#centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio

  • Aumentano i fondi per la detenzione dei migranti

    Le previsioni finanziarie del #2023 evidenziano un aumento della spesa per i #centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio (Cpr). Si tratta di una scelta politica: investire nella detenzione piuttosto che nell’inclusione e regolarizzazione.

    - Con la legge di bilancio, i fondi per i Cpr aumentano di 5,39 milioni di euro per il 2023.
    - Si tratta di strutture che non hanno altro scopo se non la detenzione, spesso di lunga durata.
    - Nel 2021 sono transitate nei Cpr 4.489 persone.
    - Solo il 49,7% delle persone detenute, nel 2021, è stato effettivamente rimpatriato.

    Nella legge di bilancio 2023 sono aumentati i fondi dedicati all’ampliamento della rete nazionale di centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Parliamo di un incremento di oltre 5 milioni di euro per il 2023, rispetto alle previsioni fatte dalla legge di bilancio del 2022.

    I Cpr sono strutture detentive nelle quali vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno valido, in attesa di essere rimpatriati. Ma vista l’inefficace politica dei rimpatri (che riguarda meno della metà dei detenuti), le persone che si trovano al loro interno spesso finiscono in un limbo che dura anche molti mesi. Oltre a trattenerli, il sistema non offre ai migranti stessi nessuna opportunità di inserimento e ha inoltre notevoli costi di gestione. Investire sui Cpr costituisce quindi una scelta politica infruttuosa, oltre che orientata all’esclusione.
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    I Cpr nel nuovo bilancio finanziario

    La legge di bilancio del 2023, pubblicata in gazzetta ufficiale il 29 dicembre 2022, ha introdotto nuovi investimenti per ampliare la rete nazionale di centri di permanenza per il rimpatrio.

    Al fine di assicurare la più efficace esecuzione dei decreti di espulsione dello straniero, il Ministero dell’interno è autorizzato ad ampliare la rete dei centri di permanenza per i rimpatri.
    – legge di bilancio, articolo 1 comma 678

    L’aumento è previsto specificamente per il capitolo 7351 (“spese di straordinaria manutenzione, costruzione, acquisizione, miglioramenti e adattamenti di immobili”), piano gestionale 2 (“spese per la costruzione, l’acquisizione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di immobili e infrastrutture destinati a centri di identificazione ed espulsione, di accoglienza per gli stranieri irregolari e richiedenti asilo; spese relative ad acquisto di attrezzature per i centri o ad essi funzionali e per compiti di studio e tipizzazione”).

    L’aumento risulta particolarmente evidente per l’anno 2024 (+14,39 milioni di euro, ovvero 46,18 milioni al posto dei 31,79 della previsione 2022). Nel caso del 2023 invece parliamo, come accennato, di 5,39 milioni di euro di differenza. Si va dai 26,79 milioni delle previsioni 2022 ai 32,18 di quelle 2023. In totale, si tratta un incremento di 19,79 milioni per questi due anni, rispetto alle cifre stabilite l’anno scorso. Che inoltre già costituivano un aumento rispetto alle previsioni precedenti.

    a detenzione amministrativa dei migranti

    I centri di permanenza per il rimpatrio non sono strutture di accoglienza, bensì strutture detentive in cui i migranti vengono trattenuti dopo aver ricevuto un ordine di espulsione. Detenuti senza aver di fatto commesso alcun crimine e senza prospettive dopo la propria liberazione.

    Una strategia che non ha vantaggi per i migranti stessi, che non sono così indirizzati verso alcun percorso di regolarizzazione, ma nemmeno per la società nel suo complesso.

    L’impostazione securitaria delle strutture di fatto condanna le persone trattenute a vivere in una condizione di permanente ozio forzato, senza possibilità formative, ricreative né di incontri con realtà della società civile organizzata, la quale, ove anche disponibile a organizzare iniziative, si vede regolarmente rifiutare le richieste di accesso alle strutture.
    – garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale

    Oltre alla loro configurazione che, come denuncia il garante, non è rispettosa della dignità umana, i Cpr sono pensati come centri di permanenza temporanea, in linea teorica di breve durata, e quindi non dispongono dei percorsi educativi e ricreativi delle altre strutture detentive. D’altro canto, non hanno come finalità l’inclusione dei detenuti, i quali, una volta usciti, sono comunque “irregolari”. Se non vengono rimpatriati, sono esposti all’illegalità e alla criminalità.

    Inoltre, come evidenzia il report Buchi neri della coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), si tratta anche di strutture che hanno elevati costi di gestione. Parliamo di 44 milioni di euro per il periodo 2018-2021, come abbiamo raccontato in un recente approfondimento.

    4.489 le persone transitate nei Cpr tra gennaio e novembre del 2021.

    Ovvero un centinaio in più rispetto all’anno scorso, quando sono state 4.387, secondo i dati del garante nazionale dei diritti delle persone private. Nell’ultimo quinquennio, soltanto nel 2019 la cifra è stata più alta: 6.172.

    Palazzo San Gervasio (Potenza) e Gradisca d’Isonzo (Gorizia) sono i centri che registrano il numero più elevato di transiti (rispettivamente 781 e 702).

    Teoricamente, stando alla normativa vigente, uno straniero dovrebbe essere trattenuto soltanto per il tempo strettamente necessario. Di fatto però in moltissimi casi la detenzione amministrativa all’interno di queste strutture si prolunga nel tempo.
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    Nel complesso, appena la metà di queste persone sono state effettivamente rimpatriate. Una cifra largamente variabile da centro a centro: va dal 18% del Cpr di Torino all’88% di quello di Caltanissetta.

    Negli anni la percentuale si è sempre mantenuta a un livello molto basso. Secondo i dati raccolti dal garante nazionale, la quota più elevata si è raggiunta nel 2017 (prima di quell’anno esisteva un altro tipo di strutture: il Cie), quando è stato rimpatriato il 58,6% dei migranti presenti nei centri di detenzione amministrativa. Anche nel 2020 la cifra si è attestata sul 52,9%. In tutti gli altri anni, tuttavia, non ha raggiunto il 50%. La quota più bassa in questo senso si è raggiunta nel 2018: 43,2%.

    https://www.openpolis.it/aumentano-i-fondi-per-la-detenzione-dei-migranti
    #CPR #détention_administrative #Italie #rétention #budget #coût #statistiques #chiffres

  • L’affare CPR, un sistema che fa gola a detrimento dei diritti

    Sono 56 i milioni di euro previsti complessivamente, nel periodo 2021-2023, dagli appalti per affidare la gestione dei #Centri_di_Permanenza_per_il_Rimpatrio (CPR) ai soggetti privati. Costi da cui sono esclusi quelli relativi alla manutenzione delle strutture e del personale di polizia. Cifre che fanno della detenzione amministrativa una filiera molto remunerativa che, non a caso, ha attratto negli ultimi anni gli interessi economici di grandi multinazionali e cooperative. La privatizzazione della gestione è, infatti, uno degli aspetti più controversi di questa forma di detenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattere di eccezionalità: il consentire che su quella privazione della libertà personale qualcuno possa trarne profitto.

    Ad illustrare questa situazione è la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), che questa mattina a Roma ha presentato un nuovo rapporto sul tema, intitolato “L’affare CPR. Il profitto sulla pelle delle persone migranti”, all’interno del quale grande attenzione è stata dedicata alle multinazionali #Gepsa e #ORS, alla società #Engel s.r.l. e alle Cooperative #Edeco-Ekene e #Badia_Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia.

    Una storia tutt’altro che nobile fatta di sistematiche violazioni dei diritti delle persone detenute, con la possibilità per gli enti gestori di massimizzare -in maniera illegittima- i propri profitti anche a causa della totale assenza di controlli da parte delle pubbliche autorità. Nel Rapporto, infatti, si dà ampio spazio alla denuncia delle condizioni di detenzione che rischiano di configurarsi come inumane e degradanti e alla strutturale negazione dei diritti fondamentali dei detenuti. Il diritto alla salute, alla difesa, alla libertà di corrispondenza non sono, infatti, tutelati all’interno dei CPR: luoghi brutali che consentono ai privati di speculare sulla pelle dei reclusi, grazie anche alla totale assenza di vigilanza da parte del pubblico.

    “Da sempre questi centri – ha dichiarato Arturo Salerni, presidente di CILD – hanno rappresentato un buco nero per l’esercizio dei diritti da parte delle persone trattenute. Essi rappresentano un buco nero anche sotto il profilo delle modalità e dell’entità della spesa, a carico dell’erario, a fronte delle gravi carenze nella gestione e delle condizioni in cui si trovano a vivere i soggetti che incappano nelle maglie della detenzione amministrativa, ovvero della privazione della libertà in assenza di qualunque ipotesi di reato. Il proposito del governo di aumentarne il numero è il frutto di scelte dettate da un approccio tutto ideologico che non trova fondamento nell’analisi del fenomeno. L’esperienza degli ultimi 25 anni, a prescindere dalla gestione pubblica o privata dei centri, ci dice che bisogna guardare a forme alternative e non coercitive per affrontare la questione delle presenze irregolari sul territorio nazionale, che bisogna accompagnare le persone in percorsi di regolarizzazione e di emersione, cancellando l’obbrobrio della detenzione senza reato”.

    https://cild.eu/blog/2023/06/08/laffare-cpr-un-sistema-che-fa-gola-a-detrimento-dei-diritti

    Une #carte localisant les lieux de rétention administrative en Italie :


    #cartographie

    Pour télécharger le rapport :
    https://wp-buchineri.cild.eu/wp-content/uploads/2023/06/ReportCPR_2023.pdf

    #rapport #CPR #CILD #détention_administrative #rétention #business #privatisation #Italie #multinationales #coopératives #profits #droits_humains #CIE

    –—

    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

    • “L’affar€ CPR”: un rapporto di CILD mette alla sbarra gli enti gestori

      Il profitto sulla pelle delle persone migranti

      Nel giugno scorso la Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) ha pubblicato un accurato rapporto dal titolo “L’affar€ CPR: il profitto sulla pelle delle persone migranti” 1, che analizza la gestione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani da parte delle principali cooperative e imprese private che ne detengono o ne hanno detenuto l’appalto, vincendo i diversi bandi di gara istituiti dalle prefetture.

      Introdotta formalmente nel 1998 2 la detenzione amministrativa in Italia prevedeva inizialmente la facoltà per i questori, qualora non fosse possibile eseguire immediatamente l’espulsione delle persone extracomunitarie, di disporne il trattenimento per un massimo di 20 giorni (prorogabile di ulteriori 10) all’interno dei CPTA, Centri di Permanenza Temporanea e di Assistenza.

      Nel 2008 3, i CPTA diventano Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), e, nel 2009 4, i termini massimi di trattenimento vengono estesi a 180 giorni, per poi venire portati a 18 mesi nel 2011 5. Nel 2017 6, la c.d legge Minniti-Orlando ha ulteriormente modificato la denominazione di tali centri, rinominandoli Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR). Infine, il decreto Lamorgese del 2020 ha emendato alcune disposizioni, riducendo i termini massimi di trattenimento a 90 giorni per cittadini stranieri il cui paese d’origine ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri con l’Italia 7.

      Inizialmente, i CPTA erano gestiti dall’ente pubblico Croce Rossa Italiana, e già all’ora diverse organizzazioni della società civile avevano denunciato le pessime condizioni di trattenimento, l’inadeguatezza delle infrastrutture e il sovraffollamento. In seguito al “pacchetto sicurezza” varato dal Ministro Maroni nel 2008, la situazione si aggrava, con la progressiva tendenza dello Stato a cercare di contenere i costi il più possibile. Così, diverse cooperative iniziano a partecipare ai bandi di gara, proponendo offerte a ribasso ed estromettendo la Croce Rossa. Infine, dal 2014, non solo le cooperative ma anche grandi multinazionali che già gestiscono centri di trattenimento in tutta Europa, iniziano a presentarsi e vincere i diversi bandi per l’assegnazione della gestione dei CPR.

      Multinazionali che si aggiudicano gare d’appalto proponendo ribassi aggressivi, a totale discapito dei diritti umani delle persone trattenuti. L’esempio più lampante è l’assistenza sanitaria, in quanto nei CPR, non è il SSN ad esserne competente, bensì l’ente gestore. Infine, nel triennio 2021-2023, le prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per la gestione dei 10 CPR presenti in Italia, complessivamente, per 56 milioni di euro, da sommare al costo del personale di polizia e la manutenzione delle strutture.

      Tra le principali imprese messe alla sbarra dal Report di CILD ci sono:

      Gruppo ORS (Organisation for Refugees Services). Multinazionale con sede a Zurigo, gestisce oltre 100 strutture di accoglienza e detenzione tra Svizzera, Austria, Germania e Italia. Sebbene risulti iscritta nel registro delle imprese dal 2018, ha iniziato la sua attività economica in Italia solo nel 2020. Nel 2019, si aggiudica l’appalto per la gestione del CPR di Macomer, in Sardegna (sebbene risultasse ancora “inattiva”). Nel 2020, gestisce il Cas di Monastir (Sardegna), due centri d’accoglienza a Bologna nel 2021, alcuni Cas a Milano, il CPR di Roma (Ponte Galeria) e quello di Torino.

      Nel centro di Macomer, personale medico ha denunciato l’assenza di interventi da parte delle autorità competenti in seguito a diversi episodi che hanno visto i trattenuti mettere a rischio la propria sicurezza. Inoltre, a più riprese è stata riportata l’impossibilità di effettuare ispezioni all’interno del centro da parte del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Infine, un’avvocata che seguiva diversi clienti trattenuti, ha denunciato la sporcizia e l’inadeguatezza delle visite mediche di idoneità, che ha portato, tra l’altro, al trattenimento di soggetti affetti da gravi forme di diabete e soggetti sottoposti a terapia scalare con metadone, condizioni incompatibili con la detenzione amministrativa.

      Nel CPR di Roma è stata più volte denunciata l’insufficienza di personale, l’inadeguatezza dei locali di trattenimento (per esempio, l’assenza di luce naturale) e l’assenza della possibilità, per le persone recluse, di svolgere qualsiasi attività ricreativa. Anche a Torino, la delegazione CILD in visita ha riportato l’illegittimo trattenimento di persone soggette a terapia scalare con metadone, alto tasso di autolesionismo e abuso di psicofarmaci e tranquillanti somministrati.

      Cooperativa EKENE. Cooperativa sociale padovana che nel corso degli ultimi 10 anni ha spesso cambiato nome (nata come Ecofficina, poi Edeco 8 e infine Ekene), in quanto spesso al centro di inchieste giornalistiche, interrogazioni parlamentari e procedimenti giudiziari legati ad una cattiva gestione di alcuni centri d’accoglienza, come lo SPRAR di Due Carrare (Padova), dove la Procura di Padova aveva aperto un’indagine per truffa e falso in atto pubblico, tramutatasi in una maxi indagine estesasi ad alcuni vertici della Prefettura di Padova, per gare truccate e rivelazioni di segreto d’ufficio.

      Nel 2016, diversi giornalisti e ricercatori avevano ripetutamente denunciato il sovraffollamento e la malnutrizione di diversi centri in gestione alla cooperativa, come l’ex Caserma Prandina, il centro di Bagnoli e Cona (VE), dove, nel 2017, la donna venticinquenne Sandrine Bakayoko è morta per una trombosi polmonare, quando all’interno del centro erano ospitate più di 1.300 persone, in una situazione di sovraffollamento e forte carenza di personale. Nel 2016, è stata espulsa da Confcooperative Veneto, con l’accusa di gestire l’accoglienza seguendo un modello che guardava al business a discapito della qualità dei servizi.

      Tuttavia, nel 2019 si aggiudica l’appalto del CPR di Gradisca d’Isonzo, a Gorizia in FVG, un appalto da circa 5 milioni di euro per un anno, attualmente in proroga tecnica. Dalla riapertura nel 2019, il CPR di Gradisca è quello dove si sono verificati più decessi. Dal 2019, quattro persone sono decedute, due per complicazioni in seguito all’abuso di farmaci, e due suicidi. Ciò mette in risalto la malagestione delle visite di idoneità all’ingresso, nonché l’inadeguatezza delle condizioni di trattenimento. Inoltre, diversi avvocati hanno denunciato la difficoltà nello svolgere colloqui coi trattenuti, e come le persone trattenute non venissero nemmeno informate del diritto a fare domanda d’asilo una volta entrate in Italia.
      Nel dicembre 2021 Ekene si aggiudica anche la gestione del CPR di Macomer.

      ENGEL ITALIA S.R.L. Società costituita nel 2012 con sede legale a Salerno. Nata come ente gestore nel settore alberghiero, presto inizia ad occuparsi di strutture d’accoglienza per persone richiedenti asilo nella zona di Capaccio-Paestum. Sebbene sia una società fallibile dal 2020, è riuscita ad ottenere la gestione del CPR di Palazzo San Gervasio (Basilicata) e Via Corelli (Milano), grazie alla cessione di un ramo dell’azienda ad una società terza, Martinina s.r.l, con la stessa persona come amministratrice unica.

      Già nel 2014, Engel era stata al centro della cronaca per la discutibile gestione del centro di accoglienza di Capaccio-Paestum, dove agli ospiti non venivano erogati beni di prima necessità come cibo e vestiti. Era stata denunciata anche l’assenza di corsi d’italiano e l’irregolarità nell’erogazione del pocket money. Inoltre, molti ospiti avevano denunciato abusi e maltrattamenti all’interno del centro.

      Nel 2018 Engel si aggiudica l’appalto del CPR di Palazzo San Gervasio, con un ribasso sul prezzo d’asta del 28,60%, che ha gestito fino al marzo 2023. Fin da subito, il Garante nazionale per le persone private della libertà, in seguito ad una visita al centro, ne aveva denunciato le pessime condizioni: assenza di locali comuni, trattenuti costretti a consumare i pasti in piedi, e la presenza di solo tre docce comuni. Gli ambienti di pernotto, privi di un sistema di isolamento, risultavano caldissimi d’estate e molto freddi d’inverno.

      Sebbene il centro sia stato chiuso a metà del 2020 per lavori e riaperto a febbraio 2021, secondo CILD le condizioni continuerebbero ad essere critiche. Continua a mancare un locale mensa, e in stanze da 25mq sono ospitate fino ad 8 persone. Inoltre, anche per Palazzo San Gervasio è stata denunciata l’inadeguatezza delle visite di idoneità al trattenimento e la difficoltà per i trattenuti di avere accesso alla corrispondenza coi propri avvocati.

      Anche nel CPR di Milano, per il quale Engel ha ottenuto l’appalto nel 2021 e nel 2022, sono state denunciate le terribili condizioni dei locali, e l’incredibile numero di gabbie e reti di ferro, che danno l’impressione di isolamento estremo, non solo dall’esterno ma anche dal personale all’interno del centro. Anche il cibo e i letterecci erogati risultano di pessima qualità.

      GEPSA. Multinazionale francese che dal 2011 inizia ad investire in Italia nel campo dell’accoglienza, si aggiudica diversi appalti proponendo una strategia aggressiva, con un ribasso sulle basi d’asta dal 20% al 30%. Dal 2014 al 2017 gestisce il CIE di Ponte Galeria, dal 2014 al 2017 il CIE di Milano e dal 2015 al 2022 il CIE di Torino. Dal 2011 al 2014 avrebbe dovuto gestire anche il CIE e CARA di Gradisca d’Isonzo, ma l’aggiudicazione è stata annullata dal TAR del Friuli-Venezia Giulia per la mancanza di requisiti adeguati delle imprese facenti parti della rete.

      Del CPR di Torino, era stata denunciata l’eccessiva militarizzazione e la carenza di personale civile, nonché l’assenza di relazioni tra trattenuti ed operatori, che non entravano quasi mai nelle aree di detenzione. In particolare, Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, in seguito ad una visita al centro, aveva denunciato come i trattenuti fossero costantemente sorvegliati da personale militare, che stavano letteralmente in mezzo tra trattenuti ed operatori, con funzioni di sorveglianza, ma senza interagire coi primi. Sempre nel CIE di Torino, sono stati riportati numerosi casi di malasanità, assenza di personale medico e la presenza di locali per l’isolamento dei trattenuti, che, secondo ASGI, poteva protrarsi fino a 5 mesi, in maniera del tutto arbitraria e illegittima.
      Durante gli anni della gestione Gepsa, nel CPR di Torino si sono verificate due morti e numerosi casi di autolesionismo e rivolta.

      BADIA GRANDE. Cooperativa sociale fondata nel febbraio 2007, con sede legale a Trapani, e presto si impone come colosso nel settore dell’accoglienza migranti nel Sud d’Italia, vincendo numerose gare d’appalto, soprattutto nel siciliano. Dal 2018 al 2022 gestisce il CPR di Bari-Palese e dal 2019 al 2020 quello di Trapani Milo. Nel 2021, diverse fonti giornalistiche denunciano la mala gestione del CPR di Bari, e diverse personalità dipendenti della cooperativa vengono rinviate a giudizio per casi di frode nell’esecuzione del contratto d’affidamento, in particolare nell’assistenza sanitaria e le misure di sicurezza sul lavoro.

      Anche per la gestione del CPR di Trapani la cooperativa viene indagata per frode nelle pubbliche forniture e truffa. Inoltre, in una visita nel 2019, il Garante nazionale riscontra l’assenza di vetri in molte finestre, assenza di porte e separatori che garantiscano la privacy nell’accesso ai servizi igienici, e l’assenza di locali per il consumo dei pasti, che i trattenuti sono obbligati a consumare sui letti o in piedi.

      Il rapporto si conclude con un’accurata riflessione sull’istituto della detenzione amministrativa, e su come ciò si sia dimostrata terreno fertile per “una pericolosissima extraterritorialità giuridica”, in cui non trovano applicazione neanche quei principi costituzionali che dovrebbero considerarsi inderogabili”. Infine, CILD sostiene che, sebbene la detenzione amministrativa abbia progressivamente creato un sistema che consente ad enti privati di “fare profitto sulla pelle delle persone detenute”, la soluzione non sarebbe la gestione dei CPR da parte del settore pubblico, bensì il superamento del sistema della detenzione amministrativa, da collocare in un quadro più ampio di gestione del fenomeno migratorio attraverso politiche più aperte verso la regolarizzazione degli ingressi, per motivi di lavoro, familiari o di protezione internazionale.

      https://www.meltingpot.org/2023/08/laffare-cpr-un-rapporto-di-cild-mette-alla-sbarra-gli-enti-gestori

  • Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani

    Nei #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio le persone ristrette vengono “tenute buone” tramite un uso dei medicinali arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico. Dati inediti mostrano la gravità del fenomeno. Da Milano a Roma

    “Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più”. Il racconto di Matteo, nome di fantasia di un operatore che ha lavorato diversi mesi in un Cpr, è confermato da dati inediti ottenuti da Altreconomia e che fotografano un utilizzo elevatissimo di questi farmaci all’interno dei centri di tutta Italia. Una “macchina per le espulsioni” -dove “l’essere umano scompare e restano solo i soldi”, racconta Matteo- a cui il Governo Meloni non vuole rinunciare. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati previsti più di 42,5 milioni di euro per l’ampliamento entro il 2025 della rete dei nove Cpr già attivi e il nuovo decreto sull’immigrazione licenziato a marzo 2023, appena dopo i fatti di Cutro, prevede procedure semplificate per la costruzione di nuove strutture, con l’obiettivo di realizzarne almeno una per Regione. Questo nonostante le percentuali dei rimpatri a seguito del trattenimento siano bassissime mentre incalcolabile è il prezzo pagato in termini di salute dalle oltre cinquemila persone che nel 2021 sono transitate nei centri.

    Per confrontare i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori delle strutture, abbiamo chiesto le stesse informazioni al Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”. A Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%).

    Numeri problematici non solo per l’incidenza degli psicofarmaci sul totale ma anche per la tipologia, all’interno di una filiera difficile da ricostruire e che coinvolge tre attori: l’azienda sanitaria locale, la prefettura e l’ente gestore a cui è affidata, tramite bando, la gestione del centro. “A differenza della realtà carceraria, nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il sistema sanitario nazionale, bensì al personale assunto dagli enti gestori il cui ruolo di monitoraggio si è dimostrato carente, se non assente”, spiega Nicola Cocco, medico ed esperto di detenzione amministrativa.

    Grazie ai dati raccolti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dall’associazione di volontariato Naga relativi ai farmaci acquistati per il Cpr di Milano tra ottobre 2021 e febbraio 2022, sappiamo però che in cinque mesi la spesa in psicofarmaci è superiore al 60% del totale, di cui oltre la metà ha riguardato il Rivotril (196 scatole): farmaco autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) come antiepilettico ma usato ampiamente come sedativo.

    Nel primo caso necessiterebbe una prescrizione ad hoc ma le visite psichiatriche effettuate alle persone trattenute nei mesi che vanno da ottobre 2021 a dicembre 2022 sono solo otto. In alternativa, un utilizzo del farmaco diverso rispetto a quello per cui è stato autorizzato dovrebbe avvenire solo previo consenso informato della persona a cui viene somministrato. “Chiedevano a me, operatore, di darlo, ma io mi rifiutavo perché non potevo farlo, non sono né un medico né un infermiere: i più giovani non sanno neanche che cosa sia questo medicinale ma no, non ho mai visto nessuna acquisizione del consenso”, racconta Matteo. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. “L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno dei Cpr è troppo spesso arbitrario, eccessivo e non focalizzato sulla presa in carico e sulla cura degli individui trattenuti, concorrendo ad aggravare la patogenicità di questi luoghi di detenzione”, osserva Cocco.

    Si registra inoltre un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzate quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft. Una “misura” del malessere che si vive nei centri è dato anche dall’alta spesa in paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali. Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15.

    Un quadro eloquente in cui è fortemente problematica la compatibilità tra la permanenza della persona nel centro e l’assunzione di farmaci che prevedono precisi piani terapeutici. Qui entrano in gioco anche i professionisti assunti dall’ente gestore, che devono effettuare lo screening con cui si valuta lo stato di salute della persona trattenuta e l’eventuale necessità di visite specialistiche o terapie specifiche.

    A Milano gli psicofarmaci pesano per il 64% sul totale della spesa sanitaria. A Torino per il 44%, a Roma per il 51%. All’Isi di Vercelli appena per lo 0,6%

    Infatti, come previsto dallo schema di capitolato che disciplina i contratti d’appalto legati alla gestione dei Cpr italiani, “sono in ogni caso assicurati la visita medica d’ingresso [screening, ndr] nonché, al ricorrere delle esigenze, la somministrazione di farmaci e altre spese mediche”. Non è chiaro però, né dal capitolato né dalla nuova direttiva che regola diversi aspetti del funzionamento dei centri siglata il 19 maggio 2022 dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, in seno al ministero dell’Interno, quali siano le modalità con cui avviene la somministrazione di farmaci e chi effettivamente si faccia carico dei relativi costi.

    Dunque ogni Cpr (e quindi ogni ente gestore e ogni prefettura) adotta le proprie prassi, anche in virtù dell’esistenza o meno di protocolli con le Asl che gli uffici del governo sarebbero obbligate a stipulare. Una disomogeneità che genera scarsa trasparenza. Un altro caso di scuola: a Milano la prefettura chiarisce come “i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi”. L’Asl a sua volta, ricordando l’esistenza di un protocollo d’intesa stipulato con la Prefettura, riporta che i medici del Cpr possono avvalersi del ricettario regionale per tutto un elenco di prestazioni, ma “non per la prescrizione di farmaci ai cittadini stranieri irregolari”. Un cortocircuito.

    Se anche i farmaci venissero forniti seguendo attente prescrizioni e piani terapeutici il problema sarebbe comunque la compatibilità del trattenimento con le patologie delle persone. I “trattenuti” accedono infatti nei Cpr solamente dopo una “visita di idoneità alla vita in comunità ristretta”, che dovrebbe sempre essere svolta da un medico della Asl o dall’azienda ospedaliera. Secondo quanto stabilito dalla citata direttiva del maggio 2022 la visita di idoneità serve a escludere “patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”.

    La presenza tra le “spese” di antipsicotici, antiepilettici o di creme e gel che curano, ad esempio, la scabbia, sembra quindi un “controsenso”. “Se non si può arrivare a parlare di incompatibilità assoluta è perché il regolamento è un riferimento normativo secondario -sottolinea Maurizio Veglio, avvocato di Torino e socio dell’Asgi specializzato in materia di detenzione amministrativa-. Se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo c’è una frizione molto forte”.

    “Nel Cpr la cura della salute non è affidata a medici e figure specialistiche che lavorano per il Ssn, bensì al personale assunto dagli enti gestori” – Nicola Cocco

    Una frizione che si traduce, concretamente, nella presenza di farmaci acquistati in diversi Cpr come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta), piuttosto che il Rivotril. A Macomer, in provincia di Nuoro, l’ente gestore Ors Italia in una comunicazione rivolta alla prefettura il 9 settembre 2020 di cui abbiamo ottenuto copia scrive che la “comunità di persone trattenute è caratterizzata da soggetti con le più svariate criticità […]: tossicodipendenza, soggetti con doppia diagnosi (dipendenza e patologia psichiatrica, ndr), pazienti affetti da patologie dermatologiche”. Uomini e donne per cui non è problematizzato l’ingresso o meno nel centro. E il Servizio per le dipendenze patologiche territoriale (Serd), dal canto suo, ci ha fornito i piani di trattamento degli ultimi tre anni.

    Il metadone è presente anche nelle spese di Torino (circa 1.150 euro in quattro anni). Sempre nel capoluogo piemontese, nello stesso periodo, la spesa per la Permetrina, un gel antiscabbia, è di quasi 2.800 euro; una voce che si ritrova anche a Milano e Caltanissetta dove, nel 2022, sono stati acquistati 109 tubetti di Scabianil mentre a Roma, nel 2020, troviamo un farmaco per la tubercolosi (50 compresse di Nicozid). In tutti i Cpr in analisi troviamo anche antimicotici, legati a infezioni fungine (dermatologiche o sistemiche). “Se non c’è incompatibilità assoluta, l’idoneità non può essere valutata su una ‘normale’ vita comunitaria, ma va ‘calibrata’ sulla specificità di quello che sono quelle strutture -conclude Veglio-. A Torino, prima della sua momentanea chiusura a inizio marzo 2023 dormivano sette persone in 35 metri quadrati”. Luoghi definiti eufemisticamente come “non gradevoli” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a metà marzo 2023 a commento delle nuove regole sull’ampliamento della rete dei centri rispetto a cui le informazioni sono spesso frammentate o mancanti.

    Un tema che ritorna anche rispetto alla spesa sui farmaci. Due esempi: a Palazzo San Gervasio, struttura situata in provincia di Potenza e gestita da Engel Italia, secondo l’Asl nel 2022 la spesa totale è pari ad appena 34 euro (un dato costante dal 2018 in avanti) senza la presenza di psicofarmaci o antipsicotici. Un quadro diverso da quello descritto dai medici operanti all’interno del Centro che, secondo quanto riportato dall’Asgi in un report pubblicato nel giugno 2022, dichiaravano un “massiccio utilizzo di psicofarmaci (Rivotril e Ansiolin) da parte dei trattenuti”. Un copione che si ripete anche per il centro di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, già finito sotto i riflettori degli inquirenti. A metà gennaio 2023 è iniziato infatti il processo per la morte di Vakhtang Enukidze, 37 anni originario della Georgia, avvenuta il 18 gennaio 2020.

    Vakhtang Enukidze è morto nel Cpr di Gradisca d’Isonzo il 18 gennaio 2020 per edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti

    Come ricostruito sul quotidiano Domani, l’autopsia ha accertato che la causa della morte è edema polmonare e cerebrale per un cocktail di farmaci e stupefacenti. Pochi mesi dopo, il 20 luglio 2020, Orgest Turia, 28enne originario dell’Albania, è morto per overdose di metadone. Due morti che danno ancor più rilevanza all’accesso ai dati. Ma sia l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (Asugi) sia la prefettura di Gorizia riferiscono ad Altreconomia di non averli a disposizione. In particolare, l’ufficio del governo sottolinea che “l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate”. Citando la “documentazione di gara” si specifica che le spese per i farmaci sono ricomprese “nell’ammontare pro-capite pro-die riconosciuto contrattualmente”. Buio pesto anche a Brindisi, Trapani e Bari.

    Qualche tribunale inizia però a fare luce. È il caso di Milano, dove a fine gennaio 2023 la giudice Elena Klindani non ha convalidato il prolungamento della detenzione di un ragazzo di 19 anni, rinchiuso in via Corelli da cinque mesi, perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Altro che “luogo non gradevole”.

    https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani
    #rétention #détention_administrative #Italie #CPR #asile #migrations #sans-papiers #médicaments #psychotropes #données #chiffres #cartographie #visualisation #renvois #expulsions #coût #Rivotril #sédatif #Clonazepam #benzodiazépines #Tavor #Tranquirit #Valium #Zoloft #Bromazepam #Buscopan #Quetiapina #Olanzapina #Depakin #méthadone #Permetrina #Scabianil #Nicozid #Ansiolin

    • Condizioni di detenzione nei Centri per il Rimpatrio - Conferenza stampa di #Riccardo_Magi
      https://webtv.camera.it/evento/22168

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      “Rinchiusi e sedati” alla Camera dei deputati grazie a @riccardomagi e @cucchi_ilaria che chiedono “spiegazioni urgenti” al ministro Piantedosi sull’abuso di psicofarmaci all’interno dei Cpr denunciato dall’inchiesta: “La verità è una sola, questi luoghi vanno chiusi”

      https://twitter.com/rondi_luca/status/1644003698765381632

    • “Perché i Centri di permanenza per il rimpatrio devono indignare”

      L’avvocata Giulia Vicini, socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, conosce bene i Cpr e le condizioni di vita di chi vi è trattenuto. In particolare in quello di via Corelli a Milano. Luoghi di privazione della libertà, con garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere. Stigmi cittadini. Il suo racconto

      Cpr. A dispetto del nome e dei nomi che lo hanno preceduto -Centro di permanenza temporanea (Cpt), Centro di identificazione ed espulsione (Cie), e ora l’acronimo sta per Centro di permanenza per il rimpatrio- si tratta di un luogo di privazione della libertà personale. La stessa struttura di questi centri lo dimostra: alte mura, filo spinato e telecamere sul perimetro. Presidio costante di almeno quattro corpi di forze dell’ordine: esercito, carabinieri, polizia di Stato e Guardia di Finanza.

      I francesi hanno trovato un nome per diversificare la privazione della libertà personale dei cittadini stranieri in attesa di rimpatrio dalla detenzione nelle carceri ed è “retention”. In Italia si parla di trattenimento amministrativo. Come lo si voglia chiamare, si tratta della stessa privazione della libertà personale a cui sono sottoposti coloro che sono stati condannati per avere commesso dei reati. Chi sta nel Cpr non può andare da nessuna parte e risponde a regole che sono proprie del carcere, nonostante siano diversi i presupposti per il trattenimento e anche le garanzie e le tutele del trattenuto.

      I trattenuti nel Cpr sono cittadini stranieri in attesa dell’espletamento delle procedure di esecuzione di un rimpatrio forzato. Tra i presupposti (quantomeno quelli previsti dalla legge) per il trattenimento presso il Cpr vi è quindi anzitutto di non avere o non avere più un titolo per soggiornare regolarmente nel territorio nazionale, un permesso di soggiorno. Prendendo in prestito uno degli alienanti nomi in voga nel dibattito pubblico, chi può essere trattenuto al Cpr è “irregolare”. O, peggio ancora, “clandestino”. Ma, sempre in forza delle norme di legge, l’irregolarità non è sufficiente perché si possa applicare la misura del trattenimento presso il Cpr. È anche necessario che lo straniero sia “espellibile”, che possa essere destinatario di un provvedimento di rimpatrio. Questo perché l’ordinamento nazionale prevede delle ipotesi in cui il cittadino straniero, pur non avendo un permesso di soggiorno, non può essere allontanato dal territorio nazionale. È il caso dei minori, delle donne in stato di gravidanza e -quantomeno fino alla recente riforma della protezione speciale- di coloro che avevano maturato in Italia dei legami famigliari o sociali significativi e degni di protezione.

      Ulteriore presupposto perché le autorità di pubblica sicurezza possano ricorrere al trattenimento è che il provvedimento di rimpatrio comminato possa essere eseguito con la forza. L’uso della forza e il trattenimento sono infatti previsti come ultima ratio per garantire l’esecuzione del rimpatrio. L’ordinamento disciplina delle misure alternative, meno afflittive della libertà personale, quali ad esempio l’obbligo di firma e il ritiro del passaporto.

      Questi i presupposti di legge. L’esperienza però ci mostra che nei Cpr vengono spesso trattenute persone inespellibili o che potrebbero avere accesso a misure alternative. Quello che è certo è che chi è trattenuto presso il Cpr non ha commesso alcun reato, o quantomeno non è trattenuto per avere commesso un reato. Il suo trattenimento è unicamente finalizzato a consentire alle autorità di pubblica sicurezza di rimuoverlo forzatamente dal territorio.

      Che il trattenimento nel Cpr non sia conseguenza di alcun reato è tanto più evidente se si considera che anche chi vi è trattenuto dopo avere espiato una pena in carcere non lo è per “pagare” una pena -appunto già pagata altrove- ma per essere identificato, in un sistema che si rivela incapace, o forse disinteressato a procedere all’identificazione e al riconoscimento durante la (spesso lunga) permanenza in carcere.

      Per riassumere, della popolazione del Cpr fanno parte coloro che entrano nel territorio senza un titolo per l’ingresso o il soggiorno o che entrano con un titolo trattenendosi però oltre la sua scadenza. Coloro che perdono un titolo di soggiorno spesso per cause non a loro imputabili, quali la perdita dell’occupazione. Ma anche i richiedenti asilo. Coloro che chiedono protezione internazionale perché in fuga da persecuzioni e guerre.

      Il decreto legge 20/2023 convertito in legge 50/2023 ha peraltro reso il trattenimento del richiedente asilo la norma ogni qualvolta la domanda è presentata “in frontiera”. Dove il concetto di frontiera si amplia a dismisura ricomprendendo territori scelti senza alcuna apparente ragione (si pensi ad esempio Matera) con la conseguenza che alla domanda di protezione presentata in questi territori seguirà un trattenimento. Le direttive europee prescrivono che il trattenimento del richiedente protezione debba rappresentare una misura eccezionale e che si debbano distinguere i luoghi di trattenimento perché diversi sono i presupposti e diverse le procedure e le garanzie. Nondimeno i richiedenti asilo possono essere trattenuti fino a dodici mesi negli stessi luoghi dei cittadini stranieri in attesa di esecuzione del rimpatrio.

      Quando e quanto si può essere trattenuti nel Cpr? Sul quando, si è già detto, lo straniero che viene portato al Cpr non è solo quello che è appena entrato in Italia ma anche quello che si trova nel territorio da moltissimi anni e che nel territorio ha costruito un percorso di vita. Sul quanto vale la pena interrogarsi perché la disciplina degli stessi termini del trattenimento dimostra l’esclusiva funzionalità alla conclusione di un procedimento -quello di espulsione- che molto spesso le autorità non portano a termine. La proroga del trattenimento, dopo i primi trenta giorni, può infatti essere consentita dal Giudice di pace solo se “l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà”. Il trattenimento può essere prorogato per altri trenta giorni solo se risulta probabile che il rimpatrio venga eseguito. Il trattenimento non solo è funzionale all’esecuzione del rimpatrio ma anche spesso determinato da inefficienze o ritardi della Pubblica amministrazione.

      Dove si consuma il trattenimento ai fini del rimpatrio? Nonostante le nostre preoccupazioni e la nostra indignazione riguardino spesso, legittimamente, i Cpr, gli stranieri destinatari di misure di rimpatrio vengono trattenuti anche negli aeroporti. In quella Malpensa in cui i titolari di passaporto italiano transitano senza alcun ostacolo e in cui i cittadini stranieri a cui si contesta di “non avere i documenti in regola” al momento del loro arrivo vengono trattenuti anche fino a otto giorni, in aree sterili, senza vedere la luce del giorno e senza avere accesso ai loro oggetti personali, e poi vengono “accompagnati” all’aereo che li riporta a casa. Dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018 è inoltre possibile trattenere presso dei locali all’interno delle questure in attesa di rimpatrio. E negli uffici di via Montebello della questura di Milano questi locali esistono e vengono comunemente utilizzati.

      Infine, quello che forse più deve indignare è come si svolge il trattenimento. Ai trattenuti nel Cpr sono riconosciute garanzie inferiori a quelle della custodia in carcere, tanto nel procedimento che porta alla privazione della libertà, quanto nelle condizioni materiali di tale privazione. Il caso dell’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione del rimpatrio di cittadini stranieri è l’unico per cui -in alcune ipotesi- la legge nazionale esclude la necessità di una convalida giudiziaria. Questo vale per i respingimenti “immediati” ai valichi di frontiera e anche, con l’entrata in vigore del decreto legge 20/2023, per chi è destinatario di misure di espulsione di carattere penale. Anche dove una convalida giudiziaria è prevista, la stessa è molto al di sotto degli standard del giusto processo, con udienze che si svolgono da remoto, senza concedere ai legali adeguato tempo per conferire con l’assistito, e hanno una durata complessiva di poco più di un quarto d’ora. Nel procedimento di convalida, inoltre, opera spesso un’inversione de facto dell’onere della prova in cui lo straniero deve offrire prova documentale di tutto quello che deduce mentre sulle dichiarazioni rese dalla Questura, parte istante, si fa cieco affidamento.

      Quanto alle condizioni, l’ampia reportistica risultante dai sopralluoghi effettuati presso i Cpr è più che eloquente. Lo straniero trattenuto non riceve alcuna informativa sui diritti e sui servizi a cui ha titolo. Significativo è che lo stesso venga identificato e arrivando nella sala colloqui con l’avvocato si identifichi con un numero. Quando si iniziano a identificare le persone con i numeri la storia ci insegna che non si arriva mai a nulla di buono.

      https://altreconomia.it/perche-i-centri-di-permanenza-per-il-rimpatrio-devono-indignare

    • Abuso di psicofarmaci nei Cpr: perché la versione del ministro Piantedosi non sta in piedi

      Intervistato da Piazzapulita sulle terribili condizioni dei trattenuti nei Centri, il titolare del Viminale ha provato a confutare i risultati della nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati”. Ma le sue tesi non reggono: dalla presunta richiesta dei reclusi all’ipotizzata presenza solo di persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia

      Giovedì 25 maggio su La7 la trasmissione Piazzapulita (https://www.la7.it/piazzapulita/video/inchiesta-esclusiva-di-piazzapulita-violenze-e-psicofarmaci-ai-migranti-dentro-a) il servizio di Chiara Proietti D’Ambra ha mostrato immagini inedite sulle condizioni di vita delle persone recluse nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani (Cpr). Il lavoro si è concentrato sulle strutture di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e palazzo San Gervasio (Potenza) dando conto anche dei risultati dell’inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata da Altreconomia ad aprile e che per la prima volta ha quantificato, dati alla mano, l’abuso di psicofarmaci in cinque delle nove strutture detentive attualmente attive in Italia.

      Le immagini e i dati sono stati mostrati anche al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha risposto alle domande della giornalista Roberta Benvenuto (https://www.la7.it/piazzapulita/video/piantedosi-se-cpr-gestiti-da-privati-in-modo-insoddisfacente-possibilita-di-gest). Risposte lacunose, giunte tra l’altro prima in televisione rispetto alle quattro interrogazioni parlamentari presentate più di un mese fa da diversi senatori e deputati e tuttora rimaste inevase.

      Il ministro ha spiegato di “escludere nella maniera più categorica che vi sia un orientamento della gestione dei Centri finalizzata alla sedazione di massa. C’è una richiesta da parte degli ospiti. Fare il confronto tra le prescrizioni all’esterno e all’interno delle strutture non ha senso perché è più facile che nei Cpr si concentrano persone per cui quel tipo di prescrizioni si rivela normale”. Come descritto nella nostra inchiesta, presentata alla Camera dei Deputati a inizio aprile con Riccardo Magi e Ilaria Cucchi, l’utilizzo di psicofarmaci rispetto a un servizio dell’Asl che prende in carico una popolazione simile è però spropositato: 160 volte in più a Milano, 127,5 a Roma, 60 a Torino e così via.

      Il confronto è nato esattamente dalla necessità di quantificare un utilizzo di cui neanche le prefetture hanno contezza per partire da un dato di realtà che vada oltre le testimonianze dei reclusi. Piantedosi dichiara che non è significativo questo confronto perché il “sovrautilizzo” è dovuto al fatto che all’interno dei centri vi sono delle persone per cui quei farmaci sono necessari. Ma nell’inchiesta abbiamo riscontrato un largo utilizzo di Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nel­la terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; Pregabalin (antiepilettico); Akineton, utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson (30mila compresse in due anni a Caltanissetta); Rivotril.

      Se questi farmaci sono forniti tramite prescrizioni e non somministrati al di fuori di quanto previsto dal foglio illustrativo, significa nei centri si trovano persone con patologie psichiatriche gravi. Ma nel maggio 2022 una direttiva dello stesso ministero dell’Interno aveva specificato che la visita d’ingresso nel Centro per valutare l’idoneità alla “vita” in comunità ristretta nella struttura deve escludere “pato­logie evidenti come malattie infettive contagio­se, disturbi psichiatrici, patologie acute o croni­co degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. Delle due l’una: o le persone non possono stare nei Centri per la loro condizione sanitaria, oppure i farmaci vengono forniti off-label, senza cioè seguire un preciso piano terapeutico.

      Nel centro di via Corelli a Milano, nonostante il 60% delle scatole di farmaci acquistate in cinque mesi sia stato di psicofarmaci, le visite psichiatriche svolte in quasi due anni (quindi un periodo più lungo) sono state appena otto. Un altro segnale inquietante sulle modalità di utilizzo di questi psicofarmaci.

      Va ricordato inoltre che all’interno dei Cpr la cura della salute non è affidata a medici che lavorano per il Sistema sanitario nazionale ma da personale assunto dagli enti gestori sulla base di convenzioni ad hoc con prefetture e aziende sanitarie locali. “Il ruolo del monitoraggio si è dimostrato carente se non assente. Il ricorso a specialisti psichiatri e centri di salute mentale, per quanto garantito dalla normativa vigente, risulta spesso difficoltoso dal punto di vista burocratico e poco utilizzato -ha spiegato ad Altreconomia il dottor Nicola Cocco, esperto di detenzione amministrativa-. L’utilizzo degli psicofarmaci all’interno di molti Cpr è appannaggio del personale medico dell’ente gestore, che quasi sempre non ha alcune esperienza di presa in carico della patologia mentale e della dipendenza, tanto più in un contesto complesso come quello della detenzione amministrativa per persone migranti”.

      Questo aspetto è problematico anche rispetto alla “giustificazione” avanzata dal ministro Piantedosi rispetto alla richiesta da parte delle stesse persone recluse della somministrazione di questi farmaci. “Dal punto di vista medico la eventuale ‘richiesta’ dei trattenuti non giustifica nulla: gli psicofarmaci vengono somministrati a discrezione del personale sanitario. Sempre”, ricorda Elena Cacello, referente sanitaria del Centro salute immigrati di Vercelli (VC).

      La presunta richiesta dei reclusi -presentata come giustificazione risolutiva- conferma in realtà l’inefficienza del sistema. “Vi è spesso una gestione improvvisata di eventuali quadri di patologia mentale dei trattenuti -ribadisce Cocco-. Tale improvvisazione si manifesta attraverso la prescrizione arbitraria di psicofarmaci da parte dei medici degli enti gestori, in mancanza spesso di un percorso di presa in carico e cura, ma solo per la risoluzione del sintomo”. Un sintomo che, considerando che non può essere presente già all’ingresso nel Centro (che quindi dovrebbe escludere il trattenimento), insorge a causa delle pessime condizioni di vita nelle strutture -dove non è prevista alcuna attività, spesso neanche nella disponibilità del proprio telefono cellulare- e dettato anche dalla necessità di “tenere buoni” i reclusi. “Un altro aspetto può ‘spiegare’ questo sovrautilizzo di psicofarmaci a scopo sedativo o tranquillizzante funziona: la somministrazione funziona come una vera e propria ‘camicia di forza farmacologica’ nei confronti delle persone trattenute, al fine di evitare disordini e, non meno importante, l’intervento diretto delle forze di polizia; è evidente come in questo caso l’utilizzo degli psicofarmaci non ha una rilevanza clinica per le persone interessate, bensì di sostegno all’apparato di polizia”.

      Il ministro ha dichiarato poi che “all’interno dei Cpr tutte le prestazioni sanitarie sono nella normalità garantite, controllate e monitorate”. Un dato smentito da diverse testimonianze di avvocati e attivisti che si occupano di detenzione amministrativa ma soprattutto da sentenze di tribunali.

      Partiamo da quella della giudice Elena Klindani che a fine gennaio 2023 non ha prorogato il trattenimento di un ragazzo di 19 anni rinchiuso in via Corelli a Milano da cinque mesi perché “ogni ulteriore giorno di trattenimento comporta una compromissione incrementale della salute psicofisica per il sostegno della quale non è offerta alcuna specifica assistenza, al di fuori terapia farmacologica” e la salute del giovane “è suscettibile di ulteriore compromissione per via della condizione psicologica determinata dalla protratta restrizione della libertà personale”. Per avere una panoramica completa di quello che succede è utile leggere, tra gli altri, “Il Libro nero del Cpr di Torino”, a cura dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che racconta “quattro casi di ordinaria ferocia” di persone trattenute nel Cpr da Torino che danno conto dell’insufficiente garanzia rispetto alle cure sanitarie di cui necessitano i trattenuti e il lavoro di denuncia dell’Associazione Naga, con sede a Milano, che da diversi anni segnala la scarsa tutela della salute all’interno del centro di via corelli. E poi i lavori della rete Mai più Lager-No ai Cpr e di LasciateCIEntrare.

      Moussa Balde, Wissem Abdel Latif, Vakhtang Enukidze sono solo alcuni dei nomi delle oltre 30 persone morte nei Cpr. Sul suicidio di Balde e di Enukidze sono tutt’ora in corso procedimenti penali, rispettivamente a Torino e a Trieste, per accertare le responsabilità di chi aveva in custodia i due giovani. Di fronte a questo quadro il titolare del Viminale ha parlato di “salute garantita” e dichiarato, solo a seguito dell’insistenza della giornalista, che è “possibile, probabile” che siano necessari più controlli.

      https://www.youtube.com/watch?v=OQF1F1lyFRY&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Faltreconomia.it%2F&

      Infine il ministro ha sottolineato che nei Cpr sarebbero presenti solamente persone con reati commessi durante la loro permanenza in Italia per una “prassi che si è consolidata negli anni”. “L’articolo 32 sul diritto alla salute è garantito a tutti, a prescindere dal loro passato”, ha giustamente risposto in studio lo psicoterapeuta Leonardo Mendolicchio.

      Ma il punto è che quanto detto da Matteo Piantedosi è falso. Secondo dati ottenuti da Altreconomia, e forniti proprio dal ministero dell’Interno, nel 2021 sono state 987 le persone che hanno fatto ingresso nei Cpr direttamente dal carcere: il 19% del totale di 5.174 trattenuti. Una percentuale a cui vanno certamente aggiunti coloro che hanno precedenti penali e vengono rintracciati sul territorio successivamente alla loro scarcerazione ma che comunque smentisce la versione governativa.

      Il ministro dichiara che non voler “rinforzare il sistema di espulsione e rimpatrio” sarebbe “omissivo” da parte di qualsiasi governo. Negli ultimi quattro anni la percentuale delle persone trattenute effettivamente rimpatriate ha superato il 50% solo nel 2017: questi centri non raggiungono quindi nemmeno l’obiettivo per cui sarebbero stati creati, sulla carta. La presunta omissione non passa dall’esistenza di queste strutture.

      Piantedosi ha poi paradossalmente auspicato una “collaborazione da parte degli ospiti” perché terribili scene come quelle mostrate nel servizio non avvengano più. Quasi a dire che i diritti fondamentali fossero materia da elargire, a mo’ di premio al merito, e non invece da garantire punto e basta. “Il Cpr è psicopatogeno di per sé e come sistema -conclude Cocco-. Le proteste sono legittime, sono un diritto. Chiedere più collaborazione è quasi come impedire a qualcuno di poter fare lo sciopero della fame: utilizzare il proprio corpo è la extrema ratio che si ha per manifestare il proprio malessere. Tocca allo Stato evitare che le persone si facciano male o muoiano. Non certo ai reclusi”. Che il ministro, nella lunga sequela di falsità, chiama “ospiti”.

      https://altreconomia.it/abuso-di-psicofarmaci-nei-cpr-perche-la-versione-del-ministro-piantedos

    • Pioggia di ansiolitici al Cpr di #Palazzo_San_Gervasio per rendere innocui i reclusi

      Oltre 2.800 pastiglie in appena sei mesi per poco più di 400 trattenuti transitati: i dati inediti sulla struttura in provincia di Potenza. La Procura intanto indaga sulla gestione di Engel Italia. Gli psicofarmaci sarebbero serviti a “neutralizzare ogni possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere le persone”

      Una scatola di psicofarmaci per ogni persona che è entrata al Cpr di Palazzo San Gervasio tra gennaio e luglio 2022. I dati inediti ottenuti da Altreconomia fotografano l’abuso dell’antiepilettico Rivotril e di benzodiazepine all’interno della struttura, su cui sta indagando anche la Procura di Potenza. “Le situazioni di degrado e non conformità al rispetto della persona umana e dei diritti in cui si trovavano a vivere i reclusi -scrivono gli inquirenti nell’ordinanza applicativa di misure cautelari di fine dicembre 2023 rivolta, tra gli altri, ad Alessandro Forlenza amministratore di fatto della Engel Italia Srl, che ha gestito il centro dal 29 ottobre 2018 al 23 giugno 2023- venivano lenite dall’uso inappropriato di farmaci sedativi volti a rendere gli ospiti innocui e quindi neutralizzare ogni loro possibile lamentela per le condizioni disumane in cui spesso si trovavano a vivere”.

      In sei mesi di spesa, da gennaio a luglio 2022, il 38% delle 791 scatole di farmaci acquistati erano psicofarmaci, per un totale di oltre 2.800 tra compresse e capsule e 1.550 millilitri in fiale o flaconi. Numeri esorbitanti se si considera che, secondo i dati della prefettura, la presenza media in struttura è stata di 70 persone con circa 400 transiti in sei mesi. Tra i farmaci acquistati troviamo soprattutto sedativi e ansiolitici come il Diazepam (65 scatole), l’Alprazolam (45), Tavor (14) ma anche Rivotril (77 confezioni), un antiepilettico con importanti effetti secondari di stordimento. “Tale farmaco veniva acquistato sistematicamente in quantità tali da non rimanere mai senza copertura -ha spiegato una delle operatrici sentite dalla Procura di Potenza-. Senza Rivotril sarebbe scoppiata la rivolta”.

      Gli inquirenti hanno così focalizzato la loro attenzione, rispetto all’operato della Engel Italia Srl, società madre di Martinina Srl, sotto indagine a Milano per presunte frodi nella gestione del Cpr di via Corelli, anche sull’utilizzo smodato degli psicofarmaci. Per diversi motivi. L’antiepilettico “Rivotril” dovrebbe essere utilizzato off-label, quindi al di fuori dei casi in cui la persona soffre di epilessia, solo laddove non vi siano “valide alternative terapeutiche” e in ogni caso con l’acquisizione del consenso della persona di cui, però, secondo la Procura, non vi sarebbe “alcuna traccia”.

      “Risulta che l’uso del medicinale -come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare- prescindeva dalla volontà del paziente e corrispondeva alla specifica necessità di controllare illecitamente l’ordine pubblico interno da parte della Engel”. Che per la gestione del centro ha ricevuto oltre 2,8 milioni di euro dalla prefettura di Potenza.

      Un problema di quantità ma anche di modalità di somministrazione e prescrizione. La direzione dell’ente gestore, sempre stando alle ricostruzioni degli inquirenti, avrebbe richiesto “a seconda delle esigenze” di ridurre le dosi “per risparmiare sui costi del farmaco” allungando i flaconi con l’acqua. Ma non solo. Due medici operanti all’interno del Cpr sarebbero indagati per la redazione di “false ricette per la dispensazione dei predetti farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale”.

      Con riferimento sempre agli psicofarmaci, “su 2.635 confezioni dispensate tra gennaio 2018 e agosto 2019 dai due medici ben 2.235 erano destinati a pazienti identificati con Stp (codice fiscale per chi non ha un permesso di soggiorno, ndr) e quindi presumibilmente ospitati presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”. Con un dettaglio non di poco conto. Diverse prescrizioni sarebbero state destinate a soggetti, ordinanza alla mano, che erano già usciti dal Cpr. Un modo, presumibilmente, per continuare ad acquistare scatole di farmaci gravando sul sistema sanitario nazionale e non sull’ente gestore.

      I dati ottenuti da Altreconomia sui farmaci comprati dalla Engel Italia Srl potrebbero quindi essere solo una fetta di quelli somministrati perché riguardano quelli per cui la società ha chiesto rimborso dalla prefettura. Ma escludono quelli “passati” dall’azienda sanitaria. Rispetto a cui, però, i conti non tornano: nella nostra inchiesta “Rinchiusi e sedati” pubblicata ad aprile 2023 si è dato conto del riscontro dell’Asl territoriale che ha dichiarato importi bassissimi. Nei primi dieci mesi del 2022 in totale 19 prescrizioni e 34,7 euro di farmaci destinati al Cpr. Qualcosa, stando anche ai dati della Procura, non torna.

      Oltre agli psicofarmaci -tra cui troviamo anche la Quetiapina, antipsicotico prescrivibile per gravi patologie psichiatriche- nei farmaci acquistati dalla Engel si trovano diverse tipologie di farmaci acquistati che raccontano della presenza all’interno della struttura di persone dalla salute precaria. Due esempi su tutti: la Spiriva, prescrivibile per la broncopneumopatia, una malattia dell’apparato respiratorio caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie aeree e il Palexia, usato per il trattamento del dolore cronico grave in adulti che possono essere curati adeguatamente solo con antidolorifici oppioidi.

      Dal 20 giugno 2023 Engel Italia Srl non è più l’ente gestore del Cpr di Palazzo San Gervasio. Ad aggiudicarsi il nuovo appalto per 128 posti, con importo a base d’asta di 2,2 milioni di euro, è stata #Officine_Sociali, cooperativa di Priolo Gargallo in provincia di Siracusa. Officine Sociali ha partecipato a diverse gare per la gestione di Cpr e grandi strutture di accoglienza nel corso degli anni, finendo per aggiudicarsi la gestione dell’hotspot di Taranto e Pozzallo; per quest’utimo ha incassato, da inizio dicembre 2021 a giugno 2023, oltre 1,3 milioni di euro. Pochi mesi prima della gara indetta dalla prefettura di Potenza per la gestione del Cpr, Officine sociali costituiva un “raggruppamento temporaneo di imprese” con Martinina Srl, la nuova “creatura” di Forlenza, per aggiudicarsi la gara per la gestione del Cpr di Gorizia. Un anno prima, le due società avevano gareggiato insieme per vincere l’appalto di Torino. Una sinergia di intenti.

      Tornando alla gestione di #Engel_Italia Srl “il livello di assistenza e di cura”, secondo la Procura, sarebbe stato “insufficiente a garantire loro le modalità di trattenimento idonee ad assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della dignità umana”. Il servizio medico sarebbe stato garantito 4.402 ore in meno di quanto, quello infermieristico di più di 11mila in meno nel periodo compreso tra febbraio 2021 al 31 ottobre 2022. “Nell’ambulatorio è sempre mancata l’acqua corrente”, si legge nell’ordinanza. Per la gestione del Cpr di Potenza sono indagati anche dottori, due albergatori della zona, un commissario e due ispettori di polizia. “Gli ospiti apparivano infatti molto provati proprio dal contesto in cui si trovavano a vivere -ha raccontato un’operatrice sentita dalla Procura-. Dopo qualche settimana di permanenza alcuni di loro cominciavano a sviluppare comportamenti ossessivi come il camminare in cerchio”.

      A Milano intanto si verificano nuove proteste e violenze sui trattenuti nonostante il commissariamento, così come a Caltanissetta, dove la condizione di vita nelle strutture è insostenibile (un video dall’interno lo dimostra) fino ad arrivare Trapani, con la condanna del governo italiano da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti a danni di un recluso nel Cpr. Tutto questo a meno di una settimana di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla che ha acceso i riflettori sull’attuale gestione da parte di Ors Italia della struttura di Ponte Galeria a Roma. Intanto il ministero dell’Interno resta in silenzio: a “camminare in cerchio” sembra non essere solamente chi è trattenuto. Perché il sistema Cpr non va messo in discussione.

      https://altreconomia.it/pioggia-di-ansiolitici-al-cpr-di-palazzo-san-gervasio-per-rendere-innoc

  • Migranti, ora il business si chiama detenzione e rimpatrio (e a fare i soldi sono i francesi)

    La prefettura di Milano pubblica i bandi di gara per affidare centri e strutture per migranti e mette nero su bianco una realtà: punita economicamente la piccola accoglienza. Spariti i celebri 35 euro. Ma non per tutti: chi si occupa di centri per i rimpatri, detenzione amministrativa e #hotspot vede.

    È ufficiale: i famosi 35 euro per migrante sono stati cancellati. È finita la mangiatoia, direbbe qualcuno. Ma non per tutti. Si sapeva che sarebbe accaduto. A metterlo nero su bianco è ora la Prefettura di Milano. Prima fra le più grandi città italiane (dietro invece a Udine, Gorizia, Chieti, Biella, Catanzaro e Venezia) a pubblicare i bandi per l’accoglienza dei richiedenti asilo nel 2019 e 2020. Lo ha fatto tenendo conto del #decreto_Salvini e sopratutto del nuovo capitolato d’#appalto stilato dal Dipartimento centrale del ministero dell’Interno.

    Le basi d’asta per i 3.200 posti letto complessivi su Milano e area metropolitana, che vengono messi a gara da oggi fino al 15 marzo, racchiudono i timori che negli scorsi mesi hanno invaso la testa di cooperative, onlus, associazioni e i vari attori dediti all’accoglienza degli stranieri. In sintesi: spariscono corsi di lingua, formazione professionale, accompagnamento all’inserimento sociale o lavorativo, avvocati, psicologi. Vengono tagliati i trasporti. Per le strutture da 50 a 300 posti letto sono previsti 21,90 euro per persona al giorno; per le strutture fino a 50 posti 23 euro, mentre per gli appartamenti 18 euro. «Si punisce qualunque struttura che non sia un mero parcheggio – commenta il giurista Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) – Il messaggio politico che si vuole mandare è chiaro: con queste persone non è necessario parlare, non hanno bisogno di muoversi».

    «Penalizzata l’accoglienza diffusa, il contrario di ciò che andava fatto – gli fa eco Alberto Sinigallia, Presidente di Fondazione Progetto Arca, colosso lombardo e nazionale del terzo settore e dell’accoglienza, che annuncia la dismissione di circa metà dei centri/posti letto e il mancato rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato per 30 operatori a partire da fine aprile su Milano, Varese e Lecco. L’unica logica che ci sta dietro è quella della sicurezza: vogliono tenere le persone nelle grandi strutture, non negli appartamenti e nei paesini, per poterle controllare meglio».

    Per gli ex centri di identificazione ed espulsione (Cie) reintrodotti nel 2017 dal ministro Marco Minniti sono stati estesi i tempi di permanenza fino a 180 giorni. Si chiama detenzione amministrativa: il carcere che non è carcere, dove le persone possono essere trattenute paradossalmente senza le tutele giuridiche dei detenuti

    La “punizione” economica, però, è per molti ma non per tutti. Le uniche strutture per cui i soldi rimangono quasi invariati, se non più alti, sono gli hotspot e #Centri_di_permanenza_per_il_rimpatrio (Cpr). Si tratta degli ex centri di identificazione ed espulsione (Cie) reintrodotti nel 2017 dal ministro Marco Minniti. Qui la maggioranza giallo-verde in Parlamento ha esteso, con il decreto Salvini, i tempi di permanenza fino a 180 giorni. Sei mesi. Si chiama detenzione amministrativa: il carcere che non è carcere, dove le persone possono essere trattenute paradossalmente senza le tutele giuridiche dei detenuti e senza aver commesso reati contro persone o cose ma solo in quanto irregolari.

    A Milano apre il Cpr di via Corelli, estrema periferia orientale della città. Dal primo maggio – scrive la prefettura – saranno disponibili 140 posti. Che non vengono pagati 18 euro ciascuno. Ma 32,15 euro, comprensivi del kit di primo ingresso (cuscini, lenzuola etc.) e in qualche caso scheda telefonica da cinque euro, rilasciati una tantum. Altro paradosso: nel Cpr il gestore deve offrire il “servizio di assistenza psicologica” dal momento dell’ingresso e durante la permanenza nel centro e “il sostegno in considerazione della condizione di privazione della libertà”. Lo psicologo c’è quindi in luoghi dove al 99 per cento delle possibilità le persone recluse vengono poi espulse dall’Italia. Non è previsto invece nei centri di accoglienza con donne vittime di stupri in Libia o malati psichiatrici.

    Nei centri di espulsione infati il costo del personale sale a più del doppio di quello per strutture con all’interno richiedenti asilo. Non è tutto: perché i 32,15 euro non sono comprensivi di spese per sicurezza e vigilanza del centro di detenzione. Queste sono conteggiate a parte. Un’altra fetta di torta che andrà quantificata in futuro. Va ancora meglio a chi dovrà decidere di gestire gli hotspot, cioè dove vengono collocati i migranti appena sbarcati. Non riguarda Milano ma molte aree del sud Italia: si arriva fino a 41,83 euro giornalieri, recitano le tabelle ministeriali, se si ha la fortuna di avere meno di 50 persone all’interno. Le cifre scendono all’aumentare delle presenze, per le economie di scala, fino a 29,63 euro quando si hanno in carico fra 301 e i 600 migranti.

    Chi li prende i Cpr in Italia? Quello di Milano muoverà un giro d’affari da 3,9 milioni di euro, ma questi sono luoghi complicati: molte persone all’interno, arrabbiate, tanto che via Corelli venne chiuso come Cie nel 2014 per le rivolte e gli incendi appiccati dai reclusi in protesta. Avvengono suicidi e atti di autolesionismo. Realtà come Caritas e similari non li gestiscono, e mai si candiderebbero a farlo per ragioni etiche oltre che organizzative. Le piccole cooperative non hanno gli strumenti per prenderli in mano, anche ci fosse la volontà.

    L’unica logica che ci sta dietro è quella della sicurezza: vogliono tenere le persone nelle grandi strutture, non negli appartamenti e nei paesini, per poterle controllare meglio

    I Cpr vengono messi a bando, certo, ma “il business della detenzione amministrativa” nella penisola è stato più simile a un monopolio di fatto. Così a giungere in soccorso dell’Italia è stata in questi anni una società francese. Si chiama #Gepsa, multinazionale del gruppo #Engie – la ex #Gdf_Suez che con le sue società controllate si occupa di energia, gas, rinnovabili, ingegneria, infrastrutture – e che tramite #Gepsa_Oltralpe è specializzata in gestione e logistica di carceri e strutture detentive. Ha in mano 16 prigioni transalpine e presta i suoi servizi in dieci centri di detenzione amministrativa. Suo è anche il Cpr di Corso Brunelleschi a Torino, dopo aver avuto per anni tra le mani quello di Ponte Galeria, a Roma, Brindisi e numerosi altri centri.

    Per il capoluogo piemontese, alla gara d’appalto di settembre 2014, Gepsa si presentò come mandatario in un raggruppamento temporaneo d’impresa con l’associazione culturale Acuarinto come mandante, una realtà del terzo settore di Agrigento che da 26 anni lavora in sei diverse regioni d’Italia. Questi ultimi gestivano la mediazione culturale e quei servizi che devono esserci anche in un carcere che non è carcere. A Gepsa invece va in mano la sicurezza e la logistica. Furono gli unici a partecipare, offrendo il prezzo di 37,86 euro giornalieri più Iva a persona trattenuta, su una base d’asta di 40 euro con procedura al ribasso. Così si è aggiudicata la gestione del centro. E proprio da Torino è arrivato tre mesi fa a Milano il prefetto Renato Saccone, insediatosi in corso Monforte a novembre 2018.

    Potrebbero non avere vita facile a questa tornata i francesi. Perché gli affari dietro rimpatri e espulsioni ora fanno gola a molti. La gara milanese è europea, la concorrenza pure. Un lungo dossier di articoli pubblicato da Valori, testata giornalistica di Fondazione Finanza Etica, prova a raccontare le conseguenze economiche del decreto Salvini e delle politiche migratorie sovraniste. A chi fanno gola i nuovi affari? Ad esempio c’è la svizzera #ORS – ipotizza Valori – con il suo giro di fondi di investimento da tutto il mondo che conducono dritti nel cuore della City di Londra e al mondo dell’alta finanza. Proprio il 25 luglio scorso ORS ha deciso di registrare la propria filiale italiana alla Camera di Commercio di Roma, nelle settimane in cui il governo dell’Austria, dove la società operava da anni con un vasto mercato, annuncia di cambiare rotta per chiudere il sistema degli appalti privati e dare il là a una nuova agenzia pubblica per l’assistenza ai rifugiati. È solo un esempio. Se ne vedranno altri. Perché gli affari, come la natura, detestano il vuoto e non guardano al colore della pelle.

    https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/14/migranti-ora-il-business-si-chiama-detenzione-e-rimpatrio-e-a-fare-i-s/41082
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