• Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

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    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

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      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • Larmes de crocodiles et oubli, suite au décès de madeleine albright, qui avait provoqué la mort de 500 000 enfants irakiens, c’est à dire plus qu’à Hiroshima en Nagasaki !

    Nos médias officiels font le silence sur le passé de cette ancienne secrétaire d’Etat américaine.

    Rappel : madeleine albright, secrétaire d’Etat de Clinton, avait ainsi répondu à une question sur le blocus US qui avait provoqué la mort de 500 000 enfants irakiens : « Je pense que c’était un choix difficile, mais oui, ça en valait la peine » . (Emission « Sixty Minutes » (CBS) du 12 mai 1996). L’interview a remporté un Emmy Award.

    En bonus, guerre en Serbie et au Kosovo.
    Fin octobre 2012, lors de la signature d’un livre dans la librairie de Prague Palác Knih Luxor, #madeleine_albright, recevant la visite d’un groupe de militants de l’organisation tchèque « Přátelé Srbů na Kosovu », qui avaient apporté des photos de guerre, dont certaines montraient des victimes serbes de la guerre du Kosovo de 1999, est filmée leur disant : « Sortez, Serbes dégoûtants ! 

    • Les étudiants de l’essec confrontés aux conséquences de ce qui est enseigné dans leur école. À Cergy, les étudiants de l’essec face à l’insécurité Nicolas Daguin - Le figaro

      Tout commence par un mail anonyme adressé au Figaro en novembre 2021. Un certain « Tyler », qui se présente comme un étudiant de l’Essec - l’une des premières écoles de commerce en France -, souhaite nous faire part du climat d’insécurité qui se serait installé autour du campus, situé à Cergy (Val-d’Oise). La situation aurait « énormément empiré » ces derniers temps et serait « devenue invivable », selon ses mots. Il est question d’agressions, de vols avec violence et même de tentatives d’enlèvements. Le jeune homme affirme aussi que « nombre d’étudiants [seraient] traumatisés et ne [voudraient] plus prendre de cours terminant après le coucher du soleil par peur de rentrer seuls la nuit ».

      S’il n’a personnellement jamais été victime d’aucune agression, Tyler assure que plusieurs de ses camarades n’ont pas eu sa chance. Ce dernier en veut pour preuve le groupe Facebook « ESSAFE », créé en 2017. « Nous l’avons ouvert après avoir constaté une recrudescence des agressions autour du campus, dans l’idée… ..

      La suite payante, mais on en a pas besoin : https://www.lefigaro.fr/actualite-france/ce-n-est-pas-normal-de-mettre-sa-vie-en-danger-pour-etudier-a-cergy-les-etu

      #essec #winner #écoles_de_commerce #management #valeurs #libéralisme #marketing #capitalisme

    • #belgique : Quatre nouveaux centres fermés pour personnes en séjour irrégulier forcées au retour
      https://www.vrt.be/vrtnws/fr/2022/03/23/quatre-nouveaux-centres-fermes-pour-personnes-en-sejour-irreguli

      Le gouvernement fédéral a approuvé la construction de trois nouveaux centres fermés et un centre de départ, créant ainsi plus de 500 places supplémentaires affectées au retour forcé de personnes en séjour irrégulier. Les autorités libèrent 100 millions d’euros pour un plan stratégique. Les nouveaux centres - prévus à Jabbeke, Zandvliet, Jumet et Steenokkerzeel - devraient permettre de presque doubler le nombre de places pour les personnes en séjour illégal d’ici 2030.


      Cette décision historique marque un véritable tournant. Nous créons plus de capacité de retour que jamais et pouvons faire un pas de géant dans la politique de retour de notre pays", soulignait le Secrétaire d’Etat à la Migration sammy mahdi. Les trois nouveaux centres pour migrants illégaux se situent à Jumet (près de Charleroi), à Zandvliet (près d’Anvers) et à Jabbeke (près de Bruges).Ce dernier remplacera d’ailleurs l’actuel centre fermé de Bruges.

      Un centre de départ sera par ailleurs établi à Steenokkerzeel (Zaventem) : les personnes n’y resteront idéalement qu’un jour ou deux pour permettre un retour rapide vers le pays d’origine. Le gouvernement fédéral a approuvé rapidement le marché public pour le développement de ce projet.

      La Belgique compte six centres fermés d’une capacité maximale de 635 places. Avec la construction de trois nouveaux centres et de ce centre de départ, la capacité totale passera à 1.145 places, soit plus de 500 supplémentaires par rapport à aujourd’hui. Les appels d’offre pour le bâtiment de Steenokkerzeel seront publiés cette semaine, la construction pouvant commencer en 2024. Pour les centres de Jabbeke, Jumet et Zandvliet, la construction est prévue entre 2027 et 2029.
      . . . . . .

      #centres_fermés pseudo #prisons #réfugiés #asile #migrations #racisme #police #frontières #migrants #migration

    • Le Royaume-Uni finance 4 caméras de vidéoprotection à Brighton, un hameau de Cayeux-sur-Mer
      https://actu.fr/hauts-de-france/cayeux-sur-mer_80182/le-royaume-uni-finance-4-cameras-de-videoprotection-a-brighton-un-hameau-de-cay

      Quatre caméras de vidéoprotection vont apparaître à Brighton-les-Pins, hameau de Cayeux-sur-Mer (2445 habitants), dans la Somme. Le projet est principalement financé par un fonds britannique.

      « Une opération blanche pour la commune. » C’est avec ces mots que Jean-Paul Lecomte qualifie le projet d’installation de 4 caméras de vidéoprotection dans le hameau de Brighton-les-Pins. En effet, le maire de Cayeux-sur-Mer (Somme) ne mettra pas la main au portefeuille.

      « C’est de l’argent qui tombe du ciel »
      « La situation est idéale pour la commune », commente-t-il. Pour cause, le Royaume-Uni finance une grosse partie de l’installation via un fonds de lutte contre l’immigration clandestine. Sur les 67 000 € du coût total du projet, 11 185 € seront financés par la Fédération Départementale d’Énergie (FDE).

      Les Britanniques apporteront leur pierre à l’édifice à hauteur de 55 923 €. « C’est de l’argent qui tombe du ciel », ironise l’élu.

      Les études de protection réalisées par la gendarmerie nationale ont reconnu deux zones à Cayeux-sur-Mer. La première s’étend du Hourdel à l’entrée de la ville. La seconde se situe plus au sud. À terme, une trentaine de caméras devraient être installées dans ces deux secteurs. Mais pour l’instant, la première tranche ne concerne que quatre caméras à Brighton-les-Pins.

      « Quatre départs de migrants ont été constatés dans la commune », se souvient l’édile. « Deux au sud et deux autres au niveau de la carrière de galets Silmer, à Brighton. »

      Une caméra sera donc placée à cet endroit. Les trois autres seront installées au niveau du foyer de vie, au phare et à l’entrée de la ville. Cette dernière permettra la lecture de plaques d’immatriculation notamment.


      Qui s’occupera de l’entretien des caméras ?
      Une petite interrogation avait tout de même été émise par Philippe Prouvost, conseiller municipal : « Qui s’occupera de l’entretien de ces caméras ? » Jean-Paul Lecomte a assuré que « l’installation et l’entretien seront gérés par la FDE qui passera par l’entreprise Citéos ».

      Le centre de visionnage des images captées par les caméras sera installé dans les locaux des agents de surveillance de la voie publique (ASVP). « Lorsqu’il y aura un problème dans ce coin, une seule personne sera habilitée à visionner ces images », explique le maire.

      Si la zone nord doit faire l’objet des attentions du conseil municipal en 2023, les dossiers pour ces quatre premières caméras viennent d’être envoyés à la préfecture. La date d’installation est encore floue.

      #foutage_de_gueule #surveillance #vidéo-surveillance #réfugiés #algorithme #migrations #police #france

  • Sur l’#île grecque de #Kos, la #détention des demandeurs d’asile est quasi systématique

    Depuis la fin 2019, presque tous les nouveaux arrivants sont mis en détention dans le seul centre de rétention de la mer Egée. Les ONG craignent que cette pratique ne soit étendue aux autres îles, où de nouveaux camps fermés sont en construction.

    https://www.lemonde.fr/international/article/2021/07/24/sur-l-ile-grecque-de-kos-la-detention-des-demandeurs-d-asile-est-quasi-syste
    #asile #migrations #réfugiés #centres_fermés #Grèce #îles

  • Asylum seekers will be put in huge holding centres that can house up to 8,000 applicants under #Home_Office plans

    - Home Secretary #Priti_Patel wants to deter asylum seekers crossing the Channel
    - More than 10,000 migrants have already arrived via the Channel this year
    - A record 482 migrants made the 21-mile journey in a single day last week
    - Ms Patel wants to house asylum seekers in centres with up to 8,000 people

    https://www.dailymail.co.uk/news/article-9892657/Asylum-seekers-huge-holding-centres.html

    #UK #Angleterre #centres_pour_réfugiés #centres_fermés #asile #migrations #réfugiés #New_Plan_for_Immigration #plan #encampement

  • France asks Frontex to guard Europe’s northern coastline too

    French Interior Minister Gerald #Darmanin said he has asked the European Union border agency Frontex not to neglect Europe’s northern coastline in the fight against illegal immigration.

    “I myself have contacted Frontex, which is predominantly taking care of southern Europe, and asked them to deal with northern Europe, too, particularly the coastline of Nord-Pas-de-Calais,” he told reporters on Saturday during a visit to the port of Calais in northern France, a point from which many migrants try to cross the Channel to reach Britain.

    “Sixty percent of migrants who come here, come via Belgium. So, our spectrum must be very wide. We need European air surveillance,” Darmanin said.

    Since the end of 2018, an increasing number of migrants have tried to cross the Channel to Britain, defying warnings from the authorities of the dangers of such a journey, given the high density of traffic, the strong sea currents and the cold temperatures.

    Darmanin welcomed a deal reached last week by France and Britain, under which London has pledged just under 63 million euros in 2021-2022 to help France stem the flow of illegal migrants crossing the Channel.

    France has promised to beef up security forces along the coast.

    “We already have more than 5,000 police officers and gendarmes in Pas-de-Calais, a large number of whom are involved in the fight again immigration. We will increase these numbers,” Darmanin said.

    On Sunday, eighty migrants, including 20 children, were rescued as they tried to reach England in two separate boats, French authorities said.

    https://twitter.com/premarmanche/status/1419295052535324674

    Rescue services were first contacted “by a boat of migrants reporting difficulties”, then by a merchant ship which informed them “of another boat of migrants adrift to the north of Calais”, the Channel maritime prefecture said in a statement.

    A patrol boat was then sent to the scene which rescued 80 people from the two boats.

    In total, “80 shipwrecked people (42 men, 18 women, including one pregnant woman, and 20 children) were brought to the port of Calais. They are all safe and sound”.

    French gendarmes also discovered 52 migrants early Sunday morning on a beach in Dannes, also in the north of the country. They had returned to land after an “engine failure” of their boat, the prefecture of Pas-de-Calais told the news agency AFP.

    Last year, more than 9,500 crossings or attempted crossings were recorded, four times as many as in 2019, according to the French authorities.

    Out of these, six people died and three were reported missing last year, compared with four deaths in 2019.

    https://www.rfi.fr/en/france/20210726-france-asks-frontex-to-guard-europe-s-northern-coastline-too

    #France #Calais #Frontex #frontières #asile #migrations #réfugiés #militarisation_des_frontières #contrôles_frontaliers #UK #Angleterre

  • Deal signed for construction of new migrant centers

    Migration Minister #Notis_Mitarakis and the director of the European Commission, #Beate_Gminder, have signed a financing agreement for the construction of new closed structures on the eastern Aegean islands of #Samos, #Kos and #Leros.

    The funding for these projects will be fully covered by the European Commission.

    Also on Friday, the working group for the coordination of the procedures for the final termination of the operations of the reception and identification centers in #Vathi on Samos and on Leros met for the first time.

    The group’s main objective is the coordination of all involved bodies (Ministry of Health, the National Public Health Organization, local authorities, the Hellenic Police, the armed forces, the fire brigade and international bodies) to ensure the smooth shutdown of the existing structures and the operation of the new closed facilities of Samos and Leros.

    https://www.ekathimerini.com/259140/article/ekathimerini/news/deal-signed-for-construction-of-new-migrant-centers

    #asile #migrations #réfugiés #Grèce #centres #camps_de_réfugiés #financement #Mer_Egée #îles #centres_fermés #financement #EU #internal_externalization #externalisation_intérieure #Union_européenne #UE

    –—

    Et voilà que #Moria_2.0 se généralise à toutes les îles grecques...
    Merci le #nouveau_pacte:


    https://seenthis.net/messages/875903
    https://seenthis.net/messages/876752
    #pacte_européen

    ping @isskein @karine4

    • Accord entre l’#Union_européenne et la Grèce pour un nouveau camp d’accueil pour migrants à Lesbos en 2021

      Le camp de Moria avait été ravagé par un incendie au mois de septembre 2020. Un campement provisoire, où se trouve 7 300 demandeurs d’asile, a depuis été établi sur l’île.

      Presque trois mois après un incendie ravageur, l’Union européenne (UE) et la Grèce ont signé un accord, jeudi 3 décembre, pour la mise en place d’ici septembre 2021 d’un nouveau camp d’accueil pour migrants sur l’île de Lesbos. Ce nouveau camp doit remplacer celui de Moria détruit en septembre.

      Le soutien de l’Union européenne dans la gestion de ce nouveau « centre d’accueil » sera inédit, et l’accord prévoit une répartition des responsabilités entre la Commission, les autorités grecques et les agences de l’UE.

      Après la destruction du camp insalubre de Moria, le plus grand d’Europe, un campement provisoire a été établi sur l’île. Plus de 7 300 demandeurs d’asile, parmi lesquels des enfants, des personnes handicapées ou malades, s’entassent sous des tentes, sans chauffage ni eau chaude à l’approche de l’hiver.

      Dans le nouveau camp, « nous allons fournir des conditions décentes aux migrants et réfugiés qui arrivent, et aussi soutenir les habitants sur les îles grecques », a déclaré la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, dans un communiqué, où elle souligne également la nécessité de « procédures rapides et équitables » pour l’examen des demandes d’asile. Pour les migrants, « les centres doivent n’être qu’un arrêt temporaire avant leur retour (vers leur pays d’origine ou de transit) ou leur intégration », précise Mme von der Leyen.

      « Une étape importante »

      La Commission prévoit de consacrer environ 130 millions d’euros pour les sites de Lesbos et de Chios, dont la très grosse majorité pour Lesbos. En outre, 121 millions d’euros ont été alloués le mois dernier à la construction de trois camps moins importants sur les îles de Samos, Kos et Leros.

      « Cet accord est une étape importante (…) pour s’assurer qu’une situation comme celle de Moria ne puisse plus se reproduire », a ajouté la commissaire européenne aux affaires intérieures, Ylva Johansson. Elle a estimé que ce nouveau camp « marquait un changement dans la façon d’appréhender la gestion des migrations, et ouvre la voie à une mise en pratique des principes directeurs du nouveau pacte sur la migration et l’asile ».

      La Commission européenne a présenté fin septembre un projet de réforme de la politique commune de l’asile, un dossier ultrasensible sur lequel la recherche d’un compromis est extrêmement difficile, cinq ans après la crise migratoire de 2015.

      Lesbos, en mer Egée ainsi que d’autres îles grecques proches des côtes occidentales de la Turquie voisine, est l’une des principales portes d’entrée des migrants en Europe. La Grèce a considérablement réduit le nombre d’arrivées en 2020 mais les conditions de vie dans les camps d’accueil restent particulièrement éprouvantes.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2020/12/03/accord-entre-l-union-europeenne-et-la-grece-pour-un-nouveau-camp-a-lesbos-en

    • Στήνει « Γκουαντάναμο » παντού με αφορμή τον κορονοϊό

      Η είδηση της διάγνωσης Σομαλού πρόσφυγα στη Μόρια με Covid-19 έδωσε την ευκαιρία στον Νότη Μηταράκη να επαναφέρει την πρόταση για μετατροπή όλων των ΚΥΤ σε κλειστές φυλακές με 24ωρη παρακολούθηση, διπλή περίφραξη και έλεγχο αποσκευών στα πρότυπα των αεροδρομίων ● Χωρίς γιατρούς παραμένουν οι προσφυγικές δομές Λέσβου και Χίου.

      Ετοιμος να εκμεταλλευτεί πολιτικά την ύπαρξη ακόμη και ενός θετικού δείγματος κορονοϊού σε πρόσφυγα που διαμένει στη δομή της Μόριας, προκειμένου να προωθήσει τα σχέδια μετατροπής των ΚΥΤ σε φυλακές, αποδείχθηκε ο υπουργός Μετανάστευσης και Ασύλου.

      Θετικός βρέθηκε άνδρας από τη Σομαλία στο Κέντρο Υποδοχής και Ταυτοποίησης της Μόριας και τέθηκε σε καραντίνα ολόκληρο το ΚΥΤ των 13.000 ανθρώπων. Ο Σομαλός είχε λάβει άσυλο στις 17 Ιουλίου, οπότε και αναχώρησε για την Αθήνα. Ομως, χωρίς καμία μέριμνα ή υποστήριξη για τη στέγασή του σε ασφαλή χώρο, επέλεξε να επιστρέψει στη « ζούγκλα » της Μόριας στις 27 Αυγούστου, μεταφέροντας πλέον την πανδημία εντός του καταυλισμού και κάνοντας τον εφιάλτη πραγματικότητα.

      Ευνοημένος από τη συγκυρία, ο υπουργός Νότης Μηταράκης θεώρησε ευκαιρία το γεγονός για να επαναφέρει την πρόταση μετατροπής των ΚΥΤ σε κλειστές δομές-φυλακές, παρουσιάζοντας ως πρότυπο τα σχέδια για την ανέγερση της δομής της Σάμου που εισάγει αλλά και επισημοποιεί την οργουελιανή εκδοχή στη μεταναστευτική πολιτική της Ελλάδας.

      Τα ΚΥΤ, σύμφωνα με όσα παρουσίασε ο υπουργός σε σύσκεψη με τους επικεφαλής των δημοτικών παρατάξεων στη Χίο με θέμα το μέλλον της ΒΙΑΛ, αποκτούν διπλή περίφραξη με νεκρή ζώνη πλάτους έξι μέτρων, ελεγχόμενη είσοδο-έξοδο με κάρτα και δακτυλικά αποτυπώματα, πανοπτικό σύστημα παρακολούθησης με κάμερες όλο το 24ωρο, σύστημα ελέγχου αποσκευών όπως στα αεροδρόμια και φυσικά μια « μαύρη τρύπα » δικαιωμάτων που ονομάζεται ΠΡΟΚΕΚΑ και μέσα του θα χάνονται όσοι/ες κριθούν ότι δεν τηρούν τα κριτήρια παροχής ασύλου, με αόριστο τον χρόνο κράτησης. Γενικότερα, θα έλεγε κανείς ότι οι αιτούντες άσυλο σε αυτά τα κέντρα-φυλακές αντιμετωπίζονται προκαταβολικά ως ύποπτοι τέλεσης σοβαρών αδικημάτων και ως κρατούμενοι που στερούνται τα βασικά τους δικαιώματα.
      Το κρούσμα στη Μόρια

      Ο 40χρονος πρόσφυγας βρέθηκε θετικός έπειτα από τεστ στο Νοσοκομείο Μυτιλήνης, όπου οδηγήθηκε με συμπτώματα και παραμένει νοσηλευόμενος, την ώρα που στον ΕΟΔΥ έχει χτυπήσει « κόκκινος » συναγερμός, έχοντας ως μοναδικό όπλο άμυνας τα αυστηρά μέτρα περιορισμού της κυκλοφορίας, αλλά ουσιαστικό αντίπαλο την αδυναμία εφαρμογής των υγειονομικών κανόνων λόγω των άθλιων συνθηκών διαβίωσης, αλλά και την ανυπαρξία γιατρών και νοσηλευτικού προσωπικού τόσο στη Μόρια όσο και στη ΒΙΑΛ της Χίου, που επίσης έχει τεθεί εδώ και εβδομάδες σε αυστηρή καραντίνα.

      Χαρακτηριστικό είναι ότι τόσο η δομή υγείας -δωρεά της ολλανδικής κυβέρνησης, που εγκαινιάστηκε πρόσφατα με τη παρουσία της ΠτΔ κ. Αικατερίνης Σακελλαροπούλου- όσο και τα ιατρεία της Περιφέρειας στα ΚΥΤ των δύο νησιών παραμένουν χωρίς γιατρούς. Η νέα δομή ακόμη δεν έχει λειτουργήσει καθόλου, ενώ οι συμβάσεις των υπηρετούντων ιατρών με την Περιφέρεια Βορείου Αιγαίου έληξαν και η σχετική προκήρυξη, που έληξε προ ολίγων ημερών, απέβη άγονη. Το ίδιο αναμένεται και γι’ αυτήν που λήγει αύριο, παρά τις αυξημένες αποδοχές που προβλέπει για το επιστημονικό προσωπικό οι οποίες φτάνουν τις 2.500 ευρώ μηνιαίως.

      Από το υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου, ωστόσο, εκφράζουν την αισιοδοξία τους ότι σύντομα η δομή της ολλανδικής κυβέρνησης στη Μόρια θα είναι σε θέση να λειτουργήσει. Σύμφωνα με πληροφορίες, πρόθεση του υπουργείου είναι να θέσει τη δομή σε λειτουργία σε συνεργασία με κάποιες ΜΚΟ υγειονομικού χαρακτήρα που ήδη λειτουργούν εντός του ΚΥΤ. Ομως το πρόβλημα των άθλιων συνθηκών διαβίωσης, της ανυπαρξίας χώρων υγιεινής, της υπερσυγκέντρωσης ανθρώπων σε ουρές και όλα αυτά που δημιουργεί το πλήθος των 13.000 ανθρώπων σε χώρους με προδιαγραφές για 3.100 παραμένει και εκεί ουσιαστική απάντηση δεν υπάρχει.

      Η μόνη απάντηση που δίνει το υπουργείο είναι για ακόμη μία φορά η προσπάθεια εκμετάλλευσης των συνθηκών ώστε να προωθήσει τα σχέδια για μετατροπή των δομών της ΒΙΑΛ και της Μόριας σε « κλειστές ». « Το ΚΥΤ Μόριας παραμένει ανοιχτή δομή και το περιστατικό αυτό ενισχύει την ανάγκη να υλοποιηθούν οι εργασίες δημιουργίας κλειστής ελεγχόμενης δομής. Για το χρονικό διάστημα έως και τις 15/09/2020 θα απαγορεύεται ρητά η είσοδος και η έξοδος από τη δομή φιλοξενίας, ενώ η ΕΛ.ΑΣ. θα έχει ενισχυμένη παρουσία στον χώρο γύρω από τη δομή, για την τήρηση της απαγόρευσης της κυκλοφορίας καθ’ όλο το 24ωρο », αναφέρει χαρακτηριστικά σε δελτίο Τύπου, περιγράφοντας τις προθέσεις του.
      Σε εφαρμογή το σχέδιο Μηταράκη

      Το σχέδιο αυτό, που περιλαμβάνει και τη ΒΙΑΛ, ουσιαστικά έχει τεθεί σε εφαρμογή εδώ και μήνες, αλλά τις τελευταίες ημέρες μπήκε σε μια νέα φάση. Το προανήγγειλε ο κ. Μηταράκης πριν από δύο μέρες με αναρτήσεις του στον προσωπικό του λογαριασμό σε γνωστό μέσο κοινωνικής δικτύωσης, όπου σημείωνε τα εξής : « Ζητούμενο η ασφάλεια των δομών φιλοξενίας αιτούντων άσυλο. Ξεκινάμε τη μετατροπή των δομών σε κλειστών/ελεγχόμενων προς όφελος και των διαμενόντων και των τοπικών κοινωνιών ».

      Πρόθυμους συμμάχους σ’ αυτό το σχέδιο όσον αφορά τη Χίο, που μαζί με τη Λέσβο παραμένουν το αγκάθι στον σχεδιασμό (ενώ οι νέες δομές σε Λέρο, Κω και Σάμο προχωρούν κανονικά), βρήκε στην τοπική κοινότητα Χαλκειούς που υπό το βάρος της γειτονίας με την υπερπλήρη ΒΙΑΛ ασφυκτιά ψάχνοντας απεγνωσμένα για λύτρωση. Ετσι, με αίτηση προς το δημοτικό συμβούλιο Χίου, ο άλλος πρόθυμος σύμμαχος Μηταράκη, η δημοτική αρχή Κάρμαντζη, άδραξε την ευκαιρία και την έκανε αποδεκτή, απευθύνοντας τη σχετική πρόσκληση και στον υπουργό, που επίσης τη δέχτηκε άμεσα.

      Στόχος, να θέσει και πάλι το εκβιαστικό δίλημμα « ή νέος χώρος ή ΒΙΑΛ » ώστε να εισπράξει την άρνηση των επικεφαλής των παρατάξεων και να προχωρήσει το σχέδιο μετατροπής του ΚΥΤ σε ημίκλειστη φυλακή αλλά και ταυτόχρονα μονιμοποιώντας την, παρουσιάζοντας το αποτέλεσμα ως επιλογή του Δ.Σ. Χίου και ειδικά της μειοψηφίας. Τακτική που έχει δοκιμαστεί και στη Λέσβο για τη Μόρια, με τα πρώτα αποτελέσματα να είναι ήδη ορατά, αφού πρόσφατα εξασφαλίστηκαν επιπλέον 40 στρέμματα για την επέκτασή της.

      Αξίζει να σημειωθεί ότι από τις επτά παρατάξεις στο Δ.Σ. Χίου, το « παρών » έδωσαν οι πέντε, με τον Μάρκο Σκούφαλο από τη Λαϊκή Συσπείρωση και τον Μανόλη Στάθη από τον ΣΥΡΙΖΑ να αρνούνται την παρουσία τους καταγγέλλοντας τα σχέδια Μηταράκη. Οι υπόλοιποι (Κ. Τριαντάφυλλος, Μαν. Βουρνούς, Γ. Καραβασίλης και Δ. Αντώνογλου) επέμεναν στην εφαρμογή των ομόφωνων αποφάσεων του Δ.Σ. περί αποσυμφόρησης και κλεισίματος της ΒΙΑΛ και δημιουργίας δομής Καταγραφής και Ταυτοποίησης έως 500 ατόμων.

      Αντίθετα, ανοιχτός στην επανεξέταση του θέματος εμφανίστηκε ο δήμαρχος Στ. Κάρμαντζης που σημειωτέον δεν έθιξε καθόλου το θέμα της ακραίας βίας που άσκησαν στη Χίο τα ΜΑΤ κατά την επεισοδιακή τους παρουσία τον περασμένο Φεβρουάριο. Ζήτημα που έθεσαν κατά κόρον οι υπόλοιποι στη σύσκεψη καθώς και πολλά ακόμη θέματα, όπως η κατάρρευση της κοινής δήλωσης Ε.Ε. - Τουρκίας, το ζήτημα της 18μηνης εκκρεμοδικίας της αγωγής του Δήμου Χίου για την έξωση του υπουργείου από τη ΒΙΑΛ, ενώ ο Δ. Αντώνογλου εκ μέρους της Χιακής Συμπολιτείας έθεσε και το θέμα των παράνομων επαναπροωθήσεων προσφύγων.

      Τέλος, να σημειωθεί και η αποχώρηση του κ. Τριαντάφυλλου και του κ. Καραβασίλη σε κλίμα έντασης με τον κ. Μηταράκη.

      https://www.efsyn.gr/politiki/258178_stinei-gkoyantanamo-pantoy-me-aformi-ton-koronoio

      –—

      Traduction de Vicky Skoumbi via la mailing-list Migreurop :

      Le gouvernement grec a l’intention de ‘profiter’ de l’effet médiatique du premier patient de Covid au camp de #Moria pour transformer le #RIC de Moria à une sorte de Guantanamo, écrit le quotidien grec Efimerida tôn Syntaktôn :

      « Le Ministre de l’Immigration Notis Mitarakis y voit une opportunité de promouvoir la transformation de Centres de réception et Identification en structures pénitentiaires fermées, en imposant comme modèle les plans de la structure de Samos en cours de construction. Si on se fie aux déclarations du ministre lors de sa rencontre avec les chefs des factions municipales de Chios sur l’avenir de hot-spot de VIAL, les hot-spots auront une double clôture avec une zone morte de six mètres de large, toute entrée et sortie seront contrôlées avec carte et empreintes digitales, l’ensemble du camp sera sous surveillance par une système panoramique de caméras 24h / 24, il y aura même un système de contrôle des bagages équivalent à celui des aéroports et, bien sûr le « trou noir de droits » appelé PROKEKA [les centres de détention fermés avant renvoi] où seront détenus pour un laps de temps indéterminé ceux qui ne remplissent pas les conditions d’obtention d’asile. Plus généralement on pourrait dire que les demandeurs d’asile dans ces centres pénitentiaires seront traités à l’avance comme des suspects de crimes graves et comme des détenus privés de leurs droits fondamentaux. »

      Le comble de l’affaire dans cette opération d’instrumentalisation d’un cas de Covid à l’Oliveraie de Moria est le fait que le patient est un réfugiés reconnu comme tel qui avait été obligé de retourner d’Athènes où il arrivait pas à vivre faute de moyens de subsistance et de logement à l’Oliveraie. Bref il n’était qu’une énième victime de la politique gouvernementale qui prive les réfugiés de tout moyen de subsistance juste un mois après l’obtention de l’asile (Voir aussi l’article de Libération )

      En effet les déclarations du Ministre de l’Immigration Mytarakis font d’autant plus froid dans le dos que 800.000 euros seront destinés à l’installation de clôtures tandis que le seul dispensaire du camp habilité à traiter de cas Covid reste fermé faute de personnel (voir EfSyn en grec). Qui plus est il y a déjà en cours un appel d’offre pour la location pour cinq ans de champs qui entourent le camp de Moria pour l’extension de celui-ci, même au-delà du camp informel de l’Oliveraie (voir stonisi.gr ).

      L’instrumentalisation de la peur que suscite la propagation du virus – avec 111 cas dans la population locale et cinq morts depuis le 12 août à Lesbos- va de pair avec l’annonce quasi-explicite de refoulements illégaux par des membres du gouvernement. Le 2 septembre, lors d’une conférence de presse, Mr Plakiotakis, ministre de la Marine avait présenté comme un exploit le fait que les gardes côtes grecques ont dissuadé-empêché 3000 personnes d’atteindre les côtes grecques pendant le seul mois d’août. Aux questions insistantes de journalistes qui voudraient savoir par quels moyens ont eu lieu ces opérations de dissuasion, le ministre a répondu par de faux-fuyants : « « Nos officiers opèrent toujours sur la base de la légalité, ils défendent les frontières maritimes de notre patrie, mais en respectant la vie humaine en mer. Il y a une réticence de la part de la Turquie à coopérer, elle ne respecte pas les termes fondamentaux de l’accord avec l’UE » avait-il dit. pour l’immigration " ( voir EfSyn en grec). Bref le gouvernement grec en est arrivé au point de se vanter –ne serait-ce qu’à mi- mots, de refoulements illégaux.

      #Lesbos

    • Refugee Covid case sparks ’closed camps’ fears on Lesbos

      Greek government suggests need for ‘closed and controlled’ structures but NGOs fear virus is pretext for increased restrictions.

      The first recorded coronavirus case in Moria refugee camp on Lesbos, where just under 13,000 people are living in a space designed for 3,000, has led to fears that the government will use the pandemic as a pretext to create closed camps.

      https://www.theguardian.com/global-development/2020/sep/04/refugee-covid-case-sparks-closed-camps-fears-on-lesbos

      #paywall

    • Les travaux de transformation de #hotspots en #centres_de_détention_fermés et contrôlés avancent à grand pas à #Lesbos et à #Chios. Le ministre Mitarakis a déjà signé à cette fin de contrats avec deux entreprises de construction qui se chargent d’y installer une double #clôture et de portiques de sécurité aux deux camps.

      (commentaire de Vicky Skoumbi via la mailing-list Migreurop, le 06.09.2020)

      Ci-dessous des extraits d’un article publié le 4 septembre au quotidien grec Efimérida tôn Syntaktôn (https://www.efsyn.gr/ellada/koinonia/258311_prota-synapse-symbaseis-kai-meta-ekane-dialogo) :

      Πρώτα σύναψε συμβάσεις και μετά έκανε « διάλογο »

      Le ministre de l’Immigration et de l’Asile Notis Mitarakis a déjà signé un accord avec les entreprises de construction TERNA et AKTOR pour les projets de conversion de hot-spots à Chios et à Lesbos en prisons pour réfugiés.

      Mettant en œuvre les décisions antérieures du gouvernement M. Mitarakis immédiatement après la réunion à la mairie de Chios a signé les contrats avec « TERNA » et « AKTOR », pour les travaux d’installation d’une double clôture autour du came VIAL et de celui de Moria, respectivement, qui transforment les RIC en prisons pour les demandeurs d’asile avec entrée et sortie contrôlées.

      Suivant la méthode d’affectation directe sans appel d’offre préalable, le ministère, pour le montant de 1 031 398 euros et avec un horizon temporel de deux mois, invite "TERNA Construction SA". à entreprendre le projet « Travaux préparatoires à la clôture et au nettoyage d’un stade sur l’île de Chios ».

      Publiée sur le site diavgeia.gov (Transparence), la lettre de garantie déposée par "TERNA d’un montant de 41 600 euros, a été émise depuis le 26/8, ce qui montre que tout a été décidé d’avance et le dialogue après-coup avec la société locale n’a été qu’une manœuvre de communication.

      Cependant, la question de la légalité des travaux demeure entière, puisque, comme on le sait, le camp de VIAL est sur un site qu’est la propriété de la municipalité de Chios, qui a fait appel auprès des tribunaux en déposant une action en évacuation contre le ministère et en demandant la restitution de l’espace, le contrat de concession correspondant ayant expiré depuis 20 mois. L’affaire est en attente de jugement depuis 18 mois maintenant et personne n’est en mesure de dire quand la procédure relative sera fixée.

      Il est à noter également que le contrat de concession entre la Commune de Chios et VIAL a été signé en 2015 sous la pression d’une situation urgente, mais, cinq ans plus tard personne ne peut prétendre que le besoin d’un site pour le RIC relève toujours d’une urgence et ne pouvait pas être prévu d’avance.

      Une décision similaire a été signée par le ministre de l’Immigration et de l’Asile, avec l’entreprise de construction "AKTOR", pour que celle-ci installe une double clôture autour du hot-spot de Moria Là, le coût a été fixé à 854 390,86 euros TTC et le contrat a été signé le mercredi 2 septembre. Respectivement, là aussi, la lettre de garantie bancaire d’un montant de 34 600 euros a été émise le 7 juillet, soit il y a presque deux mois !

      Reste à voir les réactions des communautés locales et en particulier de la commune de Chalkeia à Chios et de celle de Moria à Lesbos, qui depuis cinq ans ne cessent de manifester leur opposition à l’installation de RIC à la proximité de leur village.

      https://www.efsyn.gr/ellada/koinonia/258311_prota-synapse-symbaseis-kai-meta-ekane-dialogo

    • 2000 personnes qui auraient être en contact avec le réfugié somalien porteur du virus à l’ Oliveraie de Moria ;
      A ce jour nous avons le résultat de 1.600 tests de dépistage et pour 17 personnes les résultats ont été positifs
      voir en grec https://www.stonisi.gr/post/11213/17-kroysmata-koronoioy-sth-moria-realtime
      17 cas cela ne serait pas dramatique dans des conditions normales, mais avec le surpeuplement, la quasi-inexistence d’infrastructures sanitaires surtout à la partie informel du camp, l’Oliveraie, c’est extrêmement inquiétant, d’autant plus que rien n’est prévu pour l’instant pour la mise en quarantaine de porteur et la prise en charge de malades, d’autant plus que l’hôpital de Mytilène est déjà débordé par la recrudescence de cas dans la population locale, suite aux cérémonies religieuses du 15 août
      Et l’unité de soins Covid de Moria inaugurée en grande pompe par la Présidente de la République il y a une dizaine de jours n’est toujours pas fonctionnelle.

      Message de Vicky Skoumbi via la mailing-list Migreurop, le 07.09.2020

  • Outbreak reported at Athens children’s home

    Teams of health workers were dispatched on Monday to a home for unaccompanied refugee children in Athens in a bid to contain an outbreak of #Covid-19.

    According to the General Secretariat for Civil Protection, the outbreak at the shelter in the eastern suburb of #Vyronas was detected on Monday after an unnamed individual presented symptoms of the highly contagious novel coronavirus, the Athens-Macedonian News Agency (ANA-MPA) reported.

    By Monday night, 20 children and eight workers at the facility had tested positive for the virus and just five tested negative, while more results were expected, indicating that the outbreak is quite severe.

    The shelter has been put under strict quarantine and tracing has commenced to identify any other people its workers and residents come into contact with.

    https://www.ekathimerini.com/256423/article/ekathimerini/news/outbreak-reported-at-athens-childrens-home
    #coronavirus #contamination #asile #migrations #réfugiés #MNA #mineurs_non_accompagnés #hébergement #Athènes #Grèce #contaminations #covid-19

    –—

    Contaminations dans 2 autres centres d’accueil pour migrant·es :
    – Lesbos : https://seenthis.net/messages/872979
    – Chios (#Vial) : https://seenthis.net/messages/871934

    • IRC calls for urgent evacuation of the most vulnerable refugees, as first Coronavirus case confirmed in Moria

      The first case of COVID-19 has been confirmed in Moria camp, on the Greek island of Lesvos, where over 12,000 refugees remain crammed inside and around the camp, despite numerous demands for evacuation.

      Overcrowding and limited access to clean water and washing facilities have left tens of thousands of people across the Greek islands vulnerable and exposed to the virus. COVID-19 could spread rapidly and those at risk, including the elderly, pregnant women and those with underlying health conditions, must be urgently evacuated to safety before it is too late. In the meantime, they should be ensured access to all measures of protection and medical assistance that Greek people have.

      The International Rescue Committee (IRC) is working to provide hygiene materials and sanitation facilities to asylum seekers on Lesvos, and has installed a COVID-19 triage centre outside Moria. Our teams also provide mental health support to asylum seekers living in reception facilities across three Aegean islands, where clients have reported a sense of abandonment as a result of the continuous lockdown measures since March, and the undignified conditions they live in.

      Dimitra Kalogeropoulou, IRC Greece Director, said:

      “By now, we know the devastating impact this virus can have on individuals, families and whole communities. People across the globe have been urged to distance themselves from each other in order to prevent its spread, but social distancing and basic hygiene measures like handwashing are simply impossible to adhere to in Moria, where thousands of people live in close proximity to each other with inadequate access to running water and soap.

      “As many people can be carrying the virus but not show any symptoms, it is possible there are more cases of coronavirus that have not been diagnosed. An urgent increase of healthcare and sanitation services is required, including sufficient space for isolation and quarantine.

      “For too long people have been forced to live in camps with severe overcrowding and poor sanitation, waiting for months for the decision on their asylum claims. The ultimate answer to preventing the spread of COVID-19 is through the immediate evacuation of the most vulnerable cases from the camps to safe accommodation. It is untenable that even now, people are forced to live on top of each other.”

      Our experience has shown that the COVID-19 outbreak has amplified the vulnerabilities of people seeking protection. Their dire situation during this public health crisis highlights the need to move away from ‘business as usual’, in order to promote long-term and humane solutions. European leadership is required more than ever before, whether when cooperating on health issues or to ensure those in need are protected and empowered in these difficult times.

      The IRC has provided mental health support to asylum seekers living in Lesvos, Samos and Chios since 2018. Since the outbreak of Covid-19, the IRC has scaled up its presence in Lesvos in direct response to the coronavirus outbreak, and a team of new staff members now responsible for key hygiene and health initiatives in Moria, including regular garbage collection and the installation of 24 portable toilets and water points.

      https://reliefweb.int/report/greece/irc-calls-urgent-evacuation-most-vulnerable-refugees-first-coronavirus-ca

    • #Moria camp placed under quarantine after Covid-19 case

      Moria camp on the eastern Aegean island of Lesvos was placed under quarantine on Wednesday after officials confirmed the first coronavirus case in the notoriously overcrowded facility.

      The patient, a 40-year old refugee from Somalia, has been put in isolation, officials said.

      Meanwhile, a team of experts from Greece’s National Organization of Public Health (EODY) were trying to trace the people he had contacted.

      Greece’s total number of confirmed coronavirus cases on Tuesday stood at 10,524, with 271 dead.

      https://www.ekathimerini.com/256484/article/ekathimerini/news/moria-camp-placed-under-quarantine-after-covid-19-case
      #Lesbos

    • Les premiers résultats de tests Covid-19 effectués sur les personnes vivant aux alentours de la tente du réfugié somalien hospitalisé montrent deux autres cas infectés sur les 500. 1500 tests supplémentaires ont été effectués et sont actuellement en cours d’analyse. Voir (en grec) https://www.stonisi.gr/post/11161/alla-dyo-kroysmata-koronoioy-sto-kyt-ths-morias-realtime

      Au même moment les résidents du camp de #Moria ont refusé pendant deux jours de prendre les plateaux repas qui leur sont distribués, en signe de protestation contre la quarantaine imposée. Ils dénoncent aussi leur impossibilité de se procurer de quoi se nourrir dans les supérettes improvisées qui fonctionnent dans le camp ainsi que la très mauvaise qualité de la nourriture distribuée. Ils protestent également contre la baisse de leur allocation mensuelle qui est passé de 90 à 75 euros. Aux dernières nouvelles les réfugiés ont cessé cette forme de protestation en prenant part à la distribution du repas du soir

      Source en grec https://www.stonisi.gr/post/11170/diamartyries-sth-moria

      Mail de Vicky Skoumbi via la mailing-list Migreurop, le 06.09.2020

    • 243 Covid-19 cases detected at #Kara_Tepe facility

      A total of 243 coronavirus cases have been detected at the new temporary facility on the Greek island of Lesvos, government spokesman Stelios Petsas said Monday.

      He said authorities have conducted a total of 7,064 rapid tests at the tent camp – set up at Kara Tepe near the port of Mytilene after a blaze destroyed the Moria camp – which currently accommodates 9,200 people according to government estimates.

      The average age of the Covid-19 patients at Kara Tepe is 24 years old and most are asymptomatic, he said.

      A total 160 police and administrative staff all tested negative, he said.

      Petsas said the positive cases from Kara Tepe would be added to the country’s official Covid-19 figures released later in the day.

      https://www.ekathimerini.com/257196/article/ekathimerini/news/243-covid-19-cases-detected-at-kara-tepe-facility

    • Plus de 240 exilés positifs au Covid dans le camp provisoire de #Lesbos

      Sur les 7 000 demandeurs d’asile testés au coronavirus ces derniers jours à Lesbos en Grèce, plus de 240 sont contaminés, selon une agence sanitaire publique. Un nouveau camp de fortune érigé après que Moria a été réduit en cendres il y a dix jours compte déjà plus de 9 000 personnes pour une capacité totale de 10 000.

      Le nombre de demandeurs d’asile testés positifs au nouveau coronavirus est en forte augmentation ces derniers jours sur l’île grecque de Lesbos : plus de 240 exilés résidant dans un camp provisoire érigé à la hâte la semaine dernière après les incendies du centre d’hébergement pour migrants de Moria ont été contaminés, a annoncé lundi 21 septembre l’agence sanitaire publique Eody, citée par l’AFP.

      Sur les 7 000 personnes testées, « 243 nouvelles infections ont été découvertes », a révélé cet organisme dans un communiqué. Les tests effectués sur 120 policiers et 40 membres du personnel présents sur place ont en revanche été négatifs, selon la même source.

      Chassés de Moria par les flammes des incendies survenues les 8 et 9 septembre, des milliers de personnes ont d’abord trouvé refuge au bord des routes, dans des champs ou encore des bâtisses abandonnées. Sous la pression policière menaçant de ne pas traiter leur dossier de demande d’asile, les sans-abri ont accepté à partir de jeudi dernier de se réinstaller dans un nouveau camp de fortune situé sur un ancien champ de tir à trois kilomètres du port de Mytilène, le chef-lieu de Lesbos.
      D’une capacité maximale de 10 000, ce camp censé être provisoire compte déjà 9 000 personnes. On estime qu’au moins 12 700 exilés ont perdu leur logement de fortune depuis les incendies de Moria. Selon les autorités, le nouveau complexe souffre déjà d’un manque de couchages et est équipé d’installations sanitaires rudimentaires.

      Jusqu’à présent le nombre de contaminations dans le camp de Moria était resté relativement faible au regard des conditions de surpopulation et d’insalubrité des lieux. Pour autant, les camps de migrants et de réfugiés en Grèce sont strictement confinés depuis la mi-mars pour cause du Covid-19 alors que le reste de ce pays est retourné à la normalité début mai. Une situation dénoncée à maintes reprises par des ONG comme Amnesty International.

      Le ministre grec des Migrations Notis Mitarachi a promis lundi devant le parlement qu’un nouveau camp, « moderne » et « sûr », verrait le jour à Lesbos. Et que les responsables des incendies seraient expulsés. Six jeunes demandeurs d’asile afghans, accusés d’en être à l’origine, ont été placés en détention provisoire. Ils sont inculpés d’"incendie volontaire".

      https://www.infomigrants.net/fr/post/27451/plus-de-240-exiles-positifs-au-covid-dans-le-camp-provisoire-de-lesbos

    • Υγειονομικός αποκλεισμός στη ΒΙΑΛ της Χίου μόνο για πρόσφυγες

      Σε καραντίνα δεν τέθηκαν οι εργαζόμενοι που είχαν έρθει σε επαφή με τα δύο κρούσματα κορονοϊού στις έγκυες.

      « Καραντίνα μόνο για πρόσφυγες » εφαρμόζει το Υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου στη ΒΙΑΛ της Χίου, εξαιρώντας από τα μέτρα τους εργαζόμενους που δουλεύουν σε ευαίσθητους τομείς, όπως τους υπαλλήλους της Υπηρεσίας Πρώτης Υποδοχής, της Υπηρεσίας Ασύλου αλλά και τις δύο μαίες που χθες συνέχιζαν να εργάζονται κανονικά προτού διακόψουν και μάλιστα αιφνιδιαστικά, υπό το πρόσχημα της απεντόμωσης.

      Τα δύο κρούσματα κορονοϊού στις έγκυες και τα πολλαπλά στις επαφές τους έθεσαν το ΚΥΤ σε υγειονομικό αποκλεισμό, αλλά και εξέθεσαν πλήρως την αδυναμία διαχείρισης της κατάστασης έκτακτης ανάγκης στη ΒΙΑΛ.

      Χαρακτηριστικό παράδειγμα οι δύο μαίες που έχει διαθέσει ο ΕΟΔΥ, οι οποίες συνέχισαν να δέχονται επισκέψεις εγκύων, παρά το γεγονός ότι είχαν έρθει σε επαφή με τις ήδη διεγνωσμένες γυναίκες, εκθέτοντας έτσι τον εαυτό τους αλλά και το σύνολο των εγκύων σε κίνδυνο.

      Ξαφνικά οι έγκυες που περίμεναν τη σειρά τους στο ιατρείο πήραν εντολή να βγουν από τον χώρο προκειμένου, όπως τους είπαν, να γίνει « απεντόμωση ». Σύμφωνα με πληροφορίες, τελικά επρόκειτο για απολύμανση, όπως ήταν φυσικό.

      Πλήρης ασυνεννοησία επικράτησε και στην Υπηρεσία Ασύλου, αφού η πλειονότητα αν όχι το σύνολο των εργαζομένων, έχοντας υπόψη τους από χθες την ΚΥΑ περί υγειονομικού αποκλεισμού, δεν πήγαν στην εργασία τους.

      Ωστόσο, μόλις στις 7.20 το πρωί ενημερώθηκαν ότι θα συνεχίσουν να εργάζονται κανονικά και έτσι σταδιακά από το μεσημέρι οι εργαζόμενοι άρχισαν να εμφανίζονται στις θέσεις τους, την ώρα που είχαν περάσει πια τα προγραμματισμένα ραντεβού για συνεντεύξεις με πρόσφυγες. Εννοείται ότι κανείς μέχρι χθες δεν ήταν σε θέση να πει με βεβαιότητα πότε και αν θα πραγματοποιηθούν οι συγκεκριμένες συνεντεύξεις.

      Στο μεταξύ, μόλις χθες το μεσημέρι το υπουργείο αποφάσισε να υπογράψει τελικά την παροχή των 300.000 ευρώ προς την Περιφέρεια Βορείου Αιγαίου, ώστε να ανοίξει η κάνουλα του Γενικού Λογιστηρίου και να εκταμιευθούν τα χρήματα που προορίζονται για προσλήψεις του απαραίτητου ιατρικού προσωπικού στα ΚΥΤ των νησιών της Περιφέρειας Βορείου Αιγαίου καθώς και για προμήθειες υλικού αντιμετώπισης της πανδημίας.

      Παρόλο που το σχετικό ΦΕΚ είχε υπογραφεί εδώ και καιρό και επιπλέον το ποσό αυτό είχε εγγραφεί στον προϋπολογισμό της Περιφέρειας, ο περιφερειάρχης Κώστας Μουτζούρης είχε αρνηθεί να προχωρήσει στις προσλήψεις και τις προμήθειες προτού να δει το ρευστό στους τραπεζικούς λογαριασμούς της οικονομικής του υπηρεσίας. Με αποτέλεσμα να στερούνται τα ΚΥΤ την παρουσία γιατρών όλο αυτό το κρίσιμο, όπως αποδείχθηκε, διάστημα.

      https://www.efsyn.gr/ellada/koinonia/264424_ygeionomikos-apokleismos-sti-bial-tis-hioy-mono-gia-prosfyges

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      Traduction reçu via la mailing-list Migreurop :

      Les employées entrées en contact avec les deux femmes enceintes porteuses de coronavirus n’ont pas été mis en quarantaine.

      La « Quarantaine uniquement pour les réfugiés » est appliquée par le Ministère de l’Immigration et de l’Asile au hot-spot de VIAL à Chios : les mesures de confinement ne concernent pas les employés du camp qui travaillent dans les secteurs sensibles, comme les employés du Premier Service d’Accueil, du Service d’Asile, mais aussi les deux sages-femmes qui avaient continué à travailler hier normalement avant qu’ils ne s’arrêtent, et même brusquement, sous prétexte de désinfestation.

      Les deux femmes enceintes dépistées positives au coronavirus et les multiples cas parmi leurs contacts placent le Centre de Réception et d’Identification en quarantaine sanitaire, mais le manque de mesures appropriées concernant les employés du camp ont mis en évidence l’incapacité des autorités de gérer la situation d’urgence à VIAL.

      Un exemple typique est cela est le fait que les deux sages-femmes qui avaient été en contact avec les femmes enceintes déjà diagnostiquées, ont continué à recevoir des visites de femmes enceintes, exposant ainsi toutes les femmes enceintes mais aussi s’exposant ainsi elles-mêmes au risque de contamination.

      Le dispensaire gynécologique a fini par fermer pour une opération de désinfestation, mais bien après avoir fonctionné plusieurs heures d’affilés.

      Une incompréhension totale a également prévalu au sein du Service d’Asile, puisque la majorité sinon la totalité des salariés, ayant en tête la décision gouvernementale de confinement sanitaire, ne sont pas allés travailler.

      Cependant, ce n’est qu’à 7 h 20 du matin qu’ils ont été informés qu’ils devraient continuer à travailler normalement et donc progressivement à partir de midi les employés ont commencé à apparaître à leur poste de travail, au moment où les rendez-vous prévus pour les entretiens avec les réfugiés étaient passés. Il va sans dire que jusqu’à hier, personne n’était en mesure de dire avec certitude quand et si les entretiens spécifiques auront lieu.

      En attendant, hier à midi, le ministère a finalement décidé de signer la provision de 300.000 euros à la Région Nord-Égée, afin d’ouvrir la voie à la Comptabilité Générale de débourser l’argent destiné au recrutement du personnel médical nécessaire aux hot-spots des îles de la Région nord de la mer Égée ainsi qu’à la fourniture de matériel de protection contre la pandémie.

    • Chios camp in quarantine after at least 30 test positive for COVID-19

      The Vial camp on the Greek island of Chios has been placed under strict quarantine measures again after it was reported that at least 30 migrants had tested positive for COVID-19.

      The Greek Migration Ministry announced on Wednesday, October 14 that it would be placing the migrant camp at Vial on the Greek island of Chios under quarantine again, after at least 30 migrants reportedly tested positive for COVID-19.

      According to the news agency dpa, the quarantine measures will be in place until at least October 21. The ministry said it was now carrying out “extensive health checks.”

      This is the second time the camp on Chios has been placed under quarantine. In August the camp was placed under quarantine after first a Yemeni man and a female employee were reported to have tested positive and then three more residents found they had the virus.

      Unable to leave camp

      In August this year, the UN Refugee Agency UNHCR confirmed that there were some 121,400 migrants and refugees in Greece. About 27,700 of those were on the Greek islands and about 3,000 people were thought to be in the Chios camp at the time. At that point the camp was holding about two thirds more than its capacity.

      According to Daily Sabah, a Turkish newspaper, all migrants in the camp will be prevented from leaving its confines and only a “small number of staff members may enter the camp.” Daily Sabah estimates that there are currently “over 3,800 asylum seekers living at the Vial camp.”

      Coronavirus in Greece

      Greece has so far had relatively few cases of coronavirus compared with many other countries in Europe. According to World Health Organization data, between January 3 and October 14 this year, there were 23,060 confirmed cases of COVID-19 and 462 deaths.

      However, cases in Greece, like in many other countries, are rising. The country recorded the highest number of daily deaths so far this year on October 12, with 13 people dying from or with COVID-19.

      https://www.infomigrants.net/en/post/27938/chios-camp-in-quarantine-after-at-least-30-test-positive-for-covid-19

  • Grèce : nouvelle extension du confinement dans les #camps de demandeurs d’asile

    En Grèce, les autorités ont à nouveau prolongé le confinement des principaux camps de demandeurs d’asile pour 15 jours supplémentaires, soit jusqu’au 21 juin. C’est la troisième fois que ce confinement est prolongé depuis le mois de mai, officiellement en raison de la lutte contre la pandémie de coronavirus. Un virus qui a pourtant relativement épargné le pays, où moins de 200 victimes ont été recensées depuis le début de la crise sanitaire.

    C’est début mai que le confinement de la population grecque a été levé. Depuis, celui-ci se poursuit pourtant dans les centres dits « d’accueil et d’identification » de demandeurs d’asile. Des camps où s’entassent au total près de 35 000 personnes et qui se situent sur cinq îles de la mer Égée - à l’image de #Moria sur l’île de #Lesbos - ou à la frontière terrestre avec la Turquie, comme le centre de l’#Evros.

    Officiellement, il s’agit pour les autorités grecques de lutter contre la propagation du coronavirus. Or, parmi l’ensemble des demandeurs d’asile, seuls quelques dizaines de cas ont été signalés à travers le pays et aucune victime n’a été recensée.

    Avant la crise sanitaire, la tension était vive en revanche sur plusieurs îles qui abritent des camps, en particulier à Lesbos fin février et début mars. Une partie de la population locale exprimait alors son ras-le-bol, parfois avec violence, face à cette cohabitation forcée.

    Athènes a d’ailleurs l’intention de mettre prochainement en place de premiers centres fermés ou semi-fermés. Notamment sur l’île de Samos et à Malakassa, au nord de la capitale. La prolongation répétée du confinement pour plusieurs dizaines de milliers de demandeurs d’asile semble ainsi s’inscrire dans une logique parallèle.

    http://www.rfi.fr/fr/europe/20200607-gr%C3%A8ce-nouvelle-extension-confinement-les-camps

    #asile #migrations #réfugiés #extension #prolongation #confinement #coronavirus #covid-19 #Grèce #camps_de_réfugiés

    ping @luciebacon @karine4 @isskein

    • Νέα παράταση εγκλεισμού στα ΚΥΤ των νησιών με πρόσχημα τον κορονοϊό

      Αν δεν υπήρχε ο κορονοϊός, η κυβέρνηση θα έπρεπε να τον είχε εφεύρει για να μπορέσει να περάσει ευκολότερα την ακροδεξιά της ατζέντα στο προσφυγικό.

      Από την αρχή της εκδήλωσης της πανδημίας του κορονοϊού η κυβέρνηση αντιμετώπισε την πανδημία όχι σαν κάτι από το οποίο έπρεπε να προστατέψει τους πρόσφυγες και τους μετανάστες που ζουν στις δομές, αλλά αντιθέτως σαν άλλη μια ευκαιρία για να τους στοχοποιήσει σαν υποτιθέμενη υγειονομική απειλή. Εξού και δεν πήρε ουσιαστικά μέτρα πρόληψης και προστασίας των δομών, αγνοώντας επιδεικτικά τις επείγουσες συστάσεις ελληνικών, διεθνών και ευρωπαϊκών φορέων.

      Δεν προχώρησε ούτε στην άμεση εκκένωση των Κέντρων Υποδοχής και Ταυτοποίησης από τους περισσότερους από 2.000 πρόσφυγες και μετανάστες που είναι ιδιαίτερα ευπαθείς στον κορονοϊό - άνθρωποι ηλικιωμένοι ή με χρόνια σοβαρά προβλήματα υγείας. Αντιθέτως, ανέβαλε στην πράξη με προσχηματικές αοριστολογίες ή και σιωπηρά για τουλάχιστον δύο μήνες τη σχετική συμφωνία που είχε κάνει το υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου με την κυρία Γιόχανσον στις αρχές Απριλίου.

      Με άλλα λόγια, αν δεν υπήρχε ο κορονοϊός, η κυβέρνηση θα έπρεπε να τον είχε εφεύρει για να μπορέσει να περάσει ευκολότερα την ακροδεξιά της ατζέντα στο προσφυγικό. Στην πραγματικότητα, αυτό ακριβώς κάνει ο υπουργός Μετανάστευσης και Ασύλου : χρησιμοποιεί την πανδημία του κορονοϊού για να παρατείνει ξανά και ξανά την καραντίνα σε δομές. Ιδίως στα Κέντρα Υποδοχής και Ταυτοποίησης στα νησιά, όπου εξελίχθηκαν σε φιάσκο οι άτσαλες και βιαστικές απόπειρες του υπουργού Νότη Μητασράκη και του υπουργού Προστασίας του Πολίτη Μιχάλη Χρυσοχοΐδη να επιβάλουν με επιτάξεις, απευθείας αναθέσεις και άγρια καταστολή έργα πολλών δεκάδων εκατομμυρίων ευρώ για τη δημιουργία νέων Κέντρων Υποδοχής και Ταυτοποίησης, πολλαπλάσιας χωρητικότητας από ατυτή των σημερινών.

      Η επιβολή καραντίνας στα ΚΥΤ στα νησιά ξεκίνησε στις 24 Μαρτίου, αρκετά πριν την επιβολή καραντίνας στο γενικό πληθυσμό, και από τότε ανανεώνεται συνεχώς. Το Σάββατο 20 Ιουνίου οι υπουργοί Μηταράκης και Χρυσοχοΐδης έδωσαν άλλη μια παράταση υγειονομικού αποκλεισμού των ΚΥΤ μέχρι τις 5 Ιουλίου, οπότε και θα συμπληρωθούν 3,5 μήνες συνεχούς καραντίνας. Τουλάχιστον για τα μάτια των ξενοφοβικών, καθώς στην πράξη οι αρχές αδυνατούν να επιβάλουν καραντίνα σε δομές που εξαπλώνονται σε μεγάλη έκταση έξω από τους οριοθετημένους χώρους των ΚΥΤ.

      Οι υπουργοί ανακοίνωσαν επίσης παράταση της καραντίνας στις δομές της Μαλακάσας, της Ριτσώνας και του Κουτσόχερου, όπου είχαν εμφανιστεί κρούσματα πριν από πολλές εβδομάδες, και έκτοτε δεν υπάρχει ενημέρωση για νέα κρούσματα μέσα στις δομές, παρόλο που έχει παρέλθει προ πολλού το προβλεπόμενο χρονικό όριο της καραντίνας.

      Πρόκειται για σκανδαλωδώς προκλητική διαχείριση, επικοινωνιακή και μόνο, τόσο του προσφυγικού και μεταναστευτικού όσο και του ζητήματος του κορονοϊού.

      https://www.efsyn.gr/node/248622

      #hotspot #hotpspots

      –—

      Avec ce commentaire de Vicky Skoumbi, reçu le 21.06.2020 via la mailing-list Migreurop :

      Sous des prétexte fallacieux, le gouvernement prolonge une énième fois les mesures de restriction de mouvement pour les résidents de hotspots dans les #îles et pour trois structures d’accueil au continent, #Malakasa, #Ritsona et #Koutsohero. Le 5 juillet, date jusqu’à laquelle court cette nouvelle #prolongation, les réfugiés dans les camps auront passés trois mois et demi sous #quarantaine. Je rappelle que depuis au moins un mois la population grecque a retrouvé une entière liberté de mouvement. Il est fort à parier que de prolongation en prolongation tout le reste de l’été se passera comme cela, jusqu’à la création de nouveaux centres fermés dans les îles. Cette éternisation de la quarantaine -soi-disant pour des raisons sanitaires qu’aucune donné réel ne justifie, transforme de fait les hotspots en #centres_fermés anticipant ainsi le projet du gouvernement.

      #stratégie_du_choc

    • Pro-migrant protests in Athens as Greece extends lockdown

      Following protests in Athens slamming the government for its treatment of migrants, the Greek government over the weekend said it would extend the COVID-19 lockdown on the migrant camps on Greek Aegean islands and on the mainland.

      Greece has extended a coronavirus lockdown on its migrant camps for a further two weeks. On Saturday, Greece announced extension of the coronavirus lockdown on its overcrowded and unsanitary migrant camps on its islands in the Aegean Sea for another fortnight.

      The move came hours after some 2,000 people protested in central Athens on Saturday to mark World Refugee Day and denounced the government’s treatment of migrants.

      The migration ministry said migrants living in island camps as well as those in mainland Greece will remain under lockdown until July 5. It was due to have ended on Monday, June 22, along with the easing of general community restrictions as the country has been preparing to welcome tourists for the summer.

      The Greek government first introduced strict confinement measures in migrant camps on March 21. A more general lockdown was imposed on March 23; it has since been extended a number of times. No known coronavirus deaths have been recorded in Greek migrant camps so far and only a few dozen infections have surfaced. Rights groups have expressed concern that migrants’ rights have been eroded by the restrictions.

      On May 18, the Greek asylum service resumed receiving asylum applications after an 11-week pause. Residence permits held by refugees will be extended six months from their date of expiration to prevent the service from becoming overwhelmed by renewal applications.

      ’No refugee homeless, persecuted, jailed’

      During the Saturday protests, members of anti-racist groups, joined by residents from migrant camps, marched in central Athens. They were holding banners proclaiming “No refugee homeless, persecuted, jailed” and chanting slogans against evictions of refugees from temporary accommodation in apartments.

      More than 11,000 refugees who have been living in reception facilities for asylum seekers could soon be evicted. Refugees used to be able to keep their accommodation for up to six months after receiving protected status.

      But the transitional grace period was recently reduced significantly: Since March of this year, people can no longer stay in the reception system for six months after they were officially recognized as refugees — they only have 30 days.

      Refugee advocacy groups and UNHCR have expressed concern that the people evicted could end up homeless. “Forcing people to leave their accommodation without a safety net and measures to ensure their self-reliance may push many into poverty and homelessness,” UNHCR spokesperson Andrej Mahecic said last week.

      The government insists that it is doing everything necessary “to assure a smooth transition for those who leave their lodgings.”

      Moreover, UNHCR and several NGOs and human rights groups have spoken out to criticize the Greek government’s decision to cut spending on a housing program for asylum seekers by up to 30%. They said that it means less safe places to live for vulnerable groups.

      Asylum office laments burden, defends action

      In a message for World Refugee Day, the Ministry for Migration and Asylum said Greece has found itself “at the centre of the migration crisis bearing a disproportionate burden”, news agency AFP cites.

      “The country is safeguarding the rights of those who are really persecuted and operates as a shield of solidarity in the eastern Mediterranean,” it added.

      Government officials have repeatedly said Greece must become a less attractive destination for asylum seekers.

      The continued presence of more than 36,000 refugees and asylum seekers on the islands — over five times the intended capacity of shelters there — has caused major friction with local communities who are demanding their immediate removal.

      An operation in February to build detention centers for migrants on the islands of Lesbos and Chios had to be abandoned due to violent protests.

      Accusations of push-backs

      Greece has also been repeatedly accused of illegal pushbacks by its forces at its land and sea borders, which according to reports have spiked since March.

      On land, a Balkans-based network of human rights organizations said migrants reported beatings and violent collective expulsions from inland detention spaces to Turkey on boats across the Evros River. In the Aegean, a recent investigation by three media outlets claims that Greek coast guard officers intercept migrant boats coming from Turkey and send them back to Turkey in unseaworthy life rafts.

      Athens has repeatedly denied using illegal tactics to guard its borders, and has in turn accused Turkey of sending patrol boats to escort migrant boats into its waters.

      According to UNHCR, around 3,000 asylum seekers arrived in Greece by land and sea since the start of March, far fewer people than over previous months. Some 36,450 refugees and asylum seekers are currently staying on the Aegean islands.

      https://www.infomigrants.net/en/post/25521/pro-migrant-protests-in-athens-as-greece-extends-lockdown

      #résistance

    • Greek government must end lockdown for locked up people on Greek islands

      COVID-19-related lockdown measures have had an impact on the lives of everyone around the world and generated increasing levels of stress and anxiety for many of us. However, the restriction of movement imposed in places like Moria and Vathy, on the Greek islands, have proven to be toxic for the thousands of people contained there.

      When COVID-19 reached Greece, more than 30,000 asylum seekers and migrants were contained in the reception centres on the Greek islands in appalling conditions, without access to regular healthcare or basic services. Médecins Sans Frontières (MSF) runs mental health clinics on the islands.

      In March 2020, a restriction of movement imposed by the central government in response to COVID-19 has meant that these people, 55 per cent of whom are women and children, have essentially been forced to remain in these overcrowded and unhygienic centres with no possibility to escape the dangerous conditions which are part of their daily life.

      Despite the fact that there have been zero cases of COVID-19 in any of the reception centres on the Greek islands, and that life has returned to normal for local people and tourists alike, these discriminatory measures for asylum seekers and migrants continue to be extended every two weeks.

      Today, these men, women and children continue to be hemmed in, in dire conditions, resulting in a deterioration of their medical and mental health.

      “The tensions have increased dramatically and there is much more violence since the lockdown, and the worst part is that even children cannot escape from it anymore,” says Mohtar, the father of a patient from MSF’s mental health clinic for children. “The only thing I could do before to help my son was to take him away from Moria; for a walk or to swim in the sea, in a calm place. Now we are trapped.”

      MSF cannot stay silent about this blatant discrimination, as the restriction of movement imposed on asylum seekers dramatically reduces their already-limited access to basic services and medical care.

      In the current phase of the COVID-19 epidemic in Greece, this measure is absolutely unjustified from a public health point of view – it is discriminatory towards people that don’t represent a risk and contributes to their stigmatisation, while putting them further at risk.

      “The restrictions of movement for migrants and refugees in the camp have affected the mental health of my patients dramatically,” says Greg Kavarnos, a psychologist in the MSF Survivors of Torture clinic on Lesbos. “If you and I felt stressed and were easily irritated during the period of the lockdown in our homes, imagine how people who have endured very traumatic experiences feel now that they have to stay locked up in a camp like Moria.”

      “Moria is a place where they cannot find peace, they cannot find a private space and they have to stand in lines for food, for the toilet, for water, for everything,” says Kavarnos.

      COVID-19 should not be used as a tool to detain migrants and refugees. We continue to call for the evacuation of people, especially those who belong to high-risk groups for COVID-19, from the reception centres to safe accommodation. The conditions in these centres are not acceptable in normal times however, they have become even more perilous pits of violence, sickness, and misery when people are unable to move due to arbitrary restrictions.

      https://www.msf.org/covid-19-excuse-keep-people-greek-islands-locked

    • La Grèce prolonge à nouveau le confinement dans les camps de migrants

      Athènes a annoncé vendredi une prolongation jusqu’à la fin du mois d’août du confinement dans les camps de migrants installés sur ses îles et le continent. Le pays connaît une hausse du nombre d’infections mais aucun décès n’a encore été enregistré dans les camps de migrants.

      Les camps de migrants de Grèce resteront confinés au moins jusqu’à la fin du mois d’août. Vendredi 31 juillet, le ministère des Migrations a déclaré que le confinement – entré en vigueur le 21 mars – sera prolongé jusqu’au 31 août "pour prévenir l’apparition et la diffusion des cas de coronavirus". Il s’agit de la 6e prolongation du confinement des camps de migrants, alors que la population grecque, elle, est sortie du confinement le 4 mai dernier.

      La Grèce, avec 203 décès dus au Covid-19, n’a pas été aussi sévèrement touchée que d’autres pays européens et aucun décès n’a été enregistré dans les camps de migrants.

      Mais ces derniers sont surpeuplés, en mer Egée particulièrement. Plus de 26 000 demandeurs d’asile y vivent, pour une d’une capacité d’accueil de moins de 6 100 places. Une situation qui génère de plus en plus de tensions avec la population locale.

      Néanmoins, la prolongation du confinement des seuls camps de migrants ne constitue pas moins une discrimination manifeste des droits des personnes migrantes, ont dénoncé de nombreuses ONG dans un communiqué publié le 17 juillet.

      “Nous sommes de plus en plus inquiets car les températures montent, nous sommes au milieu de l’été, et les migrants sont obligés de vivre dans des espaces saturés avec trop peu d’accès à l’hygiène, l’eau manque ainsi que les produits sanitaires dans la plupart des camps. Il y a un donc un risque que ces prolongement indéterminés provoquent d’importants problèmes sanitaires au sein des camps puisque les gens ne peuvent même plus sortir pour se faire soigner ou acheter des médicaments et des produits de première nécessité”, a indiqué à InfoMigrants Adriana Tidona, chercheuse spécialiste des questions migratoires en Europe pour Amnesty International.
      Augmentation du nombre de cas

      Si les autorités grecques veulent que les migrants restent dans des camps, elles invitent les touristes à venir dans le pays. Les aéroports grecs et les frontières ont ainsi été rouverts aux touristes étrangers. Or, ces mesures se sont accompagnées d’une augmentation du nombre de cas de Covid-19 dans le pays.

      Depuis le 1er juillet, plus de 340 cas confirmés ont été enregistrés parmi les près de 1,3 million de voyageurs entrant en Grèce, a indiqué mardi la protection civile

      Mardi, la Grèce a annoncé qu’elle rendait le masque obligatoire dans les magasins, les banques, les services publics et la quasi-totalité des lieux clos, en réponse à une résurgence des infections.


      https://www.infomigrants.net/fr/post/26383/la-grece-prolonge-a-nouveau-le-confinement-dans-les-camps-de-migrants

    • Grèce : prolongation du confinement dans les camps de migrants

      Plus de 24.000 demandeurs d’asile sont logés dans des camps insalubres, d’une capacité d’accueil de moins de 6100 places.

      La Grèce a annoncé vendredi 28 août une prolongation jusqu’au 15 septembre du confinement imposé aux migrants dans les camps aux portes d’entrée de l’Europe, sur les îles et à la frontière terrestre du pays, qui connaît une résurgence des cas de coronavirus. Le confinement des camps, entré en vigueur le 21 mars, sera prolongé jusqu’au 15 septembre « pour empêcher l’apparition et la propagation des cas de coronavirus », a déclaré le ministère des Migrations.

      La présence de plus de 24.000 demandeurs d’asile dans des camps insalubres, d’une capacité d’accueil de moins de 6100 places, situés sur les cinq îles de la mer Égée, est une source d’inquiétude pour les autorités.

      Mais les ONG ont plusieurs fois dénoncé l’enfermement des demandeurs d’asile dans ces structures qui ne sont pas adaptées pour mettre en place les mesures barrières nécessaires. Les nouveaux arrivants sur les îles grecques sont par ailleurs placés en quarantaine dans des structures séparées pour ne pas prendre le risque de contaminer tout le camp. Alors que les arrivées s’étaient taries pendant le confinement, elles ont repris légèrement pendant l’été.

      Dans la nuit de jeudi à vendredi, les gardes-côtes grecs ont entrepris une opération de sauvetage d’un voilier au large de l’île de Rhodes avec à bord 55 migrants. Mercredi, la police portuaire avait déjà effectué une opération similaire au large de l’île de Halki et avait secouru 96 personnes. Pour la troisième journée consécutive, des recherches se poursuivent pour retrouver un homme de 35 ans et son fils de 4 ans, portés disparus depuis le naufrage selon la mère de l’enfant. La Grèce, avec 254 décès dus au Covid-19, n’a pas été aussi sévèrement touchée que d’autres pays européens, et aucun décès n’a été enregistré dans les camps de migrants.

      https://www.lefigaro.fr/flash-actu/grece-prolongation-du-confinement-dans-les-camps-de-migrants-1-20200828

    • More camps locked down

      Migrant reception centers in #Thiva, central Greece, and Serres, in the country’s north, have been put on lockdown following outbreaks of the coronavirus.

      The lockdowns were announced on Saturday in a joint decision by the ministries of Migration, Citizens’ Protection and Health and are to remain in force until October 9 when they will be reviewed.

      Migrant facilities in Elaionas, Malakasa, Oinofyta, Ritsona, Schistos, Koutsohero and Fylakio, on the mainland, and on the islands of Samos and Leros are also under lockdown following outbreaks there.

      On Lesvos, following the destruction of the Moria camp in fires earlier this month, migrants have been transferred to a temporary facility where Covid-19 infected residents have been segregated.

      https://www.ekathimerini.com/257425/article/ekathimerini/news/more-camps-locked-down

  • Le business de l’#enfermement d’étrangers

    On estime à envi­ron quatre mil­lions le nombre de per­sonnes sans-papiers en Europe. Ces deux der­nières décen­nies, des dizaines de lieux d’en­fer­me­ment d’é­tran­gers, pour rai­sons admi­nis­tra­tives, ont été construits à tra­vers le conti­nent. En Belgique, on les appelle « centres fer­més », et une per­sonne peut y être déte­nue jus­qu’à 8 mois. De nom­breuses révoltes s’y suc­cèdent, à l’ins­tar de celles que l’Italie connaît depuis 2009. La crise sani­taire du Covid-19 les remet au devant de la scène : pour les condi­tions de déten­tion qui y règnent, l’ab­sur­di­té du main­tien de leur acti­vi­té alors que les fron­tières sont fer­mées (les mesures d’« éloi­gne­ment » ren­dues dès lors presque impos­sibles), mais aus­si pour les nou­velles émeutes qui y éclatent, en réac­tion à cette vio­lence poli­tique et ins­ti­tu­tion­nelle que rien ne semble vou­loir sus­pendre. Les centres fer­més, au cœur d’un nou­veau mar­ché ? ☰ Par Yanna Oiseau

    La pra­tique d’en­fer­me­ment d’é­tran­gers en Europe ne date pas des der­nières décen­nies : loin s’en faut. Le XXe siècle abonde en exemples. En France, l’his­toire de l’ins­ti­tu­tion de l’en­fer­me­ment a ain­si connu un tour­nant avec les camps de réfu­giés espa­gnols, fuyant la guerre civile des années 1930. Cette expé­rience sera déter­mi­nante pour les auto­ri­tés fran­çaises et leurs pra­tiques concen­tra­tion­naires durant la Seconde Guerre mon­diale : les mêmes lieux seront uti­li­sés et les logiques qui y auront été inau­gu­rées — comp­tage, fichage, ges­tion —, reprises1. En 1988, alors qu’au­cune loi belge n’au­to­ri­sait ni n’en­ca­drait l’en­fer­me­ment pour des rai­sons admi­nis­tra­tives, des étran­gers étaient déte­nus dans une ancienne base militaire2, tout près de l’aé­ro­port inter­na­tio­nal de Zaventem. La créa­tion offi­cielle des « centres fer­més » n’au­ra lieu qu’en 1993.

    On compte aujourd’­hui six struc­tures d’en­fer­me­ment d’é­tran­gers sur le ter­ri­toire belge, pou­vant déte­nir simul­ta­né­ment 700 per­sonnes der­rière des murs dou­blés de bar­be­lés. 8 000 per­sonnes se ver­raient ain­si enfer­mées, chaque année, dans ce pays qui défi­nit la déten­tion non comme une sanc­tion mais un moyen d’exécuter une mesure d’expulsion. Si ces struc­tures n’ont pas le carac­tère légal d’une pri­son — l’en­fer­me­ment n’in­ter­vient pas suite à une déci­sion judi­ciaire mais pour de simples rai­sons admi­nis­tra­tives —, elles en ont l’ap­pa­rence, la logique et le fonc­tion­ne­ment. En 2018, de fortes mobi­li­sa­tions citoyennes et asso­cia­tives, sous le slo­gan « On enferme pas un enfant. Point. », avaient per­mis la fer­me­ture de l’u­ni­té fami­liale nou­vel­le­ment amé­na­gée afin de réor­ga­ni­ser offi­ciel­le­ment l’en­fer­me­ment d’en­fants — une pra­tique que l’État belge avait aban­don­née en 2008 suite à une condam­na­tion de la Cour euro­péenne des droits de l’Homme. En mai 2017, le gou­ver­ne­ment belge a adop­té le pro­jet « mas­ter­plan de centres fer­més » de Théo Francken — un membre du par­ti natio­na­liste fla­mand N‑VA, notam­ment connu pour ses pro­pos racistes —, alors en poste au secré­ta­riat à l’a­sile et à la migra­tion, qui pré­voyait de dou­bler la capa­ci­té de réten­tion d’é­tran­gers d’i­ci à 2021. C’est dans cette pers­pec­tive qu’un centre fer­mé non mixte pour femmes a ouvert à #Holsbeek, en Flandres, le 7 mai 2019.

    Évolution des dispositifs d’enfermement

    Les pra­tiques d’ar­res­ta­tion et d’en­fer­me­ment, mais aus­si de trai­te­ment des arri­vées d’exi­lés, de migrants ou de réfu­giés — autre­ment dit de ces nou­velles figures de l’immigré3 —, ne cessent de bou­ger. Le fonc­tion­ne­ment des centres fer­més, tout comme ce qui peut s’y dérou­ler, est caché à la popu­la­tion : les visites sont très stric­te­ment contrô­lées (même les avo­cats n’en voient qu’une par­tie) ; les télé­phones munis d’un appa­reil pho­to sont confisqués4, etc. Deux col­lec­tifs de lutte contre les expul­sions et pour la régu­la­ri­sa­tion de tous les sans-papiers, la Coordination contre les rafles et les expul­sions pour la régu­la­ri­sa­tion (CRER) et Getting the Voice Out (GVO), très actifs, per­mettent d’en savoir plus. La CRER, née en 2001 suite à une grande rafle d’Équatoriens à Bruxelles, vise à appor­ter un sou­tien logis­tique aux luttes menées par les col­lec­tifs de sans-papiers. Ce groupe compte aujourd’­hui plu­sieurs dizaines de per­sonnes, les­quelles vont rendre visite à des déte­nus afin de leur appor­ter un sou­tien moral comme maté­riel. Il concentre ain­si une série d’in­for­ma­tions sur ce qui se déroule dans ces lieux. Avec les mili­tants de GVO (dont le site Internet dif­fuse régu­liè­re­ment des témoi­gnages de per­sonnes déte­nues), ils orga­nisent des actions : mani­fes­ta­tions, blo­cages, ras­sem­ble­ments devant les centres fer­més, etc. Cette expé­rience de ter­rain leur donne une vue sur un temps rela­ti­ve­ment long et leur per­met de témoi­gner de l’é­vo­lu­tion du fonc­tion­ne­ment interne des centres fer­més ain­si que des méthodes de répres­sion employées.

    Nous avons lon­gue­ment pu dis­cu­ter avec deux membres de ces groupes. Ils nous ont fait part des chan­ge­ments de pra­tiques dans ces lieux, en par­ti­cu­lier dans la ges­tion et la répres­sion des actions de résis­tance. Tous deux expliquent que des grèves de la faim col­lec­tives, par exemple, étaient mon­naie cou­rante il y a plu­sieurs années. Elles avaient le temps de gagner l’aile entière de l’é­ta­blis­se­ment, de se déployer sur plu­sieurs jours avant d’être répri­mées ; les contacts que la CRER entre­te­nait avec les déte­nus d’a­lors en attestent. En revanche, nous disent-ils, « main­te­nant, celui qui ose juste dire qu’il va faire une grève de la faim, ou qu’il veut mettre le feu, est immé­dia­te­ment mis au cachot ». Les embryons de luttes col­lec­tives se voient sans délai étouf­fés — sépa­ra­tion des groupes, mise en cel­lule d’i­so­le­ment, trans­fert de per­sonnes vers un autre centre fer­mé —, relé­guant tou­jours plus les per­sonnes vers des stra­té­gies indi­vi­duelles. Quant aux échecs de ten­ta­tives d’ex­pul­sion, elles ne semblent plus « cachées » aux autres déte­nus : « Jusqu’à récem­ment, lorsque l’expul­sion d’une per­sonne depuis le centre fer­mé échouait — du fait de la résis­tance de la per­sonne concer­née, de son refus d’embarquer, de la mobi­li­sa­tion des pas­sa­gers du vol ou d’une action de blo­cage à l’aé­ro­port —, elle n’é­tait pas rame­née dans le même éta­blis­se­ment d’en­fer­me­ment, mais on la trans­fé­rait dans un autre centre. » L’objectif sem­blait être de ne sur­tout pas encou­ra­ger la résis­tance des autres, ni leurs espoirs d’empêcher une expul­sion par la lutte. Actuellement, en revanche, les per­sonnes seraient rame­nées dans le même centre. Cette nou­velle manière de faire est-elle due à une perte de marge de manœuvre liée à un taux d’oc­cu­pa­tion trop éle­vé, ou bien relève-t-elle d’un chan­ge­ment tac­tique ?

    Les deux mili­tants de pour­suivre : si la mise en cel­lule d’i­so­le­ment reste, elle, une pra­tique cou­rante, son usage bouge lui aus­si. « Avant, ils ciblaient beau­coup les lea­ders ou les per­sonnes sup­po­sées telles, et les met­taient en iso­le­ment ou les dépla­çaient de centre. Aujourd’hui ça ne répond plus à cette logique ; on voit que c’est aléa­toire, comme s’ils pio­chaient dans le groupe sans cri­tère pré­cis. » L’aléatoire peut être une stra­té­gie de ges­tion propre, effi­cace à des fins d’in­ti­mi­da­tion col­lec­tive, pou­vant aller jus­qu’à téta­ni­ser toute résis­tance, voire ter­ro­ri­ser, tant la déli­mi­ta­tion de la « zone de dan­ger » n’est plus per­cep­tible. Cette tech­nique est cou­rante dans tous les lieux de pri­va­tion de liber­té, où les mau­vais trai­te­ments sont légion5. Lorsque les pra­tiques oppres­sives échappent au sens, à la com­pré­hen­sion, cela ren­force le sen­ti­ment que les pou­voirs qui les orga­nisent sont d’une grande puis­sance. Les arres­ta­tions, les amendes et les pro­cès pour l’exemple — pour les per­sonnes sans titre de séjour, tout comme celles leur venant en aide — découlent de cette même logique.

    L’actualité des pro­cès en Belgique illustre un autre aspect de ces poli­tiques visant à dis­sua­der et décou­ra­ger toute contes­ta­tion : ce n’est plus l’acte d’un indi­vi­du, dans un contexte déter­mi­né et spé­ci­fique, qui est condam­né, visé, répri­mé, mais la poten­tia­li­té même de s’op­po­ser à une poli­tique gou­ver­ne­men­tale. Les pro­cès poli­tiques sur ce sujet sont nom­breux, et ceux visant Cedric Herrou, par­ti­cu­liè­re­ment média­ti­sés, ont très rapi­de­ment mon­tré la ligne à ne pas fran­chir… Dès 2017, lors d’un pro­cès en appel, l’a­vo­cat géné­ral avan­çait qu’une qua­li­fi­ca­tion d’aide huma­ni­taire (soit une non péna­li­sa­tion) ne pou­vait s’ap­pli­quer « quand l’aide s’inscrit dans une contes­ta­tion glo­bale de la loi6 ». Par ailleurs, les témoi­gnages col­lec­tés par ces deux col­lec­tifs révèlent que les vio­lences, mau­vais trai­te­ments et sévices per­pé­trés par la police contre les exi­lés en pré­ca­ri­té de séjour seraient en nette aug­men­ta­tion — avec une sys­té­ma­ti­sa­tion des nuits au cachot avant libé­ra­tion le len­de­main.

    Dans un article paru en 2016, Olivier Clochard, cher­cheur au CNRS et membre du réseau Migreurop, fait état des dif­fé­rentes moda­li­tés de lutte à l’in­té­rieur de plu­sieurs lieux de déten­tion pour étran­gers, à tra­vers l’Europe. Il écrit ain­si : « Par diverses mani­fes­ta­tions, les indi­vi­dus tentent donc de résis­ter à l’assignation à vivre enfer­més en com­met­tant dif­fé­rentes actions ou en inter­pel­lant autant qu’ils le peuvent les acteurs qui les entourent et ceux situés à l’extérieur (asso­cia­tions, média­teurs, jour­na­listes, cher­cheurs, etc.), sus­cep­tibles de dénon­cer et de faire évo­luer leur situa­tion, qu’ils consi­dèrent comme injuste. » Faire savoir, mais aus­si arti­cu­ler les luttes, pour décu­pler leur force. En Belgique, la CRER et GVO orga­nisent régu­liè­re­ment des actions devant un centre fer­mé : elles visent non seule­ment à « faire voir » , en ame­nant des gens devant ces lieux sou­vent excen­trés, loin des regards ; à mani­fes­ter un refus contre cette poli­tique d’en­fer­me­ment ; à démon­trer un sou­tien et une lutte com­mune avec les per­sonnes enfer­mées. Et ça n’est pas sans effets sur les détenus7. Depuis quelque temps, ces ins­ti­tu­tions mettent en place de nou­velles mesures : les déte­nus sont dépla­cés d’aile afin de les empê­cher de voir la mobi­li­sa­tion depuis leurs fenêtres. « Ils orga­nisent même par­fois des tour­nois de baby­foot, mettent de la musique très fort pour que les per­sonnes dedans n’en­tendent pas notre pré­sence devant », s’in­digne un des deux mili­tants. Les pos­si­bi­li­tés d’al­liances, à l’in­té­rieur de ces espaces comme avec l’ex­té­rieur, sont métho­di­que­ment empê­chées. Mais si les luttes de l’in­té­rieur semblent tou­jours plus mar­quées de déses­poir, elles ne cessent de démon­trer leur force et leur per­sé­vé­rance — à l’ins­tar des per­sonnes qui par­viennent à com­mu­ni­quer avec l’ex­té­rieur, témoi­gner, ras­sem­bler des infor­ma­tions, pré­ve­nir des expul­sions à venir, envoyer des pho­tos de ce qui se pro­duit entre ces murs8…

    Moins d’arrivées et plus de #camps

    Depuis 2016, le nombre de per­sonnes en demande d’a­sile a consi­dé­ra­ble­ment dimi­nué en Belgique, pour reve­nir aux pro­por­tions connues depuis le début des années 2000. Sur les 20 der­nières années, 20 à 25 000 demandes d’a­sile y ont été enre­gis­trées chaque année : seule l’an­née 2015 (trom­peu­se­ment appe­lée « crise migra­toire »9 dans toute l’Europe) a vu près de 45 000 per­sonnes y deman­der pro­tec­tion. En 2017, les demandes d’a­sile avaient chu­té de près de 61 %, à l’ins­tar du nombre d’ar­ri­vées dans toute l’Europe, qui avait dimi­nué de moi­tié10. Plus encore, le nombre de « fran­chis­se­ments illé­gaux » des fron­tières euro­péennes est pas­sé de 2,3 mil­lions, en 2015 et 2016, à « 150 114, le niveau le plus bas depuis cinq ans ».

    Mais on ne trouve de cette réa­li­té aucun écho dans les dis­cours et mesures poli­tiques belges. Tous les indi­ca­teurs de sur­face laissent pen­ser le contraire. En pre­mier lieu, l’al­lon­ge­ment des délais d’at­tente pour enre­gis­trer une demande d’a­sile en 2019 : il faut comp­ter entre quatre à six mois pour pou­voir intro­duire une demande d’a­sile ultérieure11 à l’Office des étran­gers, soit la toute pre­mière étape d’une pro­cé­dure déjà longue — l’ar­gu­ment avan­cé étant que l’of­fice est débor­dé. Les centres d’ac­cueil pour per­sonnes en demande d’a­sile sont pleins à cra­quer : « On était déjà six, par­fois huit par chambre. Maintenant, ils ont ajou­té un étage aux lits super­po­sés, et dans cer­taines chambres il y a même des lits de camps : c’est du délire », nous révé­lait un deman­deur d’a­sile au cours d’un échange. Les condi­tions de vie dans ces lieux étaient pour­tant déjà bien dif­fi­ciles, du fait d’une pro­mis­cui­té très impor­tante, d’une concen­tra­tion de per­sonnes sur un mode « ghet­toï­sa­tion » et d’un contrôle social quo­ti­dien stricte et sou­vent infantilisant12.

    Pour ne citer qu’un autre point : la pré­sence tou­jours plus visible de per­sonnes au parc Maximilien ou autour de la gare du Nord à Bruxelles13 ne manquent pas de don­ner une sur-visi­bi­li­té au phé­no­mène. En Belgique comme ailleurs, les regrou­pe­ments de per­sonnes en des lieux géo­gra­phiques pré­cis — de par, notam­ment, les fer­me­tures de fron­tières ou l’in­suf­fi­sance orga­ni­sée de l’« accueil » des deman­deurs d’a­sile — servent de leviers à la mise en scène tou­jours plus obs­cène d’un pro­blème construit de toutes pièces : la soi-disant arri­vée mas­sive et incon­trô­lable de migrants14. Les tra­jec­toires d’exil sont deve­nues plus dif­fi­ciles au fil des ans, du fait, notam­ment, de l’aug­men­ta­tion des dis­po­si­tifs d’en­fer­me­ment, de police et de blo­cages aux fron­tières via l’a­gence #Frontex dont le bud­get et les attri­buts ne cessent d’aug­men­ter. Un très grand nombre de per­sonnes ne vivent pas ici leur pre­mier enfer­me­ment : elles ont été déte­nues dans plu­sieurs camps, plu­sieurs espaces, tout au long du che­min, où elles ont vécu sévices et mau­vais trai­te­ments. Qu’il s’a­gisse de camps d’at­tente « avant d’être admis sur le ter­ri­toire » ou « avant d’être expul­sé »15, ils ne cessent d’aug­men­ter, alors que les chiffres d’ar­ri­vées, eux, dimi­nuent.

    L’enfermement des étrangers : nouveau business ?

    Le gou­ver­ne­ment de Charles Michel16 avait déci­dé, en mai 2017, de dou­bler la capa­ci­té de déten­tion en Belgique en construi­sant trois nou­veaux centres fer­més d’ici 2021 — por­tant le total des places à 1 066, répar­ties sur huit sites. La France avait pour sa part déjà dou­blé la sienne entre 2003 et 2008. L’argument poli­tique avan­cé pour jus­ti­fier l’en­fer­me­ment d’é­tran­gers est celui d’une mesure de der­nier recours, visant à aug­men­ter l’ef­fec­ti­vi­té de l’ex­pul­sion du ter­ri­toire de per­sonnes en situa­tion dite irrégulière17 Dans son rap­port « La déten­tion des migrants dans l’Union euro­péenne : un busi­ness flo­ris­sant », en date de 2016, Lydie Arbogast, elle aus­si membre du réseau Migreurop, démontre que cela ne se véri­fie nul­le­ment dans les faits. Non seule­ment plu­sieurs États de l’Union euro­péenne auraient sys­té­ma­ti­que­ment recours à l’en­fer­me­ment, mais les chiffres révé­le­raient un faible taux d’ex­pul­sions effec­tives. Il fau­drait éga­le­ment ajou­ter à cela que bon nombre d’entre elles, en ver­tu des accords Dublin, se font à des­ti­na­tion de l’État euro­péen jugé res­pon­sable de la demande d’a­sile. Concrètement, cela revient à dire que des cen­taines de per­sonnes sont régu­liè­re­ment expul­sées de la Belgique vers la France (ou inver­se­ment), et qu’elles ne man­que­ront pas de refaire le che­min dans l’autre sens, pour des rai­sons diverses et légi­times.

    La réa­li­té s’a­vère bien loin des inten­tions poli­tiques affi­chées ; pour en avoir un aper­çu, cepen­dant, rien d’é­vident : les chiffres des expul­sions demeurent pour le moins opaques18. De même, il existe très peu de com­mu­ni­ca­tion quant à la dimen­sion finan­cière de ces « poli­tiques de retour for­cé » : ce rap­port y pal­lie. Il montre de manière édi­fiante l’im­pli­ca­tion gran­dis­sante de socié­tés pri­vées : « […] de leur construc­tion à leur admi­nis­tra­tion en pas­sant par les acti­vi­tés liées à leur inten­dance (res­tau­ra­tion, blan­chis­se­rie, ménage, etc.), les camps d’étrangers repré­sentent une source de pro­fits pour de nom­breuses entre­prises. » Des mil­liards d’eu­ros cir­cu­le­raient dans ces nou­veaux mar­chés. Une dif­fé­rence de ges­tion public/privé appa­raît dans les pays euro­péens : du Royaume-Uni, dont le sys­tème de déten­tion est qua­si tota­le­ment pri­va­ti­sé (sur le modèle car­cé­ral éta­su­nien), à la France ou la Belgique, où la ges­tion reste sous auto­ri­té publique mais avec une #sous-trai­tance consé­quente de ser­vices et une forte délé­ga­tion aux ONG de l’ac­com­pa­gne­ment social et juri­dique.

    En Belgique, la somme for­fai­taire allouée par l’État par jour de déten­tion est pas­sée de 40,80 euros en 2007 à 192 euros, 10 ans plus tard19. L’idéologie néo­li­bé­rale, appe­lant de tous ses vœux les pri­va­ti­sa­tions, sait exis­ter sous diverses formes ; quoi­qu’il arrive, elle porte en elle la logique du « moindre coût réel pour le plus de béné­fices ». Tout cela ne peut que pro­duire plus d’en­fer­me­ments, dans des condi­tions tou­jours plus dégra­dantes : leurs effets délé­tères ne feront que s’a­jou­ter à ceux de la pri­va­tion de liber­té. Ces dis­po­si­tifs de déten­tion ne sont d’ailleurs qu’une par­tie (sans doute cen­trale) de ce mar­ché : il fau­drait ajou­ter à cela le busi­ness des expulsions20 — un élu de gauche, du Parti du tra­vail de Belgique (PTB), s’é­ton­nait du coût exor­bi­tant de cer­tains tickets d’a­vion. En 2018, l’État belge a ain­si dépen­sé 88,4 mil­lions d’eu­ros dans cette poli­tique de retour forcé21. Les paral­lèles avec l’u­ni­vers car­cé­ral sont nom­breux, en par­ti­cu­lier, ici, avec ce qu’Angela Davis appelle le « com­plexe péni­ten­tiaire indus­triel ». Le mar­ché de l’en­fer­me­ment, et les gains qui en découlent, ne peuvent que deve­nir le moteur à l’ex­pan­sion de ces lieux — les lois et jus­ti­fi­ca­tions poli­tiques affé­rentes ne man­que­ront pas d’être créées, et leur forme évo­lue­ra.

    Ce 2 avril 2020, un énième scan­dale a écla­té en Belgique : alors que des ral­lon­ge­ments des délais de jus­tice étaient accor­dés du fait de l’im­pact de la crise sani­taire actuelle dans le trai­te­ment des dos­siers, seules les pro­cé­dures concer­nant les étran­gers et les déte­nus étaient exclues de cet accord. Ni les entraves à l’ac­cès réel à la jus­tice en ces temps de para­ly­sie géné­ra­li­sée, ni le faible poids de la ques­tion migra­toire en des temps de crise glo­bale n’ont eu rai­son de la per­pé­tua­tion de ces pra­tiques racistes. Il y eut bien des appels22 à la libé­ra­tion de toutes les per­sonnes enfer­mées pour rai­son admi­nis­tra­tive, ou encore une demande de sus­pen­sion des expul­sions ; mais aucune n’a abou­ti. C’est que la machine à pro­duire des sans-papiers ne manque pas de four­nir une force de tra­vail des plus asser­vis­sables, en ce qu’elle consti­tue l’ar­ché­type moderne d’une « armée de réserve du capi­tal » — en atteste le virage poli­tique dras­tique ita­lien, où il serait ques­tion de régu­la­ri­ser 200 000 per­sonnes afin de relan­cer la pro­duc­tion agri­cole, for­te­ment impac­tée par la crise du coro­na­vi­rus. En Belgique, on estime à 150 000 les per­sonnes en situa­tion de séjour irré­gu­lière, dont un très grand nombre le sont depuis plu­sieurs années. Une force de tra­vail exploi­table à mer­ci, un levier pour exploi­ter plus encore l’en­semble des tra­vailleurs. Si un mar­ché peut se créer dans l’in­ter­valle, l’oc­ca­sion ne sera pas man­quée. Mais la lutte, elle aus­si, se pour­suit par­tout : la semaine pas­sée les col­lec­tifs de sans-papiers de Belgique et de France l’ont encore rappelé23.

    https://www.revue-ballast.fr/le-business-de-lenfermement-detrangers
    #business #asile #migrations #réfugiés #détention_administrative #rétention #sans-papiers #Belgique #France #centres_fermés #privatisation

    ping @isskein @karine4

  • Societal exit from lockdown/ Déconfinement sociétal /Maatschappelijke exit-strategie

    Apport d’expertises académiques / Inbreng van academische expertise / Contribution of academic expertise

    Preprint Version 1.1April 17, 2020

    https://07323a85-0336-4ddc-87e4-29e3b506f20c.filesusr.com/ugd/860626_731e3350ec1b4fcca4e9a3faedeca133.pdf

    cf. Coronavirus - Une centaine de chercheurs émettent dix recommandations pour le déconfinement
    https://www.lalibre.be/dernieres-depeches/belga/coronavirus-une-centaine-de-chercheurs-emettent-dix-recommandations-pour-le-

    #covid-19 #lockdown #belgique

  • Expropriations in the works for creation of closed migrant centers

    The long-awaited creation of closed centers for asylum seekers on five northeastern Aegean islands was announced on Monday by government spokesman Stelios Petsas, who stressed that a legislative act will be issued to allow for the acquisition of properties, land and sites by expropriation.

    Petsas said the legislative act will “authorize” the Migration and Asylum Ministry to proceed “with the expropriation...of the necessary property and land for crisis management in order to address the urgent need to avoid endangering public health and order.”

    The closed centers will be created on Lesvos, Chios, Samos, Kos and Leros.

    Given the objections and concerns of local communities, Petsas said that the site selection was made following an “exhaustive dialogue” with the competent regional and local authorities and after an appeal was made by the regional governor of the north Aegean islands, Costas Moutzouris, for a state of emergency to be declared on the islands.

    However, Petsas’ announcement sparked a backlash on the islands, given that the capacity of some of these structures will be 20,000 people. Emergency meetings were held by municipal councils on Lesvos, Samos and Chios, while a scheduled meeting with government officials in Athens on Thursday has been cast in doubt.

    According to Petsas, the structures will shelter new arrivals in order to facilitate the identification and asylum processes. He added that they will also be used to detain migrants who exhibit abusive behavior and those who are not entitled to asylum and are slated for return to their country of origin.

    In addition, the operation of these new structures foresees internal regulations, such as allowing residents to leave the centers for a limited period of time. Residents will be given special cards for this purpose. The structures will be closed at night. The government has declared that “the violation of any internal rules will adversely affect asylum claims and speed up the process of the offender’s return [to their country of origin].”

    The closed centers are part of a broader four-pronged government plan to resolve the migration problem. This also entails tightening border security, speeding up asylum procedures and increasing returns.

    The government hopes that the creation of the closed structures will eventually dampen the of local communities’ opposition, once conditions on the islands improve. Petsas stressed Monday that the aim is to support local communities.

    http://www.ekathimerini.com/249392/article/ekathimerini/news/expropriations-in-the-works-for-creation-of-closed-migrant-centers
    #centres_fermés #Grèce #îles #migrations #réfugiés #Samos #Lesbos #Chios #asile #Kos #Leros

    ping @karine4

    • En Grèce, des réfugiés enfermés de force dans un camp « coupé du monde »

      L’épidémie de coronavirus peut-elle étouffer des injustices flagrantes et des atteintes aux droits de l’homme, au sein même de l’Europe ? C’est la question qu’on peut se poser alors que depuis le 21 mars, 189 réfugiés et migrants ont été transportés, depuis l’île grecque de #Lesbos, dans un camp récemment improvisé au nord de la Grèce. Dans un endroit totalement isolé, dénommé « #Klidi » (qui signifie aussi « la clef », en grec) où quelques dizaines de tentes ont été installées, entourées d’impressionnants grillages et fils barbelés sous la garde d’une présence policière massive.

      Parmi ces migrants, contraints à un #confinement_forcé, on trouve de nombreuses femmes, au moins un bébé de trois mois, et aussi six mineurs non accompagnés. Tous dorment sur des nattes posées sur le sol de tentes prévues pour cinq. Mais qui accueillent dix personnes chacune, sans que rien n’ait été organisé pour séparer les hommes des femmes. Et encore moins pour les prémunir, dans cette #promiscuité imposée, contre l’éventuelle apparition du coronavirus. D’après les images qui sont parvenues à Libération, des toilettes chimiques et des cabines de douches extérieures ont également été plantées au milieu du décor désolé de ce camp installé sur le lit d’une rivière desséchée. En cas de pluie, il sera rapidement inondé. Il y fait froid la nuit, il y fera bientôt trop chaud la journée sous les tentes en plastique qui ne disposent d’aucun coin d’ombre. « On est loin ! C’est la brousse, ici…Nous sommes totalement coupés du monde ! Depuis hier, il n’y a même plus d’électricité », s’alarme Joshua (1) dans un message reçu mardi soir.

      Procédures pour le droit d’asile gelées

      « De quel crime se sont rendus coupables, ces gens pour être confinés dans cette situation inhumaine ? », s’est ému cette semaine le quotidien Efimerida Ton Syntakton (« Le journal des rédacteurs »), l’un des rares médias grecs à avoir dénoncé cet #enfermement qui ne respecte ni la convention de Genève, ni la Convention européenne des droits de l’homme. Qui s’en soucie ? Bruxelles se tait. Et le gouvernement grec du Premier ministre, Kyriákos Mitsotákis, a de toute façon gelé toutes les procédures de droit d’asile depuis le 1er mars, réagissant alors à la décision du président turc, Recep Tayyip Erdogan, d’ouvrir les frontières aux réfugiés et migrants qui se trouvaient en Turquie. La menace d’un afflux massif depuis la Turquie a permis à la Grèce de faire jouer une clause d’urgence, bloquant provisoirement le droit d’asile, tout en négligeant de consulter ses partenaires européens, comme le veut pourtant la règle.

      Et dans l’immédiat, la mise entre parenthèses du droit d’asile permet désormais de considérer de facto comme des migrants illégaux promis à la déportation, tous ceux qui ont accosté depuis mars sur les îles grecques. Avant même de quitter Lesbos, les 189 réfugiés transportés à Klidi avaient d’ailleurs été sommés de signer un document en grec. Sans savoir qu’ils acceptaient ainsi leur future déportation. Le coronavirus (et les mauvaises relations actuelles entre la Grèce et la Turquie) retarde dans l’immédiat ces rapatriements forcés. Mais le confinement dans un camp quasi militaire au nord de la Grèce risque de générer de nouvelles souffrances pour ces réfugiés jugés indésirables.

      Ils avaient pourtant déjà connu bien des épreuves au cours de leur long périple vers l’Europe. Certains avaient même été la cible d’un push back, un refoulement forcé, alors que leur fragile embarcation se dirigeait vers les côtes grecques. Il y a une dizaine de jours, installés sous le vent et la pluie, sur la plage de Skala Sikamia dans le nord de Lesbos, des réfugiés racontaient ainsi avec moult détails comment leur zodiac, avec 43 personnes à bord, avait été violemment attaqué le 5 mars par deux frégates des garde-côtes grecs qui ont pris le risque de les faire tous basculer dans la mer. Sans prêter aucune attention à la douzaine d’enfants présents. Au regard du droit international, les push back sont évidemment totalement illégaux. Mais malgré, de nombreux témoignages, celui du 5 mars n’a suscité aucune réaction officielle de la part des partenaires européens de la Grèce.

      Après avoir passé près de deux semaines sur une plage de l’île, les naufragés qui avaient miraculeusement survécu à cette attaque policière en pleine mer, se retrouvent donc enfermés à Klidi pour une durée indéterminée. Sans recours possible à un avocat ou même, dans l’immédiat, à un médecin.

      Stratégie cruelle

      Une stratégie cruelle semble refléter la nouvelle politique migratoire du gouvernement grec. Déjà le 14 mars, un bateau militaire avait conduit dans un autre camp fermé proche d’Athènes, 436 migrants et réfugiés arrivés eux aussi en mars à Lesbos. « Il fait très froid la nuit, et les journées se passent à attendre sans rien faire ni savoir ce qu’on va devenir », avait expliqué la semaine dernière par SMS Mohamed (1) enfermé dans ce camp de Malakassa, proche d’Athènes qui accueillerait déjà plus de 2 000 de personnes. « On a pris nos noms et on nous a attribué chacun un numéro. Pour le reste, on ne nous dit rien », souligne de son côté une femme enfermée à Klidi.

      Sur ce nouveau site où les bétonneuses étaient encore en action quand les 189 réfugiés sont arrivés, même les policiers présents se sont émus des conditions de vie imposée aux nouveaux reclus. Dans la lettre qu’ils ont adressée à leur hiérarchie cette semaine, selon le site local Anexartitos.gr, ils signalent que le premier jour ils ont dû distribuer des sandwichs pris sur leurs propres rations à des femmes et des enfants dont « certains au bord de l’évanouissement », qui n’avaient pas été nourris pendant toute la durée de leur transport jusqu’à ce camp. Lequel est qualifié dans cette lettre d’« endroit totalement inapproprié », pour des réfugiés qui ne tarderont pas à ressentir un sentiment d’« asphyxie », préviennent encore les policiers, en raison à la fois de l’#isolement du lieu et de la promiscuité imposée à ceux qui y résident.

      Dans un article récent, intitulé « La clef perdue de l’humanité » (jouant sur le nom du lieu : « klidi »), Efimerida Ton Syntakton s’interroge : « Combien de jours et combien de nuits, un être humain peut-il supporter de vivre dans un tel lieu d’enfermement ? » Tout en s’adressant aux lecteurs : « Pensez-y, sachant combien nous-mêmes, nous avons du mal à supporter la quarantaine dans nos propres maisons. » Mais dans l’immédiat, « la clef » de l’indifférence s’est refermée sur ces destins rendus encore plus invisibles par le confinement de la planète au temps du coronavirus.

      (1) Les prénoms ont été changés.

      https://www.liberation.fr/planete/2020/03/25/en-grece-des-refugies-enfermes-de-force-dans-un-camp-coupe-du-monde_17830

      #coronavirus

      ping @thomas_lacroix

    • Commission approves 130 mln euros for closed migrant centres on three islands

      The European Commission approved on Monday the disbursement of 130 million euros for the construction of the three closed migrant facilities on the Greek islands of #Samos, #Leros and #Kos.

      According to a statement from the Greek Migration Ministry, the European Commission “welcomes the efforts made” by the country to address the migration situation in Greece and “fully recognizes the urgent need for this financial support.”

      The approval came by the EU’s #Asylum_Migration_and_Integration_Fund (#AMIF) following by a positive opinion from the European Commission.

      In june, Migration Minister Notis Mitarakis sought 132.68 million euros from the state budget to press forward with the new reception faciltiies as the request for European Union funding was taking time.

      https://www.ekathimerini.com/255390/article/ekathimerini/news/commission-approves-130-mln-euros-for-closed-migrant-centres-on-three-
      #aide #aide_financière #financement #EU #UE #Union_européenne

  • Spatial Control: Geographical Approaches to the Study of Immigration Detention

    This Global Detention Project Working Paper surveys research on immigration detention conducted using geographical methods, highlighting how geography’s conceptualization of detention as a form of spatial control offers tools to scholars and activists working to contest this form of immigration control. The authors organize their review around three core themes: im/mobilities, scaled analyses, and borders/bordering. They argue that geographical approaches to the study of detention have helped generate a critical orientation that can disrupt the spread of detention across and within a widening array of places and social groups

    https://www.globaldetentionproject.org/spatial-control-geographical-approaches-to-the-study-of-immi
    #espace #barbelés #centres_fermés #détention_administrative #contrôle_spatial #rétention #CRA #géographie #géographie_carcérale #surveillance #contrôle #liberté_de_mouvement

    • Voir, par exemple, l’analyse de Aldo Brina sur le #centre_fédéral de #Chevrilles :

      Le 18 juillet 2018, Aldo Brina, chargé d’information sur l’asile du Centre Social Protestant (CSP), s’est rendu au centre fédéral de Chevrilles, aussi appelé Giffers ou Gouglera. Cette structure est la première du genre en Suisse romande (si on ose dire, puisque le centre est situé dans la Singine fribourgeoise…). Elle a pour fonction d’héberger des requérant-e-s d’asile qui attendent le plus souvent une décision de renvoi ou l’exécution de ce renvoi. Selon le Secrétariat d’État aux migrations (SEM) [1], deux tiers des requérant-e-s d’asile affecté-e-s à ce centre ont disparu, c’est-à-dire qu’ils ont préféré passer dans la clandestinité. Un centre de ce même type devrait être construit dans le canton de Genève, sur la commune du Grand-Saconnex, pour 2022. Visite commentée.


      https://asile.ch/2018/09/18/centre-federal-de-chevrilles-asile-et-barbeles

  • Migrants : Paris et Madrid plaident pour la création de « centres fermés sur le sol européen »

    Pour les migrants qui n’obtiendraient pas droit à l’asile, Emmanuel Macron a souligné la nécessité de « raccompagner » ces personnes « vers leur pays d’origine ».

    https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/paris-et-madrid-plaident-pour-la-creation-de-centres-fermes-sur-le-sol-
    #centres_fermés #asile #migrations #réfugiés #tri #catégorisation #France #renvois #expulsions #Espagne

    Mais... les #hotspots ne sont pas déjà cela ?

    cc @isskein

    • Des « #centres_contrôlés » pour migrants : le grand flou des annonces européennes

      Des « centres contrôlés » devraient bientôt être créés en Europe pour recevoir les migrants secourus en Méditerranée. C’est la mesure la plus concrète annoncée vendredi 29 juin par les dirigeants européens. Mais de quoi s’agit-il ? Comment les exilés seront-ils traités ? Les ONG s’inquiètent.

      Au nombre de virgules et d’incises, on devine que cette phrase a été triturée, négociée toute la nuit. À l’arrivée, elle prévoit la création de « centres contrôlés » sur le sol de l’Union européenne où fixer les migrants secourus en Méditerranée, dès leur débarquement, histoire de traiter leurs demandes d’asile et de renvoyer les déboutés plus rapidement, avant qu’ils ne s’éparpillent dans les différents États membres. Mise sur la table par Emmanuel Macron et le premier ministre espagnol après l’errance forcée de l’Aquarius, cette conclusion du conseil européen des 28 et 29 juin est brandie comme une victoire par Paris.

      Pourtant, « la France (…) n’ouvrira pas de centres de ce type », a indiqué Emmanuel Macron dès vendredi. Mais qui alors ? À quoi ressembleront ces lieux de confinement ? Comment les exilés seront-ils traités ? Y a-t-il une chance que ces « centres contrôlés » constituent un progrès quelconque par rapport aux hotspots que l’UE a bricolés en Grèce et en Italie dès 2015, au bilan désastreux ? Explications de texte.

      Trier les exilés

      L’affaire de l’Aquarius avait déclenché un triste concours Lépine entre pays de l’UE pour savoir que faire des migrants repêchés dans les eaux sous responsabilité européenne (les zones de secours maritime de l’Italie, de Malte, etc.), où l’intervention des garde-côtes libyens n’est plus une option légale. Des pays comme la Hongrie proposaient d’externaliser l’accueil et même l’enfermement de ces survivants en dehors de l’UE, dans des camps en Albanie, au Kosovo, voire de les refouler sur les rives sud de la Méditerranée – quitte à balancer le droit international par-dessus bord. Paris se félicite d’avoir fait un sort à ces tristes idées, avec ses « centres contrôlés » à l’intérieur de l’Union.

      « Le contexte de ce sommet, c’était un risque d’externalisation massive et sauvage », insiste le patron de l’Ofpra (l’office français chargé d’accorder ou non le statut de réfugié), Pascal Brice. Le pire est évité. La Commission européenne a désormais pour mission de dessiner, dans les prochains mois, les contours matériels et juridiques de ces centres, extrêmement flous à ce stade.

      Du côté de l’Élysée, on ne cache pas sa source d’inspiration : les hotspots que l’UE a déjà créés à la fin 2015, en pleine crise des réfugiés, et qui fonctionnent toujours sur les îles grecques en face de la Turquie (cinq gros) et en Italie (cinq plus petits, plus ou moins actifs). Les nouveaux « centres contrôlés » devront remplir des missions similaires : l’accueil des rescapés, l’instruction des dossiers pour distinguer entre migrants éligibles au statut de réfugié (du fait de persécutions dans leur pays) et migrants dits « économiques ».

      Comme dans les hotspots, les premiers auront vocation, une fois repérés, à bénéficier d’une « #relocalisation » (c’est le jargon) aux quatre coins de l’UE. Mais cette fois, seuls les États volontaires sont censés participer à la répartition : aucune obligation ne figure dans le texte, ni dispositif incitatif d’ailleurs. Le texte se contente de dire : « Le principe de #solidarité s’appliquerait. » Un principe sans contrainte, ni gendarme, ni sanction, porte un autre nom : un vœu pieux.

      Le système de « relocalisations » depuis la Grèce et l’Italie mis en place entre 2015 et 2017, censé contribuer à vider les hotspots au fur et à mesure, a lamentablement échoué alors même qu’il était contraignant à l’époque, avec un système de quotas de réfugiés par pays. À l’arrivée, à peine 35 % des engagements ont été respectés, certains États comme la Hongrie et la Pologne affichant un taux de 0 % (la France à peine 25 %).

      C’est de toute façon le sort des migrants dits « économiques » (bien plus nombreux parmi les rescapés de la Méditerranée en 2018) qui occupe la majorité des dirigeants européens aujourd’hui : ceux-là « feront l’objet d’un retour » le plus souvent possible, indiquent les conclusions du sommet (sachant qu’un rapatriement suppose toujours un laissez-passer du pays d’origine). Pour opérer ces expulsions (« idéalement » depuis les centres, si l’on comprend bien), le soutien de l’UE au pays qui les héberge sera « total ». Qui va donc se lancer et ouvrir les premiers « centres contrôlés » ?

      Le pari du volontariat

      Là encore, l’UE mise tout sur des candidatures libres. En réalité, la liste potentielle tient dans un mouchoir de poche : la Grèce, l’Espagne, l’Italie voire Malte. Car la création de ces « centres contrôlés » a été négociée dans l’esprit du fameux « règlement de Dublin », qui régit depuis des années le système d’asile européen et veut que la responsabilité du traitement des demandes incombe au premier pays où les migrants posent le pied, plus précisément où leurs empreintes sont enregistrées.

      Les pays de « seconde ligne » comme la Hongrie ou la Pologne, bien loin des zones de débarquement, se réfugient donc derrière ce principe pour rejeter toute création de centres sur leur sol – bien que ce principe autorise moult dérogations. Idem pour la France. Seuls les pays dits de « première entrée » sont donc susceptibles d’aller au charbon.

      En marge du conseil européen, la Grèce et l’Espagne auraient déjà fait savoir qu’elles pourraient toper. Pas Malte. Quant à l’Italie, dont le chef du gouvernement a négocié le dispositif avec Emmanuel Macron dans les coulisses du sommet, elle affiche désormais ses réticences et fait monter les enchères : « Des pays ont dit leur disponibilité, pas l’Italie », a déclaré Giuseppe Conte après coup.

      L’entrain transalpin dépendra évidemment des moyens (logistiques, financiers, etc.) que les institutions européennes vont mettre à disposition des pays volontaires et du degré de solidarité dont ses voisins daigneront faire preuve pour se répartir les réfugiés. La France en prendra, a promis Emmanuel Macron. Le président français estime avoir donné des gages ces derniers jours et même initié le mouvement dans l’affaire de l’Aquarius, puis dans l’épisode du Lifeline (ce navire qui a débarqué 233 migrants à Malte le 26 juin après un refus de l’Italie et une semaine d’attente en mer).

      De fait, de façon exceptionnelle, des officiers de l’Ofpra ont déjà entendu de nombreux rescapés de l’Aquarius éligibles à l’asile, et d’autres sont à Malte depuis mercredi. Si la France était toute seule en Espagne (pour le navire de SOS Méditerranée), sept autres États membres de l’UE ont promis d’accueillir des passagers du Lifeline. « Nous avons su trouver des mécanismes de solidarité » sur cette « opération ad hoc », s’est félicité vendredi Emmanuel Macron, qui veut croire que les futurs « centres contrôlés » pourraient bénéficier du même élan, hors période de crise politique et d’emballement médiatique, sans contrainte, en toute spontanéité.

      Interrogé par Mediapart depuis Malte, le patron de l’Ofpra français estime d’ailleurs qu’il faudrait offrir une protection non plus seulement aux réfugiés remplissant les critères habituels (risques de persécution dans leurs pays d’origine) mais également, de façon inédite, à des personnes « en situation de détresse humanitaire liée aux violences subies sur leur parcours migratoire », « en particulier en Libye », victimes de « traite humaine » par exemple. Rien de tel ne figure dans les conclusions du sommet ni dans le projet de loi « asile et immigration » de Gérard Collomb, en débat au Parlement français.

      Une privation de liberté

      À quel point les hotspots seconde génération seront-ils cadenassés, clôturés, barbelés ? Dans leurs conclusions du 29 juin, les dirigeants européens ne parlent officiellement ni de « retenue » ni de « rétention », encore moins de « détention ». Envisagée au départ, l’expression « centres fermés » a même été écartée, obligeant Nathalie Loiseau, la ministre française des affaires européennes, à une sacrée gymnastique sémantique : « Il ne s’agira pas de centres fermés mais de centres d’où les migrants ne pourront pas sortir », a-t-elle déclaré vendredi devant la presse.

      De fait, on voit mal comment l’UE pourrait poursuivre ses objectifs, surtout de rapatriements, sans une phase de confinement voire d’enfermement. Encore faut-il savoir dans quelles conditions, s’il faut compter en jours ou en semaines. Voire en mois.

      Dans les hotspots des îles italiennes, aujourd’hui, la rétention dépasse rarement deux jours et les étrangers ont parfois le droit de sortir en journée. Au fond, cette étape sert surtout à l’enregistrement des empreintes (pouvant donner lieu à des violences policières), puis les migrants sont envoyés sur la péninsule dans l’attente d’une réponse à leur demande d’asile, laissés libres de circuler, de tenter aussi le passage en France ou vers l’Allemagne – ce qui dérange peu l’Italie, c’est un euphémisme.

      Vendredi, Giuseppe Conte a d’ailleurs refusé tout net d’inscrire l’expression « centres fermés » dans les conclusions du sommet. « Un changement symbolique », veut relativiser une source française.


      https://www.mediapart.fr/journal/international/010718/des-centres-controles-pour-migrants-le-grand-flou-des-annonces-europeennes
      #externalisation_interne

    • Managing migration : Commission expands on disembarkation and controlled centre concepts

      Following the call by EU leaders at the June European Council, the Commission is today expanding on the concept of controlled centres as well as short-term measures that could be taken to improve the processing of migrants being disembarked in the EU, and giving a first outline of the possible way forward for the establishment of regional disembarkation arrangements with third countries. Regional disembarkation arrangements should be seen as working in concert with the development of controlled centres in the EU: together, both concepts should help ensure a truly shared regional responsibility in responding to complex migration challenges.

      Commissioner Avramopoulos said: “Now more than ever we need common, European solutions on migration. We are ready to support Member States and third countries in better cooperating on disembarkation of those rescued at sea. But for this to work immediately on the ground, we need to be united – not just now, but also in the long run. We need to work towards sustainable solutions.”

      ’Controlled Centres’ in the EU

      To improve the orderly and effective processing of those disembarked in the European Union, EU leaders have called for the establishment of ’controlled centres’ in the EU. The primary aim would be to improve the process of distinguishing between individuals in need of international protection, and irregular migrants with no right to remain in the EU, while speeding up returns.

      The centres would be managed by the host Member State with full support from the EU and EU Agencies and could have a temporary or ad-hoc nature depending on the location. The main features of such centres are:

      full operational support with disembarkation teams of European border guards, asylum experts, security screeners and return officers, and all costs covered by the EU budget;
      rapid, secure and effective processing that reduces the risk of secondary movements and accelerates the process to determine the status of the person concerned;
      full financial support to volunteering Member States to cover infrastructure and operational costs; as well as financial support to Member States accepting transfers of those disembarked (€6,000 per person).

      To test the concept, a pilot phase applying a flexible approach could be launched as soon as possible.

      The Commission will also provide a central contact point to coordinate among Member States taking part in solidarity efforts – as an interim measure until a fully-fledged system can be established in the context of the ongoing Common European Asylum System reforms.

      See the factsheet on controlled centres in the EU here.

      Regional Disembarkation Arrangements

      In addition to the establishment of controlled centres, EU leaders have called on the Commission to explore the concept of regional disembarkation arrangements in close cooperation with #IOM and UNHCR and in partnership with third countries.

      The objective of regional disembarkation arrangements is to provide quick and safe disembarkation on both sides of the Mediterranean of rescued people in line with international law, including the principle of non-refoulement, and a responsible post-disembarkation process.

      The main features of regional disembarkation arrangements are:

      Clear rules for all: To reduce deaths at sea and ensure orderly and predictable disembarkation, all coastal states in the Mediterranean should be encouraged to establish search and rescue zones and Maritime Rescue Coordination Centres (MRCCs);
      Developed by the UNHCR and IOM who will help ensure those disembarked can receive protection if they are in need of it, including through resettlement schemes; or will be returned to their countries of origin if they are not, including through the assisted voluntary return and reintegration programmes run by the IOM;
      Partnerships on an equal footing: work with interested third countries will be brought forward on the basis of existing partnerships and offered support tailored to their specific political, security and socio-economic situation;
      No pull factors: resettlement possibilities will not be available to all disembarked persons in need of international protection and points of reception should be established as far away as possible from points of irregular departure;
      No detention, no camps: Regional disembarkation arrangements mean providing a set of established procedures and rules to ensure safe and orderly disembarkation and post-disembarkation processing in full respect of international law and human rights;
      EU Financial and logistical support: The EU is ready to provide financial and operational support for disembarkation and post-disembarkation activities as well as for border management with equipment, training and other forms of support.

      See the factsheet on regional disembarkation arrangements here.

      Next Steps

      Ambassadors meetings tomorrow, 25 July, are expected to discuss the concept of controlled centres in the EU and the possibility of rapidly using an interim framework for disembarkations of those rescued at sea in the EU.

      The work on regional disembarkation arrangements will also be touched upon at tomorrow’s meeting and is expected to be taken forward at a meeting with the IOM and UNHCR in Geneva 30 July 2018. Only once a common EU approach is agreed will outreach be made to interested third countries.

      Background

      The European Council in its conclusions of 28-29 June invited the Council and the Commission to swiftly explore the concept of “regional disembarkation platforms, in close cooperation with relevant third countries, as well as the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) and the International Organisation for Migration (IOM)”.

      The European Council also called for the development of ’controlled centres’ on EU territory – a new approach based on shared efforts for the processing of persons who, following their rescue at sea, are disembarked within the EU.

      europa.eu/rapid/press-release_IP-18-4629_en.htm

      Avec ce commentaire reçu via la mailing-list de Migreurop :

      Finis les hotspots ; place aux « centres contrôlés dans l’UE » !
      6 000 euros la valeur d’un migrant débarqué et transféré dans un État membre ;
      Des accords de « débarquement » avec les pays tiers (moyennant finances) …

      … La Commission européenne fait preuve d’une imagination débordante

      #disembarkation_platform #OIM #HCR

  • EU leaders consider centers outside bloc to process refugees

    Draft conclusions for the European Council summit next week propose the creation of ‘disembarkation platforms.’

    European Council President Donald Tusk has proposed that EU leaders create “regional disembarkation platforms” outside the European Union, where officials could quickly differentiate between refugees in need of protection and economic migrants who would potentially face return to their countries of origin.

    The proposal is an effort to break the acute political crisis over migration and asylum that has bedeviled EU leaders since 2015 — and even threatened in recent days to topple the German government — even as the numbers of arrivals have plummeted since the peak of the crisis.

    The disembarkation platform concept — which officials said would have to be implemented in cooperation with the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) and the International Organization for Migration (IOM) — could create a formal mechanism by which the EU can bridge the divide between hard-line leaders calling for tough border controls and those insisting that EU nations obey international law and welcome refugees in need of protection.

    But the idea could also open EU leaders to criticism that they are outsourcing their political problem by creating centers for people seeking entry in countries on the periphery of the bloc. Among the potential partner nations are Tunisia and Albania, but officials say it is far too soon to speculate.

    The idea to create such facilities was suggested in 2016 by Hungarian Prime Minister Viktor Orbán, the strongest critic of the EU’s policies on migration — especially on the relocation of refugees across Europe.

    More recently, French President Emmanuel Macron has endorsed the idea, and on Sunday Italian Foreign Minister Enzo Moavero said Italy wants to officially put the idea on the table at the European Council summit.

    According to the draft guidelines, the new sites would “establish a more predictable framework for dealing with those who nevertheless set out to sea and are rescued in Search And Rescue Operations.”

    The conclusions state: “Such platforms should provide for rapid processing to distinguish between economic migrants and those in need of international protection, and reduce the incentive to embark on perilous journeys.”
    https://www.politico.eu/article/regional-disembarkation-platforms-eu-leaders-consider-camps-outside-bloc-to

    Nouveau #mots, nouvelle absurdité #disembarkation_platform...!!!
    #tri #migrations #migrants_économiques #réfugiés #catégorisation #hotspots #externalisation #novlangue
    #regional_disembarkation_platforms #Tunisie #Albanie #plateformes_régionales_de_désembarquement

    cc @reka @isskein @i_s_

    • European Council meeting (28 J une 2018) – Draft conclusions

      In order to establish a more predictable framework for dealing with those who nevertheless set out to sea and are rescued in Search And Rescue Operations, the European Council supports the development of the concept of regional disembarkation platforms in close cooperation with UNHCR and IOM. Such platforms should provide for rapid processing to distinguish between economic migrants and those in need of international protection , and reduce the incentive to embark on perilous journeys.

      https://g8fip1kplyr33r3krz5b97d1-wpengine.netdna-ssl.com/wp-content/uploads/2018/06/draftEucoConclusionsJune.pdf
      #HCR #OIM #IOM

    • Une idée qui vient de la Hongrie...

      From protest to proposal : Eastern Europe tries new migration tactic

      “Asylum procedures should be completed outside the EU in closed and protected hotspots before the first entry on the territory of the EU,” states Orbán’s plan. “Third countries should be supported in establishing a system of reception and management of migratory flows … which should foresee careful on-site screening of refugees and economic migrants,” reads Renzi’s.

      https://www.politico.eu/article/viktor-orban-hungary-slovakia-from-protest-to-propose-eastern-europe-tries-

    • La UE estudia instalar centros de clasificación de inmigrantes en el norte de África

      Un borrador de documento para la cumbre afirma que la idea podría facilitar «un procesamiento rápido que distinga entre migrantes económicos y refugiados»

      La Unión Europea estudia la idea de construir centros para el procesamiento de inmigrantes en el norte de África en un intento por disuadir a la gente de emprender viajes a través del Mediterráneo que puedan poner en riesgo su vida, según indica un documento al que ha tenido acceso The Guardian.

      El Consejo Europeo de líderes de la UE «apoya el desarrollo del concepto de plataformas de desembarque regional», según señala un borrador de conclusiones de la cumbre europea que se llevará a cabo la próxima semana.

      La UE quiere estudiar la viabilidad de instalar estos centros en el norte de África, donde comienza la mayoría de los viajes de los inmigrantes que quieren llegar a suelo europeo. «Estas plataformas podrían facilitar un procesamiento rápido que distinga entre migrantes económicos y aquellos que necesitan protección internacional, y así reducir los incentivos a embarcarse en viajes peligrosos», sostiene el documento.

      La inmigración es un tema prioritario en la agenda de la próxima cumbre de dos días que se iniciará el 28 de junio. Los líderes de la UE intentarán llegar a un consenso sobre cómo manejar la crisis de los miles de refugiados e inmigrantes que llegan a Europa cada mes.

      Los líderes de Alemania y Francia, Angela Merkel y Emmanuel Macron, se han reunido este martes cerca de Berlín para fijar una posición común respecto a la inmigración y la eurozona, en medio de los temores sobre el desmoronamiento del proyecto europeo.

      Antes de la reunión, el ministro de Hacienda francés, Bruno Le Maire, afirmó que Europa está «en proceso de desintegración». «Vemos Estados que se están cerrando, intentando encontrar soluciones nacionales a problemas que requieren soluciones europeas», señaló. Así, llamó a construir «un nuevo proyecto europeo sobre inmigración», así como sobre asuntos económicos y financieros «que consoliden a Europa en un mundo en el que Estados Unidos está a un lado, China al otro y nosotros quedamos atrapados en el medio».

      El ministro de Interior alemán, Horst Seehofer, de línea dura, está presionando a la canciller Angela Merkel para que diseñe un plan europeo para finales de mes. Alemania sigue siendo el país europeo que más solicitudes de asilo recibe. Si no hay avance a nivel europeo, Seehofer quiere que la policía de las fronteras alemanas comience a negar la entrada a los inmigrantes.

      No queda claro cómo se llevaría a la práctica la propuesta europea de «plataformas de desembarque regional», o dónde se instalarían.

      En 2016, la UE llegó a un acuerdo con Turquía que redujo drásticamente el flujo migratorio, pero al bloque le ha resultado más difícil trabajar con los gobiernos del norte de África, especialmente con Libia, punto de partida de la mayoría de las embarcaciones que intentan llegar a Europa por el Mediterráneo.

      La Comisión Europea ha rechazado la posibilidad de llegar a un acuerdo con Libia parecido al de Turquía, debido a la inestabilidad del país. Sin embargo, el anterior Gobierno de Italia pactó con las milicias y tribus libias y colaboró para reconstituir la guardia costera libia. Estas acciones han contribuido a reducir drásticamente el número de personas que intenta cruzar el Mediterráneo, pero los críticos han denunciado un aumento en las violaciones de los derechos humanos.

      Según el documento filtrado, la UE prefiere construir los centros en colaboración con ACNUR, la agencia de la ONU para los refugiados, y con la Organización Internacional para la Migración, otro organismo relacionado con la ONU que con anterioridad ha criticado la escasez de rutas legales que tienen los inmigrantes y refugiados africanos para llegar a Europa.

      https://www.eldiario.es/theguardian/UE-instalar-procesamiento-inmigrantes-Africa_0_783922573.html

    • Commentaire d’Emmanuel Blanchard, via la mailing-list Migreurop :

      Au contraire de ce que suggère le titre choisi par ce journaliste (article ci-dessous), la proposition de créer ces plateformes de débarquement n’est pas vraiment « étonnante » tant elle ressemble aux « #processings_centers » et autres « #centres_d'identification » dont les projets ressurgissent régulièrement depuis le début des années 2000. Il y a cependant des évolutions (ces centres étaient pensés pour cantonner les exilés avant qu’ils prennent la mer et pas pour débarquer les boat-people secourus en mer) et le danger se rapproche : maintenant que ces camps existent sous le nom de hotpsots dans les iles grecques, il apparaît possible de les étendre dans des pays extérieurs ayant besoin du soutien financier ou politique de l’UE.

      #camps #cpa_camps

    • Europe Pushes to Outsource Asylum, Again

      With Dublin reform stalled, European leaders began to cast around for new ideas to solve the ongoing political crisis on migration and settled on a recurring proposition: the creation of asylum processing centres beyond the (strengthened) borders of the European Union.

      What exactly is up for discussion remains unclear. The plans championed by various EU leaders are diverse, yet the details remain fuzzy. What they have in common is a near-universal focus on shifting responsibility for dealing with refugees and migrants upstream. The idea of external processing looks good on paper, particularly in demonstrating to skeptical voters that governments have control over migration flows. But leaders also hope that by reducing inflows to the European Union, they will face less pressure to compromise on sharing responsibility for asylum within the bloc.

      The devil is in the detail. Proposals to externalize the processing of asylum claims are not new, but have largely fallen flat. Previous leaders balked at the idea of such elaborate constructions, especially when confronted with their significant practical complications. But public pressure to further slow arrivals of refugee and migrant boats has mounted in many countries, and leaders feel compelled to find an agreement. The result is a debate on migration increasingly divorced from reality.

      But before sitting down to the negotiating table, EU leaders may want to reflect on the exact model they wish to pursue, and the tradeoffs involved. Critically, does the concept of “regional disembarkation platforms” set out in the draft European Council conclusions offer a potential solution?

      Key Design Questions

      From Austria’s so-called Future European Protection System, to the “centres of international protection in transit countries” suggested by Italian Prime Minister Giuseppe Conte, to an outlier idea from the Danish Prime Minister to create centres to host failed asylum seekers in “undesirable” parts of Europe —a variety of models for externalization have been floated in recent weeks.

      Several proposals also envisage the simultaneous creation of joint processing centres within the European Union, coupled with the use of reception centres that restrict residents’ freedom of movement. While it is still unclear how such a plan would unfold, this commentary focuses on the external dimension alone.

      Where Would People Be Stopped and Processed?

      The proposals differ regarding where in the journey they would stop migrants and potential asylum seekers. French President Emmanuel Macron has vaguely referred to centres in key transit countries, such as Niger, Libya, and Chad, as well as closer to regions of origin. Others have focused more squarely on the North African coast.

      Centres operating far away from the European Union would likely function as a form of resettlement, stopping people en route (or even prior to the journey), and offering selected individuals an additional channel of EU entry in hopes that this would discourage the use of smugglers. Indeed, nascent EU efforts to resettle refugees evacuated from Libya to Niger (under the Evacuation Transit Mechanism, or ETM), demonstrate how this might work. At the other extreme, the model championed by Austrian Chancellor Sebastian Kurz would see migrants and refugees returned to “safe zones” in Africa, where they would stay, even after arriving at the external EU border.

      The latter concept is problematic under current EU and international law. By returning arrivals to third countries without giving them the opportunity to submit an asylum claim, governments would be likely to run afoul of the EU Asylum Procedures Directive, as well as the European Convention on Human Rights, which prohibits signatories from the “collective expulsion of aliens.” European Court of Human Rights case law also precludes the pushback of migrants rescued by European boats while crossing the Mediterranean. Conversely, however, if migrants and potential asylum seekers are stopped before entering EU waters, and without the involvement of European-flagged vessels, then no EU Member State has formal legal responsibility.

      A framework for regional cooperation on the disembarkation of migrant boats—being developed by the UN High Commissioner for Refugees (UNHCR) —may offer a middle ground. While details are scarce, it seems likely that the proposal would focus first on the development of a system for determining who would rescue migrants crossing the Mediterranean, and where they would be landed. Absent consensus within the European Union on responsibility sharing for asylum claims, UNHCR would attempt to create a new framework for responsibility sharing with both Northern and Southern Mediterranean states on search and rescue. However, to prove palatable to partners, such a scheme would require strong EU support, not least through the creation of regional disembarkation centres across North Africa where migrants and refugees “pulled back” from their journey would be sent. This approach would sidestep the application of EU law. To be viable, the European Union would likely need to offer North African partner states some assurance of support, including resettling some of those found in need of protection (as with the Niger ETM).

      Who Would Do the Processing?

      Once asylum seekers are pulled back, there is the question of who would make determinations regarding their protection. There are three options.

      First, Member States’ own asylum agencies could adjudicate protection claims, as Macron has occasionally suggested. Aside from the logistical challenges of seconding officials outside Europe, the question quickly arises as to who would adjudicate which applications? Member States have very different asylum systems, which produce markedly different outcomes for applicants, and would need extensive coordination.

      As a result, there is growing interest in developing an EU asylum agency capable of undertaking assessments on behalf of Member States. This appears a neat solution. However, governments would have to agree joint procedures and standards for processing claims and have confidence in the decisions made by through a joint processing arrangement. This is, if anything, an option only in the long term, as it would be years before any such agency is operational.

      Should the regional disembarkation idea gain ground, the European Union would have no legal responsibility to undertake assessment. Most Member States would be likely to consider UNHCR a key partner to manage any external process. But doing so could require UNHCR to redeploy limited staff resources from existing resettlement operations or from pressing humanitarian situations elsewhere. Moreover, outsourcing to UNHCR could still raise the issue of trust and transferability of decisions. Many Member States remain reluctant to rely solely on UNHCR to select refugees for resettlement, preferring to send their own teams to do the final selection.

      What Happens Next?

      The issue of what happens to people after their protection claims are assessed remains at the crux of questions around the feasibility of external processing. Proposals here differ starkly.

      On the one hand, some proposals would allow those recognized as in need of protection to subsequently enter the European Union. This is the option that—even if the European Union has circumvented any legal responsibility—would be deemed necessary to host countries as it would give them assurance that they are not overly burdened with providing protection. But doing so would require Member States to agree on some sort of distribution system or quotas for determining who would be settled where—crashing back into a responsibility-sharing problem that has plagued the European Union.

      By contrast, proposals that would explicitly not allow entry to anyone who had attempted to travel to Europe via the Mediterranean, taking a page from Australia’s playbook, are meant to assuage fears that such centres would become magnets for new travellers. Those with protection needs brought to such centres would be settled in countries outside the bloc. The challenges with this model centre squarely on the difficulty finding a “safe” country that would allow the settlement of potentially unlimited number of protection beneficiaries. Neither is likely to be the case in any arrangements the European Union would seek to make with external countries.

      Finally, there is the troubling question of what to do with those denied status or resettlement in the European Union. While the International Organization for Migration (IOM) or another agency might be able to help facilitate voluntary return, some might not be able to return home or may have been denied resettlement but nonetheless have protection needs. They are at risk of becoming a population in limbo, with long-term implications for their well-being and for the host country.


      https://www.migrationpolicy.org/news/europe-pushes-outsource-asylum-again
      #schéma #visualisation

    • "L’UE devrait demander à la Tunisie ou l’Algérie d’accueillir des migrants"

      Afin d’éviter toute complicité des ONG, #Stephen_Smith propose notamment une participation des pays du sud de la Méditerranée. « L’Europe se bat un peu la coulpe et a l’impression que tout est pour elle. Or, la Libye a beaucoup de pays voisins. Pourquoi n’a-t-on pas songé à demander le soutien de la Tunisie ou de l’Algérie ? Habituellement, en cas de naufrage, la règle veut que les voyageurs soient transportés vers la prochaine terre sûre. Et, à partir de la Libye, cette terre n’est pas l’Italie. »

      http://www.rts.ch/info/monde/9678271--l-ue-devrait-demander-a-la-tunisie-ou-l-algerie-d-accueillir-des-migran
      #Tunisie #Algérie

    • Macron y Pedro Sánchez proponen «centros cerrados de desembarco» para los inmigrantes que lleguen a Europa

      Con el apoyo de Pedro Sánchez, el presidente francés expone su apuesta para la gestión de las llegadas de migrantes a las costas del sur de Europa

      En estos centros se tratarían los expedientes de los demandantes de asilo o se tramitaría su devolución a los países de origen

      https://www.eldiario.es/desalambre/Macron-propone-centros-desembarco-inmigrantes_0_785321746.html
      #Espagne

    • EU admits no African country has agreed to host migration centre

      The European Union’s most senior migration official has admitted that no north African country has yet agreed to host migrant screening centres to process refugee claims.

      Details of an EU plan to prevent migrants drowning at sea emerged on Thursday after Italy criticised the agenda of an emergency summit for not offering enough to help it cope with arrivals.

      Dimitris Avramopoulos, the European commissioner for migration, said the EU wanted to “intensify cooperation” with Algeria, Egypt, Libya, Tunisia, Niger and Morocco, as he announced the intention to create a “regional disembarkation scheme”.
      Malta’s ’barbaric’ finch traps ruled illegal by EU court
      Read more

      So far no African country had agreed to host screening centres, he confirmed. “It has to be discussed with these countries, he said. “An official proposal has not been put on the table.”

      The idea for offshore migrant processing centres remains sketchy, with numerous political, practical and legal questions unanswered. It remains unclear, for example, whether migrants on a rescue ship in European waters could be returned to a north African country.

      Tahar Cherif, the Tunisian ambassador to the EU said: “The proposal was put to the head of our government a few months ago during a visit to Germany, it was also asked by Italy, and the answer is clear: no!

      “We have neither the capacity nor the means to organise these detention centres. We are already suffering a lot from what is happening in Libya, which has been the effect of European action.”

      He said his country was facing enough problems with unemployment, without wishing to add to them while Niger said its existing centres taking migrants out of detention camps in Libya are already full.

      The idea for the centres was thrown into the mix of EU migration policy before a series of crucial summits on migration in the next week.

      About 10 EU leaders will meet in Brussels on Sunday in a hastily convened emergency meeting aimed at preventing the collapse of the German coalition government.

      But the Italian government has been angered by draft conclusions for the summit, which stress the need to counter “secondary movements” – an issue that affects Germany.

      Under EU rules, a member state usually has responsibility for asylum seekers who have arrived in its territory, a regulation that has put frontline states Italy and Greece under huge pressure.

      But claimants often move to a second EU state, seeking a faster decision or to unite with family members.

      So-called “secondary movements” is the issue driving a wedge between Germany’s ruling coalition. The Bavarian CSU party has set the chancellor, Angela Merkel, a deadline of two weeks to find a solution. The interior minister, Horst Seehofer, has threatened to send away migrants at the border – a breach of EU rules that threatens to unravel the common asylum system.

      Tensions are running high after Italy’s prime minister, Giuseppe Conte, said he was not ready to discuss secondary movements “without having first tackled the emergency of ‘primary movements’ that Italy has ended up dealing with alone”.

      Italy’s far-right interior minister, Matteo Salvini, said: “If anyone in the EU thinks Italy should keep being a landing point and refugee camp, they have misunderstood.”

      The election of a populist government in Italy, combined with tensions in Germany’s ruling coalition, has created a political storm over migration despite the sharp fall in arrivals. In the first six months of this year 15,570 people crossed into Italy, a 77% drop on last year.

      The European commission president, Jean-Claude Juncker, reluctantly agreed to host the weekend summit to help Merkel, after her governing coalition came close to breaking point.

      Avramopoulos stressed that the summit would be about “consultations” to prepare the ground for decisions to be taken by all 28 EU leaders at a European council meeting next Thursday.

      Warning that the future of the EU’s border-free travel area was at stake, Avramopoulos said: “The European leadership of today will be held accountable in the eyes of future generations if we allow all these forces of populism to blow up what has been achieved”.

      https://www.theguardian.com/world/2018/jun/21/eu-admits-no-african-country-has-agreed-to-host-migration-centre
      #cpa_camps

    • IOM-UNHCR Proposal to the European Union for a Regional Cooperative Arrangement Ensuring Predictable Disembarkation and Subsequent Processing of Persons Rescued at Sea

      Approximately 40,000 refugees and migrants have arrived in Europe via maritime routes in 2018 to date. This is almost six times less than over the same period in 2016, following a peak in arrivals by sea in 2015. According to EUROSTAT, approximately 30 per cent of those arriving on the European shores were in need of international protection; moreover, some have faced extreme hardship and abuse at the hands of unscrupulous traffickers during the journey.

      Despite the reduced arrival rates, new challenges resulting from divergent EU Member State views have revealed a need to revisit regional arrangements to relieve front line states from having the sole responsibility for the disembarkation and further processing of people rescued at sea.

      IOM and UNHCR stand ready to support a common approach, and call on all countries in the Mediterranean region to come together to implement a predictable and responsible disembarkation mechanism in a manner that prioritizes human rights and safety first, delinked from the subsequent processing of status and related follow-up responsibilities, post-disembarkation, for those rescued in international waters.

      It is increasingly recognized that disembarkation cannot be the sole responsibility of one country or regional grouping. It should be a shared responsibility across the Mediterranean Basin, with due respect for the safety and dignity of all people on the move. A comprehensive approach is required to realize effective and sustainable responses.

      People on the move to and through the Mediterranean have different migratory status, with the majority of them not qualifying for international or subsidiary protection. Addressing the drivers of forced displacement and irregular migration needs to be given renewed attention through effective conflict-prevention and crisis settlement processes, strengthening good governance, rule of law, and respect for human rights efforts, stabilization and recovery, as well as poverty reduction.

      Priority efforts need to focus on strengthening protection capacities in regions of origin, including through developing sustainable asylum systems; providing sufficient needs-based support for humanitarian operations and adopting a development-oriented approach to assistance; as well as expanding opportunities for resettlement, family reunification and safe pathways for refugees which are currently well below existing needs and pledges being made. Efforts toward opening safe and regular pathways for migrants need also to be undertaken (family reunification, labour and education opportunities, humanitarian visas for vulnerable migrants).

      Against this background, with a focus on the immediate disembarkation concerns at hand, the current proposal for a regional disembarkation mechanism aims to ensure that:

      People rescued-at-sea in international waters are quickly disembarked in a predictable manner in line with international maritime law, in conditions that uphold respect for their rights including non-refoulement, and avoid serious harm or other risks;
      Responsible post-disembarkation processing, supported – as appropriate- by IOM and UNHCR, leads to rapid and effective differentiated solutions and reduces onward movement through an effective cooperative arrangement.

      Functioning of the mechanism is premised on a set of principles and common objectives:

      The effective functioning of maritime commerce requires ships’ masters to have full confidence in prompt and predictable disembarkation;
      Efforts to reduce loss of life at sea are maximized, in line with existing international obligations and frameworks, and saving lives remains the international community’s priority;
      Strengthened efforts to build the capacity of Coast Guards in Mediterranean countries (not just in Libya) to perform effective rescue operations in their respective SAR;
      National Maritime Rescue Coordination Centres (MRCC) are able to carry out their work effectively for the purposes of search and rescue operations based on long- standing and effective practices to save lives;
      People rescued at sea in the Mediterranean are quickly disembarked in safe ports in a predictable manner in line with established rescue at sea arrangements and international maritime law, coordinated through the responsible MRCCs;
      Measures for cooperative arrangements to support States providing for disembarkation are well-established;
      The right to seek asylum is safeguarded, and the human rights of all individuals such as non-refoulement are respected, including the right not to be disembarked in or transferred to a place where there is a risk of persecution, torture, or other serious harm;
      Efforts to address human smuggling and trafficking are reinvigorated, including measures to ensure protection and/or referrals for victims of trafficking and ensuring the effective prosecution of those involved in / or facilitating human trafficking or smuggling;
      Rescue at sea capacity coordinated by effective MRCCs that operate in accordance with international law is reinforced.

      As such, the proposal does not affect existing legal norms and responsibilities applicable under international law (Note 1) Rather it seeks to facilitate their application in accordance with a regional collaborative approach and the principle of international cooperation. This proposal relies on functional arrangements for intra-EU solidarity in managing all consequences of rescue, disembarkation and processing. It also relies on operational arrangements which would need to be sought and formalised through a set of understandings among all concerned States.

      https://www.iom.int/news/iom-unhcr-proposal-european-union-regional-cooperative-arrangement-ensuring-pre

      Question : c’est quoi la différence entre la proposition IOM/HCR et la proposition UE ?

    • THE LEGAL AND PRACTICAL FEASIBILITY OF DISEMBARKATION OPTIONS

      This note presents a first assessment of the legal and practical feasibility of the three different scenarios on disembarkation presented at the Informal Working Meeting of 24 June 2018. Under international maritime law, people rescued at sea must be disembarked at a place of safety. International law sets out elements of what a place of safety can be and how it can be designated, without excluding the possibility of having regional arrangements for disembarkation.


      https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/migration-disembarkation-june2018_en.pdf
      #scénario

    • #Palerme :
      ❝La Commission régionale de l’Urbanisme a rejeté le projet de pré-faisabilité du « #hotspot » à Palerme, confirmant l’avis du Conseil municipal de Palerme. L’avis de la Commission régionale reste technique. Le maire de Palerme a rappelé que "la ville de Palerme et toute sa communauté sont opposés à la création de centres dans lesquels la dignité des personnes est violée (...). Palerme reste une ville qui croit dans les valeurs de l’accueil, de la solidarité et des rencontres entre les peuples et les cultures, les mettant en pratique au quotidien. En cela, notre « non » à l’hotspot n’est pas et ne sera pas seulement un choix technique, mais plutôt un choix relatif à des principes et des valeurs".
      > Pour en savoir plus (IT) : http://www.palermotoday.it/politica/hotspot-zen-progetto-bocciato-regione.html

      –-> Reçu via la mailing-list Migreurop

    • Ne dites pas que ce sont des #camps !

      Les camps devraient être la solution. C’est en Afrique, peut-être en Libye ou au Niger, que les migrants seront arrêtés avant qu’ils puissent commencer leur dangereux voyage en mer vers l’Europe. Ainsi l’a décidé l’UE. Des camps attendront également les réfugiés qui réussiraient toutefois à arriver dans un pays de l’UE. Des camps sur le sol européen. Où seront-ils établis ? Cela n’est pas encore défini, mais ce seront des installations fermées et surveillées parce que les détenus devront être « enregistrés » et les personnes non autorisées seront expulsées. Ils ne pourront pas s’enfuir.

      L’intérêt pour les camps concerne également les responsables politiques allemands. Le gouvernement allemand veut élargir le no man’s land à la frontière germano-autrichienne afin que les réfugiés puissent être arrêtés avant d’entrer officiellement en Allemagne et avoir ainsi droit à une procédure d’asile régulière. Une « fiction de non-entrée » est créée, comme le stipule précisément l’accord. Un État qui magouille. Pendant ce temps, la chancelière Angela Merkel a déclaré que personne ne sera détenu plus de quarante-huit heures, même dans le no man’s land. Il reste encore à voir si l’Autriche y accédera. Le plan est pour l’instant plus un fantasme qu’une politique réalisable, ce qui est bien pire. Bien sûr, tous ces centres fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « non-prisons » devraient être appelées « centres de transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « tourisme d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « centres de protection » mais aussi celui de « plateformes d’atterrissage et de débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du vernis linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      La facilité avec laquelle tout cela est mis en œuvre est déconcertante. Deux ans seulement après que le public européen a condamné l’Australie pour ses camps brutaux de prisonniers gérés par des sociétés privées sur les îles de Nauru et Manus, dans l’océan Pacifique, nous sommes prêts à abandonner nos inhibitions. Pourquoi ne pas payer les Libyens pour intercepter et stocker des personnes ?

      Derrière le terme allemand « Lager » (« camp ») se cache un ancien mot correspondant à « liegen », qui signifie « être allongé ». Les camps sont ainsi faits pour se reposer. Aujourd’hui, le terme de « camp » implique quelque chose de temporaire : un camp n’est que pour une courte période, c’est pourquoi il peut aussi être rustique, comme un camp de vacances pour les enfants ou un dortoir. Des camps d’urgence sont mis en place après des catastrophes, des inondations, des glissements de terrain, des guerres. Ils sont là pour soulager les souffrances, mais ne doivent pas être permanents.

      Si les responsables politiques participent activement à l’internement de personnes dans des camps en l’absence de catastrophe, alors il s’agit d’autre chose. Il s’agit de contrôle, d’#ordre, de #rééducation, de #domination. Les puissances coloniales tenaient des camps, depuis les camps de barbelés des Britanniques au Kenya jusqu’aux camps de Héréros dans le Sud-Ouest africain. C’est dans des camps que les États-Unis ont enfermé des Américains d’origine japonaise pendant la Seconde Guerre mondiale. Les responsables de ces camps n’avaient pas pour préoccupation le logement, mais bien la garde et la gestion de « personnes problématiques ».

      Dans de tels camps, la #violence extrême et la #déshumanisation des détenus allaient et vont généralement de pair avec une gestion froide. Exploiter un camp nécessite de l’#organisation. La technologie de #contrôle à distance aide le personnel à commettre des atrocités et transforme des gens ordinaires en criminels. Dans son essai controversé « Le siècle des camps », le regretté sociologue #Zygmunt_Bauman qualifie le camp de symptôme de #modernité. Pour lui, l’association d’une #exclusion_brutale et d’une #efficacité dans l’ordre semblable à celle d’un jardinier est une caractéristique de notre époque.

      Que Bauman fasse des camps de concentration nazis un « distillat » d’un problème majeur et moderne pour sa thèse lui a justement valu des critiques. Il ignore la singularité de l’Holocauste. Contrairement aux camps coloniaux, les camps de concentration étaient en effet des camps d’extermination qui n’avaient plus pour fonction d’apprêter des groupes ou de les rééduquer, ni même de les dissuader. Il s’agissait de « violence pour elle-même », comme l’écrit le sociologue #Wolfgang_Sofsky, de folie de la #pureté et d’éradication des personnes #indésirables.

      L’Europe croit être à l’abri de cette folie. Pour les gouvernants allemands, le slogan « Plus jamais de camps en Allemagne » est un slogan ridicule parce qu’il évoque des images qui n’ont rien à voir avec le présent. Dans les différents camps de migrants en Europe et à l’extérieur, il n’est certes pas question d’une extermination mais « seulement » de contrôle de l’accès et de #dissuasion. C’est ce dernier objectif qui est explicitement recherché : répandre dans le monde l’idée de camps de l’horreur au lieu du paradis européen.

      Mais il n’y a pas de raison de maintenir la sérénité. L’analyse de Zygmunt Bauman parlait de la mince couche de #civilisation par-dessus la #barbarie. La leçon tirée de l’expérience des camps du XXe siècle est la suivante : « Il n’y a pas de société ordonnée sans #peur et sans #humiliation ». La #pensée_totalitaire peut à nouveau prospérer, même dans les sociétés apparemment démocratiques.

      https://www.tdg.ch/monde/europe/dites-camps/story/31177430
      #totalitarisme

      Et ce passage pour lequel je suis tentée d’utiliser le tag #frontières_mobiles (#Allemagne et #Autriche) :

      L’intérêt pour les camps concerne également les responsables politiques allemands. Le gouvernement allemand veut élargir le no #man’s_land à la frontière germano-autrichienne afin que les réfugiés puissent être arrêtés avant d’entrer officiellement en Allemagne et avoir ainsi droit à une procédure d’asile régulière. Une « #fiction_de_non-entrée » est créée, comme le stipule précisément l’accord.

      Et sur la question de la #terminologie (#mots #vocabulaire) :

      Bien sûr, tous ces #centres_fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « #non-prisons » devraient être appelées « #centres_de_transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « #tourisme_d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « #centres_de_protection » mais aussi celui de « #plateformes_d’atterrissage_et_de_débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du #vernis_linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      #shopping_de_l'asile #normalisation
      #cpa_camps

    • L’#Autriche veut proscrire toute demande d’asile sur le territoire de l’Union européenne

      A la veille d’une réunion, jeudi, entre les ministres de l’intérieur de l’UE sur la question migratoire, Vienne déclare vouloir proposer un changement des règles d’asile pour que les demandes soient étudiées hors d’Europe.

      https://mobile.lemonde.fr/europe/article/2018/07/10/l-autriche-veut-proscrire-toute-demande-d-asile-sur-le-territoire-de-

    • Record deaths at sea: will ‘regional disembarkation’ help save lives?
      ❝What is the aim of European policy on Mediterranean migration?

      Europe’s strategic ambition is clear: reduce the number of people who embark on journeys across the Mediterranean by boat. The more European countries struggle to share responsibility for those who are rescued at sea and brought to Europe, the stronger the desire to dissuade migrants from getting on a boat in the first place. Moreover, stemming the departures is said to be the only way of reducing the death toll.

      The challenge, as the European Council put it, is to ‘eliminate the incentive to embark’ on journeys across the Mediterranean. And the new migration agreement proposes a solution: setting up ‘regional disembarkation platforms’ outside the European Union. The logic is that if people rescued at sea are sent back to the coast they left, nobody will take the risk and pay the cost of getting on smugglers’ boats.
      Would this even work?

      Addressing the challenges of irregular migration is truly difficult. Still, it is baffling how the proposal for regional disembarkation platforms is embroiled in contradictions. The agreement itself is scant on specifics, but the challenges will surface as the policy makers have to make key decisions about how these platforms would work.

      First, will they be entry points for seeking asylum in Europe? The agreement suggests that the platforms might play this role. But if the platforms are entry points to the European asylum procedure, they will attract thousands of refugees who currently have no other option to apply for asylum in Europe than paying smugglers to set out to sea.

      This scenario raises a second question: what will be the possible ways of accessing the platforms? If they are reserved for refugees who have paid smugglers and are rescued at sea, access to protection will be just as reliant on smugglers as it is today. But if anyone can come knocking on the gate to the platforms, without having to be rescued first, the asylum caseload would swell. Such an outcome would be unacceptable to EU member states. As a recent EC note remarked, ‘to allow individuals to “apply” for asylum outside the EU […] is currently neither possible nor desirable.

      These two questions lay out the basic scenarios for how the regional disembarkation platforms would operate. Thinking through these scenarios it’s not clear if these platforms can ever be workable. Moreover, putting these platforms in place directly contradicts the European Council’s stated objectives:

      – dissuading smuggling journeys
      – distinguishing individual cases in full respect of international law
      – not creating a pull factor

      How does this relate to broader EU policies on migration?

      In some way, regional disembarkation platforms are a logical next step along the course the EU has been pursuing for years now. To stop refugees and other migrants from reaching its shores, the EU has been using a multi-pronged approach. On the one hand, the bloc has increased the use of aid to tackle the ‘root causes’ of migration – the logic being that if potential migrants are given other opportunities (e.g. skills training), they will be deterred from leaving. Similarly, information campaigns targeting aspiring migrants seek to deter people from setting out on dangerous journeys.

      Another major focus has been that of externalisation of border management – basically shifting border management to countries outside the EU: a key component of the EU-Turkey Deal is Turkey agreeing to take back refugees who crossed into Greece. Externalisation serves two purposes: keeping migrants physically out of Europe, but also as a deterrence measure sending potential migrants the implicit message that it won’t be easy to come to Europe.

      Regional disembarkation platforms are part of this process of externalisation. But there are key differences that make this proposal more extreme than policies pursued so far. Other externalization measures have aimed at preventing potential asylum seekers from reaching the point where they become eligible to launch a claim in Europe. The platforms will apparently serve a different role, by enabling the physical return of asylum seekers who have become Europe’s responsibility after being rescued by European ships in international waters.
      What do we know about efforts to deter irregular migration?

      The dim outlook for regional disembarkation platforms reflects more general limitations of deterrence measures in migration policy. Using decades worth of data, Michael Clemens and colleagues have shown that along the US-Mexico border greater deterrence and enforcement efforts have only reduced irregular migration when accompanied by greater legal migration pathways. Research by ODI has shown that information about deterrence measures and anti-migration messages rarely featured in migrant decision-making process. We will explore this further in our upcoming MIGNEX research project, which includes large-scale analyses of the drivers of migration in ten countries of origin and transit.
      Blocking access to asylum is not a life-saving measure

      The European Council presents regional disembarkation platforms as a strategy for ‘preventing tragic loss of life’. The irony of this argument is that these platforms will only deter sea crossings if they are dead ends where people who are rescued at sea are barred from seeking asylum in Europe. It is difficult to see how such a setup would be legally feasible, or indeed, ‘in line with our principles and values’, as the Council states.

      If the legal obstacles were overcome, there may indeed be fewer deaths at sea. But some of the deaths would simply occur out of sight instead. Refugees flee danger. Blocking access to seeking asylum puts more lives at risk and cannot be justified as a measure to save lives at sea.

      For now, the European Council glosses over the dilemmas that the regional disembarkation platforms will create. Facing the realities of the situation would not make perfect solutions appear, but it would enable an open debate in search of a defensible and effective migration policy.


      $https://blogs.prio.org/2018/07/record-deaths-at-sea-will-regional-disembarkation-help-save-lives

    • Austrian Presidency document: “a new, better protection system under which no applications for asylum are filed on EU territory”

      A crude paper authored by the Austrian Presidency of the Council of the EU and circulated to other Member States’s security officials refers disparagingly to “regions that are characterised by patriarchal, anti-freedom and/or backward-looking religious attitudes” and calls for “a halt to illegal migration to Europe” and the “development of a new, better protection system under which no applications for asylum are filed on EU territory,” with some minor exceptions.

      See: Austrian Presidency: Informal Meeting of COSI, Vienna, Austria, 2-3 July 2018: Strengthening EU External Border Protection and a Crisis-Resistant EU Asylum System (pdf): http://www.statewatch.org/news/2018/jul/EU-austria-Informal-Meeting-%20COSI.pdf

      The document was produced for an ’Informal Meeting of COSI’ (the Council of the EU’s Standing Committee on Operational Cooperation on Internal Security) which took place on 2 and 3 July in Vienna, and the proposals it contains were the subject of numerous subsequent press articles - with the Austrian President one of the many who criticised the government’s ultra-hardline approach.

      See: Austrian president criticises government’s asylum proposals (The Local, link); Austrian proposal requires asylum seekers to apply outside EU: Profil (Reuters, link); Right of asylum: Austria’s unsettling proposals to member states (EurActiv, link)

      Some of the proposals were also discussed at an informal meeting of the EU’s interior ministers on Friday 13 July, where the topic of “return centres” was also raised. The Luxembourg interior minister Jean Asselborn reportedly said that such an idea “shouldn’t be discussed by civilized Europeans.” See: No firm EU agreement on Austrian proposals for reducing migration (The Local, link)

      The Austrian Presidency paper proposes:

      "2.1. By 2020

      By 2020 the following goals could be defined:

      Saving as many human lives as possible;
      Clear strengthening of the legal framework and the operational capabilities of FRONTEX with respect to its two main tasks: support in protecting the Union’s external border and in the field of return;
      Increasing countering and destruction of people smugglers’ and human traffickers‘ business models;
      Significant reduction in illegal migration;
      More sustainable and more effective return measures as well as establishment of instruments that foster third countries’ willingness to cooperate on all relevant aspects, including the fight against people smuggling, providing protection and readmission;
      Development of a holistic concept for a forward-looking migration policy (in the spirit of a “whole of government approach“) and a future European protection system in cooperation with third countries that is supported by all and does not overburden all those involved – neither in terms of resources nor with regard to the fundamental rights and freedoms they uphold.

      2.2. By 2025

      By 2025 the following goals could be realised:

      Full control of the EU’s external borders and their comprehensive protection have been ensured.
      The new, better European protection system has been implemented across the EU in cooperation with third countries; important goals could include:
      no incentives anymore to get into boats, thus putting an end to smuggled persons dying in the Mediterranean;
      smart help and assistance for those in real need of protection, i.e. provided primarily in the respective region;
      asylum in Europe is granted only to those who respect European values and the fundamental rights and freedoms upheld in the EU;
      no overburdening of the EU Member States’ capabilities;
      lower long-term costs;
      prevention of secondary migration.
      Based on these principles, the EU Member States have returned to a consensual European border protection and asylum policy.”

      And includes the following statements, amongst others:

      “...more and more Member States are open to exploring a new approach. Under the working title “Future European Protection System” (FEPS) and based on an Austrian initiative, a complete paradigm shift in EU asylum policy has been under consideration at senior officials’ level for some time now. The findings are considered in the “Vienna Process” in the context of which the topic of external border protection is also dealt with. A number of EU Member States, the EU Commission and external experts contribute towards further reflections and deliberations on these two important topics.”

      “...ultimately, there is no effective EU external border protection in place against illegal migration and the existing EU asylum system does not enable an early distinction between those who are in need of protection and those who are not.”

      “Disembarkment following rescue at sea as a rule only takes place in EU Member States. This means that apprehensions at sea not only remain ineffective (non-refoulement, examination of applications for asylum), but are exploited in people smugglers’ business models.”

      “Due to factors related to their background as well as their poor perspectives, they [smuggled migrants] repeatedly have considerable problems with living in free societies or even reject them. Among them are a large number of barely or poorly educated young men who have travelled to Europe alone. Many of these are particularly susceptible to ideologies that are hostile to freedom and/or are prone to turning to crime.

      As a result of the prevailing weaknesses in the fields of external border protection and asylum, it is to be expected that the negative consequences of past and current policies will continue to be felt for many years to come. As experience with immigration from regions that are characterised by patriarchal, anti-freedom and/or backward-looking religious attitudes has shown, problems related to integration, safety and security may even increase significantly over several generations.”

      See: Austrian Presidency: Informal Meeting of COSI, Vienna, Austria, 2-3 July 2018: Strengthening EU External Border Protection and a Crisis-Resistant EU Asylum System (pdf)

      http://www.statewatch.org/news/2018/jul/eu-austrian-pres-asylum-paper.htm

    • Libya rejects EU plan for refugee and migrant centres

      Blow to Italy as Tripoli snubs proposal to set up processing centres in Africa

      Libya has rejected a EU plan to establish refugee and migrant processing centres in the country, adding that it would not be swayed by any financial inducements to change its decision.

      The formal rejection by the Libyan prime minister, Fayez al-Sarraj, is a blow to Italy, which is regarded as being close to his Tripoli administration.

      In June, Italy proposed reception and identification centres in Africa as a means of resolving divisions among European governments.

      The impasse came as the EU said it was willing to work as a temporary crisis centre to oversee the distribution of refugees and migrants from ships landing in Europe from Libya. Italy has said it is not willing to open its ports and may even reject those rescued by the EU Sophia search and rescue mission, a position that has infuriated other EU states.

      Speaking to the German newspaper Bild, Serraj said: “We are absolutely opposed to Europe officially wanting us to accommodate illegal immigrants the EU does not want to take in.”

      He dismissed accusations that Libya’s coastguard had shot at aid workers in ships trying to rescue people from the Mediterranean.

      “We save hundreds of people off the coast of Libya every day – our ships are constantly on the move,” he said. In practice, Libya is already running detention camps, largely as holding pens, but they are not run as EU processing centres for asylum claims.

      European foreign ministers agreed at a meeting on Monday to do more to train the Libyan coastguard by setting up the EU’s own training team inside Libya.

      The European parliament president, Antonio Tajani, said after a trip to Niger, one of the chief funnels for people into Libya, that the EU needed to plough more money into the Sahel region to reduce the need to leave the area. He said the number of people reaching Libya from Niger was collapsing.

      Tajani said: “Until 2016, 90% of irregular migrants travelled through the Niger to Libya and Europe. In just two years, Niger reduced migration flows by 95%, from over 300,000 to about 10,000 in 2018.”

      He said he would host a European conference in Brussels in October to support democratic elections in Libya scheduled for December.

      At the same time, Italy is to host a further conference in Rome in September seen as a follow-on to a conference held in May by the French president, Emmanuel Macron, that led to a commitment to hold elections this year.

      https://www.theguardian.com/world/2018/jul/20/libya-rejects-eu-plan-for-migrant-centres?CMP=Share_iOSApp_OtherSpeakin

    • UNHCR ed OIM discutono con la Commissione europea sulle piattaforme di sbarco, ma gli stati dicono no.

      Lunedì 30 luglio si svolgerà a Ginevra un incontro di rappresentanti dell’UNHCR e dell’OIM con la Commissione Europea per discutere sulle piattaforme di sbarco che Bruxelles vorrebbe imporre nei paesi di transito, come gli stati nordafricani, e negli stati di sbarco, soprattutto in Italia. Per selezionare rapidamente migranti economici e richiedenti asilo, e dunque procedere al respingimento immediato dei primi, senza alcuna garanzia di difesa, ed all’avvio delle procedure di asilo, per gli altri, senza alcuna garanzia di resettlement o di relocation ( ricollocazione) in un paese diverso da quello di primo ingresso. La Commissione dichiara che, soltanto dopo avere trovato un “approccio comune a livello europeo “, si rivolgeranno proposte ai paesi terzi. Gli stati nordafricani hanno però respinto in blocco questa proposta, e le autorità locali dei paesi di primo ingresso più interessati dagli sbarchi, confernano la loro opposizione a nuovi Hotspot. Le risorse previste per questa esternalizzazione delle frontiere sono ridicole. Per non parlare dei costi in termini di vite e di sfregio dei diritti umani.

      Un progetto che si salda strettamente con l’incremeno degli aiuti alla sedicente Guardia costiera “libica”, alla quale si affida già adesso, nella prassi quotidiana, un numero sempre più elevato di intercettazioni in acque internazionali, di fatto respingimenti collettivi, perchè realizzati con il coordinamento e l’assistenza di unità militari della Marina italiana che ha una base a Tripoli, nell’ambito della missione Nauras. Intanto la accresciuta assistenza italiana alla Marina ed alla Guardia costiera di Tripoli rischia di contribuire all’inasprimento del conflitto tra le diverse milizie ed allontana le probabilità di una reale pacificazione, premessa indispensabile per lo svolgimento delle elezioni. Le stesse milizie che continuano a trattenere in Libia, in condizioni disumane, centinaia di migliaia di persone.

      Dietro la realizzazione delle “piattaforme di sbarco” in Nordafrica, proposte anche dal Consiglio europeo del 28 giugno scorso, il ritiro dalle responsabilità di coordinamento dei soccorsi in acque internazionali da parte degli stati che fin qui ne sono stati responsabili in conformità al diritto internazionale generalmente riconosciuto. Per ragioni diverse, nè la Tunisia, ne la Libia, possono essere riconosciuti come “paesi terzi sicuri” con porti di sbarco che siano qualificabili come place of safety. Come avveniva fino a qualche mese fa, secondo il diritto internazionale, dopo i soccorsi in acque internazionali, i naufraghi vanno sbarcati non nel porto più vicino, na nel porto sicuro più vicino. Ma questa regola, a partire dal caso della nave Aquarius di SOS Mediterraneè, il 10 giugno scorso, è stata continuamente violata dal governo italiano e dalle autorità amministrative e militari che questo governo controlla. Molto grave, ma prevedibile, il comportamento di chiusura da parte di Malta, che continua a trattenere sotto sequstro due navi umanitarie, la Lifeline e la Seawatch. Sempre più spesso le dispute tra stati che negano a naufraghi un porto sicuro di sbarco rischiano di fare altre vittime

      La soluzione che si prospetta adesso con la nave SAROST 5,dopo gli appelli delle ONG tunisine, lo sbarco a Zarzis dei migranti soccorsi il 15 luglio, un caso eccezionale ben diverso da altri soccorsi operati in precedenza in acque internazionali, non costituisce un precedente, perchè la SAROST 5 batte bandiera tunisina. Dunque i naufraghi a bordo della nave si trovavano già in territorio tunisino subito dopo il loro recupero in mare. In futuro, quando i soccorsi in acque internazionali saranno comunque operati da imbarcazioni miitari o private ( incluse le ONG) con diversa bandiera, il problema del porto sicuro di sbarco si proporrà in termini ancora più gravi, con un ulteriore incremento delle vittime e delle sofferenze inflitte ai sopravvissuti, a fronte dei dinieghi degli stati che non rispettano il diritto internazionale ed impediscono la individuazione, nei tempi più rapidi, di un vero “place of safety”.

      Nel 2013 il caso del mercantile turco SALAMIS, che sotto cooordinamento della Centrale operativa (IMRCC) di Roma, aveva soccorso naufraghi a sud di Malta, in acque internazionali, si era concluso con lo sbarco in Italia, in conformità del diritto internazionale. Con lo sbarco dei migranti soccorsi dalla SAROST 5 nel porto di Zarzis,in Tunisia, per ragioni di emergenza sanitaria, si consuma invece una ennesima violazione del diritto internazionale, dopo i rifiuti frapposti dalle autorità italiane e maltesi. Stati che creano sofferenze, come strumento politico e di propaganda, fino al punto da costringere i comandanti delle navi a dichiarare lo stato di emergenza. Alla fine il governo tunisino, nel giorno della fiducia al governo e dell’insediamento del nuovo ministro dell’interno, ha ceduto alle pressioni internazionali, ed ha accettato per ragioni umanitarie lo sbarco di persone che da due settimane erano bloccate a bordo di un rimorchiatore di servizio ad una piattaforma petrolifera, in condizioni psico-fisiche sempre più gravi. Un trattamento inumano e degradante imposto da quelle autorità e di quegli stati che, immediatamente avvertiti dal comandante della SAROST 5 quando ancora si trovava in acque internazionali, hanno respinto la richiesta di garantire in tempi più rapidi ed umani un porto di sbarco sicuro.

      Di fronte al probabile ripetersi di altri casi di abbandono in acque internazionali, con possibili pressioni ancora più forti sulla Tunisia, è importante che l’UNHCR e l’OIM impongano agli stati membri ed all’Unione Europea il rispetto del diritto internazionale e l’obbligo di soccorso in mare, nel modo più immediato. Le prassi amministraive di “chiusura dei porti” non sono sorrette ada alcuna base legale, e neppure sono concretizzate in provvedimenti amministrativi, motivati ed impugnabili davanti ad una qualsiasi autorità giurisdizionale. Non si può continuare a governare tratendo in inganno il corpo elettorale, distorcendo persino le posizioni delle grandi organizzazioni internazionali. Fino ad un mese fa sia l’UNHCR che l’OIM avevano respinto la proposta della Commissione che voleva creare piattaforme di sbarco al di fuori dei confini europei. Una proposta che adesso viene ripresentata con vigore ancora maggiore, sotto la presidenza UE affidata all’Austria di Kurz, con la spinta di Orban e di Salvini verso la “soluzione finale” verso migranti ed ONG.

      Le Nazioni Unite conoscono bene la situazione in Libia. Occorre garantire a tutti i naufraghi soccorsi in acque internazionali un porto sicuro di sbarco, che non deve essere quello più vicino, se non offre la piena garanzia di una tutela effettiva dei diritti fondamentali e del diritto di chiedere asilo delle persone sbarcate. Non basta la presenza fisica di operatori dell’UNHCR e dell’OIM in alcuni punti di sbarco, come si sta verificando da mesi in Tripolitania, per riconoscere l’esistenza di un place of safety in paesi che anche secondo le grandi istituzioni internazionali, come per i tribunali italiani, non sono in grado di garantire place of safety in conformità alle Convenzioni internazionali.

      Se si dovesse decidere di riportare i migranti intercettati in acque internazionali e sbarcati nei paesi nordafricani, ammesso che posa succedere( anche se i migranti considerati “illegali” in Nordafrica saranno costretti a firmare una richiesta di resettlement, se non di rimpatrio volontario), magari per essere riportati indietro in un campo profughi in Niger, sarebbero violati i principi base di protezione delle persone, in quanto eseri umani, ai quali si ispirano le Convenzioni internazionali e la Costituzione italiana. La Convenzione di Ginevra non esclude il diritto dei richeidenti asilo a rivolgersi ad paese piuttosto che ad un altro. L’evacuazione dalle aree di crisi non esclude il diritto di accesso alle frontiere di un paese europeo perchè la richiesta di asilo sua valutata con le garanzie sostanziali e procedurali previste dalla normativa interna e sovranazionale.

      Se l’UNHCR e l’OIM cederanno alle pressioni dei governi, diventeranno complici degli abusi che i migranti continuano a subire nei paesi del nordafrica nei quali vengono respinti e detenuti.

      Le Organizzazioni non governative che, insieme ai naufraghi che soccorrono, continuano ad essere bersaglio di una campagna di odio che non accenna ad attenuarsi, continueranno, nei limiti dei propri mezzi a denunciare quanto accade ed a soccorrere le persone che in acque internazionali potranno raggiungere prima che facciano naufragio. La loro attività di ricerca e salvataggio appare tuttavia fortemente ridotta, anche per la illegittima “chiusura dei porti” decisa dal governo italiano, in assenza di qualsiasi provvedimento che ne fornisca una base legale, tale almeno da potere essere impugnato. Una lesione forse irreversibile dello stato di diritto (rule of law) alle frontiere marittime.Una responsabilità ancora maggiore per le autorità militari alle quali sarebbe affidato il coordinamento delle attività di ricerca e soccorso in mare (SAR). La percentuale delle vittime calcolate sul numero dei migranti che ancora riescono a fuggire dalla Libia non è mai stata tanto alta. Non si deve ridurre il valore del rispetto della vita umana alla riduzione numerica degli arrivi o dei soccorsi in mare.

      Dietro la conclamata esigenza di contrastare i trafficanti si cela una micidiale arma elettorale che sta permettendo il capovolgimento della narrazione dei fatti e la criminalizzazione della solidarietà. Il ruolo delle città dell’accoglienza e dei rappresentanti politici che ancora si oppongono a questa deriva disumana contro i migranti e le ONG, devono passare dalle parole ai fatti e dare concretezza alle dichiarazioni di solidarietà ed all’impegno di aprire i porti, ed aprire le città. Tutti i cittadini solidali sono chiamati ad esporsi in prima persona, saldando il ruolo delle autonomie locali con la capacità di autorganizzazione. Sarà una stagione lunga e dolorosa di conflitto, senza una rappresentanza polkitica capace di praticare una vera opposizione. Ma non ci sono possibilità di mediazione con chi dimostra di valutare una parte dell’umanità come “untermenschen” ( sottouomini), praticando l’abbandono in mare ed il respingimento collettivo verso luoghi di internamento e tortura, in modo da creare le premesse per una discriminazione istituzionale che nei territori si sta già traducendo in una violenza diffusa contro i più deboli. Oggi tocca ai migranti, dai naufraghi a quelli accolti nei centri in Italia, domani saranno nel mirino le componenti minoritarie dell’intera popolazione.

      https://www.a-dif.org/2018/07/29/unhcr-ed-oim-discutono-con-la-commissione-europea-sulle-piattaforme-di-sbarco

    • Libya rejects establishment of reception centres for irregular migrants on its territory

      Foreign Minister of the Presidential Council’s government Mohamed Sayala said Libya refuses the idea of setting up reception centres for irregular migrants on its territory, as did Tunisia, Algeria and Morocco.

      “The country’s immigrant housing centres are sheltering around 30,000 immigrants, and Libya has cooperated with the European Union to return migrants to their countries of origin, but some countries refused to receive them,” Sayala said to the Austrian newspaper Die Presse.

      “Libya has signed agreements with Chad, Niger and Sudan to enhance the security of the crossing borders in order to curb the flow of migrants,” the Foreign Minister added.

      https://www.libyaobserver.ly/inbrief/libya-rejects-establishment-reception-centres-irregular-migrants-its-t

    • Juncker says N.Africa migrant “camps” not on EU agenda

      European Commission President Jean-Claude Juncker said on Friday that a suggestion that the European Union might try to set up migrant camps in North Africa was no longer on the agenda.

      EU member states are in disagreement over how the bloc should deal with tens of thousands of migrants arriving every year in Europe, the bulk of them by sea from Turkey and North Africa.

      In June, a summit of all EU leaders asked the Commission to study ways to set up “regional disembarkation platforms” in North African countries, including Tunisia, for migrants rescued by European vessels in the Mediterranean.

      However, there has been little appetite in Africa and EU officials have long questioned the legality and practicality of such camps — a view underlined in Juncker’s blunt reply.

      “This is no longer on the agenda and never should have been,” Juncker told a news conference in Tunis with Tunisian Prime Minister Youssef Chahed.

      http://news.trust.org/item/20181026131801-1t7he
      #cpa_camps

    • Juncker says North Africa migrant ’camps’ not on EU agenda

      European Commission President Jean-Claude Juncker said on Friday that a suggestion that the European Union might try to set up migrant camps in North Africa was no longer on the agenda.

      EU member states are in disagreement over how the bloc should deal with tens of thousands of migrants arriving every year in Europe, the bulk of them by sea from Turkey and North Africa.

      In June, a summit of all EU leaders asked the Commission to study ways to set up “regional disembarkation platforms” in North African countries, including Tunisia, for migrants rescued by European vessels in the Mediterranean.

      However, there has been little appetite in Africa and EU officials have long questioned the legality and practicality of such camps — a view underlined in Juncker’s blunt reply.

      “This is no longer on the agenda and never should have been,” Juncker told a news conference in Tunis with Tunisian Prime Minister Youssef Chahed.


      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-africa/juncker-says-north-africa-migrant-camps-not-on-eu-agenda-idUSKCN1N01TU

    • Refugee centers in Tunisia ’out of the question’, president says

      The Tunisian President, Beji Caid Essebsi, has said his country will not host EU refugee reception centers. He also told DW that Tunisia was a safe country, despite a terrorist attack in the capital earlier this week.

      President Essebsi made the statement in Berlin, where he attended Chancellor Angela Merkel’s African business summit. In an interview with DW’s Dima Tarhini, the 91-year-old leader said opening refugee reception centers in countries such as Tunisia was “out of the question.”

      “Tunisia has much more experience with refugees than many European countries. After the Libyan revolution, more than 1.3 million refugees from various countries streamed into Tunisia. Fortunately, most of them returned to their home countries with our help. Europe has never experienced anything comparable. And we, unlike Europe, do not have the capacities to open reception centers. Every country needs to pull its own weight on this issue.”

      The European Union wants greater cooperation on migration with North African nations Algeria, Egypt, Libya, Tunisia, Niger and Morocco. Earlier this year, the EU migration commissioner announced a plan for a “regional disembarkation scheme”. Under the proposed deal, African countries would host migrant screening centers to process refugee claims. The Tunisian government has already expressed opposition to the idea.

      Despite terrorism, a ’safe country’

      During President Essebsi’s visit to Berlin, a 30-year-old woman blew herself up with a homemade bomb in the Tunisian capital, injuring at least eight people.

      “We thought we had eradicated terrorism, but it turns out that it still exists and that it can strike in the heart of the capital,” President Essebsi said in a statement to the press.

      The suicide attack led to renewed questions about whether Tunisia should be considered a safe country of origin for asylum seekers.

      Tarhini: In Germany, in the context of repatriating asylum-seekers, it has been questioned just how safe Tunisia really is. Tunisia is considered a safe North African country. What is your opinion on this?

      Beji Caid Essebsi: "Tunisia is a safe country; that is the truth. It is much safer than many other countries. Regarding refugees and the problem that they pose for Europe and other regions: Tunisia guarantees the freedom of its citizens, no matter what their conduct. If Tunisians abroad do something wrong and are sent back, then we will take them in. But not citizens of other countries.

      http://www.infomigrants.net/en/post/13062/refugee-centers-in-tunisia-out-of-the-question-president-says?ref=tw
      #Tunisie
      ping @_kg_

    • Les plateformes de débarquement pour migrants enterrées ?

      « Les Plateformes de débarquement en Afrique ne sont plus à l’ordre du jour et n’auraient jamais dû l’être », a déclaré le président de la Commission européenne Juncker, ce 26 octobre, lors d’une conférence de presse à Tunis avec le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed .

      Etonnant ? Rembobinons la bande-son 4 mois en arrière...

      Les plateformes de débarquement sont une proposition de la Commission européenne faite, à Bruxelles, le 28 juin lors d’un Conseil européen. Son objectif était d’empêcher l’arrivée des personnes migrantes, dites irrégulières, sur le sol européen. Comment ? En les bloquant, en amont, dans des centres fermés, le temps d’examiner leur profil et demande. Et en y débarquant systématiquement les naufragés repêchés en Méditerranée. Ces plates-formes seraient situées sur les côtes africaines notamment en Tunisie et au Maroc. L’Egypte a été également évoquée.

      Cette proposition s’inscrivait dans l’approche dominante de « l’externalisation » de la gestion des frontières prônée de façon croissante par les institutions européennes et ses membres depuis une vingtaine d’années. Depuis 2015, cette approche constitue l’une des orientations majeures des politiques migratoires européennes.

      Pourquoi dès lors, la Commission fait-elle marche arrière quant à ce projet ? Plusieurs raisons peuvent être avancées.

      La première réside dans le fait que cette approche n’atteint pas ses objectifs (endiguer les départs et augmenter les expulsions des personnes en situation irrégulière). Il suffit de voir la situation dans les hotspots d’Italie et de Grèce depuis 2015. A Moria, sur l’île de Lesbos, MSF parle de crise humanitaire due au surpeuplement, aux infrastructures et conditions d’accueil déplorables, ainsi qu’à l’insécurité mettant à mal l’ensemble des droits fondamentaux des personnes, notamment ceux des femmes et des mineurs. Les plus vulnérables se retrouvent dans un cul-de-sac.
      « Moria est devenu pour beaucoup un lieu de transit prolongé le temps que leur demande d’asile soit étudiée », souligne Dimitris Vafeas, le directeur adjoint du camp de Moria. D’autres exemples sont ceux du Niger ou encore de la Libye qui laissent les personnes migrantes dans une situation « d’encampement » permanent ou d’errance circulaire sans fin, faute de voies légales de migrations.

      La seconde explication trouve sa source dans le fait que cette approche ne respecte pas le droit international. En effet, d’une part, selon la Convention de Genève, chacun a le droit de quitter son pays et de demander l’asile dans un pays où sa sécurité sera assurée. Le droit international, s’il autorise un pays à refuser l’immigration, prohibe l’instauration du délit d’émigration : la Déclaration universelle des droits de l’homme stipule ainsi en son article 13 le droit de « quitter tout pays y compris le sien ». De plus, le droit maritime prévoit que tout naufragé sauvé en mer doit être conduit vers le port proche le plus sûr, ce qui implique que les personnes rescapées au large des côtes européennes doivent y être conduite. Enfin, plusieurs pays, à commencer par la Libye, ne représentent en aucun cas des « lieux sûrs », au regard des conditions auxquelles y font face les migrants. Même au Maroc, il y a quelques semaines, le GADEM, association marocaine de défense des droits de l’homme, sortait un rapport dramatique faisant état des violences multiples qu’encourent les personnes migrantes au Maroc.

      La troisième raison est que la majorité des pays en développement ne veulent pas entendre parler de ces plates-formes. Ils accueillent déjà 85 % des personnes réfugiées alors que l’Europe n’en accueille que 6%. Les pays africains tentent donc de faire bloc afin d’installer un rapport de force face aux Européens. Ils savent qu’ils sont désormais des acteurs incontournables du dossier migratoire sur la scène internationale. Cependant, les sommes mises sur la table, tels que les budgets de l’APD, risquent à terme d’effriter ce bloc d’argile, même si ces montants doivent être mis en regard des transferts des diasporas (remittances), nettement plus importants et qui rendent donc les dirigeants des pays d’origine enclins à favoriser les migrations.

      Il est donc temps, vu cet échec, que la Commission européenne change de cap et axe ses politiques non pas sur l’externalisation des questions de l’asile et de la migration, mais sur le renforcement de la solidarité intra-européenne dans l’accueil et sur la mise en œuvre de nouvelles voies sûre et légales de migration. Cela lui permettrait, enfin, de respecter le droit international et de consacrer son APD à la réalisation des Objectifs de développement plutôt qu’à la lutte contre les migrations, fussent-elles irrégulières.

      https://www.cncd.be/Les-plateformes-de-debarquement

    • L’UE bat partiellement en retraite sur les hotspots en Afrique

      Le Conseil voulait débarquer les migrants sauvés en Méditerranée sur les côtes africaines. Face à l’opposition des États africains, le projet a été abandonné, mais l’UE fait toujours pression sur les pays de transit.

      Au sommet du Conseil de juin dernier, les dirigeants européens ont demandé à la Commission d’étudier la possibilité d’instaurer des « plateformes de débarquement régionales » en Afrique, afin d’y envoyer les migrants repêchés par des bateaux européens en Méditerranée.

      L’initiative a tourné court. Dans les jours qui ont suivi le sommet, le Maroc et l’Union africaine se sont mobilisés pour assurer un rejet généralisé des « hotspots » sur les territoires africains.

      Nasser Bourita, le ministre marocain aux Affaires étrangères, a accusé les dirigeants européens de réagir de manière excessive, et souligné que le nombre de migrants tentant d’entrer en Europe a largement chuté. À ce jour, ils sont 80 000 à être arrivés cette année, contre 300 000 en 2016.

      La société civile s’est aussi opposée au projet, estimant que ces camps de migrants seraient contraires aux engagements de l’UE en termes de droits de l’Homme.

      Lors d’une visite en Tunisie le 26 octobre, Jean-Claude Juncker, président de la Commission européenne, a assuré que l’UE ne tentait pas de mettre en place des camps de réfugiés dans le nord de l’Afrique. « Ce n’est plus au programme, et ça n’aurait jamais dû l’être », a-t-il indiqué lors d’une conférence de presse avec le Premier ministre tunisien, Youssef Chahed.

      Une semaine après, la porte-parole de la Commission, Natasha Bertaud, a expliqué que l’exécutif européen préférait à présent parler d’« arrangements de débarquement régionaux ». L’UE a donc commencé à préparer des accords spécifiques avec chacun des pays concernés, dont un échange de financements contre un meilleur contrôle migratoire. Le but est ainsi d’empêcher les migrants d’arriver en Europe.

      Accords en négociations

      Depuis le mois de septembre, des discussions sont en cours entre Bruxelles et le gouvernement égyptien d’Abdel Fattah al-Sissi. Un accord « cash contre migrants » devrait être finalisé avant le sommet UE-Ligue arabe qui aura lieu en février au Caire.

      S’il parait évident que l’Europe ne répétera pas son offre de 4 milliards à la Turquie, l’Égypte devrait demander une aide considérable et des prêts avantageux en échange d’un durcissement du contrôle migratoire. Des accords similaires devraient être conclus avec le Maroc, la Tunisie et la Libye.

      Le timing n’est pas dû au hasard, puisque Abdel Fattah al-Sissi succédera en janvier au Rwandais Paul Kagame à la présidence de l’Union africaine, et que le sommet de février sera centré sur l’immigration.

      Ce n’est pourtant pas parce que l’idée des « hotspots » a été abandonnée que les pays africains échappent aux pressions européennes.

      Le 1er novembre, Reuters indiquait que le ministère marocain des Affaires étrangères avait mis en place une nouvelle obligation pour les ressortissants du Congo Brazzaville, de Guinée et du Mali, qui devront à présent demander un permis de voyage quatre jours avant leur arrivée au Maroc. La plupart des migrants espérant atteindre l’Europe via le Maroc sont guinéens ou maliens.

      L’Espagne fait en effet pression sur Rabat pour réduire le nombre d’arrivées de migrants, notamment via ses enclaves de Ceuta et Melilla.

      Redéfinitions à venir

      Par ailleurs, les conditions de renvoi des migrants seront redéfinies dans le texte qui remplacera l’accord de Cotonou, mais il est clair que l’Europe ne voudra pas les rendre plus strictes. Les discussions entre l’UE et les pays d’Afrique, des Caraïbes et du Pacifique, viennent de commencer.

      L’accord, qui expire en 2020, prévoit que les États africains réintègrent les migrants qui n’obtiennent pas l’autorisation de rester en Europe, une mesure qui n’a cependant pas été mise en pratique. « Les dirigeants africains ne respecteront jamais ces articles sur la migration », indique une source proche des négociations.

      L’Union africaine n’est pas parvenue à unir ses membres pour négocier le successeur de l’accord de Cotonou sur la base d’une position commune face à l’UE, mais les avis sont plus convergents sur la question migratoire. Selon une représentante de la société civile, son plan d’action sur l’immigration est « l’un des meilleurs documents sur la migration ».

      Contrairement à l’UE, divisée entre des pays plutôt accueillants et d’autres comme la Hongrie, la Pologne ou l’Italie, qui défendent des règles extrêmement strictes, les membres de l’Union africaine sont sur la même longueur d’onde sur le sujet. « L’UE n’est pas en position de négocier sur l’immigration, mais l’Union africaine l’est », conclut cette même source.

      Pour montrer à ses citoyens qu’elle agit, l’UE pourrait donc finir par mettre en place des arrangements de contrôle migratoire fragmentés et chers.

      https://www.euractiv.fr/section/migrations/news/eu-lowers-its-ambitions-on-african-migration-control

    • EP lawyers back EU plans for migrant centres in Africa

      Lawyers working at the European Parliament on Tuesday (27 November) struggled to provide a detailed analysis of whether stalled EU plans to offload rescued migrants in north Africa were legal - but ultimately backed the controversial concept.

      “It was at least a brave attempt to piece together, sort of like bits of circumstantial evidence from a kind of a crime scene, to see what the hell this is,” British centre-left MEP Claude Moraes said of their efforts.

      Speaking at the parliament’s civil liberties committee, a lawyer from the legal service was only able to provide an oral summary of their report, citing confidentiality issues.

      But EUobserver has obtained a full copy of the 10-page confidential report, which attempted to provide a legal analysis of stalled EU plans to set up so-called ’regional disembarkation platforms’ in north Africa and controlled centres in Europe.

      The report broadly rubber stamps the legality of both concepts, but with conditions.

      It says “controlled centres and/or disembarkation platforms of a similar nature could be, in principle, lawfully established in the European Union territory.”

      It states disembarkation platforms “could lawfully be established outside of the European Union, in order to receive migrants rescued outside the territory of the Union’s member states.”

      It also says EU law does not apply to migrants rescued at high sea, even with a boat flying an EU-member state flag.

      “We can’t consider a vessel flying a flag of a member state to be an extension of a member state,” the lawyer told the MEPs.

      EU law is also not applied if the migrant is rescued in the territorial waters of an African coastal state, states the report.

      It also notes that people rescued in EU territorial waters cannot then be sent to disembarkation platforms in an non-EU state.

      Morocco and other bordering coastal states must apply the 1951 Geneva Convention and must be considered safe before allowing them to host any disembarkation platform.

      Earlier this year, the European Commission tasked the EU’s asylum support office to analyse the safety of both Morocco and Tunisia.

      But neither country has voiced any interest in hosting such platforms.

      The two countries were then presented over the summer by EU heads of state and government as a possible solution to further stem boat migrants from taking to the seas in their efforts to reach Europe.

      The concepts, initially hatched by the International Organisation for Migration (IOM) and the UN refugee agency (UNHCR), were met with disdain by north African states, who viewed them as a veiled attempt by the EU to outsource its problem back onto them.

      Furthermore, not a single EU state has expressed any interest to host a controlled centre.

      Human rights defenders have also raised alarm given the poor treatment of thousands of refugees and migrants stuck in over-crowded camps on the Greek islands.

      Attempting to replicate similar camps or centres elsewhere has only heightened those fears.

      But the EU says it is pressing ahead anyway.

      “The disembarkation arrangement, the discussion, is proceeding in the Council,” said Vincet Piket, a senior official in the EU’s foreign policy branch, the EEAS.

      https://euobserver.com/migration/143513

    • Et il y a des personnes, qui travaillent pour le HCR, ici #Vincent_Cochetel, qui croient en les plateformes de désembarquement évidemment...

      Good statement of search and rescue organisations, but I would like to see the same advocacy efforts with North African countries. A predictable regional disembarkation mechanism must be a shared responsibility on both sides of the Mediterranean.

      https://twitter.com/cochetel/status/1073190725473484801?s=19

    • African Union seeks to kill EU plan to process migrants in Africa

      Exclusive: Leaked paper shows determination to dissuade coastal states from cooperating.

      The African Union is seeking to kill off the EU’s latest blueprint for stemming migration, claiming that it would breach international law by establishing “de facto detention centres” on African soil, trampling over the rights of those being held.

      A “#common_African_position_paper” leaked to the Guardian reveals the determination of the 55-member state body, currently headed by Egypt, to dissuade any of its coastal states from cooperating with Brussels on the plan.

      The EU set plans for “regional disembarkation platforms” in motion last summer to allow migrants found in European waters to have their asylum requests processed on African soil.

      Brussels has a similar arrangement in place with Libya, where there are 800,000 migrants, 20,000 of whom are being held in government detention centres. The Libyan authorities have been accused of multiple and grave human rights abuses. A UN report recently stated that migrants in the country faced “unimaginable horrors”.

      Some northern states, including Morocco, have already rejected the EU’s proposal over the new “platforms”, but there are concerns within the African Union (AU) that other member governments could be persuaded by the offer of development funds.

      Italy’s far-right interior minister Matteo Salvini has called for the centres to be based around the Sahel region, in Niger, Chad, Mali and Sudan. An inaugural summit between the EU and the League of Arab States is being held in Sharm el-Sheikh in Egypt on Sunday and Monday, and migration is expected to be discussed.

      “When the EU wants something, it usually gets it,” said a senior AU official. “African capitals worry that this plan will see the establishment of something like modern-day slave markets, with the ‘best’ Africans being allowed into Europe and the rest tossed back – and it is not far from the truth.”

      They added: “The feelings are very, very raw about this. And it feels that this summit is about the EU trying to work on some countries to cooperate. Bilaterally, some countries will always look at the money.”

      EU officials, in turn, have been coy about the purposes of the summit, insisting that it is merely an attempt to engage on issues of joint importance.

      The leaked draft joint position of the AU notes that Brussels has yet to fully flesh out the concept of the “regional disembarkation platforms”. But it adds: “The establishment of disembarkation platforms on the African Continent for the processing of the asylum claims of Africans seeking international protection in Europe would contravene International Law, EU Law and the Legal instruments of the AU with regard to refugees and displaced persons.

      “The setup of ‘disembarkation platforms’ would be tantamount to de facto ‘detention centres’ where the fundamental rights of African migrants will be violated and the principle of solitary among AU member states greatly undermined. The collection of biometric data of citizens of AU Members by international organisations violates the sovereignty of African Countries over their citizens.”

      The AU also criticises Brussels for bypassing its structures and warns of wider repercussions. “The AU views the decision by the EU to support the concept of ‘regional disembarkation platforms’ in Africa and the ongoing bilateral consultation with AU member states, without the involvement of the AU and its relevant institutions, as undermining the significant progress achieved in the partnership frameworks and dialogues between our two unions,” the paper says.

      Confidential legal advice commissioned by the European parliament also raises concerns about the legality of establishing processing centres on African soil for those found in European waters.

      The paper, seen by the Guardian, warns that “migrants, after they have been rescued (or a fortiori after they have been brought back on to European Union territory), could not be sent to platforms outside of the European Union without being granted access to the EU asylum procedures and without being granted the possibility to wait for the complete examination of their request”.

      https://www.theguardian.com/world/2019/feb/24/african-union-seeks-to-kill-eu-plan-to-process-migrants-in-africa

  • L’Allemagne prévoit d’envoyer les demandeurs d’asile dans des #centres_fermés

    En Allemagne, les demandeurs d’asile vont être envoyés dans des centres jusqu’à ce que l’administration statue sur leur demande. Cette mesure vise à rendre le processus de demande d’asile plus efficace, les détracteurs craignent au contraire que les personnes vulnérables et traumatisées ne soient exposées à un danger accru.

    http://www.infomigrants.net/fr/post/8301/l-allemagne-prevoit-d-envoyer-les-demandeurs-d-asile-dans-des-centres-
    #réfugiés #asile #migrations #liberté_de_mouvement #efficacité #privation_de_liberté
    cc @isskein

  • There are no camps" in #Libya, only detention centres. Need to protect refugees, migrants before they get there


    Déclaration de #Cochetel, publiée sur twitter le 18.07.2017
    https://twitter.com/UNGeneva/status/887339785081237506

    #terminologie #mots #vocabulaire #camps #centres_de_détention #asile #migrations #réfugiés #Libye #détention #centres

    No detention centres in Libya, just ’prisons’ - UNHCR

    “We can hope that one day there will be decent and open centres, but now they don’t exist,” Cochetel said.

    http://www.ansa.it/english/news/2017/08/04/no-detention-centres-in-libya-just-prisons-unhcr-2_7aba4a80-8178-42b8-9095-f074

    @sinehebdo : la question de la #terminologie est évoquée deux fois :
    – dans le tweet : « Need to protect refugees , migrants before they get there »
    – et puis sur les #camps/#centres_de_détention en Libye

    #cpa_camps

    • Noury (Amnesty Italia): «I centri d’accoglienza in Libia sono in realtà prigioni»

      «Esatto, senza considerare poi che i centri d’accoglienza libici dove verrebbero condotti i respinti sono in realtà delle prigioni, alcune delle quali informali, magari vecchi capannoni industriali, o alberghi, o addirittura case private. Chiamarli “centri d’accoglienza” è del tutto sbagliato, sono luoghi di detenzione nei quali non c’è alcuna garanzia per l’incolumità fisica delle persone. Sappiamo che avvengono stupri e torture quotidianamente, ci sono prigionieri detenuti in ostaggio fino a quando i familiari non pagano, prigionieri venduti da una banda criminale all’altra. E, se noi contribuiamo a rafforzare questo sistema illegale, ne siamo pienamente complici.

      https://left.it/2017/08/12/noury-amnesty-italia-i-centri-daccoglienza-in-libia-sono-in-realta-prigioni

    • Rescue ship says Libyan coast guard shot at and boarded it, seeking migrants

      A Libyan coast guard vessel fired shots and boarded a humanitarian ship in the Mediterranean on Tuesday, demanding that the migrants on board be handed over to them, a spokesman for the Mission Lifeline charity said.

      “The Libyan man said: ‘This is our territory,’” said Axel Steier, a spokesman for the German-based charity that performed its first rescues on Tuesday.

      “After a while, they fired shots,” he said, probably into the air or sea. No one was wounded.

      Afterward two Libyans boarded the Lifeline ship to try to persuade them to hand over some 70 migrants they had just taken off a wooden boat in international waters.

      “We told them we don’t return migrants to Libya. After a while, they gave up,” Steier said. The two men spent about 15 minutes on board, he said.

      A Libyan coast guard spokesman in Tripoli declined to comment, saying he was seeking information. Italy’s coast guard, which coordinates rescues, did not respond to repeated telephone calls.

      It was the latest incident reported between the Libyan coast guard and humanitarian rescue ships operating off North Africa. Financed, trained and equipped by Italy, the Tripoli-based coastguard is intercepting a growing number of migrant boats.

      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-ngo/rescue-ship-says-libyan-coast-guard-shot-at-and-boarded-it-seeking-migrants
      #Méditerranée #gardes-côtes

    • Quei campi libici sono irriformabili

      Hai voglia di annunciare bandi, di investire qualche milione di euro per rendere vivibile ciò che vivibile non è. Perché i lager libici sono come il socialismo reale: irriformabili. In discussione non sono le buone intenzioni che animano il vice ministro degli Esteri con delega per la Cooperazione internazionale, Mario Giro: per lui parla il lungo impegno in favore della pace e della giustizia sociale per l’Africa e il fatto, politicamente significativo, che nell’estate dominata dalla «caccia» alle Ong e da una ondata securista, Giro è stata una delle poche voci alzatesi tra le fila del governo per ricordare a tutti che i migranti intercettati sulla rotta del Mediterraneo venivano ricacciati nell’"inferno libico".

      http://www.huffingtonpost.it/umberto-de-giovannangeli/quei-campi-libici-sono-irriformabili_a_23225947

    • L’Onu vuole aprire un centro di transito per i profughi in Libia

      Un contingente di 250 guardie di sicurezza nepalesi arriverà in Libia in questi giorni per garantire sicurezza alla base militare dell’Onu di Tripoli. Se tutto andrà come previsto, spiega Roberto Mignone, capomissione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’inizio di novembre anche il personale internazionale dell’organizzazione, che dal 2014 si è spostato a Tunisi per ragioni di sicurezza, potrebbe tornare in Libia in pianta stabile.

      https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2017/09/29/onu-libia-centro-profughi
      #centre_de_transit

    • UN human rights chief: Suffering of migrants in Libya outrage to conscience of humanity

      “The international community cannot continue to turn a blind eye to the unimaginable horrors endured by migrants in Libya, and pretend that the situation can be remedied only by improving conditions in detention,” Zeid Ra’ad Al Hussein said, calling for the creation of domestic legal measures and the decriminalisation of irregular migration to ensure the protection of migrants’ human rights.

      http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=22393&LangID=E

    • Cet extrait tiré d’un article du Sole 24 Ore (journal italien plutôt tourné économie et finance) est quand même assez incroyable, surtout le début, ce « certo »( « certes »)...

      Certes... il y a toujours le problème des centres de détention dans un pays qui n’a pas signé la convention de Genève, mais certaines ONG italiennes sont en train d’entrer dans les centres pour vérifier le respect des principes humanitaires basiques...
      dit l’article... « certes »...

      Certo, resta sempre il problema dei centri di detenzione in un Paese che non ha firmato la convenzione di Ginevra, ma alcune Ong italiane stanno entrando nei centri per verificare il rispetto dei più elementari principi umanitari. Sarebbero oltre 700mila i migranti identificati in Libia tra gennaio e febbraio dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Ma non ci sono numeri precisi (si parla di altri 300 o 400mila migranti) sparsi in Libia in condizioni anche peggiori dei centri. Per il 63% si tratta di giovani provenienti dall’Africa sub-sahariana, per il 29% da quella settentrionale e per l’8% da Medio Oriente e Asia.


      http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-02-24/libia-e-niger-bilancio-dell-italia-e-l-eredita-il-prossimo-governo--212

      A mettre en lien, comme le suggère @isskein sur FB, avec cet autre article publié l’été passé :

      Italy minister sees light at the end of the tunnel on migrant flows

      Italy’s interior minister said on Tuesday (15 August) he saw light at the end of the tunnel for curbing migrant flows from Libya after a slowdown in arrivals across the Mediterranean in recent months.

      https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/italy-minister-sees-light-at-the-end-of-the-tunnel-on-migrant-flows

    • Campi libici, l’inferno nel deserto. La sentenza della Corte di assise di Milano

      La qualità delle indagini e della loro resa dibattimentale, insieme alla ritenuta credibilità delle dichiarazioni delle persone offese, ha confermato, secondo i giudici dell’assise, un contesto di privazione della libertà dei migranti e di violenze di ogni tipo che scolpisce una realtà che per la sorte dei diritti umani è fondamentale non ignorare.

      http://questionegiustizia.it/articolo/campi-libici-l-inferno-nel-deserto-la-sentenza-della-corte-di-ass

    • « Je voudrais faire comprendre qu’une fois entrée dans ce système de traite humaine et de rançonnage, une personne ne peut en sortir qu’en se jetant à la mer. Elle y est poussée. On ne passe plus par ce pays [la Libye], on en réchappe : Yacouba ne cherchait plus à se rendre en Europe, il voulait juste ne pas mourir en Libye. Les migrants qui embarquent sur les zodiacs ont été ballottés de ghetto en ghetto, placés en détention durant plusieurs mois. Maltraités, dépouillés, leurs corps épuisés sont alors portés par le seul espoir de retrouver un semblant de dignité sur le ’continent des droits de l’homme’. »

      Source : Samuel GRATACAP, in Manon PAULIC, « Ce que l’Europe refuse de voir », Le 1, n°188, 7 février 2018, p.3.

    • Libya: Shameful EU policies fuel surge in detention of migrants and refugees

      A surge in migrants and refugees intercepted at sea by the Libyan authorities has seen at least 2,600 people transferred, in the past two months alone, to squalid detention centres where they face torture and extortion, Amnesty International said today.

      The global human rights organisation accuses European governments of complicity in these abuses by actively supporting the Libyan authorities in stopping sea crossings and sending people back to detention centres in Libya.

      “The EU is turning a blind eye to the suffering caused by its callous immigration policies that outsource border control to Libya,” said Heba Morayef, Amnesty International’s Middle East and North Africa Director.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/05/libya-shameful-eu-policies-fuel-surge-in-detention-of-migrants-and-refugees

    • Ne dites pas que ce sont des #camps !

      Bien sûr, tous ces #centres_fermés de rassemblement de migrants ne peuvent pas être appelés camps. Cela évoquerait des images effrayantes : les camps de concentration nazis, le système des goulags soviétiques, les camps de réfugiés palestiniens de plusieurs générations, le camp de détention de Guantánamo.

      Non, en Allemagne, ces « #non-prisons » devraient être appelées « #centres_de_transit ». Un terme amical, efficace, pratique, comme la zone de transit d’un aéroport où les voyageurs changent d’avion. Un terme inventé par les mêmes personnes qui désignent le fait d’échapper à la guerre et à la pauvreté comme du « #tourisme_d’asile ». Les responsables politiques de l’UE sont encore indécis quant à la terminologie de leurs camps. On a pu lire le terme de « #centres_de_protection » mais aussi celui de « #plateformes_d’atterrissage_et_de_débarquement », ce qui fait penser à une aventure et à un voyage en mer.

      Tout cela est du #vernis_linguistique. La réalité est que l’Europe en est maintenant à créer des camps fermés et surveillés pour des personnes qui n’ont pas commis de crime. Les camps vont devenir quelque chose qui s’inscrit dans le quotidien, quelque chose de normal. Si possible dans des endroits lointains et horribles, si nécessaire sur place. Enfermer, compter, enregistrer.

      https://www.tdg.ch/monde/europe/dites-camps/story/31177430

    • Cruel European migration policies leave refugees trapped in Libya with no way out

      A year after shocking images purporting to show human beings being bought and sold in Libya caused a global outcry, the situation for migrants and refugees in the country remains bleak and in some respects has worsened, said Amnesty International.

      Findings published by the organization today highlight how EU member states’ policies to curb migration, as well as their failure to provide sufficient resettlement places for refugees, continue to fuel a cycle of abuse by trapping thousands of migrants and refugees in appalling conditions in Libyan detention centres.

      “One year after video footage showing human beings being bought and sold like merchandise shocked the world, the situation for refugees and migrants in Libya remains bleak,” said Heba Morayef, Middle East and North Africa Director for Amnesty International.

      “Cruel policies by EU states to stop people arriving on European shores, coupled with their woefully insufficient support to help refugees reach safety through regular routes, means that thousands of men, women and children are trapped in Libya facing horrific abuses with no way out.”

      Migrants and refugees in Libyan detention centres are routinely exposed to torture, extortion and rape.

      One year after video footage showing human beings being bought and sold like merchandise shocked the world, the situation for refugees and migrants in Libya remains bleak
      Heba Morayef, Amnesty International’s Director for the Middle East and North Africa

      The UN refugee agency (UNHCR) has registered 56,442 refugees and asylum seekers in Libya and has repeatedly called on European and other governments to offer resettlement to refugees stranded in Libya, including through evacuation to Niger. However, only 3,886 resettlement places have been pledged by 12 countries and in total just 1,140 refugees have been resettled from Libya and Niger so far. Italy separately evacuated 312 asylum seekers from Libya directly to Italy between December 2017 and February 2018, but no further evacuations took place until the resettlement of 44 refugees on 7 November.

      Over the past two years EU member states have put in place a series of measures to block migration across the central Mediterranean, boosting the capacity of the Libyan Coast Guard to intercept sea crossings, striking deals with militias in Libya and hampering the work of NGOs carrying out search and rescue operations.

      These policies have contributed to a nearly 80% drop in the numbers crossing the central Mediterranean and arriving in Italy, from 114,415 between January and November 2017 to just 22,232 so far in 2018. There are currently around 6,000 refugees and migrants being held in detention centres in Libya.

      With the central Mediterranean sea route almost completely shut off, and the Libyan authorities keeping refugees in unlawful detention and refusing to release them to UNHCR’s care, the only way out of Libyan detention centres is through evacuation to another country via programmes run by the UN. For refugees, who cannot return to their home country, the lack of international resettlement places on offer has left thousands stranded in Libyan detention centres.

      The opening of a long promised UNHCR processing centre in Libya that would offer safety for up to 1,000 refugees by allowing them to relocate from the abusive detention centres has been repeatedly delayed. Its opening would undoubtedly be a positive step, but it would only assist a small proportion of refugees in detention and does not offer a sustainable solution.

      “At the same time as doing their utmost to stop sea crossings and helping the Libyan Coast Guard to intercept people at sea and send them back to notorious detention centres, European governments have catastrophically failed to offer other routes out of the country for those most in need,” said Heba Morayef.

      “While Europe fails to extend the desperately needed lifeline to save those stuck in Libya and at risk of abuse, it is time that the Libyan authorities take responsibility for their atrocious policies of unlawful detention and protect the human rights of all people in their territory.”

      Armed clashes in Tripoli between August and September this year have also made the situation for refugees and migrants more dangerous. Some of those held in detention centres have been wounded by stray bullets. There have also been instances where detention centre guards have fled to escape rocket attacks leaving thousands of inmates locked up without food or water.

      The publication of Amnesty’s findings is timed to coincide with a meeting of Libyan and other world leaders in the Italian city of Palermo on 12 and 13 November. This international conference is intended to find solutions to break the political stalemate in Libya. Amnesty International is calling on all those taking part in the conference to ensure that human rights of all people in the country, including refugees and migrants, are placed at the centre of their negotiations.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2018/11/cruel-european-migration-policies-leave-refugees-trapped-in-libya-with-no-w

    • UNHCR Flash Update Libya (9 - 15 November 2018) [EN/AR]

      An estimated 5,400 refugees and migrants are presently held in detention centres in Libya, of whom 3,900 are of concern to UNHCR. Over the past month, UNHCR has registered 2,629 persons of concern in detention centres in and around Tripoli. So far in 2018, UNHCR conducted 1,139 visits to detention centres and distributed CRIs to 19,348 individuals. Through its partner International Medical Corps (IMC), UNHCR continues to provide medical assistance in detention centres in Libya. So far in 2018, IMC provided 20,070 primary health care consultations in detention centres and 237 medical referrals to public hospitals. In detention centres in the East, UNHCR’s partners have so far provided 1,058 primary health care consultations and distributed CRIs to 725 individuals.

      https://reliefweb.int/report/libya/unhcr-flash-update-libya-9-15-november-2018-enar

      #statistiques #chiffres #2018

    • Libia, i minori abusati e torturati nei centri di detenzione per migranti finanziati dall’Ue

      I minori bloccati nei centri di detenzione in Libia, finanziati anche dall’Unione europea tramite il Fondo per l’Africa, subiscono abusi e soffrono di malnutrizione, secondo quanto riportato dal Guardian.

      I bambini hanno raccontato di essere stati picchiati e maltrattati dalla polizia libica e dalle guardie del campo, descrivendo la loro vita come “un inferno in terra”.

      Secondo i dati analizzati dal Guardian, in Libia esistono 26 centri dei detenzione dei migranti, ma il numero dei minori detenuti non è chiaro in quanto non esistono registi affidabili.
      Nonostante ciò, si pensa che siano più di mille i bambini presenti nei campi di detenzione in Libia.Secondo l’Unhcr, almeno 5.400 rifugiati sono detenuti in territorio libico.

      Le rivelazioni dei bambini, che rischiano di essere puniti dalle guardie per aver parlato con i media, forniscono il resoconto più dettagliato della vita nei campi di detenzione.
      Le denunce delle Ong – A inizio di novembre Amnesty International aveva già denunciato le condizioni insostenibili in cui i migranti erano costretti a vivere, raccontando come la tortura e i maltrattamenti fossero all’ordine del giorno.

      “C’è un vero e proprio disprezzo da parte dell’Europa e di altri Stati per la sofferenza di coloro che si trovano nei centri di detenzione”, si legge nel rapporto di Amnesty.

      Un ragazzo di 16 anni ha raccontato al Guardian cosa vuol dire viver nei centri di detenzione in Libia: “Sono qui da quattro mesi. Ho cercato di scappare tre volte per attraversare il mare diretto in Italia ma ogni volta sono stato catturato e riportato al centro di detenzione”.

      “Stiamo morendo, ma nessuno se ne sta assumendo la responsabilità. Dobbiamo essere portati in un posto sicuro, invece siamo rinchiusi qui 24 ore al giorno. Non vediamo l’alba e non vediamo il tramonto “.

      I centri sono progettati per mantenere i richiedenti asilo in Libia ed evitare che attraversino il Mediterraneo diretti verso l’Europa.

      L’Ue ha investito decine di milioni di euro per cercare di impedire ai richiedenti asilo provenienti da zone di conflitto, come l’Eritrea e il Sudan, di entrare in Europa.

      Le testimonianze – Un rifugiato eritreo di 13 anni rinchiuso in un campo di Tripoli ha raccontato che i detenuti ricevono solo una o due piccole porzioni di pasta in bianco al giorno.

      Malattie come la tubercolosi sono diffuse e in molti possiedono solo una maglietta e un paio di pantaloncini, inadatte alle temperature nei centri.

      “Non abbiamo niente qui, niente cibo, niente vestiti, niente telefoni. Mi mancano così tanto mia madre e mio padre”, ha detto il ragazzo.

      Nei giorni precedenti un rifugiato di 24 anni ha cercato di impiccarsi nella toilette di uno dei campi e un altro si è dato fuoco nel campo di Triq al Sikka di Tripoli.

      Un ragazzo eritreo di 17 anni che è fuggito da un centro di detenzione e ha raggiunto il Regno Unito aveva 50 cicatrici sul suo corpo, a dimostrazione delle torture subite in Libia.

      “Quello che giovani, donne, bambini e neonati stanno soffrendo nei centri di detenzione in Libia è uno dei più grandi fallimenti della nostra civiltà”, ha affermato Giulia Tranchina, del Wilsons solicitors, che rappresenta il diciassettenne eritreo.

      “I governi europei, a nostro nome, con il nostro denaro stanno pagando le autorità libiche, le milizie e i generali dell’esercito per continuare a detenere e torturare i profughi per assicurarsi che non arrivino in Europa”.

      Una portavoce dell’UNHCR ha dichiarato: “Siamo incredibilmente preoccupati per la situazione dei profughi e dei migranti detenuti in Libia. Le condizioni di detenzione sono terribili”.

      https://mediterraneomigrante.it/2018/11/26/libia-i-minori-abusati-e-torturati-nei-centri-di-detenzione-per
      #enfants #enfance #torture #abus_sexuels #viols

    • Un #rapport de l’ONU met en lumière les «horreurs inimaginables» des migrants et réfugiés en Libye et au-delà

      Les migrants et les réfugiés sont soumis à des « horreurs inimaginables » dès leur arrivée en Libye, tout au long de leur séjour dans le pays et - s’ils parviennent à ce résultat - lors de leurs tentatives de traverser la Méditerranée, selon un rapport publié jeudi, par la mission politique des Nations Unies en Libye (#MANUL) et le Bureau des droits de l’homme des Nations Unies (HCDH).

      « Il y a un échec local et international à gérer cette calamité humaine cachée qui continue de se produire en Libye », a déclaré Ghassan Salamé, qui dirige la MINUS.

      Assassinats illégaux, détention arbitraire et tortures, viols collectifs, esclavage et traite des êtres humains, le rapport couvre une période de 20 mois jusqu’en août 2018 et détaille une terrible litanie de violations et d’exactions commises par divers agents de l’État, armés contrebandiers et trafiquants contre les migrants et les réfugiés.

      Les conclusions reposent sur 1 300 témoignages de première main recueillis par le personnel des droits de l’homme des Nations Unies en Libye, ainsi que sur des migrants qui sont rentrés au Nigéria ou ont réussi à atteindre l’Italie, retraçant tout le parcours des migrants et des réfugiés de la frontière sud de la Libye, à travers le désert jusqu’à la côte nord.

      Le climat d’anarchie en Libye fournit un terrain fertile pour les activités illicites, laissant les migrants et les réfugiés « à la merci d’innombrables prédateurs qui les considèrent comme des marchandises à exploiter et à extorquer », indique le rapport, notant que « l’écrasante majorité des femmes et des adolescentes »ont déclaré avoir été« violées par des passeurs ou des trafiquants ».
      Trafic d’êtres humains

      De nombreuses personnes sont vendues par un groupe criminel à un autre et détenues dans des centres non officiels et illégaux gérés directement par des groupes armés ou des gangs criminels.

      « D’innombrables migrants et réfugiés ont perdu la vie en captivité tués par des passeurs, après avoir été abattus, torturés à mort ou tout simplement avoir été laissés mourir de faim ou de négligence médicale », indique le rapport.

      « Dans toute la Libye, des corps non identifiés de migrants et de réfugiés portant des blessures par balle, des marques de torture et des brûlures sont fréquemment découverts dans des poubelles, des lits de rivière asséchés, des fermes et le désert. »

      Ceux qui réussissent à survivre aux abus et à l’exploitation, et à tenter la traversée périlleuse de la Méditerranée, sont de plus en plus interceptés - ou « sauvés » comme certains le prétendent - par les garde-côtes libyens. Depuis le début de 2017, les quelque 29 000 migrants renvoyés en Libye par les garde-côtes ont été placés dans des centres de détention où des milliers de personnes restent indéfiniment et arbitrairement, sans procédure régulière ni accès à un avocat ou à des services consulaires.

      Des membres du personnel de l’ONU se sont rendus dans 11 centres de détention où sont détenus des milliers de migrants et de réfugiés. Ils ont constaté des cas de torture, de mauvais traitements, de travaux forcés et de viols commis par les gardes. Les migrants retenus dans les centres sont systématiquement soumis à la famine et à des passages à tabac sévères, brûlés avec des objets chauds en métal, électrocutés et soumis à d’autres formes de mauvais traitements dans le but d’extorquer de l’argent à leurs familles par le biais d’un système complexe de transferts d’argent.
      Surpeuplement des centres de détention

      Les centres de détention se caractérisent par un surpeuplement important, un manque de ventilation et d’éclairage, et des installations de lavage et des latrines insuffisantes. Outre les exactions et les actes de violence perpétrés contre les personnes détenues, beaucoup d’entre elles souffrent de malnutrition, d’infections cutanées, de diarrhée aiguë, d’infections du tractus respiratoire et d’autres affections, ainsi que de traitements médicaux inadéquats. Les enfants sont détenus avec des adultes dans les mêmes conditions sordides.

      Le rapport signale l’apparente « complicité de certains acteurs étatiques, notamment de responsables locaux, de membres de groupes armés officiellement intégrés aux institutions de l’État et de représentants des ministères de l’Intérieur et de la Défense, dans le trafic illicite ou le trafic de migrants et de réfugiés ».

      Nils Melzer, expert indépendant des droits de l’homme des Nations Unies sur la torture, estime que, compte tenu des risques de violations des droits de l’homme dans le pays, les transferts et les retours en Libye peuvent être considérés comme une violation du principe juridique international du « non-refoulement », qui protège les demandeurs d’asile et les migrants contre le retour dans des pays où ils ont des raisons de craindre la violence ou la persécution.

      « La situation est abominablement terrible », a déclaré jeudi Michelle Bachelet, Haut-Commissaire des Nations Unies aux droits de l’homme. « Combattre l’impunité généralisée non seulement mettrait fin aux souffrances de dizaines de milliers de femmes, d’hommes et d’enfants migrants et réfugiés, à la recherche d’une vie meilleure, mais saperait également l’économie parallèle et illégale fondée sur les atteintes à ces personnes et contribuerait à l’instauration de l’état de droit et des institutions nationales ».

      Le rapport appelle les États européens à reconsidérer les coûts humains de leurs politiques et à veiller à ce que leur coopération et leur assistance aux autorités libyennes soient respectueuses des droits de l’homme et conformes au droit international des droits de l’homme et du droit des réfugiés, de manière à ne pas, directement ou indirectement, aboutir à ce que des hommes, des femmes et des enfants soient enfermés dans des situations de violence avec peu d’espoir de protection et de recours.

      https://news.un.org/fr/story/2018/12/1032271

    • Libya: Nightmarish Detention for Migrants, Asylum Seekers

      EU and Italy Bear Responsibility, Should Condition Cooperation

      (Brussels) – European Union policies contribute to a cycle of extreme abuse against migrants in Libya, Human Rights Watch said in a report released today. The EU and Italy’s support for the Libyan Coast Guard contributes significantly to the interception of migrants and asylum seekers and their subsequent detention in arbitrary, abusive detention in Libya.

      The 70-page report, “‘No Escape from Hell’: EU Policies Contribute to Abuse of Migrants in Libya,” documents severe overcrowding, unsanitary conditions, malnutrition, and lack of adequate health care. Human Rights Watch found violent abuse by guards in four official detention centers in western Libya, including beatings and whippings. Human Rights Watch witnessed large numbers of children, including newborns, detained in grossly unsuitable conditions in three out of the four detention centers. Almost 20 percent of those who reached Europe by sea from Libya in 2018 were children.

      “Migrants and asylum seekers detained in Libya, including children, are trapped in a nightmare, and what EU governments are doing perpetuates detention instead of getting people out of these abusive conditions,” said Judith Sunderland, associate Europe director at Human Rights Watch. “Fig-leaf efforts to improve conditions and get some people out of detention do not absolve the EU of responsibility for enabling the barbaric detention system in the first place.”

      In a letter to Human Rights Watch as the report went to print, the European Commission indicated that its dialogue with Libyan authorities has focused on respect for the human rights of migrants and refugees, that the EU’s engagement in Libya is of a humanitarian nature, and that concrete improvements have been achieved though challenges remain.

      Human Rights Watch visited the #Ain_Zara and #Tajoura detention centers in Tripoli, the al-Karareem detention center in Misrata, and the Zuwara detention center in the city of the same name in July 2018. All are under the nominal control of the Directorate to Counter Illegal Migration (DCIM) of the Government of National Accord (GNA), one of two competing authorities in Libya. Human Rights Watch spoke with over 100 detained migrants and asylum seekers, including 8 unaccompanied children, and each center’s director and senior staff. Researchers also met with the head of DCIM; senior officials of Libya’s Coast Guard, which is aligned with the GNA; and representatives of international organizations and diplomats.

      Abdul, an 18-year-old from Darfur, was intercepted by the Libyan Coast Guard in May 2018, when he attempted to reach Europe to apply for asylum. He was subsequently detained in abysmal, overcrowded, and unsanitary conditions in the al-Karareem center. He said that guards beat him on the bottom of his feet with a hose to make him confess to helping three men escape. Abdul’s experience encapsulates the struggle, dashed hopes, and suffering of so many migrants and asylum seekers in Libya today, Human Rights Watch said.

      Senior officials in EU institutions and member countries are aware of the situation. In November 2017, EU migration commissioner, Dimitri Avramopoulos, said: “We are all conscious of the appalling and degrading conditions in which some migrants are held in Libya.” Yet since 2016, the EU and particular member states have poured millions of euros into programs to beef up the Libyan Coast Guard’s capacity to intercept boats leaving Libya, fully aware that everyone is then automatically detained in indefinite, arbitrary detention without judicial review.

      Italy – the EU country where the majority of migrants departing Libya have arrived – has taken the lead in providing material and technical assistance to the Libyan Coast Guard forces and abdicated virtually all responsibility for coordinating rescue operations at sea, to limit the number of people arriving on its shores. The increase in interceptions in international waters by the Libyan Coast Guard, combined with obstruction by Italy and Malta of rescue vessels operated by nongovernmental organizations, has contributed to overcrowding and deteriorating conditions in Libyan detention centers.

      Enabling the Libyan Coast Guard to intercept people in international waters and return them to cruel, inhuman, or degrading treatment in Libya can constitute aiding or assisting in the commission of serious human rights violations, Human Rights Watch said. EU and member state support for programs for humanitarian assistance to detained migrants and asylum seekers and for evacuation and repatriation schemes have done little to address the systemic problems with immigration detention in Libya, and serve to cover up the injustice of the EU containment policy.

      Libyan authorities should end arbitrary immigration detention and institute alternatives to detention, improve conditions in detention centers, and ensure accountability for state and non-state actors who violate the rights of migrants and asylum seekers. The authorities should also sign a memorandum of understanding with UNHCR, the United Nations refugee agency, to allow it to register anyone in need of international protection, regardless of nationality, in full respect of its mandate.

      EU institutions and member states should impose clear benchmarks for improvements in the treatment of migrants and conditions in detention centers in Libya and be prepared to suspend cooperation if benchmarks are not met. The EU should also ensure and enable robust search-and-rescue operations in the central Mediterranean, including by nongovernmental groups, and significantly increase resettlement of asylum seekers and vulnerable migrants out of Libya.

      “EU leaders know how bad things are in Libya, but continue to provide political and material support to prop up a rotten system,” Sunderland said. “To avoid complicity in gross human rights abuses, Italy and its EU partners should rethink their strategy to truly press for fundamental reforms and ending automatic detention.”

      https://www.hrw.org/news/2019/01/21/libya-nightmarish-detention-migrants-asylum-seekers

    • L’odissea degli ultimi. Libia, nuove cronache dall’orrore

      Ancora foto choc dai campi di detenzione di #Bani_Walid, dove i trafficanti torturano e ricattano le vittime Prigionieri di criminali efferati, 150 profughi subiscono violenza da mesi.

      Le immagini provengono direttamente dall’inferno di Bani Walid, distretto di #Misurata, circa 150 chilometri a sud-est di Tripoli. Sono state mandate ai familiari dai trafficanti di esseri umani per indurli al pagamento del riscatto per rilasciarli. Da sei mesi ogni giorno i detenuti subiscono minacce, percosse, torture e le donne spesso vengono stuprate dai guardiani. Tutti hanno cicatrici e bruciature per la plastica fusa gettata su arti e schiena. Ma la cifra chiesta dai libici – 4 o 5mila dollari – è troppo alta perché i parenti hanno già dovuto pagare le diverse tappe del viaggio e ora stanno chiedendo aiuto ai conoscenti. Come ha scritto di recente anche il Corriere della Sera, nel caos libico lo scontro tra il governo centrale di Serraj e quello di Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha lasciato senza paghe i dipendenti pubblici, tra cui i guardiani delle galere.


      https://dossierlibia.lasciatecientrare.it/lodissea-degli-ultimi-libia-nuove-cronache-dallorrore

    • Torture and shocking conditions: the human cost of keeping migrants out of Europe

      It’s been heralded as the start of a new dialogue. The first summit between the League of Arab States and EU member states ended with a lofty statement of shared values.

      European leaders shook hands with their Arab counterparts and discussed issues such as Syria, Yemen and nuclear proliferation. They agreed to tackle the “common challenge” of migration.

      Tonight, we’ve new evidence of how Libyan authorities are tackling that challenge.

      Footage from inside camps in Libya shows migrants living in shocking conditions. And there are disturbing signs that some migrants are being tortured by people traffickers. This report contains images that some viewers will find distressing.


      https://www.channel4.com/news/torture-and-shocking-conditions-the-human-cost-of-keeping-migrants-out-of-

    • Des migrants détenus en Libye, torturés pour s’être rebellés

      L’affaire est révélée par la télévision al-Jazeera. Le sort des migrants et des réfugiés bloqués en Libye ne cesse de se dégrader. Le 26 février 2019, plus d’une centaine se sont révoltés dans le centre de Triq al-Sikka à Tripoli, pour dénoncer leurs conditions de détention. La répression a été terrible. Une trentaine de ces détenus auraient été torturés.


      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/naufrage-a-lampedusa/des-migrants-detenus-en-libye-tortures-pour-setre-rebelles_3217669.html

    • L’incapacité européenne face à la #maltraitance des réfugiés en Libye

      #Matteo_de_Bellis, chercheur d’Amnesty International sur les migrations, revient sur les tortures et les violences contre les réfugiés et les migrants en Libye et l’incapacité honteuse de l’Europe à y mettre fin.

      Farah, un jeune homme somalien, sa femme et leur fille qui venait de naître avaient passé 12 heures en mer quand les gardes-côtes libyens ont intercepté leur canot. Le couple avait fui la Libye après plusieurs mois de torture dans un hangar dans lequel Farah était battu et sa femme était violée par des bandes criminelles libyennes essayant d’obtenir une rançon de leurs proches.

      Lorsqu’il a réalisé qu’il allait être renvoyé en Libye, le jeune homme de 24 ans a été pris de nausées. « Je savais qu’il valait mieux mourir que retourner en Libye, mais ils nous ont menacés avec des armes. »

      Farah, sa femme et son bébé ont passé les sept mois suivants dans deux centres de détention de Tripoli. « Il n’y avait pas de nourriture ou de soins pour mon bébé. Elle est morte à huit mois. Elle s’appelait Sagal. »

      Leur histoire n’est que l’une des nombreuses histoires déchirantes de violence et de cruauté inimaginable que j’ai pu entendre le mois dernier à Médenine, une petite ville du sud de la Tunisie, qui a accueilli un nombre limité mais constant de réfugiés et de migrants franchissant la frontière pour échapper à l’enfer de la Libye.

      Ce weekend, de nouveaux témoignages faisant état de torture dans le centre de détention de Triq al Sikka ont été recueillis. D’après ces informations, plus de 20 réfugiés et migrants, dont des enfants, ont été conduits dans une cellule en sous-sol et torturés individuellement, à tour de rôle, à titre de punition pour avoir protesté contre leur détention arbitraire dans des conditions déplorables et l’absence de solution. En réponse à cette contestation, plus d’une centaine d’autres personnes détenues ont été transférées vers d’autres centres de détention, notamment celui d’#Ain_Zara, dans lequel Sagal est morte.

      Ces témoignages de violences correspondent à ce que j’ai pu entendre en Tunisie. Un autre homme somalien, Abdi, a décrit l’extorsion et les violences qu’il a subies aux mains des gardiens des centres de détention. Comme Farah, Abdi a été arrêté en mer par les gardes-côtes libyens et renvoyé en Libye où il est passé d’un centre de détention à un autre.

      Parfois, les gardes boivent et fument, puis frappent des gens. Ils demandent aussi aux gens de leur donner de l’argent en échange de leur libération, et ceux qui ne paient pas sont frappés. On voyait les gardes, tant des membres des milices que de la police, venir et frapper des gens qui n’avaient pas payé.

      La plupart des personnes actuellement détenues dans les centres de détention de Libye ont été interceptées en mer par les gardes-côtes libyens, qui ont bénéficié de tout un éventail de mesures de soutien de la part des gouvernements européens en échange de leur coopération en vue d’empêcher les réfugiés et les migrants d’atteindre les côtes européennes.

      L’argent des contribuables européens a été utilisé pour fournir des bateaux, créer une zone de recherche et sauvetage libyenne et construire des centres de coordination, entre autres mesures, en vue de renforcer les capacités de la Libye à empêcher ces personnes de fuir le pays et à les maintenir en détention illégale. Et ces aides ont été accordées sans la moindre condition associée, même si une telle coopération entraîne de graves violations des droits humains, comme des actes de torture.

      Si les États membres de l’Union européenne veulent cesser d’être complices des violences, des viols et de l’exploitation que subissent des femmes, des hommes et des enfants, ils doivent exiger la fermeture de tous les centres de détention pour migrants en Libye et la libération des quelque 5 000 personnes qui y sont actuellement détenues.

      Les gouvernements européens qui, depuis des années, prennent des mesures frénétiques, faisant adopter des politiques destinées à empêcher les arrivées en Europe quel qu’en soit le coût humain, doivent revenir à la raison, surtout maintenant que le nombre de traversées est très faible. Au-delà de mesures en vue de remédier à la crise des droits humains en Libye qui touche tant des Libyens que des ressortissants d’autres pays, la réponse doit prévoir un mécanisme rapide et fiable de débarquement en Europe des personnes en quête d’asile et des migrants secourus en Méditerranée, ainsi qu’un système équitable de partage des responsabilités en matière d’assistance entre les États membres de l’Union européenne.

      Ces mesures permettraient de contribuer à éviter les événements désastreux qui se sont enchaînés l’année dernière : des bateaux de sauvetage bloqués en mer pendant des semaines face au refus des pays de l’Union européenne d’ouvrir leurs ports et de les accueillir. Non seulement ces événements aggravent les souffrances des personnes qui viennent de fuir des traitements épouvantables, mais ils découragent également les navires marchands de porter secours à des personnes en détresse et de veiller à ce que ces personnes puissent débarquer dans un lieu sûr, où elles ne pourront pas être renvoyées en Libye.

      Emmanuel, un réfugié de 28 ans qui a fui le conflit au Cameroun, a décrit sa dérive en mer à bord d’un canot non loin d’une autre embarcation qui prenait l’eau, et sa stupéfaction lorsqu’un bateau a refusé de leur porter secours.

      Depuis le gros bateau, ils ont passé des appels, mais nous ont dit : “Désolé, nous ne pouvons pas vous accueillir, ce n’est pas de ma faute, nous avons ordre de laisser les Libyens venir vous chercher.” Pendant ce temps, je voyais les gens mourir sur l’autre bateau. Des bouts de bateau et des corps flottaient. [Quand] un petit bateau libyen est venu nous chercher... toutes les personnes à bord de l’autre canot étaient mortes. »

      Alors que des informations selon lesquelles des réfugiés de pays comme l’Érythrée retournent dans leur pays en dépit des risques bien connus pesant sur leur vie émergent, l’Europe ne peut pas se permettre d’ignorer les conséquences catastrophiques de ses politiques irresponsables destinées à freiner l’immigration en Méditerranée.

      Les départs depuis la Libye sont en déclin, c’est donc le moment d’exiger des changements, notamment la fermeture des centres de détention pour migrants en Libye, la mise en place d’un système de débarquement et de relocalisation équitable en Europe et des voies sûres et légales qui n’obligent pas les personnes qui cherchent la sécurité à passer par des traversées en mer.

      Cela permettrait à de nombreux enfants et adultes de sortir de ce calvaire et de quitter les centres de détention atroces dans lesquels ils sont actuellement détenus arbitrairement en Libye. Les gouvernements européens, qui ont fermé la route de la Méditerranée centrale et donc abandonné des milliers de personnes prises au piège en Libye, ne doivent pas perdre de temps.

      Nous pourrions aider à sauver des dizaines d’autres Sagal, de pères et de mères.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/lincapacite-europeenne-face-a-la-maltraitance-des

    • Refugees report brutal and routine sexual violence in Libya

      Abuse often filmed and sent to victims’ relatives, Women’s Refugee Commission finds.
      Refugees and migrants trying to reach Europe from Africa are being subjected to horrific and routine sexual violence in Libyan detention centres, a survey has found.

      People arriving at the centres are “often immediately raped by guards who conduct violent anal cavity searches, which serves the dual purpose of retrieving money, as well as humiliation and subjugation”, the report by the Women’s Refugee Commission says. Many of the victims have been forcibly returned to the country by the Libyan coastguard under policies endorsed by the European Union.

      The level of psychological treatment for victims of sexual violence who reach Italy is woefully inadequate, the report adds.

      Sarah Chynoweth, the lead researcher on the report, said: “Profoundly cruel and brutal sexual violence and torture are perpetrated in official detention centers and clandestine prisons, during random stops and checkpoints, and in the context of forced labor and enslavement. The fact that refugees and migrants crossing the Mediterranean are intercepted and forced back into this violence is untenable.”

      The report, released at the Swedish mission in Geneva, is based on surveys and focus groups of people who have reached Italy. Much of the sexual violence it describes is too graphic to detail, but the authors make the broad point that “during the course of this research, almost all refugees, migrants, and key informants emphasised that sexual violence against male and female migrants along the entire central Mediterranean route was exceptionally high”.

      A UN officer estimated that 90% of male refugees and migrants being hosted in the Italian reception system had experienced sexual violence during their journey. A local government official said that, among refugee and migrant boys, “although there are no real numbers, we know that a huge number of the minors have experienced sexual violence on the journey [to Italy]”.

      The extent of sexual violence perpetrated against refugees appears in part to be contingent on their financial resources, their connections, and the year that they travelled – those traveling in recent years are seemingly more likely to have experienced sexual violence.

      In many cases, sexual violence and torture are filmed on Skype and used to try to extract ransom money from the victims’ relatives, the report by the Swedish-funded, US-based commission says.

      Refugees, migrants and informants told researchers that sexual violence was commonplace throughout the journey to Italy. “All along the journey they experienced sexual violence,” a health provider reported. “The whole journey is traumatic. Libya is just [the] icing on the cake.”

      It had been thought that the dominance of young males in the Libyan refugee trail would reduce the risk of sexual violence. It is estimated 72% of sea arrivals in Italy were men and 18% were children, mainly unaccompanied boys.

      In response to questions about sexual violence in Libya, refugees and migrants variously told the researchers that it “happened to everyone”, “is normal in Libya”, “happened to all people inside Libya” and “happened to many, many of my friends”.

      Only two refugees among those surveyed explicitly reported that they had not been exposed to sexual violence, due to their ability to pay large sums in exchange for relatively safe passage.

      A mental health provider in Italy working with refugees and migrants said that most of the men he spoke to had been raped in centres in Libya. A protection officer commented: “It is so widespread. Everyone knows when a man says”: ‘I’ve gone through Libya’ it is a euphemism for rape.”

      Among the forms of sexual violence described to researchers was anal and oral rape, forced rape of others including corpses, castration and forced incest.

      Much of the sexual violence described by research participants contained elements of profound psychological torture and cruelty.

      Violence against detainees is frequently perpetrated in front of others or recorded on mobile phones, compounding the humiliation and reinforcing the experience of subjugation, the researchers found. “Perpetrators send (or threaten to send) the video footage to detainees’ family members for extortion purposes,” the report says.

      A commonly reported torture technique involved forcing men to stand in a circle to watch the rape and sometimes murder of women; men who moved or spoke out were beaten or killed.

      Health and mental health providers who had treated male survivors frequently reported electroshock burns to the genitals. Other genital violence included beating, burning, tying and “pulling of the penis and scrotum”.


      In February 2017, Italy made a deal, backed by the EU, to spend tens of millions of euros funding the Libyan coastguard, which intercepts boats heading for Italy and returns those onboard to Libya.

      From January 2017 to September 2018, the Libyan coastguard intercepted and forcibly returned more than 29,000 people. Many ended up in detention centres or disappeared altogether.

      https://www.theguardian.com/world/2019/mar/25/refugees-face-routine-sexual-violence-in-libyan-detention-centres-repor
      #viols

      Et ce chiffre...

      A UN officer estimated that 90% of male refugees and migrants being hosted in the Italian reception system had experienced sexual violence during their journey.

      v. aussi :

      Il 90% dei migranti visitati nelle cliniche del Medu ha parlato di violenza estrema e torture

      https://seenthis.net/messages/598508#message599359

  • Belgique | Les centres fermés pour étrangers : un mal non nécessaire
    http://asile.ch/2017/01/31/belgique-centres-fermes-etrangers-mal-non-necessaire

    Les associations de défense des droits des étrangers (Caritas international, le CIRÉ, Jesuit refugee service, la Ligue des droits de l’Homme, le MRAX et Vluchtelingenwerk Vlaanderen) publient un nouvel état des lieux des centres fermés en Belgique, dix ans après le précédent. Le constat est à nouveau très clair : la détention administrative porte atteinte aux […]

  • Amnesty | Turquie : l’UE complice de violations
    http://asile.ch/2015/12/16/amnesty-turquie-lue-complice-de-violations

    L’Union européenne (UE) risque de se rendre complice de graves violations des droits humains à l’égard des réfugiés et demandeurs d’asile, écrit Amnesty International dans un nouveau rapport publié mercredi 16 décembre. Ce rapport présente des éléments accablants selon lesquels les autorités turques arrêtent les réfugiés, les détiennent illégalement et font pression sur eux pour […]

  • *Immigrazione, Frontex: «Base operativa #Triton a Catania»*

    Così Fabrice Leggeri, direttore esecutivo dell’Agenzia Ue. «I nostri ufficiali hanno fatto un sopralluogo e la trovano idonea». Crocetta: «Un diritto, un terzo dei migranti sono qui»

    http://www.repubblica.it/esteri/2015/05/28/news/immigrazione_base_triton_a_catania-115460008/?ref=fb
    #stratégie #Sicile #Catania #migration #politique_migratoire #Frontex #réfugiés #asile #migration #base_opérationnelle