• Il ricatto europeo targato #Frontex sui rimpatri “volontari” dei migranti

    In sei anni il numero di persone straniere a cui l’Agenzia ha dato supporto per “ritornare” è aumentato del 2.181%. Con un #budget superiore al miliardo di euro, le “divise blu” sono le vere protagoniste della politica europea sulle frontiere.

    “Giro per strada e mi vergogno. Tutti sanno che non ce l’ho fatta e che non sono riuscito a restituire neanche i soldi necessari per pagare il mio viaggio per l’Europa”. Nuha sospira mentre descrive una quotidianità difficile a Sukuta, città del Gambia che dista una ventina di chilometri dalla capitale Banjul. “Non ho un lavoro stabile e anche se sono passati tanti anni spesso ripenso al giorno in cui sono stato rimpatriato -racconta-. Non avevo commesso nessun reato: solo una volta non ho pagato il biglietto dell’autobus ma sono tornato nel mio Paese con le manette ai polsi”.

    Era il novembre 2019 e dopo cinque anni vissuti tra Italia e Germania, Nuha è stato rimpatriato su un volo gestito da Frontex. Come lui, negli ultimi dieci anni, altri 1.158 cittadini gambiani sono tornati nel loro Paese con l’assistenza dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che nel 2025 ha superato per la prima volta dalla sua istituzione il miliardo di euro di budget.

    “Soffrono molto”, sottolinea Bakary Camara, direttore sanitario dell’ospedale psichiatrico Tanka Tanka che si trova proprio a Sukuta, nella città in cui vive Nuha. “Spesso vengono ricoverati qui per problemi di salute mentale e dipendenza da sostanze stupefacenti sviluppate in Europa. Non è facile ricominciare da capo”.

    Guardare dal Gambia l’ossessione europea per i rimpatri dei cittadini irregolari è particolarmente significativo. Da quando nel 2017 è finita la dittatura dell’ex presidente Yahya Jammeh, molti giovani hanno deciso di lasciare uno dei più piccoli Paesi del continente africano che conta 2,5 milioni di abitanti in poco più di 11mila chilometri quadrati.

    L’aumento dell’emigrazione ha avuto un effetto decisivo sull’economia di uno Stato che nel 2022 era al 174esimo posto su 191, secondo l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. I 513 milioni di dollari inviati nel 2023 dagli emigrati ai propri familiari dall’estero (le cosiddette rimesse) hanno coperto il 21,9% del Prodotto interno lordo del Paese. Una fetta fondamentale dell’economia.

    Anche per questo il presidente Adama Barrow è stato duramente contestato quando nel 2018 ha siglato un accordo con l’Unione europea in materia di rimpatri. “Quando una persona è deportata non si perdono solo i soldi che questa inviava alla famiglia -spiega Yahya Sonko, attivista gambiano che dal 2015 vive in Germania- ma anche lo sviluppo di realtà imprenditoriali in loco. Dall’Europa io garantisco lavoro a 15 persone nella mia città di origine”.

    Le proteste hanno costretto Barrow a un passo indietro e all’inizio di un braccio di ferro con le istituzioni europee che più volte, l’ultima a luglio 2024, hanno minacciato una stretta sul rilascio dei visti come punizione per la mancata cooperazione sui rimpatri. “Un ricatto inaccettabile e uno spreco di soldi per gli europei -osserva Sonko-. Rimandare indietro una persona costa tantissimo e non è detto che questa, una volta rientrata, non riparta. Una politica dannosa e inutile”. Una strategia che numericamente ha fallito.

    Prendiamo come esempio il terzo trimestre del 2024: in Europa su un totale di 112.055 persone che hanno ricevuto un cosiddetto “ordine di espulsione”, quelle poi effettivamente rimpatriate sono state 28.630. Uno ogni cinque. “Una percentuale troppo bassa”, ha sottolineato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel presentare, a inizio marzo, il nuovo sistema comune di rimpatrio europeo che prevede procedure più snelle e che ha un protagonista indiscusso: Frontex.

    “Ricordo bene gli agenti che ci hanno accompagnato sull’aereo”, riprende Nuha. Sono quelli di Frontex, l’Agenzia guidata oggi dall’olandese Hans Leijtens che quest’anno celebra vent’anni di attività e si è vista destinare dalla Commissione europea la stratosferica cifra di 1,1 miliardi di euro, un budget che non ha eguali in istituzioni simili. Ad esempio, supera di ben 42 volte quello dell’Agenzia europea sulla cybersicurezza e dieci volte quello dell’Agenzia europea per l’ambiente.

    Di questa cifra monstre solo 2,5 milioni di euro vengono destinati alle attività relative ai diritti umani mentre ben 133 milioni ai rimpatri, con un aumento del 42% rispetto al 2024. “Nel nuovo Regolamento proposto dalla Commissione -spiega Silvia Carta, advocacy officer della Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti senza documenti (Picum)- emerge chiaramente la centralità dell’Agenzia e si prevede un ulteriore aumento delle disponibilità di spesa per i rimpatri”. L’attività di Frontex in questo settore non è una novità.

    Fin dalla sua nascita, infatti, ha collaborato con gli Stati membri supportandoli con la copertura dei costi degli aerei e delle attività pre-partenza ma è con il nuovo regolamento del 2019 che si è ritagliata un ruolo sempre più importante. Grazie a maggiori possibilità di operare anche in Paesi terzi dell’Ue, attraverso agenti dislocati sul territorio, è diventata protagonista della delicata attività di cooperazione con le autorità locali.

    I problemi principali dei bassi numeri di rimpatri dall’Europa, infatti, oltre ai costi stratosferici (almeno quattromila euro a persona, solo per il noleggio dell’aereo, per l’espulsione di un cittadino dall’Italia alla “vicinissima” Tunisia) sono proprio gli accordi con gli Stati di origine: spesso, come si è visto nel caso del Gambia, questi sono restii ad accettarli.

    Così, per ovviare a questo problema, l’Agenzia con sede a Varsavia e le istituzioni europee puntano sempre di più sui cosiddetti rimpatri volontari che hanno almeno due vantaggi: non richiedono il coinvolgimento dei Paesi di origine perché la persona collabora e il viaggio costa meno perché avviene su un volo di linea. E infatti, oggi, più della metà delle persone che lasciano l’Europa lo fanno “volontariamente” e Frontex è sempre più protagonista.

    Dal 2019 l’Agenzia può aiutare i Paesi Ue anche sui rimpatri volontari assistiti e i dati dimostrano che la sua attività da quell’anno è esplosa. Si passa dalla collaborazione con nove Stati membri per 155 persone rimpatriate alle 35.637 (+2.181%) del 2024 da 26 Stati Ue diversi. Inoltre cresce tantissimo anche il numero dei Paesi di destinazione coinvolti nell’attività delle “divise blu” che oggi sono 117 contro i 41 di sei anni fa. In totale quindi Frontex supporta i rimpatri nel 74% degli Stati del mondo extra-Ue: se si guarda al continente africano mancano all’appello solo eSwatini e Malawi.

    “La strategia di Bruxelles su questa tipologia di rimpatri è ambigua. Il nuovo Regolamento prevede una stretta sui rientri volontari ma lascia la possibilità alle autorità nazionali di implementare forme di premialità per persone che ‘cooperano’ con la propria deportazione, accettando di partecipare a programmi di rimpatrio assistito -riprende Carta di Picum-. Una forma di ricatto che deriva dalla riduzione degli anni del divieto di reingresso sul territorio europeo e dal supporto economico”.

    Per Frontex questi aiuti avvengono nell’ambito del “Reintegration program” che garantisce un “supporto a breve termine” (615 euro per i rimpatri volontari, 205 per quelli forzati) e uno a “lungo termine” che prevede forme indirette di aiuto per un anno (dalla copertura dell’assistenza sanitaria alla possibilità di supporto nell’aprire un’attività) per un importo di duemila o mille euro, a seconda di rientro volontario o forzato per il richiedente principale, più mille per ogni familiare.

    Questa dote è gestita da sei Ong che sono state selezionate tramite bando pubblico per operare in 38 diversi Paesi del mondo: Caritas international Belgium, Women empowerment, literacy and development organization (Weldo), Irara, European technology and training centre (Ettc), Life makers foundation Egypt, Micado migration. Se nel 2022 i cittadini rimpatriati supportati all’interno di questo progetto erano 867, nel 2024 sono cresciuti del 1.362% (12.676): le principali nazionalità delle persone sono Turchia (2.750), Iraq (2.469), Georgia (1.472), Gambia (1.162), Nigeria (816), Pakistan (794) e Bangladesh (620).

    “Spesso queste forme di aiuto non sono efficaci per chi ritorna nel proprio Paese perché è molto problematico l’utilizzo dei fondi -chiarisce Rossella Marino, professoressa all’Università di Gent in Belgio che ha svolto un dottorato proprio sul tema dei progetti di reintegrazione in Gambia-. Sono estremamente utili però alle istituzioni europee perché descrivono attraverso una narrazione positiva e accettabile, ovvero aiutare le persone che rientrano, quello che è un approccio neocoloniale e che mira in definitiva al controllo della mobilità”. Marino sottolinea, infatti, come la “macchina” dei rimpatri coinvolga tantissimi attori sul campo. “Tutte attività che consolidano la presenza delle istituzioni europee su quel territorio ma soprattutto che aiutano a evitare la ripartenza di chi è rientrato. Questo processo avviene anche attraverso la digitalizzazione di tutte le informazioni”.

    Proprio con questo scopo è stata sviluppata la piattaforma digitale Reintegration assistance tool (Riat), finanziata dalla Commissione europea e implementata dal Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (Impcd), attraverso cui avviene un monitoraggio costante dei casi che accedono al programma di Frontex e viene migliorata la cooperazione degli Stati.

    C’è poi un enorme tema di responsabilità rispetto al ruolo di Frontex nei rimpatri. Tutto ruota attorno alla questione se le divise blu siano o meno responsabili di quello che avviene prima del rimpatrio. Che cosa succede ad esempio se il decreto di espulsione alla base del rimpatrio della persona è illegittimo? Chi ne risponde? Oppure se, nel caso della partenza volontaria, la persona non si trovava in una condizione adeguata per decidere liberamente? Questo aspetto è decisivo. “Frontex si fa forte del fatto che la responsabilità di tutto ciò che succede prima del rimpatrio ricade unicamente sullo Stato membro. Ma non è così -spiega Laura Salzano, docente di diritto dell’Ue dell’Università Ramon Llull di Barcellona che da anni si occupa di queste tematiche-. L’Agenzia deve valutare caso per caso se quella espulsione sia legittima o meno: glielo impone il suo stesso Regolamento all’articolo 80. O si cambiano le regole di ingaggio, oppure è così”.

    Tutto questo riguarda da vicino anche l’Italia. Il nostro Paese è il fanalino di coda in Europa, insieme alla Romania, per il numero di rimpatri volontari. In dieci anni (2015-2024), secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno ad Altreconomia, sono state 4.059 le persone rimpatriate con questo programma per un totale di 35,5 milioni di euro investiti dal Viminale. Nel 2024 tutti i 290 casi di rimpatrio assistito, che riguardavano per il 42% persone in posizione di irregolarità, sono stati gestiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).

    Negli ultimi mesi, però, nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) italiani crescono le testimonianze di chi racconta una forte pressione da parte degli operatori per accedere a quelle che vengono definite “partenze volontarie”. Un funzionario di Oim che preferisce mantenere l’anonimato ci conferma che l’organizzazione per cui lavora non attiva rimpatri volontari dal Cpr.

    A intervenire è Frontex con il suo “Reintegration program”, che ora sembra una priorità anche per l’Italia: tutto è gestito dalla questura che segue caso per caso segnalando a Varsavia coloro che accettano di lasciare subito il Paese. La longa manus dell’Agenzia è arrivata così anche nei centri di detenzione italiani. E chi lo sa, forse presto sbarcherà anche in Albania.

    “A sei anni di distanza -conclude Nuha- una delle cose che mi fa più male è non aver potuto abbracciare mia moglie e mia figlia prima di partire: mi hanno fatto uscire dal retro della stazione di polizia, lei ha provato a seguire la macchina ma l’hanno seminata. Piangeva, urlava e con lei anche la bambina. Questa è l’ultima immagine che ho dell’Europa”.

    https://altreconomia.it/il-ricatto-europeo-targato-frontex-sui-rimpatri-volontari-dei-migranti
    #retours_volontaires #renvois #expulsions #migrations #réfugiés #sans-papiers #Europe #EU #UE #politiques_migratoires #chiffres #statistiques #santé_mentale #toxicodépendance #Gambie #réfugiés_gambiens #visas #chantage #coût #coûts #réintégration #Reintegration_program #Caritas_international_Belgium #Women_empowerment_literacy_and_development_organization (#Weldo) #Irara #European_technology_and_training_centre (#Ettc) #Life_makers_foundation_Egypt #Micado_migration #Reintegration_assistance_tool (#Riat) #International_Centre_for_Migration_Policy_Development (#ICMPD)

  • #Sextape à #Saint-Étienne : le parquet requiert un #procès pour « chantage » contre le maire #Gaël_Perdriau
    https://www.mediapart.fr/journal/france/260325/sextape-saint-etienne-le-parquet-requiert-un-proces-pour-chantage-contre-l

    L’affaire porte sur des soupçons de #chantage exercé contre l’ancien premier adjoint Gilles Artigues, un rival potentiel du maire, filmé dans une chambre d’un hôtel parisien en janvier 2015, en train de se faire masser par un escort-boy. Une affaire révélée par Mediapart.

    La justice n’est pas tjs bien rapide, et bizarrement, ces lenteurs concernent souvent les mêmes.

    Novembre 2022 :
    https://seenthis.net/messages/980593
    https://seenthis.net/messages/981662

    Avril 2023 :
    https://seenthis.net/messages/998148

    Et donc, mars 2025, le parquet décide d’un procès. Alors que tout est connu et reconnu depuis fin 2022.

    D’une certaine façon, si on compare aux affaires Sarkozy, c’est presque rapide...

    • Vite fait, parce que ça pue tellement que ça asphyxie l’esprit, perdriau est resté depuis Président de Saint-Étienne Métropole et maire.
      Les trucs villes accolées à Métropole ça a été fait pour ce genre d’égos #visqueux.

  • Paris et Rabat planchent sur une « #feuille_de_route » pour accélérer les #expulsions de Marocains hors de France

    En visite d’État au Maroc, le président français et son ministre de l’Intérieur Bruno Retailleau ont évoqué le sujet sensible de l’immigration irrégulière et des rapatriements forcés des Marocains vers leur pays d’origine. Les deux pays, qui affichent leur amitié retrouvée, travaillent actuellement à une feuille de route pour fluidifier les procédures et accélérer les expulsions.

    C’est un sujet de tension récurrent entre Paris et Rabat : les expulsions des étrangers marocains en situation irrégulière. Depuis des années, la France regrette que le Maroc ne reprenne qu’au compte-goutte ses ressortissants sans autorisation de séjour en France.

    En déplacement dans le royaume chérifien cette semaine, Emmanuel Macron avait proposé à son ministre de l’Intérieur, Bruno Retailleau, de l’accompagner. Tout un symbole. Partisan d’une ligne dure sur l’immigration, Bruno Retailleau était attendu sur cet épineux sujet des expulsions vers le Maroc - notamment depuis le meurtre de Philippine, une étudiante française assassinée par un Marocain sans-papiers en septembre dernier.

    Le président français et son ministre souhaitent concrètement que davantage de laissez-passer consulaires soient délivrés, un document incontournable (en l’absence de passeport) qui permet à la France d’expulser les migrants entrés illégalement sur son sol vers leur pays d’origine. Bruno Retailleau s’est entretenu à ce sujet avec son homologue, Abdelouafi Laftit, mardi 29 octobre. Selon le locataire de la place Beauvau, une feuille de route est à l’étude. « Nous avons eu avec mon homologue et ami désormais, des échanges très denses », a-t-il encore déclaré sans trop de précisions.

    Mais derrière le discours policé, aucun chiffre n’a été annoncé sur le quota de délivrance de laissez-passer consulaires. Au terme de cette visite, Paris et Rabat ont préféré afficher leur amitié retrouvée, parlant d’une « coopération naturelle et fluide » entre les deux pays. Le sujet de l’immigration illégale a été évoqué avec des termes encore flous : Paris et Rabat ont déclaré vouloir « améliorer » le « cadre » et les « procédures » de rapatriement forcé des ressortissants marocains afin de « raccourcir les délais » et de « mieux faire en termes de nombre de personnes réadmises », a résumé le ministre de l’Intérieur français en conférence de presse. Tout faire pour augmenter les expulsions, en somme.

    Pour suivre ce dossier, il y aura « des points d’étapes réguliers », a encore assuré Bruno Retailleau en évoquant aussi la question de la surveillance des frontières terrestres et maritimes entre le Maroc et l’Union européenne pour lutter contre les traversées clandestines. « Je pourrai venir au Maroc autant de fois que nécessaires », a-t-il assuré à son homologue marocain.
    La crise des visas entre le Maroc et la France

    « Le Maroc est prêt à rapatrier tout migrant irrégulier dont il est attesté qu’il est Marocain et est parti du territoire marocain », avait déclaré le ministre marocain Nasser Bourita au début du mois d’octobre.

    Avant sa visite, Bruno Retailleau avait estimé que le Maroc était un « pays sûr », c’est-à-dire un pays où les Marocains de retour chez eux ne risqueraient rien, ni violence ni sévices de la part des autorités.

    Ces dernières années, la France avait montré son exaspération face au Maroc - et à l’ensemble des pays du Maghreb - concernant leur politique migratoire. Pour forcer les trois États à reprendre leurs ressortissants, Paris avait donc décidé en 2021 de baisser de 50% le nombre de visas délivrés aux Marocains et aux Algériens, et de 33% aux Tunisiens. Une politique autrement appelée : #chantage_aux_visas. Cette décision avait provoqué de vives tensions entre le Paris et Rabat.

    « C’est une décision drastique, c’est une décision inédite, mais c’est une décision rendue nécessaire par le fait que ces pays n’acceptent pas de reprendre des ressortissants que nous ne souhaitons pas et ne pouvons pas garder en France », avait à l’époque affirmé Gabriel Attal, porte-parole du gouvernement.

    Un peu plus d’an plus tard, en novembre 2023, l’ambassadeur de France au Maroc, Christophe Lecourtier, avait annoncé la levée de ces restrictions par Paris, un geste qui avait mis fin à la « #crise_des_visas ».

    https://www.infomigrants.net/fr/post/60875/paris-et-rabat-planchent-sur-une-feuille-de-route-pour-accelerer-les-e
    #Maroc #France #externalisation #migrations #réfugiés #expulsions #renvois #accord #extradition #identification #rapatriements_forcés #migrants_marocains #accélération #fluidification #Bruno_Retailleau #quota #réadmission #visas #pays_sûr

    ping @karine4

  • En Russie, une offensive ukrainienne qui sent le gaz | Alternatives Economiques
    https://www.alternatives-economiques.fr/russie-une-offensive-ukrainienne-sent-gaz/00112215

    La prise de contrôle par les Ukrainiens de la station russe de comptage de gaz à Soudja met Gazprom sous haute pression, et force les Russes à trouver d’autres partenaires pour exporter leur gaz.

    #guerre_Russie_Ukraine #approvisionnement en sources d’#énergie #chantage #Union_européenne à la ramasse

  • Israeli occupation threatens Jordan not to extend water agreement | Jordan News | Ammon News
    https://en.ammonnews.net/article/70175

    The Hebrew channel kann said on Thursday that Israel is considering not extending the current water agreement with Jordan following anti-Israeli statements regarding the war on Gaza by senior Jordanian officials and Minister of Foreign Affairs and Expatriate Affairs, Ayman Safadi.

    According to the current agreement, Israel transfers to Jordan 100 million cubic meters of water each year - instead of 50 million, as stipulated in the original peace agreement, in exchange for the production of electricity in Jordan for Israel.

    Kann also reported that the Ministry of Energy in the occupation has not taken the final decision in this regard yet, and the matter depends on the development of relations with Jordan and how the Jordanians will express their position toward the war in the near future. If the agreement is not extended, it will expire this year.

    #eau #chantage #blocus #Israel #paix #guerre #Gaza

  • Au niveau européen, un pacte migratoire « dangereux » et « déconnecté de la réalité »

    Sara Prestianni, du réseau EuroMed Droits, et Tania Racho, chercheuse spécialiste du droit européen et de l’asile, alertent, dans un entretien à deux voix, sur les #risques de l’accord trouvé au niveau européen et qui sera voté au printemps prochain.

    Après trois années de discussions, un accord a été trouvé par les États membres sur le #pacte_européen_sur_la_migration_et_l’asile la semaine dernière. En France, cet événement n’a trouvé que peu d’écho, émoussé par la loi immigration votée au même moment et dont les effets sur les étrangers pourraient être dramatiques.

    Pourtant, le pacte migratoire européen comporte lui aussi son lot de mesures dangereuses pour les migrant·es, entre renforcement des contrôles aux frontières, tri express des demandeurs d’asile, expulsions facilitées des « indésirables » et sous-traitance de la gestion des frontières à des pays tiers. Sara Prestianni, responsable du plaidoyer au sein du réseau EuroMed Droits, estime que des violations de #droits_humains seront inévitables et invite à la création de voies légales qui permettraient de protéger les demandeurs d’asile.

    La chercheuse Tania Racho, spécialiste du droit européen et de l’asile et membre du réseau Désinfox-Migrations, répond qu’à aucun moment les institutions européennes « ne prennent en compte les personnes exilées », préférant répondre à des « objectifs de gestion des migrations ». Dans un entretien croisé, elles alertent sur les risques d’une approche purement « sécuritaire », qui renforcera la vulnérabilité des concernés et les mettra « à l’écart ».

    Mediapart : Le pacte migratoire avait été annoncé par la Commission européenne en septembre 2020. Il aura fait l’objet de longues tergiversations et de blocages. Était-ce si difficile de se mettre d’accord à 27 ?

    Tania Racho : Dans l’état d’esprit de l’Union européenne (UE), il fallait impérativement démontrer qu’il y a une gestion des migrations aux #frontières_extérieures pour rassurer les États membres. Mais il a été difficile d’aboutir à un accord. Au départ, il y avait des mesures pour des voies sécurisées d’accès à l’Union avec plus de titres économiques : ils ont disparu au bénéfice d’une crispation autour des personnes en situation irrégulière.

    Sara Prestianni : La complexité pour aboutir à un accord n’est pas due à la réalité des migrations mais à l’#instrumentalisation du dossier par beaucoup d’États. On l’a bien vu durant ces trois années de négociations autour du pacte : bien que les chiffres ne le justifiaient pas, le sujet a été fortement instrumentalisé. Le résultat, qui à nos yeux est très négatif, est le reflet de ces stratégies : cette réforme ne donne pas de réponse au phénomène en soi, mais répond aux luttes intestines des différents États.

    La répartition des demandeurs d’asile sur le sol européen a beaucoup clivé lors des débats. Pourquoi ?

    Sara Prestianni : D’abord, parce qu’il y a la fameuse réforme du #règlement_Dublin [qui impose aux exilés de demander l’asile dans le pays par lequel ils sont entrés dans l’UE - ndlr]. Ursula von der Leyen [présidente de la Commission – ndlr] avait promis de « #dépasser_Dublin ». Il est aujourd’hui renforcé. Ensuite, il y a la question de la #solidarité. La #redistribution va finalement se faire à la carte, alors que le Parlement avait tenté de revenir là-dessus. On laisse le choix du paiement, du support des murs et des barbelés aux frontières internes, et du financement de la dimension externe. On est bien loin du concept même de solidarité.

    Tania Racho : L’idée de Dublin est à mettre à la poubelle. Pour les Ukrainiens, ce règlement n’a pas été appliqué et la répartition s’est faite naturellement. La logique de Dublin, c’est qu’une personne qui trouve refuge dans un État membre ne peut pas circuler dans l’UE (sans autorisation en tout cas). Et si elle n’obtient pas l’asile, elle n’est pas censée pouvoir le demander ailleurs. Mais dans les faits, quelqu’un qui voit sa demande d’asile rejetée dans un pays peut déposer une demande en France, et même obtenir une protection, parce que les considérations ne sont pas les mêmes selon les pays. On s’interroge donc sur l’utilité de faire subir des transferts, d’enfermer les gens et de les priver de leurs droits, de faire peser le coût de ces transferts sur les États… Financièrement, ce n’est pas intéressant pour les États, et ça n’a pas de sens pour les demandeurs d’asile.

    D’ailleurs, faut-il les répartir ou leur laisser le libre #choix dans leur installation ?

    Tania Racho : Cela n’a jamais été évoqué sous cet angle. Cela a du sens de pouvoir les laisser choisir, parce que quand il y a un pays de destination, des attaches, une communauté, l’#intégration se fait mieux. Du point de vue des États, c’est avant tout une question d’#efficacité. Mais là encore on ne la voit pas. La Cour européenne des droits de l’homme a constaté, de manière régulière, que l’Italie ou la Grèce étaient des États défaillants concernant les demandeurs d’asile, et c’est vers ces pays qu’on persiste à vouloir renvoyer les personnes dublinées.

    Sara Prestianni : Le règlement de Dublin ne fonctionne pas, il est très coûteux et produit une #errance continue. On a à nouveau un #échec total sur ce sujet, puisqu’on reproduit Dublin avec la responsabilité des pays de première entrée, qui dans certaines situations va se prolonger à vingt mois. Même les #liens_familiaux (un frère, une sœur), qui devaient permettre d’échapper à ce règlement, sont finalement tombés dans les négociations.

    En quoi consiste le pacte pour lequel un accord a été trouvé la semaine dernière ?

    Sara Prestianni : Il comporte plusieurs documents législatifs, c’est donc une #réforme importante. On peut évoquer l’approche renforcée des #hotspots aux #frontières, qui a pourtant déjà démontré toutes ses limites, l’#enfermement à ciel ouvert, l’ouverture de #centres_de_détention, la #procédure_d’asile_accélérée, le concept de #pays-tiers_sûr que nous rejetons (la Tunisie étant l’exemple cruel des conséquences que cela peut avoir), la solidarité à la carte ou encore la directive sur l’« instrumentalisation » des migrants et le concept de #force_majeure en cas d’« #arrivées_massives », qui permet de déroger au respect des droits. L’ensemble de cette logique, qui vise à l’utilisation massive de la #détention, à l’#expulsion et au #tri des êtres humains, va engendrer des violations de droits, l’#exclusion et la #mise_à_l’écart des personnes.

    Tania Racho : On met en place des #centres_de_tri des gens aux frontières. C’est d’une #violence sans nom, et cette violence est passée sous silence. La justification du tri se fait par ailleurs sur la nationalité, en fonction du taux de protection moyen de l’UE, ce qui est absurde car le taux moyen de protection varie d’un pays à l’autre sur ce critère. Cela porte aussi une idée fausse selon laquelle seule la nationalité prévaudrait pour obtenir l’asile, alors qu’il y a un paquet de motifs, comme l’orientation sexuelle, le mariage forcé ou les mutilations génitales féminines. Difficile de livrer son récit sur de tels aspects après un parcours migratoire long de plusieurs mois dans le cadre d’une #procédure_accélérée.

    Comment peut-on opérer un #tri_aux_frontières tout en garantissant le respect des droits des personnes, du droit international et de la Convention de Genève relative aux réfugiés ?

    Tania Racho : Aucune idée. La Commission européenne parle d’arrivées mixtes et veut pouvoir distinguer réfugiés et migrants économiques. Les premiers pourraient être accueillis dignement, les seconds devraient être expulsés. Le rush dans le traitement des demandes n’aidera pas à clarifier la situation des personnes.

    Sara Prestianni : Ils veulent accélérer les procédures, quitte à les appliquer en détention, avec l’argument de dire « Plus jamais Moria » [un camp de migrants en Grèce incendié – ndlr]. Mais, ce qui est reproduit ici, c’est du pur Moria. En septembre, quand Lampedusa a connu 12 000 arrivées en quelques jours, ce pacte a été vendu comme la solution. Or tel qu’il est proposé aujourd’hui, il ne présente aucune garantie quant au respect du droit européen et de la Convention de Genève.

    Quels sont les dangers de l’#externalisation, qui consiste à sous-traiter la gestion des frontières ?

    Sara Prestianni : Alors que se négociait le pacte, on a observé une accélération des accords signés avec la #Tunisie, l’#Égypte ou le #Maroc. Il y a donc un lien très fort avec l’externalisation, même si le concept n’apparaît pas toujours dans le pacte. Là où il est très présent, c’est dans la notion de pays tiers sûr, qui facilite l’expulsion vers des pays où les migrants pourraient avoir des liens.

    On a tout de même l’impression que ceux qui ont façonné ce pacte ne sont pas très proches du terrain. Prenons l’exemple des Ivoiriens qui, à la suite des discours de haine en Tunisie, ont fui pour l’Europe. Les États membres seront en mesure de les y renvoyer car ils auront a priori un lien avec ce pays, alors même qu’ils risquent d’y subir des violences. L’Italie négocie avec l’#Albanie, le Royaume-Uni tente coûte que coûte de maintenir son accord avec le #Rwanda… Le risque, c’est que l’externalisation soit un jour intégrée à la procédure l’asile.

    Tania Racho : J’ai appris récemment que le pacte avait été rédigé par des communicants, pas par des juristes. Cela explique combien il est déconnecté de la réalité. Sur l’externalisation, le #non-refoulement est prévu par le traité sur le fonctionnement de l’UE, noir sur blanc. La Commission peut poursuivre l’Italie, qui refoule des personnes en mer ou signe ce type d’accord, mais elle ne le fait pas.

    Quel a été le rôle de l’Italie dans les discussions ?

    Sara Prestianni : L’Italie a joué un rôle central, menaçant de faire blocage pour l’accord, et en faisant passer d’autres dossiers importants à ses yeux. Cette question permet de souligner combien le pacte n’est pas une solution aux enjeux migratoires, mais le fruit d’un #rapport_de_force entre les États membres. L’#Italie a su instrumentaliser le pacte, en faisant du #chantage.

    Le pacte n’est pas dans son intérêt, ni dans celui des pays de premier accueil, qui vont devoir multiplier les enfermements et continuer à composer avec le règlement Dublin. Mais d’une certaine manière, elle l’a accepté avec la condition que la Commission et le Conseil la suivent, ou en tout cas gardent le silence, sur l’accord formulé avec la Tunisie, et plus récemment avec l’Albanie, alors même que ce dernier viole le droit européen.

    Tania Racho : Tout cela va aussi avoir un #coût – les centres de tri, leur construction, leur fonctionnement –, y compris pour l’Italie. Il y a dans ce pays une forme de #double_discours, où on veut d’un côté dérouter des bateaux avec une centaine de personnes à bord, et de l’autre délivrer près de 450 000 visas pour des travailleurs d’ici à 2025. Il y a une forme illogique à mettre autant d’énergie et d’argent à combattre autant les migrations irrégulières tout en distribuant des visas parce qu’il y a besoin de #travailleurs_étrangers.

    Le texte avait été présenté, au départ, comme une réponse à la « crise migratoire » de 2015 et devait permettre aux États membres d’être prêts en cas de situation similaire à l’avenir. Pensez-vous qu’il tient cet objectif ?

    Tania Racho : Pas du tout. Et puisqu’on parle des Syriens, rappelons que le nombre de personnes accueillies est ridicule (un million depuis 2011 à l’échelle de l’UE), surtout lorsqu’on le compare aux Ukrainiens (10 millions accueillis à ce jour). Il est assez étonnant que la comparaison ne soit pas audible pour certains. Le pacte ne résoudra rien, si ce n’est dans le narratif de la Commission européenne, qui pense pouvoir faire face à des arrivées mixtes.

    On a les bons et mauvais exilés, on ne prend pas du tout en compte les personnes exilées, on s’arrête à des objectifs de #gestion alors que d’autres solutions existent, comme la délivrance de #visas_humanitaires. Elles sont totalement ignorées. On s’enfonce dans des situations dramatiques qui ne feront qu’augmenter le tarif des passeurs et le nombre de morts en mer.

    Sara Prestianni : Si une telle situation se présente de nouveau, le règlement « crise » sera appliqué et permettra aux États membres de tout passer en procédure accélérée. On sera donc dans un cas de figure bien pire, car les entraves à l’accès aux droits seront institutionnalisées. C’est en cela que le pacte est dangereux. Il légitime toute une série de violations, déjà commises par la Grèce ou l’Italie, et normalise des pratiques illégales. Il occulte les mesures harmonisées d’asile, d’accueil et d’intégration. Et au lieu de pousser les États à négocier avec les pays de la rive sud, non pas pour renvoyer des migrants ou financer des barbelés mais pour ouvrir des voies légales et sûres, il mise sur une logique sécuritaire et excluante.

    Cela résonne fortement avec la loi immigration votée en France, supposée concilier « #humanité » et « #fermeté » (le pacte européen, lui, prétend concilier « #responsabilité » et « #solidarité »), et qui mise finalement tout sur le répressif. Un accord a été trouvé sur les deux textes au même moment, peut-on lier les deux ?

    Tania Racho : Dans les deux cas, la seule satisfaction a été d’avoir un accord, dans la précipitation et dans une forme assez particulière, entre la commission mixte paritaire en France et le trilogue au niveau européen. Ce qui est intéressant, c’est que l’adoption du pacte va probablement nécessiter des adaptations françaises. On peut lier les deux sur le fond : l’idée est de devoir gérer les personnes, dans le cas français avec un accent particulier sur la #criminalisation_des_étrangers, qu’on retrouve aussi dans le pacte, où de nombreux outils visent à lutter contre le terrorisme et l’immigration irrégulière. Il y a donc une même direction, une même teinte criminalisant la migration et allant dans le sens d’une fermeture.

    Sara Prestianni : Les États membres ont présenté l’adoption du pacte comme une grande victoire, alors que dans le détail ce n’est pas tout à fait évident. Paradoxalement, il y a eu une forme d’unanimité pour dire que c’était la solution. La loi immigration en France a créé plus de clivages au sein de la classe politique. Le pacte pas tellement, parce qu’après tant d’années à la recherche d’un accord sur le sujet, le simple fait d’avoir trouvé un deal a été perçu comme une victoire, y compris par des groupes plus progressistes. Mais plus de cinquante ONG, toutes présentes sur le terrain depuis des années, sont unanimes pour en dénoncer le fond.

    Le vote du pacte aura lieu au printemps 2024, dans le contexte des élections européennes. Risque-t-il de déteindre sur les débats sur l’immigration ?

    Tania Racho : Il y aura sans doute des débats sur les migrations durant les élections. Tout risque d’être mélangé, entre la loi immigration en France, le pacte européen, et le fait de dire qu’il faut débattre des migrations parce que c’est un sujet important. En réalité, on n’en débat jamais correctement. Et à chaque élection européenne, on voit que le fonctionnement de l’UE n’est pas compris.

    Sara Prestianni : Le pacte sera voté avant les élections, mais il ne sera pas un sujet du débat. Il y aura en revanche une instrumentalisation des migrations et de l’asile, comme un outil de #propagande, loin de la réalité du terrain. Notre bataille, au sein de la société civile, est de continuer notre travail de veille et de dénoncer les violations des #droits_fondamentaux que cette réforme, comme d’autres par le passé, va engendrer.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/281223/au-niveau-europeen-un-pacte-migratoire-dangereux-et-deconnecte-de-la-reali
    #pacte #Europe #pacte_migratoire #asile #migrations #réfugiés

  • Le #Niger défie l’Europe sur la question migratoire

    En abrogeant une #loi de 2015 réprimant le trafic illicite de migrants, la junte au pouvoir à Niamey met un terme à la coopération avec l’Union européenne en matière de contrôles aux frontières.

    En abrogeant une loi de 2015 réprimant le trafic illicite de migrants, la junte au pouvoir à Niamey met un terme à la coopération avec l’Union européenne en matière de contrôles aux frontières.

    L’épreuve de force est engagée entre le Niger et l’Union européenne (UE) sur la question migratoire. La junte issue du coup d’Etat de juillet à Niamey a fait monter les enchères, lundi 27 novembre, en abrogeant une loi datant de 2015, pénalisant le #trafic_illicite_de_migrants.

    Ce dispositif répressif, un des grands acquis de la coopération de Bruxelles avec des Etats africains, visant à endiguer les flux migratoires vers la Méditerannée, est aujourd’hui dénoncé par le pouvoir nigérien comme ayant été adopté « sous l’influence de certaines puissances étrangères » et au détriment des « intérêts du Niger et de ses citoyens ».

    L’annonce promet d’avoir d’autant plus d’écho à Bruxelles que le pays sahélien occupe une place stratégique sur les routes migratoires du continent africain en sa qualité de couloir de transit privilégié vers la Libye, plate-forme de projection – avec la Tunisie – vers l’Italie. Elle intervient au plus mauvais moment pour les Européens, alors qu’ils peinent à unifier leurs positions face à la nouvelle vague d’arrivées qui touche l’Italie. Du 1er janvier au 26 novembre, le nombre de migrants et réfugiés ayant débarqué sur le littoral de la Péninsule s’est élevé à 151 312, soit une augmentation de 61 % par rapport à la même période en 2022. La poussée est sans précédent depuis la crise migratoire de 2015-2016.

    Inquiétude à Bruxelles

    La commissaire européenne aux affaires intérieures, la Suédoise Ylva Johansson, s’est dite mardi « très préoccupée » par la volte-face nigérienne. La décision semble répondre au récent durcissement de l’UE à l’égard des putschistes. Le 23 novembre, le Parlement de Strasbourg avait « fermement condamné » le coup d’Etat à Niamey, un mois après l’adoption par le Conseil européen d’un « cadre de mesures restrictives », ouvrant la voie à de futures sanctions.

    « Les dirigeants à Niamey sont dans une grande opération de #chantage envers l’UE, commente un diplomate occidental familier du Niger. Ils savent que le sujet migratoire est source de crispation au sein de l’UE et veulent ouvrir une brèche dans la position européenne, alors qu’ils sont asphyxiés par les #sanctions_économiques décidées par la Communauté économique des Etats d’Afrique de l’Ouest [Cedeao]. Il ne leur a pas échappé que l’Italie est encline à plus de souplesse à leur égard, précisément à cause de cette question migratoire. »
    Mais le #défi lancé par la junte aux pays européens pourrait être plus radical encore, jusqu’à s’approcher du point de rupture. « La décision des dirigeants de Niamey montre qu’ils ont tout simplement abandonné toute idée de négocier avec l’UE à l’avenir, souligne une autre source diplomatique occidentale. Car un retour en arrière serait extrêmement difficile après l’abrogation de la loi. Ils montrent qu’ils ont choisi leur camp. Ils vont désormais nous tourner le dos, comme l’ont fait les Maliens. Ils ont abandonné leur principal point de pression avec l’UE. »

    Si l’inquiétude monte à Bruxelles face à un verrou migratoire en train de sauter, c’est le soulagement qui prévaut au Niger, où les rigueurs de la loi de 2015 avaient été mal vécues. Des réactions de satisfaction ont été enregistrées à Agadez, la grande ville du nord et « capitale » touareg, carrefour historique des migrants se préparant à la traversée du Sahara. « Les gens affichent leur #joie, rapporte Ahmadou Atafa, rédacteur au journal en ligne Aïr Info, installé à Agadez. Ils pensent qu’ils vont pouvoir redémarrer leurs activités liées à la migration. »

    Les autorités locales, elles aussi, se réjouissent de cette perspective. « Nous ne pouvons que saluer cette abrogation, se félicite Mohamed Anako, le président du conseil régional d’#Agadez. Depuis l’adoption de la loi, l’#économie_régionale s’était fortement dégradée. »

    Il aura donc fallu huit ans pour que le paradigme des relations entre l’UE et le Niger change du tout au tout. Le #sommet_de_La_Valette, capitale de Malte, en novembre 2015, dominé par la crise migratoire à laquelle le Vieux Continent faisait alors face dans des proportions inédites, avait accéléré la politique d’externalisation des contrôles aux frontières de l’Europe. Les Etats méditerranéens et sahéliens étaient plus que jamais pressés de s’y associer. Le Niger s’était alors illustré comme un « bon élève » de l’Europe en mettant en œuvre toute une série de mesures visant à freiner l’accès à sa frontière septentrionale avec la Libye.

    Satisfaction à Agadez

    A cette fin, le grand architecte de ce plan d’endiguement, le ministre de l’intérieur de l’époque – #Mohamed_Bazoum, devenu chef d’Etat en 2021 avant d’être renversé le 26 juillet – avait décidé de mettre en œuvre, avec la plus grande sévérité, une loi de mai 2015 réprimant le trafic illicite de migrants. Du jour au lendemain, les ressortissants du Sénégal, de Côte d’Ivoire, du Mali ou du Nigeria ont fait l’objet d’entraves administratives – le plus souvent en contradiction avec les règles de #libre_circulation prévues au sein de la Cedeao – dans leurs tentatives de rallier Agadez par bus en provenance de Niamey.
    Dans la grande ville du Nord nigérien, le gouvernement s’était attaqué aux réseaux de passeurs, au risque de fragiliser les équilibres socio-économiques. L’oasis d’Agadez, par où avaient transité en 2016 près de 333 000 migrants vers l’Algérie et la Libye, a longtemps profité de ces passages. Ultime porte d’accès au désert, la ville fourmillait de prestataires de « services migratoires » – criminalisés du jour au lendemain –, guidant, logeant, nourrissant, équipant et transportant les migrants.

    Avec la loi de 2015, « l’ensemble de la chaîne de ces services à la migration s’est écroulé », se souvient M. Anako. Le coup a été d’autant plus dur pour les populations locales que, dans les années 2010, la floraison de ces activités était venue opportunément compenser l’effondrement du tourisme, victime des rébellions touareg (1990-1997 et 2007-2009), puis du djihadisme. A partir de 2017, Agadez n’était plus que l’ombre d’elle-même. Certains notables locaux se plaignaient ouvertement que l’Europe avait réussi à « imposer sa frontière méridionale à Agadez ».

    Aussi, l’abrogation de la loi de 2015 permet à la junte de Niamey de faire d’une pierre deux coups. Outre la riposte à l’Europe, elle rouvre des perspectives économiques dans une région où les partisans du président déchu, M. Bazoum, espéraient recruter des soutiens. « Il y a à l’évidence un “deal” pour que les Touareg d’Agadez prêtent allégeance à la junte », relève le diplomate occidental.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/11/28/le-niger-defie-l-europe-sur-la-question-migratoire_6202814_3212.html
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #abrogation #contrôles_frontaliers #coopération #arrêt #UE #EU #Union_européenne #économie #coup_d'Etat #loi_2015-36 #2015-36

    ping @karine4

    • Sur la route de l’exil, le Niger ne fera plus le « #sale_boulot » de l’Europe

      La junte au pouvoir à Niamey a annoncé l’abrogation d’une loi de 2015 qui criminalisait l’aide aux personnes migrantes. Un coup dur pour l’Union européenne, qui avait fait du Niger un partenaire central dans sa politique d’externalisation des frontières. Mais une décision saluée dans le pays.

      DepuisDepuis le coup d’État du 26 juillet au Niger, au cours duquel l’armée a arraché le pouvoir des mains de Mohamed Bazoum, qu’elle retient toujours au secret, c’était la grande crainte des responsables de l’Union européenne. Les fonctionnaires de Bruxelles attendaient avec angoisse le moment où Niamey mettrait fin à l’une des coopérations les plus avancées en matière d’externalisation des contrôles aux frontières.

      C’est désormais devenu une réalité : le 25 novembre, le régime issu du putsch a publié une ordonnance qui abroge la loi n° 2015-36 relative au « trafic illicite de migrants » et qui annule toutes les condamnations prononcées dans le cadre de cette loi.

      Le gouvernement de transition a justifié cette décision par le fait que ce texte avait été adopté en mai 2015 « sous l’influence de certaines puissances étrangères » et au détriment des « intérêts du Niger et de ses citoyens », et qu’il entrait « en contradiction flagrante » avec les règles communautaires de la Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest (Cedeao).

      La commissaire européenne aux affaires intérieures, la Suédoise Ylva Johansson, s’est dite « très préoccupée » par cette décision qui intervient alors que les relations entre l’Europe et le Niger sont tendues : le 23 octobre, le Conseil européen avait adopté un « cadre de mesures restrictives » ouvrant la voie à de possibles sanctions contre le régime putschiste, et le 23 novembre, le Parlement européen a « fermement » condamné le coup d’État.

      Pour l’UE et sa politique antimigratoire, c’est une très mauvaise nouvelle, d’autant que les arrivées en provenance du continent africain ont, selon l’agence Frontex, sensiblement augmenté en 2023. La loi 2015-36 et la coopération avec le Niger étaient au cœur de la stratégie mise en œuvre depuis plusieurs années pour endiguer les arrivées d’exilé·es sur le sol européen.

      Mais au Niger, l’abrogation a été très bien accueillie. « C’est une mesure populaire, indique depuis Niamey un activiste de la société civile qui a tenu à rester anonyme. Cette loi n’a jamais été acceptée par la population, qui ne comprenait pas pourquoi le gouvernement nigérien devait faire le sale boulot à la place des Européens. »
      Satisfaction à Agadez

      À Agadez, grande ville du Nord qui a été la plus touchée par la loi de 2015, le soulagement est grand. « Ici, c’est la joie, témoigne Musa, un habitant de la ville qui a un temps transporté des migrant·es. Les gens sont très contents. Beaucoup de monde vivait de cette activité, et beaucoup m’ont dit qu’ils allaient reprendre du service. Moi aussi peut-être, je ne sais pas encore. »

      Un élu de la municipalité d’Agadez indique lui aussi être « pleinement satisfait ». Il rappelle que c’était une revendication des élus locaux et qu’ils ont mené un intense lobbying ces dernières semaines à Niamey. Le président du conseil régional d’Agadez, Mohamed Anacko, a quant à lui salué « cette initiative très bénéfique pour [sa] région ».

      Satisfaction aussi au sein de l’ONG Alarme Phone Sahara, qui a pour mission de venir en aide aux migrant·es dans le désert. « Cette abrogation est une nouvelle surprenante et plaisante », indique Moctar Dan Yaye, un des cadres de l’ONG. Depuis plusieurs années, Alarme Phone Sahara militait en sa faveur. En 2022, elle a déposé une plainte contre l’État du Niger auprès de la Cour de justice de la Cedeao, dénonçant l’atteinte à la liberté de circulation de ses ressortissant·es. Mais elle pointe aussi les conséquences sur l’économie d’Agadez, « qui a toujours vécu des transports et de la mobilité », et surtout sur la sécurité des migrant·es, « qui ont été contraints de se cacher et de prendre des routes plus dangereuses alors qu’avant, les convois étaient sécurisés ».
      Avant que la loi ne soit appliquée en 2016 (à l’initiative de Mohamed Bazoum, alors ministre de l’intérieur), tout se passait dans la transparence. Chaque lundi, un convoi de plusieurs dizaines de véhicules chargés de personnes désireuses de rejoindre la Libye, escortés par l’armée, s’ébranlait depuis la gare routière d’Agadez.

      « Toute la ville en vivait, soulignait en 2019 Mahaman Sanoussi, un acteur de la société civile. La migration était licite. Les agences de transporteurs avaient pignon sur rue. Ils payaient leurs taxes comme tout entrepreneur. » En 2016, selon une étude de l’ONG Small Arms Survey, près de 400 000 migrant·es seraient passé·es par Agadez avant de rejoindre la Libye ou l’Algérie, puis, pour certain·es, de tenter la traversée de la Méditerranée.
      Le coup de frein de Bruxelles

      À Bruxelles, en 2015, on décide donc que c’est dans cette ville qu’il faut stopper les flux. Cette année-là, l’UE élabore l’Agenda européen sur la migration et organise le sommet de La Valette (Malte) dans le but de freiner les arrivées. Des sommes colossales (plus de 2 milliards d’euros) sont promises aux États du Sud afin de les pousser à lutter contre la migration. Un Fonds fiduciaire d’urgence de l’UE pour l’Afrique (EUTF) est mis en place. Et le Niger est au cœur de cette stratégie : entre 2016 et 2019, l’EUTF lui a alloué 266,2 millions d’euros – plus qu’à tout autre pays (et 28 millions supplémentaires entre 2019 et 2022).

      Ce fonds a notamment financé la création d’une unité d’élite en matière de lutte contre les migrations. Mais tout cela n’aurait pas été possible sans une loi criminalisant ceux qui aident, d’une manière ou d’une autre, les migrant·es. À Niamey, le pouvoir en place ne s’en cachait pas à l’époque : c’est sous la pression de l’UE, et avec la promesse d’une aide financière substantielle, qu’il a fait adopter la loi 2015-36 .

      Avec ce texte, celui qui permettait à une personne en exil d’entrer ou de sortir illégalement du territoire risquait de 5 à 10 ans de prison, et une amende pouvant aller jusqu’à 5 millions de francs CFA (7 630 euros). Celui qui l’aidait durant son séjour, en la logeant ou la nourrissant, encourait une peine de 2 à 5 ans.

      Après sa mise en œuvre, plus de 300 personnes ont été incarcérées, des passeurs pour la plupart, des centaines de véhicules ont été immobilisés et des milliers d’emplois ont été perdus. Selon plusieurs études, plus de la moitié des ménages d’Agadez vivaient de la migration, qui représentait en 2015 près de 6 000 emplois directs : passeurs, coxers (ou intermédiaires), propriétaires de « ghettos » (le nom donné sur place aux lieux d’hébergement), chauffeurs, mais aussi cuisinières, commerçant·es, etc. Ainsi la loi 2015-36 a-t-elle été perçue par nombre d’habitant·es comme « une loi contre Agadez ». « Vraiment, ça nous a fait mal, indique Mahamane Alkassoum, un ancien passeur. Du jour au lendemain, on n’a plus eu de source de revenu. Moi-même, je suis toujours au chômage à l’heure où je vous parle. »

      Cette loi a eu des effets : selon l’UE, les arrivées en Italie ont chuté de 85 % entre 2016 et 2019. Mais elle a aussi fragilisé les migrant·es. « Avant, dans les convois, quand il y avait un problème, les gens étaient secourus. Avec la loi, les passeurs prenaient des routes plus dangereuses, la nuit, et ils étaient isolés. En cas de problème, les gens étaient livrés à eux-mêmes dans le désert. Il y a eu beaucoup de morts », souligne Moctar Dan Yaye, sans pouvoir donner de chiffres précis.

      En outre, les « ghettos » sont devenus clandestins et les prix ont doublé, voire triplé… « Le manque de clarté de la loi et sa mise en œuvre en tant que mesure répressive – au lieu d’une mesure de protection – ont abouti à la criminalisation de toutes les migrations et ont poussé les migrants à se cacher, ce qui les rend plus vulnérables aux abus et aux violations des droits de l’homme », constatait en octobre 2018 le rapporteur des Nations unies sur les droits de l’homme des migrants, Felipe González Morales.

      Dans un rapport publié la même année, le think tank Clingendeal notait que « l’UE a contribué à perturber l’économie locale sans fournir d’alternative viable », ce qui « a créé frustration et déception au sein de la population ». L’UE a bien financé un programme de réinsertion pour les anciens acteurs de la migration. Mais très peu en ont bénéficié : 1 080 personnes sur 6 564 identifiées.

      Et encore, cette aide était jugée dérisoire : 1,5 million de francs CFA, « cela ne permet pas de repartir de zéro », dénonce Bachir Amma, un ancien passeur qui a essayé d’organiser le secteur. « L’Europe n’a pas tenu ses promesses, elle nous a trahis, renchérit Mahamane Alkassoum. Alors oui, si je peux, je reprendrai cette activité. Ce n’est pas par plaisir. Si on pouvait faire autre chose, on le ferait. Mais ici, il n’y a rien. »

      L’Europe doit-elle pour autant s’attendre à une nouvelle vague d’arrivées en provenance du Niger, comme le craint Bruxelles ? Si nombre d’anciens passeurs assurent qu’ils reprendront du service dès que possible, rien ne dit que les candidat·es à l’exil, de leur côté, retrouveront la route d’Agadez. « La situation a changé, souligne Moctar Dan Yaye. La frontière avec l’Algérie est quasi fermée et la situation en Libye a évolué. Beaucoup de véhicules ont été saisis aussi. » En outre, la plupart des États de la Cedeao d’où viennent les candidat·es à l’exil ont fermé leur frontière avec le Niger après le coup d’État.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/021223/sur-la-route-de-l-exil-le-niger-ne-fera-plus-le-sale-boulot-de-l-europe

    • Au Niger, la loi du 26 mai 2015 n’est plus un obstacle pour les migrants de l’Afrique subsaharienne

      Le Président du Conseil National pour la Sauvegarde de la Patrie (CNSP), le Général Abdourahamane Tiani, a signé le 25 novembre 2023, une ordonnance portant abrogation de la loi du 26 mai 2015 relative au trafic des migrants. La loi abrogée prescrivait des peines d’emprisonnement allant d’un (1) à trente (30) ans et des amendes de trois (3) à 30 millions de francs CFA. Elle avait permis de démanteler des réseaux de passeurs dans le nord du Niger, favorisant ainsi le recours des migrants à d’autres réseaux encore plus dangereux qui les exposent davantage aux traitements inhumains et au péril dans le désert. Dans les zones où transitent les migrants, cette loi avait conduit au chômage plusieurs milliers d’acteurs de la filière, au détriment de l’économie locale et la quiétude dans le nord nigérien. La décision du CNSP est favorablement accueillie non seulement dans les localités de transit des migrants, mais aussi au niveau des Organisations de la société civile qui qualifiaient la loi incriminant le trafic des migrants d’instrument de violation de droits humains et du principe de libre circulation des personnes. Par ailleurs, une partie de l’opinion considère l’abrogation de la loi du 26 mai 2015 comme une réplique à l’attitude de plus en plus irritante de l’Union Européenne (UE) vis-à-vis des nouvelles autorités nigériennes. Néanmoins, certains observateurs voient en cette décision du CNSP, des perspectives de gestion plus équilibrée de la migration au Niger.

      Une réponse du berger à la bergère ?

      L’abrogation de la loi du 26 mai 2015 intervient au lendemain du vote par le parlement européen d’une résolution condamnant le coup d’état du 26 juillet 2023 et appelant à la restauration du régime déchu. Ainsi, d’aucuns estiment que cette décision des autorités nigériennes est une réplique à l’attitude de l’UE envers le nouveau régime du Niger. En effet, depuis l’avènement du CNSP au pouvoir, l’Union Européenne, principale bénéficiaire de la loi du 26 Mai 2015, dénie toute légitimité aux nouveaux dirigeants nigériens. Ce déni s’est traduit par la réduction de la coopération entre l’UE et le Niger à l’appui humanitaire, une série de sanctions ciblant les nouvelles autorités nigériennes et la récente résolution du parlement européen, entre autres. Selon le Président du Réseau National de Défense de Droits Humains (RNDDH), M. Kani Abdoulaye, cette décision du CNSP peut être considérée comme une réponse ou une réplique à la position de l’Union européenne vis-à-vis des nouveaux dirigeants du Niger. « De ce point de vue, la loi sur la migration constitue une arme redoutable pour les autorités actuelles du Niger », a estimé M. Kani Abdoulaye.

      Une loi inadaptée initiée sous l’influence de l’Union Européenne

      Dans un communiqué relatif à l’abrogation de la loi du 26 Mai 2015, le Gouvernement nigérien a rappelé que ladite loi a été adoptée en 2015 sous l’influence de certaines puissances étrangères, et qu’elle érigeait et incriminait en trafic illicite certaines activités par nature régulières. Selon le Président du RNDDH, Il y avait des accords politiques entre le Niger et l’Union Européenne et un moment l’Union Européenne a octroyé des financements au Niger dans le cadre de la lutte contre le trafic des migrants.

      Pour sa part, M. Hamadou Boulama Tcherno de l’Association Alternative Espaces Citoyens (AEC), a laissé entendre que cette loi a été écrite par le gouvernement et adoptée par le parlement sous une avalanche de pressions politique et diplomatique des pays occidentaux. « En atteste le ballet ininterrompu des dirigeants européens pour encourager les autorités de l’époque à endosser la sous-traitance de la gestion des flux migratoires », a-t-il rappelé. Le responsable de l’AEC a également estimé que l’élaboration de cette loi a largement été inspirée, sinon dictée par des experts de l’UE et que son adoption est une réponse positive à l’agenda de l’UE visant à stopper les arrivées des migrants, notamment africains aux frontières de l’espace Schengen. « En effet, au fil des ans, l’UE a réussi le tour de magie de ramener ses frontières juridiques au Niger, d’abord à Agadez, et ensuite à Zinder. Depuis lors, nos Forces de Défense et de Sécurité (FDS) travaillent en étroite collaboration avec des policiers européens pour la surveillance des flux migratoires aux frontières terrestres et aériennes de notre pays », a-t-il déploré. « Cette collaboration a permis à l’Agence Frontex dont on connait le bilan accablant de la surveillance des frontières européennes, de poser ses cartons dans notre pays, à EUCAP SAHEL d’avoir un mandat étendu à la gestion des migrations », a ajouté M. Hamadou Boulama Tcherno.

      Une loi impopulaire farouchement combattue pour ses conséquences néfastes

      L’adoption de la loi du 26 Mai 2015 a eu d’importants impacts négatifs sur les migrants et les demandeurs d’asile. Aussi, sans mesures alternatives conséquentes à l’économie de migration, elle a mis fin de façon brutale aux activités de plusieurs milliers de professionnels de la migration dans les différentes localités de transit. Depuis son adoption, des associations et acteurs locaux appelaient à l’abrogation ou la révision de cette loi afin d’atténuer son impact sur l’économie locale. Selon M. Hamadou Boulama Tcherno, l’application rigide de loi contre la migration a conduit des milliers de ménages dans une situation de pauvreté. Il a rapporté qu’environ 6.500 personnes vivaient de manière directe ou indirecte des revenus liés à la migration, d’après le Conseil régional d’Agadez. « Avec la criminalisation de la loi, la majorité d’entre elles s’est retrouvée au chômage », a-t-il déploré.

      « A Alternative Espaces Citoyens, nous avons combattu cette loi avant même son adoption par le parlement nigérien », a rappelé M. Hamadou Boulama Tcherno de l’Association Alternative Espaces Citoyens. Selon lui, AEC n’a jamais fait mystère de sa farouche opposition à cette loi criminalisant la mobilité. « Avec la modestie requise, je peux dire qu’au Niger, l’association a été à la pointe du combat citoyen pour discréditer cette loi, en dénonçant régulièrement ses effets néfastes sur les économies des villes de transit et sur les droits humains », a affirmé le responsable de AEC. Dans le même ordre d’idée, depuis 2015, l’Association Alternative Espaces Citoyens a mené des actions multiformes de sensibilisation sur les droits humains des migrants, de mobilisation sociale et de plaidoyer en faveur du droit à la mobilité, selon M. Hamadou Boulama Tcherno.

      La loi du 26 Mai 2015, un instrument de violation des droits humains et du principe de libre circulation des personnes

      Dans son communiqué, le Gouvernement nigérien a notifié que la loi abrogée a été prise « en contradiction flagrante avec nos règles communautaires et ne prenait pas en compte les intérêts du Niger et de ses citoyens ». Ainsi, selon le document, « c’est en considération de tous les effets néfastes et du caractère attentatoire aux libertés publiques de cette loi que le Conseil National pour la Sauvegarde de la Patrie a décidé de l’abroger ». De son côté, le Président du RNDDH a rappelé que lors de l’adoption de ladite loi, d’un point de vue communautaire, les Organisations de la société civile ont relevé que l’Etat du Niger a failli à ses obligations en matière de libre circulation des personnes et des biens, un principe fondamental du protocole de la Communauté Economique des Etats de l’Afrique de l’Ouest (CEDEAO). En effet, « on arrêtait les ressortissants des pays de la CEDEAO en supposant qu’ils vont aller en Europe, donc, de notre point de vue, cela faisait du Niger la première frontière de l’Union Européenne en Afrique », a expliqué M. Kani Abdoulaye. Ainsi, « nous avons toujours estimé que cela constituait pour le Niger un manquement à ses obligations au niveau de la CEDEAO », a-t-il poursuivi. Le Président du RNDDH a également estimé que l’adoption de la loi du 26 mai 2015 est une violation grave de droits de l’homme en ce que depuis la nuit des temps, les populations se déplacent. « Le Niger est aussi signataire de la Convention des Nations-Unies qui protège tous les travailleurs migrants et leurs familles », a ajouté M. Kani Abdoulaye.

      Selon M. Hamadou Boulama Tcherno, la mise en œuvre de cette loi s’est soldée par des abus des droits et une augmentation des morts dans le désert. « Décidés à poursuivre leur parcours migratoire, les migrants empruntent des routes de contournement des postes de contrôle. Malheureusement, parmi eux, certains perdent la vie, faute d’eau, après généralement la panne du véhicule de transport ou leur abandon dans le désert par des conducteurs sans foi, ni loi », a-t-il indiqué. Se basant sur des rapports élaborés par AEC, M. Hamadou Boulama Tcherno a relevé que durant les huit (8) ans de mise en œuvre de cette loi sur la migration, les personnes migrantes ont connu une violation de leurs droits et une situation de vulnérabilité sans précédent. « Cette loi adoptée officiellement dit-on pour protéger les droits des migrants a été utilisée dans la réalité comme un outil de répression des acteurs de l’économie de la migration et des migrants. Les moins chanceux ont été victimes d’arrestations arbitraires et d’emprisonnement, sans possibilités de recours », a-t-il dénoncé. De même, le responsable de AEC a affirmé que la loi du 26 Mai 2015 a favorisé l’encasernement des migrants dans les centres de transit de l’OIM et a porté un coup rude à la liberté de circulation communautaire avec les refoulements des citoyens de la CEDEAO aux portes d’entrée du Niger. Elle a même permis d’interner des nigériens dans leur propre pays, selon M. Hamadou Boulama Tcherno.

      L’abrogation de la loi du 26 Mai 2015, une ébauche de politique migratoire basée sur les droits fondamentaux ?

      Pour le responsable de AEC, l’abrogation de cette loi est une bonne nouvelle pour tous les défenseurs des droits des personnes migrantes. « C’est aussi un ouf de soulagement pour les autorités locales et les populations des régions, Agadez et Zinder en tête de peloton, fortement impactées par la lutte contre les migrations dites irrégulières », a-t-il ajouté. Aussi, « nous saluons cette abrogation, car elle offre une occasion inespérée de sortir du piège mortel de l’externalisation du contrôle de la mobilité humaine », a annoncé M. Hamadou Boulama Tcherno. Il a également espéré que l’abrogation de la loi du 26 Mai 2015 va ouvrir des perspectives heureuses pour les citoyens, notamment un changement de cap dans la gouvernance des migrations. « Notre souhait est de voir le Niger prendre l’option de se doter d’une politique migratoire centrée sur les droits fondamentaux, la solidarité et l’hospitalité africaine », a formulé le responsable de AEC.

      Quant au Président de la Plate-Forme ‘’Le Défenseur des Droits’’, M. Almoustapha Moussa, il a souligné la nécessité de convoquer des Etats généraux avec l’ensemble des parties prenantes sur le plan national et international, avec les ONG qui ont lutté pour l’abrogation de cette loi ou sa révision, pour que des mesures immédiates puissent être prises afin d’organiser une gestion équilibrée de la migration sur le territoire du Niger. En effet, tout en soulignant que le Niger ne doit pas être à la solde de l’Union Européenne, M. Almoustapha Moussa a estimé qu’en même temps, le Niger ne doit pas occulter les trafics qui se font sur son territoire, les trafics qui utilisent son territoire comme zone de transit. « Il y a des réseaux qui viennent du Nigéria, du Cameroun, du Soudan, du Tchad etc… le fait que cette loi soit abrogée ne doit pas donner l’espace pour que le trafic illicite des migrants et éventuellement la traite des êtres humains puissent se faire sur le territoire du Niger », a-t-il expliqué. « A cet effet, une loi doit être rapidement adoptée et pour cela, les différents acteurs doivent être convoqués afin qu’ils fournissent des informations utiles à l’élaboration d’une prochaine loi », a conclu le Président de la Plate-Forme ‘’Le Défenseur des Droits’’.

      Selon un document de l’Institut d’Etude de Sécurité ISS Africa, les migrations humaines depuis l’Afrique vers l’Europe sont de plus en plus présentées comme une menace pour la sécurité des États et des sociétés. D’après des estimations évoquées dans le document, un tiers des migrants qui transitent par Agadez, ville située sur l’un des principaux itinéraires migratoires reliant l’Afrique de l’Ouest, le Sahel et le Maghreb, finissent par embarquer sur la côte méditerranéenne, à bord de bateaux pneumatiques à destination de l’Europe. C’est pourquoi depuis 2015, l’Union Européenne se base sur cette ville considérée comme la porte du désert nigérien pour endiguer les migrations de l’Afrique subsaharienne vers l’Europe. Les mécanismes de contrôle qui résultent de la loi du 26 Mai 2015 ont abouti à une diminution de 75 % des flux migratoires vers le Nord via Agadez en 2017, contribuant ainsi à la baisse globale des arrivées de migrants en Europe par les différents itinéraires méditerranéens. En 2018, l’Europe a enregistré une baisse de 89% des arrivées de migrants par rapport à 2015. En 2019, la Commission européenne a annoncé la fin de la crise migratoire. Mais suite à l’abrogation de la loi sur la migration, les ressortissants de l’Afrique subsaharienne sont désormais libres de transiter par le Niger. Dans ce contexte, l’Union Européenne dispose-t-elle d’alternative pour s’éviter une reprise de la ‘’bousculades des migrants’’ à ses portes ?

      https://lematinal-niger.com/index.php/politique/item/124-migration-au-niger-la-loi-du-26-mai-2015-n-est-plus-un-obstacle

    • À Agadez, sur la route de l’exil, le « business » des migrants n’est plus un crime

      Au Niger, les militaires au pouvoir ont abrogé une loi qui criminalisait le trafic des migrants depuis 2015, fin novembre. À Agadez, aux portes du Sahara, devenue un carrefour migratoire pour des milliers de Subsahariens vers l’Europe, les habitants espèrent voir se relancer le marché de l’exil.

      Depuis un peu plus d’un mois, le Niger est redevenu la plaque tournante légale des migrants vers l’Europe. Fin novembre, la junte qui a pris le pouvoir après un coup d’État a abrogé une loi criminalisant le trafic des exilés africains à la frontière, dénonçant un texte « voté sous l’influence de puissance étrangères ».

      Adoptée en 2015, sous pression de l’Union européenne, la loi prévoyait jusqu’à trente ans de prison pour les passeurs. À Agadez, la ville du nord du Niger aux portes du Sahara, les habitants sont ravis et espèrent voir repartir le « business » d’antan.

      Reportage à Agadez, de notre correspondante Sophie Douce.

      À l’autogare d’Agadez, les pickups du désert défilent. À l’arrière, ils sont des dizaines entassés, accrochés avec un bout de bois pour ne pas tomber.

      Halilou Boubacar : « Là, présentement, nous avons plus de Nigériens, des Ghanéens, des Camerounais. On les met dans des pick up qui peuvent prendre 35 à 40 personnes, ils sont concentrés comme des sardines. »

      Lunettes noires, turban, manteau et gants. Destination : la Libye, puis l’Europe, pour les plus chanceux.

      Boubacar Halilou est « coxer », un rôle d’intermédiaire entre les chauffeurs et les migrants : « Le prix, ça se négocie toujours, ce n’est pas un prix fixe, c’est le business comme ça. »

      Comptez entre 450 à 500 euros la place. À côté, les rabatteurs haranguent la foule au milieu des vendeurs ambulants. Un bonnet, des cigarettes…De quoi tenir les deux ou trois jours de traversée jusqu’à Sebha en Libye, dernière étape avant la Méditerranée.
      « Avant, c’était pas facile, c’est comme si on te voyait avec de la drogue »

      Plus besoin de se cacher… Une « bouffée d’oxygène » pour les habitants, dont beaucoup vivaient de ce marché depuis l’effondrement du tourisme il y a dix ans :

      Boubacar Halilou : « On revit, parce que ici, à Agadez, tout le monde trouve son compte : les locations de maison, les transporteurs, les marchés, les hôtels, les taxis, on peut prendre des passagers tranquille tu peux aller là où tu veux circuler, parce que avant c’était pas facile, c’est comme si on te voyait avec de la drogue. »

      Des dizaines de passeurs ont été libérés. Mais après huit années de clandestinité, la méfiance demeure et la fraude persiste. Dans une ruelle, des pickups débordent, sans plaque d’immatriculation.
      Un homme fait signe de déguerpir…Il faut vite ranger la caméra et le micro.

      La peur de la police… Car ici certains continuent d’embarquer dans des « gares clandestines », près des « ghettos », les maisons de migrants louées par des passeurs.

      Dans le quartier « Misrata », ils sont nombreux à s’entasser dans ces dortoirs en banco, en attendant la prochaine étape.
      Dans une cour en terre, des femmes arrivées de Sierra Leone cuisinent avec leurs enfants.

      À côté, Issouf Sako, un Ivoirien de 28 ans, rêve de travailler en France ou en Italie. Son « coxer » a organisé son exil par Whatsapp.

      Issouf Sako : « C’est mon frère qui m’a mis en contact avec lui, lui aussi est en Europe, j’ai économisé un peu un peu, je prends la route maintenant, arrivé à Tripoli, le prix du bateau, ça peut être 700 000-800 000. Bon, on vient en Europe, c’est pas pour se promener, puisqu’on souffre chez nous, il n’y a pas de travail. »

      Au total, son voyage devrait lui coûter plus de 1 500 euros. Et la route est longue, dangereuse.
      L’interdiction a poussé les conducteurs à passer par des voies à haut risque pour échapper aux contrôles.

      Alors en 2016, des habitants se sont mobilisés pour aider les migrants pris au piège dans le désert, en créant un numéro vert.

      Chéhou Azizou, le coordonnateur du projet « Alarme Phone Sahara » :"Il suffit qu’un véhicule en détresse contacte le numéro et nous donne sa localisation, on prépare la mission et on part à leur secours, on ne peut pas marcher longtemps dans le désert, la mort est certaine".

      Pour cet activiste, la politique d’externationalisation des frontières de l’Union européenne est un échec :

      « Si certaines organisations humanitaires prétendent avoir contrôlé les flux migratoires, moi ça me fait rire. Nous enregistrons des expulsions en provenance de l’Algérie à hauteur de 22 à 25 000 refoulés par année. On a empêché aux passagers de suivre les voies officielles oui, mais on n’a pas réduit les flux migratoires et ça ce sont pour les refoulés, alors combien sont enterrés dans le désert ? Dieu seul sait ».

      En attendant, l’inquiétude monte à Bruxelles, face à ce verrou migratoire en train de sauter, avec la crainte de nouveaux morts dans le désert.

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/le-reportage-de-la-redaction/a-agadez-sur-la-route-de-l-exil-le-business-des-migrants-n-est-plus-un-c

  • Condamnez-vous le Hamas ? Un Palestinien répond

    « Je condamne ma propre naissance de m’avoir fait naître Palestinien, alors que selon bien des gens la Palestine n’existe pas ». Je souhaite diffuser cet admirable texte d’#Abdel_Fattah_Abu_Srour, en réponse à l’injonction à condamner le #Hamas, après le le 7 octobre.

    –—

    Condamnez-vous le Hamas ? Je me condamne

    Abdel Fattah Abu Srour, directeur du centre Al Rowwad dans le camp de réfugiés d’Aida (près de Bethléem)

    Chers amis,

    J’aimerais remercier tous ceux qui m’ont contacté pour m’assurer de leur solidarité et s’enquérir de moi, de ma famille, de ma communauté et de mon peuple. Je suis infiniment reconnaissant envers ceux qui nous soutiennent dans ces temps si difficiles.

    Les journalistes des medias, les interviewers des télés viennent à nous, pointant le doigt vers nous et nous posant sans cesse la même question : condamnez-vous le terrorisme palestinien ? Condamnez-vous le Hamas ?

    Répondons

    Je me condamne vraiment moi-même, je condamne toute mon existence

    Je condamne ma propre naissance dans un camp de réfugiés dans mon propre pays. Comment est-ce que j’ose être un réfugié et vous charger de remettre en question votre humanité ?

    Je condamne ma propre naissance de m’avoir fait naître Palestinien, alors que selon bien des gens la Palestine n’existe pas

    Je condamne mes parents, qui furent déracinés de leurs villages détruits et me donnèrent naissance dans un camp de réfugiés

    Je condamne toute ma vie, avoir grandi, obtenu une éducation, avoir eu des espoirs et des rêves de devenir un grand biologiste, un grand chercheur qui sauverait des vies…, d’être un peintre extraordinaire, un merveilleux photographe, un écrivain talentueux qui inspirerait le monde entier… Rien de ce que j’ai fait ne m’a fait devenir célèbre

    Je me condamne pour clamer et continuer à clamer que je suis un être humain, que je défend mon humanité et ma dignité ainsi que celles des autres… On dirait que je ne suis qu’un animal humain, ou encore moins… que je suis un extraterrestre imaginant qu’il a une place sur cette terre. Comment est-ce que j’ose même penser que je suis un être humain tout comme vous ?

    Je me condamne pour croire que les valeurs et les droits humains nous incluent, nous les extraterrestres… Comment est-ce que j’ose même penser que nous faisons partie de ces valeurs ?

    Je me condamne pour croire au droit international et aux résolutions de l’ONU et à toutes ces déclarations qui disent que : les peuples sous occupation ont le droit légitime de résister par TOUS LES MOYENS. Comment est-ce que j’ose considérer que nous sommes occupés, même par une entité illégale qui est représentée comme l’unique démocratie du Moyen Orient.

    Je vous demande pardon

    Je me condamne pour parler de cette occupation comme d’une entité. Je lis que ce qui définit un état est d’avoir : une constitution, des frontières définies, et une nationalité. Et puisque ce que vous appelez État d’Israël ne possède pas jusqu’à aujourd’hui de constitution, ni de frontières définies, et bien qu’ ils aient voté la loi de Nationalité c’est un pays uniquement pour les Juifs…

    Mais apparemment vous pouvez vous proclamer État sans aucun de ces critères. Pardonnez s’il vous plaît mon ignorance…

    Que puis-je dire… je suis si ignorant…

    Je croyais qu’une victime de viol avait le droit de se défendre. Mais il semble que je me sois trompé… je n’ai pas compris que l’on doive féliciter le violeur et condamner la victime si ou elle oses résister… que il ou elle prend plaisir au viol et en redemande…

    Je croyais qu’être solidaire avec les opprimés était une attitude juste. Erreur encore car je ne devrais jamais m’identifier aux autres peuples opprimés. Il n’y a qu’une entité opprimée au monde et aucune autre.

    Je devrais féliciter les Israéliens pour opprimer les soi-disant Palestiniens… et leur apprendre qui ils sont et quelle est leur valeur aux yeux de la communauté internationale. Que leurs vies sont égales à zéro.

    Alors

    Monde !

    Je suis vraiment désolé

    Je ne me suis pas rendu compte que j’étais induit en erreur et mal informé

    Devrais-je m’excuser ?

    Je m’excuse profondément

    Monde !

    Toutes mes excuses

    Mes parents m’ont toujours dit que je devais soutenir les opprimés et empêcher les oppresseurs de continuer leur oppression

    Je m’excuse

    On m’a dit que je devais soutenir les méchants Sud-Africains noirs contre le gentil système d’apartheid blanc censé les humaniser

    Je m’excuse

    On m’a dit que je devais soutenir les sauvages Amérindiens contre ces merveilleux colonisateurs blancs arrivés pour les civiliser et les débarrasser du fardeau de leurs terres et de leurs propriétés

    On m’a dit de soutenir les Aborigènes retardés d’Australie contre ces extraordinaires colonisateurs britanniques civilisateurs blancs qui vinrent les instruire

    Je m’excuse

    On m’a dit de soutenir les terroristes vietnamiens contre les très civilisés colonisateurs… Français ou Américains qui savaient comment exploiter les pays colonisés et domestiquer leurs habitants.

    Je m’excuse

    On m’a dit de soutenir les Indiens en Inde, les Irlandais, les Ecossais

    les Sud-Américains

    les Cubains,

    Les Espagnols et les Italiens contre les dictatures et les fascistes

    Les Allemands et les Européens contre les nazis

    Les Arabes contre les colonisations française et britanniques

    Les Palestiniens contre l’occupation britannique et sioniste

    On m’a même dit de soutenir les Ukrainiens contre les Russes

    Mes parents m’ont même parlé des pauvres juifs qui arrivèrent en Palestine dans les années 1900..

    Et dans ce temps-là on avait pitié d’eux et on les aidait avec de la nourriture et plus encore…

    Je m’excuse

    On m’a dit de soutenir la résistance de l’opprimé contre l’oppresseur

    Je ne savais rien du droit international et des droits de l’homme

    Je ne savais pas que tout ceci était faux et que c’est juste un mensonge qui convient à certains et pas à d’autres

    Donc

    Monde,

    Laisse-moi me condamner et m’excuser encore et encore…

    Je me condamne pour être ce que je suis

    Je m’excuse d’être Palestinien… D’être né dans un pays que mes parents appellent Palestine…

    Je m’excuse d’être né dans un camp de réfugiés… Dans mon propre pays. Et de n’avoir pu oublier les villages de mes parents qui furent détruits en octobre 1948

    Je m’excuse de n’avoir ni cheveux blonds ni yeux bleus… Bien que certains de mes cousins aient des cheveux blonds et des yeux bleus ou verts

    Je m’excuse de toujours m’identifier comme Palestinien alors qu’on me dénie cette nationalité

    Je m’excuse d’encore appeler mon pays du nom de Palestine bien qu’il ait été émietté en morceaux disjoints… et je ne peux toujours pas l’oublier

    Je m’excuse de pas pouvoir oublier que je suis encore un réfugié dans mon propre pays

    De ne pas avoir jeté la vieille clé rouillée de la maison de mes parents dans leur village détruit

    Je condamne la revendication obstinée de mon droit à revenir aux villages détruits de mes parents

    Comment est-ce que j’ose faire ça ? Comment tous ces Palestiniens obstinés osent-ils revendiquer leur droit au retour ? Nous sommes si aveugles que nous ne pouvons même pas voir les faits sur le terrain après les 75 années d’existence de la seule démocratie du moyen orient

    Je condamne mes parents qui m’ont élevé selon « Celui qui est consumé par la haine perd son humanité »

    Comment n’ont-ils pas osé m’enseigner la haine ?

    Je condamne tout acte de résistance contre l’injustice et l’oppression, l’occupation. Comment osent les opprimés défier les oppresseurs ?

    Je condamne chaque victime de viol ayant résisté au violeur. Ne peux-tu pas simplement ouvrir les jambes et l’accepter ? Comment oses-tu refuser le plaisir du viol ?

    Je condamne les assassinats de tout système terroriste. Les oppresseurs devraient avoir carte blanche pour continuer leur oppression sans avoir à en rendre compte.

    Je condamne ces Palestiniens et leurs supporters… Pourquoi ne peuvent-ils pas juste se taire et accepter que cette occupation illégale est le seul super pouvoir de la région et que lui résister est un acte raciste.

    Je m’excuse réellement auprès de vous tous de ne pas avoir été capable de coexister avec l’oppression… et de n’avoir pas été capable d’accepter de prendre plaisir à la torture, à l’oppression et à l’humiliation. Certains y prennent plaisir… Pourquoi pas moi ?

    Je m’excuse de ne pas accepter l’exil de mon frère, l’emprisonnement de mes frères, de mes cousins, neveux, voisins, et tant d’autres… Je ne m’étais pas rendu compte que c’était pour leur bien, et qu’ils étaient mieux en prison ou en exil que dehors au soleil…

    Je m’excuse de ma stupidité. Je n’ai pas compris vos droits de l’homme et votre droit international. Je pensais que j’étais comme vous autres, et non pas un animal humain. Je m’excuse de mon ignorance… Je ne comprends même pas comment on peut être un animal humain. Je pensais qu’il y avait des êtres humains, et des animaux, bien que certains de ces animaux soient plus humains que les soi-disant humains…

    je m’excuse, je me suis trompé…

    J’ai vu comment vous souteniez des résistances comme l’Ukraine et acclamiez ces combattants pour la liberté. Et combien héroïques étaient ces enfants entraînés pour résister aux Russes et qui pensaient que c’était normal. Je suis vraiment stupide et je m’excuse de ma stupidité. Je devrais aussi condamner la résistance ukrainienne.

    Je le promets, je fêterais l’apartheid, je célébrerais la violations des valeurs et des droits humains.

    Je louerai tous les oppresseurs et les dictateurs

    Je devrais louer tous les violeurs pour qu’ils continuent leurs viols

    Je devrais louer tous les menteurs et les manipulateurs pour leur distorsions des faits et de la vérité

    Je suis vraiment désolé d’avoir tant échoué… Vraiment désolé de n’avoir pas su comment coexister avec ces doubles critères. Comment coexister avec l’occupation, l’oppression, la déshumanisation et en être heureux ?

    Avez-vous un entraînement spécial ? J’aimerais vous rejoindre. Ou plutôt vous pourriez me rejoindre, porter ma peau et me montrer comment je peux être le gentil animal que vous pourriez domestiquer ?

    Ou devrais-je simplement dire, non merci …

    Je ne peux jamais accepter vos ordres et votre chantage

    Je ne peux jamais accepter que les opprimés s’habituent à l’oppression et coexistent avec l’oppresseur tant que l’oppression durera

    Nous n’oublierons pas… Nous nous souviendrons

    Nous n’oublierons pas le silence, l’hypocrisie, les ordres et le chantage

    Nous n’oublierons pas ceux qui ont élevé la voix et se sont levés pour ce qui est juste

    Nous n’oublierons rien

    Vous pouvez continuer à nous pousser au désespoir et nous continuerons à faire épanouir l’espoir

    Vous pouvez continuer à promouvoir la mort… Nous continuerons à promouvoir la vie

    Vous continuerez à faire le pire… Nous continuerons à faire le meilleur

    https://blogs.mediapart.fr/dominique-natanson/blog/221023/condamnez-vous-le-hamas-un-palestinien-repond
    #condamnation #réponse #7_octobre_2023 #Palestine #Israël #humanité #dignité #excuses #résistance #réfugiés_palestiniens #torture #oppression #humiliation #droit_international #animal_humain #animaux #viol #coexistence #oppression #silence #hypocrisie #chantage #désespoir #espoir #à_lire

  • 🛑 Dans les hôtels du 115, des femmes victimes de chantages sexuels se heurtent à la loi du silence... - Bondy Blog

    Sans argent et souvent sans papiers, les femmes mises à l’abri dans les hôtels d’hébergement d’urgence se retrouvent parfois à la merci des propriétaires hôteliers. Leur vulnérabilité empêche nombre d’entre elles de déposer plainte (...)

    #115 #femmes #hébergement #hôtels #chantages #agressionssexuelles...

    https://www.bondyblog.fr/enquete/dans-les-hotels-du-115-des-femmes-victimes-de-chantages-sexuels-se-heurten

  • Oltre le sigle, la detenzione amministrativa si diffonde nelle procedure in frontiera e cancella il diritto di asilo ed i diritti di difesa

    1.Malgrado le pause indotte dal maltempo, continuano, e continueranno, gli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, e si avvicina il collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023). Il governo Meloni con un ennesimo decreto sicurezza, ma se ne attende un’altro per colpire i minori stranieri non accompagnati,” al fine di rendere più veloci i rimpatri”, cerca di raddoppiare i CPR e di creare di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera, meglio in località isolate, per le procedure accelerate destinate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri”. La legge 50 del 2023 (già definita impropriamente “Decreto Cutro”) prevede che il richiedente asilo, qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro, e sia entrato irregolarmente, possa essere trattenuto per 30 giorni, durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

    Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni della legge 50/2023, in materia di trattenimento ed espulsioni, non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. Per questo motivo sulle “scelte detentive” più recenti del governo Meloni con riferimento ai richiedenti asilo potrebbe intervenire prima la Commissione europea e poi la Corte di giustizia dell’Unione europea. Come sta già avvenendo per la previsione “manifesto”, di dubbia applicabilità, della garanzia finanziaria introdotta dalla legge 50 del 2023 e specificata dal Decreto legge 19 settembre 2023, n. 124, contenente Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonche’ in materia di immigrazione. Una garanzia finanziaria che assieme ad altri requisiti, come la disponibilità di alloggio e documenti validi, potrebbe evitare il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri. Secondo Amnesty International,“Si tratta di un provvedimento illegale. Non è pensabile che persone in fuga dal proprio paese possano disporre in Italia di un alloggio o di un conto in banca e quindi attivare una polizza fideiussoria. Subordinare la libertà delle persone richiedenti asilo a condizioni di fatto impraticabili configura una misura per porre coloro che arrivano in Italia automaticamente in detenzione. La detenzione automatica è arbitraria e vietata dal diritto internazionale”.

    Dunque, ciascun caso dovrà essere esaminato singolarmente, come adesso precisa la Commissione europea sull’ultimo “escamotage propagandistico” inventato dal Governo Meloni, la garanzia finanziaria che dovrebbero prestare (attraverso fideiussione) i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine sicuri., Come se riuscissero ad avere immediatamente, subito dopo lo sbarco, la disponibilità finanziaria e i documenti di identità necessari per stipulare il contratto di fideiussione, Una norma manifesto, odiosa ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che abbattono il diritto di asilo e rendono solo cartacee le garanzie di difesa, anche per il ricorso generalizzato alle videoconferenze, e per le difficoltà per i difensori, che vogliano davvero assolvere al loro ruolo, di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo che devono assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda.

    2. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, dopo l’annuncio, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza, di un piano nazionale per la detenzione amministrativa, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo, se provengono da paesi di origine definiti “sicuri”. si richiamano una serie di decreti ministeriali che hanno formato una apposita lista che non tiene conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto nella fascia subsahariana, dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si hanno ancora notizie certe, invece, dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente rallentato questo progetto dai costi enormi, per l’impianto e la gestione.

    I rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti. Ed oggi i numeri sono ancora più elevati, si tratta non solo di numeri ma di persone, uomini, donne e bambini lasciati allo sbando dopo lo sbarco, che cercano soltanto di lasciare il nostro paese prima possibile. Per questo il primo CPR targato Piantedosi che si aprirà a breve potrebbe essere ubicato a Ventimiglia, vicino al confine tra Italia e Francia, mentre Svizzera ed Austria hanno già annunciato un inasprimento dei controlli di frontiera.

    La prima struttura detentiva entrata in attività lo scorso primo settembre, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, è ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. dove da anni esiste un centro Hotspot, nella zona portuale, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è stata periodicamente limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratta di una nuova struttura da 84 posti nella quale vengono rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi di origine definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo tentativo di rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Le informazioni provenienti da fonti ufficiali non dicono molto, ma la natura detentiva della struttura e i suoi costi sono facilmente reperibili on line.

    In Sicilia si prevede anche l’apertura di “strutture di transito”, già appaltate, come quella che dovrebbe sorgere a Porto Empedocle, dove l’area di transito, che verrà ulteriormente potenziata, resta provvisoria, fino a quando non verrà realizzato l’hotspot a valle di contrada Caos a Porto Empedocle che sarà, come quello di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa. Altre “sezioni chiuse” per richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri”, per cui si prevede un rimpatrio “veloce” potrebbero essere attivate nei centri Hotspot di Pozzallo e Lampedusa. Mentre i richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri,” in caso di arrivi massicci e di indisponibilità di posti negli Hotspot, potrebbero finire anche nei centri di permanenza per i rimpatri, come i famigerati lager di Pian del Lago (Caltanissetta) e di Trapani (MIlo), da anni spazi di trattamenti disumani, di tentativi di fuga e di abusi sulle persone trattenute. Se non si tratta di annientamento fisico (Vernichtung), ma ci sono stati anche i morti, si può documentare in molti casi l’annientamento psichico degli “ospiti”, che dopo il diniego, in caso di mancato rimpatrio, potrebbero passare mesi su mesi rinchiusi in queste strutture, magari sotto psicofarmaci, come coloro che sono sottoposti al rimpatrio con accompagnamento forzato, tra i richiedenti asilo denegati che non abbiano fatto ricorso con effetto sospensivo o lo abbiano visto respingere.

    La normativa europea impone invece il rilascio delle persone trattenute nei centri di detenzione quando è evidente che non ci sono più prospettive di rimpatrio forzato nel paese di origine (Direttiva rimpatri 2008/115/CE, art.15.4), per la mancata collaborazione degli Stati di origine che non effettuano i riconoscimenti e non forniscono i documenti di viaggio.

    Altri “centri chiusi” potrebbero essere attivati a Messina (probabilmente nei locali del Centro di accoglienza ubicato all’interno della vecchia e fatiscente Caserma Gasparro) fantasiosamente denominato “CIPSI”, Centro di primo soccorso ed identificazione, ed a Catania, dove si sono recentemente sperimentate diverse strutture provvisorie, “tensostrutture”, nelle quali i potenziali richiedenti asilo, che diventano tali con la semplice manifestazione di volontà, anche prima della formalizzazione della domanda da parte delle autorità di polizia, sono stati trattenuti per giorni in condizioni di totale privazione della libertà personale, in assenza di convalida giurisdizionale.

    3. Il fallimento del sistema italiano dei centri di detenzione amministrativa è ormai documentato da anni, e sarà ancora più evidente con l’aumento dei termini di trattenimento fino a 18 mesi (12 per i richiedenti asilo).

    Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, come invece sembrerebbe prevedere la legge 50/2023 (ingiustamente definita ancora oggi “Decreto Cutro), trattandosi di richiedenti asilo che chiedono di fare valere un loro diritto fondamentale, e deve essere prevista una completa base legale con la indicazione precisa delle modalità di trattenimento -che ancora manca- conformi alla normativa europea (Direttiva procedure 2013/32/UE e Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Rimane a tale riguardo una grave violazione del principio di legalità in materia di misure detentive, che la Corte Costituzionale non ha ancora rilevato.

    In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, o per accertare il diritto all’ingresso nel territorio, come sembrerebbe affermare la legge 50/2023, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale che si riscontrano nei centri “chiusi” risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. Dal tenore della legge sembrerebbe che le strutture detentive riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri” siano strutture extra-territoriali, come se le persone trattenute non avessero ancora fatto ingresso nel territorio nazionale, circostanza che legittimerebbe l’aggiramento dei principi costituzionali e delle Convenzioni internazionali. Si tratta invece di luoghi che non possono sottrarsi alla giurisdizione italiana, unionale e internazionale dove i diritti e le garanzie non possono essere riconosciuti solo sul piano formale per venire poi negati nelle prassi applicate dalle autorità di polizia. Dunque è il tempo delle denunce e dei ricorsi, mentre l’opinione pubblica sembra ancora rimanere ostaggio delle politiche della paura e dell’odio. Fondamentale l’accesso civico agli atti e la possibilità di ingresso di giornalisti ed operatori umanitari indipendenti, se occorre con gruppi di parlamentari, in tutti i centri in cui si pratica la detenzione amministrativa.

    4. Vanno comunque garantiti diritti di informazione ed accesso alle procedure ordinarie, e quindi nel sistema di centri aperti di accoglienza (CAS, SAI, CPSA) per tutti i richiedenti asilo che adducano a supporto della domanda gravi motivi di carattere personale, pure se provengono da paesi terzi ritenuti sicuri.

    L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
    In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.

    I piani sui rimpatri “veloci” del governo Meloni non sono dunque applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.

    Una particolare attenzione dovrà rivolgersi alle persone vulnerabili per età, salute, genere e orientamento sessuale, ma anche per le ferite o per le torture subite durante il transito in Libia o in Tunisia. Una serie di condizioni che potrebbero di per sè legittimare il riconoscimento di uno status di protezione, a prescindere del paese di origine dal quale si è partiti.

    In ogni caso, dopo le decisioni di diniego da parte delle Commissioni territoriali, che potrebbero essere orientate da indirizzi politici, dovranno garantirsi tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso.

    Gli accordi bilaterali, come quelli con l’Egitto e la Tunisia, che prevedono procedure “semplificate”di rimpatrio, magari in aeroporto, senza la compiuta identificazione individuale,e senza un diritto effettivo di ricorso, vanno sospesi.

    Il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). Non si può continuare oltre con le decisioni di rigetto”fotocopia” o con le espulsioni ed i respingimenti con accompagnamento forzato adottati prima della convalida giurisdizionale. I termini di trattenimento amministrativo in assenza di una convalida giurisdizionale sono inderogabili. Come si rilevava al tempo dei centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) e dei Centri Hotspot, lo stesso vale oggi per i “centri di transito” e per i centri per richiedenti asilo provenienti da paesi di origine ritenuti “sicuri”, nelle more delle procedure accelerate in frontiera.

    Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.

    https://www.a-dif.org/2023/09/26/oltre-le-sigle-la-detenzione-amministrativa-si-diffonde-nelle-procedure-in-fr

    #rétention #détention_administrative #frontières #migrations #asile #réfugiés #CPR #Italie #procédures_accélérées #pays_sûrs #pays_d'origine_sûrs #decret_Cutro #decreto_Cutro #garantie_financière #5000_EUR #5000_euros #decreto_Sud #Modica #Sicile #Porto_Empedocle #Messina #centres_fermés

    • Turning the Exception into the Rule

      Assessing Italy’s New Border Procedure

      Having promised its electorate a strong stance towards immigration, in January 2023 Italy’s new government adopted a reform that heavily curtailed immigrant rights to speed up return procedures. However, between September and October, several judgments issued by the Catania Tribunal declared it in violation of EU law (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf). In particular, when requested to review the detention of asylum applicants, the judges found the new Italian asylum border procedure contrary to the Procedures Directive 2013/32 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032) and the Reception Conditions Directive 2013/33 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32013L0033).

      The judgments led to a backlash, with PM Meloni and other members of the government accusing them of being politically motivated. One minister even published a video on social media showing a judge of the Catania Tribunal taking part in a pro-migrant rights demonstration in 2018, thus accusing her of partiality.

      Such political attacks (https://www.associazionemagistrati.it/doc/4037/lanm-sul-caso-catania.htm) must always be condemned, for they pose a significant threat to judicial independence and thus Italian democracy. Yet, they are particularly unwarranted given that the Catania Tribunal’s judges were correct in finding the new Italian border procedures incompatible with EU law.

      Detention as the Rule for Asylum Seekers

      The 2023 reform (https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-03-10&atto.codice) of Italy’s asylum system included the introduction of an accelerated border procedure which allows for the detention (https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare) of asylum seekers „exclusively to determine the applicant’s right to enter the territory“ (Art. 6 bis, Law Decree 142/2015).

      This new procedure is applied when an asylum application is made „at the border or in a transit zone“ by a person who either a) evaded or attempted to evade border controls, or b) hails from a safe country of origin, which were determined by a Ministerial Decree in 2019 (https://www.esteri.it/mae/resource/doc/2019/10/decreto_paesi_sicuri.pdf), later updated in 2023 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/25/23A01952/sg).

      Another Ministerial Decree (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg) identified the „border and transit zones“ where the border procedure can be used, without providing a clear definition of these concepts nor explaining the distinction between them. Instead, it lists 16 provinces where the procedure applies (Trieste, Gorizia, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Syracuse, Catania, Messina, Trapani, Agrigento, Cagliari, and South Sardinia).

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00 (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/09/21/23A05308/sg). This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.

      [voir aussi: https://seenthis.net/messages/1018093]

      Following a recent increase in migrant flows from Tunisia, the Italian authorities extensively relied on the new border procedure to detain several Tunisian citizens on the ground that they come from a “safe country of origin” (https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-dei-cittadini-stranieri-provenienti-da-cd-paesi-sic). However, on September 29 (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/09/NON-CONVALIDA1.pdf) and October 8 (https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3650/2023-tribunale-catania-8-10-2023-non-convalida-oscurato.pdf), the Catania Tribunal issued a series of similar rulings in which it annulled the detention orders because they were in conflict with EU law. In the following sections, we analyze and expand the three main arguments advanced by the Tribunal, showing that they were largely correct in their findings that the new Italian border procedure exceeds what is permissible under EU law.

      The ‘Border’ under EU Law

      The first argument made by the Catania Tribunal regards the correct initiation of a border procedure. According to the judge, the procedure was not applied „at the border“, as understood by EU law (Art. 43 Directive 2013/32). Indeed, the applicants arrived and made their asylum application in Lampedusa (province of Agrigento) but the detention was ordered several days later in Pozzallo (Ragusa province) when the applicants were no longer „at the border.“ Because the border procedure (involving detention) was utilized at a later stage and in a different place, it was not appropriately initiated.

      In support of the Catania Tribunal’s conclusion, we should recall that Article 43 the Procedures Directive requires a spatial and temporal link between the border crossing and the activation of the border procedure (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/en/TXT/?uri=celex%3A32013L0032). Although the Directive does not define the terms „border“ or „transit zone“, it clearly distinguishes these areas from other „locations in the proximity of the border or transit zone“ (Article 43(3)), where applicants can be exceptionally accommodated but never detained. The distinction between the border and other places in its vicinity suggests that the procedure provided for in Art. 43 can only be applied in narrow and well-defined areas or in pre-identified transit zones (such as the Hungarian transit zones examined by the Court in FMS and Commission v Hungary).

      Other EU law instruments support this narrow interpretation of the “border” concept. Regulation 1931/2006 defines a „border area“ as a delimited space within 30 km from the Member State’s border. In the Affum case, the Court also called for a narrow interpretation of the spatial concept of „border.“ There, the Court clarified that the Return Directive allows Member States to apply a simplified return procedure at their external borders in order to „ensure that third-country nationals do not enter [their] territory“ (a purpose which resonates with that of Art. 8(3)(c) Reception Directive). However, such a procedure can only be applied if there is a „direct temporal and spatial link with the crossing of the border“, i.e. „at the time of the irregular crossing of the border or near that border after it has been crossed“ (par. 72).

      By contrast, under the Italian accelerated procedure, the border has blurred contours. The new procedure, relying on the “#fiction_of_non-entry” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/654201/EPRS_STU(2020)654201_EN.pdf), can be carried out not only „at“ the border and in transit zones or in areas territorially „close“ to the border, but in entire provinces in southern and northern Italy. This far exceeds the narrow definition of border or border area derived from EU law.

      The Regulation of Detention under EU Law

      The second argument of the Catania Tribunal turned on the lack of motivation for the detention orders. The applicants were detained solely because they were from Tunisia, did not submit a valid passport nor pay the bail. As such, the orders lacked any case-by-case assessment of the applicant’s individual circumstances, and they did not apply the proportionality and necessity principles, as prescribed by EU law under art. 8(2) Directive 2013/33 and art. 52 and 6 of the Charter.

      Indeed, even if a border procedure is correctly initiated, Italy’s new provisions on the detention of asylum seekers do not meet the requirements of Article 8(2) of the Reception Directive. According to the CJEU, this authorizes asylum seekers‘ detention “only where, following an assessment carried out on a case-by-case basis, that is necessary” and where other less coercive measures cannot be applied effectively. (ex multis, FMS, par. 258; VL, par. 102; M.A., par. 82).

      Italy’s norms contain no reference to the principles of necessity and proportionality nor to the need for a case-by-case assessment (Art. 6 bis D. Lgs. 142/2015). In so far as the Italian provisions allow for an automatic application of detention whenever the border procedure is activated, they are incompatible with Art. 8(2) of the Reception Directive. In light of the primacy and direct effect of EU law, Italian public authorities are required to give direct application to the principles of proportionality and necessity and to carry out an individual assessment, even if not directly foreseen by Italian law.
      The Possibility of Bail

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      Concluding Thoughts

      Several aspects of the new law foresee a system in which the border procedure is systematically applied, rendering detention the rule, instead of the exception. This follows from the geographic expansion of the “borders areas and transit zones”, the automatic (indiscriminate) application of the safe country of origin concept, the lack of a proportionality assessment, and the practical impossibility of applying the only alternative measure foreseen.

      More and more Italian courts are annulling detention orders, on the grounds that the Italian border procedure is in conflict with EU law. While the Italian government considers this an unacceptable form of judicial activism, this blog has shown that the judges’ concerns are well-founded.

      Member States’ courts are “EU law judges”, they must give precedence to EU law and general principles and set aside any incompatible national law. The recent personal attacks against some of the judges show that the government struggles to come to terms with this thick form of judicial review which takes seriously European and human rights standards.

      https://verfassungsblog.de/turning-the-exception-into-the-rule
      #exception #justice #détention #rétention #détention_administrative #décret #procédure_accélérée #garantie_financière #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros #tribunal_de_Catane #procédure_frontière #directive_procédures #zone_de_transit #proximité #distance #zone_frontalière #directive_retour #frontière_extérieure #fiction_de_non-entrée

      –-

      La partie sur les frontières ajouté à cette métaliste autour de la Création de zones frontalières (au lieu de lignes de frontière) en vue de refoulements :
      https://seenthis.net/messages/795053

  • La #pénurie de #médicaments essentiels | Le Club
    https://blogs.mediapart.fr/gresea/blog/240123/la-penurie-de-medicaments-essentiels

    En 2012, la compagnie sud-africaine lance une campagne tous azimuts pour augmenter fortement le prix de ses #anticancéreux. Elle cible l’Italie, avec des hausses allant de 300%, 400% et jusqu’à 1.500% pour certains traitements. Le pays est coincé, car certains médicaments sont indispensables et, même s’ils ne sont plus protégés par un brevet, ils n’ont quasiment pas de concurrents.

    Les autorités italiennes ne s’en laissent pas compter. Certes, elles doivent accepter ce qui apparaît nettement comme un #chantage. Mais elles enquêtent officiellement sur ce qui pourrait justifier une telle progression tarifaire. Ce qu’elles découvrent est à la fois sensationnel et révélateur.

    Ainsi, elles découvrent un message de la direction sur la manière de négocier avec les différents États : « Les prix doivent être augmentés (...). C’est à prendre ou à laisser. (...) Si les ministères de la #Santé, dans chaque pays, n’acceptent pas les nouveaux prix, on retire les médicaments de la liste des produits remboursables ou on arrête d’approvisionner. Aucune négociation possible. » [36]
    L’organisme sanitaire italien reçoit un #ultimatum dans une lettre venant de la société sud-africaine : « C’est une priorité pour Aspen d’augmenter rapidement les prix de vente (...). Si aucune décision n’est prise dans la limite de temps indiquée (...) nous procéderons rapidement (...) à la suspension de la commercialisation des produits en Italie, à partir de janvier 2014. » Andrea Pezzoli, le directeur de l’agence de santé italienne, explique que juste avant la négociation la firme fournissait moins de remèdes, arguant des problèmes de production [37]. En septembre 2016, l’entreprise est condamnée à une amende de 5 millions d’euros pour chantage.

    #pourritures

  • « Le #viol, passage presque inévitable de la migration » : à Marseille, huit femmes témoignent

    Lundi 18 septembre, la revue scientifique internationale « The Lancet » publie une enquête de santé publique inédite menée sur 273 demandeuses d’asile à Marseille, corrélant la migration et la violence sexuelle dont elles sont victimes. « Le Monde » a recueilli les histoires de huit femmes qui ont participé à l’étude.

    Au milieu de la conversation, Aissata tressaille. Adama, elle, manque plusieurs fois de faire tomber son bébé de 2 mois, gros poupon emmailloté dans un body blanc, qu’elle allaite le regard absent. Les yeux de Perry se brouillent : elle a vu trop de #violence. Ceux de Fanta sont devenus vitreux : elle est là, mais plus vraiment là. Grace regrette sa sécheresse oculaire, elle aimerait tant pleurer et hurler, peut-être la croirait-on et l’aiderait-on davantage, mais elle ne sait pas où ses larmes sont parties. Nadia sourit en montrant les cicatrices des brûlures de cigarettes qui constellent sa poitrine, comme pour s’excuser de cette vie qui l’a fait s’échouer ici. Stella porte ses lunettes de soleil à l’intérieur, et explose de rire en racontant qu’elle a été vendue quatre fois.

    Tous ces détails, ces marques de la #barbarie inscrite dans le #corps des femmes migrantes, le docteur Jérémy Khouani les observe depuis ses études de médecine. Généraliste dans une maison de santé du 3e arrondissement de Marseille – avec 55 % de ses habitants au-dessous du seuil de pauvreté, c’est l’un des endroits les plus pauvres de France –, il soigne les bobos, les angines et les gastros, mais voit surtout le #traumatisme surgir face aux mots « #excision », « #Libye », « #traite » ou « viol ».

    Bouleversé par des consultations qui l’amènent à mesurer la taille de lèvres vaginales post-excision pour l’Office français de protection des réfugiés et apatrides (Ofpra), à diagnostiquer une arthrose massive à une jeune femme de 30 ans ou à prescrire des antidépresseurs à une autre qui vient de tenter de s’immoler, il a décidé de lutter avec ce qu’il savait faire : « De la science ». « Je n’ai pas envie de hiérarchiser, mais les violences que subissent les femmes demandeuses d’asile, c’est trois fois plus horrible que les hommes. Ils subissent aussi des violences, mais ce n’est pas systémique, ils n’ont pas le vagin mutilé à 6 ans, ou le viol comme passage presque inévitable de la migration. » En Europe, en 2021, les femmes représentent 31 % des demandeurs d’asile.

    Il y a trois ans, avec l’Assistance publique-Hôpitaux de Marseille et la faculté de médecine d’Aix-Marseille, #Jérémy_Khouani a lancé une grande enquête de #santé_publique pour mesurer l’#incidence des violences sexuelles chez les femmes demandeuses d’asile en France. Une étude inédite, publiée ce lundi 18 septembre dans la revue scientifique The Lancet (Regional Health Europe) et menée sur 273 femmes arrivées sur le territoire français, volontaires pour participer et en attente de la réponse des autorités quant à leur statut. La moitié d’entre elles viennent d’Afrique de l’Ouest, le reste du Moyen-Orient, d’Asie ou d’Europe.

    « Un impondérable du #parcours_migratoire »

    Ainsi, 26 % d’entre elles se déclarent victimes de violences sexuelles au cours de leurs douze derniers mois sur le territoire français, et 75 % avant leur entrée en France. Les demandeuses d’asile encourent dix-huit fois plus le risque d’être victimes de viol en France que les Françaises de la population générale ; 40 % d’entre elles ont subi des #mutilations_génitales. « L’étude fait ressortir que la violence sexuelle est un motif de départ, un impondérable du parcours migratoire, et un crime dont on ne les protège pas en France », analyse #Anne_Desrues, sociologue et enquêtrice sur le projet.

    L’absence de logement, de compagnon et les antécédents de violence apparaissent comme des facteurs de risque du viol. « Le débat, ce n’est même pas de savoir si elles ont vocation à rester sur le territoire ou pas, mais, au moins, que pendant tout le temps où leur demande est étudiée, qu’elles ne soient pas violées à nouveau, elles sont assez traumatisées comme ça », pose le médecin généraliste.

    Il faut imaginer ce que c’est de soigner au quotidien de telles blessures, de rassembler 273 récits de la sorte en six mois – ce qui n’est rien par rapport au fait de vivre ces violences. L’expression « #traumatisme_vicariant » qualifie en psychiatrie le traumatisme de seconde ligne, une meurtrissure psychique par contamination, non en étant exposé directement à la violence, mais en la documentant. « Heureusement, j’avais une psychologue pour débriefer les entretiens, évoque Anne Desrues. Moi, ce qui m’a aidée, c’est de savoir que celles qu’on rencontrait étaient aussi des femmes fortes, qui avaient eu le courage de partir, et de comprendre leur migration comme une #résistance à leur condition. » Le docteur Khouani, lui, érige cette étude comme rempart à son sentiment d’impuissance.

    Le Monde, pendant quarante-huit heures, a recueilli les histoires de huit femmes qui ont participé à l’étude. Certaines sont sous obligation de quitter le territoire français (OQTF), risquant l’expulsion. Mais elles voulaient que quelqu’un entende, note et publie tout ce qu’elles ont subi. Dans le cabinet du médecin, sous les néons et le plafond en contreplaqué, elles se sont assises et ont parlé.

    Lundi, 9 heures. Ogechi, surnommée « Perry », 24 ans. Elle regarde partout, sauf son interlocuteur. Elle a une croix autour du cou, une autre pendue à l’oreille, porte sa casquette à l’envers. Elle parle anglais tout bas, en avalant la fin des mots. Elle vient de Lagos, au Nigeria. Jusqu’à son adolescence, ça va à peu près. Un jour, dans la rue, elle rencontre une fille qui lui plaît et l’emmène chez elle. Son père ne supporte pas qu’elle soit lesbienne : il la balance contre le mur, la tabasse, appelle ses oncles. Ils sont maintenant cinq à se déchaîner sur Perry à coups de pied. « Ma bouche saignait, j’avais des bleus partout. »

    Perry s’enfuit, rejoint une copine footballeuse qui veut jouer en Algérie. Elle ne sait pas où aller, sait seulement qu’elle ne peut plus vivre chez elle, à Lagos. L’adolescente, à l’époque, prend la route : Kano, au nord du pays, puis Agadez, au Niger, où un compatriote nigérian, James, l’achète pour 2 000 euros et la fait entrer en Libye. Elle doit appeler sa famille pour rembourser sa dette. « Je n’ai pas de famille ni d’argent, je ne vaux rien », lui répond Perry. Une seule chose a de la valeur : son corps. James prélève ses cheveux, son sang, fait des incantations vaudoues « pour me contrôler ». A 15 ans, elle est prostituée dans un bordel sous le nom de « Blackgate ».

    « Si je meurs, qui va s’en apercevoir ? »

    Son débit est monocorde, mais son récit est vif et transporte dans une grande maison libyenne divisée en « chambres » avec des rideaux. Un lit par box, elles sont sept femmes par pièce. « Des vieilles, des jeunes, des enceintes. » Et les clients ? « Des Africains, des Arabes, des gentils, des violents. » En tout, une cinquantaine de femmes sont exploitées en continu. « J’aurais jamais pensé finir là, je ne pouvais pas imaginer qu’un endroit comme ça existait sur terre », souffle-t-elle.

    Perry passe une grosse année là-bas, jusqu’à ce qu’un des clients la prenne en pitié et la rachète pour l’épouser. Sauf qu’il apprend son #homosexualité et la revend à une femme nigériane, qui lui paye le voyage pour l’Europe pour la « traiter » à nouveau, sur les trottoirs italiens cette fois-ci. A Sabratha, elle monte sur un bateau avec 150 autres personnes. Elle ne souhaite pas rejoindre l’Italie, elle ne veut que fuir la Libye. « Je ne sais pas nager. Je n’avais pas peur, je n’étais pas heureuse, je me demandais seulement comment un bateau, ça marchait sur l’eau. » Sa première image de l’Europe : Lampedusa. « J’ai aimé qu’il y ait de la lumière 24 heures sur 24, alors que chez nous, la nuit, c’est tout noir. »

    Mineure, Perry est transférée dans un foyer à Milan, où « les gens qui travaillent avec James m’ont encore fait travailler ». Elle tape « Quel est le meilleur pays pour les LGBT ? » dans la barre de recherche de Google et s’échappe en France. « Ma vie, c’est entre la vie et la mort, chaque jour tu peux perdre ou tu peux gagner », philosophe-t-elle. Le 4 septembre 2020, elle se souvient bien de la date, elle arrive dans le sud de la France, une région qu’elle n’a pas choisie. Elle suit un cursus de maroquinerie dans un lycée professionnel avec, toujours, « la mafia nigériane » qui la harcèle. « Ils m’ont mis une arme sur la tempe, ils veulent que je me prostitue ou que je vende de la drogue. C’est encore pire parce que je suis lesbienne, ils disent que je suis une abomination, une sorcière… »

    A Marseille, elle fait trois tentatives de suicide, « parce que je suis trop traumatisée, j’arrive plus à vivre, mais Dieu m’a sauvée ». A 24 ans, pour qui Perry existe-t-elle encore ? « Si je meurs, qui va s’en apercevoir ? Je regrette d’avoir quitté le Nigeria, je ne pensais pas expérimenter une vie pareille », termine-t-elle, en s’éloignant dans les rues du 3e arrondissement.

    Lundi, 11 heures. A 32 ans, la jeunesse de Fanta semble s’être dissoute dans son parcours. Elle a des cheveux frisés qui tombent sur son regard sidéré. Elle entre dans le cabinet les bras chargés de sacs en plastique remplis de la lessive et des chaussures qu’elle vient de se procurer pour la rentrée de ses jumeaux en CP, qui a eu lieu le matin même. « Ils se sont réveillés à 5 heures tellement ils étaient excités, raconte-t-elle. C’est normal, on a passé l’été dans la chambre de l’hôtel du 115, on ne pouvait pas trop sortir à cause de mon #OQTF. » Fanta vient de Faranah, en Guinée-Conakry, où elle est tombée accidentellement enceinte de ses enfants. « Quand il l’a su, mon père, qui a lui même trois femmes, m’a tapée pendant trois jours et reniée. »

    Elle accouche, mais ne peut revenir vivre dans sa famille qu’à condition d’abandonner ses bébés de la honte. Elle refuse, bricole les premières années avec eux. Trop pauvre, trop seule, elle confie ses enfants à sa cousine et souhaite aller en Europe pour gagner plus d’argent. Mali, Niger, Libye. La prison en Libye lui laisse une vilaine cicatrice à la jambe. En 2021, elle atteint Bari, en Italie, puis prend la direction de la France. Pourquoi Marseille ? « Parce que le train s’arrêtait là. »

    Sexe contre logement

    A la gare Saint-Charles, elle dort par terre pendant trois jours, puis rejoint un squat dans le quartier des Réformés. Là-bas, « un homme blanc est venu me voir et m’a dit qu’il savait que je n’avais pas de papiers, et que si on ne faisait pas l’amour, il me dénonçait à la police ». Elle est violée une première fois. Trois jours plus tard, il revient avec deux autres personnes, avec les mêmes menaces. Elle hurle, pleure beaucoup. Ils finissent par partir. « Appeler la police ? Mais pour quoi faire ? La police va m’arrêter moi », s’étonne-t-elle devant notre question.

    En novembre 2022, le navire de sauvetage Ocean-Viking débarque ses passagers sur le port de Toulon. A l’intérieur, sa cousine et ses jumeaux. « Elle est venue avec eux sans me prévenir, j’ai pleuré pendant une semaine. » Depuis, la famille vit dans des hôtels sociaux, a souvent faim, ne sort pas, mais « la France, ça va, je veux bien aller n’importe où du moment que j’ai de la place ». Parfois, elle poursuit les passants qu’elle entend parler sa langue d’origine dans la rue, « juste pour avoir un ami ». « La migration, ça fait exploser la violence », conclut-elle, heureuse que ses enfants mangent à la cantine de l’école ce midi.

    Lundi, 15 heures. « C’est elle qui m’a donné l’idée de l’étude », s’exclame le docteur Khouani en nous présentant Aissata. « Oui, il faut parler », répond la femme de 31 ans. Elle s’assoit, décidée, et déroule un récit délivré de nombreuses fois devant de nombreux officiels français. Aissata passe son enfance en Guinée. En 1998, sa mère meurt et elle est excisée. « C’était très douloureux, je suis vraiment obligée de reraconter ça ? » C’est sa « marâtre » qui prend le relais et qui la « torture ». Elle devient la petite bonne de la maison de son père, est gavée puis privée de nourriture, tondue, tabassée, de la harissa étalée sur ses parties intimes. A 16 ans, elle est mariée de force à un cousin de 35 ans qui l’emmène au Gabon.

    « Comme je lui ai dit que je ne voulais pas l’épouser, son travail, c’était de me violer. J’empilais les culottes et les pantalons les uns sur les autres pour pas qu’il puisse le faire, mais il arrachait tout. » Trois enfants naissent des viols, que son époux violente aussi. Elle s’interpose, il la frappe tellement qu’elle perd connaissance et se réveille à l’hôpital. « Là-bas, je leur ai dit que ce n’était pas des bandits qui m’avaient fait ça, mais mon mari. » Sur son téléphone, elle fait défiler les photos de bleus qu’elle avait envoyées par mail à son fils – « Comme ça, si je mourais, il aurait su quelle personne était son père. »

    Un soignant lui suggère de s’enfuir, mais où ? « Je ne connais pas le Gabon et on ne peut pas quitter le mariage. » Une connaissance va l’aider à sortir du pays. Elle vend tout l’or hérité de sa mère, 400 grammes, et le 29 décembre 2018, elle prend l’avion à l’aéroport de Libreville. « J’avais tellement peur, mon cœur battait si fort qu’il allait sortir de mon corps. » Elle vit l’atterrissage à Roissy - Charles-de-Gaulle comme un accouchement d’elle-même, une nouvelle naissance en France. A Paris, il fait froid, la famille arrive à Marseille, passe de centres d’accueil humides en hôtels avec cafards du 115.

    Sans cesse, les hommes la sollicitent. Propositions de sexe contre logement ou contre de l’argent : « Les hommes, quand tu n’as pas de papiers, ils veulent toujours en profiter. Je pourrais donner mon corps pour mes enfants, le faire avec dix hommes pour les nourrir, mais pour l’instant j’y ai échappé. » Au début de l’année, l’OQTF est tombée. Les enfants ne dorment plus, elle a arrêté de soutenir leurs devoirs. « La France trouve que j’ai pas assez souffert, c’est ça ? », s’énerve celle que ses amies surnomment « la guerrière ».

    « Je suis une femme de seconde main maintenant »

    Lundi, 17 heures. Nadia a le visage rond, entouré d’un voile noir, les yeux ourlés de la même couleur. Une immense tendresse se dégage d’elle. Le docteur Khouani nous a prévenues, il faut faire attention – elle sort à peine de l’hôpital psychiatrique. Il y a quelques semaines, dans le foyer où elle passe ses journées toute seule, elle a pris un briquet, a commencé à faire flamber ses vêtements : elle a essayé de s’immoler. Quand il l’a appris, le médecin a craqué, il s’en voulait, il voyait bien son désespoir tout avaler et la tentative de suicide arriver.

    Pourtant, Nadia a fait une petite heure de route pour témoigner. Elle a grandi au Pakistan. Elle y a fait des études de finance, mais en 2018 son père la marie de force à un Pakistanais qui vit à Marseille. Le mariage est prononcé en ligne. Nadia prend l’avion et débarque en France avec un visa de touriste. A Marseille, elle se rend compte que son compagnon ne pourra pas la régulariser : il est déjà marié. Elle n’a pas de papiers et devient son « esclave », subit des violences épouvantables. Son décolleté est marqué de plusieurs cicatrices rondes : des brûlures de cigarettes.

    Nadia apparaît sur les écrans radars des autorités françaises un jour où elle marche dans la rue. Il y a une grande tache rouge sur sa robe. Elle saigne tellement qu’une passante l’alerte : « Madame, madame, vous saignez, il faut appeler les secours. » Elle est évacuée aux urgences. « Forced anal sex », explique-t-elle, avec son éternel rictus désolé. Nadia accepte de porter plainte contre son mari. La police débarque chez eux, l’arrête, mais il la menace d’envoyer les photos dénudées qu’il a prises d’elle au Pakistan. Elle retire sa plainte, revient au domicile.

    Les violences reprennent. Elle s’échappe à nouveau, est placée dans un foyer. Depuis qu’elle a témoigné auprès de la police française, la propre famille de Nadia ne lui répond plus au téléphone. Une nuit, elle s’est réveillée et a tenté de gratter au couteau ses brûlures de cigarettes. « Je suis prête à donner un rein pour avoir mes papiers. Je pense qu’on devrait en donner aux femmes victimes de violence, c’est une bonne raison. Moi, je veux juste étudier et travailler, et si je suis renvoyée au Pakistan ils vont à nouveau me marier à un homme encore pire : je suis une femme de seconde main maintenant. »

    « Je dois avoir une vie meilleure »

    Mardi, 11 heures. Médiatrice sociale du cabinet médical, Elsa Erb est une sorte d’assistante pour vies fracassées. Dans la salle d’attente ce matin, il y a une femme mauritanienne et un gros bébé de 2 mois. « C’est ma chouchoute », sourit-elle. Les deux femmes sont proches : l’une a accompagné l’autre à la maternité, « sinon elle aurait été toute seule pour accoucher ». Excision dans l’enfance, puis à 18 ans, en Mauritanie, mariage forcé à son cousin de 50 ans. Viols, coups, cicatrices sur tout le corps. Deux garçons naissent. « Je ne pouvais pas rester toute ma vie avec quelqu’un qui me fait autant de mal. » Adama laisse ses deux enfants, « propriété du père », et prend l’avion pour l’Europe.

    A Marseille, elle rencontre un autre demandeur d’asile. Elle tombe enceinte dans des circonstances troubles, veut avorter mais l’homme à l’origine de sa grossesse la menace : c’est « péché » de faire ça, elle sera encore plus « maudite ». Depuis, elle semble trimballer son bébé comme un gros paquet embarrassant. Elsa Erb vient souvent la voir dans son foyer et lui apporte des boîtes de sardines. Elle s’inquiète car Adama s’isole, ne mange pas, passe des heures le regard dans le vide, un peu sourde aux pleurs et aux vomissements du petit. « Je n’y arrive pas. Avec mes enfants là-bas et celui ici, je me sens coupée en deux », se justifie-t-elle.

    Mardi, 14 heures. A chaque atrocité racontée, Stella rit. Elle vient du Biafra, au Nigeria. Ses parents sont tués par des miliciens quand elle a 13 ans. Elle est envoyée au Bénin auprès d’un proche qui la viole. Puis elle tombe dans la #traite : elle est transférée en Libye. « J’ai été vendue quatre fois, s’amuse-t-elle. En Libye, vous pouvez mourir tous les jours, plus personne ne sait que vous existez. » Elle passe en Italie, où elle est encore exploitée.

    Puis la France, Marseille et ses squats. Elle décrit des hommes blancs qui débarquent armés, font tous les étages et violent les migrantes. La police ? Stella explose de rire. « Quel pouvoir est-ce que j’ai ? Si je raconte ça à la police française, les agresseurs me tueront. C’est simple : vous êtes une femme migrante, vous êtes une esclave sexuelle. »

    Avec une place dans un foyer et six mois de #titre_de_séjour en tant que victime de traite, elle est contente : « Quand on a sa maison, on est moins violée. » Des étoiles sont tatouées sur son cou. « Je dois avoir une vie meilleure. Mon nom signifie “étoile”, je dois briller », promet-elle. Le docteur Khouani tient à nous montrer une phrase issue du compte rendu d’une radio de ses jambes : « Lésions arthrosiques inhabituelles pour son jeune âge. » « Il est très probable qu’elle ait subi tellement de violences qu’elle a l’arthrose d’une femme de 65 ans. » Stella a 33 ans.

    Déboutés par l’Ofpra

    Mardi, 16 heures. Grace entre avec sa poussette, dans laquelle s’ébroue une petite fille de 7 mois, son quatrième enfant. Nigériane, la jeune femme a le port altier et parle très bien anglais. « J’ai été très trafiquée », commence-t-elle. Après son bac, elle est recrutée pour être serveuse en Russie. C’est en réalité un réseau de #proxénétisme qui l’emmène jusqu’en Sibérie, d’où elle finit par être expulsée. De retour au Nigeria, elle veut poursuivre ses études à la fac à Tripoli, en Libye.

    A la frontière, elle est vendue, prostituée, violée. Elle tombe enceinte, s’échappe en Europe pour « fuir, pas parce que je voulais particulièrement y aller ». Arrivée en Italie, on lui propose d’avorter de son enfant du viol. Elle choisit de le garder, même si neuf ans après, elle ne sait toujours pas comment son premier fils a été conçu. En Italie, elle se marie avec un autre Nigérian. Ils ont quatre enfants scolarisés en France, mais pas de papiers. L’Ofpra les a déboutés : « Ils trouvent que j’ai les yeux secs, que je délivre mon histoire de manière trop détachée », comprend-elle.

    Mardi, 18 heures. Abby se présente dans le cabinet médical avec sa fille de 12 ans. Elles sont originaires de Sierra Leone. Abby a été excisée : elle se remémore le couteau, les saignements, souffre toujours vingt-cinq ans après. « Ils ont tout rasé, c’est lisse comme ça », décrit-elle en caressant la paume de sa main.

    Sa fille a aussi été mutilée, un jour où sa mère n’était pas à la maison pour la protéger. « Mais pour Aminata, ce n’est pas propre. » Alors, quand la mère et la fille ont déposé leur demande d’asile à l’Ofpra, le docteur Khouani s’est retrouvé à faire un acte qui l’énerve encore. « J’ai dû pratiquer un examen gynécologique sur une préado pour mesurer la quantité de ses lèvres qui avait survécu à son excision. Si tout était effectivement rasé, elles étaient déboutées, car il n’y avait plus rien à protéger. » Les deux femmes ont obtenu des titres de séjour. Abby travaille comme femme de ménage en maison de retraite. Aminata commence sa 5e, fait du basket et veut devenir médecin, comme le docteur Khouani.

    https://www.lemonde.fr/societe/article/2023/09/18/le-viol-passage-presque-inevitable-de-la-migration-a-marseille-huit-femmes-r

    #VSS #violences_sexuelles #migrations #femmes #femmes_migrantes #témoignage #asile #réfugiés #viols #abus_sexuels #mariage_forcé #prostitution #néo-esclavage #esclavage_sexuels #traite_d'êtres_humains #chantage

  • Migranti, cinquemila euro per la libertà. È la cifra che verrà chiesta per non finire nei Cpr a chi arriva da Paesi sicuri

    Firmato il decreto delegato per la gestione delle procedure accelerate di frontiera. Chi può pagare non verrà trattenuto in attesa dell’esito della richiesta di asilo.

    Cinquemila euro per non finire in un Cpr. Adesso il governo Meloni si è inventata una sorta di cauzione da pagare per evitare il trattenimento previsto dal decreto Cutro per i migranti che arrivano da Paesi cosiddetti sicuri e dovrebbero essere rinchiusi in speciali centri per il rimpatrio nei luoghi d frontiera in attesa del rapido esame della richiesta di asilo.

    https://www.repubblica.it/cronaca/2023/09/22/news/migranti_cinquemila_euro_liberta_cpr_paesi_sicuri-415419543

    #procédure_accélérée #frontières #Italie #détention_administrative #rétention #CPR #décret #5000_EUR #chantage #caution #decreto_Cutro #décret_Cutro #5000_euros

    • I richiedenti asilo paghino 5mila euro per evitare il Centro per il rimpatrio

      Decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale, garanzia finanziaria per chi arriva

      Una garanzia finanziaria di quasi 5mila euro dovrà essere versata dal richiedente asilo che non vuole essere trattenuto in un Centro fino all’esito dell’esame del suo ricorso contro il rigetto della domanda.

      La prevede un decreto del ministero dell’Interno pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale che fissa a 4.938 euro l’importo che deve garantire al migrante, per il periodo massimo di trattenimento (4 settimane), «la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale; della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi».

      La disposizione si applica a chi è nelle condizioni di essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura alla frontiera e proviene da un Paese sicuro. Allo straniero, si legge, «è dato immediato avviso della facoltà, alternativa al trattenimento, di prestazione della garanzia finanziaria».

      La normativa, già in vigore, prevede il trattenimento durante lo svolgimento della procedura in frontiera, «al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato», per i richiedenti asilo in una serie di casi. Il decreto - firmato, oltre che dal ministro Matteo Piantedosi, anche dai titolari di Giustizia (Carlo Nordio) ed Economia (Giancarlo Giorgetti) - richiama inoltre la direttiva del ministro dell’Interno dell’1 marzo 2000, in cui si dispone che «lo straniero, ai fini dell’ingresso sul territorio nazionale, indichi l’esistenza di idoneo alloggio nel territorio nazionale, la disponibilità della somma occorrente per il rimpatrio, nonchè comprovi la disponibilità dei mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona».

      La misura della garanzia finanziaria si applica al richiedente asilo direttamente, alla frontiera o nelle zone di transito, che è stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli e a chi proviene da un Paese sicuro «fino alla decisione dell’istanza di sospensione».

      La garanzia deve essere versata «in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi». Dovrà inoltre essere prestata «entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico». Nel caso in cui lo straniero «si allontani indebitamente - prosegue il testo - il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all’escussione della stessa»

      https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2023/09/22/un-richiedente-asilo-paghi-5mila-euro-per-evitare-il-centro-per-il-rimpatrio_25
      #garantie_financière #garantie #pays_sûr

    • Cinquemila euro, il prezzo della libertà per i migranti

      Aprirà a #Pozzallo, in provincia di Ragusa, la prima struttura di detenzione dei richiedenti asilo. Come funzioneranno questi nuovi centri e la cauzione di cinquemila euro per uscirne

      “Nei mesi scorsi abbiamo chiesto di aumentare i posti per la prima accoglienza, così hanno costruito un nuovo hotspot a Pozzallo che può ospitare trecento migranti. Solo ora abbiamo capito che una parte di questo centro diventerà una struttura di reclusione per il rimpatrio accelerato di persone che arrivano da paesi considerati sicuri, in base a quanto previsto dal decreto Cutro”, spiega Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo.

      Nella cittadina in provincia di Ragusa sarà aperto il primo centro di trattenimento per richiedenti asilo in Italia: ottantaquattro posti riservati a chi proviene da paesi definiti sicuri come la Tunisia. Realizzata in quaranta giorni, la struttura è formata da diversi container e si trova in un’area recintata con inferriate e filo spinato. Avrebbe dovuto aprire il 24 settembre, invece probabilmente sarà pronta il 27 settembre. “Al momento ci sono un centinaio di persone nell’hotspot, ma ancora nessuno nel centro di trattenimento per l’espulsione”, chiarisce Ammatuna.

      “All’inizio ho avuto dei dubbi su questo tipo di strutture”, spiega il sindaco, “specie perché l’hotspot a ridosso dell’area portuale ha 220 posti, ma oggi le persone ospitate sono più di quattrocento. Per me il governo dovrebbe investire sull’accoglienza. Ma ora non possiamo fare altro che collaborare e stare con gli occhi aperti per capire cosa succederà nel nuovo centro di Pozzallo”. Secondo Ammatuna, negli anni le strutture di detenzione hanno creato solo problemi, violando i diritti umani. “Io sono un sindaco di frontiera”, dice Ammatuna. “Vedremo che succede, ma staremo attenti al rispetto della dignità delle persone”.

      Trattenimento all’arrivo

      Il progetto pilota di Pozzallo è stato confermato dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi, che il 24 settembre ha detto: “La prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri, come la Tunisia” servirà a “fare in modo che si possano realizzare velocemente, entro un mese, procedure di accertamento per l’esistenza dei presupposti dello status di rifugiato”.

      Ed è a questa struttura – non ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) – che si applicherà il decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 21 settembre. Tra le altre cose, il testo prevede che un richiedente asilo possa evitare di essere recluso se è disposto a versare una fideiussione di circa cinquemila euro.

      “La garanzia non riguarda le persone nei Cpr, cioè i cittadini espulsi per irregolarità acclarata nella loro condizione di soggiorno o per pericolosità accertata”, ha chiarito Piantedosi.

      Quella di Pozzallo, ha proseguito il ministro, è “una scommessa” che prevede la possibilità di trattenere le persone, “l’alternativa è la garanzia anche di carattere economico per sottrarsi al trattenimento, se la cosa funzionerà e la porteremo avanti in maniera più estesa risolverà una situazione annosa”.

      Secondo Gianfranco Schiavone, esperto di accoglienza e presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste, “al momento c’è una grande confusione, gli annunci del governo sono lontani dalla realtà”.

      “La prima cosa da verificare è che questo trattenimento dei richiedenti asilo che provengono da paesi cosiddetti sicuri sia in linea con quanto previsto dalla legge e che sia autorizzato da un giudice”, spiega Schiavone. Il timore è invece che sia privo di base giuridica, “come ha dimostrato per anni la situazione nell’hotspot di Lampedusa”. Per questo l’Italia è già stata condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, ricorda l’esperto.

      “Non basta il fatto di provenire da un paese considerato sicuro per essere trattenuti”, spiega Schiavone. A dirlo è anche la normativa europea, in particolare la direttiva 33 e la direttiva 32: la detenzione “non può essere automatica e generalizzata”. “Il semplice fatto di arrivare da paesi considerati sicuri non è un motivo sufficiente per giustificare la privazione della libertà”, sottolinea l’esperto.

      La cauzione

      Il decreto del 21 settembre introduce una cauzione di 4.938 euro per i richiedenti asilo che provengono da paesi terzi considerati sicuri, e che quindi hanno un’alta probabilità che le loro domande di asilo siano rigettate. Devono versarla se vogliono evitare di essere reclusi all’arrivo, come previsto dal decreto immigrazione del 19 settembre e dal decreto Cutro, approvato dal governo di Giorgia Meloni in seguito al naufragioavvenuto al largo delle coste di Steccato di Cutro, in Calabria, lo scorso febbraio, e convertito in legge a maggio.

      Uno dei punti principali del decreto Cutro era la creazione di centri di detenzione in cui fare un esame “accelerato” delle domande d’asilo, la cosiddetta “procedura di frontiera”. Secondo il testo, se un richiedente asilo arriva da un paese considerato sicuro dal governo sarà trasferito dall’hotspot in un centro di detenzione, in attesa che la sua domanda d’asilo sia esaminata. La procedura “accelerata” dovrebbe portare a una risposta entro 28 giorni. Al momento i paesi considerati sicuri sono quindici, tra cui la Tunisia, la Costa d’Avorio e la Nigeria.

      Fare una fideiussione bancaria di quasi cinquemila euro permetterebbe ai migranti di evitare la detenzione. La cifra è stata calcolata stimando le spese di alloggio per un mese, quelle quotidiane e quelle per il volo di rimpatrio, secondo quanto riportato nel decreto. Ma la misura è stata accusata di essere contraria alla costituzione e alle leggi nazionali e internazionali sul diritto d’asilo.

      Secondo il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, si tratta di “una norma manifesto, odiosa, ma inapplicabile, dietro la quale si nascondono procedure accelerate che cancellano il diritto d’asilo e rendono le garanzie della difesa applicabili solo sulla carta, anche a causa dell’uso generalizzato delle videoconferenze, e delle difficoltà per i difensori di ottenere tempestivamente la documentazione relativa al richiedente asilo da assistere in sede di convalida o per un ricorso contro la decisione di rigetto della domanda”.

      Con quest’ultimo atto il governo sembra voler fare concorrenza ai trafficanti

      Secondo Caterina Bove, avvocata ed esperta d’immigrazione dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), prevedere questa fideiussione è contrario ai principi della costituzione italiana sulla libertà personale: “La fideiussione richiesta è talmente alta che difficilmente un richiedente asilo potrà versarla. L’assenza di risorse finanziarie non può comportare il trattenimento, l’accoglienza dev’essere garantita a tutti, non solo a chi può permettersi di pagare. Questo è quello che dicono le direttive europee”.

      Bove dice che la Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa su questo: “In una sentenza del 14 maggio 2020 ha già escluso che un richiedente asilo possa essere trattenuto perché non ha le garanzie finanziarie richieste”.

      “Sfido a trovare una persona che arrivi dalla Libia, dalla Tunisia o dalla rotta balcanica, capace di attivare una fideiussione di quel valore in Italia o in qualsiasi altro paese nel tempo previsto dal decreto”, ha commentato Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci.

      “Con quest’ultimo atto”, conclude Miraglia, “il governo sembra voler fare concorrenza ai trafficanti, e non per proporre vie legali per venire in Italia, cosa che sarebbe auspicabile, ma chiedendo soldi per liberare i migranti dai centri di detenzione, proprio come fanno le milizie in Libia e non solo”.

      Cpr e rimpatri

      Il decreto approvato dal governo il 19 settembre prevede anche l’estensione della durata massima dei tempi di trattenimento degli stranieri nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

      In Italia questi centri sono stati istituiti nel 1998 e nel corso degli anni sono stati gradualmente chiusi a causa di problemi strutturali e per le numerose denunce di violazione dei diritti umani e di trattamenti inumani. Ma dal 2o17 sono stati riaperti e c’è il progetto di espanderli. Il governo Meloni ha promesso di costruirne uno in ogni regione, suscitando polemiche e sconcerto negli amministratori locali, che conoscono i costi e i problemi sanitari e di ordine pubblico legati a queste strutture.

      Andrea Oleandri, direttore di Cild, che ha curato un rapporto sui Cpr definendoli Buchi neri, spiega che i centri sono stati gradualmente chiusi perché sono inefficienti e molto costosi: “L’ultimo bando di gara del ministero dell’interno ci dice che dieci centri per il rimpatrio costano allo stato più di cinquanta milioni di euro. Al momento ne sono attivi nove, perché nel frattempo il Cpr di Torino è stato chiuso. Noi l’abbiamo definito un affare, perché la gestione di questi centri è privata. E la detenzione amministrativa spesso è nelle mani di grandi multinazionali, che tagliano le spese a discapito dei servizi.L’anno scorso sono passate nei centri circa cinquemila persone e solo tremila sono state rimpatriate”.

      Nei Cpr finiscono le persone che sono trovate sul territorio italiano senza avere il permesso di soggiorno in regola. Nelle strutture si dovrebbe procedere alla loro identificazione ed eventuale espulsione. “Sono persone che non hanno commesso reati”, spiega Oleandri. La durata massima del trattenimento è stata più volte modificata, ma gli esperti sostengono che non abbia alcuna influenza sul tasso di rimpatri.

      Come spiega Oleandri: “La questione non è nei tempi, quanto nell’inutilità dei Cpr”. Secondo il rapporto di Cild, solo una persona su due fra quelle trattenute è rimpatriata, perché gli accordi di rimpatrio con i paesi di origine sono pochi, una situazione che prescinde dalla durata del trattenimento.

      “Nel 2014 il tempo massimo che si poteva stare in un Cpr era di diciotto mesi, ma il tasso di rimpatrio delle persone che ci finivano era del 50 per cento, come quando la durata era di novanta giorni. I migranti sono rimpatriati subito, se ci sono degli accordi. Altrimenti non si possono rimpatriare, quindi rimangono nel centro fino allo scadere dei tempi e poi sono rilasciati”, spiega Oleandri. “Trattenere persone che non sono rimpatriabili è inutile e anche illegittimo”, continua.

      “Sembra che il governo abbia ritirato fuori i Cpr in un momento di difficoltà per far vedere che sta facendo qualcosa sul tema dell’immigrazione, che tuttavia è molto più complesso e non c’entra molto con i centri d’espulsione”, conclude Oleandri.

      https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/annalisa-camilli/2023/09/26/centri-reclusione-migranti-cinquemila-euro

    • Turning the Exception into the Rule

      Citation:

      Finally, the law specifies that asylum seekers are to be detained unless they submit a passport (or equivalent document) or provide a financial guarantee of € 4,938.00. This amount was allegedly calculated with reference to the cost of suitable accommodation, repatriation, and minimum means of subsistence. The sum can be provided through a bank guarantee or an insurance policy, but solely by the asylum seekers themselves, not by third parties.
      (...)

      Finally, the Catania Tribunal argued that the financial guarantee to avoid detention is contrary to EU law. The Tribunal observed that the guarantee is not used as an alternative measure to detention, but rather as an ‚administrative requirement‘ that, if not complied with, leads to detention. According to the judge, this renders it incompatible with Articles 8 and 9 of the Reception Directive 2013/33 which “preclude[s] an applicant for international protection being placed in detention on the sole ground that he or she is unable to provide for his or her needs.”(at 256).

      As rightly noted by Savino, EU law does not prohibit the use of financial guarantees; to the contrary, Article 8(4) mentions it as a legitimate alternative to detention. However, both scholars and the European Asylum Agency maintain that the guarantee shall be proportionate to the means of the applicant in order to avoid discriminatory effects. The EUAA Guidelines on asylum seeker detention further specify that:

      “the amount should be tailored to individual circumstances, and therefore be reasonable given the particular situation of asylum seekers, and not so high as to lead to discrimination against persons with limited funds. Any failure to be able to do so resulting in detention (or its continuation), would suggest that the system is arbitrary.”

      It is doubtful whether the financial guarantee in its current legal design can be considered an “effective” alternative to detention (Art.8(4)). Its high amount (€4,938.00) and procedural requirements make it practically impossible for asylum applicants to rely upon it. In particular, they are required to deposit the sum upon arrival, through a bank guarantee or an insurance policy, which are concretely impossible for them to obtain. Moreover, the financial guarantee is the only alternative to detention provided by the new Italian law, while migrants detained under other circumstances can rely upon more alternative measures.

      Taken together, it means that the measure is designed in a discriminatory way and is neither effective nor proportionate.

      https://seenthis.net/messages/1018938#message1023987

  • À #Montagnac, le maire balance sa source à #Cristaline

    Pour 30 000 euros, la marque est en passe de mettre la main sur une gigantesque masse d’eau près de #Béziers. Dans une zone frappée de plein fouet par les #sécheresses.

    Au début du printemps, au sortir d’une sécheresse hivernale inédite (lire l’épisode 1, « Eau, rage et désespoir » : https://lesjours.fr/obsessions/eau-guerres/ep1-macron-bassines), certains habitants d’#Occitanie ont appelé à l’aide leurs divinités pour faire venir la pluie. Ç’a été le cas à #Perpignan, mais aussi dans l’#Hérault, dans le village de #Corneilhan, près de Béziers. Le 30 mars, un cortège mené par un curé avait transporté une statue de Marie en plein cagnard pendant deux kilomètres et demi. Le #cortège, racontait alors France Bleu, s’était arrêté pour prier dans les vignes. Un viticulteur avait expliqué : « L’eau, on en manque. Donc, je demande au bon #Dieu de nous l’envoyer. Les politiques ne sont pas encore capables de faire tomber la pluie. Donc à part lui, je ne vois pas ! »

    Tout cela en vain, puisque la pluie ne s’est que peu montrée, en dehors de quelques averses en juin. Puis certaines communes alentour ont affronté l’angoisse du robinet à sec, le #lac_du_Salagou a connu son plus bas niveau depuis vingt ans, tandis que mi-août, un arrêté préfectoral plaçait pour la première fois les communes limitrophes de l’#étang_de_Thau en état de « #crise », seuil maximal de #restriction des usages face à la #sécheresse. En clair, l’#eau est rare dans le coin. Mais elle n’est pas forcément chère.

    L’association #Veille_Eau_Grain estime qu’il y a de quoi fournir de l’#eau_potable à 20 000 habitants pendant quinze ans

    C’est ce qu’on découvert les 4 000 habitants de Montagnac, à une trentaine de kilomètres au nord-est de #Corneilhan. Fin 2022 ils ont appris, un peu par hasard vous le verrez, que leur mairie avait décidé de vendre pour à peine 30 000 euros une parcelle dotée d’un #forage qui plonge à 1 500 mètres sous terre, jusqu’à une masse d’eau gigantesque. À l’abandon aujourd’hui, le #puits pourrait, moyennant de gros travaux, donner accès à cette #nappe_d’eau_souterraine de qualité et dont les volumes suscitent bien des convoitises. L’association Veille Eau Grain, née contre la vente de ce forage, a depuis réuni des informations permettant d’estimer qu’il y a là de quoi fournir de l’eau potable à 20 000 habitants pendant quinze ans !

    La générosité municipale est d’autant plus étonnante que le futur acquéreur n’est pas sans le sou : il s’agit de la #Compagnie_générale_d’eaux_de_source, une filiale du géant #Sources_Alma, connu pour ses bouteilles #Saint-Yorre, #Vichy_Célestins et surtout Cristaline. Cette dernière eau, née en 1992 et numéro 1 en #France aujourd’hui, est une simple marque et s’abreuve à 21 sources différentes dans l’Hexagone – et même en Allemagne et au Luxembourg. À Montagnac et en particulier dans le secteur où est situé le forage, elle est plébiscitée. Voisin, viticulteur et fondateur de l’association Veille Eau Grain, #Christophe_Savary_de_Beauregard s’en explique : « La zone qu’on habite est quasiment désertique, nous n’avons pas l’eau potable. L’eau, on l’achète, et celle qu’on choisit, c’est la Cristaline parce que c’est la moins chère. » Cruel.

    Comment expliquer une telle vente ? Cristaline et Alma ont été pointés du doigt pour leurs méthodes commerciales et pour leur capacité à obtenir les faveurs des autorités locales, le tout, selon leurs détracteurs, grâce à du #chantage à l’#emploi. Les généreuses #dérogations_préfectorales accordées à Cristaline pour des #prélèvements d’eau dans les #Pays-de-la-Loire ont aussi été dénoncées en 2018 par les représentants locaux du Mouvement national de lutte pour l’environnement. Rien de tout ça ici, semble-t-il, puisque c’est la mairie de Montagnac elle-même qui a démarché #Alma. C’est en tout cas ce que l’équipe de communication du géant de la bouteille nous a affirmé par écrit.

    Des #viticulteurs ont raconté avoir été démarchés par des intermédiaires pour autoriser le passage de tuyaux et de canalisations menant jusqu’à une future usine. C’est là qu’on a découvert que le conseil municipal avait voté la vente du forage.
    Christophe Savary de Beauregard, fondateur de l’association Veille Eau Grain

    Après plusieurs sollicitations en juillet et en septembre, #Yann_Llopis, le maire de Montagnac, nous a fait savoir qu’il refusait de répondre à la presse – lui qui ne rechigne pourtant pas à parler de lui et de sa « préoccupation » pour l’environnement sur le site de la ville. On ne saura donc pas s’il a vendu à vil #prix l’eau de sa commune dans l’espoir de #retombées_fiscales et de créations d’emplois. Ce silence n’étonnera pas les riverains, qui disent n’avoir à aucun moment été informés par l’édile et son équipe des tractations avec le groupe Alma. Christophe Savary de Beauregard raconte avoir découvert par hasard la décision du #conseil_municipal actant la vente de la parcelle et du forage : « Fin 2022, des viticulteurs nous ont raconté qu’ils avaient été démarchés par des intermédiaires, afin d’autoriser le passage sur le terrain de tuyaux et de canalisations venant du forage et menant jusqu’à une future usine. On s’est renseignés, et c’est là qu’on a découvert qu’en septembre le conseil municipal avait délibéré et voté pour la vente du terrain et du forage au groupe Alma. »

    Habitant de Montagnac, le conseiller régional socialiste René Moreno confirme et dénonce ce manque de transparence, avant de dresser une chronologie de ce forage qu’il connaît bien. Creusé en 1980 par deux entrepreneurs locaux, il est devenu propriété de l’État à la mort de ces derniers, en 2018. La parcelle et son forage ont alors été mis en vente sous le contrôle d’une instance locale, le comité technique de la #Safer (Société d’aménagement foncier et d’établissement rural), dont l’élu est membre. « À l’époque, il y avait plusieurs projets de reprise, dont celui de la mairie de Montagnac qui avait pour ambition de le destiner à un élevage privé d’esturgeons, se souvient René Moreno. Ce genre d’élevage est consommateur d’eau mais dans de faibles quantités. J’ai insisté pour que la mairie obtienne le forage. » Il obtiendra gain de cause.

    Après l’achat de la parcelle par la mairie (pour la somme de 30 000 euros, déjà), les porteurs du projet d’élevage d’esturgeons ont malheureusement baissé les bras. La mairie s’est alors retrouvée le bec dans l’eau, selon le service de communication du groupe Alma. Celui-ci indique par mail que si celle-ci ne vend pas le forage aujourd’hui, elle devra assumer les coûts de son obturation (qu’il estime à 300 000 euros) ou de sa remise en service (on dépasserait alors les 500 000 euros). René Moreno assure de son côté que ces sommes, si elles étaient avérées, pourraient être déboursées en partie par l’État ou d’autres collectivités, afin de préserver la précieuse ressource souterraine ou la destiner aux populations locales en cas de crise.

    Le projet actuel est on ne peut plus à l’opposé : construire une gigantesque #usine privée d’#embouteillage d’#eau_minérale pour une grande marque, occasionnant quelques joyeusetés comme l’artificialisation de plusieurs milliers de mètres carrés ou le passage quotidien de plusieurs dizaines de camions pour le transport des packs. Une perspective qui inquiète les riverains, tout autant que la réputation sulfureuse du groupe. Une enquête de Médiacités publiée en décembre 2022 a, par exemple, révélé que 13 de ses 34 usines françaises avaient été épinglées par les services de l’État depuis 2010 : non-conformités, contaminations, pollution de ruisseau et mêmes fraudes…

    Derrière Cristaline, deux hommes à la réputation sulfureuse : le milliardaire #Pierre_Castel et #Pierre_Papillaud, le visage des pubs télé Rozana

    Quant aux créateurs de Cristaline, ils se signalent autant par leurs succès que par leurs casseroles. Le milliardaire Pierre Castel, l’un des dix Français les plus riches, a été condamné pour avoir abrité son immense fortune – faite dans la bière en Afrique et dans le vin partout dans le monde (les cavistes Nicolas, la marque Baron de Lestac…) – dans des #paradis_fiscaux. Il apparaît dans les listings des « Pandora Papers ». Son groupe est en prime visé par une enquête du parquet antiterroriste pour « complicité de crimes contre l’humanité » et « complicité de crimes de guerre » parce qu’il aurait financé en Centrafrique une milice coupables d’exactions en masse. Pierre Castel a vendu ses parts à son compère Pierre Papillaud en 2008. Celui-ci, dont vous avez vu la tête dans les pubs télé pour la marque d’eau gazeuse #Rozana, a été accusé par d’anciens salariés de méthodes managériales violentes et de harcèlement moral, et condamné pour une campagne de dénigrement de l’eau du robinet. Il apparaît, lui, dans les listings des « Panama Papers ». Il est décédé en 2017.

    C’est face à ce groupe que se dressent la vingtaine de membres de l’association Veille Eau Grain. Ceux-ci ont entamé une procédure devant le tribunal administratif pour faire annuler la délibération du conseil municipal de Montagnac concernant la vente du forage, arguant que cette décision a été prise sans informer la population et à partir d’un corpus de documents trop limité pour juger de sa pertinence. Ce n’est que le début du combat. L’exploitation du forage est soumise à une étude d’impact environnementale, qui, selon le groupe Alma, a démarré en juillet et durera dix-huit mois.

    https://lesjours.fr/obsessions/eau-guerres/ep7-montagnac-cristaline

    #accès_à_l'eau #impact_environnemental

    voir aussi :
    https://seenthis.net/messages/1016901

  • Comment la FNSEA a eu la peau des Soulèvements de la Terre
    https://reporterre.net/Comment-la-FNSEA-a-eu-la-peau-des-Soulevements-de-la-Terre

    On croyait l’opération enlisée et repoussée aux calendes grecques, mais le lobby agro-industriel a encore une fois eu gain de cause face aux écologistes. À la suite de la pression insistante de la FNSEA — la Fédération nationale des exploitants agricoles, syndicat dominant —, le gouvernement a accéléré brutalement la procédure de dissolution des Soulèvements de la Terre. C’est chose faite depuis le mercredi 21 juin. En conseil des ministres, l’exécutif a présenté son décret de dissolution.

    Tout s’est joué en quelques jours la semaine dernière, alors que l’opération était gelée depuis deux mois, du fait de nombreuses difficultés juridiques. Mais après l’action des Soulèvements de la Terre à Saint-Colomban (Loire-Atlantique) le 11 juin et la dégradation de serres de maraîchers industriels, tout a changé. Le syndicat majoritaire est passé à l’offensive et a arraché à ses opposants une première victoire. Il a activé ses réseaux au plus haut sommet de l’État et mené une campagne de dénigrement massive dans les médias dominants. Quitte à dramatiser à l’excès la situation.

    .../...

    « La FNSEA ment, manipule, violente et insulte »

    Depuis les années 1960, la FNSEA multiplie les destructions de biens publics, le saccage de préfectures et les agressions d’élus. « La FNSEA s’estime propriétaire de l’agriculture. Il a toujours existé un pacte de cogestion entre elle et le ministère de l’Agriculture, souligne le journaliste Gilles Luneau, spécialiste des questions agroalimentaires. Pour devenir ministre, il faut être adoubé par la FNSEA. »

    Le gouvernement aurait une nouvelle fois plié devant ses exigences. « Ce qui se passe est très grave, poursuit Gilles Luneau, on assiste à un véritable emballement. La fièvre monte. La FNSEA ment, manipule, violente et insulte. »

    #FNSEA #lobbying #chantage
    (je vous laisse rajouter d’autres hashtags : là, j’ai pas trop les mots)

  • La #France assume de délivrer des #OQTF à des personnes non expulsables

    L’attaque qui a fait six blessés, dont un grièvement, mercredi 11 janvier, à la gare du Nord à Paris, aurait été perpétrée par une personne étrangère en situation irrégulière, qui pourrait être de nationalité libyenne ou algérienne, selon les derniers éléments communiqués par le parquet de Paris. Des sources policières n’ont pas tardé à préciser que l’auteur des faits faisait l’objet d’une obligation de quitter le territoire français (OQTF), signée l’été dernier par une préfecture en vue d’un renvoi vers la Libye, comme le confirme le ministère de l’intérieur auprès de Mediapart.

    L’affaire vient une nouvelle fois démontrer les obsessions du ministère de l’intérieur en matière de chiffres concernant les expulsions. Si l’on ignore encore le profil et les motivations de l’individu interpellé – deux proches de son entourage ont été entendus jeudi –, il s’avère que l’OQTF dont il faisait l’objet n’avait pas été exécutée, puisque l’instabilité que connaît la Libye et le manque de relations diplomatiques avec ce pays ne permettent pas de renvoyer qui que ce soit là-bas.

    Sans surprise, l’extrême droite n’a pas tardé à s’exprimer : « Le nombre de clandestins sous le coup d’une OQTF impliqués dans des actes criminels se multiplie. La future loi sur l’immigration devra apporter une réponse ferme et déterminée à cette menace exponentielle. Nous y veillerons », a tweeté Marine Le Pen en réaction à un article de BFMTV, indiquant que l’individu était connu des services de police pour des faits de droit commun, « principalement des atteintes aux biens ».

    « L’assaillant de la gare du Nord qui a blessé six personnes faisait l’objet d’une OQTF et aurait crié “Allah Akbar” au moment des faits. Quand ces OQTF seront-elles enfin exécutées ? », a réagi de son côté Éric Ciotti, sans prendre la moindre précaution quant aux propos prononcés, qui pour l’heure ne sont pas avérés.

    Le parquet de Paris, qui a ouvert une enquête pour « tentative d’assassinat » et confié les investigations à la police judiciaire, confirme ses antécédents mais se montre prudent. « L’identification précise du mis en cause est en cours, ce dernier étant enregistré sous plusieurs identités dans le fichier automatisé des empreintes digitales alimenté par ses déclarations au cours de précédentes procédures dont il a fait l’objet », indique un communiqué de la procureure de Paris. « Il pourrait s’agir d’un homme né en Libye ou en Algérie et d’une vingtaine d’années, dont l’âge exact n’est pas confirmé. »

    Un profil ni régularisable ni expulsable.

    Le ministère de l’intérieur

    Une question subsiste : pourquoi délivrer une OQTF à un ressortissant supposé être libyen, lorsque l’on sait qu’on ne peut expulser vers la Libye ?

    Interrogé à ce sujet, le ministère de l’intérieur s’explique, tout en soulignant que l’enquête est toujours en cours : « L’individu est a priori libyen. La Libye étant un pays instable et en guerre, il n’y a pas d’éloignement vers ce pays. L’OQTF est la conséquence d’une situation administrative irrégulière. En l’absence de droit au séjour, elle est appliquée par les services. En l’espèce, il s’agit d’un profil ni régularisable ni expulsable. »

    L’objectif est de prendre une OQTF malgré tout, poursuit le ministère, afin que l’individu « puisse être expulsé dès que la Libye sera stabilisée ».

    Depuis plusieurs années, outre la Libye, la France n’expulse plus vers un certain nombre de pays comme la Syrie, l’Afghanistan ou plus récemment l’Iran, considérant que la situation de ces pays, ravagés par les guerres, les conflits, l’instabilité ou la répression, ne permettent pas de garantir la sécurité des personnes éloignées. Parce qu’il est trop compliqué, aussi, d’obtenir les laissez-passer consulaires nécessaires au renvoi d’un ressortissant de ces pays lorsque les relations diplomatiques sont rompues.

    Il n’existerait pas de liste « officielle » des pays vers lesquels on ne renvoie pas, bien que des associations d’aide aux étrangers plaident pour que ce soit le cas et pour qu’une position claire soit adoptée par les autorités. « On ne peut pas prononcer des OQTF à des ressortissants tout en sachant qu’on ne peut pas les expulser, en arguant qu’on ne peut pas négocier avec les talibans ou Bachar al-Assad, c’est absurde », commente un représentant associatif.

    Selon des sources associatives, au moins 44 personnes se déclarant de nationalité libyenne ont ainsi été enfermées en rétention en 2022, contre 119 en 2021 et 110 en 2020. Aucun ressortissant libyen n’a été expulsé vers la Libye au cours des dernières années, assure le ministère de l’intérieur.

    De plus en plus d’Afghans font aussi l’objet d’une OQTF et sont placés en centre de rétention administrative (CRA), ces lieux de privation de liberté où sont enfermés les sans-papiers en attente de leur éloignement (90 jours au maximum avant d’être libérés). Début 2022, l’association La Cimade craignait des expulsions « par ricochet » (voir ici ou là), c’est-à-dire des renvois de ressortissants afghans vers des pays n’ayant pas suspendu les expulsions vers l’Afghanistan (c’était le cas, par exemple, de la Bulgarie).

    Des ressortissants syriens, comme a pu le documenter Mediapart, se voient eux aussi délivrer des OQTF et sont placés en CRA pendant des jours alors même qu’ils ne sont pas expulsables. Marlène Schiappa le réaffirmait d’ailleurs sur France Inter fin novembre dernier : la France « ne renvoie pas quelqu’un vers la Syrie ».

    Cela n’a pas empêché non plus la préfecture de l’Aude de prononcer une OQTF contre une ressortissante iranienne, qui avait pourtant fui la répression qui sévit dans son pays face au mouvement de révolte des femmes, lui enjoignant de quitter le territoire français et de « rejoindre le pays dont elle possède la nationalité ».
    Une stratégie contradictoire avec les objectifs du gouvernement

    Ces OQTF précarisent les étrangers et étrangères qu’elles visent, les contraignant à vivre dans l’ombre et dans la crainte du moindre contrôle, y compris lorsqu’ils et elles se rendent sur leur lieu de travail.

    Ces personnes sont aussi conscientes que l’OQTF est bien souvent associée à la notion de délinquance, alors même que beaucoup n’ont rien à se reprocher. Un système « contre-productif » aux yeux de l’avocat Stéphane Maugendre, spécialiste en droit des étrangers et en droit pénal, qui « surprécarise les personnes parfaitement insérées en France », mises en difficulté dans chaque petit acte du quotidien et aujourd’hui stigmatisées par les discours répétés de Gérald Darmanin visant à faire un trait d’union entre OQTF et délinquants dits étrangers.

    En guise d’exemple, l’avocat cite le cas récent de deux de ses clients, victimes du caractère aujourd’hui systématique de la délivrance des OQTF : l’un était déjà en cours de recours au tribunal administratif, l’autre avait déposé une demande d’admission exceptionnelle au séjour en préfecture et travaille dans un métier en tension – il pourrait donc être concerné par la future mesure voulue par Gérald Darmanin dans le projet de loi immigration à venir, censé permettre de régulariser plusieurs milliers de sans-papiers qui répondent à certains critères (lire notre analyse).

    Dans une course aux chiffres, les autorités continuent de délivrer toujours plus d’OQTF, et tant pis si, dans le lot, un certain nombre de personnes ne peuvent être éloignées du territoire. Une stratégie contradictoire avec les objectifs que se sont fixés le chef de l’État et son gouvernement concernant le taux d’exécution de ces OQTF, qu’ils aimeraient voir augmenter. En 2019, Emmanuel Macron promettait même, dans une interview à Valeurs actuelles, d’exécuter 100 % des OQTF – un objectif intenable.

    Plus récemment, son ministre de l’intérieur, Gérald Darmanin, donnait aux préfets pour instruction de « prendre des OQTF à l’égard de tout étranger en situation irrégulière, à l’issue d’une interpellation ou d’un refus de titre de séjour », et se réjouissait « d’améliorer le résultat » concernant le nombre d’OQTF exécutées en 2022, en hausse de 22 % à la date de novembre dernier.

    « En 2021, la France est le pays d’Europe qui a le plus expulsé », s’est aussi vantée, sur France Inter, l’ex-secrétaire d’État chargée de la citoyenneté, Marlène Schiappa. Mais cette surenchère sur la délivrance d’OQTF pourrait avoir enfermé le gouvernement dans une spirale infernale. Soumises à des injonctions contradictoires, les préfectures sont poussées à délivrer des obligations de quitter le territoire sans même étudier les cas particuliers – ces mêmes cas qui ne peuvent, de fait, pas contribuer à améliorer le taux d’exécution des OQTF puisqu’il s’agit de personnes non expulsables.

    Pour Me Stéphane Maugendre, le ministère de l’intérieur et les préfectures sont « tombés dans une sorte de piège » : « Ils ont multiplié les OQTF, de manière systématique, pour pouvoir dire que des mesures d’éloignement sont prises. Sauf que plus il y a d’OQTF délivrées, moins leur taux d’exécution a de chance d’augmenter, parce que derrière, il y a des contingences matérielles et il faut des moyens colossaux pour y arriver. »

    Une analyse qui se retrouve dans les chiffres, notamment entre 2016 et 2019, période durant laquelle le nombre d’OQTF prononcées bondit de 50,4 % pour atteindre 122 839 OQTF par an, tandis que leur taux d’exécution chute de près de 10 points, passant de 14,3 % à 4,8 %. Si les chiffres enregistrent une forte baisse en 2020 et en 2021, c’est lié à la crise sanitaire du Covid-19, qui n’a pas permis d’éloigner les personnes en situation irrégulière.

    Certains États, notamment du Maghreb, rechignent aussi à délivrer les laissez-passer consulaires nécessaires, entraînant alors un véritable bras de fer entre les autorités de ces pays et Paris. La France a choisi d’instaurer un « chantage » aux visas pour les obtenir, et, un an plus tard, la stratégie semble avoir payé pour l’Algérie, qui reprend plus facilement ses ressortissants aujourd’hui – la sœur de la meurtrière présumée de la petite Lola a d’ailleurs été expulsée vers l’Algérie mi-décembre, a-t-on appris via l’AFP. Le 19 décembre, un retour à la normale a depuis été annoncé par Gerald Darmanin pour l’octroi des visas aux Algérien·nes.

    Également président honoraire du Groupe d’information et de soutien aux immigré·s (Gisti), Stéphane Maugendre estime que les OQTF sont devenues la « nouvelle tendance », notamment depuis le meurtre de Lola, dont la meurtrière présumée était une ressortissante algérienne sous OQTF. « On qualifie désormais les personnes au regard de leur situation administrative, on parle automatiquement de l’OQTF dont ils font l’objet, qui, faut-il le rappeler, n’est pas une mesure d’expulsion mais une décision prise par la préfecture demandant à la personne de quitter le territoire français. »

    Une politique qui ne fait qu’alimenter le discours de l’extrême droite, qui scrute désormais les moindres faits divers impliquant une personne étrangère sous OQTF et en fait la recension sur les réseaux sociaux, surtout pour réclamer l’arrêt pur et simple de l’immigration en France. « Derrière la politique du gouvernement, l’extrême droite, dont le Rassemblement national, vient dire que le taux d’exécution des OQTF est trop bas, complète Me Maugendre. Gérald Darmanin est obligé de surenchérir et d’annoncer une loi qui permettra de réduire les délais et le nombre de recours. L’État crée une crise de toutes pièces et justifie ensuite sa loi pour la résoudre. »

    https://www.mediapart.fr/journal/france/130123/la-france-assume-de-delivrer-des-oqtf-des-personnes-non-expulsables

    #politique_du_chiffre #expulsions #asile #migrations #réfugiés #sans-papiers #obsession #profil_ni_régularisable_ni_expulsable #réfugiés_libyens #réfugiés_afghans #détention_administrative #rétention #chiffres #statistiques #réfugiés_syriens #expulsabilité #précarisation #criminalité #régularisation #exécution #laissez-passer_consulaires #taux_d'exécution #chantage #visas #extrême_droite

    ping @karine4

  • #Maroc. À #Nador, les morts sont africains, l’argent européen

    Le 24 juin 2022, au moins 23 migrants sont morts à la frontière entre le Maroc et l’Espagne, et il y a eu plus d’une centaine de blessés des deux côtés. L’ONU et l’Union africaine exigent une enquête indépendante. La coopération migratoire entre le Maroc et l’#Espagne est de nouveau pointée du doigt. Reportage à Nador.

    Il est 14 h à Nador, nous sommes le samedi 25 juin 2022, le lendemain des tragiques incidents sur la frontière entre le Maroc et #Melilla, enclave sous occupation espagnole. Un silence de mort règne dans cette ville rifaine. Chez les officiels locaux, l’omerta règne. Les portes sont closes. « Revenez lundi », nous dit-on sur place. Aucune information ne filtre sur le nombre exact des morts, des blessés et des personnes refoulées vers d’autres villes marocaines. Un homme s’active pour informer le monde sur ce qui se passe ; il s’appelle Omar Naji.

    L’odeur de la mort

    Ce militant de l’Association marocaine des droits de l’homme (AMDH) à Nador alerte l’opinion publique et les autorités sur ce drame écrit d’avance depuis une décennie. « Les acteurs de ce drame sont les politiques européennes d’#externalisation des frontières, le Maroc qui agit en tant qu’exécutant et des organisations internationales faiblement impliquées pour protéger les migrants et les réfugiés », accuse-t-il, sans détour. Faute d’une enquête judiciaire, Omar Naji tente dès les premières heures de la tragédie de récolter quelques pièces à conviction.

    Nous rencontrons Omar à la sortie de la morgue de Nador où se trouvent les corps des migrants morts sur la frontière. Ce militant sent l’odeur de la mort. « Les scènes que je viens de voir sont insoutenables. Des corps jonchent le sol depuis 24 heures. Les dépouilles baignent dans leur sang. Les installations de la morgue sont débordées », lâche-t-il, encore sous le coup de l’émotion.

    Deuxième étape dans cette quête d’indices pour reconstituer le puzzle de drame du 24 juin. À la permanence, les policiers ont passé une nuit blanche à réaliser les procès-verbaux des 68 migrants qui allaient être présentés le lundi 27 juin au parquet. La police a rassemblé les bâtons et les quelques objets tranchants utilisés par les migrants lors de la tentative de franchissement de la barrière. Pour la police judiciaire, ce sont les « pièces à conviction » qui ont permis au procureur de demander des poursuites judiciaires contre les migrants aujourd’hui en détention provisoire.

    Troisième étape dans cette contre-enquête de Omar Naji, la récolte de témoignages de personnes en migration. Nous nous rendons sur le mont Gourougou, où les migrants sont dans des campements de fortune. La voiture du militant démarre, nous sommes pris en filature par des membres de services de sécurité. Sur la route de la rocade méditerranéenne, nous passons devant les murs de Nador-Melilla. Ce dispositif est composé de 3 clôtures de 6 mètres de haut et 12 kilomètres de long. Les lames tranchantes, responsables de graves blessures parmi les migrants durant des années, ont été remplacées par des obstacles anti-grimpe et une haute technologie de surveillance, le tout financé par l’Union européenne (UE). « Le Maroc creuse une deuxième tranchée pour compliquer le passage des migrants. Le pays joue son rôle de gendarme, surtout depuis la reprise de la coopération sécuritaire et migratoire avec l’Espagne en mars 2022 », estime Naji. Une semaine avant les incidents, les ministères de l’intérieur des deux pays se sont engagés à « poursuivre leur #coopération_sécuritaire ». Le 6 mai dernier, le groupe migratoire mixte permanent maroco-espagnol avait fixé l’agenda sécuritaire de coopération entre les deux pays.

    Chasse aux migrants ou lutte contre « les réseaux » ?

    À #Barrio_Chino, point frontalier où s’est déroulée une partie des événements, des vêtements de migrants sont encore accrochés aux grillages. Canon à eau et forces d’intervention sont stationnés sur place pour faire face à de nouveaux assauts. Nous continuons notre chemin à la recherche de campements de migrants. Tout au long de l’année, les forces de l’ordre marocaines mènent des opérations pour chasser les migrants sous l’argument du « démantèlement de réseaux de trafic des êtres humains ». Pour Ali Zoubeidi, chercheur spécialiste en migrations, « il y a des réseaux de trafic présents dans d’autres endroits du Maroc, mais pas vers Melilla », observe-t-il, dans une déclaration à Infomigrants. La #Boza par Melilla est gratuite, c’est la route empruntée par les migrants sans moyens. Dans les faits, les #ratissages visent à disperser les migrants le plus loin possible de la frontière avec Melilla.

    Dans un communiqué, 102 organisations africaines et européennes dénoncent les violations systématiques des #droits_humains à Nador : « Depuis plus d’un an et demi, les personnes en migration sont privées d’accès aux médicaments, aux soins, voient leurs campements brûlés et leurs biens spoliés ».

    En 2021, l’AMDH Nador avait recensé 37 opérations de ratissage. Un chiffre en nette baisse en raison du Covid-19 et du confinement. En 2019, les opérations avaient atteint le chiffre record de 134 interventions. « Cette route a été réalisée spécialement pour permettre aux engins des forces de l’ordre d’accéder à la forêt », rappelle Naji, dont le téléphone ne cesse de recevoir des appels de journalistes d’un peu partout dans le monde. En pleine forêt, nous passons devant un campement des #Forces_auxiliaires, corps de sécurité géré directement par le ministère de l’intérieur. Ce camp, avec ses bâtisses en dur et plusieurs tentes, a été construit spécialement pour permettre des interventions rapides dans les #campements.

    Après une heure de route, Naji arrive à la conclusion suivante : « Les opérations menées par les forces de l’ordre ont poussé les migrants à fuir la forêt et toute la ville de Nador ». Nous quittons la forêt et nous croisons sur notre chemin les hauts responsables sécuritaires de la région, venus à bord de deux véhicules militaires, des #Humvee, pour inspecter les lieux. Les seuls migrants présents dans cette ville sont soit morts, soit à l’hôpital, soit emprisonnés. Les migrants ont été dispersés vers plusieurs villes du centre du Maroc (Béni Mellal et Kelaat Sraghna). Cette situation dramatique, au retentissement international, est la conséquence d’une #coopération_sécuritaire entre le Maroc et l’Espagne, avec un financement européen.

    L’UE, cynique bailleur de fonds

    Depuis 2007, l’UE a versé au Maroc 270 millions d’euros pour financer les différents volets sécuritaires de la politique migratoire marocaine. Ce financement se fait directement ou via des instances européennes et espagnoles (Fondation internationale et ibéro-américaine pour l’administration et les politiques publiques, International, Center for Migration Policy Development, etc.). Des montants que le Maroc considère « insuffisants au regard des efforts déployés par le pays pour la gestion des frontières ».

    Depuis 2013, cette coopération s’inscrit dans le cadre du #Partenariat_pour_la_mobilité. Le financement européen en matière d’immigration aussi passe par le #Fonds_fiduciaire_d’urgence de l’Union européenne pour l’Afrique ou des agences souvent espagnoles chargées d’acquérir des équipements sécuritaires pour le royaume chérifien (drones, radars, quads, bus, véhicules tout-terrain…). La Commission européenne (CE) présente ce financement avec des éléments de langage connus : « développer le système marocain de gestion des frontières, et de lutter de manière plus efficace contre le trafic d’êtres humains ». L’UE soutient aussi la #Stratégie_nationale_pour_l’immigration_et_l’asile adoptée par le Maroc en 2014. Cette politique est désormais en stand-by, avec un retour en force d’une vision sécuritaire.

    Dans ses négociations avec la CE, le Maroc compte un allié de taille, l’Espagne. Le royaume fait valoir de son côté « une reprise de la pression migratoire sur le Maroc », comme aime le rappeler #Khalid_Zerouali, directeur de l’immigration et de la surveillance des frontières au ministère de l’intérieur marocain, dans ses sorties médiatiques adressées à ses partenaires européens. Le Maroc se positionne comme partenaire fiable de l’UE et invite son partenaire européen à « la #responsabilité_partagée ». Les routes migratoires marocaines sont les premières portes d’entrée vers l’Europe depuis 2019. L’Intérieur brandit ses chiffres de 2021 : 63 121 migrants arrêtés, 256 réseaux criminels démantelés et 14 000 migrants secourus en mer, en majorité des Marocains.

    Chantages et pressions

    Dans ce contexte, un #chantage est exercé de part et d’autre. L’UE veut amener le Maroc à héberger des centres de débarquement de migrants (#hotspots) et signer avec le royaume un #accord_de_réadmission globale Maroc-UE. Sur ces deux sujets, Rabat continue d’afficher une fin de non-recevoir à ces demandes. Sur le plan bilatéral, la France fait un chantage aux #visas pour pousser le Maroc à rapatrier ses immigrants irréguliers. De son côté, le Maroc a fait de la gestion de l’immigration irrégulière une carte diplomatique, comme l’ont montré les évènements de Ceuta en mai 2021.

    La migration devient ainsi un moyen de pression pour obtenir des gains sur le dossier du Sahara. Un sujet sensible qui a été le cœur d’un gel diplomatique entre le Maroc et l’Espagne durant plus d’un an. La reprise des relations entre les deux pays en mars 2022 a réactivé la coopération sécuritaire entre les deux pays voisins. Pour les 102 organisations des deux continents, ce retour de la coopération est à la source du drame de Nador. « La mort de ces jeunes Africains sur les frontières alerte sur la nature mortifère de la coopération sécuritaire en matière d’immigration entre le Maroc et l’Espagne », peut-on lire dans ce document.

    Mehdi Alioua, sociologue et professeur à l’Université internationale de Rabat, accuse en premier l’UE et sa politique migratoire : « Ces frontières sont celles de la honte parce qu’elles sont totalement absurdes et hypocrites. Ces frontières sont incohérentes, elles sont là pour mettre en scène la “#frontiérisation”. […] La #responsabilité des Européens est directe. La responsabilité du Maroc de ce point de vue est indirecte », déclare-t-il dans une interview pour Medias24
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    Des migrants criminalisés et des corps à la morgue

    Nador, avec ses deux frontières maritime et terrestre avec l’Europe, est pris au piège de ces frontières. Les migrants payent le prix fort. L’an dernier 81 personnes sont mortes à Nador, noyées ou sur les grillages. Face au tollé mondial suscité par ces événements, le gouvernement marocain est sur la défensive. L’exécutif tente de présenter sa version des faits. Signe des temps, cette stratégie de damage control a été sous-traitée par des universitaires, des ONG ou des médias proches de l’État. Ils accusent tous… l’Algérie. Le chef du gouvernement espagnol accuse les “mafias” qui seraient responsables de ce drame tout en “saluant le Maroc pour son professionnalisme”.

    Loin de cette bataille des récits, les militants sur le terrain continuent à panser les blessures des migrants, rechercher les noms des disparus et leurs nationalités, tenter de mobiliser les avocats pour la défense des migrants poursuivis à Nador. Ce procès, qui a démarré le 27 juin, s’annonce comme le plus grand procès des personnes en migration au Maroc. Vingt-huit migrants sont poursuivis avec de lourdes charges pénales. Un deuxième groupe de 37 migrants, dont un mineur, est poursuivi pour des délits. Pendant ce temps, les corps des migrants morts sont toujours à la morgue, sans autopsie ni enquête judiciaire pour établir les circonstances de leurs décès.

    https://orientxxi.info/magazine/maroc-a-nador-les-morts-sont-africains-l-argent-europeen,5734
    #décès #morts #migrations #asile #réfugiés #mourir_en_Europe #frontières #mourir_aux_frontières

  • Belarus threatens to cut gas deliveries to EU if sanctioned over border crisis

    Lukashenko responds to possible sanctions as thousands of migrants camp in freezing temperatures at Poland border.

    Alexander Lukashenko has threatened to cut deliveries of gas to Europe via a major pipeline as the Belarusian leader promised to retaliate against any new EU sanctions imposed in response to the crisis at the Poland-Belarus border.

    Backed by the Kremlin, Lukashenko has struck a defiant note after inciting a migrant crisis at the border, where thousands of people, mainly from Middle Eastern countries, are camped out as temperatures plunge below freezing.

    Meanwhile thousands marched through the streets of Warsaw to mark Poland’s Independence Day, including far-right groups calling for the government to prevent migrants from entering the country illegally. The city government had banned the march but those orders were overturned by the national government, which is dominated by the conservative Law and Justice party.

    Polish authorities have taken a hardline stance on the crisis, instituting a state of emergency in the border region that allows police to ignore asylum requests and summarily expel migrants. It also prevents NGOs and journalists from entering the border zone.

    As punishment for Belarus’ actions, the EU is expected to sanction up to 30 Belarusian individuals and entities, possibly including the national air carrier Belavia. Belarus’s neighbours have said they may be forced to shut their borders.

    “We heat Europe, and they are still threatening us that they’ll shut the borders,” said Lukashenko in an emergency meeting with his top ministers on Thursday. “And what if we cut off [the transit of] natural gas to them? So I would recommend that the leadership of Poland, Lithuanian and other brainless people to think before they speak.”

    The threat to cut off deliveries along the Yamal-Europe pipeline from Russia is an attempt to pile additional pressure on Europe, where gas prices spiked last month due to an international energy crisis.

    Yet it appears unlikely that EU members will back down from a new round of sanctions against Lukashenko, who has already been targeted for a brutal crackdown on his country’s opposition and the grounding of a Ryanair flight in May.

    Belarusian opposition leader Svetlana Tikhanovskaya said Lukashenko would not follow through on the threat. “It would be more harmful for him, for Belarus, than for the European Union and I can suppose it’s bluffing,” Tikhanovskaya told AFP, urging European countries to hold firm and not communicate directly with the “illegitimate” leader.

    EU members say that Lukashenko has enabled thousands of people to travel through Minsk and to the EU borders as revenge for the sanctions against him. Belavia, the Belarusian state airline, has strongly denied it is involved in any trafficking of vulnerable people to the border with the EU.

    Videos posted to social media indicate that the flow of migrants through Minsk has not slowed and that hundreds more people may be arriving at the border every day.

    Poland reported that there had been 468 illegal attempts to cross the border on Wednesday and that people had attempted to cut through razor-wire or use logs to batter down border fencing in some places.

    Other countries bordering Belarus have warned that the border crisis could lead to a new military conflict. In a joint statement on Thursday, the defence ministers of Estonia, Lithuania and Latvia called the situation “the most complex security crisis for our region, Nato and the European Union in many years”.

    Belarus’ use of migrants could lead to “provocations and serious incidents that could also spill over into military domain,” the statement said.

    In a show of support for Lukashenko, Moscow has dispatched nuclear-capable bombers for the past two days to patrol the skies over western Belarus. The Russian defence ministry has called the patrols, which included imitation bombing runs by a pair of Tupolev Tu-160 heavy strategic bombers on Thursday, a training exercise of the countries’ joint air defence systems.

    “Let them squeak and shout,” Lukashenko told his top officials in bellicose remarks. “Yes, these are bombers capable of carrying nuclear weapons. But we have no other option. We have to see what they are doing beyond the borders.”

    Lukashenko also claimed that there had been attempts to smuggle weapons from east Ukraine to those on the border in an attempt to “provoke our border guards into a conflict with theirs”. He did not provide any evidence for the claim, which he said he had discussed with Vladimir Putin.

    Ukraine’s interior ministry on Thursday announced that it was planning to deploy an additional 8,500 troops and police officers, as well as 15 helicopters, to prevent attempts by people to cross the border. Although not part of the EU, the country has said it is also concerned at being drawn into the crisis.

    European officials said that they expected the crisis to worsen. The German foreign minister, Heiko Maas, said that the picture from the border camps between Belarus and Poland were “terrible”. “Lukashenko is responsible for this suffering. He abuses people to put the EU under pressure.”

    https://www.theguardian.com/world/2021/nov/11/belarus-threatens-to-cut-gas-deliveries-to-eu-if-sanctioned-over-border

    #chantage #gaz #énergie #migrations #asile #réfugiés #frontières #Biélorussie #Pologne #sanctions

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    ajouté à la métaliste sur la situation à la frontière Biélorussie-Pologne :
    https://seenthis.net/messages/935860

    • Polonia, nel cuore della zona d’emergenza: «Abbiamo paura di Lukashenko, non dei migranti»

      Lavialibera è riuscita a entrare a #Kuznica, centro degli scontri tra migranti e autorità polacche. A spaventare è Lukashenko. Ma la crisi fa comodo anche al governo di Varsavia. Nelle maglie del cinico gioco politico, migliaia di persone ancora intrappolate nella foresta. Morto un bimbo di un anno.

      Qualche parola in inglese basta a spaventarli. Le voci si alzano, le mani tremano, i cellulari chiamano la polizia. A Kuznica, piccola cittadina polacca al confine con la Bielorussia, gli abitanti sono ancora terrorizzati. Non li rassicura lo smantellamento del campo in cui la scorsa settimana sono arrivati migliaia di rifugiati perché non è dei rifugiati che hanno paura, ma del presidente bielorusso Alexander Lukashenko. “È imprevedibile, dobbiamo essere pronti a difendere i nostri confini”, dice un abitante del paese.

      Come la Polonia ha militarizzato l’area di confine

      È da poco passata l’alba elavialibera è riuscita a entrare nell’epicentro della zona d’emergenza voluta dal governo di Varsavia per far fronte a una crisi migratoria che ha numeri irrisori se comparati agli annuali arrivi nel Mediterraneo, ma che qui non si erano mai visti. Da oltre due mesi l’area è militarizzata: già a oltre trenta chilometri di distanza dal confine i numeri stranieri ricevono un messaggio indirizzato ai migranti, che porta la firma del ministero dell’Interno polacco. “La frontiera è chiusa – si legge –. Le autorità bielorusse vi hanno mentito. Tornate a Minsk!”. È il primo “benvenuto in Europa”. Più vicino ai valichi si incontrano posti di blocco della polizia all’entrata e all’uscita delle strade principali e soldati assiepati in buche di terra a margine dei sentieri sterrati. Altri girano a bordo di auto senza alcun segno distintivo che d’improvviso bloccano il passaggio per controllare documenti e portabagagli. Qui nessuno, tranne i residenti, può entrare e uno straniero fa paura: “Lei non dovrebbe essere qui, come è riuscita a passare?”, ripetono le poche persone incontrate a cui riusciamo a fare qualche domanda. I più si trincerano dietro un “non parlo inglese”, abbassano la testa e filano via.

      La guerriglia diretta da Minsk

      L’attenzione dei media cala, ma la tensione rimane alta. “Non è finita”, dice a lavialibera Katarzyna Zdanowicz, portavoce della Guardia di frontiera del Podlaskie, regione della Polonia nord-orientale con capoluogo Bialystok, che conta chilometri di bosco e 14 distretti. I tentativi di forzare la rete di filo spinato che a settembre è stata alzata alla frontiera proseguono: sabato ci ha provato un gruppo di cento persone a Czeremsza, un’ora e mezza di macchina da Kuznica. Hanno lanciato pietre e lacrimogeni.

      Una guerriglia che, raccontano Zdanowicz e la sua vice, Krystyna Jakimik-Jarosz, va avanti da mesi e sta mettendo le forze dell’ordine psicologicamente a dura prova perché “non sappiamo mai cosa aspettarci”. “Ora i migranti sono stati divisi in gruppi più piccoli, dato che la strategia di concentrarli in un unico posto non ha funzionato – spiegano –. L’obiettivo è creare il caos. Il regime bielorusso sta usando queste persone per i propri interessi. Vediamo i soldati di Lukashenko fornirgli laser e cesoie, incitando alla violenza”.

      Ricordano di aver incontrato una donna afghana che è finita in lacrime quando ha scoperto di trovarsi in Polonia e non in Germania, dove credeva di essere arrivata. Un’altra, irachena, sconvolta dalla foresta “che non aveva mai visto prima”. “Sono vittime di una truffa – proseguono Zdanowicz e Jakimik-Jarosz –. Vogliamo aiutarle, ma d’altra parte dobbiamo proteggere i confini. Non possiamo permettere che attraversino illegalmente la frontiera”. Respingono le accuse di violare il diritto internazionale spedendo indietro chi vuole fare domanda d’asilo.

      “Diamo l’opportunità di fare richiesta, ma i più vogliono andare in Germania e non possiamo fare altro che riportarli in Bielorussia”, sostengono, aggiungendo di cooperare con le autorità di Berlino e di aver ricevuto la visita di Dieter Romann, capo della polizia federale tedesca che “si è complimentato per il nostro lavoro”. Le testimonianze di chi è riuscito a superare il varco, dopo diversi tentativi falliti, descrivono una realtà diversa: le forze dell’ordine polacche caricano i migranti sui furgoncini, prelevandoli anche dagli ospedali, dove in tanti vengono ricoverati per ipotermia, e li scaricano dall’altra parte senza dargli alcuna chance.

      Il cinico gioco politico sulle spalle dei migranti

      Una situazione che non si risolverà in poche settimane. Fa troppo comodo a entrambi i versanti del confine. Lukashenko, desideroso di riconoscimento internazionale, non ha perso l’occasione di presentare le due telefonate ricevute dalla cancelliera tedesca Angela Merkel come una vittoria. Mentre il governo polacco di destra di Mateusz Morawiecki, in calo nei sondaggi e sempre meno credibile in Europa, punta a guadagnare terreno tanto in casa, giocando la carta dell’invasione, quanto agli occhi degli altri leader europei, auto-promuovendosi difensore delle porte dell’Unione. Nelle maglie di questo cinico gioco politico, migliaia di uomini, donne e bambini ancora intrappolati nella foresta Bielorussa che sperano di raggiungere l’Europa. I pochi che riescono a entrare in Polonia si nascondono per settimane, rischiando di morire di freddo e di fame. Le associazioni umanitarie li intercettano in condizioni sempre peggiori. Una coppia siriana ha raccontato ai medici dell’organizzazione Poland emergency medical team di essere rimasta nel bosco per quasi un mese. Il loro bimbo di un anno ha perso la vita.

      https://lavialibera.it/it-schede-754-polonia_nel_cuore_della_zona_d_emergenza_abbiamo_paura

    • Biélorussie/Pologne : construction d’une crise politique

      Depuis novembre 2021, il ne se passe pas un jour sans que la presse n’évoque –images très dures à l’appui– les tensions à la frontière biélorusse. Euphémisme s’il en est que de parler de tensions : plusieurs milliers de personnes massées en pleine nature, dans des conditions de survie terribles, sans aide humanitaire pendant plusieurs semaines, le tout pour servir de pion à un cynique chantage politique. Car il ne s’agit ici de rien d’autre que de la construction de toutes pièces d’une crise politique.

      Dans cette analyse, nous retraçons les grands moments qui ont engendré cette crise et nous revenons sur les dernières actualités et sur les conditions de survie de ces personnes migrantes à la frontière biélorusse. Nous verrons également en quoi certains droits fondamentaux sont violés, et les réactions de l’Union européenne y faisant suite. Enfin, nous analyserons la manière dont la Biélorussie a instrumentalisé la migration à des fins politiques et expliquerons en quoi cela est loin d’être inédit.

      Que ce soit à travers des accords politiques iniques, ou par la construction de murs et grâce à un inventaire sécuritaire toujours plus important et perfectionné, l’Union européenne reproche à la Biélorussie ce qu’elle fait, elle aussi, depuis de nombreuses années. Nous expliquerons ainsi en quoi l’Union, et ses États membres, sont pour partie responsables de cette situation humanitaire catastrophique.

      https://www.cire.be/publication/bielorussie-pologne-construction-dune-crise-politique

  • Mineurs étrangers : le fichier antifraude bientôt imposé à tous les départements

    Le projet de #loi « #protection_des_enfants » prévoit de rendre obligatoires à tous les départements le recours au #fichier_anti-fraude concernant les #mineurs_non_accompagnés, ainsi que la transmission de #données_personnelles aux autorités préfectorales. Les associations y voient un « outil de lutte contre l’immigration irrégulière ».

    Il avait été instauré en 2019, officiellement pour lutter contre le « #nomadisme » des #jeunes_migrants, soupçonnés de tenter leur chance d’un département à l’autre pour être reconnus #mineurs et pris en charge par l’#Aide_sociale_à_l’enfance. Le fichier « antifraude » (dit « #AEM », pour aide à l’#évaluation_de_la_minorité) revient, en force, sur le devant de la scène dans le cadre du projet de loi relatif à la « protection des enfants », examiné cette semaine à l’Assemblée nationale.

    Le texte prévoit en effet de le rendre obligatoire à tous les départements, alors qu’une poignée de récalcitrants – dont #Paris, la #Seine-Saint-Denis et le #Val-de-Marne – résistaient jusqu’alors, malgré les #sanctions_financières établies par un décret datant de juin 2020, venant réduire le montant de la contribution forfaitaire de l’État versée pour l’évaluation de la #minorité et la #prise_en_charge des jeunes. La somme passait, pour les départements refusant d’y avoir recours, de 500 à 100 euros.

    Depuis 2019, le gouvernement invite les #départements, sur la base du volontariat, à renvoyer les jeunes se présentant comme mineurs vers la préfecture, où un certain nombre de #données_personnelles (prise d’#empreintes_digitales, photos, #adresse_de_domiciliation, #numéro_de_téléphone...) sont alors collectées et enregistrées. Ces dernières sont ensuite comparées au fichier dit « #Visabio », qui répertorie les demandes de #visa formulées depuis l’étranger et peut biaiser les déclarations des jeunes se présentant comme mineurs, puisque certains d’entre eux tentent d’abord une demande de visa en se déclarant majeurs, dans le but de s’éviter la traversée par la mer.

    « Certains départements ne prennent même plus la peine de faire l’évaluation pour un jeune si la préfecture dit qu’il se trouve dans Visabio », souligne Jean-François Martini, juriste au Gisti. Selon le Groupe d’information et de soutien des immigrés, 77 départements ainsi que la métropole de Lyon auraient déjà recours au fichier AEM permettant la collecte d’informations. Pourtant, jusqu’à présent, impossible de mesurer l’éventuelle « fraude » à laquelle pourraient s’adonner les jeunes migrants en recherche de protection en France.

    « Rien ne justifie l’utilisation de ce fichier »

    Aucun chiffre, aucun bilan, rappelle Camille Boittiaux, référente MNA chez Médecins du monde, ne permettent d’« objectiver le phénomène de “nomadisme” ». « Rien ne justifie l’utilisation de ce fichier. Les arguments avancés par le gouvernement ne sont pas convaincants. Les MNA sont encore une fois considérés comme des migrants, de potentiels fraudeurs, avant d’être vus comme des #enfants. »

    Pourquoi donc vouloir rendre obligatoire un #fichier_biométrique controversé, auquel même la Défenseure des droits a manifesté son opposition, dans un avis critique adressé à la commission des affaires sociales de l’Assemblée nationale fin juin, pointant un texte « pas à la hauteur des besoins que l’on note en #protection_de_l’enfance », rappelant, au passage, que le droit des MNA de refuser de transmettre leurs #informations_personnelles « n’est plus considéré ni prévu » ?

    Pour les associations d’aide aux migrants et aux MNA, comme pour le député Guillaume Chiche, la réponse est simple : il s’agit de faire de la protection de l’enfance un « outil de #lutte_contre_l’immigration_irrégulière ». « On passe du champ de la protection de l’enfance à un système policier, et le fichier AEM en est le premier pont », prévient Jean-François Martini. Dans un communiqué interassociatif (https://www.gisti.org/spip.php?article6614) rassemblant le Gisti, La Cimade, Infomie, Médecins du monde et le Secours catholique, ces organisations dénoncent un « #fichage policier systématique » et la « nocivité » de ce fichier. « Depuis sa mise en œuvre par la plupart des départements métropolitains, c’est une catastrophe pour les jeunes à tous points de vue », poursuit le juriste auprès de Mediapart.

    La référente MNA de Médecins du monde pointe, elle aussi, les « effets délétères » du fichier dans les départements où il a déjà été mis en place : « On a constaté que certains mineurs craignaient le passage en préfecture et décidaient de ne pas intégrer le système de la protection de l’enfance. D’autres sont laissés sans mise à l’abri en attendant le passage à la préfecture. D’autres encore n’ont ni mise à l’abri ni évaluation après consultation du fichier par le département. » Une sorte de #tri faisant fi du principe de #présomption_de_minorité, qui doit normalement garantir une protection aux jeunes se déclarant mineurs durant toute la durée de leurs démarches.

    « L’article 15 relève exclusivement de la gestion de flux migratoires, relève le député Guillaume Chiche, membre de la commission des affaires sociales. On organise la délivrance de renseignements sur les MNA aux autorités préfectorales. Pire, on oblige les départements à leur présenter les MNA ! » Avec le risque, aux yeux du député ex-LREM, de « reléguer les travailleurs sociaux au rang d’enquêteurs et de supplétifs des forces de l’ordre ». « Il n’y a plus de #secret_professionnel, cela rompt le lien de #confiance avec les jeunes », déplore-t-il.

    Mélange des genres

    Dans son avis, la Défenseure des droits exprime « ses profondes inquiétudes » quant à l’article 15, qui tend « davantage à traiter du #contrôle_migratoire qu’à une réelle amélioration de la protection des mineurs non accompagnés ». MNA qui relèvent, rappelle-t-elle, uniquement des dispositifs de la protection de l’enfance « jusqu’à l’établissement de leur âge par une décision judiciaire », et qui devraient être exclus de procédures relevant « d’un contrôle et d’une gestion des flux migratoires ».

    Un mélange des genres « intolérable » pour le Gisti. « On ne peut pas à la fois faire de la protection de l’enfance et mettre en œuvre des mesures elles-mêmes affichées comme de la lutte contre l’immigration irrégulière, estime Jean-François Martini. Le résultat de l’évaluation finit entre les mains d’une préfecture qui peut en tirer un argument pour prononcer une mesure d’éloignement, on organise une collaboration objective entre professionnels de la protection de l’enfance et services des préfectures. »

    Contacté, le département du Val-de-Marne n’a pas donné suite à l’heure où nous publions cet article. Désormais passé à droite, celui qui faisait partie des derniers « résistants » au fichier AEM et avait même déposé un recours auprès du Conseil d’État avec la Seine-Saint-Denis pour contester le décret du 23 juin 2020, risque de changer de cap. En Seine-Saint-Denis, le fichier est jugé « inacceptable » et reste à ce jour inutilisé.

    « Ce n’est pas notre rôle, tranche Stéphane Troussel, président du Conseil départemental. Les départements ne sont pas des supplétifs du ministère de l’intérieur. C’est à ce titre qu’on a refusé d’appliquer le décret jusqu’ici. Avec le recours obligatoire au fichier, on va fouler au pied la libre administration des collectivités territoriales. L’État devrait aller au bout de sa logique : s’il considère que cela relève de la question migratoire, à lui de prendre en charge la mise à l’abri et l’évaluation ! »

    Difficile, pour Dominique Versini, adjointe en charge de la protection de l’enfance à Paris, de dire si le département pourra continuer de « résister » bien longtemps : « Avec la Seine-Saint-Denis et la #Gironde, on n’a pas cessé de subir des #pressions. On a été pointés du doigt par le gouvernement comme des “gauchistes” qui voudraient favoriser l’appel d’air. On a essayé de nous attaquer par le porte-monnaie avec le décret réduisant la contribution forfaitaire. On a admis le fait de ne pas recevoir l’argent de l’État, qui représente une perte de 2,2 millions d’euros de recettes par an pour Paris, parce que nos valeurs l’emportaient. Mais là, le problème, c’est que le recours au fichier va être rendu obligatoire par la loi... », appréhende l’élue.

    Alors que le gouvernement mène déjà une politique de lutte contre l’immigration illégale « très dure », il « passe » désormais par les départements, selon elle, pour récupérer des jeunes à expulser. « C’est une façon d’utiliser la protection de l’enfance au profit d’une politique de lutte contre l’immigration illégale et cela me choque profondément », dénonce l’ancienne ministre, qui souligne une violation de la Convention internationale des droits de l’enfant et de la présomption de minorité, les jeunes étant contraints de se rendre en préfecture avant même d’avoir fait l’objet d’une évaluation. « La puissance du ministère de l’intérieur l’emporte sur le secrétariat en charge de la protection de l’enfance et je le déplore », poursuit Dominique Versini.
    Rien pour améliorer le quotidien des mineurs étrangers

    Le projet de loi prévoit par ailleurs d’interdire le placement des mineurs à l’#hôtel, mais introduit tout de même un caractère d’urgence, avec une durée maximale de deux mois, qui laisse planer le doute : « Deux mois, c’est déjà énorme ! Il y a entre 7 500 et 10 000 enfants placés à l’hôtel, et cela répond quasiment tout le temps à des situations d’#urgence et de #mise_à_l’abri. Donc cela ne va rien changer », alerte Guillaume Chiche, ajoutant qu’une majorité des enfants placés à l’hôtel sont des MNA. « Quand j’ai interpellé le ministre [Adrien Taquet] en commission, il a répondu que la durée de deux mois correspondait au temps qu’il fallait aux départements pour évaluer la minorité. Il y a donc un #droit_d’exception pour les MNA, et il est criminel d’organiser le tri entre les enfants. »

    En 2020, 4 750 jeunes se sont présentés à Paris pour une évaluation (contre 1 500 en 2015). Les MNA représentent un tiers des enfants confiés à l’#ASE. Paris et la Seine-Saint-Denis comptabilisent, à eux seuls, 50 % des évaluations réalisées en France (et 70 % pour l’Île-de-France). Ces deux départements restent ceux qui accueillent le plus de mineurs isolés. Pour mieux prendre en compte les spécificités socio-économiques des départements, et notamment le niveau de pauvreté, le projet de loi prévoit de modifier les critères du système de #répartition des MNA sur le territoire français - créé en 2016 pour soulager les départements les plus sollicités.

    S’il ambitionne d’apporter une « réponse précise », guidée par « l’intérêt supérieur de l’enfant et la pérennisation de notre système de protection de l’enfance », force est de constater que le projet de loi reste à mille lieues des enjeux (lire notre analyse : https://www.mediapart.fr/journal/france/160621/enfants-en-danger-un-projet-de-loi-mille-lieues-des-enjeux), et que rien ou presque ne vise à améliorer la prise en charge et le quotidien des MNA, dont l’histoire et le parcours migratoire sont souvent traumatisants.

    Rien concernant ces jeunes voyant d’abord leur minorité contestée, exclus du dispositif de protection et laissés à la #rue durant la durée de leur recours, puis reconnus majeurs par le juge des enfants [un jeune sur deux à saisir le juge serait reconnu mineur - ndlr]. Rien concernant ces jeunes reconnus mineurs par un département, puis réévalués majeurs dans un second département en raison du système de répartition imposé. Rien, enfin, concernant ces ex-MNA qui, à leur majorité et malgré une formation en apprentissage, parfois avec le soutien d’un employeur, sont menacés d’expulsion, révélant toutes les incohérences de l’État (lire ici ou là le récit de ces gâchis).

    Un projet de loi « de #maltraitance », juge Jean-François Martini. « Il n’y a rien sur la protection des enfants ! Qu’il s’agisse de l’évaluation, des #tests_osseux qu’on ne veut pas interdire ou de la possibilité de placement à l’hôtel dans des cas d’urgence, on les met en situation de #fragilité extrême, et on ose dire que la République fait le job », tacle Guillaume Chiche. Et Camille Boittiaux de conclure : « Il aurait pu y avoir des dispositions protectrices pour une vraie prise en charge de ce public. Mais ils sont uniquement sur le volet sécuritaire et le contrôle des enfants. C’est une occasion manquée. »

    https://www.mediapart.fr/journal/france/070721/mineurs-etrangers-le-fichier-antifraude-bientot-impose-tous-les-departemen
    #France #mineurs_étrangers #MNA #fraude #anti-fraude #antifraude #amende #préfecture #biométrie #chantage #résistance

    ping @etraces @karine4 @isskein

    • Pas de mesures anti-mineurs isolés étrangers dans le projet de loi relatif à l’enfance !

      Le 16 juin a été présenté en Conseil des ministres un projet de loi relatif à l’enfance qui a pour ambition de « garantir véritablement aux enfants un cadre de vie sécurisant et serein, et aux professionnels un exercice amélioré de leurs missions ». Plusieurs dispositions concernent les mineur⋅es isolé⋅es. Pour ces enfants, il n’est pas question de « cadre sécurisant et serein » mais d’un fichage policier systématique et d’une modification de la clé de répartition territoriale des prises en charge, sans tenir compte de leur intérêt.

      Le texte prévoit un recours systématique au fichier d’appui à l’évaluation de la minorité (AEM), qui fait du passage en préfecture un préalable à toute mesure de protection de l’enfance. L’utilisation de ce fichier depuis 2019 par de nombreux départements a démontré sa nocivité : mineur·es laissé·es à la rue dans l’attente de leur passage en préfecture, refus de mise à l’abri et d’évaluation à l’issue de la consultation des fichiers, édiction de mesures d’éloignement à l’égard de ceux et celles « déclaré⋅es » majeur⋅es, les privant de leur droit à un recours devant le ou la juge des enfants, etc. Le gouvernement veut maintenant imposer l’utilisation de ce fichier aux derniers départements qui refusent de confondre protection de l’enfance et lutte contre l’immigration [1].

      La clé de répartition nationale des mineur·es isolé·es entre les départements est modifiée en fonction de nouveaux critères qui ne tiennent aucun compte de l’intérêt de l’enfant : rien sur les délais interminables de transfert entre certains départements qui retardent leur scolarisation et leur prise en charge éducative ; et rien non plus sur les « doubles évaluations » qui conduisent des départements à remettre en cause la mesure de protection prise à l’initiative d’autres départements.

      Encore une occasion manquée pour le gouvernement de prendre des mesures de protection propres à se mettre en conformité avec les droits de l’enfant : détermination de la minorité basée sur l’état civil, présomption de minorité, prise en charge des jeunes majeur·es renforcée, droit au séjour sécurisé…

      Nous appelons donc au retrait de ces dispositions du projet de loi, à l’inclusion de mesures protectrices pour les mineur·es isolé·es et à un approfondissement de celles qui peuvent constituer des pistes d’amélioration de la protection de tous les enfants : prévention de la maltraitance dans les établissements, limitation des placements à l’hôtel, renforcement des normes d’encadrement, etc.

      https://www.gisti.org/spip.php?article6614

  • UK to block #visas for countries refusing to take back asylum seekers

    Bill would give home secretary power to take action against citizens of countries deemed not to be cooperating.

    The UK will block visas for visitors from countries the home secretary believes are refusing to cooperate in taking back rejected asylum seekers or offenders.

    In proposed legislation published on Tuesday, #Priti_Patel and future home secretaries would have the power to suspend or delay the processing of applications from countries that do no “cooperate with the UK government in relation to the removal from the United Kingdom of nationals of that country who require leave to enter or remain in the United Kingdom but do not have it”.

    The clause in the nationality and borders bill also allows for the home secretary to impose additional financial requirements for visa applications – that is, an increase in fees – if countries do not cooperate.

    The proposals mirror US legislation that allows officials to withdraw visa routes from countries that refuse to take back undocumented migrants. It is understood that countries such as Iraq, Iran, Eritrea and Sudan are reluctant to cooperate with the UK on such matters.

    The change is one of many in the bill, described as “the biggest overhaul of the UK’s asylum system in decades” by Patel, which includes measures such as:

    - Asylum seekers deemed to have arrived in the UK illegally will no longer have the same entitlements as those who arrive in the country via legal routes. Even if their claim is successful, they will be granted temporary refugee status and face the prospect of being indefinitely liable for removal.

    - Asylum seekers will be able to be removed from the UK while their asylum claim or appeal is pending, which opens the door to offshore asylum processing.

    - For those deemed to have arrived illegally, access to benefits and family reunion rights could be limited.

    – The appeals and judicial process will be changed to speed up the removal of those whose claims are refused.

    - The home secretary will be able to offer protection to vulnerable people in “immediate danger and at risk in their home country” in exceptional circumstances. It is thought this will be used to help a small number of people.

    – The system will be made “much harder for people to be granted refugee status based on unsubstantiated claims” and will include “rigorous age assessments” to stop adults pretending to be children. The government is considering the use of bone scanners to determine age.

    - Life sentences will be brought in as a maximum penalty for people-smugglers.

    - Foreign criminals who breach deportation orders and return to the UK could be jailed for up to five years instead of the current six months.

    – A new one-stop legal process is proposed so that asylum, human rights claims and any other protection matters are made and considered together before appeal hearings.

    Campaigners have dubbed the proposed legislation the “anti-refugee bill”, claiming it will penalise those who need help the most.

    Analysis of Home Office data by the Refugee Council suggests 9,000 people who would be accepted as refugees under current rules – those confirmed to have fled war or persecution following official checks – may no longer be given safety in the UK due to their means of arrival under the changes.

    The charity’s chief executive, Enver Solomon, said that for decades people had taken “extraordinary measures to flee oppression”, but had gone on to become “law-abiding citizens playing by the rules and paying their taxes as proud Britons”.

    Steve Valdez-Symonds, refugee and migrants rights programme director at Amnesty International UK, branded the bill “legislative vandalism”, claimed it could “fatally undermine the right to asylum” and accused Patel of a “shameful dereliction of duty”, adding: “This reckless and deeply unjust bill is set to bring shame on Britain’s international reputation.”

    Sonya Sceats, chief executive of Freedom from Torture, described the plans as “dripping with cruelty” and an “affront to the caring people in this country who want a kinder, fairer approach to refugees”.

    More than 250 organisations – including the Refugee Council, the British Red Cross, Freedom from Torture, Refugee Action and Asylum Matters – have joined to form the coalition Together with Refugees to call for a more effective, fair and humane approach to asylum in the UK.

    https://www.theguardian.com/politics/2021/jul/06/uk-to-block-visas-from-countries-refusing-to-take-back-undocumented-mig

    #asile #migrations #réfugiés #chantage #visas #UK #Angleterre

    La loi comprend aussi une disposition concernant l’#externalisation des #procédures_d'asile :
    https://seenthis.net/messages/918427

    Une des dispositions rappelle la loi de l’#excision_territoriale (#Australie) :

    Asylum seekers deemed to have arrived in the UK illegally will no longer have the same entitlements as those who arrive in the country via legal routes. Even if their claim is successful, they will be granted temporary refugee status and face the prospect of being indefinitely liable for removal.

    voir :
    https://seenthis.net/messages/901628#message901630
    https://seenthis.net/messages/416996
    #modèle_australien

    #offshore_asylum_processing
    #Irak #Iran #Erythrée #Sudan #réfugiés_irakiens #réfugiés_iraniens #réfugiés_soudanais #réfugiés_érythréens #réfugiés_soudanais #regroupement_familial #aide_sociale #procédure_d'asile #recours #mineurs #âge #tests_osseux #criminels_étrangers #rétention #détention_administrative #anti-refugee_bill

    ping @isskein @karine4

  • Un sondage révèle l’ampleur des actes sexistes dans l’édition
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2021/07/01/un-sondage-revele-l-ampleur-des-actes-sexistes-dans-le-milieu-de-l-edition_6

    Une consultation menée par Ipsos et « Livres hebdo » montre que six répondants sur dix ont déjà été victimes d’agissements sexistes ou sexuels dans la profession.

    Les actes sexistes sont massifs dans le milieu de l’édition : plus de huit professionnels sur dix ont déjà été témoins d’agissements sexistes ou sexuels et six personnes sur dix en ont été victimes, selon les principaux résultats que révèle, ce jeudi 1er juillet, LH Le Magazine, le mensuel de Livres hebdo, publication destinée aux professionnels du livre. Première enquête sur cette question dans le milieu du livre, cette large consultation en ligne, menée conjointement par Ipsos et LH Le Magazine, du 19 au 25 mai, a recueilli 1 000 réponses en moins de quarante-huit heures, 1 221 en une semaine. « Rarement un questionnaire en ligne avait reçu autant de témoignages, à en croire notre partenaire Ipsos, indique le mensuel. Cet engouement illustre un besoin, une urgence de parler. »

    Les chiffres décrivent un phénomène massif : 84 % des répondants affirment avoir déjà été témoins d’au moins un acte sexiste au cours de leur carrière. Parmi eux, 76 % ont été témoins de remarques déplacées, 57 % d’une discrimination sexiste et 51 % de gestes déplacés ; 61 % des professionnels de l’édition déclarent avoir été victimes d’agissements sexistes et sexuels – majoritairement des femmes.

    Ces données viennent confirmer ce que dénoncent depuis deux ans de nombreux acteurs du secteur dans différentes pétitions, tribunes et témoignages publiés sur les réseaux sociaux et dans les médias. C’est en février 2020, dans la foulée de la publication du Consentement, de Vanessa Springora (Grasset), qui décrit la relation traumatisante qu’a subie l’écrivaine avec l’écrivain Gabriel Matzneff, qu’un collectif d’autrices, mené par Caroline Laurent, publie une première tribune sur le site de Franceinfo pour réclamer « la fin de la loi du silence » qui protège les « tartuffes aux mains moites et dons Juans à la braguette souple » qui sévissent impunément dans le milieu littéraire.

    En mai, après une enquête de Mediapart sur les agissements de Stéphane Marsan, PDG des éditions Bragelonne, une nouvelle tribune était publiée dans Libération pour déplorer le fait que « tout le monde savait » et pour dénoncer un paradoxe : « Alors que l’édition s’enrichit de la publication des récits des victimes de violences sexistes et sexuelles, qu’en est-il au sein du milieu ? »

    « C’est vraiment énorme »
    « On avait des témoignages épars, mais pas de données chiffrées, explique Anne-Laure Walter, l’actuelle rédactrice en chef de Livres hebdo. On a donc voulu faire un état des lieux précis, fournir une photographie la plus large possible de la situation. » Le questionnaire mis en ligne à la fin du mois de mai a été ouvert à tous les professionnels du livre : auteurs, éditeurs, attachés de presse, chefs de fabrication, commerciaux, graphistes… « Nous avons été un peu surpris par les résultats. Six répondants sur dix qui se déclarent victimes, c’est vraiment énorme », observe Anne-Laure Walter.