenere segrete tutte le informazioni relative all’attività del datore di lavoro, informazioni di cui è venuto a conoscenza durante il periodo di impiego presso il datore di lavoro”. Anche dopo la fine del rapporto di lavoro.

    Oltre al contratto, i lavoratori hanno dovuto firmare poi un codice di condotta, ovvero un documento interno che stabilisce le linee guida per garantire standard etici e professionali. Quest’ultimo li obbliga a consegnare il telefono all’ingresso del centro e a riporlo in un armadietto chiuso a chiave per utilizzarlo solo durante le pause, tranne nei casi in cui abbiano presentato al direttore del centro la richiesta di tenere il cellulare per esigenze di salute. Se non rispettano il codice di condotta, le persone assunte rischiano di incorrere in sanzioni che vanno dall’ammonimento scritto alla risoluzione del contratto. Come sostengono diversi ex dipendenti sentiti da Altreconomia, i rischi di infrangere il dovere di riservatezza ha fatto sì che si diffondesse paura nel denunciare potenziali abusi per timore di azioni legali o di licenziamento da parte dell’ente gestore.

    “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio” – Arben

    Licenziamento che è comunque arrivato, per molti di loro, a metà febbraio. Infatti, dopo la conclusione dei primi tre mesi di contratto a gennaio 2025, alcuni dipendenti sono stati richiamati in vista del terzo tentativo del governo italiano di trasferire i migranti dopo i due “fallimenti” di ottobre. Ai lavoratori è stato fatto firmare un contratto di sei mesi ma le cose non hanno funzionato come il Governo Meloni auspicava: il 31 gennaio tutti e 43 i migranti portati in Albania hanno fatto rientro in Italia su decisione del Tribunale di Roma, che ha applicato la legge. “Alcuni colleghi mi hanno raccontato di aver firmato il contratto il 3 febbraio quando i migranti erano già stati riportati in Italia -sottolinea Arben-. Appena due ore dopo la firma sono stati informati in una riunione che il rapporto di lavoro si sarebbe concluso a metà febbraio”. La “giustificazione” data dall’ente gestore è stata fatta risalire a “una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di cassazione”, come si legge nella comunicazione di interruzione del contratto di lavoro inviata ai dipendenti da Walter Balice, l’amministratore di Medihospes Albania.

    L’ennesimo tentativo di rendere operativi i centri è iniziato come detto l’11 aprile di quest’anno con il trasferimento a Gjadër di 40 persone straniere rinchiuse nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani. Due sono già tornate in Italia ma è una delle poche informazioni note. L’operazione è infatti avvenuta nella più totale opacità. “Non abbiamo potuto avere accesso alla lista di chi è rinchiuso e ci sono già stati gravi atti di autolesionismo -racconta Rachele Scarpa, parlamentare del Partito democratico che ha visitato i centri il 16 aprile-. Sul contratto, invece, l’ente gestore non ha potuto rispondere altro che ‘no comment’”.

    I nodi critici rimangono così molti. Non si sa se è previsto un importo minimo garantito a Medihospes per questi mesi di stop forzato delle strutture ma soprattutto la prefettura oggi sembra trovarsi in una posizione scomoda con l’ente gestore, vista la mancata firma del contratto a un anno dall’aggiudicazione dell’appalto. La prefettura di Roma non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento, così come la cooperativa che si è limitata a dire che “essendo un fornitore” non gli è permesso commentare quello che succede nei centri in Albania.

    https://altreconomia.it/il-clima-di-terrore-tra-i-lavoratori-dei-centri-per-migranti-in-albania
    #Albanie #Italie #externalisation #travail #conditions_de_travail #contrat_de_travail #Medihospes_Albania #licenciement #sous-traitance #privatisation #obbligation_de_loyauté #migrations #réfugiés #asile #control_room #Benedetto_Bonaffini #code_de_conduite #Walter_Balice

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Automutilation, « violation flagrante des droits », expulsion coûteuse... Les transferts de migrants vers l’Albanie sous le feu des critiques

      Dix jours après le transfert de 40 migrants d’Italie vers l’Albanie en vue d’une expulsion vers leur pays d’origine, deux personnes ont dû être rapatriées en Italie pour des cas d’automutilation et deux autres pour des questions juridiques. Dans la structure de Gjadër, les exilés sont confrontés à une « violation fragrante de leurs droits », estiment des parlementaires qui ont visité les lieux. Les autorités italiennes, de leur côté, vantent le « premier rapatriement d’un citoyen étranger » détenu en Albanie.

      Les revers s’enchaînent pour le gouvernement italien dirigé par la Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni. Dix jours après le transfert en Albanie de 40 migrants, quatre d’entre eux sont déjà de retour en Italie, indique la presse locale.

      Le 11 avril, 40 exilés maintenus en centre de rétention italien ont été expulsés vers le centre albanais de Gjadër, dans le cadre d’un accord entre Rome et Tirana. Ils sont désormais enfermés dans la structure en attendant leur renvoi dans leur pays d’origine. Une procédure qui peut prendre des mois.

      Très peu d’informations ont filtré sur la nationalité et le profil de ces personnes. Selon Rome, plusieurs d’entre elles ont des casiers judiciaires pour des faits de violences, de tentative de meurtre ou de trafic de drogue.
      Inaptes à la détention

      Mais ce transfert, largement salué par le gouvernement, semble déjà avoir du plomb dans l’aile. Quelques jours après leur arrivée en Albanie, deux migrants ont été rapatriés vers l’Italie pour des cas d’automutilation. Du fait de leur état psychologique, ils ont été jugés inaptes à ce type de détention.

      Deux autres ont été renvoyés sur le sol italien pour des questions juridiques : l’un car son appel sur sa demande d’asile n’a pas encore été traitée par la justice italienne, l’autre parce qu’il a déposé une demande de protection internationale à son arrivée en Albanie.

      En effet, l’accord entre les deux pays stipulent que seuls les migrants jamais entrés en Italie et les personnes en situation irrégulière présente sur le territoire national peuvent être transférés en Albanie. En demandant l’asile, même une fois arrivé sur le sol albanais, cette personne n’entre dans aucune de ces deux catégories, et ne peut donc être retenue à Gjadër.
      Première expulsion controversée vers le Bangladesh

      Le gouvernement, lui, préfère mettre en avant la réussite de son projet. Samedi 19 avril, le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi s’est ainsi réjoui sur X du « premier rapatriement d’Albanie d’un citoyen étranger détenu au centre de Gjadër ». « Les opérations de rapatriement des migrants irréguliers se poursuivront dans les prochains jours comme le prévoit la stratégie du gouvernement pour une action plus efficace de lutte contre l’immigration illégale », a-t-il martelé.

      Mais le ministre omet de préciser que pour parvenir à cette évacuation, le processus a été long et coûteux. Selon la presse italienne, ce ressortissant bangladais de 42 ans a été transféré fin mars du centre de rétention de Pian del Lago, à Caltanissetta (Sicile) où il se trouvait, vers celui de Brindisi (Sicile). C’est depuis cette structure que les 40 exilés ont été envoyés en Albanie le 11 avril. Après six jours dans le centre de Gjadër, le Bangladais a été rapatrié en l’Italie, et enfin expulsé vers Dacca. Les expulsions d’étrangers vers un pays tiers ne pouvant se faire directement depuis le sol albanais.

      Au total, cette expulsion a coûté pas moins de 6 000 euros aux autorités italiennes, contre 2 800 euros si l’homme n’avait pas été transféré en Albanie, d’après les calculs de la Repubblica.

      « Comment peut-on qualifier, sinon de farce, le fait de déplacer un migrant déjà détenu dans un CPR [centre de rétention, ndlr] en Italie vers l’Albanie et de le rapatrier, alors qu’il aurait pu être rapatrié directement d’Italie, plus tôt et sans frais supplémentaires pour la communauté ? », s’est interrogé sur les réseaux sociaux le vice-président du parti libéral Italia Viva, Davide Faraone. « Les CPR en Italie ne sont pas pleins (...) Il n’existe aucune situation de surpopulation justifiant l’utilisation de centres albanais inutiles et les mouvements de navires militaires le long de la Méditerranée », a insisté le responsable politique.
      « Opacité et manque d’accès à l’information »

      Dès les premiers jours, les transferts vers l’Albanie ont suscité de vives critiques. Lors d’une visite dans la structure de Gjadër mi-avril, la députée italienne Rachele Scarpa, du Parti démocrate (centre gauche), et l’eurodéputée Cecilia Strada (Alliance progressiste des socialistes et démocrates) ont pu rencontrer quatre des quarante migrants retenus.

      Selon ces femmes politiques, toutes les personnes « ont appris dès leur arrivée qu’elles seraient transférées en Albanie. Aucune information préalable n’a été donnée, en violation flagrante de leurs droits ». L’un des exilés a raconté avoir été réveillé à 3h du matin dans le centre de rétention italien où il se trouvait, et qu’il avait découvert qu’il était en Albanie qu’après l’atterrissage. Il n’avait pas eu accès à un avocat.

      Les parlementaires dénoncent aussi le manque de transparence du gouvernement. « L’ensemble de l’opération en Albanie est mené dans l’opacité et dans un manque d’accès à l’information pourtant cruciale pour l’exercice adéquat de nos pouvoirs d’inspection en tant que parlementaires. »

      Avec le transfert de 40 exilés début avril, le gouvernement italien tente de « remettre en activité » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Fin mars, le Conseil des ministres avait adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.

      Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.

      La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/64111/automutilation-violation-flagrante-des-droits-expulsion-couteuse-les-t

  • L’#IA générative a le potentiel de détruire la planète (mais pas comme vous le pensez)

    Le risque premier avec l’#intelligence_artificielle n’est pas qu’elle s’attaque aux humains comme dans un scénario de science-fiction. Mais plutôt qu’elle participe à détruire notre #environnement en contribuant au #réchauffement_climatique.

    La course à l’intelligence artificielle (IA) s’intensifie. Le 9 février, veille du sommet de l’IA à Paris, Emmanuel Macron promettait 109 milliards d’euros d’investissements publics et privés dans cette technologie pour les années à venir. Il entend concurrencer les États-Unis sur ce terrain, en faisant référence au programme « #Stargate » promis par Donald Trump, qui prévoit des dépenses de 500 milliards de dollars (484 milliards d’euros) dans l’IA aux États-Unis.

    Des deux côtés de l’Atlantique, ces centaines de milliards seront principalement investis dans la construction de nouveaux #centres_de_données pour entraîner puis faire fonctionner les outils d’intelligence artificielle. Pourtant, les #impacts_environnementaux de ces « #data_centers », mis de côté dans ce sprint à l’IA, présentent un danger réel pour notre planète.

    « Plus grand est le modèle, mieux c’est »

    L’ouverture au public de l’agent conversationnel d’#OpenAI, #ChatGPT, en novembre 2022 a marqué un tournant dans les usages de l’intelligence artificielle. Depuis, des dizaines d’#IA_génératives sont accessibles avec la capacité de résoudre des problèmes variés, allant de la rédaction d’un email professionnel à des suggestions de recette de tartes, en passant par des lignes de code informatique.

    Ces #grands_modèles_de_langage (en anglais, « #Large_language_models », ou #LLM), avec un grand nombre de paramètres, se sont développés ces dernières années, comme #Gemini de #Google, #Le_Chat de l’entreprise française #MistralAI ou #Grok de X. D’autres modèles permettent de créer de toutes pièces des images – on pense à #Dall-E ou #Midjourney –, des vidéos ou des chansons.

    Si leur utilisation est gratuite (bien que des versions payantes existent), le prix est payé non seulement par les utilisateurs dont les #données_personnelles sont captées, mais aussi par les populations les plus vulnérables au changement climatique. Avec leurs dizaines voire centaines de milliards de paramètres et des terabytes de #données pour les alimenter, faire tourner les systèmes d’IA générative demande beaucoup de #puissance_de_calcul de #serveurs, situés dans des centres de données. Donc beaucoup d’#électricité.

    Ces chiffres ne font qu’augmenter à mesure que les modèles se perfectionnent. « Aujourd’hui, l’idée dominante dans l’industrie des modèles génératifs est : "Plus grand est le modèle, mieux c’est" », résument les chercheurs Paul Caillon et Alexandre Allauzen dans The Conversation. Malgré un manque de transparence des entreprises, la consommation d’électricité de leurs modèles et leur impact climatique ont fait l’objet d’estimations par nombre de chercheurs et institutions.
    Combien consomme une requête ChatGPT ?

    On sait déjà que la version de ChatGPT sortie en mars 2023, #GPT-4, a demandé plus de puissance de calcul que la précédente. Le Conseil économique et social (Cese), dans un avis de septembre 2024, cite OpenAI et explique : entraîner la troisième version de son modèle de langage a demandé l’équivalent de l’énergie consommée par 120 foyers américains. La version suivante a multiplié par 40 cette consommation, avoisinant la consommation de 5000 foyers.

    Selon une étude, début 2023, une requête ChatGPT consommait environ 2,9 Wh d’électricité, soit presque dix fois plus qu’une simple recherche Google (0,3 Wh). D’autres études estiment l’#impact_carbone d’une requête à ChatGPT autour de 4 à 5 grammes d’équivalent CO2.

    Produire une #image, c’est pire. La startup #HuggingFace, à l’origine de l’#IA_Bloom, a été l’une des premières à estimer les #émissions_de_gaz_à_effet_de_serre de ces modèles. Dans une étude co-écrite avec l’Université états-unienne de Carnegie-Mellon, elle montre que la génération d’image est de loin la plus polluante des requêtes formulées à une IA générative (l’étude ne prend pas en compte les vidéos).

    Pour donner un ordre d’idée, générer 1000 images correspondrait à conduire environ 7 kilomètres avec une voiture essence. En comparaison, 1000 textes générés équivalent à moins d’un 1 mètre parcouru avec un même véhicule. Mais leur utilisation massive rend cet impact non négligeable. Selon le PDG d’OpenAI Sam Altman,, à la fin de l’année 2024, plus d’un milliard de requêtes étaient envoyées à ChatGPT par jour.

    En janvier 2023, soit quelques mois après qu’elle a été rendue accessible au public, ChatGPT avait accumulé 100 millions d’utilisateurs. Selon une estimation de Data for Good, rien que ce mois-là, l’utilisation de ChatGPT aurait pollué à hauteur de 10 113 tonnes équivalent CO2 – soit environ 5700 allers-retours en avion entre Paris et New York.

    En décembre 2024, selon son PDG, le service avait atteint les 300 millions d’utilisateurs… par semaine. Et ce, avec une version bien plus performante – donc bien plus polluante – que la précédente.

    De plus en plus de personnes utilisent l’IA au quotidien, et pour de plus en plus de tâches. Installés dans nos smartphones, accessibles en ligne ou même intégrés dans les frigos haut de gamme, les outils d’intelligence artificielle sont presque partout.

    Une explosion de la consommation d’électricité

    Selon l’Agence internationale de l’énergie, les centres de données représenteraient aujourd’hui environ 1 % de la consommation d’électricité mondiale. Mais cette consommation risque d’augmenter avec les usages croissants et le développement de nouveaux modèles d’IA. Selon l’agence, la consommation des centres de données pour l’IA et les #cryptomonnaies a dépassé 460 TWh en 2022. C’est autant que la consommation de la France. D’ici l’année prochaine, selon les scénarios, cette demande en électricité pourrait augmenter de 35 % (160 TWh en plus) à 130 % (590 TWh) ! « Soit l’équivalent d’au moins une Suède et au maximum une Allemagne » de plus dans le monde en quelques années.

    Une autre étude de l’ONG Beyond Fossils Fuels est encore plus alarmiste : « Au cours des six prochaines années, l’explosion de la demande en énergie des centres de données dans l’UE [Union européenne] pourrait entraîner une hausse de 121 millions de tonnes des émissions de CO2, soit presque l’équivalent des émissions totales de toutes les centrales électriques au gaz d’Italie, d’Allemagne et du Royaume-Uni en 2024 combinées » écrit l’ONG en février 2025.

    Les grandes entreprises de la tech cherchent à faire oublier leurs promesses écologiques. Selon le Financial Times, dans un article d’août 2024, les Gafam tentent de remettre en cause les règles de « zéro carbone net » qui leur permettent de compenser leurs émissions de CO2 par le financement d’énergies renouvelables (des règles déjà critiquées pour leur mode de calcul qui dissimule une grande partie de l’impact carbone réel de leurs consommation d’électricité).

    « Ces géants de la technologie sont sur le point de devenir les plus gros consommateurs d’énergie de demain, dans leur course au développement d’une intelligence artificielle énergivore », écrit le média britannique. Les émissions de gaz à effet de serre de Google augmentent par exemple de 13% par an (selon des chiffres de 2023). Une hausse notamment portée par l’augmentation de la consommation d’énergie de ses centres de données. Les émissions de Microsoft ont bondi de 29 % entre 2020 et 2023.

    Des investissements massifs aux dépens des populations

    Les chefs d’État des États-Unis comme de la France ont pourtant annoncé des investissements massifs dans l’IA pour les années à venir. L’Union européenne, par la voix d’Ursula von der Leyen, a également annoncé un investissement de 200 milliards en partenariat avec de grands groupes.

    Dans les trois cas, ces centaines de milliards d’euros sur la table serviront majoritairement à construire des centres de données pour permettre l’entraînement puis l’utilisation de ces technologies. En France, en amont du sommet de l’IA, le fonds canadien Brookfield a annoncé investir 15 milliards d’euros dans la construction de centres de données, tandis que les Émirats arabes unis ont mis entre 30 et 50 milliards sur la table pour la construction d’un centre de données géant.

    Il est peu probable que cette consommation d’électricité massive ne se fasse pas au détriment des populations. En Irlande, les centres de données monopolisent une part grandissante de l’électricité du pays, ils représentent aujourd’hui plus de 20 % de sa consommation. Cette situation crée des tensions avec les habitants, qui voient leurs factures augmenter alors que la consommation des ménages n’augmente pas.
    Des engagements « durables » non contraignants

    Aux États-Unis, raconte un article de Vert, Microsoft va rouvrir le premier réacteur de la centrale nucléaire de Three Mile Island, site d’un accident en 1979 qui avait irradié toute cette partie de la Pennsylvanie et traumatisé les habitants. Les géants de la Tech – Google, Amazon et Microsoft en tête – cherchent également à investir dans les « petits réacteurs modulaires » nucléaires, en cours de développement, pour alimenter leurs centres de données, ce qui pose la question de la sûreté d’une multitude de petites installations nucléaires face au risque d’accidents. Autre conséquence : le retour en grâce du charbon, fortement émetteur en gaz à effet de serre. Dans l’État de Géorgie, la promesse faite il y a trois ans de fermer toutes ses centrales à charbon a été abandonnée pour répondre au pic de demande d’électricité créé par les centres de données.

    Face à ces risques pour les populations locales comme pour celles les plus vulnérables au changement climatique dans le monde entier, les actions semblent faibles. Une déclaration d’intention a été signée à l’issue du sommet de l’IA, notamment avec l’Inde et la Chine. Il prévoit entre autres la création d’un observatoire de l’impact énergétique de l’IA, sous la responsabilité de l’Agence internationale de l’énergie. Il planifie également la création d’une « coalition pour l’IA durable » avec de grandes entreprises du secteur.

    Ces engagements en matière d’intelligence artificielle signés par les États et les entreprises présentes ne sont pas contraignants, et ne sont pas tournés vers l’action immédiate. De plus, ni le Royaume-Uni ni les États-Unis, qui concentre un tiers des centres de données du monde, n’ont signé ce texte.

    https://basta.media/l-ia-generative-a-le-potentiel-de-detruire-la-planete-mais-pas-comme-vous-l

    #environnement #climat #changement_climatique #pollution #visualisation #infographie

    • Se contenter de « calculer » la consommation énergétique directe de l’IA, c’est omettre de « calculer » ses effets induits, ses conséquences systémiques, puisque « grâce » à l’IA, on peut faire plus de croissance générale. Sans même parler des effets rebonds tous azimuts... Par exemple, on peut utiliser l’IA pour produire un article de blog. Cette utilisation d’IA consomme une unité d’énergie mais elle a aussi permis d’augmenter le volume de contenu qui lui même consomme de l’énergie sur les serveurs.

  • Il governo sta cercando di rendere utilizzabili i centri in Albania

    La novità è che uno dei due verrà usato come un qualsiasi CPR italiano per i migranti: resterà però in gran parte inutilizzato, come l’altro.

    Nel Consiglio dei ministri di venerdì il governo ha approvato un decreto-legge per cercare di superare alcuni dei molti problemi dei centri per migranti in Albania, che dopo un anno e mezzo dall’accordo tra i governi italiano e albanese non sono ancora entrati in funzione: ogni volta che il governo ha provato a mandarci persone migranti il tribunale competente non ne ha convalidato il trattenimento in quelle strutture, ritenendolo in contrasto con le norme europee.

    Per tentare di renderli operativi il decreto in questione ha stabilito che uno dei due centri, quello di Gjader, potrà essere usato come centro di permanenza per il rimpatrio: è il nome esteso dei cosiddetti CPR, i posti in cui vengono mandate le persone che hanno già ricevuto un decreto di espulsione e aspettano di essere rimpatriate, dopo che è stata rifiutata loro la richiesta d’asilo. Ne esistono già dieci in Italia, che peraltro hanno diversi problemi per documentate violazioni dei diritti umani e perché inefficaci nelle procedure di rimpatrio.

    Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che al momento il centro di Gjader ha 48 posti nella parte adibita a CPR, che dovrebbero diventare 140 a regime. Significa che comunque una larga parte del centro di Gjader resterà inutilizzata: la struttura infatti era già pensata originariamente per essere divisa in tre parti, con un centro di trattenimento da 880 posti, un CPR da 144 posti e un carcere da 20 posti. La differenza è che nella parte adibita a CPR verranno mandate persone migranti che si trovano già in Italia, e non quelle intercettate nel mar Mediterraneo come prevedevano i piani iniziali del governo.

    Non è chiaro invece cosa succederà all’altro centro, quello di Shengjin, che è molto più piccolo di quello di Gjader ed è pensato come un hotspot per le prime procedure di identificazione dei richiedenti asilo (e quindi non può essere usato per la detenzione amministrativa, come un CPR). Per ora rimarrà sostanzialmente inutilizzato.

    In origine la funzione dei centri in Albania era molto diversa. Nella narrazione del governo i centri servivano per dirottare altrove migranti soccorsi in mare che con ogni probabilità non avrebbero avuto diritto all’asilo, senza neanche farli passare per l’Italia. Diversi esponenti di Fratelli d’Italia e la stessa Meloni hanno detto più volte che l’obiettivo era creare anche un effetto di deterrenza: secondo Meloni, sapere che l’Italia non fa arrivare i migranti nel territorio dell’Unione Europea, ma che li dirotta in altri paesi, avrebbe potuto scoraggiare le partenze delle persone migranti.

    È una convinzione molto discutibile, ma in ogni caso il nuovo decreto sconfessa questo proposito, perché nel centro di Gjader saranno fatte arrivare persone che si trovano già sul territorio italiano. In sostanza il centro di Gjader funzionerà come tutti gli altri CPR italiani, con l’unica differenza che si trova in Albania.

    I due centri in origine erano destinati ai migranti a cui poteva essere applicata una procedura accelerata, la cosiddetta procedura di frontiera o di rimpatrio, che prevede un esame semplificato delle domande di asilo: può essere applicata solo ai migranti che provengono da paesi definiti “sicuri”, cioè in cui non vengano negati i diritti fondamentali, o comunque in cui non ci siano motivi di considerare a rischio l’incolumità delle persone che dovessero ritornarci.

    All’interno dell’Unione Europea le domande presentate da persone provenienti da paesi considerati sicuri possono essere giudicate inammissibili e quindi respinte, con la conseguente espulsione di chi le presenta. Ogni paese dell’Unione però può decidere autonomamente quali paesi considerare sicuri, sulla base di alcuni criteri condivisi: il problema è che l’Italia considera sicuri anche paesi che non hanno ordinamenti democratici né rispettano effettivamente i diritti umani.

    È il motivo principale per cui finora i centri in Albania sono rimasti inattivi: i tribunali che hanno giudicato il trattenimento dei migranti hanno ritenuto che non potessero ricevere la procedura accelerata per il rimpatrio, perché i loro paesi d’origine non si possono considerare sicuri. Lo hanno fatto soprattutto sulla base di una sentenza del 4 ottobre scorso della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il principale tribunale dell’Unione, secondo cui possono essere considerati «paesi d’origine sicuri» solo quelli in cui il rispetto dei diritti umani e della sicurezza di tutti gli individui sia riconosciuto «in maniera generale e uniforme» su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone.

    Quasi nessuno dei 22 paesi che fanno parte della lista stilata dal governo italiano rispetta questi due criteri, compresi l’Egitto e il Bangladesh, da cui provenivano le persone migranti portate finora in Albania.

    Il governo aveva assicurato che sarebbe comunque riuscito a rendere operativi i centri grazie alle nuove regole europee in materia di immigrazione, che dovrebbero però entrate in vigore solo entro il 2026. Fino ad allora è possibile che il centro di Gjader riuscirà a svolgere solo la funzione di CPR restando in larga parte inutilizzato; quello di Shengjin invece potrebbe restare inutilizzato del tutto.

    https://www.ilpost.it/2025/03/28/governo-decreto-centri-albania
    #CPR #centres_de_détention_administrative #détention_administrative #rétention #asile #migrations #réfugiés #Albanie #Italie #externalisation

    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Albania. I due centri trasformati in CPR?

      Meloni, in crescente affanno di fronte ai continui dinieghi della magistratura che non convalida l’applicazione della procedura di asilo rapida, prevista dalla legge Cutro, intende trasformare i due centri di Shengjin e Gjader in CPR.
      Per farlo servirà un passaggio legislativo e la revisione del trattato di Tirana, perché le due prigioni erano state concepite per richiedenti asilo rastrellati nel Mediterraneo, non per i senza documenti con decreto di espulsione fermati in Italia.

      https://radioblackout.org/2025/02/albania-i-due-centri-trasformati-in-cpr

    • Migrants : Rome veut recycler ses centres en Albanie en bases de rapatriement

      Le Conseil des ministre italiens a adopté vendredi un décret-loi prévoyant de convertir les centres les centres d’accueil pour demandeurs d’asile en Albanie en centres de rapatriement pour les migrants en situation irrégulière. L’opposition dénonce un projet de « propagande » qui a coûté des « centaines de millions d’euros ».

      C’est une décision qui doit permettre de « remettre en activité immédiatement » les centres d’accueil pour demandeurs d’asile que Rome a construit à grands frais en Albanie. Vendredi 28 mars, le Conseil des ministres a adopté un décret-loi permettant de recycler les structures en centres de rapatriement pour migrants en situation irrégulière.

      Un projet de reconversion qui témoigne de l’inutilité de ces centres alors que la justice italienne a refusé à plusieurs reprises de valider la détention en Albanie de migrants interceptés en mer, exigeant même leur rapatriement sur le territoire italien.

      La Première ministre d’extrême droite Giorgia Meloni défend, depuis son arrivée au pouvoir en octobre 2022, un projet de d’externalisation du traitement de l’immigration dans un pays tiers, présenté comme un « modèle » pour toute l’Europe.

      Pour cela, elle avait signé, en novembre 2023, un accord avec son homologue albanais Edi Rama, afin d’ouvrir deux centres gérés par l’Italie en Albanie, dans les localités de Gjadër et Shëngjin.

      Fulvio Vassallo Paleologo, avocat spécialiste des questions d’immigration, met en garde contre la légalité de cette nouvelle approche et prévoit une nouvelle « avalanche de recours en justice ». Pour lui, ce projet « relève essentiellement de la propagande » et « a une portée hautement symbolique pour le gouvernement, qui ne veut pas donner à voir l’échec du modèle Albanie ».
      Blocages juridiques

      Ces centres étaient devenus opérationnels en octobre, mais les juges italiens ont exigé le renvoi dans la péninsule des quelques migrants qui y avaient été transférés.

      Le gouvernement avait pourtant établi une liste de pays dits « sûrs » afin que les demandes d’asile de personnes originaires de ces pays puissent y être traitées de façon accélérée.

      Mais les juges ont invoqué une décision de la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) selon laquelle les pays de l’UE ne peuvent décréter « sûr » l’ensemble d’un pays alors même que certaines régions de ce même pays ne le sont pas.

      Le gouvernement avait réagi en adoptant une loi réduisant la liste des « pays sûrs » à 19 (au lieu de 22), assurant que toutes les zones de ces pays étaient sûres. Le débat est désormais remonté devant la CJUE, qui se prononcera au plus tôt en mai ou juin.

      Cette situation à l’arrêt est devenue un casse-tête politique pour Giorgia Meloni. L’ancien Premier ministre et sénateur centriste Matteo Renzi, qui s’est rendu dans les centres albanais mercredi, s’est dit « choqué » à l’issue de sa visite. « Cela fait mal au cœur de voir le gâchis de centaines de millions d’euros littéralement jetés par la fenêtre par le gouvernement italien », a-t-il affirmé sur X.

      « Ces centres sont vides, coûtent beaucoup d’argent et ne servent à rien », confirme Me Guido Savio, avocat spécialiste du droit de l’immigration, interrogé par l’AFP. La « logique » du gouvernement, avec sa décision de vendredi, c’est, « faisons voir que ces centres, en fin de compte, on les fait fonctionner d’une manière ou d’une autre », explique-t-il.
      Projet européen d’externalisation

      En outre, cela permettrait au gouvernement d’anticiper le projet de règlement en discussion au niveau européen qui devrait entrer en vigueur en 2027 et qui prévoit une externalisation des centres pour migrants dans des pays tiers.

      Pour Giorgia Meloni, « l’avantage serait de dire : ’Vous voyez, l’Europe nous suit, nous sommes les chefs de file et l’Europe fait après nous les choses que nous avons faites en premier’ », estime Me Savio.

      De son côté, le gouvernement s’est employé à vendre sa mini-réforme annoncée vendredi à l’opinion publique : le ministre de l’Intérieur Matteo Piantedosi estime ainsi que grâce à leur nouveau rôle, les centres albanais permettront de « renvoyer chez eux des individus qui sinon finissent par rendre nos villes moins sûres ».

      https://www.infomigrants.net/fr/post/63692/migrants--rome-veut-recycler-ses-centres-en-albanie-en-bases-de-rapatr

  • En #Allemagne, les #centres_d'expulsion se multiplient

    Un deuxième centre d’expulsion pour les migrants "#dublinés" a ouvert ses portes en Allemagne près de la frontière polonaise le 1er mars 2025. Ces centres visent à accélérer le transfert des demandeurs d’asile #déboutés.

    Le nouveau centre d’expulsion a officiellement été inauguré le 1er mars à #Eisenhüttenstadt, dans la région du Brandebourg, au nord-est de l’Allemagne près de la frontière avec la Pologne.

    Il devrait commencer à être opérationnel le 13 mars, rapporte l’agence de presse KNA. Le centre comprend deux bâtiments, l’un pour les femmes et les familles, l’autre pour les hommes.

    Le centre a une capacité d’accueil d’environ 250 personnes et doit permettre d’accélérer le transfert des demandeurs d’asile déboutés dont les cas relèvent du #règlement_de_Dublin de l’Union européenne.

    Le premier centre, ouvert à #Hambourg, aurait déjà permis d’alléger les charges administratives. Un troisième centre doit ouvrir à #Brême, également dans le nord-de l’Allemagne. D’autres pourraient suivre dans le cadre d’un effort plus large des autorités visant à s’attaquer aux inefficacités du système d’asile.

    Aussi, les demandeurs d’asile devant être renvoyés dans le cadre du processus de Dublin ne percevront désormais plus qu’un soutien de base pendant deux semaines, au lieu des prestations sociales complètes prévues par la loi. Cette mesure doit décourager la migration irrégulière vers l’Allemagne.

    Un système qui peine à fonctionner

    Les "#centres_Dublin" font partie de la réforme du régime d’asile européen commun (RAEC) et ont été proposés par le ministère allemand de l’Intérieur fin 2024, sous le gouvernement sortant.

    L’actuelle ministre de l’intérieur, Nancy Faeser, a souligné l’importance de procédures rapides et efficaces, estimant que "si des personnes viennent en Allemagne alors qu’elles ont entamé leur procédure d’asile dans un autre pays de l’UE, elles doivent y être transférées plus rapidement".

    Selon ce règlement, un exilé ne peut faire sa demande d’asile que dans son premier pays d’entrée dans l’UE. Dans la pratique, le système fonctionne toutefois rarement.

    En 2024, l’Allemagne a présenté près de 75 000 demandes de transfert de demandeurs d’asile vers des pays de l’UE, dont environ 44 000 ont été approuvées. Pourtant, seules quelque 5 740 personnes ont été effectivement expulsées.

    Les raisons de ce #dysfonctionnement sont multiples. Certains pays de l’UE, comme l’Italie, ont cessé de reprendre des migrants expulsés. D’autres, comme la Grèce, sont confrontés à des problèmes juridiques dus aux mauvaises conditions dans les centres d’accueil de migrants, conduisant les tribunaux à bloquer les expulsions.

    En Allemagne, le dédale bureaucratique rallonge également les #délais d’expulsion.

    Kathrin Lange, ministre de l’Intérieur du Land de Brandebourg (l’Allemagne fédérale est composée de 16 Etats appelés Länder) prévient que le centre de Eisenhüttenstadt ne va offrir des résultats immédiatement. "Le système de Dublin, dans sa forme actuelle, ne fonctionne pas. Il a besoin d’une réforme fondamentale. Mais avec ce centre, nous faisons au moins un pas important vers davantage d’#ordre et d’#efficacité dans la politique migratoire", assure-t-elle.

    Les défis du règlement de Dublin

    Olaf Jansen, directeur de l’autorité centrale des étrangers du Brandebourg, se montre également sceptique. Il affirme que 60 à 70 % des demandeurs d’asile expulsés reviennent en Allemagne dans les jours qui suivent. Il critique la lenteur des délais de traitement des dossiers, en particulier à Berlin et à Dortmund, et appelle à une approche plus rationnelle, estimant que les expulsés récidivistes devraient être transférés immédiatement sans que leur dossier ne soit rouvert.

    Le centre d’Eisenhüttenstadt doit se concentrer sur les expulsions vers la #Pologne, qui a jusque-là accepté le retour de la quasi-totalité des "dublinés".

    Les transferts sont censés être effectués dans un délai de deux semaines. Le bureau central des étrangers du Brandebourg travaille en collaboration directe avec les fonctionnaires polonais. Celle-ci fonctionne plutôt bien, a expliqué Olaf Jansen à l’agence KNA.

    Le ministère allemand de l’intérieur est par ailleurs en discussion avec les différents Länder pour créer davantage de centres d’expulsion.

    Berlin assure que les centres augmenteront considérablement le nombre d’expulsions car ils évitent le problème récurrent de la disparition de migrants dans l’obligation de quitter le territoire.

    Les chiffres officiels montrent que dans 12 % des cas, les personnes “dublinées” disparaissent dès qu’elles sont informées de leur expulsion imminente.

    Des ONG de défense des droits de l’Homme sont néanmoins très critiques et dénoncent notamment la limitation de l’aide sociale. Wiebke Judith, porte-parole de Pro Asyl, note dans le Irish Times que "les centres Dublin ne résolvent pas les problèmes du gouvernement fédéral, mais aggravent considérablement la situation des gens".

    Les lois sur la sécurité adoptées en Allemagne après l’attentat meurtrier de Solingen en août 2024 stipulent que les demandeurs d’asile en attente d’être expulsés dans le cadre du règlement de Dublin seront ne toucheront plus que le minimum vital en termes de prestations sociales.

    Olaf Jansen, de l’autorité centrale des étrangers du Brandebourg, constate que de nombreux demandeurs d’asile ne viennent pas directement de zones de conflit, mais plutôt de pays tiers sûrs comme la Turquie.

    Il préconise des #contrôles_frontaliers plus stricts, une meilleure coopération au sein de l’UE et une politique migratoire axée sur les travailleurs qualifiés.

    Tout en reconnaissant que l’asile reste une obligation humanitaire essentielle, Olaf Jansen estime que “l’Allemagne - comme tous les pays d’immigration classiques - devrait réguler l’immigration en fonction de ses intérêts nationaux. Cela signifie qu’il faut faciliter l’immigration pour le marché du travail, la recherche et le monde universitaire tout en limitant l’accès aux systèmes de #protection_sociale aux cas de détresse humanitaire”.

    La pénurie de main-d’œuvre qualifiée a été largement éclipsée par la question des expulsions lors des récentes élections fédérales en Allemagne.

    Avec la victoire des conservateurs de la CDU/CSU, Friedrich Merz devrait devenir le prochain chancelier. Il prône des contrôles frontaliers plus stricts et une politique migratoire plus restrictive.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/63391/en-allemagne-les-centres-dexpulsion-se-multiplient
    #rétention #détention_administrative #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #machine_à_expulser #statistiques #chiffres #découragement #dissuasion #accélération_des_procédures #expulsions #renvois #renvois_Dublin

    ping @karine4 @_kg_

  • La guerre à l’#accès_aux_droits des étrangers

    Pour les avocats spécialisés en #droit_des_étrangers, la tâche est ardue. Ils occupent une position dominée dans leur champ, les lois évoluent très vite, et une nouvelle forme de #violence se fait jour, y compris contre les magistrats : des campagnes diffamatoires par des médias d’extrême droite – jusqu’à rendre publics les noms des « coupables de l’invasion migratoire ».
    Le gouvernement Bayrou, dans une continuité incrémentale avec l’orientation répressive déjà actée par les gouvernements Attal puis Barnier, est entré dans une #guerre ouverte contre les étrangers.

    L’arsenal lexical et juridique déployé en témoigne : de la #rhétorique de la « #submersion » à l’enterrement du #droit_du_sol à #Mayotte, en passant par la restriction drastique des conditions pour l’#admission_exceptionnelle_auséjour, l’attitude belliqueuse de l’exécutif et de ses alliés dans l’hémicycle n’a de cesse de s’affirmer et de s’assumer, quitte à remettre en cause l’#État_de_droit qui, selon Bruno Retailleau, ne serait désormais ni « intangible, ni sacré ».

    Il faut dire aussi que le vent xénophobe qui souffle sur l’Europe ne fait qu’encourager ces choix nationaux décomplexés : le Nouveau Pacte européen sur l’asile et l’immigration, adopté au printemps 2024 et dont le Plan français de mise en œuvre n’a pas été rendu public malgré les diverses sollicitations associatives, a déjà entériné le renforcement des contrôles aux frontières extérieures, la banalisation de l’#enfermement et du #fichage des étrangers[1],dans un souci de résister « aux situations de #crise et de #force_majeure ».

    C’est donc dans ce contexte politique hostile, caractérisé entre autres par une effervescence législative remarquable qui les oblige à se former constamment, que les avocats exercent leur métier. Ainsi, défendre les droits des personnes étrangères est difficile, d’abord et avant tout parce qu’ils en ont de moins en moins.

    Deuxièmement, les conditions pour exercer le métier afin de défendre ce qui reste de ces #droits peuvent être difficiles, notamment à cause des contraintes multiples d’ordre économique, symbolique ou encore procédural. Tout d’abord, ces professionnels savent qu’ils pratiquent un droit doublement « des pauvres » : d’une part, cette matière est plutôt dépréciée par une grande partie des collègues et magistrats, car souvent perçue comme un droit politique et de second rang, donnant lieu à des contentieux « de masse » répétitifs et donc inintéressants (on aurait plutôt envie de dire « déshumanisants ») ; d’autre part, ces mêmes clients ont souvent réellement des difficultés financières, ce qui explique que la rémunération de leur avocat passe fréquemment par l’#Aide_Juridictionnelle (AJ), dont le montant est loin d’évoluer suivant le taux d’inflation.

    Concernant les obstacles d’ordre procédural, la liste est longue. Que ce soit pour contester une décision d’éloignement du territoire ou une expulsion de terrain devenu lieu de vie informel, le travail de l’avocat doit se faire vite. Souvent, il ne peut être réalisé dans les temps que grâce aux collaborations avec des bénévoles associatifs déjà débordés et à bout de souffle, mais proches des situations de terrain, et donc seuls à même de collecter les nombreuses pièces à déposer pour la demande de l’AJ ou encore pour apporter les preuves des violences subies par les justiciables lors d’évacuations ou d’interpellations musclées. Pour gagner ? Pas autant de fois qu’espéré : les décisions de #justice décevantes sont légion, soit parce qu’elles interviennent ex post, lorsque la #réparation du tort n’est plus possible, soit parce qu’elles entérinent l’#impunité des responsables d’abus, soit parce que, même lorsqu’elles donnent raison aux plaignants, elles ne sont pas exécutées par les préfectures, ou encore elles ont peu de pouvoir dissuasif sur des pratiques policières ou administratives récidivantes.

    Enfin, même lorsque des droits des étrangers existent toujours sur le papier, en faire jouir les titulaires est un parcours du combattant : l’exemple de la #dématérialisation des services publics est un exemple flagrant. Assurément, Franz Kafka en aurait été très inspiré : toutes les démarches liées au #droit_au_séjour des étrangers doivent désormais se faire en ligne, alors que dans certaines préfectures l’impossibilité de prendre un rendez-vous en des temps compatibles avec le renouvellement du #titre_de_séjour fait plonger dans l’#irrégularité beaucoup de personnes parfois durablement installées et insérées professionnellement en France.

    Même la Défenseure des droits, dans un rapport rendu public le 11 décembre 2024, a épinglé l’#Administration_numérique_des_étrangers_en_France (#ANEF) en pointant du doigt sa #responsabilité en matière d’« #atteintes_massives » aux droits des usagers. Parmi ces derniers, les étrangers sont de plus en plus nombreux à faire appel à des avocats censés demander justice en cas de risque ou de perte du droit au séjour à la suite des couacs divers en #préfecture, dans sa version numérique ou non, comme dans le cas des « #refus_de_guichet ». Et encore une fois, pour les avocats il s’agit d’intenter des #procédures_d’urgence (les #référés), qui engorgent la #justice_administrative à cause de dysfonctionnements généralisés dont les responsables sont pourtant les guichets de ce qui reste du #service_public.

    Ces dysfonctionnements sont au cœur d’une stratégie sournoise et très efficace de #fabrication_de_sans-papiers, et les craintes des personnes étrangères sont d’ailleurs bien fondées : avec l’entrée en vigueur de la nouvelle #loi_immigration, dite Darmanin, les refus ou pertes de titre de séjours sont assorties d’obligations de quitter le territoire français (#OQTF), avec, à la clé, le risque d’enfermement en #Centre_de_Rétention_Administrative (#CRA) et d’#éloignement_du_territoire.

    Au vu du nombre grandissant d’étrangers déjà en situation irrégulière ou craignant de le devenir, des nouvelles entreprises privées y ont vu un marché lucratif : elles vendent en effet à ces clients potentiels des démarches censées faciliter leur #régularisation ou encore l’accès à la nationalité française. À coup de pubs sur les réseaux sociaux et dans le métro, puis de slogans aguicheurs (« Devenez citoyen français et démarrez une nouvelle vie ! ») et de visuels bleu-blanc-rouges, ces entreprises facturent des prestations de préparation de dossier à plusieurs centaines voire milliers d’euros, sans toutefois vérifier systématiquement l’éligibilité de la personne au titre demandé et donc sans même garantir le dépôt effectif du dossier[2].Qui sont donc ces magiciens autoproclamés des procédures, qui se font payer à prix d’or ? Les équipes sont présentées sur les sites de ces entreprises comme étant composées d’« experts spécialisés en démarches administratives », et encore de « conseillers dévoués ». Si l’accompagnement d’un avocat est nécessaire ou souhaité, mieux vaut aller voir ailleurs avant d’avoir signé le premier chèque…

    Les temps sont donc troubles. Et ils le sont aussi parce que les vrais professionnels du droit, celles et ceux qui ne cessent de se mettre à jour des derniers changements législatifs ou procéduraux, et de travailler en essayant de tenir les délais de plus en plus serrés de la justice (au rabais) des étrangers, sont ouvertement menacés.

    Le cas du hors-série n° 1 du magazine Frontières est exemplaire d’une attitude fascisante et décomplexée, déterminée à jeter le discrédit sur les avocats, les #magistrats et les #auxiliaires_de_justice (accompagnés bien sûr des ONG, associations, et universitaires « woke »), coupables de défendre les droits de celles et ceux que la fachosphère voudrait bien rayer de la catégorie de justiciables : les #étrangers. Discrédit qui devient #menace et #mise_en_danger, lorsque les noms, les prénoms, la fonction et le lieu d’exercice de ces maîtres à abattre sont rendus publics : en effet, ces supposés coupables du « #chaos_migratoire » sont explicitement identifiés dans ces pages. Plus précisément, plusieurs dizaines d’« #avocats_militants », profitant des dossiers de l’aide juridictionnelle pour « passer des vacances au soleil toute l’année », sont nommément pris à parti. Les magistrats ne sont pas épargnés dans cette cabale, et le magazine les épingle également.

    Plusieurs sonnettes d’alarme ont été tirées, du Conseil des barreaux européens (CCBE) au Conseil supérieur des tribunaux administratifs et des cours administratives d’appel (CSTA) : cette dernière instance relevant du Conseil d’État, généralement très discrète, s’est exprimée publiquement le 11 février dernier pour dénoncer sans ambiguïté les injures et menaces proférées nominativement à l’encontre d’avocats et #juges, ainsi que la mise en cause de l’#indépendance et de l’#impartialité de la justice administrative, estimant que « toutes les suites pénales susceptibles d’être engagées doivent l’être ». La matière pour le faire ne semble pas manquer, et des #plaintes avec constitution de partie civile ont déjà été déposées par le passé par des magistrats, donnant lieu à des contentieux pénaux dont certains sont encore en cours. Mais face à la montée des récriminations violentes contre les juges « rouges », plusieurs juridictions s’organisent pour attribuer la #protection_fonctionnelle à leur personnel.
    Et ce n’est pas bon signe.

    Malgré le soutien de #Gérald_Darmanin aux magistrats menacés, dans ses nouvelles fonctions de Ministre de la Justice, son homologue de l’Intérieur a repris un vieux cheval de bataille qui revient à fustiger la supposée « #confiscation_du_pouvoir_normatif » par les juridictions européennes ou nationales : en défendant la légitimité du #non-respect_du_droit lorsqu’il est considéré incompatible avec les principes nationaux, une brèche de plus a été ouverte par #Bruno_Retailleau pour qui « on doit changer la loi. Aujourd’hui, on a quantité de règles juridiques qui ne protègent pas la société française ».

    En réalité, Gérald Darmanin doit en partager le raisonnement, puisque, lorsqu’il était lui-même à l’Intérieur, il avait osé autoriser l’expulsion d’un ressortissant Ouzbèke soupçonné de radicalisation malgré la décision contraire de la Cour européenne des droits de l’homme (CEDH), pour ensuite être débouté par le juge des référés du Conseil d’État qui avait enjoint sa réadmission. Ce #contrôle_juridictionnel est considéré par un nombre croissant d’élus, et d’internautes violents, comme excessif et nuisible à l’efficacité du maintien de l’ordre. De là à traiter les avocats et magistrats « fautifs » de trop brider les ambitions sécuritaires du gouvernement comme des ennemis intérieurs, il n’y a qu’un pas.

    Les plus optimistes pourront toujours considérer le #Conseil_Constitutionnel comme le dernier rempart vis-à-vis des risques d’ingérence de l’exécutif sur le judiciaire. Mais que peut-on attendre de cette institution et de son #impartialité, lorsque l’on sait que les « Sages » sont souvent d’anciens professionnels de la politique, peu ou pas formés au droit, dont #Richard_Ferrand, à peine nommé, est un exemple parfait ?

    L’histoire nous le dira. En attendant, il serait opportun de penser à faire front.

    https://aoc.media/analyse/2025/03/16/la-guerre-a-lacces-aux-droits-des-etrangers
    #mots #vocabulaire #terminologie #Etat_de_droit #xénophobie #contrôles_frontaliers #avocats #juges_rouges
    ping @reka @isskein @karine4

  • Has Italy’s Albania migrant deal completely failed ?

    One year after Albania’s parliament ratified the country’s migration centers deal with Italy, the two migrant holding centers constructed in Shengjin and Gjader stand completely empty. What happens next?

    Everything has returned to normal in the village of Gjader and the port town of Shengjin in northwestern Albania.

    Almost exactly a year to the day when the parliament ratified the country’s migrant center agreement with Italy, not a single migrant is in either of the facilities constructed in Gjader and Shengjin.

    The agreement signed by Italy and Albania in November 2023 and ratified by the Albanian parliament on February 22, 2024, envisioned that Italy would build migrant holding centers in Albania that would house up to 36,000 irregular migrants a year while their asylum applications are processed by Italy.
    Series of setbacks for the Italian government

    Since then, over 70 migrants — mainly from Africa and South Asia — have been transferred to Albania in three different groups.

    The first ship, which had 16 migrants on board, was sent to Albania on October 16. All of them were sent back to Italy after a court in Rome ruled that the transfer was unlawful and that repatriating them to their countries of origin could breach international legal protections.

    Two more migrant transfers followed: One group of eight was sent to Albania on November 8 and another group of 49 on January 28.

    In both cases, the Rome Court of Appeal ruled that the migrants could not be held in Albania until the European Court of Justice in Luxembourg has ruled on whether the asylum seekers’ countries of origin are considered safe for repatriation.

    The European Court of Justice is expected to rule on the matter on February 25.
    Monitors have left Albania

    Meanwhile, both Italian officials and NGO experts monitoring the situation in Albania have already left the country “until further notice.”

    Francesco Ferri, a migration expert at ActionAid, has been part of a delegation monitoring conditions in the Albanian centers since they were set up.

    “The delegation from Tavolo Asilo e Immigrazione [a national alliance of NGOs and civil society organizations that seeks to protect migrants’ rights in Italy] has conducted monitoring missions in Albania to observe the facilities set up and the context in which they operate,” he told DW. “We are currently no longer in Albania, but we continue to monitor the situation closely from a distance and are ready to return for further observation activities.”
    ’Scared, bewildered and disoriented’ migrants

    All 73 migrants transferred to Albania had tried to reach Italy or Malta by boat from Libya and were, according to Ferri, “seriously afraid of being sent back to their countries of origin.”

    “We met individuals who were scared, bewildered and disoriented,” he said. “They had no awareness of the procedures, were not adequately prepared to apply for asylum, and were in conditions of isolation. Their situation clearly demonstrates how the Albania model entails a systemic violation of rights.”

    According to the website Infomigrants, the Italian government is now considering plans to repurpose the centers. One option believed to be on the table is the transformation of the centers into “repatriation facilities.” However, it seems likely that this plan, too, would face opposition.

    Ferri is strictly opposed to such an alternative use. “It must be entirely rejected,” he said, “as it would lead to further severe human rights violations. The risk of stabilizing and expanding these structures remains real, especially if the outsourcing model were to be replicated elsewhere. The analysis of its outcomes so far indicates that the definitive closure of these centers is the only alternative.”
    ’A clamorous failure’

    Despite the attempts of both governments to make the agreement work, many experts and opposition parties in Italy have been against it from the word go. They consider the project an abuse of human rights and — at an estimated total cost of €1 billion ($1.04 billion) — a waste of money, too.

    Elly Schlein, the leader of Italy’s center-left Democratic Party, has described the agreement as “a clamorous failure,” called on Italian Prime Minister Giorgia Meloni to resign, and said that the migrant center model in Albania will never work.

    Ferri agrees. “Very few people have been transferred, and all of them were subsequently returned to Italy,” he says. “The centers remained empty for most of the year and, during operational periods, hosted only a very limited number of individuals. Organizational difficulties, legal challenges and the political context have hindered its [the agreement’s] implementation.”
    Meloni determined to make the agreement work

    DW contacted the Italian government, asking it for its assessment of the success of the agreement and whether it intends to repurpose the centers. No response had been received by the time of publication.

    However, speaking at an event with senior police officers just a few days ago, Meloni said that her government was determined to continue with the Italy-Albania agreement.

    “We are committed to finding a solution to every obstacle,” she said, adding that “Italian citizens are asking their government to stop illegal migration because it causes insecurity.”

    The agreement has been the subject of debate between the Albanian government and the opposition right from the start. Indeed, the opposition Democratic Party of Albania has vowed that should it win the parliamentary election on May 11, “the contract with Italy will not be renewed.”
    A test case for Europe

    Earlier this week, European Commissioner for Internal Affairs and Migration Magnus Brunner met with Giorgia Meloni and discussed “the possible early adoption of the new concept of a safe country of origin.”

    Before traveling to Italy, Brunner told the Italian media that the legislative package on migrant repatriations being examined by the European Commission would be “very ambitious” and would include “clear obligations on repatriations,” "strict rules for those representing a threat to security" and a “more coordinated” framework at European level.

    Francesco Ferri is still very concerned.

    “The risk remains that European governments will continue to explore outsourcing solutions, thereby reducing protections for asylum seekers and shifting the responsibility for international protection beyond the borders of the EU,” he said.

    https://www.infomigrants.net/en/post/63018/has-italys-albania-migrant-deal-completely-failed

    #Albanie #externalisation #migrations #réfugiés #Italie #échec

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Un premier vol américain de migrants clandestins arrive à #Guantanamo

    Le premier vol transportant des migrants clandestins vers la base militaire de Guantanamo a eu lieu mardi, selon le vœu de #Donald_Trump, qui prévoit de développer dans cette enclave américaine sur la côte sud-est de #Cuba un #centre_de_rétention pour 30 000 migrants.

    Le premier vol transportant des migrants clandestins vers la base militaire américaine de Guantanamo, devenue symbole des dérives de la lutte antiterroriste, a eu lieu mardi 5 février, selon des responsables américains.

    Donald Trump, qui a lancé une vaste offensive anti-immigration dès les premières heures de son retour au pouvoir, a annoncé il y a moins d’une semaine son projet choc de centre géant de rétention pour 30 000 migrants à Guantanamo, connue pour sa prison militaire ouverte après les attentats du 11 septembre 2001.

    Ce centre de rétention, déjà existant, mais que le président américain compte porter à « pleine capacité », est séparé de la prison, où quinze détenus sont encore incarcérés.

    Le vol devait transporter « environ une douzaine d’étrangers clandestins présentant un grand danger », avait précisé à l’AFP un responsable au sein du ministère américain de la Défense ayant requis l’anonymat.

    « Ils seront hébergés dans le centre de rétention (...) mais ne seront pas logés aux côtés des détenus de grande valeur », avait-il ajouté, en référence aux prisonniers soupçonnés de terrorisme.

    Plus tôt, la porte-parole de la Maison Blanche Karoline Leavitt avait annoncé sur la chaîne Fox Business que les premiers vols depuis les États-Unis vers Guantanamo étaient « en cours » mardi.

    Le nouveau ministre de la Défense, Pete Hegseth, a décrit lundi Guantanamo comme « l’endroit parfait » pour les migrants sans papiers au cours d’un déplacement à la frontière avec le Mexique.

    Un « acte brutal », selon Cuba

    Après l’annonce de cette mesure par Donald Trump fin janvier, le président cubain Miguel Diaz-Canel avait dénoncé un « acte brutal » en « territoire cubain illégalement occupé ».

    La prison militaire de Guantanamo, enclave américaine sur la côte sud-est de Cuba, a ouvert en janvier 2002, quatre mois après les attentats du 11-Septembre, sous l’administration de George W. Bush.

    Elle est devenue, pour de nombreuses ONG de défense des droits humains, un symbole des excès et de l’arbitraire dans la lutte contre le terrorisme, à cause de ses conditions de détention extrêmes, jusqu’au recours à la torture.

    Les présidents démocrates Barack Obama et Joe Biden ont souhaité, l’un après l’autre, la fermer, sans y parvenir.

    Près de 800 détenus – dont un maximum de 680 en 2003 – sont passés par la prison de Guantanamo en plus de vingt ans.

    Documents gouvernementaux à l’appui, le New York Times a révélé en septembre dernier que la base militaire était utilisée depuis des décennies par les États-Unis pour incarcérer certains migrants interceptés en mer.

    https://www.france24.com/fr/am%C3%A9riques/20250205-guantanamo-arriv%C3%A9e-d-une-premier-vol-transportant-des-migran
    #migrations #réfugiés #sans-papiers #rétention #détention_administrative #trumpisme

    ping @karine4

  • Nuovo decreto Albania, l’accordo sarà modificato : il piano del governo italiano per la competenza a Tirana

    L’esecutivo vuole evitare nuovi stop da parte della magistratura: l’ipotesi di un decreto. L’opposizione: una follia, si fermino

    Ripristinare subito l’operatività dei centri albanesi di Gjader e Shengjin, a prescindere dalla decisione della Corte di giustizia europea prevista per il prossimo 25 febbraio. Anche a costo, come soluzione estrema, di togliere la giurisdizione italiana sulle strutture, alla base del trattato siglato con Tirana.

    È l’obiettivo del governo che ha deciso di modificare l’accordo con l’Albania e potrebbe farlo addirittura per decreto.

    Cercando una strada, dopo tre bocciature consecutive dei trattenimenti di migranti da parte dei giudici dell’Immigrazione e della Corte d’Appello, per escludere la competenza dei magistrati italiani sulla gestione dei profughi da rimpatriare. In queste ore si stanno esaminando varie ipotesi per far ripartire i trasferimenti di migranti, ma questa volta con un discorso più ampio che non prevede solo quelli soccorsi in mare e provenienti da Paesi inseriti nella lista italiana di quelli sicuri, ma anche coloro che già si trovano negli hotspot e nei centri di accoglienza sul territorio nazionale.

    Se n’è parlato in una riunione venerdì scorso, durante la quale è emersa la possibilità che i centri albanesi possano essere trasformati in cpr — dedicati quindi esclusivamente al rimpatrio dei profughi ritenuti senza requisiti per ottenere protezione internazionale dall’Italia — oppure in centri di accoglienza. E non si esclude a questo punto che possano essere gestiti da Tirana e non più da Roma.

    In tutti i casi, in attesa del parere dei giudici del Lussemburgo, l’esecutivo ribadisce la volontà di andare avanti. E per questo per oggi è stato programmato un altro vertice. Al centro dell’incontro forse anche la discussione sul nuovo decreto legge — ipotizzato fra gli altri dal ministro per gli Affari europei Tommaso Foti — che potrebbe nei piani del governo fornire una soluzione giuridica affidabile dopo le sentenze contrarie dei giudici sui trattenimenti in Albania.

    Ma le opposizioni attaccano. «Perseverare è diabolico, il governo fermi questa follia che sta creando uno scontro tra poteri senza precedenti e uno spreco di risorse», spiega Simona Bonafè, capogruppo dem in Commissione Affari costituzionali alla Camera, per la quale l’esecutivo «insiste nel tentativo inaccettabile di scegliersi i magistrati e riscrivere le regole in corsa». Per il capogruppo Avs nella stessa commissione, Filiberto Zaratti, «si sono cacciati in un pasticcio, smettano di sperperare i soldi degli italiani».

    Sul tavolo c’è anche la questione libica e le avvisaglie di una nuova ondata di partenze di migranti. I dati del Viminale confermano che gli arrivi nel 2025 sono superiori a quelli dello stesso periodo dello scorso anno: 4.144 contro 3.169. Sebbene nel mese in corso siano inferiori del febbraio 2024 (665 contro 2.301).

    Dalla «Relazione sulla situazione geopolitica del continente africano» approvata dal Copasir emerge che in Libia «sono presenti circa 700 mila immigrati irregolari» e altri «700-800 mila sono in Tunisia». Non pronti a partire, ma non si può escludere che alcuni possano rivolgersi ai canali criminali collegati agli scafisti. Tanto più che il Copasir sottolinea l’esistenza di «un legame fra le organizzazioni che sfruttano i flussi irregolari e quelle terroristiche che pretendono denaro quando le carovane transitano dai territori da loro controllati».

    Uno scenario preoccupante nel quale si inserisce ieri la scoperta di due fosse comuni a Jikharra e Kufra con almeno 49 corpi di migranti. Nella seconda, crocevia in Cirenaica di profughi subsahariani, con segni di tortura, mentre in 76 sono stati liberati dal lager dei trafficanti.

    Sempre ieri sono stati avvistati tre cadaveri in mare nell’Agrigentino, nel tratto poco distante da Marina di Palma dove la corrente ha trascinato un barcone utilizzato dai migranti.

    https://www.corriere.it/politica/25_febbraio_10/sbarchi-accordo-albania-cambia-af8fe828-76b0-4a92-a148-9c8866b4bxlk.shtml

    #décret #nouveau_décret #Albanie #Italie #migrations #réfugiés #externalisation

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873

    • Migrants transferred from Albania appeal Italy protection denial

      Almost half of the migrants transferred from Albania to Italy on February 6 have filed an appeal against the rejection of their asylum requests. This happened on the same day that two migrants lost their lives while trying to reach Italy’s southern island of Lampedusa.

      On February 6, the first appeals were filed by some of the 43 migrants who had been transferred from Italy to a center in Albania before being moved back to Italy. These migrants, mostly from Bangladesh and Egypt, had their asylum applications rejected and were given a deadline to appeal — either by the evening of February 6 or February 7, depending on when they received the rejection notice.

      After a court annulled their detention orders in Albania’s Gjader repatriation center, the migrants were relocated to a facility in Bari, a southern port city in Italy.

      Earlier, on January 28, 49 migrants intercepted off Lampedusa were sent to Albania on the Italian patrol boat Cassiopeia. However, six of them — minors and individuals deemed vulnerable — were later brought back to Italy.

      The remaining migrants stayed only a few days in Albania before an appeals court in Rome suspended their detention while awaiting a decision from the European Court of Justice (ECJ) on whether Albania qualifies as a “safe” country for asylum seekers. This ruling led to their release and rendered the transfer to Albania ineffective.

      This was the third such transfer since October, but unlike before, the Italian government had expected a different result due to a legal change shifting the jurisdiction of the cases from the immigration court to the appeals court.

      Awaiting EU court ruling on ’safe’ country definition

      The key issue now is whether Bangladesh and Egypt, the migrants’ countries of origin, can be considered “safe.” Under a decree issued in December, Italy includes these nations on its official list of safe countries, meaning migrants from these regions can be subjected to fast-track asylum procedures and deported more quickly.

      However, the appeals court ruled that the decree did not consider the specific risks faced by certain groups of people in these countries. The European Court of Justice will now determine if these countries meet the necessary safety standards.

      Meanwhile, the journey of two other migrants tragically ended on February 6 in Lampedusa. They were among about 40 people who arrived on a small nine-meter boat. While most of the group was intercepted by authorities, one person died on the beach, and another passed away shortly after being taken to a clinic.

      https://www.infomigrants.net/en/post/62742/migrants-transferred-from-albania-appeal-italy-protection-denial

      #justice

  • Ce que cache #Périclès, le projet politique réactionnaire du milliardaire #Pierre-Edouard_Stérin

    Après avoir fait fortune dans les affaires, le milliardaire Pierre-Edouard Stérin assume désormais vouloir financer les projets « #métapolitiques » susceptibles de faire gagner la droite et l’extrême droite. Une première liste de ces initiatives vient d’être mise en ligne. Selon nos informations, elle pourrait ne constituer que la partie émergée de l’iceberg.

    Un média, une chaîne Youtube, des associations catholiques ou libérales, des think tanks destinés au lobbying politique... La première liste des projets soutenus par « Périclès » - mise en ligne il y a quelques jours sur son site internet - n’est pas bien longue mais permet déjà de lever toute équivoque sur les intentions de l’homme à l’origine du projet, le milliardaire Pierre-Edouard Stérin. Après avoir fait fortune dans les affaires, cet exilé fiscal de 51 ans - il a fui en Belgique après l’élection de François Hollande en 2012 - ambitionne de faire gagner la droite et l’extrême droite en mettant à contribution son compte en banque. Soit un investissement de 250 millions d’euros annoncé en dix ans. Du jamais vu.

    Cette initiative, baptisée donc « Périclès » (pour « Patriotes, Enracinés, Résistants, Identitaires, Chrétiens, Libéraux, Européens, Souverainistes »), devait, à l’origine, rester discrète mais elle avait été dévoilée en juillet dernier par nos confrères de « l’Humanité ». Lesquels, documents confidentiels à l’appui, ont détaillé le plan de « #bataille_culturelle » imaginé par Stérin et ses équipes pour « permettre la victoire idéologique, électorale et politique » de ses idées et de ses valeurs. Parmi elles, « la #famille, base de la société », la « #préférence_nationale », le « #christianisme ». Au programme également : la promesse de mener une « #guerilla_juridique » et « médiatique » face au « #socialisme », au « #wokisme » ou à « l’#islamisme ». Surtout, ces documents énuméraient des objectifs politiques précis, dont une aide concrète à apporter au #Rassemblement_national de Marine Le Pen pour remporter le plus grand nombre de victoires lors des prochaines #élections municipales en 2026.

    Offensive sur tous les fronts

    En l’état, au moins 24 projets auraient déjà bénéficié de la générosité de l’homme d’affaires l’année dernière, selon le site flambant neuf de Périclès. L’ensemble confirme sa volonté de mener son #offensive par petites touches et sur tous les fronts. On y retrouve sans surprise ses obsessions libérales avec la promotion des idées antiétatistes et anti-taxes, incarné par son soutien à des think tanks comme le #Cercle_Entreprises et #Libertés, de l’ex-patron d’#Elf_Loïk_Le_Floch-Prigent ; ou encore #Ethic, le syndicat patronal de #Sophie_de_Menthon (une des rares à assumer dialoguer avec Marine Le Pen), qui a reçu, selon nos informations, 3 000 euros pour l’organisation d’une conférence. Des cercles de juristes, comme #Justitia, le collectif d’avocats de l’#Institut_Thomas_More, qui propose d’offrir « une réponse juridique aux nouvelles intolérances » ou le #Cercle_Droit_et_Liberté, qui prétend lutter contre le « #politiquement_correct » de l’Université et du monde juridique, sont également cités. Sans oublier, les enjeux migratoires et sécuritaires, via le #Centre_de_Réflexion_sur_la_Sécurité_intérieure (#CRSI), présidé par l’avocat connu des réseaux de droite dure #Thibault_de_Montbrial. Présents également, la marque #Terre_de_France, chouchou des influenceurs #identitaires ; #Eclats_de_femme, l’association fondée par #Claire_Geronimi, victime de viol par un homme visé par une OQTF en 2023, depuis proche du collectif identitaire #Némésis (elle vient d’être nommée vice-présidente de l’UDR, le parti d’Eric Ciotti, ce dimanche 9 février), ou encore l’association #Léa, en croisade contre le « #racisme_anti-Blanc ». Idem pour le mensuel « #l'Incorrect » - lancé en 2017 par des proches de #Marion_Maréchal - ou #Les_Films_à_l'arrache, une chaîne Youtube humoristique moquant - entre autres - l’antiracisme et le féminisme...

    Objectifs politiques

    Au-delà de ces combats marqués à l’extrême droite, Périclès a également investi dans le combat contre le « #wokisme_à_la_fac », via l’#Observatoire_du_décolonialisme, ainsi que le champ de la #laïcité au travers de #Défense_des_serviteurs_de_la_République, dont le comité d’honneur compte #David_Lisnard, le maire Les Républicains de Cannes et #Astrid_Panosyan-Bouvet, l’actuelle ministre du Travail et de l’Emploi - laquelle ignorait le lien avec Stérin, nous assure son cabinet. D’autres structures présentées par le site de Périclès font plus directement référence à l’objectif politique du projet. C’est le cas de #Data_Realis_Conseil, une société spécialisée dans la #cartographie_électorale rappelle la « #Lettre », ou de l’#Institut_de_Formation_Politique (#IFP), qui ambitionne de doter les militants de toutes les droites du bagage nécessaire pour garnir les rangs des formations politiques, des Républicains aux RN. En bonne place, enfin, #Politicae, l’école de formation au mandat de maire, destinée à faire élire « le maximum de candidats pour les prochaines élections municipales », que Stérin a confié à #Antoine_Valentin, édile LR de Haute-Savoie et candidat d’#Eric_Ciotti lors des dernières législatives. Auprès du « Nouvel Obs », ce dernier ne souhaite pas communiquer le montant du financement consenti par son mécène mais indique que l’effort financier pourrait atteindre « plusieurs centaines de milliers d’euros », d’ici au scrutin de 2026.

    Des projets plus discrets

    Cette liste pourrait, selon nos informations, ne constituer que la partie émergée de l’iceberg Stérin. Les sites internets de plusieurs structures citées plus haut semblent avoir été montés de toutes pièces et sur le même modèle... Surtout, la plupart de ces initiatives n’auraient en réalité reçu que de maigres sommes. Moins de 5 000 euros par exemple pour l’association #Les_Eveilleurs, proche de #La_Manif_pour_Tous, à l’occasion d’un peu rentable concert de #Jean-Pax_Méfret, chanteur des nostalgiques de l’Algérie française. Idem au #Cérif (#Centre_européen_de_Recherche_et_d'Information_sur_le_Frérisme), où la chercheuse au CNRS #Florence_Bergeaud-Blackler jure ne pas avoir touché plus de 10 000 euros. Très loin des 10 millions d’euros que Périclès claironne avoir investi au total en 2024. De quoi nourrir les soupçons sur la réalité de ce montant : est-elle artificiellement gonflée ? Ou, plus probable, l’essentiel de cet argent passe-t-il dans des projets tenus secrets ?

    « Nous nous gardons le droit d’être discrets sur nos investissements », élude #Arnaud_Rérolle, président de Périclès et ancien du #Fonds_du_Bien_Commun, la branche philanthropique des activités de Pierre-Edouard Stérin. Un paravent caritatif - Stérin y finançait aussi des associations au diapason de ses idées réactionnaires - dont est également issu #Thibault_Cambournac, le nouveau « responsable stratégie » de Périclès. L’équipe compte aussi dans ses rangs #Marguerite_Frison-Roche, ancienne petite main de la campagne présidentielle d’Eric Zemmour. Quant au « senior advisor » de Périclès, #Philippe_de_Gestas, c’est l’ancien secrétaire général du #Mouvement_Conservateur, allié à #Reconquête. Pour 2025, le #budget de Périclès est annoncé autour des 20 millions d’euros. L’achat ou la création d’un institut de sondage fait déjà figure d’objectif prioritaire.

    https://www.nouvelobs.com/politique/20250209.OBS100069/ce-que-cache-pericles-le-projet-politique-reactionnaire-du-milliardaire-p
    #Stérin #extrême_droite #réseau

    ping @karine4 @reka @fil @isskein

  • Exclusif : la #Commission_européenne s’apprête à proposer des « #centres_de_retour » pour les migrants

    La Commission européenne réfléchit à une nouvelle législation européenne sur le #retour des migrants, alors que de nombreux pays insistent sur la nécessité d’adopter une ligne dure.

    La Commission européenne est désormais prête à inclure les « centres de retour » situés en dehors des frontières de l’Union et à partir desquels les migrants peuvent être renvoyés dans leur pays d’origine dans une prochaine proposition législative visant à accélérer le retour des demandeurs d’asile déboutés. Cette information émane des « minutes » d’une réunion informelle des ministres de l’Intérieur de l’UE qui s’est tenue la semaine dernière et qu’euronews a pu consulter.

    Lors du Conseil informel qui s’est tenu à Varsovie le 30 janvier, le nouveau commissaire autrichien à l’immigration, Magnus Brunner, a discuté de propositions « innovantes » pour la gestion de l’immigration avec des représentants des Etats membres de l’espace Schengen et des institutions de l’UE (https://fr.euronews.com/my-europe/2024/10/15/delocalisation-des-migrants-hors-de-lue-la-commission-europeenne-favora). A ce stade, il a surtout été question de la #législation sur les #retours, d’après le compte-rendu.

    Les réunions informelles du Conseil sont des rassemblements réguliers des États membres et des institutions de l’UE, organisés par la présidence tournante du Conseil de l’UE, cette fois-ci dirigée par la Pologne, qui a accueilli l’événement dans sa capitale.

    Interrogé par euronews, un porte-parole de la Commission a refusé de commenter les informations divulguées.

    La proposition de l’UE visant à accélérer le retour des migrants devrait être publiée par la Commission dès la fin de ce mois, donnant ainsi le coup d’envoi du processus législatif.

    Le commissaire Brunner a proposé des « règles plus strictes en matière de #détention » et la « possibilité de développer des centres de retour » au cours de la réunion, selon le document.

    Les centres de retour sont des lieux proposés en dehors de l’UE, où les personnes dont la demande d’asile a été rejetée au sein de l’Union pourraient être envoyées avant d’être renvoyées dans leur pays d’origine. C’est le genre de solution que l’Italie a déjà mis en place après un accord avec l’Albanie, mais qui soulève beaucoup de questions juridiques.

    L’#Autriche, la #Bulgarie, la #République_tchèque, le #Danemark, l’#Allemagne, la #Grèce, l’#Italie, la #Lettonie et #Malte ont accueilli favorablement la proposition de centres de retour et l’ont décrite comme « un moyen de #dissuasion possible de l’#immigration_irrégulière ».

    Les décisions en matière d’immigration sont prises à la majorité qualifiée, ce qui signifie qu’au moins 15 des 27 États membres représentant au moins 65 % de la population de l’Union européenne doivent approuver la proposition.

    Lisbonne et Madrid ont émis des doutes

    D’autres Etats membres, tels que le Portugal et l’Espagne, ont émis des « #doutes » d’un point de vue juridique et opérationnel, tandis que d’autres, tels que l’Irlande et la Belgique, ont « souligné la nécessité de mesures réalistes et réalisables, dans le respect des #droits_fondamentaux », selon le compte-rendu.

    Lors de son audition de confirmation au Parlement européen à l’automne dernier, M. Brunner avait déclaré que l’Union européenne devait rester « ouverte » à l’exploration de « nouvelles idées » pour freiner l’immigration irrégulière.

    L’établissement de ces centres pourrait se faire d’une manière « humaine et juridiquement saine », avait-il déclaré à l’époque, ajoutant qu’une réflexion plus approfondie était nécessaire pour « découvrir à quoi ce type de concept pourrait ressembler » dans la pratique.

    Les organisations humanitaires ont déjà rejeté cette initiative, affirmant que ces centres conduiraient à des détentions sans fin et à des souffrances endémiques. La législation européenne actuelle interdit aux autorités d’envoyer des migrants contre leur gré dans des pays avec lesquels ils n’ont pas de lien.

    Mais la pression politique exercée pour améliorer le #taux_d'expulsion a eu raison de ces avertissements, favorisant une approche plus stricte dans de nombreux États membres.

    La présidente de la Commission, #Ursula_von_der_Leyen, a également soutenu fermement les « centres de retour » dans une lettre adressée aux dirigeants de l’UE avant un sommet de deux jours à Bruxelles dominé par les discussions sur l’immigration en octobre dernier. Dans cette lettre, Mme Von der Leyen estimait qu’un protocole de migration conclu entre l’Italie et l’Albanie - qui a fait l’objet d’une contestation juridique - pourrait déterminer les prochaines étapes de la politique migratoire de l’UE.

    Autres détails de la future #loi

    Mme Brunner a également proposé d’introduire une obligation pour les personnes renvoyées de « coopérer et d’énoncer des conséquences claires » en cas de non-respect des règles, de renforcer les règles pour les « personnes renvoyées qui représentent une #menace_pour_la_sécurité » et de faciliter la reconnaissance mutuelle des décisions de retour au sein de l’Union.

    Les ministres du Danemark, de l’Islande, du Liechtenstein, de la Lituanie, de Malte, de la Norvège, de la Roumanie, de la Slovénie et de la Suède ont salué les « obligations claires des rapatriés et les sanctions » pour ceux qui refusent de coopérer.

    Plusieurs pays ont accepté l’idée d’une #reconnaissance_mutuelle des décisions de retour entre les Etats membres, la France étant la seule à s’y opposer totalement, selon le compte-rendu.

    L’Espagne, soutenue par le Portugal, la Roumanie, la Slovaquie et l’Islande, a demandé un renforcement du rôle de #Frontex, l’agence européenne des frontières, pour les retours. L’agence « a accepté la proposition [...] et a souligné la nécessité d’avoir des ressources adéquates pour cela », selon le compte-rendu.

    La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, a annoncé dans son discours de réélection l’été dernier qu’elle avait l’intention de tripler le personnel de Frontex.

    Enfin, le document indique que la plupart des Etats membres considèrent qu’il est préférable de rédiger la loi sous la forme d’une #directive plutôt que d’un #règlement, afin de donner aux Etats membres plus de #flexibilité dans son #application.

    Suspension du #droit_d'asile

    Le procès-verbal fait également état d’une discussion sur le trafic de migrants aux frontières de la Russie et du Bélarus, sous le titre « #armement_des_migrants ».

    M. Brunner a rappelé aux États membres qu’ils peuvent prendre les « mesures nécessaires pour s’opposer aux acteurs hostiles » qui envoient des migrants aux frontières de l’UE. Cependant, toute action contre ces #acteurs_hostiles pouvant avoir un impact sur les demandeurs d’asile doit être considérée comme une « mesure exceptionnelle » et doit être conforme au droit international, a-t-il déclaré.

    À cet égard, la Suède a présenté la #suspension des régimes d’asile « dans des circonstances exceptionnelles » comme une réponse possible à ces « acteurs hostiles ».

    Cette idée reflète des initiatives similaires prises récemment par la Finlande et la Pologne.

    Prochaines étapes

    Après la publication de la proposition sur le retour des demandeurs d’asile, la Commission européenne entamera son processus législatif, qui dure généralement deux ans.

    Le commissaire Brunner sera chargé de mettre en œuvre le nouveau #pacte_pour_l'immigration_et_l'asile, la réforme de grande envergure que l’#Union_européenne a achevée en mai après près de quatre ans de négociations acharnées. Le Parlement considère le nouveau pacte comme une réussite historique et souhaite que tous les États membres se conforment aux nouvelles règles.

    Cependant, la Pologne et la Hongrie ont ouvertement déclaré qu’elles ne le feraient pas, ce qui alimente les craintes que la réforme complexe ne s’effondre avant d’avoir eu la chance de produire des résultats.

    Le nouveau commissaire s’est engagé à poursuivre en justice ceux qui ne respectent pas les règles. « Si cela s’avère nécessaire et justifié, des procédures d’infraction pourraient être engagées », a-t-il déclaré.

    https://fr.euronews.com/my-europe/2025/02/04/exclusif-la-commission-europeenne-sapprete-a-proposer-des-centres-de-re
    #migrations #asile #réfugiés #expulsions #innovation #renvois #guerre_hybride #externalisation

    via @karine4

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...

    https://seenthis.net/messages/1043873