È ffinidi i bozzi boni ...
Oggi è l’ultimo giorno, O che festa, che allegria! El padró ce manna via, perchè bozzi non c’è più! E’ finidi i bozzi boni, c’è rimasti li doppioni; Venga avanti ’sti padroni, li volemo saludà . E’ finidi i bozzi boni, c’è rimasti quelli tristi; venga avanti ’sti ministri, li volemo saludà . E alla giratora poi, che la gira la filandra, el padrone je domanda: e la seta come va? E la seta la va bene, a ’ste povere sottiere, a ’ste povere sottiere, no’ le manna mai da ca’. La provinatora poi, che ne viene da Milano, coi provini sulle mano, alle donne fa tremà . E la piegatora poi, che li piega li mazzetti, e li piega stretti stretti, pe’ non falli comparì. Il padrone a noi ci grida, troppo tardi je venimo, con maniere je lo dimo: ce sentimo poco be’! E non giova medicine, nostra bocca è tanto amara, el calor de la caldara ce consuma notte e dì.
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Info :
Canto delle filandere marchigiane che descrive la candizione delle operaie, e le varie figure gerarchiche e di controllo sulle lavoratrici. Si confronti con Mama mia mi sun stufa, con cui condivide numeosi elementi.
La produzione della seta, diffusa nelle Marche dal Seicento in poi, è fortemente legata al mondo rurale. Gli opifici rappresentano uno dei principali esempi della struttura protoindustriale marchigiana dell’Ottocento, e sono il vero e proprio anello di congiunzione tra città e campagna. Contadini e mezzadri infatti arrotondano i loro guadagni allevando i bachi, mentre nei centri urbani sono attive le filande tra le poche attività extragricole. A Jesi nel 1837, per opera del pioniere Pasquale Mancini, nasce la prima filanda, nel breve arco di un anno, la produzione di bozzoli salirà da 129.000 a 175.000 libbre. Venti anni dopo, nel 1858, le filande diventeranno sette per arrivare al numero di dodici agli albori del nuovo secolo. All’epoca, su una popolazione di 23.000 abitanti, si conteranno ben 1.055 operaie occupate negli stabilimenti cittadini.
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